università degli studi di padova - Comune Piazzola Pd It Comune Di

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE,
GIURIDICHE
E STUDI INTERNAZIONALI
Corso di Laurea Triennale in Scienze Politiche e Relazioni
Internazionali
Curriculum: Storia e Politica Internazionale
L’INDUSTRIALIZZAZIONE A PIAZZOLA
SUL BRENTA TRA OTTOCENTO E
NOVECENTO
Relatore: Prof.ssa ALBA LAZZARETTO
Laureanda: MARGHERITA MIOTTO
matricola N. 523910-SPR
A.A. 2013/2014
Ai miei genitori
Edmondo e Ann a Maria
2
SOMMARIO
INTRODUZIONE ............................................................................................................... 5
Capitolo 1 ............................................................................................................................ 7
CENNI STORICI: PIAZZOLA SUL BRENTA E IL TERRITORIO VENETO ............... 7
1.1. Dal dominio della Serenissima ai Contarini (sec. XV-XVIII) ..................................... 7
1.2. Lo sviluppo economico promosso dai Contarini.......................................................... 8
1.3. Fine ‘700: prima dominazione austriaca ...................................................................... 9
1.4. Età napoleonica .......................................................................................................... 15
1.5. La seconda dominazione austriaca ............................................................................. 18
1.5.1. L’amministrazione fiscale e giudiziaria ............................................. 19
1.5.2. La pubblica istruzione con il coinvolgimento del clero ..................... 22
1.5.3. La censura........................................................................................... 27
Capitolo 2 .......................................................................................................................... 29
ASPETTI SOCIO-CULTURALI DEL VENETO OTTOCENTESCO E PRIMA
INDUSTRIALIZZAZIONE DI PIAZZOLA SUL BRENTA CON L’AVVENTO
DEI CAMERINI ............................................................................................................... 29
2.1. Lo sviluppo culturale ................................................................................................. 29
2.1.1. Il mondo contadino ............................................................................. 32
2.2. Lo sviluppo industriale............................................................................................... 34
2.2.1. I primi villaggi operai sul modello delle company town.................... 36
2.2.2. Piazzola sul Brenta: inizio dell’epoca cameriniana ............................ 37
2.3. Paolo Camerini e il decollo economico e sociale di Piazzola sul Brenta ................... 41
Capitolo 3 .......................................................................................................................... 49
PIAZZOLA SUL BRENTA NEL ‘900............................................................................. 49
3.1. Prima della Grande Guerra......................................................................................... 49
3.2. Gli anni del fascismo.................................................................................................. 51
3.3.Fine dell’epoca Camerini ............................................................................................ 55
Conclusioni ....................................................................................................................... 57
Bibliografia ....................................................................................................................... 58
3
INTRODUZIONE
Dall’Unità ad oggi il mondo rurale, con le sue gerarchie sociali ed
economiche, le sue volontà di riscatto e le sue tenaci resistenze, si è
consumato in una transizione non lineare né indolore. Di questo mondo, la
possidenza – borghese o aristocratica, imprenditrice o assenteista, istruita o
rapace – ha rappresentato il cuore e il vertice1.
Figura 1. G. Caillebotte, Richard Gallo e il suo cane Dick, 1883
1
C. Fumian, Possidenti. Le élites agrarie tra Otto e Novecento, Padova, Meridiana Libri, 1996,
quarta di copertina.
5
CAPITOLO 1
CENNI STORICI: PIAZZOLA SUL BRENTA E IL
TERRITORIO VENETO
1.1. Dal dominio della Serenissima ai Contarini (secc. XV-XVIII)
Nel 1404 la Serenissima Repubblica di Venezia estendeva il suo dominio di
terraferma anche ai Comuni di Vicenza, Padova e Treviso. È il secolo della
scoperta delle Americhe, il Nuovo Mondo, che porterà la civiltà occidentale dal
medioevo alla modernità.
Inizia così anche per Piazzola, un’era nuova di relativa pace e prosperità
destinata a durare per quasi quattro secoli, nonostante l’impero asburgico di Carlo
V (1508-1529) abbia seminato di stragi e di rovine anche le nostre terre.
… In questo periodo il matrimonio di Maria da Carrara con Nicolò
Contarini, rampollo di un’antica e nobile famiglia veneziana (…), portò in
dote alla famiglia dello sposo l’intero possedimento carrarese di Piazzola che
(…) giunse fino al nipote Pietro (1493-1562), il quale legò la sua fama alla
costruzione, su probabile disegno di Andrea Palladio, della splendida Villa
Contarini (Fig. 2), (…) le logge antistanti la villa e attigue pertinenze, sulle
rovine di un antico castello2.
Figura 2. Villa Contarini
2
E. Reato, Piazzola sul Brenta. Profilo storico di una comunità, Parrocchia di Piazzola sul Brenta,
2005, pp. 21-105.
7
L’ambizioso disegno fu portato a termine da Marco Contarini (Fig. 3)
(1632-1689) cittadino illustre di Piazzola, figlio di Pietro e Procuratore di San
Marco, persona stimata e apprezzata dalla nobiltà veneziana che in linea con il
nuovo clima culturale e artistico vi aggiunse, per le feste della nobiltà veneziana,
due teatri, un conservatorio musicale, detto il ”Loco delle Vergini” (fanciulle che
si dedicavano allo studio della musica e al ricamo), una tipografia per la stampa
dei libretti d’opera. La splendida villa dei Contarini raccoglieva frequentemente il
fior fiore della nobiltà veneta ma agli occhi dei ”servi della gleba” rimaneva una
cattedrale nel deserto e tale rimase fino a pochi decenni fa.
Alla
famiglia
Contarini va riconosciuto il
merito di aver contribuito
efficacemente
sviluppo
economico
allo
e
sociale degli abitanti di
Piazzola, usciti finalmente
dalla società medievale e
Figura 3. La villa in una mappa del 1671
avviati ad un lento e progressivo
benessere, realizzando una serie di iniziative anche miranti al controllo e
all’utilizzo delle acque del Brenta3. Questo nonostante che in Italia vi fosse un
crollo
dell’industria
tessile,
un
primato
economico che datava dal Medioevo e
l’esclusione dai grandi traffici oceanici4.
1.2. Lo sviluppo economico promosso dai
Contarini.
Al tempo di Marco Contarini (Fig. 4)
3
Figura 4. Marco Contarini
E. Reato, op. cit., pp. 21-105.
4
A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, Manuale di Storia 2. L’età moderna, Roma-Bari, Editori
Laterza, 1997, p. 241.
8
esistevano alcune piccole industrie, un mulino per il grano, un maglio per il ferro,
una segheria, un filatoio per la seta, una pileria per il riso. Si voleva introdurre
anche un’industria cartaria che avrebbe potuto giovare alla tipografia, ma tale
richiesta del Procuratore rimase senza effetto5.
Nel panorama nazionale, il declino delle attività commerciali e industriali
provocò uno spostamento dei capitali verso l’agricoltura: il nuovo prestigio della
proprietà terriera alimentava un maggior immobilismo sociale e si inseriva nel
quadro di un generale processo di rifeudalizzazione. Si determinò anche una
frammentazione dei mercati. La caduta dei prezzi dei cereali fu all’origine di una
diversificazione produttiva che indica come la crisi del ’600 avesse conseguenze
meno gravi nel campo agricolo rispetto al settore industriale e commerciale6.
L’interesse del Procuratore Marco era una gestione sapiente del suo vasto
territorio e l’aspirazione a crearvi un polivalente sistema produttivo urbanistico e
politico-culturale: nei secoli XVII-XVIII si configura come una vera e propria
corte7.
1.3. Fine ’700: prima dominazione austriaca
La
fine
della
Serenissima Repubblica di
Venezia
(1797)
lasciò
un’eredità di polemiche e
lacerazioni tra le diverse
classi sociali e tra Venezia e
i centri della terraferma, da
Udine
Figura 5. F. Tironi (Venezia, 1745-1797) Scorcio del
Canal Grande
5
E. Reato, op. cit., p. 22.
6
A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, op. cit., p. 241.
7
E. Reato, op. cit., p. 106.
9
a
Verona.
dissoluzione
dello
veneto
sul
pose
La
stato
tappeto
soprattutto il problema istituzionale e quello della classe dirigente del nuovo
ordinamento. Dal 1801 si avviò un’organizzazione fortemente burocratica, attuata
di pari passo con la progressiva esautorazione del patriziato dai posti di comando,
accusato di fellonìa, corruzione, dispotismo, incapacità politica.
Si interruppe bruscamente anche per la piccola comunità di Piazzola un
lunghissimo periodo di vita vissuta senza grandi rivolgimenti politici e sociali,
segnata dall’umile lavoro dei campi o da qualche modesta attività artigianale. Nel
contesto europeo, solo pochi anni prima (1789) avvenne, invece, in Francia quella
rivoluzione che segnò il passaggio dall’età moderna a quella contemporanea8.
Venezia avrebbe dato, con la
sua saggezza, possibilità di filtro alle
idee innovatrici che venivano dalla
Rivoluzione francese (Fig. 6), la quale
pur propugnando idee umanitarie e
liberali, evangeliche per certi aspetti
(libertà, uguaglianza, fraternità) aveva
commesso una quantità di crimini
Figura 6. 14 luglio 1789, presa della Bastiglia
spaventosi e non s’era ancora spenta
l’eco dell’epoca del terrore9.
Il 18 gennaio 1798, tre mesi dopo il trattato di Campoformido, le truppe del
generale Wallis entrarono a Venezia percorrendo il Canal Grande. In virtù di tale
trattato, l’Austria entrò in possesso dei territori veneti e il Veneto venne definito
”provincia austroveneta”. Iniziava qui quella dominazione asburgica che, con
l’intervallo napoleonico, si sarebbe protratta per quasi sessant’anni. Non vi era
stata battaglia, si ricorse al giuramento di sottomissione. Questo primo periodo
che va dal 1798 al 1806 ebbe caratteristiche ben diverse da quello successivo e
8
M. Gottardi, L’Austria a Venezia. Società e istituzioni nella prima dominazione austriaca 17981806, Milano, FrancoAngeli, 1993, pp. 11-295.
9
Atti del Convegno di Conegliano in collaborazione con l’Associazione Italia-Austria, I problemi
dell’amministrazione austriaca nel Lombardo-Veneto, Conegliano Veneto, Comune di
Conegliano, 1981, p. 125.
10
l’opinione comune accolse gli austriaci come il male minore di fronte alla
successiva e più pesante dominazione francese.
Veneto e Friuli avevano visto battaglie campali tra il Garda e l’Adige con
passaggi di truppe napoleoniche, austriache, persino cosacchi russi. Ad ogni
passaggio di truppa le popolazioni rurali vivevano allertate, nel rischio di
saccheggi e requisizioni, i rapporti con i russi furono spesso drammatici con
numerosi casi di opposizione violenta che sfiorarono a più riprese l’insurrezione.
Frattanto la nuova discesa in Italia di Napoleone nel 1800 attraverso il Gran San
Bernardo fece diventare la pianura veneta di nuovo un campo di battaglia percorsa
dai francesi galvanizzati dalla vittoria di Marengo e dagli imperiali in fuga. Nel
1805 si consumò nei pressi di Vicenza a Caldiero una cruenta battaglia con oltre
diecimila morti. Tali battaglie disseminarono disertori e intere pattuglie di
sbandati; in queste condizioni cresceva il numero dei delitti perpetrati spesso in
campagna con imboscate e assalti ai viaggiatori. Era sulla strada maestra che da
Mestre porta a Treviso che si registravano il maggior numero di assalti.
Fuggiaschi e vagabondi cercavano in ogni modo di raggiungere Venezia nella
speranza di ottenere un’occupazione diversa dal brigante di strada o perlomeno di
trovare un imbarco. Per arginare il fenomeno il governo aveva imposto ad osti e
locande la denuncia dei forestieri ospitati.
Tutti gli aspetti della vita pubblica furono un alternarsi di speranze e
fallimenti, di buone intenzioni e immobilismo. ”Il faut austriaciser Venise”
recitava in francese, nel 1803, l’ennesimo poligrafo: serviva scegliere e comporre
una classe politica cui affidare il governo dei territori. Verso il Veneto vi fu una
forte emigrazione di funzionari e impiegati lombardi voluta dagli austriaci i quali
si fidavano maggiormente di personale proveniente dalla Lombardia austriaca
suscitando a Venezia fastidio e malcelata sopportazione.
Lombardi e ”tedeschi” si fronteggiavano alla pari estromettendo i veneti da
ogni responsabilità tecnico-burocratica sia per imperizia e scarsa conoscenza dei
metodi in uso nell’Impero sia per la poca fiducia che si nutriva a Vienna nei loro
confronti. Nelle stanze del Palazzo, dunque, non si parlava veneto ma neppure in
11
tedesco. La corte viennese preferiva scrivere abitualmente in francese certa di
essere meglio compresa. Gli autoctoni erano quasi sempre esclusi da incarichi di
rilievo nella propria circoscrizione e relegati a fare gli uscieri o i serventi. La
logica viennese era impiegare nelle istituzioni veneziane nobili o persone di alto
livello sociale provenienti dalla terraferma e nella terraferma il patrizio veneziano:
gli uni sarebbero stati controllati dagli altri. Ciò comunque si rivelerà come una
ulteriore penalizzazione della terraferma.
