UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE, GIURIDICHE E STUDI INTERNAZIONALI Corso di Laurea Triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali Curriculum: Storia e Politica Internazionale L’INDUSTRIALIZZAZIONE A PIAZZOLA SUL BRENTA TRA OTTOCENTO E NOVECENTO Relatore: Prof.ssa ALBA LAZZARETTO Laureanda: MARGHERITA MIOTTO matricola N. 523910-SPR A.A. 2013/2014 Ai miei genitori Edmondo e Ann a Maria 2 SOMMARIO INTRODUZIONE ............................................................................................................... 5 Capitolo 1 ............................................................................................................................ 7 CENNI STORICI: PIAZZOLA SUL BRENTA E IL TERRITORIO VENETO ............... 7 1.1. Dal dominio della Serenissima ai Contarini (sec. XV-XVIII) ..................................... 7 1.2. Lo sviluppo economico promosso dai Contarini.......................................................... 8 1.3. Fine ‘700: prima dominazione austriaca ...................................................................... 9 1.4. Età napoleonica .......................................................................................................... 15 1.5. La seconda dominazione austriaca ............................................................................. 18 1.5.1. L’amministrazione fiscale e giudiziaria ............................................. 19 1.5.2. La pubblica istruzione con il coinvolgimento del clero ..................... 22 1.5.3. La censura........................................................................................... 27 Capitolo 2 .......................................................................................................................... 29 ASPETTI SOCIO-CULTURALI DEL VENETO OTTOCENTESCO E PRIMA INDUSTRIALIZZAZIONE DI PIAZZOLA SUL BRENTA CON L’AVVENTO DEI CAMERINI ............................................................................................................... 29 2.1. Lo sviluppo culturale ................................................................................................. 29 2.1.1. Il mondo contadino ............................................................................. 32 2.2. Lo sviluppo industriale............................................................................................... 34 2.2.1. I primi villaggi operai sul modello delle company town.................... 36 2.2.2. Piazzola sul Brenta: inizio dell’epoca cameriniana ............................ 37 2.3. Paolo Camerini e il decollo economico e sociale di Piazzola sul Brenta ................... 41 Capitolo 3 .......................................................................................................................... 49 PIAZZOLA SUL BRENTA NEL ‘900............................................................................. 49 3.1. Prima della Grande Guerra......................................................................................... 49 3.2. Gli anni del fascismo.................................................................................................. 51 3.3.Fine dell’epoca Camerini ............................................................................................ 55 Conclusioni ....................................................................................................................... 57 Bibliografia ....................................................................................................................... 58 3 INTRODUZIONE Dall’Unità ad oggi il mondo rurale, con le sue gerarchie sociali ed economiche, le sue volontà di riscatto e le sue tenaci resistenze, si è consumato in una transizione non lineare né indolore. Di questo mondo, la possidenza – borghese o aristocratica, imprenditrice o assenteista, istruita o rapace – ha rappresentato il cuore e il vertice1. Figura 1. G. Caillebotte, Richard Gallo e il suo cane Dick, 1883 1 C. Fumian, Possidenti. Le élites agrarie tra Otto e Novecento, Padova, Meridiana Libri, 1996, quarta di copertina. 5 CAPITOLO 1 CENNI STORICI: PIAZZOLA SUL BRENTA E IL TERRITORIO VENETO 1.1. Dal dominio della Serenissima ai Contarini (secc. XV-XVIII) Nel 1404 la Serenissima Repubblica di Venezia estendeva il suo dominio di terraferma anche ai Comuni di Vicenza, Padova e Treviso. È il secolo della scoperta delle Americhe, il Nuovo Mondo, che porterà la civiltà occidentale dal medioevo alla modernità. Inizia così anche per Piazzola, un’era nuova di relativa pace e prosperità destinata a durare per quasi quattro secoli, nonostante l’impero asburgico di Carlo V (1508-1529) abbia seminato di stragi e di rovine anche le nostre terre. … In questo periodo il matrimonio di Maria da Carrara con Nicolò Contarini, rampollo di un’antica e nobile famiglia veneziana (…), portò in dote alla famiglia dello sposo l’intero possedimento carrarese di Piazzola che (…) giunse fino al nipote Pietro (1493-1562), il quale legò la sua fama alla costruzione, su probabile disegno di Andrea Palladio, della splendida Villa Contarini (Fig. 2), (…) le logge antistanti la villa e attigue pertinenze, sulle rovine di un antico castello2. Figura 2. Villa Contarini 2 E. Reato, Piazzola sul Brenta. Profilo storico di una comunità, Parrocchia di Piazzola sul Brenta, 2005, pp. 21-105. 7 L’ambizioso disegno fu portato a termine da Marco Contarini (Fig. 3) (1632-1689) cittadino illustre di Piazzola, figlio di Pietro e Procuratore di San Marco, persona stimata e apprezzata dalla nobiltà veneziana che in linea con il nuovo clima culturale e artistico vi aggiunse, per le feste della nobiltà veneziana, due teatri, un conservatorio musicale, detto il ”Loco delle Vergini” (fanciulle che si dedicavano allo studio della musica e al ricamo), una tipografia per la stampa dei libretti d’opera. La splendida villa dei Contarini raccoglieva frequentemente il fior fiore della nobiltà veneta ma agli occhi dei ”servi della gleba” rimaneva una cattedrale nel deserto e tale rimase fino a pochi decenni fa. Alla famiglia Contarini va riconosciuto il merito di aver contribuito efficacemente sviluppo economico allo e sociale degli abitanti di Piazzola, usciti finalmente dalla società medievale e Figura 3. La villa in una mappa del 1671 avviati ad un lento e progressivo benessere, realizzando una serie di iniziative anche miranti al controllo e all’utilizzo delle acque del Brenta3. Questo nonostante che in Italia vi fosse un crollo dell’industria tessile, un primato economico che datava dal Medioevo e l’esclusione dai grandi traffici oceanici4. 1.2. Lo sviluppo economico promosso dai Contarini. Al tempo di Marco Contarini (Fig. 4) 3 Figura 4. Marco Contarini E. Reato, op. cit., pp. 21-105. 4 A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, Manuale di Storia 2. L’età moderna, Roma-Bari, Editori Laterza, 1997, p. 241. 8 esistevano alcune piccole industrie, un mulino per il grano, un maglio per il ferro, una segheria, un filatoio per la seta, una pileria per il riso. Si voleva introdurre anche un’industria cartaria che avrebbe potuto giovare alla tipografia, ma tale richiesta del Procuratore rimase senza effetto5. Nel panorama nazionale, il declino delle attività commerciali e industriali provocò uno spostamento dei capitali verso l’agricoltura: il nuovo prestigio della proprietà terriera alimentava un maggior immobilismo sociale e si inseriva nel quadro di un generale processo di rifeudalizzazione. Si determinò anche una frammentazione dei mercati. La caduta dei prezzi dei cereali fu all’origine di una diversificazione produttiva che indica come la crisi del ’600 avesse conseguenze meno gravi nel campo agricolo rispetto al settore industriale e commerciale6. L’interesse del Procuratore Marco era una gestione sapiente del suo vasto territorio e l’aspirazione a crearvi un polivalente sistema produttivo urbanistico e politico-culturale: nei secoli XVII-XVIII si configura come una vera e propria corte7. 1.3. Fine ’700: prima dominazione austriaca La fine della Serenissima Repubblica di Venezia (1797) lasciò un’eredità di polemiche e lacerazioni tra le diverse classi sociali e tra Venezia e i centri della terraferma, da Udine Figura 5. F. Tironi (Venezia, 1745-1797) Scorcio del Canal Grande 5 E. Reato, op. cit., p. 22. 6 A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, op. cit., p. 241. 7 E. Reato, op. cit., p. 106. 9 a Verona. dissoluzione dello veneto sul pose La stato tappeto soprattutto il problema istituzionale e quello della classe dirigente del nuovo ordinamento. Dal 1801 si avviò un’organizzazione fortemente burocratica, attuata di pari passo con la progressiva esautorazione del patriziato dai posti di comando, accusato di fellonìa, corruzione, dispotismo, incapacità politica. Si interruppe bruscamente anche per la piccola comunità di Piazzola un lunghissimo periodo di vita vissuta senza grandi rivolgimenti politici e sociali, segnata dall’umile lavoro dei campi o da qualche modesta attività artigianale. Nel contesto europeo, solo pochi anni prima (1789) avvenne, invece, in Francia quella rivoluzione che segnò il passaggio dall’età moderna a quella contemporanea8. Venezia avrebbe dato, con la sua saggezza, possibilità di filtro alle idee innovatrici che venivano dalla Rivoluzione francese (Fig. 6), la quale pur propugnando idee umanitarie e liberali, evangeliche per certi aspetti (libertà, uguaglianza, fraternità) aveva commesso una quantità di crimini Figura 6. 14 luglio 1789, presa della Bastiglia spaventosi e non s’era ancora spenta l’eco dell’epoca del terrore9. Il 18 gennaio 1798, tre mesi dopo il trattato di Campoformido, le truppe del generale Wallis entrarono a Venezia percorrendo il Canal Grande. In virtù di tale trattato, l’Austria entrò in possesso dei territori veneti e il Veneto venne definito ”provincia austroveneta”. Iniziava qui quella dominazione asburgica che, con l’intervallo napoleonico, si sarebbe protratta per quasi sessant’anni. Non vi era stata battaglia, si ricorse al giuramento di sottomissione. Questo primo periodo che va dal 1798 al 1806 ebbe caratteristiche ben diverse da quello successivo e 8 M. Gottardi, L’Austria a Venezia. Società e istituzioni nella prima dominazione austriaca 17981806, Milano, FrancoAngeli, 1993, pp. 11-295. 9 Atti del Convegno di Conegliano in collaborazione con l’Associazione Italia-Austria, I problemi dell’amministrazione austriaca nel Lombardo-Veneto, Conegliano Veneto, Comune di Conegliano, 1981, p. 125. 