LA LIRICA GRECA (VII – VI sec. a.C.) INQUADRAMENTO STORICO

LA LIRICA GRECA (VII – VI sec. a.C.)
INQUADRAMENTO STORICO
750-550 a.C.: è l’epoca della grande colonizzazione greca (da non confondere con i movimenti
migratorii avvenuti in precedenza, intorno al 1000 a.C., verso la costa dell’Asia Minore) e delle
tirannidi.
Sono fenomeni strettamente collegati fra loro ed hanno come denominatore comune la fame di
terra: essa infatti è il primo motore della a\poikòa, termine che designa in greco la colonia, e da
un’esigenza di più equa suddivisione della terra nasce la tirannide.
Sono generalmente i figli cadetti delle famiglie più in vista ad intraprendere il viaggio verso terre
lontane (mète predilette sono la Sicilia e il Sud dell’Italia, che prenderà non a caso il nome di
Magna Grecia), per mancanza di terra coltivabile; siamo in un’epoca in cui non esiste ancora il
denaro e il possesso della terra costituisce l’unica ricchezza.
Nella colonia viene simbolicamente trapiantata una zolla della città-madre e di essa viene per lo
più conservata la forma di governo, a garanzia di continuità tra le due realtà socio-politiche.
Ci sono due tipi di colonie:
a) colonie agricole (le prime ad essere fondate)
b) emporii commerciali.
Si trovano tutte nel Mediterraneo Occidentale che è sbarrato da Qart Hadasht (Cartagine).
Le prime colonie furono probabilmente fondate in Sicilia da Càlcide (città dell’Eubea): si tratta
di Nasso, Catania, Lentini, Zancle.
La imitarono presto Corinto (Siracusa), Mègara (Mègara Iblea), Rodi (Gela, Agrigento).
Gli Achei si diressero invece nel Sud dell’Italia (Crotone, Sibari, Metaponto) e così pure i Dori
(Taranto).
Furono colonizzate anche la costa nordafricana (Cirene, Naucràti), quella della Tracia (tutta la
penisola Calcidica, così detta dai Calcidesi che la occuparono), una parte di quella
micrasiatica e di quella del “Ponto Eussino” (Mar Nero).
Questa improvvisa espansione muta radicalmente l’economia e con essa la situazione politica.
Si sviluppa fortemente il commercio. Le famiglie che detenevano da tempo indefinito il potere
per la loro nobiltà di stirpe, vengono soppiantate dalle grandi famiglie di mercanti delle città
della Ionia. La massa dei nullatenenti, esclusi tanto dal possesso delle terre quanto dalla
possibilità di accumulare fortune con il commerico, acquista un peso crescente.
Con l’espansione del commercio in Asia Minore viene introdotta una grande novità: quella
della moneta coniata. Grazie ad essa si passa da un’economia fondata sul baratto ad
un’economia monetaria, con la possibilità - assolutamente inedita per il mondo greco - di
accumulare grandi capitali e di acquistare con essi anche delle terre. Questo consente al ceto
mercantile di insidiare privilegi prima detenuti esclusivamente dagli aristocratici.
Si sviluppa moltissimo anche il traffico di schiavi.
Questa vera e propria rivoluzione economica non tarda a tradursi in rivoluzione politica.
Il ceto mercantile emergente non accetta più di essere escluso dalle cariche politiche (vedi il
caso della riforma di Solone in Atene, basata sul censo) ed i nullatenenti premono per ottenere
qualche vantaggio economico. Lo scontro tra aristocrazia e popolo diviene frontale.
In questa situazione di instabilità sociale (la cosiddetta staésiv) si assiste a due fenomeni diversi
ma complementari:
- in alcune poéleiv si tenta di evitare la degenerazione violenta della situazione mediante la
proclamazione di un ai\sumnhéthv (pacificatore) o diallakthév (mediatore), il cui compito è
quello di riformare la costituzione. È questo il caso del già citato Solone, che fu eletto
“pacificatore” nel 591 a.C.
- nella maggior parte dei casi lo scontro si trasferisce nel seno delle stesse famiglie
aristocratiche, alcune delle quali, per ottenere più facilmente il predominio sulle altre,
sfruttano il malcontento dei “demi” ponendosi alla loro testa ed instaurano le cosiddette
tirannidi.
Il tiranno infatti, ben lungi dall’essere un esponente del popolo, è un transfuga aristocratico
che decide di farsi portavoce delle istanze delle masse per il proprio tornaconto personale.
Non mancano le tirannidi gestite con intelligenza, equilibrio e clemenza (vedi il caso di
Pisistrato in Atene), ma il “peccato originale” del tiranno, giudicato imperdonabile dalla
letteratura greca posteriore (vedi il caso della tragedia), è quello di avere ottenuto il potere
non attraverso la creazione di nuovi strumenti istituzionali, ma attraverso l’occupazione
violenta delle cariche.
In questo turbolento contesto nasce e si sviluppa il fenomeno della lirica greca.
Si suole affermare, sulla scorta di Hegel e di Bruno Snell, che questo fenomeno rappresenta il
primo “esprimersi del soggetto”, “il primo rivelarsi della individualità” nella cultura greca dopo
la grande stagione della poesia “oggettiva” ed impersonale di Omero ed Esiodo. Tale fenomeno
sarebbe una diretta conseguenza dell’ “inebriarsi di sé” connesso con le nuove scoperte dovute
alla colonizzazione, con i viaggi avventurosi e l’affermazione del proprio valore individuale in
terra straniera.
C’è senz’altro del vero in queste affermazioni, ma esse colgono solo parzialmente la realtà del
fenomeno della lirica greca: che è prima di tutto, come bene mette in luce Luciano Canfora, “la
forma di espressione letteraria dell’aristocrazia”. Questo è evidente già solo dal fatto che i
lirici greci sono tutti aristocratici e si fanno portavoce di una cultura e di un’etica
esclusivamente aristocratiche (si veda il caso dell’eros efebico), ed ancor più dall’odio di classe e
dall’avversione per la tirannide che si esprimono attraverso le opere della maggior parte di essi
(Teognide e Alceo sopra tutti).
Non dunque espressione di singoli “individui” in quanto tali, ma di individui strettamente legati
ad una ben precisa cerchia politica; espressione che, fra l’altro, avviene nel contesto
rigorosamente chiuso della riunione di clan: il simposio, il tiaso, l’eteria aristocratica.
E dunque anche espressione di una visione del mondo che, per quanto variegata e soggettiva,
è comunque e sempre quella dell’aristocrazia in crisi e del suo disperato tentativo di
aggrapparsi alla propria identità culturale, che si pretende superiore, per distinguersi
dall’incultura dei parvenu.