Occorreva ripristinare la legalità e senza adeguati emolumenti si doveva
ricorrere ai patrizi per allestire le corti. E qui i giovani patrizi facevano adeguate
esperienze per prepararsi ai reggimenti di terraferma o della marina. Nelle
province venete non era radicata una tradizione di studi legali come in altri Stati e
da quando, all’inizio del Settecento, la Repubblica Veneta aveva imposto
l’obbligo della laurea in giurisprudenza per esercitare l’arte forense, il numero
degli avvocati era crollato. I progetti di riforma improntati dalla commissione
imperiale furono assai più onesti e cristallini dei tentativi destabilizzanti di
importanti esponenti dell’aristocrazia. Nel 1803 l’ordinamento giudiziario delle
province venete venne uniformato con quello dell’Impero.
Era urgente una nuova organizzazione territoriale e nell’Istruzione generale
del 1802 si elencavano gli interventi in tutte le province austrovenete soprattutto
in materia di giustizia criminale, irregolarità nella gestione dispendiosa delle
province e degli altri corpi pubblici a danno dell’erario e delle stesse popolazioni
rurali e in materia militare. Negli impiegati dello Stato vi era ”mancanza di
rettitudine, di cognizioni, di zelo e fors’anche avversione al felicissimo sistema
monarchico”10. Erano frequenti le usurpazioni dei beni comunali e le strade
pubbliche e postali erano in stato di abbandono e rese pericolose dalla presenza di
delinquenti e dall’alto numero di disertori francesi e austriaci.
L’intervento del governo e della corte viennese pose ordine nell’assetto
amministrativo della terraferma, sino ad allora assai trascurata dalle autorità
10
M. Gottardi, op. cit., pp. 11-295.
12
asburgiche. La mancanza di controlli e dove non arrivava il potere favorivano
l’elusione. Il contrabbando, da sempre presente nell’area veneta in questi anni
divenne una prassi dalla quale molte popolazioni traevano la loro sopravvivenza.
Questo suscitò incredulità nella classe dominante asburgica in quanto fenomeni
poco conosciuti nella Mitteleuropa. Allo stesso tempo, ed in senso opposto,
generava sorpresa anche in coloro che vedevano scoperte le loro malefatte in
quanto un tempo potevano contare sull’inefficienza dello stato veneziano.
Dal 1798, le province austrovenete iniziarono a prendere una nuova
fisionomia di governo. La commissione imperiale, successivamente trasferitasi a
Padova fu presieduta dal lombardo Giuseppe Pellegrini, che da tempo risiedeva a
Vienna come membro del Dipartimento d’Italia, nominato dall’imperatore
Leopoldo II. Pellegrini ripristinò nei pieni diritti i corpi territoriali e i consigli
cittadini, furono riconfermate le giurisdizioni feudali là dove sussistevano e le
giudicature civili di prima istanza a Padova, Verona, Vicenza, Treviso, Udine e
Rovigo.
Compì due atti importanti per l’amministrazione imperiale: chiese la
collaborazione dei vescovi che immediatamente risposero ricorrendo alle pastorali
e obbligò tutta la popolazione, dal patriziato veneziano al borgo rurale più
sperduto, al giuramento di fedeltà alla monarchia. La condizione del clero a fine
Settecento era di un generale stato di povertà aggravato dalla presenza massiccia
di secolari e religiosi fuggiti dalla Francia e dallo Stato Pontificio e ospitati in
conventi, parrocchie, locande o case private. La vita quotidiana era una lotta per la
sopravvivenza e lo stato di indigenza colpiva prima di tutto la dignità e il decoro
e, in seguito a questo, venivano accolti e accettati con rispetto misto a
commiserazione. A richiamarli nello stato veneto era spesso l’Università di
Padova ma anche quel clima di particolare libertà confessionale che aveva
contraddistinto la Repubblica di Venezia.
In ambito culturale nel 1798 il commissario imperiale su disposizioni di
Francesco II diede il via alla censura orientata sulla pubblicistica religiosa e
filosofica. Si volevano introdurre testi stranieri, diffondere i giornali, gazzette e
13
fogli volanti, proibiti erano i libri superstiziosi. Di ogni stampa pubblicata nelle
province austrovenete se ne depositavano tre copie: una nella biblioteca di S.
Marco, una all’Università di Padova e una nella biblioteca di Corte a Vienna. A
Padova, inoltre, venne riformata l’Università dal successore di Pellegrini,
Francesco Pesaro, con persecuzioni contro quei docenti fautori di istanze
democratiche. Serviva rimuovere ogni forma di ideologia illuminista ed era vivo il
timore persistente del diffondersi del giacobinismo. Ad ogni modo, l’istruzione
pubblica stava molto a cuore agli Asburgo, tanto che nel 1804 l’imperatore volle
introdurre in Veneto le scuole normali. La linea dell’imperatore fu di favorire la
formazione e la diffusione dell’istruzione elementare, specializzare le scuole
superiori in funzione dell’avviamento al lavoro e privilegiare la conoscenza delle
materie necessarie alla pubblica amministrazione: meglio sudditi efficienti che
cittadini illuminati. Le scuole reali dell’impero si trovavano in sole 5 città:
Vienna, Praga, Cracovia, Innsbruck e Padova. Erano scuole dedicate alle arti più
elevate, al commercio, agli affari di cambio, agli uffici economici dello Stato.
L’altro ramo sul quale si esercitava il controllo di censura era quello degli
spettacoli. Venezia continuava a mantenere un intenso calendario di spettacoli di
commedia e musicali con un pubblico tra i 500 e i 1000 spettatori a sera. I salotti
da semplice ritrovo mondano stavano diventando centri di scambi culturali, in
particolare letterari, assumendo quelle funzioni insieme formative ed informative
ora legittimati ora d’opposizione, che li avrebbero caratterizzati nel corso del
1800. La storia del patrimonio culturale e artistico veneto nell’Ottocento
ripercorre le tappe delle diverse dominazioni. Volta per volta, da Parigi a Vienna e
da Parigi a Milano, libri, documenti, manoscritti e quadri d’autore partirono,
furono oggetto di trattative per la restituzione, spesso tornarono. Gli scambi
imperfetti iniziarono nel 1802 per finire con le asportazioni del 1805. Gran parte
del materiale asportato in quegli anni non ritornò al suo posto che col 1866 o
addirittura dopo il 191811.
11
M. Gottardi, op. cit., pp. 11-295.
14
1.4. Età napoleonica
Imperatore dei francesi dal
maggio 1804 e re d’Italia dal marzo
1805, Napoleone (Fig. 7) con il
trattato di Presburgo del dicembre
dello stesso anno costrinse l’Austria
a cedergli Venezia e il Veneto che,
nei primi mesi del 1806, vennero Figura 7. J.L. David, Napoleone, 1801
formalmente incorporati nel Regno Italico12.
La venuta dei Francesi, da principio, fu vista da alcuni come una speranza.
Prestissimo, però, fu una grande delusione. La gente dei nostri paesi si trovò più
povera e sperimentò la confusione e l’insicurezza. Dilagarono fatti di malcostume
e rivolte e fu enorme la dilapidazione di beni patrimoniali, storici e artistici e la
soppressione dei Conventi. Con la soppressione degli ordini religiosi, Napoleone
consolida e fortifica (forse anche senza volerlo) l’istituto della parrocchia.
Anch’egli si servirà dell’opera del clero per fatti anagrafici e statistici. Tutti gli
sforzi di Napoleone furono di fatto volti al fine di ridurre il regno italico ad un
mercato riservato all’industria francese: Napoleone intendeva far soldi anche per
l’impresa di Russia13.
I territori veneti furono organizzati in sette Dipartimenti suddivisi in
distretti, i distretti in cantoni e i cantoni in comuni. Venezia fu capoluogo del
Dipartimento dell’Adriatico14. Nel Dipartimento del Brenta, distretto I di Padova
rientrarono i cantoni di Padova, Teolo, Piazzola (che contava nel 1810, 2825
abitanti) e Battaglia15. Da una parte si verificò il distacco dalle istituzioni, dalle
culture, dalle consuetudini che avevano funzionato per secoli, dall’altra parte si
12
G. Gullino, G. Ortalli, Venezia e le terre venete nel Regno Italico, cultura e riforme in età
napoleonica, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2005, pp. 4-349.
13
Atti del Convegno di Conegliano, op.cit., pp. 125-126.
14
G. Gullino, G. Ortalli, op. cit., pp. 4-349.
15
G. Netto, Province e Comuni nel Veneto dal 1813 al 1866, Vittorio Veneto, TIPSE, 1981, pp. 617.
15
avviò l’introduzione di nuove strutturazioni amministrative e sociali moderne che
andavano costruendosi in Europa.
Con gli austriaci prima e con i napoleonici dopo, uno dei settori che venne
radicalmente innovato fu quello della giustizia, una vera rivoluzione.
In Italia come in tutta l’Europa continentale, l’esperienza del dominio
napoleonico ha influenzato profondamente la storia successiva, fino alle
rivoluzioni del 1848 e oltre. L’appartenenza del Veneto al Regno Italico durò dal
gennaio 1806 al novembre 1813. In un così breve periodo, non poté formarsi una
nuova classe dirigente, per cui Napoleone e il principe di Venezia Eugenio
Beauharnais dovettero servirsi degli uomini disponibili a tal fine. Nel maggio del
1806 una delegazione veneta presieduta da Alvise Pisani, già ambasciatore in
Francia, partì alla volta della capitale francese per invitare Napoleone a visitare i
nuovi domini acquisiti con il trattato di Presburgo. Furono ben accolti con feste,
balli e mondanità varia. L’unico che ottenne qualcosa, ma sul piano privato, fu
Pisani che vendette a Napoleone la splendida villa di Stra dato che aveva un gran
bisogno di denaro. I benefici senza contropartita l’imperatore li riservava ai suoi
generali, marescialli e dignitari per premiare chi meglio lo serviva.
Anche i francesi, sostanzialmente, usavano la stessa tecnica dei predecessori
austriaci per quanto concerneva l’assegnazione del
personale di servizio nei Dipartimenti e cioè a
Venezia si servivano di personale emiliano o
lombardo, mentre i veneziani venivano assegnati
fuori dal Veneto. Se infatti Francesco II aveva
coniato il motto ”il faut austriaciser Venise”,
Napoleone si propose di ”franciser l’Italie”. Il 1°
aprile del 1806 venne introdotto il Code civil Figura 8. Codice civile dei francesi,
(Fig. 8) come strumento di trasformazione della
prima pagina, 1804
società, di svolta radicale. Questo causò un diffuso sfavore, a volte anche
sconcerto fino a un netto rifiuto nei confronti di norme innovative percepite come
estranee alla propria secolare tradizione giuridico-culturale ma anche contrastanti
16
con peculiari interessi di parte, come, ad esempio, il regime legale della
comunione dei beni fra coniugi e la pretesa uguaglianza tra figli e figlie.
In ambito militare, nel 1805 con l’annessione al Regno d’Italia il Veneto
venne investito da un processo di militarizzazione tipico dell’età napoleonica. Fu
introdotta la coscrizione obbligatoria ma per gli otto anni successivi di
dominazione francese non fu possibile formare una vera e propria classe militare,
nonostante ciò restò un’importante eredità militare.
In campo culturale venne riformata l’Università e vennero creati i licei.
Dall’organizzazione culturale dipendeva quella del consenso; Napoleone impresse
una struttura concentrata e verticistica al complesso dell’istruzione pubblica.
All’Università di Padova venne avviato un processo di svecchiamento con
l’istituzione di un rettore di nomina regia, venne divisa in facoltà, soppresse
alcune cattedre e attivate alcune altre tutte di ambito scientifico volte a formare
medici, ingegneri e architetti, data la ben nota diffidenza dell’imperatore verso gli
intellettuali da lui definiti idéologues. Il primato artistico-letterario venne lasciato
a Venezia con valenza soprattutto decorativa.
Per il patrimonio artistico, la dispersione e l’eventuale successivo recupero,
vengono
sempre
identificati
con
l’occupazione
napoleonica e con
l’applicazione delle
leggi di soppressione
di
corporazioni
religiose e istituzioni
civili,
dimenticando Figura 9. L. Querena, 1820-1887, Arrivo a Venezia di Napoleone
assai spesso che a partire dal 1768, quindi pochi decenni prima, un provvedimento
analogo era stato innescato per volontà del Senato veneziano e poi proseguito con
grande determinazione nell’intento di risanare le disastrose condizioni della
finanza pubblica. Nella conquista veneziana (Fig. 9) il generale vedeva profilarsi
17
una ulteriore fonte di finanziamento e l’acquisizione di capolavori per la creazione
di un grande museo francese16.