10 l’opinione comune accolse gli austriaci come il male minore di fronte alla successiva e più pesante dominazione francese. Veneto e Friuli avevano visto battaglie campali tra il Garda e l’Adige con passaggi di truppe napoleoniche, austriache, persino cosacchi russi. Ad ogni passaggio di truppa le popolazioni rurali vivevano allertate, nel rischio di saccheggi e requisizioni, i rapporti con i russi furono spesso drammatici con numerosi casi di opposizione violenta che sfiorarono a più riprese l’insurrezione. Frattanto la nuova discesa in Italia di Napoleone nel 1800 attraverso il Gran San Bernardo fece diventare la pianura veneta di nuovo un campo di battaglia percorsa dai francesi galvanizzati dalla vittoria di Marengo e dagli imperiali in fuga. Nel 1805 si consumò nei pressi di Vicenza a Caldiero una cruenta battaglia con oltre diecimila morti. Tali battaglie disseminarono disertori e intere pattuglie di sbandati; in queste condizioni cresceva il numero dei delitti perpetrati spesso in campagna con imboscate e assalti ai viaggiatori. Era sulla strada maestra che da Mestre porta a Treviso che si registravano il maggior numero di assalti. Fuggiaschi e vagabondi cercavano in ogni modo di raggiungere Venezia nella speranza di ottenere un’occupazione diversa dal brigante di strada o perlomeno di trovare un imbarco. Per arginare il fenomeno il governo aveva imposto ad osti e locande la denuncia dei forestieri ospitati. Tutti gli aspetti della vita pubblica furono un alternarsi di speranze e fallimenti, di buone intenzioni e immobilismo. ”Il faut austriaciser Venise” recitava in francese, nel 1803, l’ennesimo poligrafo: serviva scegliere e comporre una classe politica cui affidare il governo dei territori. Verso il Veneto vi fu una forte emigrazione di funzionari e impiegati lombardi voluta dagli austriaci i quali si fidavano maggiormente di personale proveniente dalla Lombardia austriaca suscitando a Venezia fastidio e malcelata sopportazione. Lombardi e ”tedeschi” si fronteggiavano alla pari estromettendo i veneti da ogni responsabilità tecnico-burocratica sia per imperizia e scarsa conoscenza dei metodi in uso nell’Impero sia per la poca fiducia che si nutriva a Vienna nei loro confronti. Nelle stanze del Palazzo, dunque, non si parlava veneto ma neppure in 11 tedesco. La corte viennese preferiva scrivere abitualmente in francese certa di essere meglio compresa. Gli autoctoni erano quasi sempre esclusi da incarichi di rilievo nella propria circoscrizione e relegati a fare gli uscieri o i serventi. La logica viennese era impiegare nelle istituzioni veneziane nobili o persone di alto livello sociale provenienti dalla terraferma e nella terraferma il patrizio veneziano: gli uni sarebbero stati controllati dagli altri. Ciò comunque si rivelerà come una ulteriore penalizzazione della terraferma. Occorreva ripristinare la legalità e senza adeguati emolumenti si doveva ricorrere ai patrizi per allestire le corti. E qui i giovani patrizi facevano adeguate esperienze per prepararsi ai reggimenti di terraferma o della marina. Nelle province venete non era radicata una tradizione di studi legali come in altri Stati e da quando, all’inizio del Settecento, la Repubblica Veneta aveva imposto l’obbligo della laurea in giurisprudenza per esercitare l’arte forense, il numero degli avvocati era crollato. I progetti di riforma improntati dalla commissione imperiale furono assai più onesti e cristallini dei tentativi destabilizzanti di importanti esponenti dell’aristocrazia. Nel 1803 l’ordinamento giudiziario delle province venete venne uniformato con quello dell’Impero. Era urgente una nuova organizzazione territoriale e nell’Istruzione generale del 1802 si elencavano gli interventi in tutte le province austrovenete soprattutto in materia di giustizia criminale, irregolarità nella gestione dispendiosa delle province e degli altri corpi pubblici a danno dell’erario e delle stesse popolazioni rurali e in materia militare. Negli impiegati dello Stato vi era ”mancanza di rettitudine, di cognizioni, di zelo e fors’anche avversione al felicissimo sistema monarchico”10. Erano frequenti le usurpazioni dei beni comunali e le strade pubbliche e postali erano in stato di abbandono e rese pericolose dalla presenza di delinquenti e dall’alto numero di disertori francesi e austriaci. L’intervento del governo e della corte viennese pose ordine nell’assetto amministrativo della terraferma, sino ad allora assai trascurata dalle autorità 10 M. Gottardi, op. cit., pp. 11-295. 12 asburgiche. La mancanza di controlli e dove non arrivava il potere favorivano l’elusione. Il contrabbando, da sempre presente nell’area veneta in questi anni divenne una prassi dalla quale molte popolazioni traevano la loro sopravvivenza. Questo suscitò incredulità nella classe dominante asburgica in quanto fenomeni poco conosciuti nella Mitteleuropa. Allo stesso tempo, ed in senso opposto, generava sorpresa anche in coloro che vedevano scoperte le loro malefatte in quanto un tempo potevano contare sull’inefficienza dello stato veneziano. Dal 1798, le province austrovenete iniziarono a prendere una nuova fisionomia di governo. La commissione imperiale, successivamente trasferitasi a Padova fu presieduta dal lombardo Giuseppe Pellegrini, che da tempo risiedeva a Vienna come membro del Dipartimento d’Italia, nominato dall’imperatore Leopoldo II. Pellegrini ripristinò nei pieni diritti i corpi territoriali e i consigli cittadini, furono riconfermate le giurisdizioni feudali là dove sussistevano e le giudicature civili di prima istanza a Padova, Verona, Vicenza, Treviso, Udine e Rovigo. Compì due atti importanti per l’amministrazione imperiale: chiese la collaborazione dei vescovi che immediatamente risposero ricorrendo alle pastorali e obbligò tutta la popolazione, dal patriziato veneziano al borgo rurale più sperduto, al giuramento di fedeltà alla monarchia. La condizione del clero a fine Settecento era di un generale stato di povertà aggravato dalla presenza massiccia di secolari e religiosi fuggiti dalla Francia e dallo Stato Pontificio e ospitati in conventi, parrocchie, locande o case private. La vita quotidiana era una lotta per la sopravvivenza e lo stato di indigenza colpiva prima di tutto la dignità e il decoro e, in seguito a questo, venivano accolti e accettati con rispetto misto a commiserazione. A richiamarli nello stato veneto era spesso l’Università di Padova ma anche quel clima di particolare libertà confessionale che aveva contraddistinto la Repubblica di Venezia. In ambito culturale nel 1798 il commissario imperiale su disposizioni di Francesco II diede il via alla censura orientata sulla pubblicistica religiosa e filosofica. Si volevano introdurre testi stranieri, diffondere i giornali, gazzette e 13 fogli volanti, proibiti erano i libri superstiziosi. Di ogni stampa pubblicata nelle province austrovenete se ne depositavano tre copie: una nella biblioteca di S. Marco, una all’Università di Padova e una nella biblioteca di Corte a Vienna. A Padova, inoltre, venne riformata l’Università dal successore di Pellegrini, Francesco Pesaro, con persecuzioni contro quei docenti fautori di istanze democratiche. Serviva rimuovere ogni forma di ideologia illuminista ed era vivo il timore persistente del diffondersi del giacobinismo. Ad ogni modo, l’istruzione pubblica stava molto a cuore agli Asburgo, tanto che nel 1804 l’imperatore volle introdurre in Veneto le scuole normali. La linea dell’imperatore fu di favorire la formazione e la diffusione dell’istruzione elementare, specializzare le scuole superiori in funzione dell’avviamento al lavoro e privilegiare la conoscenza delle materie necessarie alla pubblica amministrazione: meglio sudditi efficienti che cittadini illuminati. Le scuole reali dell’impero si trovavano in sole 5 città: Vienna, Praga, Cracovia, Innsbruck e Padova. Erano scuole dedicate alle arti più elevate, al commercio, agli affari di cambio, agli uffici economici dello Stato. L’altro ramo sul quale si esercitava il controllo di censura era quello degli spettacoli. Venezia continuava a mantenere un intenso calendario di spettacoli di commedia e musicali con un pubblico tra i 500 e i 1000 spettatori a sera. I salotti da semplice ritrovo mondano stavano diventando centri di scambi culturali, in particolare letterari, assumendo quelle funzioni insieme formative ed informative ora legittimati ora d’opposizione, che li avrebbero caratterizzati nel corso del 1800. La storia del patrimonio culturale e artistico veneto nell’Ottocento ripercorre le tappe delle diverse dominazioni. Volta per volta, da Parigi a Vienna e da Parigi a Milano, libri, documenti, manoscritti e quadri d’autore partirono, furono oggetto di trattative per la restituzione, spesso tornarono. Gli scambi imperfetti iniziarono nel 1802 per finire con le asportazioni del 1805. Gran parte del materiale asportato in quegli anni non ritornò al suo posto che col 1866 o addirittura dopo il 191811. 11 M. Gottardi, op. cit., pp. 11-295. 14 1.4. Età napoleonica Imperatore dei francesi dal maggio 1804 e re d’Italia dal marzo 1805, Napoleone (Fig. 7) con il trattato di Presburgo del dicembre dello stesso anno costrinse l’Austria a cedergli Venezia e il Veneto che, nei primi mesi del 1806, vennero Figura 7. J.L. David, Napoleone, 1801 formalmente incorporati nel Regno Italico12. La venuta dei Francesi, da principio, fu vista da alcuni come una speranza. Prestissimo, però, fu una grande delusione. La gente dei nostri paesi si trovò più povera e sperimentò la confusione e l’insicurezza. Dilagarono fatti di malcostume e rivolte e fu enorme la dilapidazione di beni patrimoniali, storici e artistici e la soppressione dei Conventi. Con la soppressione degli ordini religiosi, Napoleone consolida e fortifica (forse anche senza volerlo) l’istituto della parrocchia. Anch’egli si servirà dell’opera del clero per fatti anagrafici e statistici. Tutti gli sforzi di Napoleone furono di fatto volti al fine di ridurre il regno italico ad un mercato riservato all’industria francese: Napoleone intendeva far soldi anche per l’impresa di Russia13. I territori veneti furono organizzati in sette Dipartimenti suddivisi in distretti, i distretti in cantoni e i cantoni in comuni. Venezia fu capoluogo del Dipartimento dell’Adriatico14. Nel Dipartimento del Brenta, distretto I di Padova rientrarono i cantoni di Padova, Teolo, Piazzola (che contava nel 1810, 2825 abitanti) e Battaglia15. Da una parte si verificò il distacco dalle istituzioni, dalle culture, dalle consuetudini che avevano funzionato per secoli, dall’altra parte si 12 G. Gullino, G. Ortalli, Venezia e le terre venete nel Regno Italico, cultura e riforme in età napoleonica, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2005, pp. 4-349. 13 Atti del Convegno di Conegliano, op.cit., pp. 125-126. 14 G. Gullino, G. Ortalli, op. cit., pp. 4-349. 15 G. Netto, Province e Comuni nel Veneto dal 1813 al 1866, Vittorio Veneto, TIPSE, 1981, pp. 617. 15 avviò l’introduzione di nuove strutturazioni amministrative e sociali moderne che andavano costruendosi in Europa. Con gli austriaci prima e con i napoleonici dopo, uno dei settori che venne radicalmente innovato fu quello della giustizia, una vera rivoluzione. In Italia come in tutta l’Europa continentale, l’esperienza del dominio napoleonico ha influenzato profondamente la storia successiva, fino alle rivoluzioni del 1848 e oltre. L’appartenenza del Veneto al Regno Italico durò dal gennaio 1806 al novembre 1813. In un così breve periodo, non poté formarsi una nuova classe dirigente, per cui Napoleone e il principe di Venezia Eugenio Beauharnais dovettero servirsi degli uomini disponibili a tal fine. Nel maggio del 1806 una delegazione veneta presieduta da Alvise Pisani, già ambasciatore in Francia, partì alla volta della capitale francese per invitare Napoleone a visitare i nuovi domini acquisiti con il trattato di Presburgo. Furono ben accolti con feste, balli e mondanità varia. L’unico che ottenne qualcosa, ma sul piano privato, fu Pisani che vendette a Napoleone la splendida villa di Stra dato che aveva un gran bisogno di denaro. I benefici senza contropartita l’imperatore li riservava ai suoi generali, marescialli e dignitari per premiare chi meglio lo serviva. Anche i francesi, sostanzialmente, usavano la stessa tecnica dei predecessori austriaci per quanto concerneva l’assegnazione del personale di servizio nei Dipartimenti e cioè a Venezia si servivano di personale emiliano o lombardo, mentre i veneziani venivano assegnati fuori dal Veneto. Se infatti Francesco II aveva coniato il motto ”il faut austriaciser Venise”, Napoleone si propose di ”franciser l’Italie”. Il 1° aprile del 1806 venne introdotto il Code civil Figura 8. Codice civile dei francesi, (Fig. 8) come strumento di trasformazione della prima pagina, 1804 società, di svolta radicale. Questo causò un diffuso sfavore, a volte anche sconcerto fino a un netto rifiuto nei confronti di norme innovative percepite come estranee alla propria secolare tradizione giuridico-culturale ma anche contrastanti 16 con peculiari interessi di parte, come, ad esempio, il regime legale della comunione dei beni fra coniugi e la pretesa uguaglianza tra figli e figlie. In ambito militare, nel 1805 con l’annessione al Regno d’Italia il Veneto venne investito da un processo di militarizzazione tipico dell’età napoleonica. Fu introdotta la coscrizione obbligatoria ma per gli otto anni successivi di dominazione francese non fu possibile formare una vera e propria classe militare, nonostante ciò restò un’importante eredità militare. In campo culturale venne riformata l’Università e vennero creati i licei. Dall’organizzazione culturale dipendeva quella del consenso; Napoleone impresse una struttura concentrata e verticistica al complesso dell’istruzione pubblica. All’Università di Padova venne avviato un processo di svecchiamento con l’istituzione di un rettore di nomina regia, venne divisa in facoltà, soppresse alcune cattedre e attivate alcune altre tutte di ambito scientifico volte a formare medici, ingegneri e architetti, data la ben nota diffidenza dell’imperatore verso gli intellettuali da lui definiti idéologues. Il primato artistico-letterario venne lasciato a Venezia con valenza soprattutto decorativa. Per il patrimonio artistico, la dispersione e l’eventuale successivo recupero, vengono sempre identificati con l’occupazione napoleonica e con l’applicazione delle leggi di soppressione di corporazioni religiose e istituzioni civili, dimenticando Figura 9. L. Querena, 1820-1887, Arrivo a Venezia di Napoleone assai spesso che a partire dal 1768, quindi pochi decenni prima, un provvedimento analogo era stato innescato per volontà del Senato veneziano e poi proseguito con grande determinazione nell’intento di risanare le disastrose condizioni della finanza pubblica. Nella conquista veneziana (Fig. 9) il generale vedeva profilarsi 17 una ulteriore fonte di finanziamento e l’acquisizione di capolavori per la creazione di un grande museo francese16. 1.5. La seconda dominazione austriaca Il 2 novembre del 1813 inizia l’occupazione austriaca del Veneto centrale e il 7 aprile 1815, dai lavori del Congresso di Vienna, venne creato il Regno Lombardo-Veneto con la riconquista delle Tre Venezie: 53 anni durerà la seconda occupazione austriaca. Il regno era diviso nei due governi di Milano e Venezia, separati tra loro dal corso del Mincio17. Nella provincia di Padova, facevano parte i distretti di Padova, Mirano, Noale, Camposampiero, Piazzola, Teolo, Battaglia, Montagnana, Este, Monselice, Conselve, Piove18. La sistemazione geografica voluta da Bonaparte era durata lo spazio di un mattino. Nel 1815 all’indomani del Congresso di Vienna che con l’Atto finale riconosce la nuova organizzazione statale, i veneti salutano con gioia il ritorno all’Austria dopo la dominazione francese. Riassunto il controllo del Veneto tra la fine del 1813 e l’inizio del 1814, gli Austriaci non apportarono immediati mutamenti nelle strutture amministrative. Ed, in effetti, in meno di vent’anni le genti venete si erano sottoposte a due cambiamenti amministrativi. L’apparato costruito dai Francesi rimase in sostanza in funzione. Né sarebbe stato possibile diversamente, dato che cambiamenti rapidi e radicali avrebbero potuto arrecare più danni che vantaggi non solo agli amministrati, ma anche agli amministratori. Furono mantenuti i dipartimenti, le prefetture, le intendenze di finanza e gli uffici tributari. L’unica novità fu la creazione di un governo centrale veneto con sede prima a Padova, poi a Venezia19. A Venezia si tolgono gli stemmi che adornano l’ala nuova del Palazzo Reale sostituendoli con l’aquila bicipite (Fig. 10) e in 16 17 G. Gullino, G. Ortalli, op. cit., pp. 4-349. Atti del Convegno di Conegliano, op. cit., p. 44-53. 18 G. Netto, op. cit., p. 6. 19 Atti del Convegno di Conegliano, op. cit., p. 97. 18 provincia di Padova viene abbattuta l’aquila del 1811 eretta per celebrare la nascita del re di Roma. Ben presto, però, il contegno intransigente dell’Austria fece cadere l’entusiasmo veneto mutandolo in odio profondo20. Figura 10. Stemma del Regno Lombardo-Veneto 1.5.1. L’amministrazione fiscale e giudiziaria L’amministrazione asburgica era lenta e complicata e ciò fece crollare ben presto il mito che su di essa avevano costruito i Veneti. L’Austria era molto severa e concedeva pochissime libertà civili, ma ai sudditi di qualsiasi nazionalità erano riconosciuti gli stessi diritti cui godevano i sudditi austriaci: uso della propria lingua nei tribunali, negli uffici, nella scuola, etc.. Non essere fedeli all’Austria era come non amare la propria madre. Ai Francesi si detestava il fiscalismo e dagli Austriaci ci si aspettava una politica fiscale più mite o comunque più equa. Il costo del funzionamento degli uffici era piuttosto contenuto e ciò dipendeva dalla buona organizzazione dell’apparato amministrativo. La classe impiegatizia e i funzionari erano ben preparati, dotati di ottime qualità e di attaccamento al servizio considerato un dovere ma anche espressione concreta di un ordine etico e giuridico. È su queste qualità che si è venuto a creare il mito dell’Austria buona amministratrice. A Vienna fu deciso, saggiamente, di tenere separata l’amministrazione della Lombardia da quella del Veneto per non toccare la suscettibilità delle due popolazioni che avrebbero mal tollerato di essere considerata l’una appendice dell’altra con Milano o Venezia capitale del Regno. Questo era sentito soprattutto a Venezia che con una storia gloriosa plurisecolare alle spalle aveva perso l’indipendenza da pochi anni e forse in segreto coltivava sogni di riscatto o di restaurazione. 20 A. Mariutti, Organismo ed azione delle società segrete del Veneto durante la seconda dominazione austriaca in Miscellanea di storia veneta, Vol. III, Venezia, La R. Deputazione Editrice, 1930, p. 4. 19 Vienna scelse l’accentramento sia per le decisioni generali e di politica finanziaria e l’utilizzazione delle risorse che da tale politica derivavano, sia per la scelta delle persone che dovevano far funzionare la macchina amministrativa; si preoccupò che il Veneto venisse amministrato da veneti o comunque da elementi che provenissero da territori contigui all’area veneta. Si deve tenere presente, però, che le decisioni prese a Vienna erano dettate prima di tutto dagli interessi generali dell’Impero e solo in parte dalla preoccupazione per il benessere dei singoli territori: veniva concesso solo ciò che non poteva nuocere all’intero corpo dello stato asburgico. Sino al 1847 il contributo che i Veneti dettero all’erario imperiale fu di 18 milioni di fiorini convenzionali lordi, rimanendo costante per 34 anni e ciò dà il senso di una certa stabilità del sistema. Il capitolo delle imposte dirette era costituito da tre voci: l’imposta prediale cioè su terreni (terratico) e fabbricati (casatico), l’imposta sulle arti e sul commercio, l’imposta personale consistente in alcuni tipi di dazio di consumo: questa tassa fu particolarmente odiosa e molti veneti ne auspicavano l’abolizione. Fu sempre Figura 11. Gendarmi austriaci nel Lombardo-Veneto, 1832 di difficile riscossione e incise negativamente nei rapporti fra amministrazione e sudditi, in quanto, colpendo tutti, ricchi e poveri allo stesso modo, determinò un profondo malcontento, anche perché i metodi di esazione delle imposte tutte non erano particolarmente morbidi. Il gettito della prediale copriva in media l’87% dell’intero ammontare delle imposte dirette si trattava, quindi, della voce più importante nel bilancio dello Stato. La riscossione di questa tassa avvenne sempre con grande durezza e per ottenerne il pagamento si ricorse in qualche caso anche alle forze armate (Fig. 11); lo Stato non intendeva rinunciare alle somme che aveva stabilito di introitare. Inoltre, dava l’impressione alle masse che l’Austria fosse portatrice di giustizia per la pressione fiscale esercitata sulla possidenza, quindi sui ricchi. Condizione 20 necessaria per porre in atto una giusta politica fiscale riguardante la proprietà era la compilazione di un catasto moderno e in Veneto ancora non ne esisteva uno definitivo, ma data la necessità di ricavare comunque un gettito dalla proprietà fondiaria si procedette sulla base dei vecchi estimi del 1805 effettuati dalla precedente amministrazione austriaca. Durante il Regno napoleonico le operazioni di correzione degli estimi erano state portate avanti e si era dato inizio al censimento. Questa e altre tasse gravavano sulla classe dei possidenti cioè nobiltà e grossa borghesia e questo provocava grande malcontento. Ciò spiega in parte il fenomeno quarantottesco, in quanto ad esso hanno aderito (e in alcuni casi promosso) alcune fasce della possidenza, formandosi, così, uno spirito d’indipendenza e propaganda patriottica. Il biennio 1848-49 rappresenta una spaccatura nella politica amministrativa asburgica, non solo per il Veneto ma in generale per tutti i territori dell’Impero. A metà ’800 il processo di accentramento e l’imposizione fiscale dell’amministrazione finanziaria si fecero più marcati concentrando direttamente alle dipendenze del Ministero delle Finanze di Vienna anche il catasto e le imposte dirette, un centralismo, quindi, che costituiva contemporaneamente la forza e la debolezza dell’Impero. La politica fiscale asburgica nel Veneto si fece tanto più pesante quanto più difficile diventava la situazione generale dell’Impero e l’accentramento amministrativo facilitò lo sviluppo dello spirito avverso al dominio straniero, portando alla catastrofe la politica governativa di Vienna. Il Veneto si colloca come una delle zone più pesantemente colpite sul piano fiscale, soprattutto per quanto riguarda la prediale, ma anche come una delle regioni meglio amministrate, nella quale il rapporto fra il cittadino e il potere è meno teso di quello presente in altri territori. Da un confronto con la precedente amministrazione napoleonica, risulta che questa fosse più moderna e ispirata a presupposti tendenti a modificare profondamente la società, anche se la pressione fiscale non aveva nulla da invidiare a quella asburgica. 