1.5. La seconda dominazione austriaca
Il 2 novembre del 1813 inizia l’occupazione austriaca del Veneto centrale e
il 7 aprile 1815, dai lavori del Congresso di Vienna, venne creato il Regno
Lombardo-Veneto con la riconquista delle Tre Venezie: 53 anni durerà la seconda
occupazione austriaca. Il regno era diviso nei due governi di Milano e Venezia,
separati tra loro dal corso del Mincio17. Nella provincia di Padova, facevano parte
i distretti di Padova, Mirano, Noale, Camposampiero, Piazzola, Teolo, Battaglia,
Montagnana, Este, Monselice, Conselve, Piove18. La sistemazione geografica
voluta da Bonaparte era durata lo spazio di un mattino.
Nel 1815 all’indomani del Congresso di Vienna che con l’Atto finale
riconosce la nuova organizzazione statale, i veneti salutano con gioia il ritorno
all’Austria dopo la dominazione francese. Riassunto il controllo del Veneto tra la
fine del 1813 e l’inizio del 1814, gli Austriaci non apportarono immediati
mutamenti nelle strutture amministrative. Ed, in effetti, in meno di vent’anni le
genti venete si erano sottoposte a due cambiamenti amministrativi. L’apparato
costruito dai Francesi rimase in sostanza in funzione. Né sarebbe stato possibile
diversamente, dato che cambiamenti rapidi e radicali avrebbero potuto arrecare
più danni che vantaggi non solo agli amministrati, ma anche agli amministratori.
Furono mantenuti i dipartimenti, le prefetture, le intendenze di finanza e gli uffici
tributari. L’unica novità fu la creazione di un governo centrale veneto con sede
prima a Padova, poi a Venezia19. A Venezia si tolgono gli stemmi che adornano
l’ala nuova del Palazzo Reale sostituendoli con l’aquila bicipite (Fig. 10) e in
16
17
G. Gullino, G. Ortalli, op. cit., pp. 4-349.
Atti del Convegno di Conegliano, op. cit., p. 44-53.
18
G. Netto, op. cit., p. 6.
19
Atti del Convegno di Conegliano, op. cit., p. 97.
18
provincia di Padova viene abbattuta l’aquila del
1811 eretta per celebrare la nascita del re di
Roma. Ben presto, però, il contegno intransigente
dell’Austria fece cadere l’entusiasmo veneto
mutandolo in odio profondo20.
Figura 10. Stemma del Regno
Lombardo-Veneto
1.5.1. L’amministrazione fiscale e giudiziaria
L’amministrazione asburgica era lenta e
complicata e ciò fece crollare ben presto il mito che su di essa avevano costruito i
Veneti. L’Austria era molto severa e concedeva pochissime libertà civili, ma ai
sudditi di qualsiasi nazionalità erano riconosciuti gli stessi diritti cui godevano i
sudditi austriaci: uso della propria lingua nei tribunali, negli uffici, nella scuola,
etc.. Non essere fedeli all’Austria era come non amare la propria madre.
Ai Francesi si detestava il fiscalismo e dagli Austriaci ci si aspettava una
politica fiscale più mite o comunque più equa. Il costo del funzionamento degli
uffici era piuttosto contenuto e ciò dipendeva dalla buona organizzazione
dell’apparato amministrativo. La classe impiegatizia e i funzionari erano ben
preparati, dotati di ottime qualità e di attaccamento al servizio considerato un
dovere ma anche espressione concreta di un ordine etico e giuridico. È su queste
qualità che si è venuto a creare il mito dell’Austria buona amministratrice. A
Vienna fu deciso, saggiamente, di tenere separata l’amministrazione della
Lombardia da quella del Veneto per non toccare la suscettibilità delle due
popolazioni che avrebbero mal tollerato di essere considerata l’una appendice
dell’altra con Milano o Venezia capitale del Regno. Questo era sentito soprattutto
a Venezia che con una storia gloriosa plurisecolare alle spalle aveva perso
l’indipendenza da pochi anni e forse in segreto coltivava sogni di riscatto o di
restaurazione.
20
A. Mariutti, Organismo ed azione delle società segrete del Veneto durante la seconda
dominazione austriaca in Miscellanea di storia veneta, Vol. III, Venezia, La R. Deputazione
Editrice, 1930, p. 4.
19
Vienna scelse l’accentramento sia per le decisioni generali e di politica
finanziaria e l’utilizzazione delle risorse che da tale politica derivavano, sia per la
scelta delle persone che dovevano far funzionare la macchina amministrativa; si
preoccupò che il Veneto venisse amministrato da veneti o comunque da elementi
che provenissero da territori contigui all’area veneta. Si deve tenere presente,
però, che le decisioni prese a Vienna erano dettate prima di tutto dagli interessi
generali dell’Impero e solo in parte dalla preoccupazione per il benessere dei
singoli territori: veniva concesso solo ciò che non poteva nuocere all’intero corpo
dello stato asburgico.
Sino al 1847 il contributo che i Veneti dettero all’erario imperiale fu di 18
milioni di fiorini convenzionali lordi, rimanendo costante per 34 anni e ciò dà il
senso di una certa stabilità del sistema. Il capitolo delle imposte dirette era
costituito da tre voci: l’imposta prediale cioè su
terreni
(terratico)
e
fabbricati
(casatico),
l’imposta sulle arti e sul commercio, l’imposta
personale consistente in alcuni tipi di dazio di
consumo: questa tassa fu particolarmente odiosa
e molti veneti ne auspicavano l’abolizione. Fu
sempre
Figura 11. Gendarmi austriaci
nel Lombardo-Veneto, 1832
di
difficile
riscossione
e
incise
negativamente nei rapporti fra amministrazione e
sudditi, in quanto, colpendo tutti, ricchi e poveri
allo stesso modo, determinò un profondo malcontento, anche perché i metodi di
esazione delle imposte tutte non erano particolarmente morbidi.
Il gettito della prediale copriva in media l’87% dell’intero ammontare delle
imposte dirette si trattava, quindi, della voce più importante nel bilancio dello
Stato. La riscossione di questa tassa avvenne sempre con grande durezza e per
ottenerne il pagamento si ricorse in qualche caso anche alle forze armate (Fig. 11);
lo Stato non intendeva rinunciare alle somme che aveva stabilito di introitare.
Inoltre, dava l’impressione alle masse che l’Austria fosse portatrice di giustizia
per la pressione fiscale esercitata sulla possidenza, quindi sui ricchi. Condizione
20
necessaria per porre in atto una giusta politica fiscale riguardante la proprietà era la
compilazione di un catasto moderno e in Veneto ancora non ne esisteva uno
definitivo, ma data la necessità di ricavare comunque un gettito dalla proprietà
fondiaria si procedette sulla base dei vecchi estimi del 1805 effettuati dalla
precedente amministrazione austriaca. Durante il Regno napoleonico le operazioni
di correzione degli estimi erano state portate avanti e si era dato inizio al
censimento.
Questa e altre tasse gravavano sulla classe dei possidenti cioè nobiltà e
grossa borghesia e questo provocava grande malcontento. Ciò spiega in parte il
fenomeno quarantottesco, in quanto ad esso hanno aderito (e in alcuni casi
promosso) alcune fasce della possidenza, formandosi, così, uno spirito
d’indipendenza e propaganda patriottica. Il biennio 1848-49 rappresenta una
spaccatura nella politica amministrativa asburgica, non solo per il Veneto ma in
generale per tutti i territori dell’Impero. A metà ’800 il processo di accentramento
e l’imposizione fiscale dell’amministrazione finanziaria si fecero più marcati
concentrando direttamente alle dipendenze del Ministero delle Finanze di Vienna
anche il catasto e le imposte dirette, un centralismo, quindi, che costituiva
contemporaneamente la forza e la debolezza dell’Impero.
La politica fiscale asburgica nel Veneto si fece tanto più pesante quanto più
difficile diventava la situazione generale dell’Impero e l’accentramento
amministrativo facilitò lo sviluppo dello spirito avverso al dominio straniero,
portando alla catastrofe la politica governativa di Vienna.
Il Veneto si colloca come una delle zone più pesantemente colpite sul piano
fiscale, soprattutto per quanto riguarda la prediale, ma anche come una delle
regioni meglio amministrate, nella quale il rapporto fra il cittadino e il potere è
meno teso di quello presente in altri territori.
Da un confronto con la precedente amministrazione napoleonica, risulta che
questa fosse più moderna e ispirata a presupposti tendenti a modificare
profondamente la società, anche se la pressione fiscale non aveva nulla da
invidiare a quella asburgica.
21
L’Impero governato da Metternich (Fig. 12),
imponeva l’osservanza della sua legislazione al
Regno Lombardo-Veneto a partire dal 1° gennaio
1816 introducendovi il Codice civile generale. Dal
1815 la supremazia austriaca in Italia sul terreno
del diritto condizionarono la vita giuridica di molte
regioni della penisola, costituendo un preciso punto
di riferimento sulla codificazione iniziata sin dal
Figura 12. T. Lawrence (1769-1830),,
Klemens von Metternich, 1830
1753 da una Commissione di giuristi incaricata da
Maria Teresa.
1.5.2. La pubblica istruzione con il coinvolgimento del clero
Nell’istruzione pubblica il governo della Serenissima aveva tenuto in vita
l’Università di Padova dopo la conquista del 1404 e aveva curato in parte gli studi
ginnasiali, ma aveva completamente trascurato l’istruzione popolare. Nel 1797
esistevano poche scuole popolari e soltanto a Venezia. Il resto della popolazione
viveva quasi tutta nell’analfabetismo sulla quale dominava la classe borghese e
quella dei possidenti che provvedevano per proprio conto all’istruzione dei propri
figli in scuole private o con maestri stipendiati. Il governo franco-napoleonico,
che aveva proclamato antidemocratica l’ignoranza provvide all’eliminazione
dell’analfabetismo con una legge del 1802 che affidava ai Comuni l’istituzione e
il mantenimento delle scuole popolari. In pratica, però, non si fece nulla o quasi
per la povertà dei bilanci comunali sui quali gravavano enormi prelievi finanziari
destinati a far fronte alle immense spese di carattere militare. Migliore sorte
ebbero, sotto la dominazione francese, le scuole ginnasiali pubbliche e private
destinate all’istruzione della borghesia che proprio in quegli anni viveva il suo
massimo sviluppo.
Al momento del passaggio dalla dominazione francese a quella austriaca
funzionavano nel Veneto quattro licei di cui uno a Padova. Il liceo napoleonico
aveva carattere prevalentemente professionale adatto anche a coloro che
22
desiderassero avere un impiego e non proseguire gli studi all’Università.
Il 22 novembre 1818 nasce la scuola elementare per tutti, obbligatoria,
gratuita e graduale con anche scuole per ragazze. Poiché non esisteva ancora
l’organico dei maestri saranno i preti, per intanto, ad insegnare. Fu di gran lunga
la migliore degli Stati italiani di allora. Qui l’analfabetismo è del 42% contro la
media nazionale del 68%. L’Austria mirava ad avere parroci bravi ed efficienti,
impegnati come seri custodi dei valori. Con i moti del 1848, i migliori sacerdoti
del Seminario e semplici parroci si trovarono in prima linea per ”liberarsi dallo
straniero e avere una propria Patria”21, in realtà più per uno Stato veneto con
Venezia che per l’Italia.
In ambito religioso il clero subiva una forte sorveglianza e tutti i vescovi, di
nomina imperiale, facevano capo rispettivamente all’Arcivescovo di Milano e al
Patriarca di Venezia che appartenevano alla Corte di Vienna. Tale situazione era
comune a tutti gli Stati asburgici in conseguenza del cosiddetto giuseppinismo.
Si pone in evidenza che le misure attuate dagli austriaci per regolare la vita
dei sudditi dell’Impero erano le stesse in tutti i Paesi soggetti direttamente o
indirettamente a Vienna.
Nel 1814 il capo del governo provvisorio per le province venete, istituì a
Padova una Commissione ispettiva per redigere un rapporto sulla situazione
dell’istruzione
popolare.
Fu
incaricato
anche
il
Rettore
Franceschinis
dell’Università di Padova per una relazione sulla situazione degli studi medi.
I primi provvedimenti presi da Vienna interessarono dapprima le Scuole
private che avrebbero potuto sussistere allineandosi, però, ai metodi ed ai
programmi delle scuole pubbliche. Questo aspetto liberale ebbe i suoi riflessi nel
rigoroso rispetto delle lingue e delle tradizioni popolari di tutta la popolazione
dell’Impero asburgico e in forza di tale principio Vienna intervenne
frequentemente con sussidi di ordine finanziario per incoraggiare iniziative locali.
21
Atti del Convegno di Conegliano, op. cit., pp. 98-280. Su questo argomento confrontare anche
A. Lazzaretto Zanolo Clero veneto e clero lombardo nella rivoluzione del 1848, Vicenza, La
Serenissima, 2000.