21 L’Impero governato da Metternich (Fig. 12), imponeva l’osservanza della sua legislazione al Regno Lombardo-Veneto a partire dal 1° gennaio 1816 introducendovi il Codice civile generale. Dal 1815 la supremazia austriaca in Italia sul terreno del diritto condizionarono la vita giuridica di molte regioni della penisola, costituendo un preciso punto di riferimento sulla codificazione iniziata sin dal Figura 12. T. Lawrence (1769-1830),, Klemens von Metternich, 1830 1753 da una Commissione di giuristi incaricata da Maria Teresa. 1.5.2. La pubblica istruzione con il coinvolgimento del clero Nell’istruzione pubblica il governo della Serenissima aveva tenuto in vita l’Università di Padova dopo la conquista del 1404 e aveva curato in parte gli studi ginnasiali, ma aveva completamente trascurato l’istruzione popolare. Nel 1797 esistevano poche scuole popolari e soltanto a Venezia. Il resto della popolazione viveva quasi tutta nell’analfabetismo sulla quale dominava la classe borghese e quella dei possidenti che provvedevano per proprio conto all’istruzione dei propri figli in scuole private o con maestri stipendiati. Il governo franco-napoleonico, che aveva proclamato antidemocratica l’ignoranza provvide all’eliminazione dell’analfabetismo con una legge del 1802 che affidava ai Comuni l’istituzione e il mantenimento delle scuole popolari. In pratica, però, non si fece nulla o quasi per la povertà dei bilanci comunali sui quali gravavano enormi prelievi finanziari destinati a far fronte alle immense spese di carattere militare. Migliore sorte ebbero, sotto la dominazione francese, le scuole ginnasiali pubbliche e private destinate all’istruzione della borghesia che proprio in quegli anni viveva il suo massimo sviluppo. Al momento del passaggio dalla dominazione francese a quella austriaca funzionavano nel Veneto quattro licei di cui uno a Padova. Il liceo napoleonico aveva carattere prevalentemente professionale adatto anche a coloro che 22 desiderassero avere un impiego e non proseguire gli studi all’Università. Il 22 novembre 1818 nasce la scuola elementare per tutti, obbligatoria, gratuita e graduale con anche scuole per ragazze. Poiché non esisteva ancora l’organico dei maestri saranno i preti, per intanto, ad insegnare. Fu di gran lunga la migliore degli Stati italiani di allora. Qui l’analfabetismo è del 42% contro la media nazionale del 68%. L’Austria mirava ad avere parroci bravi ed efficienti, impegnati come seri custodi dei valori. Con i moti del 1848, i migliori sacerdoti del Seminario e semplici parroci si trovarono in prima linea per ”liberarsi dallo straniero e avere una propria Patria”21, in realtà più per uno Stato veneto con Venezia che per l’Italia. In ambito religioso il clero subiva una forte sorveglianza e tutti i vescovi, di nomina imperiale, facevano capo rispettivamente all’Arcivescovo di Milano e al Patriarca di Venezia che appartenevano alla Corte di Vienna. Tale situazione era comune a tutti gli Stati asburgici in conseguenza del cosiddetto giuseppinismo. Si pone in evidenza che le misure attuate dagli austriaci per regolare la vita dei sudditi dell’Impero erano le stesse in tutti i Paesi soggetti direttamente o indirettamente a Vienna. Nel 1814 il capo del governo provvisorio per le province venete, istituì a Padova una Commissione ispettiva per redigere un rapporto sulla situazione dell’istruzione popolare. Fu incaricato anche il Rettore Franceschinis dell’Università di Padova per una relazione sulla situazione degli studi medi. I primi provvedimenti presi da Vienna interessarono dapprima le Scuole private che avrebbero potuto sussistere allineandosi, però, ai metodi ed ai programmi delle scuole pubbliche. Questo aspetto liberale ebbe i suoi riflessi nel rigoroso rispetto delle lingue e delle tradizioni popolari di tutta la popolazione dell’Impero asburgico e in forza di tale principio Vienna intervenne frequentemente con sussidi di ordine finanziario per incoraggiare iniziative locali. 21 Atti del Convegno di Conegliano, op. cit., pp. 98-280. Su questo argomento confrontare anche A. Lazzaretto Zanolo Clero veneto e clero lombardo nella rivoluzione del 1848, Vicenza, La Serenissima, 2000. 23 Per quanto riguarda le Università, il governo di Vienna, soltanto per le Università di Pavia e Padova istituì rispettivamente tre e quattro facoltà: filosofico-matematica, medico-chirurgico-farmaceutica, politico-giuridica e, solo per Padova, la facoltà teologica già soppressa da Napoleone. Il rettore e i presidi di facoltà erano eletti annualmente e curavano anche il rispetto del calendario da parte dei professori, per porre fine al lassismo in pratica durante la dominazione francese, quando le assenze e i ritardi erano consuetudine22. Il regolamento del 1818 segna il coronamento dell’opera di organizzazione degli studi del governo imperiale e un salto qualitativo rispetto alla precedente legislazione scolastica non solo nel Lombardo-Veneto ma anche nel resto d’Italia. Le scuole erano distribuite capillarmente e la frequenza era obbligatoria per i maschi e per le femmine dai 6 ai 12 anni. Nel regolamento si stabiliva che i maestri avevano anche il compito di insinuare agli scolari la gratitudine verso i parenti e l’amore verso l’arte secondo le proprie inclinazioni. Ma anche l’amore verso l’imperatore e la patria, l’obbedienza alle leggi, il rispetto ai magistrati e la riconoscenza a chi loro procurava una istruzione gratuita e cercava di nobilitare il loro animo. Gli imperatori austriaci (Fig. 13) fecero frequenti viaggi ufficiali nel Lombardo-Veneto anche per visitare le istituzioni scolastiche incoraggiando le autorità sul posto a Figura 13. Gli imperatori austriaci Francesco Giuseppe ed Elisabetta ”Sissi” curarle e elargendo aiuti e sussidi anche finanziari. A Padova rimase celebre la visita di Francesco Giuseppe e l’imperatrice Elisabetta ”Sissi” nel gennaio del 1857 al ginnasio ”Santo Stefano” e, da parte dell’imperatrice, alle scuole femminili. Purtroppo, però, la mancanza di maestri, la miseria dei bilanci comunali, la 22 Cfr. anche G. Berti, L’Università di Padova dal 1814 al 1850, Centro per la storia dell’Universitàdi di Padova, Antilia, Treviso, 2011. 24 difficile reperibilità dei locali, la negligenza di qualche amministratore e la indisponibilità delle famiglie che preferivano occupare i bambini nei lavori domestici, nelle campagne o nella pastorizia (Fig. 14) ma anche l’opposizione tenace di molti nobili e l’incuria di molti parroci crearono tali ostacoli che nessun governo sarebbe riuscito a superare, neppure ricorrendo ai più duri mezzi coercitivi. Il regolamento Figura 14. O. Recchione, vita campestre di fine Ottocento del 1818, quindi, appariva spesso inefficace o applicato solo parzialmente. Ma nonostante tutte queste difficoltà, l’amministrazione austriaca ottenne risultati soddisfacenti, soprattutto per quanto riguarda l’aver aperto l’insegnamento primario anche alle fanciulle, che precedentemente all’arrivo degli austriaci era riservato alle famiglie nobili e affidata a religiosi, facendo così maturare una nuova coscienza nei confronti della donna avviando il lento processo di integrazione nella società di quel tempo. Il Veneto era, ed è rimasto tale quasi fino al secondo conflitto mondiale, una regione a carattere prevalentemente agricolo, dominata dalla piccola e media proprietà, con le terre più fertili della pianura nelle mani della nobiltà e del clero coltivate a mezzadria. La mentalità dei contadini, mezzadri e piccoli proprietari, che costituivano la maggioranza della popolazione era chiusa e utilitaristica; la Figura 15. F. Ghittom, Studio e lavoro, loro coscienza era refrattaria ai problemi 1880 dell’istruzione (Fig. 15). Il regolamento imperiale prevedeva delle multe per chi non mandava i propri figli a scuola, ma 25 spesso rimanevano sulla carta, anche perché il governo austriaco preferiva che il popolo si avvicinasse spontaneamente all’istruzione. Ma a contribuire alla riluttanza delle famiglie era l’inadempienza delle amministrazioni comunali che in un certo qual modo la legittimava. Nel Veneto era radicato il pregiudizio che i figli della povera gente non avessero bisogno di andare a scuola in quanto per zappare la terra e fare altri lavori manuali bastava seguire la tradizione familiare. In realtà la miseria dei bilanci comunali era quasi sempre un pretesto mascherato dal pregiudizio. I possidenti borghesi o nobili erano gli unici a pagare le imposte e non volevano autotassarsi per procurare l’istruzione, ritenuta inutile e persino dannosa a chi non ne aveva bisogno. Preferivano spendere somme molto maggiori per procurare ai propri figli una istruzione domestica o in scuole private. Per quanto riguarda la tipologia degli studi, le scuole tecniche nel Lombardo-Veneto ebbero uno sviluppo modestissimo. Era convinzione generale del patriziato e della borghesia in generale in tutta la penisola che i figli delle famiglie ”per bene” dovessero avviarsi esclusivamente agli studi classici. Tale convinzione condizionò la scelta delle scuole in Italia quasi fino ai tempi nostri. Interessante fu l’osservazione dell’ambasciatore austriaco Hügel a Firenze nel 1849 per quanto riguarda tale scelta degli studi, il quale disse che i giovani di entrambi i sessi o erano analfabeti nella totalità o erano filosofi e letterati. Con il passaggio dalla dominazione austriaca a quella italiana, specialmente nel Veneto, subirono una restrizione anche le poche scuole serali e festive che erano sorte qua e là nei decenni precedenti, per iniziativa locale, in favore di apprendisti ai mestieri più diffusi, specialmente in agricoltura e la percentuale di analfabetismo andò aumentando. Fra le amministrazioni locali più restie a dare attuazione integrale al regolamento del 1818 sia per grettezza economica che per altre ragioni, non sempre in buona fede, si distinsero anche quelle padovane. Molto diversa era la condizione dei maestri elementari negli altri Paesi dell’Impero d’Austria e specialmente nella Prussia, dove alle espressioni di ammirazione e compiacimento del valoroso esercito, veniva dato il merito ai 26 maestri elementari per la preparazione del buono e valoroso soldato23. 1.5.3. La censura Anche nella seconda dominazione austriaca, molto pervasiva era la censura operata dal governo di Vienna24. Il Direttore generale di Polizia Sedlnitzky dava le istruzioni per operare sulla sorveglianza della posta (corrispondenze private e spedizioni), revisione retroattiva dei libri esistenti in commercio formando un indice dei libri proibiti non reso pubblico. Si intendeva salvaguardare la religione, favorendo l’ingerenza ecclesiastica negli affari di stampa, lo Stato e i buoni costumi; combattere la faciloneria, il cattivo gusto, le superstizioni e i maltrattamenti della lingua. Con la morte di Francesco I nel 1835 dopo 43 anni di regno e la successione di Ferdinando I, nessun cambiamento viene apportato alla politica degli Asburgo sempre sotto la guida del cancelliere Metternich. Il regime austriaco nel Lombardo-Veneto si era consolidato ma con gli effetti negativi del frazionamento territoriale che ostacolava i commerci, gli effetti disastrosi del ritorno dell’antica legislazione, la censura statale poliziesca e i privilegi di classe. Venezia decade sempre più, mentre Milano è la capitale del Regno e Trieste prospera essendo divenuta porto principale dell’Impero. A Venezia, malgrado ciò, la vita quotidiana si svolge operosa, silenziosa e pacifica forse a causa di una ”stanchezza storica”. Nella situazione di allora sarebbe stato troppo avventuroso e pericoloso ribellarsi alle forze armate presenti anche con i cannoni. Durante le feste il popolo veneto cantava devotamente e lealmente anche l’Inno Imperiale (composto da Haydn). Questi omaggi alquanto servili erano segni di gratitudine per i servigi reali. L’aristocrazia cittadina e terriera è leale all’Austria al contrario della nobiltà lombarda. Nel settore della cultura vi è la tendenza a tenere il passo con la vita 23 Atti del Convegno di Conegliano, op. cit., pp. 98-280. 24 Cfr. G. Berti, Censura e circolazione delle idee nel Veneto della Restaurazione, Venezia, Deputazione, 1989, pp.1-8; P. Preto, Censura e cultura nel Veneto austriaco, in Il Veneto austriaco 1814-1866, Treviso, Fondazione Cassamarca, 2000, pp.177-209. 27 intellettuale ed artistica d’Europa. Sin dal primo momento l’Austria aveva cercato di dare al Veneto un certo sviluppo nel settore artistico che si verifica soltanto nelle scuole d’arte a causa della pesante situazione economica che non aiuta la vita degli artisti; l’acquisto delle opere d’arte è quasi nullo. Il dominio francese aveva provocato lo scadimento di Venezia a città provinciale, ma aveva lasciato agli austriaci le scuole, i musei, le accademie che vengono conservati sostanzialmente nelle forme e strutture napoleoniche. Il Veneto rispetto alla Lombardia viene considerato dal governo austriaco più naturalmente legato ed integrato nel sistema geografico ed economico e ciò contribuisce anche a rinsaldare il legame politico25. 25 Atti del Convegno di Conegliano, op. cit., pp. 98-280. 28 CAPITOLO 2 ASPETTI SOCIO-CULTURALI DEL VENETO OTTOCENTESCO E PRIMA INDUSTRIALIZZAZIONE DI PIAZZOLA SUL BRENTA CON L’AVVENTO DEI CAMERINI 2.1. Lo sviluppo culturale Dopo la caduta della Repubblica di Venezia, il passaggio di Napoleone, la dominazione asburgica e infine l’annessione al Regno d’Italia la condizione delle masse contadine, nel Veneto, era assai misera e l’intera regione si trovava al livello più basso economicamente fra le zone del vastissimo comprensorio mediterraneo essenzialmente agricolo. Il paesaggio veneto alla fine dell’’800 era punteggiato da ville lungo le rive dei fiumi, dalle colline alle Prealpi con tutt’attorno una popolazione contadina condensata in borgate, casolari sparsi e in corti nella bassa: è lo specchio dell’ambiente socio-culturale. La modernità e il genio di teorie ed esperienze nuove in economia e in politica provenivano dai ceti ebrei e dalla borghesia di periferia che convivevano accanto alle élites aristocratiche della migliore tradizione veneziana di spirito conservatore e gelose dei diritti e privilegi, circondate da una popolazione cenciosa, affamata, pellagrosa e analfabeta. Ai confini del Veneto si spengono le grandi agitazioni sociali e i movimento anarchici non riescono a tramutare la staticità della situazione in uno stato di potenziale rivoluzione. È nell’Ateneo patavino che gli intellettuali andarono ad incrementare la folta schiera dei protagonisti del pensiero e delle battaglie risorgimentali. Con l’indipendenza dallo straniero, nel Veneto entra il soffio innovatore delle riforme amministrative; si moltiplicano club, giornali e partiti. Debolmente prende avvio una coscienza civica, si creano scuole, comizi agrari, cattedre 29 ambulanti. Questi fenomeni, però, non andranno oltre i confini dei capoluoghi cittadini e delle grosse borgate di campagna. Le classi dirigenti erano tese a difendere i privilegi acquisiti ed erano insensibili a promuovere ammodernamenti, rispecchiavano, pertanto, le condizioni di sottosviluppo della regione. Avevano buon gioco su una popolazione con basso livello di alfabetizzazione sottomessa da secoli alla servitù. Erano dentro nella maggior parte delle amministrazioni provinciali e comunali e vivevano consociate fra di loro in clientele e caste chiuse, quindi con una mentalità di tipo feudale, sorde e disattente alle istanze sociali, inerti di fronte a qualsiasi mutamento politico-amministrativo. In questa dirigenza sono quasi del tutto assenti gli imprenditori dell’industria e del commercio, le società operaie, i partiti e gli organi di stampa26. Nel XIX secolo la cultura veneta era piuttosto conformista che incline all’innovazione. Il confronto con la vicina Lombardia appariva schiacciante ma in ambito nazionale l’aspetto culturale del Veneto godeva, invece, di una buona posizione. Con l’avvento del Romanticismo, nel periodo iniziale sono tardivi e sporadici gli apporti alla cultura romantica e nella seconda fase, a metà Ottocento, molti scrittori veneti saranno, invece, in primo piano, fra i quali, il più importante del tempo, fu Ippolito Nievo (1831-’61) che si pose come narratore fra Manzoni e Verga. Nel 1848 l’Italia è un epicentro della grande ondata rivoluzionaria cosiddetta ”primavera dei popoli”. Nei Figura 16. Padova, 8 febbraio 1848 teatri, luogo pubblico principale della vita sociale, ogni occasione era un pretesto per inscenare forti manifestazioni patriottiche. Il moto dell’8 febbraio a Padova (Fig. 16) fu il prologo della 26 A. Gambasin, Parroci e contadini nel Veneto alla fine dell’Ottocento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1973, pp. 4-7. 30 rivoluzione nel Lombardo-Veneto. Esso si distinse per l’emergere di una prima organizzazione con una partecipazione di massa composta da studenti e popolani con una volontà di sfidare in modo risoluto e radicale i poteri dello Stato27. Nel 1883-’97 si ebbe un’emigrazione di massa verso i Paesi d’Europa e d’America (Fig. 17). Le ragioni non furono per motivi di ordine ideologico o politico, ma per la struttura coloniale e feudale dell’agricoltura in virtù della quale le Figura 17. Emigranti a Ellis Island, 1902 conseguenze delle crisi politiche o economiche provocarono nuove forme di pressione fiscale. Le emigrazioni di transoceaniche europee (Fig. spezzarono massa 18) ed abitudini ancestrali e scompaginarono tutto il sistema sociale. Questo fu il fenomeno più profondo che Figura 18. Il ponte di una nave ai primi del scosse il Veneto lungo tutta la sua Novecento. Gli emigranti salivano per sfuggire all'aria irrespirabile delle camerate comuni storia, lasciando intravedere un malessere sociale generale; negli anni neri dell’economia diverrà uno dei più forti mercati di esportazione di braccia umane, uno dei più vasti campi di deportazione di schiavi mediante l’iniquo inganno degli ingaggi e di tratta delle bianche destinate al servizio domestico in tutti i Paesi d’Europa. La popolazione veneta decimata dalla malaria, dal vaiolo, dalla pellagra, 27 C. Fumian, A. Ventura, Storia del Veneto 4. Dal 1650 al 1900, Roma-Bari, Editori Laterza, 2000, pp. 87-115. 31 viene quindi colpita da questa nuova ”febbre” che proviene dallo spirito di indipendenza e dal miraggio di arricchire; per gente indebitata, sul lastrico, condannata allo sfratto, alla ipoteca, l’emigrazione appare una liberazione. Nel Veneto non c’è stata un’industrializzazione tale da provocare l’urbanizzazione e la trasformazione in senso capitalistico della regione. Un fenomeno nuovo appare il ”centro urbano” come realtà sociale e religiosa, si forma nelle città di provincia cariche di tradizioni, luoghi di mercato e di affari come Vicenza, Treviso, Rovigo, Padova. 2.1.1. Il mondo contadino Verso la fine dell’’800 il contadino ha il culto della tradizione, riconosce un carattere sapienziale all’esperienza dei vecchi. La tradizione è sacra, intangibile, degna di rispetto; è la filosofia e il codice della vita familiare e sociale. L’ideologia sapienziale del contadino si attua nella famiglia patriarcale, dove il padre è perlopiù il rispettato signore, che comanda, dirige, dispone di tutto, dopo aver udito il consiglio dei fratelli se ne ha o dei figli maggiori (Fig. 19). Fuori della famiglia, il contadino diffida Figura 19. Famiglia contadina di Schio, seconda metà delle dell''800, Biblioteca comunale pubbliche istituzioni che gli impongono obblighi spesso ingiustificati e non gli garantiscono scuole, lavoro e assistenza sanitaria e che incombono su di lui con leggi favorevoli ai potenti, agli usurai e a tutte le categorie che lo condannano all’ipoteca, al pignoramento e alla fame. Le pubbliche istituzioni significano ceti borghesi, tributi, servizio militare, codice penale che consolidano e impongono un sistema di disuguaglianze da cui non c’è via di scampo. 