23
Per quanto riguarda le Università, il governo di Vienna, soltanto per le
Università di Pavia e Padova istituì rispettivamente tre e quattro facoltà:
filosofico-matematica, medico-chirurgico-farmaceutica, politico-giuridica e, solo
per Padova, la facoltà teologica già soppressa da Napoleone. Il rettore e i presidi
di facoltà erano eletti annualmente e curavano anche il rispetto del calendario da
parte dei professori, per porre fine al lassismo in pratica durante la dominazione
francese, quando le assenze e i ritardi erano consuetudine22.
Il regolamento del 1818 segna il coronamento dell’opera di organizzazione
degli studi del governo imperiale e un salto qualitativo rispetto alla precedente
legislazione scolastica non solo nel Lombardo-Veneto ma anche nel resto d’Italia.
Le scuole erano distribuite capillarmente e la frequenza era obbligatoria per i
maschi e per le femmine dai 6 ai 12 anni. Nel regolamento si stabiliva che i
maestri avevano anche il compito di insinuare agli scolari la gratitudine verso i
parenti e l’amore verso l’arte secondo le proprie inclinazioni. Ma anche l’amore
verso l’imperatore e la patria, l’obbedienza alle leggi, il rispetto ai magistrati e la
riconoscenza a chi loro procurava una istruzione gratuita e cercava di nobilitare il
loro animo.
Gli imperatori austriaci (Fig. 13)
fecero frequenti viaggi ufficiali nel
Lombardo-Veneto anche per visitare
le
istituzioni
scolastiche
incoraggiando le autorità sul posto a
Figura 13. Gli imperatori austriaci Francesco
Giuseppe ed Elisabetta ”Sissi”
curarle e elargendo aiuti e sussidi
anche finanziari. A Padova rimase
celebre la visita di Francesco Giuseppe e l’imperatrice Elisabetta ”Sissi” nel
gennaio del 1857 al ginnasio ”Santo Stefano” e, da parte dell’imperatrice, alle
scuole femminili.
Purtroppo, però, la mancanza di maestri, la miseria dei bilanci comunali, la
22
Cfr. anche G. Berti, L’Università di Padova dal 1814 al 1850, Centro per la storia
dell’Universitàdi di Padova, Antilia, Treviso, 2011.
24
difficile reperibilità dei locali, la negligenza di qualche amministratore e la
indisponibilità delle famiglie che preferivano occupare i bambini nei lavori
domestici, nelle campagne o nella
pastorizia (Fig. 14) ma anche
l’opposizione tenace di molti
nobili e l’incuria di molti parroci
crearono tali ostacoli che nessun
governo
sarebbe
riuscito
a
superare, neppure ricorrendo ai
più duri mezzi coercitivi. Il regolamento Figura 14. O. Recchione, vita campestre
di fine Ottocento
del
1818,
quindi,
appariva
spesso
inefficace o applicato solo parzialmente. Ma nonostante tutte queste difficoltà,
l’amministrazione austriaca ottenne risultati soddisfacenti, soprattutto per quanto
riguarda l’aver aperto l’insegnamento primario anche alle fanciulle, che
precedentemente all’arrivo degli austriaci era riservato alle famiglie nobili e
affidata a religiosi, facendo così maturare una nuova coscienza nei confronti della
donna avviando il lento processo di integrazione nella società di quel tempo.
Il Veneto era, ed è rimasto tale quasi
fino al secondo conflitto mondiale, una
regione
a
carattere
prevalentemente
agricolo, dominata dalla piccola e media
proprietà, con le terre più fertili della
pianura nelle mani della nobiltà e del clero
coltivate a mezzadria. La mentalità dei
contadini, mezzadri e piccoli proprietari,
che costituivano la maggioranza della
popolazione era chiusa e utilitaristica; la
Figura 15. F. Ghittom, Studio e lavoro,
loro coscienza era refrattaria ai problemi 1880
dell’istruzione (Fig. 15). Il regolamento
imperiale prevedeva delle multe per chi non mandava i propri figli a scuola, ma
25
spesso rimanevano sulla carta, anche perché il governo austriaco preferiva che il
popolo si avvicinasse spontaneamente all’istruzione. Ma a contribuire alla
riluttanza delle famiglie era l’inadempienza delle amministrazioni comunali che in
un certo qual modo la legittimava. Nel Veneto era radicato il pregiudizio che i
figli della povera gente non avessero bisogno di andare a scuola in quanto per
zappare la terra e fare altri lavori manuali bastava seguire la tradizione familiare.
In realtà la miseria dei bilanci comunali era quasi sempre un pretesto
mascherato dal pregiudizio. I possidenti borghesi o nobili erano gli unici a pagare
le imposte e non volevano autotassarsi per procurare l’istruzione, ritenuta inutile e
persino dannosa a chi non ne aveva bisogno. Preferivano spendere somme molto
maggiori per procurare ai propri figli una istruzione domestica o in scuole private.
Per quanto riguarda la tipologia degli studi, le scuole tecniche nel
Lombardo-Veneto ebbero uno sviluppo modestissimo. Era convinzione generale
del patriziato e della borghesia in generale in tutta la penisola che i figli delle
famiglie ”per bene” dovessero avviarsi esclusivamente agli studi classici. Tale
convinzione condizionò la scelta delle scuole in Italia quasi fino ai tempi nostri.
Interessante fu l’osservazione dell’ambasciatore austriaco Hügel a Firenze nel
1849 per quanto riguarda tale scelta degli studi, il quale disse che i giovani di
entrambi i sessi o erano analfabeti nella totalità o erano filosofi e letterati.
Con il passaggio dalla dominazione austriaca a quella italiana, specialmente
nel Veneto, subirono una restrizione anche le poche scuole serali e festive che
erano sorte qua e là nei decenni precedenti, per iniziativa locale, in favore di
apprendisti ai mestieri più diffusi, specialmente in agricoltura e la percentuale di
analfabetismo andò aumentando.
Fra le amministrazioni locali più restie a dare attuazione integrale al
regolamento del 1818 sia per grettezza economica che per altre ragioni, non
sempre in buona fede, si distinsero anche quelle padovane.
Molto diversa era la condizione dei maestri elementari negli altri Paesi
dell’Impero d’Austria e specialmente nella Prussia, dove alle espressioni di
ammirazione e compiacimento del valoroso esercito, veniva dato il merito ai
26
maestri elementari per la preparazione del buono e valoroso soldato23.
1.5.3. La censura
Anche nella seconda dominazione austriaca, molto pervasiva era la censura
operata dal governo di Vienna24. Il Direttore generale di Polizia Sedlnitzky dava
le istruzioni per operare sulla sorveglianza della posta (corrispondenze private e
spedizioni), revisione retroattiva dei libri esistenti in commercio formando un
indice dei libri proibiti non reso pubblico. Si intendeva salvaguardare la religione,
favorendo l’ingerenza ecclesiastica negli affari di stampa, lo Stato e i buoni
costumi; combattere la faciloneria, il cattivo gusto, le superstizioni e i
maltrattamenti della lingua.
Con la morte di Francesco I nel 1835 dopo 43 anni di regno e la successione
di Ferdinando I, nessun cambiamento viene apportato alla politica degli Asburgo
sempre sotto la guida del cancelliere Metternich. Il regime austriaco nel
Lombardo-Veneto si era consolidato ma con gli effetti negativi del frazionamento
territoriale che ostacolava i commerci, gli effetti disastrosi del ritorno dell’antica
legislazione, la censura statale poliziesca e i privilegi di classe.
Venezia decade sempre più, mentre Milano è la capitale del Regno e Trieste
prospera essendo divenuta porto principale dell’Impero.
A Venezia, malgrado ciò, la vita quotidiana si svolge operosa, silenziosa e
pacifica forse a causa di una ”stanchezza storica”. Nella situazione di allora
sarebbe stato troppo avventuroso e pericoloso ribellarsi alle forze armate presenti
anche con i cannoni. Durante le feste il popolo veneto cantava devotamente e
lealmente anche l’Inno Imperiale (composto da Haydn). Questi omaggi alquanto
servili erano segni di gratitudine per i servigi reali. L’aristocrazia cittadina e
terriera è leale all’Austria al contrario della nobiltà lombarda.
Nel settore della cultura vi è la tendenza a tenere il passo con la vita
23
Atti del Convegno di Conegliano, op. cit., pp. 98-280.
24
Cfr. G. Berti, Censura e circolazione delle idee nel Veneto della Restaurazione, Venezia,
Deputazione, 1989, pp.1-8; P. Preto, Censura e cultura nel Veneto austriaco, in Il Veneto
austriaco 1814-1866, Treviso, Fondazione Cassamarca, 2000, pp.177-209.
27
intellettuale ed artistica d’Europa. Sin dal primo momento l’Austria aveva cercato
di dare al Veneto un certo sviluppo nel settore artistico che si verifica soltanto
nelle scuole d’arte a causa della pesante situazione economica che non aiuta la
vita degli artisti; l’acquisto delle opere d’arte è quasi nullo. Il dominio francese
aveva provocato lo scadimento di Venezia a città provinciale, ma aveva lasciato
agli austriaci le scuole, i musei, le accademie che vengono conservati
sostanzialmente nelle forme e strutture napoleoniche.
Il Veneto rispetto alla Lombardia viene considerato dal governo austriaco
più naturalmente legato ed integrato nel sistema geografico ed economico e ciò
contribuisce anche a rinsaldare il legame politico25.
25
Atti del Convegno di Conegliano, op. cit., pp. 98-280.
28
CAPITOLO 2
ASPETTI SOCIO-CULTURALI DEL VENETO
OTTOCENTESCO
E PRIMA INDUSTRIALIZZAZIONE DI PIAZZOLA SUL
BRENTA CON L’AVVENTO DEI CAMERINI
2.1. Lo sviluppo culturale
Dopo la caduta della Repubblica di Venezia, il passaggio di Napoleone, la
dominazione asburgica e infine l’annessione al Regno d’Italia la condizione delle
masse contadine, nel Veneto, era assai misera e l’intera regione si trovava al
livello più basso economicamente fra le zone del vastissimo comprensorio
mediterraneo essenzialmente agricolo. Il paesaggio veneto alla fine dell’’800 era
punteggiato da ville lungo le rive dei fiumi, dalle colline alle Prealpi con
tutt’attorno una popolazione contadina condensata in borgate, casolari sparsi e in
corti nella bassa: è lo specchio dell’ambiente socio-culturale.
La modernità e il genio di teorie ed esperienze nuove in economia e in
politica provenivano dai ceti ebrei e dalla borghesia di periferia che convivevano
accanto alle élites aristocratiche della migliore tradizione veneziana di spirito
conservatore e gelose dei diritti e privilegi, circondate da una popolazione
cenciosa, affamata, pellagrosa e analfabeta. Ai confini del Veneto si spengono le
grandi agitazioni sociali e i movimento anarchici non riescono a tramutare la
staticità della situazione in uno stato di potenziale rivoluzione. È nell’Ateneo
patavino che gli intellettuali andarono ad incrementare la folta schiera dei
protagonisti del pensiero e delle battaglie risorgimentali.
Con l’indipendenza dallo straniero, nel Veneto entra il soffio innovatore
delle riforme amministrative; si moltiplicano club, giornali e partiti. Debolmente
prende avvio una coscienza civica, si creano scuole, comizi agrari, cattedre
29
ambulanti. Questi fenomeni, però, non andranno oltre i confini dei capoluoghi
cittadini e delle grosse borgate di campagna.
Le classi dirigenti erano tese a difendere i privilegi acquisiti ed erano
insensibili a promuovere ammodernamenti,
rispecchiavano, pertanto, le
condizioni di sottosviluppo della regione. Avevano buon gioco su una
popolazione con basso livello di alfabetizzazione sottomessa da secoli alla servitù.
Erano dentro nella maggior parte delle amministrazioni provinciali e comunali e
vivevano consociate fra di loro in clientele e caste chiuse, quindi con una
mentalità di tipo feudale, sorde e disattente alle istanze sociali, inerti di fronte a
qualsiasi mutamento politico-amministrativo. In questa dirigenza sono quasi del
tutto assenti gli imprenditori dell’industria e del commercio, le società operaie, i
partiti e gli organi di stampa26.
Nel XIX secolo la cultura veneta era piuttosto conformista che incline
all’innovazione. Il confronto con la vicina Lombardia appariva schiacciante ma in
ambito nazionale l’aspetto culturale del Veneto godeva, invece, di una buona
posizione. Con l’avvento del Romanticismo, nel periodo iniziale sono tardivi e
sporadici gli apporti alla cultura romantica e nella seconda fase, a metà Ottocento,
molti scrittori veneti saranno, invece, in primo piano, fra i quali, il più importante
del tempo, fu Ippolito Nievo
(1831-’61) che si pose come
narratore fra Manzoni e Verga.