32 Il contadino fa parte del mondo della natura con le sue forze benevole e avverse, ne conosce i cicli ma non sa spiegarne le leggi. Il suo giaciglio è la nuda terra, la stalla o il fienile (Fig. 20), si sente indifeso davanti all’incognito e Figura 20. Tugurio contadino, Italia centrale, 1890 all’imprevisto. Vede la morte come liberatrice dai tiranni: si piega impaurito alle forze della natura, ma si ribella, dentro si sé, alla prepotenza dei ricchi. In questo contesto psicologico si innesta la sua religiosità che guarda all’aldilà come a un mondo di pari e di giustizia, mentre nella realtà la ritiene liberatrice da ogni male. Ricorre al sacerdote persuaso che egli sia dotato di potere taumaturgico: il sacerdote personifica il divino e rappresenta il gruppo sociale. Documento della miseria disperante, più che una traccia di religiosità, sono le immagini dei santi che si trovano appese alle pareti delle stalle, ad una pianta, negli angoli delle case, nei crocicchi delle strade. Tra Padova e Bassano la socialità della religione acquista credito nei contadini dove non esiste il latifondo, la palude e i grandi affittuari. In queste terre i padroni sono paternalisti per filantropia o per convinzione cristiana. L’assenza dei giovani alle cerimonie devozionali non è indice di crisi religiosa ma una conseguenza della struttura economica che, come altrove nel Veneto, costringe uomini e giovani ai lavori nei campi e all’emigrazione. Schio e Valdagno, nel Veneto, sono gli unici esempi nei quali il ”centro urbano” coincide con una zona industrializzata; è fortemente presente un sentimento socialista dovuto anche alla presenza di club, partiti e sindacati e i parroci locali annotano che la fabbrica cambia costume e mentalità anche nelle giovani donne con fenomeni di adulterio, concubinato e separazioni coniugali in seguito all’uscita dall’ambiente familiare delle donne per l’impiego come 33 domestiche nelle case dei ricchi benestanti. Fino alla fine dell’’800 né gli avvicendamenti politici, né l’emigrazione riuscirono a mutare sostanzialmente la struttura e a indebolire la forza di attrazione che ebbero le parrocchie28. 2.2. Lo sviluppo industriale Nel contesto politico nazionale ed europeo, da pochi anni (1848) gran parte dell’Europa continentale stava attraversando una crisi rivoluzionaria per richiesta di libertà politiche e democrazia e l’Italia spingeva verso l’emancipazione nazionale. Massiccia fu la partecipazione dei ceti popolari urbani con presenza di obiettivi sociali accanto a quelli politici. Cresceva il ceto borghese attraversato da notevoli differenziazioni interne e tuttavia portatore di uno stile di vita e di un insieme di valori, tra questi la fede nel progresso generale dell’umanità che poggiava sull’imponente sviluppo economico e scientifico della seconda metà dell’’800. Sul piano culturale, il progresso scientifico diede origine a un nuova corrente filosofica, il positivismo, che diventò l’ideologia della borghesia in ascesa e influenzò tutta la mentalità dell’epoca (erano i tempi di Darwin e della sua teoria dell’evoluzione e della selezione naturale). Nel contesto generale, negli anni ’50 e ’60 dell’Ottocento vi fu un boom industriale: la seconda Figura 21. T.A. Edison inventa la prima rivoluzione industriale, con la rimozione dei lampadina a incadescenza, 1879 vincoli giuridici che ostacolavano le attività economiche, l’affermazione del libero scambio, la disponibilità delle materie prime con una stretta integrazione fra 28 A. Gambasin, op. cit., pp. 8-174. 34 scienza e tecnologia e fra tecnologia e attività produttive che si concentrò nelle industrie giovani: chimica, elettrica (Fig. 21), dell’acciaio. Diminuirono i tassi di interesse, con l’espansione del credito a favore degli impieghi industriali e lo sviluppo di nuovi mezzi di trasporto (navi a vapore, ferrovie) e di comunicazione (telegrafo). Caratteristiche salienti della seconda rivoluzione industriale furono l’invenzione del motore a scoppio, la produzione di energia elettrica e la trasformazione scientifica della medicina che contribuì a ridurre la mortalità, grazie a quattro fattori: prevenzione e contenimento delle malattie epidemiche attraverso la diffusione delle pratiche igieniste, identificazione dei microorganismi, progressi della farmacologia, nuova ingegneria ospedaliera. Iniziava in questo periodo in Europa un intenso movimento migratorio verso le aree industriali e verso i Paesi d’oltreoceano soprattutto verso l’America del Nord. Si diffondeva la figura dell’operaio di fabbrica, le cui dure condizioni di vita e di lavoro favorirono il formarsi di una coscienza di classe e delle prime associazioni operaie, capofila la Gran Bretagna. Alla metà del secolo in tutta l’Europa continentale erano i lavoratori della terra a costituire la grande maggioranza della popolazione attiva. Diversi furono gli effetti della privatizzazione delle terre: in alcune regioni la scomparsa del regime feudale lasciò il posto alla piccola e media proprietà, in altre andò invece a vantaggio dei grandi latifondisti. Ovunque, comunque, i lavoratori agricoli occupavano i gradini inferiori della scala sociale. Erano gli anni dell’affermazione in Germania di Bismarck, dell’ideologia della forza, della politica di potenza. In seguito mutò anche la congiuntura economica che indusse quasi tutti gli Stati europei a ripudiare la politica del libero scambio e ad accentuare le misure protezionistiche, quindi non più regime di libera concorrenza. Fu un importante periodo storico anche per la Gran Bretagna: con il lungo regno della regina Vittoria che portò al Paese notevole prosperità economica con una politica imperialistica volta anche ad aperture sociali la più 35 importante delle quali fu l’allargamento del suffragio29. 2.2.1. I primi villaggi operai sul modello delle company town Fu l’area anglosassone che per quantità e precocità di dibattito e di soluzioni offerte influenzò l’Italia ma anche la Germania e la Francia. Si può dire che la fase embrionale del primo villaggio operaio si ebbe nel 1784 in Scozia a New Figura 22. Villaggio operaio a New Lanark Lanark (Fig. 22) con cotonifici e prime case per gli operai. Successivamente, sempre in Scozia nel 1800, un consorzio guidato da Robert Owen dimostrò che il lavoro in fabbrica poteva coesistere con la dignità umana: prima forma di socialismo utopistico. In seguito anche in Belgio, nel 1818, George Legrand costruì presso Mons le prime case economiche a uso dei suoi operai, fino alla forma più compiuta nel 1844 di James Smith con il villaggio operaio di Stirling in Scozia. La fondazione e lo sviluppo del villaggio operaio come luogo residenziale dei dipendenti delle grandi industrie extra-urbane e, in più casi, dello stesso proprietario della fabbrica, è fenomeno tipico del XIX secolo e riguarda sia i temi dell’edilizia popolare, sia quelli dell’archeologia industriale. Istituzione imprenditoriale che esprime, nei casi principali, dichiarate intenzioni socioumanitarie, il villaggio operaio costituiva una comunità a sé, autosufficiente, regolata da sue norme interne e ispirata a criteri rigidamente moralistici. Esso partecipa così oltre che alla storia dello sviluppo industriale anche a quella delle teorie sociali ottocentesche, prestandosi a rappresentare emblematicamente uno dei più caratteristici luoghi d’incontro, frutto del compromesso tra interessi del 29 G. Sabbatucci, V. Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, Roma-Bari, Editori Laterza, 2011, pp. 17-116. 36 capitalismo industriale e tensione utopistica verso comunità ideali. Sono numerosi i villaggi operai fondati in Italia durante la seconda metà dell’Ottocento; tra questi spiccano, tutti legati a industrie tessili, Figura 23. C. Matscheg, 1864, Villaggio Rossi di Schio (VI), litografia il villaggio Rossi di Schio (Fig. 23), quello Leumann di Collegno e il Crespi di Capriate d’Adda (Fig. 24), il più importante con una fisionomia urbanistico-architettonica ancora intatta30. Figura 24. Villaggio Crespi, Capriate d'Adda (BG) 2.2.2. Piazzola sul Brenta: inizio dell’epoca cameriniana Piazzola condivide la misera sonnolenza delle campagne venete durante gli anni della grande crisi agraria. Le condizioni delle classi rurali e dell’agricoltura a Piazzola sono ”dissestate” come in qualunque altra parte della provincia padovana. Unici tratti distintivi a ricordarci che Piazzola era un borgo di qualche rilievo per ragioni geografiche era la presenza di spacci all’ingrosso di sale e tabacco con una delle più alte densità di bettole e osterie della provincia. Il primato negativo della sterilità dei terreni rimase fino all’avvento dei Camerini. Fino agli anni ottanta dell’Ottocento non vi fu mai una sola personalità fornita di doti imprenditoriali o di conoscenze tecniche in campo agrario. La Piazzola ottocentesca era un grappolo di case serrate attorno ad un’immensa e ormai cadente villa. Scorreva il fiume del secolo nuovo che voleva libero mercato della terra e spazio alle iniziative individuali. L’Ottocento piazzolese segna il timido avvio di una serie di eventi destinati a cambiare radicalmente la sua tradizionale immagine 30 Villaggi operai in Italia. La Val Padana e Crespi d’Adda, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1981, introduzione e pp. 75, 85. 37 di ”natío borgo selvaggio” tentando di modellarsi a borgo manifatturiero modello, tra risaie, boschi, ghiaie e sabbie, tra i cento canali sottratti ad un fiume a stento governabile, in una comunità scossa dall’andirivieni di nuovi ”Signori”, dai timidi risvolti delle vicende risorgimentali, dall’irrompere della famiglia Camerini, una nuova tappa nella vicenda storica di Piazzola destinata a durare quasi un secolo: il secolo dei Camerini. La storia della famiglia Camerini a Piazzola sul Brenta iniziò con la leggendaria vita del capostipite Silvestro (Fig. 25) nato a Castel Bolognese in provincia di Ravenna nel 1777 da un’autorevole ma decaduta famiglia del luogo che contava tra i propri antenati un architetto, Giovanni, al servizio del duca di Figura 25. G. Domenichini, Toscana nel 1500 e Francesco Saverio un missionario Silvestro Camerini, 1858 gesuita in servizio in Oriente nel tardo Settecento. Il padre era un possidente condotto sul lastrico da errate speculazioni che alla morte lasciò i sette figli nell’indigenza e privi di istruzione con un precocissimo orizzonte di duro lavoro31. Analfabeta, bracciante e custode di animali alla fine del ’700 Silvestro Camerini iniziò la sua inarrestabile ascesa sociale ed economica come cariolante e poi piccolo appaltatore per lavori di riparazione degli argini ferraresi e ravennati, attraversando, arricchendosi, il desolato Veneto della prima metà dell’’800 e traendo costantemente vantaggio dalle contingenze politiche. Investí prontamente tutti i suoi guadagni conquistando pezzo per pezzo migliaia di ettari facendo cadere nella sua rete le nobili, esauste spoglie di molte grandi tenute venete e veneziane, un banchiere che negli ultimi decenni di storia preunitaria tratta operazioni finanziarie con i governi e controlla esattorie e ricevitorie dal Po al Tagliamento e a cui spetterebbe un posto non secondario nella storia economica e finanziaria dell’Italia preunitaria. Ciò che caratterizza gli acquisti cameriniani è il 31 C. Fumian, La città del lavoro. Un’utopia agroindustriale nel Veneto contemporaneo, Venezia, Marsilio Editori, 1990, pp. 22-29. 38 bisogno di fornire garanzie a copertura degli appalti delle esattorie asburgiche. Gli acquisti di Silvestro non sono quasi mai seguiti da alcuna forma di intervento imprenditoriale in campo agricolo. Nel 1852 acquistò dai Correr-Giovannelli, eredi dei Contarini, la villa e un latifondo di circa 5000 ettari, un patrimonio di dimensioni regionali. Con una filantropica pioggia di denaro investí o creò congregazioni di carità, conventi, chiese, comuni, ospedali, istituti per cronici, per ”discoli” e per fanciulli. Decine di lasciti, legati, livelli, pensioni, borse di studio e doti per fanciulle ”disgraziate”. Grande accentratore, Silvestro governa una macchina potente: avvocati, notai e procuratori facevano parte della sua corte, ne proteggevano gli affari e ne godevano in margine risultati non secondari. La sua vita fortunata durò quasi mezzo secolo e non ricoprí mai cariche politiche32. Nel 1819 con la nascita di Luigi, figlio del fratello Paolo, il patrimonio della famiglia era già discreto e alla morte del fratello si occuperà dell’educazione del nipote, l’unico figlio morì in giovane età, facendolo entrare in seminario ad Imola che ben presto diventerà intollerabile per il giovane Luigi e successivamente, nel 1830, nel Collegio dei Nobili di Ravenna il più rinomato della Romagna. Ma non potrà continuare gli studi, al duca il nipote sembrava troppo istruito e per lui i letterati erano la peste degli affari. Al terribile zio, Luigi riuscirà solo a strappare il permesso di frequentare come uditore i corsi della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università una volta approdati a Padova che divenne il nuovo baricentro, dopo il Polesine, dei suoi acquisti di terre. Fu accusato di austriacantismo ma probabilmente fu un giudizio affrettato; per temperamento Silvestro credeva ciecamente nell’autorità, era religioso fino allo scrupolo e temeva il disordine. A Padova, oltre all’acquisto di Palazzo Bembo fondò l’importante Istituto agrario di Brusegana e costruì padiglioni ospedalieri. Negli ultimi mesi di vita si riconciliò con il nipote Luigi nominandolo suo erede universale, forse il più 32 C. Fumian, Possidenti. Le élites agrarie tra Otto e Novecento, Padova, Meridiana Libri, 1996, pp. 36-38. 39 grande patrimonio privato del Veneto valutato allora 24 milioni di lire e donando le proprietà ferraresi all’altro nipote Giovanni. Luigi sarà quindi alla guida di un patrimonio immenso ma gravato da complicazioni legali. Silvestro morirà a Padova nel 186633. Luigi Camerini; diversamente dallo zio dimostrò in gioventù un notevole interesse per la cultura umanistica e per gli ideali nazionali. Cercò di allargare la sua fortuna con nuovi acquisti ma anche con infruttuose partecipazioni azionarie e imprese speculative e commerciali, senza modificare i suoi rapporti con la popolazione rurale del suo ”feudo”. Volle assicurarsi il controllo della rete idrica ereditata anche perché ad essa erano collegate alcune attività protoindustriali già discretamente avviate. Luigi puntava più sulla lavorazione del prodotto greggio che sulla meccanizzazione, ciò gli consentì di arrestare la caduta della redditività dell’agricoltura determinata da una generale crisi che contribuì ad un rapido incremento dell’emigrazione italiana34. Con grande accortezza amministrativa Luigi saprà governare il patrimonio avviando nel contempo il complesso e dispendioso restauro della villa di Piazzola facendola diventare il centro gravitazionale dei possessi familiari. Le sue acquisizioni si espandono fino al controllo sull’intera, strategica rete idrica della zona. In lui è assente, però, ogni agrofila imprenditorialità e passione per la cultura tecnico-agronomica: continua quindi a prevalere la tradizionale coltura cerealicola a bassa produttività. dell’amministrazione Camerini La voce rimane principale delle produzioni dunque il grano in quantità ragguardevolissime data l’estensione dei possedimenti. Luigi si cimenterà anche in avventure navali nel clima di entusiasmo creato dall’apertura del canale di Suez nel 1869, ma che poi vedrà nel 1885 la liquidazione della società creata insieme a Vincenzo Stefano Breda e altri. Nel 1879 venne pubblicata a Padova dall’Associazione per il progresso degli studi economici una relazione dove risalta che a Padova manca la grande 33 C. Fumian, cit., 1990, pp. 29-34. 34 C. Fumian, cit., 1996, pp. 36-38. 40 industria e che la più grande è proprio quella di Piazzola, nuovo complesso industriale con l’unico filatoio della provincia, affittata dai Camerini al vicentino Giovanni Vaccari e dove trovano impiego 276 operaie, contro le 180 della filanda Trieste di Monselice. L’ultimo decennio del secolo racchiude gli anni del decollo economico di Piazzola, un progetto tecnicamente e finanziariamente di enorme portata. 2.3. Paolo Camerini e il decollo economico e sociale di Piazzola sul Brenta Il decollo economico e sociale di Piazzola sul Brenta fervida ”città ideale” rimane legato alla persona e all’opera del duca Paolo Camerini (Fig. 26) (1868-1937) figlio di Luigi. Giovane ambiziosissimo e colto ne disegna letteralmente le forme. Laureatosi in Economia Politica all’Università di Padova, venne influenzato dagli ideali socialisti che vi si respiravano nel clima culturale dell’Ateneo patavino che lo portarono a progettare di utilizzare la sua Figura 26. Paolo Camerini ingente ricchezza in funzione di una moderna azienda agricola idonea alla promozione sociale dei lavoratori della terra e al superamento delle tensioni di fine secolo tra capitale e lavoro. Un grandissimo fervore connota l’ultimo decennio del secolo a Piazzola. Cantieri ovunque e di ogni attività commerciale l’amministrazione Camerini era il punto focale. Si costruiva di tutto, tutto si riparava e rimodernava e un obbediente Consiglio comunale approvava piani e relazioni destinati a ridisegnare con geometrica regolarità l’intero territorio. Tra il 1891 e il ’92 si progettò il sistema viario e si iniziarono i lavori di ristrutturazione della filanda. Vi è una netta prevalenza delle spese di ”architettura” sulle spese ”industriali” in quanto numerosi furono gli interventi per la ristrutturazione urbanistica del borgo. Le spese industriali sono rappresentate da 41 una nutritissima serie di interventi prevalentemente legati alla sistemazione e creazione di fonti di energia. Si evidenzia che i laterizi necessari a così imponenti lavori provenivano dalla restaurata fornace (Fig. 27). È Figura 27. La Fornace importante ricordare che il settore dei materiali edili fu sempre ben presente negli orizzonti economici di Paolo Camerini, memore di come il prozio Silvestro era giunto alle vette della ricchezza. Il primo settore industriale in cui Paolo si lancia dal 1891 fu quello dei concimi chimici (Fig. 28). Era l’unica fabbrica del Veneto e quindi garantiva rapporti privilegiati con l’intero apparato di istituzioni agrarie pubbliche e private e pose Camerini Figura 28. Fabbrica concimi chimici nel circuito della nascente industria chimica italiana. Era il perno attorno a cui ruotava l’attività agricola di Piazzola che attorno al ’95 subiva un complesso processo di miglioramento attraverso il prosciugamento, l’eliminazione delle risaie e l’introduzione massiccia di prati e selezionati allevamenti equini e bovini. In una sorta di continuità economicamente ”virtuosa” venne ad associarsi anche una fabbrica di conserve alimentari: si andava costruendo un apparato produttivo di impianto agreste che si autososteneva e autoalimentava. Il grande polo manifatturiero che connotò la vita industriale di Piazzola fu lo jutificio (Fig. 29) che nacque per mano della ditta Scalfo e Pavan nel 1890 e fu uno dei pochi segnali di consistente risveglio economico della provincia, oltre ad essere uno stabilimento di risonanza nazionale. L’industria della juta aveva alle 42 spalle una storia breve e intensa che parlava inglese e narrava uno dei più tipici casi di incroci e conflitti economici tra colonie e madrepatria. prime Le esperienze tecnologiche vennero condotte in Inghilterra nel 1822, Figura 29. Jutificio successivamente, nel 1833, furono fondati i primi due stabilimenti per la lavorazione della juta. La fibra proveniva dall’India e la filatura incontrò serie difficoltà prima della scoperta di un trattamento a base di acqua e olio di balena. Dundee, in Scozia, divenne il principale centro mondiale per la filatura in quanto a quei tempi era uno dei principali centri britannici per la lavorazione e la raffinazione dell’olio di balena. Lo jutificio di Piazzola assolse a due funzioni vitali: garantire il materiale di imballaggio e impiegare manodopera in gran parte femminile, una programmata sociabilità piazzolese in quanto l’occupazione era legata all’assegnazione delle case coloniche-operaie oltre ad una garanzia di impiego part-time agricolo. Ma un forte ”temporale” si stava per abbattere sullo stabilimento. Costituita una società nel 1890, Camerini, due anni dopo, diventato socio di maggioranza acquisendo le quote del dimissionario Giuseppe Pavan industriale di Cittadella, si scontrò con i componenti fra i quali esponenti del notabilato economico e politico padovano e dirigenti delle acciaierie Terni per la cattiva gestione dello stabilimento e veniva accusato, a sua volta, di conflitto di interessi per la sovrapposizione di contrastanti ruoli. La vita dello stabilimento sembrava seriamente compromessa ma all’affacciarsi del 1900 l’orizzonte sembrava meno oscuro. Si pose rimedio senza ampliamenti, si cercò la collaborazione della Banca Commerciale: era pur sempre l’unico opificio del Veneto, in un mercato di sicura espansione. Nel 1901 la 43 fabbrica cadrà sotto il totale controllo dei Camerini. Nel 1902 venne consacrata la leggenda di Paolo Camerini a dieci anni dall’inizio della sua avventura di magnate industriale, uomo politico, grande bonificatore e instancabile benefattore che rimarrà a lungo oggetto di articoli del giornalismo