Nel 1848 l’Italia è un
epicentro della grande ondata
rivoluzionaria
cosiddetta
”primavera dei popoli”. Nei
Figura 16. Padova, 8 febbraio 1848
teatri, luogo pubblico principale della vita
sociale, ogni occasione era un pretesto per inscenare forti manifestazioni
patriottiche. Il moto dell’8 febbraio a Padova (Fig. 16) fu il prologo della
26
A. Gambasin, Parroci e contadini nel Veneto alla fine dell’Ottocento, Roma, Edizioni di Storia
e Letteratura, 1973, pp. 4-7.
30
rivoluzione nel Lombardo-Veneto. Esso si distinse per l’emergere di una prima
organizzazione con una partecipazione di massa composta da studenti e popolani
con una volontà di sfidare in modo risoluto e radicale i poteri dello Stato27.
Nel
1883-’97
si
ebbe
un’emigrazione di massa verso i
Paesi d’Europa e d’America (Fig.
17). Le ragioni non furono per
motivi di ordine ideologico o
politico, ma per la struttura
coloniale
e
feudale
dell’agricoltura in virtù della quale le Figura 17. Emigranti a Ellis Island, 1902
conseguenze delle crisi politiche o
economiche provocarono nuove
forme di pressione fiscale. Le
emigrazioni
di
transoceaniche
europee
(Fig.
spezzarono
massa
18)
ed
abitudini
ancestrali e scompaginarono tutto
il sistema sociale. Questo fu il
fenomeno
più
profondo
che Figura 18. Il ponte di una nave ai primi del
scosse il Veneto lungo tutta la sua
Novecento. Gli emigranti salivano per sfuggire
all'aria irrespirabile delle camerate comuni
storia, lasciando intravedere un malessere sociale generale; negli anni neri
dell’economia diverrà uno dei più forti mercati di esportazione di braccia umane,
uno dei più vasti campi di deportazione di schiavi mediante l’iniquo inganno degli
ingaggi e di tratta delle bianche destinate al servizio domestico in tutti i Paesi
d’Europa.
La popolazione veneta decimata dalla malaria, dal vaiolo, dalla pellagra,
27
C. Fumian, A. Ventura, Storia del Veneto 4. Dal 1650 al 1900, Roma-Bari, Editori Laterza,
2000, pp. 87-115.
31
viene quindi colpita da questa nuova ”febbre” che proviene dallo spirito di
indipendenza e dal miraggio di arricchire; per gente indebitata, sul lastrico,
condannata allo sfratto, alla ipoteca, l’emigrazione appare una liberazione.
Nel Veneto non c’è stata un’industrializzazione tale da provocare
l’urbanizzazione e la trasformazione in senso capitalistico della regione. Un
fenomeno nuovo appare il ”centro urbano” come realtà sociale e religiosa, si
forma nelle città di provincia cariche di tradizioni, luoghi di mercato e di affari
come Vicenza, Treviso, Rovigo, Padova.
2.1.1. Il mondo contadino
Verso la fine dell’’800 il contadino ha il culto della tradizione, riconosce un
carattere sapienziale all’esperienza dei vecchi. La tradizione è sacra, intangibile,
degna di rispetto; è la filosofia e il codice della vita familiare e sociale.
L’ideologia sapienziale del contadino si attua nella famiglia patriarcale, dove il
padre
è
perlopiù
il
rispettato signore, che
comanda,
dirige,
dispone di tutto, dopo
aver udito il consiglio
dei fratelli se ne ha o dei
figli maggiori (Fig. 19).
Fuori della famiglia, il
contadino
diffida
Figura 19. Famiglia contadina di Schio, seconda metà
delle dell''800, Biblioteca comunale
pubbliche istituzioni che
gli impongono obblighi spesso ingiustificati e non gli garantiscono scuole, lavoro
e assistenza sanitaria e che incombono su di lui con leggi favorevoli ai potenti,
agli usurai e a tutte le categorie che lo condannano all’ipoteca, al pignoramento e
alla fame. Le pubbliche istituzioni significano ceti borghesi, tributi, servizio
militare, codice penale che consolidano e impongono un sistema di
disuguaglianze da cui non c’è via di scampo.
32
Il contadino fa parte
del mondo della natura
con le sue forze benevole
e avverse, ne conosce i
cicli ma non sa spiegarne
le leggi. Il suo giaciglio è
la nuda terra, la stalla o il
fienile (Fig. 20), si sente
indifeso davanti all’incognito e
Figura 20. Tugurio contadino, Italia centrale, 1890
all’imprevisto. Vede la morte come liberatrice dai tiranni: si piega impaurito alle
forze della natura, ma si ribella, dentro si sé, alla prepotenza dei ricchi. In questo
contesto psicologico si innesta la sua religiosità che guarda all’aldilà come a un
mondo di pari e di giustizia, mentre nella realtà la ritiene liberatrice da ogni male.
Ricorre al sacerdote persuaso che egli sia dotato di potere taumaturgico: il
sacerdote personifica il divino e rappresenta il gruppo sociale. Documento della
miseria disperante, più che una traccia di religiosità, sono le immagini dei santi
che si trovano appese alle pareti delle stalle, ad una pianta, negli angoli delle case,
nei crocicchi delle strade.
Tra Padova e Bassano la socialità della religione acquista credito nei
contadini dove non esiste il latifondo, la palude e i grandi affittuari. In queste terre
i padroni sono paternalisti per filantropia o per convinzione cristiana. L’assenza
dei giovani alle cerimonie devozionali non è indice di crisi religiosa ma una
conseguenza della struttura economica che, come altrove nel Veneto, costringe
uomini e giovani ai lavori nei campi e all’emigrazione.
Schio e Valdagno, nel Veneto, sono gli unici esempi nei quali il ”centro
urbano” coincide con una zona industrializzata; è fortemente presente un
sentimento socialista dovuto anche alla presenza di club, partiti e sindacati e i
parroci locali annotano che la fabbrica cambia costume e mentalità anche nelle
giovani donne con fenomeni di adulterio, concubinato e separazioni coniugali in
seguito all’uscita dall’ambiente familiare delle donne per l’impiego come
33
domestiche nelle case dei ricchi benestanti.
Fino alla fine dell’’800 né gli avvicendamenti politici, né l’emigrazione
riuscirono a mutare sostanzialmente la struttura e a indebolire la forza di
attrazione che ebbero le parrocchie28.
2.2. Lo sviluppo industriale
Nel contesto politico nazionale ed europeo, da pochi anni (1848) gran parte
dell’Europa continentale stava attraversando una crisi rivoluzionaria per richiesta
di libertà politiche e democrazia e l’Italia spingeva verso l’emancipazione
nazionale. Massiccia fu la partecipazione dei ceti popolari urbani con presenza di
obiettivi sociali accanto a quelli politici.
Cresceva il ceto borghese attraversato da notevoli differenziazioni interne e
tuttavia portatore di uno stile di vita e di un insieme di valori, tra questi la fede nel
progresso generale dell’umanità che poggiava sull’imponente sviluppo economico
e scientifico della seconda metà dell’’800.
Sul piano culturale, il progresso scientifico
diede origine a un nuova corrente filosofica,
il positivismo, che diventò l’ideologia della
borghesia in ascesa e influenzò tutta la
mentalità dell’epoca (erano i tempi di
Darwin e della sua teoria dell’evoluzione e
della selezione naturale).
Nel
contesto
generale, negli anni ’50 e ’60 dell’Ottocento
vi fu un boom industriale: la seconda Figura 21. T.A. Edison inventa la prima
rivoluzione industriale, con la rimozione dei
lampadina a incadescenza, 1879
vincoli giuridici che ostacolavano le attività economiche, l’affermazione del libero
scambio, la disponibilità delle materie prime con una stretta integrazione fra
28
A. Gambasin, op. cit., pp. 8-174.
34
scienza e tecnologia e fra tecnologia e attività produttive che si concentrò nelle
industrie giovani: chimica, elettrica (Fig. 21), dell’acciaio. Diminuirono i tassi di
interesse, con l’espansione del credito a favore degli impieghi industriali e lo
sviluppo di nuovi mezzi di trasporto (navi a vapore, ferrovie) e di comunicazione
(telegrafo). Caratteristiche salienti della seconda rivoluzione industriale furono
l’invenzione del motore a scoppio, la produzione di energia elettrica e la
trasformazione scientifica della medicina che contribuì a ridurre la mortalità,
grazie a quattro fattori: prevenzione e contenimento delle malattie epidemiche
attraverso
la
diffusione
delle
pratiche
igieniste,
identificazione
dei
microorganismi, progressi della farmacologia, nuova ingegneria ospedaliera.
Iniziava in questo periodo in Europa un intenso movimento migratorio verso le
aree industriali e verso i Paesi d’oltreoceano soprattutto verso l’America del Nord.
Si diffondeva la figura dell’operaio di fabbrica, le cui dure condizioni di vita e di
lavoro favorirono il formarsi di una coscienza di classe e delle prime associazioni
operaie, capofila la Gran Bretagna.
Alla metà del secolo in tutta l’Europa continentale erano i lavoratori della
terra a costituire la grande maggioranza della popolazione attiva. Diversi furono
gli effetti della privatizzazione delle terre: in alcune regioni la scomparsa del
regime feudale lasciò il posto alla piccola e media proprietà, in altre andò invece a
vantaggio dei grandi latifondisti. Ovunque, comunque, i lavoratori agricoli
occupavano i gradini inferiori della scala sociale.
Erano gli anni dell’affermazione in Germania di Bismarck, dell’ideologia
della forza, della politica di potenza. In seguito mutò anche la congiuntura
economica che indusse quasi tutti gli Stati europei a ripudiare la politica del libero
scambio e ad accentuare le misure protezionistiche, quindi non più regime di
libera concorrenza. Fu un importante periodo storico anche per la Gran Bretagna:
con il lungo regno della regina Vittoria che portò al Paese notevole prosperità
economica con una politica imperialistica volta anche ad aperture sociali la più
35
importante delle quali fu l’allargamento del suffragio29.
2.2.1. I primi villaggi operai sul modello delle company town
Fu l’area anglosassone
che per quantità e precocità di
dibattito e di soluzioni offerte
influenzò l’Italia ma anche la
Germania e la Francia. Si può
dire che la fase embrionale del
primo villaggio operaio si ebbe
nel 1784 in Scozia a New
Figura 22. Villaggio operaio a New Lanark
Lanark (Fig. 22) con cotonifici e
prime case per gli operai. Successivamente, sempre in Scozia nel 1800, un
consorzio guidato da Robert Owen dimostrò che il lavoro in fabbrica poteva
coesistere con la dignità umana: prima forma di socialismo utopistico. In seguito
anche in Belgio, nel 1818, George Legrand costruì presso Mons le prime case
economiche a uso dei suoi operai, fino alla forma più compiuta nel 1844 di James
Smith con il villaggio operaio di Stirling in Scozia.
La fondazione e lo sviluppo del villaggio operaio come luogo residenziale
dei dipendenti delle grandi industrie extra-urbane e, in più casi, dello stesso
proprietario della fabbrica, è fenomeno tipico del XIX secolo e riguarda sia i temi
dell’edilizia popolare,
sia quelli dell’archeologia industriale.
Istituzione
imprenditoriale che esprime, nei casi principali, dichiarate intenzioni socioumanitarie, il villaggio operaio costituiva una comunità a sé, autosufficiente,
regolata da sue norme interne e ispirata a criteri rigidamente moralistici. Esso
partecipa così oltre che alla storia dello sviluppo industriale anche a quella delle
teorie sociali ottocentesche, prestandosi a rappresentare emblematicamente uno
dei più caratteristici luoghi d’incontro, frutto del compromesso tra interessi del
29
G. Sabbatucci, V. Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, Roma-Bari, Editori
Laterza, 2011, pp. 17-116.
36
capitalismo industriale e tensione
utopistica verso comunità ideali.
Sono numerosi i villaggi operai
fondati in Italia durante la seconda
metà
dell’Ottocento;
tra
questi
spiccano, tutti legati a industrie tessili, Figura 23. C. Matscheg, 1864, Villaggio
Rossi di Schio (VI), litografia
il villaggio Rossi di Schio (Fig. 23),
quello Leumann di Collegno e il Crespi
di Capriate d’Adda (Fig. 24), il più
importante
con
una
fisionomia
urbanistico-architettonica
ancora
intatta30.
Figura 24. Villaggio Crespi, Capriate
d'Adda (BG)
2.2.2. Piazzola sul Brenta: inizio dell’epoca cameriniana
Piazzola condivide la misera sonnolenza delle campagne venete durante gli
anni della grande crisi agraria. Le condizioni delle classi rurali e dell’agricoltura a
Piazzola sono ”dissestate” come in qualunque altra parte della provincia
padovana. Unici tratti distintivi a ricordarci che Piazzola era un borgo di qualche
rilievo per ragioni geografiche era la presenza di spacci all’ingrosso di sale e
tabacco con una delle più alte densità di bettole e osterie della provincia. Il
primato negativo della sterilità dei terreni rimase fino all’avvento dei Camerini.
Fino agli anni ottanta dell’Ottocento non vi fu mai una sola personalità fornita di
doti imprenditoriali o di conoscenze tecniche in campo agrario. La Piazzola
ottocentesca era un grappolo di case serrate attorno ad un’immensa e ormai
cadente villa.
Scorreva il fiume del secolo nuovo che voleva libero mercato della terra e
spazio alle iniziative individuali. L’Ottocento piazzolese segna il timido avvio di
una serie di eventi destinati a cambiare radicalmente la sua tradizionale immagine
30
Villaggi operai in Italia. La Val Padana e Crespi d’Adda, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1981,
introduzione e pp. 75, 85.
37
di ”natío borgo selvaggio” tentando di modellarsi a borgo manifatturiero modello,
tra risaie, boschi, ghiaie e sabbie, tra i cento canali sottratti ad un fiume a stento
governabile, in una comunità scossa dall’andirivieni di nuovi ”Signori”, dai timidi
risvolti delle vicende risorgimentali, dall’irrompere della famiglia Camerini, una
nuova tappa nella vicenda storica di Piazzola destinata a durare quasi un secolo: il
secolo dei Camerini.
La storia della famiglia Camerini a Piazzola sul
Brenta iniziò con la leggendaria vita del capostipite
Silvestro (Fig. 25) nato a Castel Bolognese in
provincia di Ravenna nel 1777 da un’autorevole ma
decaduta famiglia del luogo che contava tra i propri
antenati un architetto, Giovanni, al servizio del duca di
Figura 25. G. Domenichini,
Toscana nel 1500 e Francesco Saverio un missionario Silvestro Camerini, 1858
gesuita in servizio in Oriente nel tardo Settecento. Il
padre era un possidente condotto sul lastrico da errate speculazioni che alla morte
lasciò i sette figli nell’indigenza e privi di istruzione con un precocissimo
orizzonte di duro lavoro31.
Analfabeta, bracciante e custode di animali alla fine del ’700 Silvestro
Camerini iniziò la sua inarrestabile ascesa sociale ed economica come cariolante e
poi piccolo appaltatore per lavori di riparazione degli argini ferraresi e ravennati,
attraversando, arricchendosi, il desolato Veneto della prima metà dell’’800 e
traendo costantemente vantaggio dalle contingenze politiche. Investí prontamente
tutti i suoi guadagni conquistando pezzo per pezzo migliaia di ettari facendo
cadere nella sua rete le nobili, esauste spoglie di molte grandi tenute venete e
veneziane, un banchiere che negli ultimi decenni di storia preunitaria tratta
operazioni finanziarie con i governi e controlla esattorie e ricevitorie dal Po al
Tagliamento e a cui spetterebbe un posto non secondario nella storia economica e
finanziaria dell’Italia preunitaria. Ciò che caratterizza gli acquisti cameriniani è il
31
C. Fumian, La città del lavoro. Un’utopia agroindustriale nel Veneto contemporaneo, Venezia,
Marsilio Editori, 1990, pp. 22-29.
38
bisogno di fornire garanzie a copertura degli appalti delle esattorie asburgiche. Gli
acquisti di Silvestro non sono quasi mai seguiti da alcuna forma di intervento
imprenditoriale in campo agricolo.
Nel 1852 acquistò dai Correr-Giovannelli, eredi dei Contarini, la villa e un
latifondo di circa 5000 ettari, un patrimonio di dimensioni regionali. Con una
filantropica pioggia di denaro investí o creò congregazioni di carità, conventi,
chiese, comuni, ospedali, istituti per cronici, per ”discoli” e per fanciulli. Decine
di lasciti, legati, livelli, pensioni, borse di studio e doti per fanciulle ”disgraziate”.
Grande accentratore, Silvestro governa una macchina potente: avvocati, notai e
procuratori facevano parte della sua corte, ne proteggevano gli affari e ne
godevano in margine risultati non secondari. La sua vita fortunata durò quasi
mezzo secolo e non ricoprí mai cariche politiche32.
Nel 1819 con la nascita di Luigi, figlio del fratello Paolo, il patrimonio della
famiglia era già discreto e alla morte del fratello si occuperà dell’educazione del
nipote, l’unico figlio morì in giovane età, facendolo entrare in seminario ad Imola
che ben presto diventerà intollerabile per il giovane Luigi e successivamente, nel
1830, nel Collegio dei Nobili di Ravenna il più rinomato della Romagna. Ma non
potrà continuare gli studi, al duca il nipote sembrava troppo istruito e per lui i
letterati erano la peste degli affari.
Al terribile zio, Luigi riuscirà solo a strappare il permesso di frequentare
come uditore i corsi della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università una volta
approdati a Padova che divenne il nuovo baricentro, dopo il Polesine, dei suoi
acquisti di terre. Fu accusato di austriacantismo ma probabilmente fu un giudizio
affrettato; per temperamento Silvestro credeva ciecamente nell’autorità, era
religioso fino allo scrupolo e temeva il disordine.
A Padova, oltre all’acquisto di Palazzo Bembo fondò l’importante Istituto
agrario di Brusegana e costruì padiglioni ospedalieri. Negli ultimi mesi di vita si
riconciliò con il nipote Luigi nominandolo suo erede universale, forse il più
32
C. Fumian, Possidenti. Le élites agrarie tra Otto e Novecento, Padova, Meridiana Libri, 1996,
pp. 36-38.
39
grande patrimonio privato del Veneto valutato allora 24 milioni di lire e donando
le proprietà ferraresi all’altro nipote Giovanni. Luigi sarà quindi alla guida di un
patrimonio immenso ma gravato da complicazioni legali. Silvestro morirà a
Padova nel 186633.
Luigi Camerini; diversamente dallo zio dimostrò in gioventù un notevole
interesse per la cultura umanistica e per gli ideali nazionali. Cercò di allargare la
sua fortuna con nuovi acquisti ma anche con infruttuose partecipazioni azionarie e
imprese speculative e commerciali, senza modificare i suoi rapporti con la
popolazione rurale del suo ”feudo”. Volle assicurarsi il controllo della rete idrica
ereditata anche perché ad essa erano collegate alcune attività protoindustriali già
discretamente avviate. Luigi puntava più sulla lavorazione del prodotto greggio
che sulla meccanizzazione, ciò gli consentì di arrestare la caduta della redditività
dell’agricoltura determinata da una generale crisi che contribuì ad un rapido
incremento dell’emigrazione italiana34.
Con grande accortezza amministrativa Luigi saprà governare il patrimonio
avviando nel contempo il complesso e dispendioso restauro della villa di Piazzola
facendola diventare il centro gravitazionale dei possessi familiari. Le sue
acquisizioni si espandono fino al controllo sull’intera, strategica rete idrica della
zona. In lui è assente, però, ogni agrofila imprenditorialità e passione per la
cultura tecnico-agronomica: continua quindi a prevalere la tradizionale coltura
cerealicola a bassa
produttività.
dell’amministrazione
Camerini
La voce
rimane
principale delle produzioni
dunque
il
grano
in
quantità
ragguardevolissime data l’estensione dei possedimenti. Luigi si cimenterà anche
in avventure navali nel clima di entusiasmo creato dall’apertura del canale di Suez
nel 1869, ma che poi vedrà nel 1885 la liquidazione della società creata insieme a
Vincenzo Stefano Breda e altri.
Nel 1879 venne pubblicata a Padova dall’Associazione per il progresso
degli studi economici una relazione dove risalta che a Padova manca la grande
33
C. Fumian, cit., 1990, pp. 29-34.
34
C. Fumian, cit., 1996, pp. 36-38.
40
industria e che la più grande è proprio quella di Piazzola, nuovo complesso
industriale con l’unico filatoio della provincia, affittata dai Camerini al vicentino
Giovanni Vaccari e dove trovano impiego 276 operaie, contro le 180 della filanda
Trieste di Monselice.
L’ultimo decennio del secolo racchiude gli anni del decollo economico di
Piazzola, un progetto tecnicamente e finanziariamente di enorme portata.
2.3. Paolo Camerini e il decollo economico e sociale di Piazzola sul Brenta
Il decollo economico e sociale di Piazzola sul
Brenta fervida ”città ideale” rimane legato alla
persona e all’opera del duca Paolo Camerini (Fig. 26)
(1868-1937) figlio di Luigi. Giovane ambiziosissimo
e colto ne disegna letteralmente le forme. Laureatosi
in Economia Politica all’Università di Padova, venne
influenzato
dagli
ideali
socialisti
che
vi
si
respiravano nel clima culturale dell’Ateneo patavino
che lo portarono a progettare di utilizzare la sua
Figura 26. Paolo Camerini
ingente ricchezza in funzione di una moderna azienda
agricola idonea alla promozione sociale dei lavoratori della terra e al superamento
delle tensioni di fine secolo tra capitale e lavoro. Un grandissimo fervore connota
l’ultimo decennio del secolo a Piazzola. Cantieri ovunque e di ogni attività
commerciale l’amministrazione Camerini era il punto focale. Si costruiva di tutto,
tutto si riparava e rimodernava e un obbediente Consiglio comunale approvava
piani e relazioni destinati a ridisegnare con geometrica regolarità l’intero
territorio. Tra il 1891 e il ’92 si progettò il sistema viario e si iniziarono i lavori di
ristrutturazione della filanda. Vi è una netta prevalenza delle spese di
”architettura” sulle spese ”industriali” in quanto numerosi furono gli interventi per
la ristrutturazione urbanistica del borgo. Le spese industriali sono rappresentate da
41
una nutritissima serie di
interventi
prevalentemente
legati alla sistemazione e
creazione di fonti di energia.
Si evidenzia che i laterizi
necessari a così imponenti
lavori provenivano dalla restaurata fornace (Fig. 27). È
Figura 27. La Fornace
importante ricordare che il settore dei materiali edili fu sempre ben presente negli
orizzonti economici di Paolo Camerini, memore di come il prozio Silvestro era
giunto alle vette della ricchezza.
Il primo settore industriale in cui Paolo si lancia dal 1891 fu quello dei
concimi chimici (Fig. 28).
Era l’unica fabbrica del
Veneto e quindi garantiva
rapporti
privilegiati
con
l’intero
apparato
di
istituzioni agrarie pubbliche
e private e pose Camerini
Figura 28. Fabbrica concimi chimici
nel circuito della nascente industria chimica italiana. Era il perno attorno a cui
ruotava l’attività agricola di Piazzola che attorno al ’95 subiva un complesso
processo di miglioramento attraverso il prosciugamento, l’eliminazione delle
risaie e l’introduzione massiccia di prati e selezionati allevamenti equini e bovini.
In una sorta di continuità economicamente ”virtuosa” venne ad associarsi anche
una fabbrica di conserve alimentari: si andava costruendo un apparato produttivo
di impianto agreste che si autososteneva e autoalimentava.
Il grande polo manifatturiero che connotò la vita industriale di Piazzola fu lo
jutificio (Fig. 29) che nacque per mano della ditta Scalfo e Pavan nel 1890 e fu
uno dei pochi segnali di consistente risveglio economico della provincia, oltre ad
essere uno stabilimento di risonanza nazionale. L’industria della juta aveva alle
42
spalle una storia breve
e intensa che parlava
inglese e narrava uno
dei più tipici casi di
incroci
e
conflitti
economici tra colonie
e
madrepatria.
prime
Le
esperienze
tecnologiche vennero condotte in Inghilterra nel 1822,
Figura 29. Jutificio
successivamente, nel 1833, furono fondati i primi due stabilimenti per la
lavorazione della juta. La fibra proveniva dall’India e la filatura incontrò serie
difficoltà prima della scoperta di un trattamento a base di acqua e olio di balena.
Dundee, in Scozia, divenne il principale centro mondiale per la filatura in quanto
a quei tempi era uno dei principali centri britannici per la lavorazione e la
raffinazione dell’olio di balena.
Lo jutificio di Piazzola assolse a due funzioni vitali: garantire il materiale di
imballaggio e impiegare manodopera in gran parte femminile, una programmata
sociabilità piazzolese in quanto l’occupazione era legata all’assegnazione delle
case coloniche-operaie oltre ad una garanzia di impiego part-time agricolo.
Ma un forte ”temporale” si stava per abbattere sullo stabilimento. Costituita
una società nel 1890, Camerini, due anni dopo, diventato socio di maggioranza
acquisendo le quote del dimissionario Giuseppe Pavan industriale di Cittadella, si
scontrò con i componenti fra i quali esponenti del notabilato economico e politico
padovano e dirigenti delle acciaierie Terni per la cattiva gestione dello
stabilimento e veniva accusato, a sua volta, di conflitto di interessi per la
sovrapposizione di contrastanti ruoli.
La vita dello stabilimento sembrava seriamente compromessa ma
all’affacciarsi del 1900 l’orizzonte sembrava meno oscuro. Si pose rimedio senza
ampliamenti, si cercò la collaborazione della Banca Commerciale: era pur sempre
l’unico opificio del Veneto, in un mercato di sicura espansione. Nel 1901 la
43
fabbrica cadrà sotto il totale controllo dei Camerini.
Nel 1902 venne consacrata la leggenda di Paolo Camerini a dieci anni
dall’inizio della sua avventura di magnate industriale, uomo politico, grande
bonificatore e instancabile benefattore che rimarrà a lungo oggetto di articoli del
giornalismo padovano anche se, ad onor del vero, il consistente flusso di denaro
elargito in beneficenza era in parte diretta conseguenza delle disposizioni
testamentarie del prozio Silvestro. Grazie a questo, negli anni di fine secolo,
all’amministrazione Camerini giungono decine di richieste, da parte di persone
indigenti per vestiario o per funerali di congiunti. I Camerini tenteranno di porre
un freno a questa emorragia di denaro imposta da Silvestro annullando alcuni
pagamenti ed elargendo solo quelli d’obbligo perché costretti dal tribunale: infatti
lunghe cause impegneranno gli eredi nel tentativo di sottrarsi a tale incombenza.
Politicamente, Paolo non rifiuterà mai l’elezione a consigliere comunale in
tutti i Comuni dove si estendono le sue proprietà: Piazzola, Stienta, Legnaro,
Polverara, Mossano, Villafranca, Limena e in moltissimi altri comuni della
provincia. Anche a Rovigo manterrà incarichi di rilievo a conferma della
crucialità degli interessi polesani.
Paolo Camerini signorilmente è a Piazzola solo consigliere comunale, anche
se il suo controllo è ovviamente strettissimo. È presidente della commissione
scolastica e sovraintende alle 15 scuole del centro e delle frazioni, alla costruzione
di classi elementari, refettori, dormitori e bagni pubblici, le cucine economiche, il
teatro e la Cassa di Risparmio, la
palestra, il ricovero per anziani e case
per le famiglie contadine-operaie in
sostituzione dei vecchi inabitabili
casoni
(Fig.
30).
Il
radicale
intervento demolitore di Camerini riguarderà prima di
Figura 30. Casone veneto
tutto le abitazioni di Piazzola e da ciò si vede come egli diede molta importanza
all’igiene. Verranno costruiti anche villini per i dirigenti, un asilo infantile
44
d’avanguardia, un ambulatorio chirurgico e un circolo di riunione e gioco del
tennis ad uso dei soci.
Il flusso pedagogico si riversa costante sulla cittadina, sottoforma di
opuscoli a cura dell’amministrazione Camerini. Agli operai spiega la necessità
della previdenza per la vecchiaia tramite una Cassa nazionale, li spinge a
riconoscersi nei valori patriottici, nel progressismo anticlericale. Scelse il 20
settembre per celebrare a Piazzola la festa del lavoro. La stampa locale esaltava le
feste a Piazzola a vetta di mondana eleganza tra champagne e marrons glacés,
gare ippiche e discorsi patriottici.
Nel gennaio del 1901 Paolo Camerini divenne presidente della Cassa di
Risparmio e a Padova, a quell’epoca, vennero costruiti i giardini pubblici, case e
quartieri operai, il padiglione dermosifilopatico presso l’ospedale civile e, per sua
iniziativa privata, il padiglione per i tubercolosi, la casa di ricovero e
l’orfanotrofio femminile. Sarà l’ingegnere Giuseppe Trieste a sostituirlo alla
presidenza della Cassa di Risparmio di Piazzola, l’unico possidente che potesse
vantare a Piazzola tenute di una qualche estensione oltre a Camerini.
Davanti ad una moltitudine di contadini analfabeti e pellagrosi non è un
caso che Camerini progetti nel 1903 la costruzione di un lazzaretto. All’epoca la
filantropia non era stucchevole carità pelosa come potrebbe essere ai giorni nostri.
Le condizioni di vita e lavoro delle plebi rurali venete di allora beneficiavano di
una reale portata modernizzatrice urbanistico-sociale ed è comprensibile il coro
plaudente assai vasto e omogeneo nel culmine della avventura cameriniana. Nello
stesso anno venne eletto in Parlamento per il collegio di Este ed entrò nelle file
progressiste e fu un convinto sostenitore di Giolitti.
Partecipò a molte battaglie politiche e parlamentari a favore dell’istruzione
primaria e professionale gratuita, per l’abolizione dell’insegnamento religioso, per
il suffragio universale e la riforma tributaria, per le autonomie comunali e per la
difesa della lingua italiana all’estero. Il cuore dei suoi interessi politici rimase
sempre l’agricoltura e numerosi furono i suoi interventi per le aree agricole e
forestali, per la sistemazione dei fiumi, per l’insegnamento agricolo, per la lotta
45
all’afta epizootica. Paolo Camerini è tra i primi e più solerti ad offrire
appezzamenti delle tenute di Legnaro e Piazzola per l’allestimento di campi
sperimentali riguardanti la concimazione chimica.
Piazzola sul Brenta è un nome che rappresenta tutto un programma di lavoro
operoso, di iniziative applicate, dove il capitale si è lasciato guidare dalla scienza
e dalla filantropia per la società e contro la miseria: insomma il ”villaggio ideale”
era sorto grazie alla sua specialissima formula. C’è ammirazione per i vigneti, le
risaie, le fabbriche di concimi e conserve alimentari, allevamenti di cavalli, le
fornaci, tesori d’arte raccolti nel palazzo già Villeggiatura di Stato della
Repubblica Veneta e un rinnovato parco. Piazzola era ammirata e appare come la
più vitale dei piccoli centri padovani e forse veneti. La company town era la
volontà di offrire tramite l’industria una organica via d’uscita al sottosviluppo
rurale dell’Italia del tempo con il ricorso agli strumenti di pianificazione integrale
cari all’industrialismo filantropico e colonizzatore. Il sogno industriale di Piazzola
era non solo fondato sull’agricoltura ma ad essa dedicato.
All’inizio del XX secolo in un paese di circa settemila abitanti così attivo, si
affacciano sulle regolari ed ampie nuove strade abitazioni di medici, farmacisti e
levatrici, di notai e ragionieri.
Vi sono tre alberghi (Fig. 31) ,
numerosi caffè e trattorie,
tradizionali
botteghe,
un
noleggio carrozze e cavalli ed
un veterinario. Ciò che risalta
è un presenzialismo e un
interessamento minuzioso e talvolta Figura 31. Albergo a Piazzola poi Municipio
soffocante dell’”Amministrazione” e di Camerini stesso sui destini dei singoli e
della comunità.
Camerini porta ad esempio l’industriale e filantropo Alessandro Rossi di
Schio, le cui case operaie diventeranno proprietà dei suoi operai, cogliendo
l’aspetto più moderno dell’esperienza rossiana. Sono i due campioni del
46
paternalismo veneto, due imprenditori e disegnatori di paesaggi sociali che
condividono però solamente la filantropia. Infatti, l’industriale scledense
promuoveva preferibilmente forme di crescita interna di una cultura della fabbrica
e dell’industria in contesti rurali ad alto tasso di morale controllata, mentre
Camerini avviava un autarchico feudo agro-industriale merceologicamente e
tecnologicamente assai povero, centrato su un unico fulcro erogatore di beni e
benefici, impedendo la creazione di un minimo ”indotto” imprenditoriale nella
popolazione e non consentendo forme di accumulazione e investimento diverse
dal mero risparmio familiare.
Siamo di fronte, però, a due diverse pedagogie sociali. Alessandro Rossi
ricordava di essere stato operaio e di aver lasciato gli studi a 17 anni e di non aver
comprato ”campagne e titoli di rendita, ma macchine e mattoni”. Quale specifica
cultura industriale poteva davvero nascere e crescere tra contadini imprestati alla
”fabbrica”, ora tessitori di sacchi, ora scavatori di sabbia o ghiaia, ora manovali
negli stabilimenti per la produzione dell’acido solforico, ora di nuovo affittuali e
mezzadri?. Gli operai di Camerini erano uomini e donne forniti di una cultura più
”generale” e umanistica che tecnica, cittadini modesti operosi e fieri prima che
lavoratori e, appunto, ”operai”.
L’idea di ”economia sociale” di Paolo Camerini era quella di contribuire
con la propria fortuna allo sviluppo e alla ricchezza dei singoli e della comunità,
appoggiando ogni sana iniziativa nel campo industriale, retribuzioni eque,
migliori condizioni di vita delle persone in età lavorativa e in vecchiaia. Questa,
secondo lui, era la vera funzione della ricchezza privata, togliere ogni ragione di
invidia fra capitale e lavoro che sfocia nella lotta di classe, avere come unico fine
il bene comune. Questo era il sogno del giovane Camerini e questo volle
realizzare nell’età adulta: una concezione etica del ”nuovo” proprietario,
potenziale
35
depositario
della
soluzione
C. Fumian, cit., 1990, pp. 8-115.
47
della
questione
sociale35.
CAPITOLO 3
PIAZZOLA SUL BRENTA NEL ’900
3.1. Prima della Grande Guerra
Alla fine del XIX secolo in Italia iniziò il decollo industriale con la
costruzione di una rete ferroviaria, scelte protezionistiche e riordino del sistema
bancario. Ciò provocò un aumento del reddito e un miglioramento del tenore di
vita degli italiani. Cresceva, parallelamente, l’emigrazione, conseguenza di una
sovrabbondanza
della
popolazione
rispetto
alle
capacità
produttive
dell’agricoltura. Alla vigilia della Grande Guerra vi fu una radicalizzazione della
politica con lo sviluppo del nazionalismo. Anche i cattolici acquisirono peso e nel
1909 fondarono il primo sindacato nazionale cattolico formato soprattutto da
operai tessili. Nel 1910 esistevano in Italia 375 leghe bianche con oltre 100.000
iscritti concentrati in buona parte in Lombardia e Veneto. Tali organizzazioni
riscossero un certo successo anche tra i lavoratori agricoli soprattutto piccoli
proprietari e mezzadri Con le future elezioni del 1913, i cattolici italiani
acquisirono una capacità di pressione sulla classe dirigente mai avuta fino ad
allora. La presenza di oltre 200 deputati facenti capo a Ottorino Gentiloni (il
firmatario del cosiddetto ”patto Gentiloni”), presidente dell’Unione elettorale
cattolica rischiava di incrinare seriamente la fisionomia laica del Parlamento
italiano36.
Nel 1910 sulla stampa padovana si elogiava Piazzola come una grande
azienda familiare dove l’azione della complessa amministrazione segue
amorevolmente i singoli individui nei loro bisogni primari, ricordando i duemila
operai e le dodici industrie. Tra il 1911 e il 1926 la produzione della filatura a
36
G. Sabbatucci, V. Vidotto, op. cit., pp. 236-239.
49
Piazzola era più che raddoppiata. La juta arrivava da Calcutta, collegata da linee
mercantili dirette al porto di Venezia ed esportata poi in America ed Estremo
Oriente. Nel 1911 fu inaugurata per la popolazione di Piazzola la linea ferroviaria
privata
Padova-Piazzola,
prolungata nel 1923 fino a
Carmignano di Brenta per
meglio servire, a partire dal
1916,
ad
un
cantiere
di
estrazione della ghiaia dal fiume Brenta nella zona
Figura 32. Stazione di Piazzola
di Carbogna. La stazione (Fig. 32) sorgeva a est della villa, da cui dipartivano un
ordinato reticolo di brevi linee di raccordo con tutti gli stabilimenti. La ferrovia e
gli impianti per la produzione dell’energia elettrica rappresentarono l’elemento
più significativo del ”paese nuovo” (Fig. 33) che contemplava anche il progetto di
costruzione
di
un
porto
fluviale.
Il cardine del successo
di
alcuni
impianti
l’approvvigionamento
era
di
materie prime, soprattutto la
Figura 33. Piazzola nel 1914
pirite. Camerini avviò negli anni precedenti una costosissima e altrettanto
fallimentare
caccia
mineraria
nell’agordino e nel vicentino. Nei
pressi di Torrebelvicino furono
fatti gravosi e inutili lavori di
scavo di una galleria; alla fine
Camerini si arrese e nel 1914
cessò ogni lavoro di ricerca37.
37
C. Fumian, cit., 1990, pp. 83-124.
Figura 34. Il re Vittorio Emanuele III a Piazzola, 1918
50
Durante la guerra del 1915-’18 Piazzola conobbe un lungo periodo di
ristrettezze con quasi 400 persone chiamate alle armi e molti di loro non tornarono
più. Dopo la soddisfazione per la conclusione del conflitto mondiale (Fig. 34) con
il ritorno dei soldati alle loro famiglie, la comunità di Piazzola fu toccata
dall’epidemia di febbre detta ”la spagnola” ma anche da tensioni sociali provocate
dalla disoccupazione, dalla pesante inflazione e dalla rissosità politica con risvolti
anche violenti38.
La guerra era stata un’esperienza di massa senza precedenti e fece sentire i
suoi effetti in ogni campo della vita sociale; tutti i valori tradizionali ne furono
scossi. Il problema maggiore che i governi si trovarono di fronte fu quello
dell’inserimento dei reduci e contemporaneamente iniziavano a diffondersi
aspirazioni al cambiamento39.
Nel primissimo dopoguerra, 1921, si inaugurò il ponte sul Brenta, tra
Piazzola e Campo San Martino, fu un avvenimento patriottico trattandosi di un
ponte requisito agli austriaci. Importante infrastruttura per l’intera zona, fu voluta
e finanziata da Camerini in sostituzione delle vecchie chiatte su cui trasbordavano
operai e merci40.
3.2. Gli anni del fascismo
Tra il 1919-’22 il Veneto visse un’intensa stagione di lotte sociali
nonostante, su scala nazionale, venisse spesso considerato statico e arretrato.
Variegate appartenenze politiche si riscontrarono allora nel Veneto: ad esempio a
Vicenza subito dopo la fine del conflitto vi fu un’amministrazione ”rossa”, nel
trevigiano agì un forte movimento repubblicano, mentre tra i contadini del basso
veronese e del basso padovano serpeggiarono fermenti anarchici. Padova e
Venezia nel Veneto post-bellico rappresentarono quella parte del mondo
contadino rimasto ai margini delle grandi lotte contrattuali del periodo giolittiano.
38
E. Reato, op. cit., pp. 32-33.
39
G. Sabbatucci, V. Vidotto, op. cit., p. 305.
40
C. Fumian, cit., 1990, p. 127.
51
Il fascio di combattimento padovano era stato tra i primi a sorgere nel Veneto e
questo fu dovuto, ancora una volta, all’ambiente universitario permeato da una
cultura nazionalista41: molti studenti erano stati ufficiali al fronte e ciò alimentava
contrasti turbolenti tra la maggioranza degli studenti sulla questione della
”Dalmazia italiana”.
Secondo Francesco Piva, il fascismo si configura inizialmente come un
movimento di ceti medi della città (impiegati, intellettuali, insegnanti, liberi
professionisti, tecnici), di estrazione democratica che hanno cominciato a
muoversi autonomamente, alla ricerca della propria identità in contrapposizione
alla borghesia dominante e al proletariato. Il primo fascismo delle due provincie
ebbe influenza sull’intera regione con i connotati del fascismo di sinistra. La
direzione del movimento fu assunta dai sindacati cattolici (leghe bianche,
soprattutto a Cittadella, Camposampiero e Piazzola), e socialisti (leghe rosse) che
ebbero molta difficoltà a ”contenere” il movimento stante il caroviveri, le
insufficienze nei rifornimenti dei generi alimentari e la disoccupazione che sfociò
in episodi di violenza contro i municipi e gli uffici pubblici. Nel 1920, si
contarono nel Veneto almeno 45.000 lavoratori disoccupati e ciò diede il via a
nuove forme di lotta: a Montagnana i disoccupati, appoggiati dalla Camera del
Lavoro, iniziarono autonomamente opere pubbliche (arginature, strade) per
costringere l’amministrazione statale a sborsare i finanziamenti42.
L’affermazione del regime fascista (1922-’45) portò alla soppressione a
Piazzola delle pur modeste libertà e istituzioni democratiche consentite
dall’onnipotente duca Camerini e la loro sostituzione con iniziative miranti al
controllo sistematico del Comune, dell’istruzione ed educazione dei giovani, delle
attività ricreative spesso in concorrenza con quelle parrocchiali43.
Ascesa e declino della Piazzola industriale seguiranno la parabola dei
Camerini: negli anni trenta del Novecento i colpi della crisi finanziaria e una
41
Sulla cultura del nazionalismo padovano cfr. G. Simone, Il Guardasigilli del regime.
L’itinerario politico e culturale di Alfredo Rocco, Milano, FrancoAngeli, 2012.
42
F. Piva, Lotte contadine e origini del fascismo,Venezia, Marsilio Editori, 1977, pp. 9-286.
43
E. Reato, op. cit., pp. 32-33.
52
insostenibile situazione debitoria costringeranno al disimpegno l’imprenditore,
alla dissoluzione dei suoi ambiziosi progetti con il conseguente avvio della
smobilitazione o della vendita dei sopravvissuti impianti tessili e chimici e con
l’alienazione di larghe, crescenti quote delle vastissime proprietà terriere. Nel
1928 Piazzola era ancora uno strategico ganglio industriale, le due più grandi
industrie della provincia padovana erano lo jutificio di Piazzola e la fabbrica di
seta artificiale di Padova. Lo jutificio per mancanza di smercio del prodotto
lavorava 3 giorni alla settimana e nel 1930 l’industria chimica piazzolese verrà
ceduta alla Montecatini che preferirà, però, tenere inattivi gli impianti; il destino
del feudo agroindustriale era definitivamente segnato.
Negli anni Trenta, il duca era ancora un personaggio ingombrante per il
fascismo, specialmente locale. Restò estraneo al regime fascista, anche se in
politica estera fu interventista sia per la guerra di Libia come per la guerra del
1915-’18.
Il prefetto di Padova, nel marzo del 1933, tentò una disperata difesa del duca
Camerini, descrivendo la sua azione come squisitamente dedicata al settore
primario e il duca stesso come un pioniere dei miglioramenti agrari, marcando il
suo stile di vita modestissimo.
Piazzola rimase gelosa delle proprie specificità tant’è che anche gli
incaricati dal Prefetto di Padova su indicazione del Partito Nazionale Fascista (i
suoi affari finivano sul tavolo di Mussolini), di amministrare le proprietà
Camerini, agirono sempre sotto l’influenza dello stesso duca. Farla pagare a
Camerini significava disoccupazione per centinaia di famiglie, con possibili
rivolte, disordini e lotte politiche.
Camerini si identificava con i valori di autorità ma non con il fascismo ed è
naturale, quindi, che le gerarchie locali oscillassero tra l’insofferenza e l’antica
deferenza: egli comanderà sulle sue terre fino all’ultimo. Si era illuso di salvare la
campagna, gravata da una schiacciante imposta patrimoniale, con i proventi
dell’industria e l’infido aiuto delle banche nei cui uffici finanziari finirà l’antico
sogno.
53
Lo jutificio ormai è vicino al collasso e due anni dopo, nel 1935, un gruppo
di operaie scriverà una lettera a Mussolini per denunciare i malfattori che
all’interno dell’amministrazione le affamano. Ciò che minacciava l’intera opera
cameriniana e le sue realizzazioni agricole e industriali era, come detto, l’imposta
patrimoniale.
Gli anni fra le due guerre furono segnati da un lento e inarrestabile declino
delle fortune piazzolesi di Paolo Camerini e conseguentemente del suo
patrimonio, sullo sfondo della generale crisi economica degli anni ’30 che
provocò anche a Piazzola un clima di forti tensioni tra maestranze e dirigenti
dell’azienda.
In quella conflittualità politica, la crisi di Piazzola assunse un carattere
irresolubile. La sconfitta di Paolo Camerini, con il successivo isolamento, fu
accolta con preoccupata soddisfazione sia dalle autorità locali che nazionali con
un sentimento di ostilità nei confronti delle difficoltà del complesso industriale
piazzolese: veniva piegato un infido alleato che aveva precorso in linea generale
la politica fascista con complesse attività assistenziali e che poteva vantare diritti
di primogenitura rispetto a numerose iniziative dello stesso fascismo.
Paolo Camerini morirà a Piazzola il 18 novembre 1937 (Fig. 35). L’eredità
raccolta dal figlio Luigi
Silvestro (Fig. 36) risultò
molto ridimensionata ed
Figura 35. Corteo funebre per il duca P. Camerini, 1937
esposta ad una imminente dissoluzione.
Qualche anno dopo, a causa della recessione, il
Figura 36. L.S. Camerini,
ritratto industriale della cittadina sarà più vicino ai Padova 1906-Ischia 1991
54
prodromi sei-settecenteschi che al progresso cameriniano. In un corposo volume
celebrativo sulle glorie industriali della città di Padova in occasione della Fiera
campionaria, colpevolmente, dell’epoca cameriniana non si farà alcuna menzione.
Molti stabilimenti sopravviveranno stancamente fino al secondo dopoguerra: la
filanda verrà chiusa nel 1949 e, nello stesso anno, la piazza sarà ceduta al
Comune44.
Cancellata dalla memoria industriale del Veneto contemporaneo, Piazzola
torna ad essere uno dei molti dintorni di Padova ad alta densità artistica.
3.3. Fine dell’epoca Camerini
Negli anni 1940-’45 durante la seconda guerra mondiale, Piazzola pagò un
pesante tributo di quasi un terzo della popolazione maschile chiamata alle armi,
requisizioni di grani e bovini con sofferenze pagate esclusivamente dalle famiglie
operaie.
Dopo la caduta del regime fascista, il clima si inasprì e Piazzola si trovò ben
presto occupata dalle truppe tedesche che si insediarono nella villa Camerini45.
Nel 1942 Luigi Silvestro partì per l’esilio a Ponza condannato a cinque anni
di confino per aver manifestato opinioni contrarie all’Asse, al Regime e alla
guerra in Libia. Ciò complicherà anche la vita di chi resta indebolendo
ulteriormente l’amministrazione46.
Negli anni ’50 il problema più grave per Piazzola fu tuttavia costituito dalla
liquidazione del patrimonio del duca Luigi che portò a manifestazioni di grave
tensione e di esasperazione attenuate dall’intervento della Cassa per la Piccola
Proprietà Contadina che anticipò le somme richieste, consentendo ai contadini
piazzolesi che da molte generazioni avevano lavorato le terre dei Camerini, di
esercitare il diritto di prelazione e di diventarne finalmente proprietari.
La crisi economica investì progressivamente anche la Filanda chiusa nel
44
C. Fumian, cit., 1990, pp. 4-140.
45
E. Reato, op. cit., pp. 30-107.
46
C. Fumian, cit., 1990, p. 132.
55
1949, la Montecatini chiusa nel 1959 e lo Jutificio-Canapificio chiuso nel 1978,
mentre le Fornaci passarono prima alla famiglia Meneghini di Verona e
successivamente ad altra proprietà.
Fortunatamente, il nuovo clima creatosi con la liquidazione del ”feudo” dei
Camerini, aprì la strada ad una discreta rete di nuove iniziative artigianali (Figg.
35-39), industriali e commerciali che consentirono di superare gli ”anni neri”
1945-’75 e di aprire la società civile a nuove esperienze grazie allo sviluppo
dell’istruzione professionale e tecnica47.
Figura 35. Riqualificazione ex-jutificio
Figura 36. Riqualificazione ex-jutificio
Figura 37. Riqualificazione ex-jutificio
Figura 38. Riqualificazione ex-jutificio
Figura 39. Fiorente mercato dell’antiquariato
47
E. Reato, op. cit., pp. 30-107.
56
CONCLUSIONI
La storia di Camerini e del villaggio modello di Piazzola ha degli elementi
portanti che conducono altrove, ad altri luoghi e temi. La dinastia imprenditoriale
dei Camerini è stata protagonista di un processo di nobilitazione della borghesia.
Resta ancora da capire la natura profonda dell’esperimento cameriniano.
Due sono i valori condizionanti su cui si fonda la specificità di Piazzola:
compattezza del programma agroindustriale e paternalismo. Il paternalismo
industriale è dunque il protagonista delle forme di pianificazione territoriale e
sociale in epoche a bassa rappresentanza sindacale, precedenti allo Stato
assistenziale.
Nei numerosissimi esempi di model company town non si trova un caso
come quello piazzolese, così esplicitamente fondato sull’agricoltura come motore
produttivo, con attenzione, quindi, a non spezzare i legami che la manodopera
conservava con le proprie origini rurali.
Piazzola aveva in sé gli estremi: molto più industriale di qualunque città
modello e molto più rurale di qualunque company town48.
48
C. Fumian, cit., 1990, pp. 145-149.
57
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La Legge 22 aprile 1941 n. 633 “Protezione del diritto d'autore e di altri
diritti connessi al suo esercizio”, contempla in particolare all’art. 1:”Sono
protette ai sensi di questa legge le opere dell'ingegno di carattere creativo che
appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all'architettura, al
teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione”.
E all’art. 6:”Il titolo originario dell'acquisto del Diritto di Autore è
costituito dalla creazione dell'opera, quale particolare espressione del lavoro
intellettuale”.
La tesi di laurea, infatti, al pari di qualunque altra espressione del lavoro
intellettuale dell’autore, è meritevole di tutela non appena viene creata e riceve
espressione in forma compiuta, indipendentemente dal fatto che essa venga
effettivamente pubblicata e resa disponibile al pubblico.
Sentenza del tribunale di Perugia del 22 febbraio 1995 n. 25:”La
riproduzione pressoché integrale di altrui tesi di laurea costituisce contraffazione
di questa”.
La tesi di laurea non può essere consultata né utilizzata da eventuali
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morali e patrimoniali. Questi ultimi permangono in capo all’autore anche se una
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