padovano anche se, ad onor del vero, il consistente flusso di denaro elargito in beneficenza era in parte diretta conseguenza delle disposizioni testamentarie del prozio Silvestro. Grazie a questo, negli anni di fine secolo, all’amministrazione Camerini giungono decine di richieste, da parte di persone indigenti per vestiario o per funerali di congiunti. I Camerini tenteranno di porre un freno a questa emorragia di denaro imposta da Silvestro annullando alcuni pagamenti ed elargendo solo quelli d’obbligo perché costretti dal tribunale: infatti lunghe cause impegneranno gli eredi nel tentativo di sottrarsi a tale incombenza. Politicamente, Paolo non rifiuterà mai l’elezione a consigliere comunale in tutti i Comuni dove si estendono le sue proprietà: Piazzola, Stienta, Legnaro, Polverara, Mossano, Villafranca, Limena e in moltissimi altri comuni della provincia. Anche a Rovigo manterrà incarichi di rilievo a conferma della crucialità degli interessi polesani. Paolo Camerini signorilmente è a Piazzola solo consigliere comunale, anche se il suo controllo è ovviamente strettissimo. È presidente della commissione scolastica e sovraintende alle 15 scuole del centro e delle frazioni, alla costruzione di classi elementari, refettori, dormitori e bagni pubblici, le cucine economiche, il teatro e la Cassa di Risparmio, la palestra, il ricovero per anziani e case per le famiglie contadine-operaie in sostituzione dei vecchi inabitabili casoni (Fig. 30). Il radicale intervento demolitore di Camerini riguarderà prima di Figura 30. Casone veneto tutto le abitazioni di Piazzola e da ciò si vede come egli diede molta importanza all’igiene. Verranno costruiti anche villini per i dirigenti, un asilo infantile 44 d’avanguardia, un ambulatorio chirurgico e un circolo di riunione e gioco del tennis ad uso dei soci. Il flusso pedagogico si riversa costante sulla cittadina, sottoforma di opuscoli a cura dell’amministrazione Camerini. Agli operai spiega la necessità della previdenza per la vecchiaia tramite una Cassa nazionale, li spinge a riconoscersi nei valori patriottici, nel progressismo anticlericale. Scelse il 20 settembre per celebrare a Piazzola la festa del lavoro. La stampa locale esaltava le feste a Piazzola a vetta di mondana eleganza tra champagne e marrons glacés, gare ippiche e discorsi patriottici. Nel gennaio del 1901 Paolo Camerini divenne presidente della Cassa di Risparmio e a Padova, a quell’epoca, vennero costruiti i giardini pubblici, case e quartieri operai, il padiglione dermosifilopatico presso l’ospedale civile e, per sua iniziativa privata, il padiglione per i tubercolosi, la casa di ricovero e l’orfanotrofio femminile. Sarà l’ingegnere Giuseppe Trieste a sostituirlo alla presidenza della Cassa di Risparmio di Piazzola, l’unico possidente che potesse vantare a Piazzola tenute di una qualche estensione oltre a Camerini. Davanti ad una moltitudine di contadini analfabeti e pellagrosi non è un caso che Camerini progetti nel 1903 la costruzione di un lazzaretto. All’epoca la filantropia non era stucchevole carità pelosa come potrebbe essere ai giorni nostri. Le condizioni di vita e lavoro delle plebi rurali venete di allora beneficiavano di una reale portata modernizzatrice urbanistico-sociale ed è comprensibile il coro plaudente assai vasto e omogeneo nel culmine della avventura cameriniana. Nello stesso anno venne eletto in Parlamento per il collegio di Este ed entrò nelle file progressiste e fu un convinto sostenitore di Giolitti. Partecipò a molte battaglie politiche e parlamentari a favore dell’istruzione primaria e professionale gratuita, per l’abolizione dell’insegnamento religioso, per il suffragio universale e la riforma tributaria, per le autonomie comunali e per la difesa della lingua italiana all’estero. Il cuore dei suoi interessi politici rimase sempre l’agricoltura e numerosi furono i suoi interventi per le aree agricole e forestali, per la sistemazione dei fiumi, per l’insegnamento agricolo, per la lotta 45 all’afta epizootica. Paolo Camerini è tra i primi e più solerti ad offrire appezzamenti delle tenute di Legnaro e Piazzola per l’allestimento di campi sperimentali riguardanti la concimazione chimica. Piazzola sul Brenta è un nome che rappresenta tutto un programma di lavoro operoso, di iniziative applicate, dove il capitale si è lasciato guidare dalla scienza e dalla filantropia per la società e contro la miseria: insomma il ”villaggio ideale” era sorto grazie alla sua specialissima formula. C’è ammirazione per i vigneti, le risaie, le fabbriche di concimi e conserve alimentari, allevamenti di cavalli, le fornaci, tesori d’arte raccolti nel palazzo già Villeggiatura di Stato della Repubblica Veneta e un rinnovato parco. Piazzola era ammirata e appare come la più vitale dei piccoli centri padovani e forse veneti. La company town era la volontà di offrire tramite l’industria una organica via d’uscita al sottosviluppo rurale dell’Italia del tempo con il ricorso agli strumenti di pianificazione integrale cari all’industrialismo filantropico e colonizzatore. Il sogno industriale di Piazzola era non solo fondato sull’agricoltura ma ad essa dedicato. All’inizio del XX secolo in un paese di circa settemila abitanti così attivo, si affacciano sulle regolari ed ampie nuove strade abitazioni di medici, farmacisti e levatrici, di notai e ragionieri. Vi sono tre alberghi (Fig. 31) , numerosi caffè e trattorie, tradizionali botteghe, un noleggio carrozze e cavalli ed un veterinario. Ciò che risalta è un presenzialismo e un interessamento minuzioso e talvolta Figura 31. Albergo a Piazzola poi Municipio soffocante dell’”Amministrazione” e di Camerini stesso sui destini dei singoli e della comunità. Camerini porta ad esempio l’industriale e filantropo Alessandro Rossi di Schio, le cui case operaie diventeranno proprietà dei suoi operai, cogliendo l’aspetto più moderno dell’esperienza rossiana. Sono i due campioni del 46 paternalismo veneto, due imprenditori e disegnatori di paesaggi sociali che condividono però solamente la filantropia. Infatti, l’industriale scledense promuoveva preferibilmente forme di crescita interna di una cultura della fabbrica e dell’industria in contesti rurali ad alto tasso di morale controllata, mentre Camerini avviava un autarchico feudo agro-industriale merceologicamente e tecnologicamente assai povero, centrato su un unico fulcro erogatore di beni e benefici, impedendo la creazione di un minimo ”indotto” imprenditoriale nella popolazione e non consentendo forme di accumulazione e investimento diverse dal mero risparmio familiare. Siamo di fronte, però, a due diverse pedagogie sociali. Alessandro Rossi ricordava di essere stato operaio e di aver lasciato gli studi a 17 anni e di non aver comprato ”campagne e titoli di rendita, ma macchine e mattoni”. Quale specifica cultura industriale poteva davvero nascere e crescere tra contadini imprestati alla ”fabbrica”, ora tessitori di sacchi, ora scavatori di sabbia o ghiaia, ora manovali negli stabilimenti per la produzione dell’acido solforico, ora di nuovo affittuali e mezzadri?. Gli operai di Camerini erano uomini e donne forniti di una cultura più ”generale” e umanistica che tecnica, cittadini modesti operosi e fieri prima che lavoratori e, appunto, ”operai”. L’idea di ”economia sociale” di Paolo Camerini era quella di contribuire con la propria fortuna allo sviluppo e alla ricchezza dei singoli e della comunità, appoggiando ogni sana iniziativa nel campo industriale, retribuzioni eque, migliori condizioni di vita delle persone in età lavorativa e in vecchiaia. Questa, secondo lui, era la vera funzione della ricchezza privata, togliere ogni ragione di invidia fra capitale e lavoro che sfocia nella lotta di classe, avere come unico fine il bene comune. Questo era il sogno del giovane Camerini e questo volle realizzare nell’età adulta: una concezione etica del ”nuovo” proprietario, potenziale 35 depositario della soluzione C. Fumian, cit., 1990, pp. 8-115. 47 della questione sociale35. CAPITOLO 3 PIAZZOLA SUL BRENTA NEL ’900 3.1. Prima della Grande Guerra Alla fine del XIX secolo in Italia iniziò il decollo industriale con la costruzione di una rete ferroviaria, scelte protezionistiche e riordino del sistema bancario. Ciò provocò un aumento del reddito e un miglioramento del tenore di vita degli italiani. Cresceva, parallelamente, l’emigrazione, conseguenza di una sovrabbondanza della popolazione rispetto alle capacità produttive dell’agricoltura. Alla vigilia della Grande Guerra vi fu una radicalizzazione della politica con lo sviluppo del nazionalismo. Anche i cattolici acquisirono peso e nel 1909 fondarono il primo sindacato nazionale cattolico formato soprattutto da operai tessili. Nel 1910 esistevano in Italia 375 leghe bianche con oltre 100.000 iscritti concentrati in buona parte in Lombardia e Veneto. Tali organizzazioni riscossero un certo successo anche tra i lavoratori agricoli soprattutto piccoli proprietari e mezzadri Con le future elezioni del 1913, i cattolici italiani acquisirono una capacità di pressione sulla classe dirigente mai avuta fino ad allora. La presenza di oltre 200 deputati facenti capo a Ottorino Gentiloni (il firmatario del cosiddetto ”patto Gentiloni”), presidente dell’Unione elettorale cattolica rischiava di incrinare seriamente la fisionomia laica del Parlamento italiano36. Nel 1910 sulla stampa padovana si elogiava Piazzola come una grande azienda familiare dove l’azione della complessa amministrazione segue amorevolmente i singoli individui nei loro bisogni primari, ricordando i duemila operai e le dodici industrie. Tra il 1911 e il 1926 la produzione della filatura a 36 G. Sabbatucci, V. Vidotto, op. cit., pp. 236-239. 49 Piazzola era più che raddoppiata. La juta arrivava da Calcutta, collegata da linee mercantili dirette al porto di Venezia ed esportata poi in America ed Estremo Oriente. Nel 1911 fu inaugurata per la popolazione di Piazzola la linea ferroviaria privata Padova-Piazzola, prolungata nel 1923 fino a Carmignano di Brenta per meglio servire, a partire dal 1916, ad un cantiere di estrazione della ghiaia dal fiume Brenta nella zona Figura 32. Stazione di Piazzola di Carbogna. La stazione (Fig. 32) sorgeva a est della villa, da cui dipartivano un ordinato reticolo di brevi linee di raccordo con tutti gli stabilimenti. La ferrovia e gli impianti per la produzione dell’energia elettrica rappresentarono l’elemento più significativo del ”paese nuovo” (Fig. 33) che contemplava anche il progetto di costruzione di un porto fluviale. Il cardine del successo di alcuni impianti l’approvvigionamento era di materie prime, soprattutto la Figura 33. Piazzola nel 1914 pirite. Camerini avviò negli anni precedenti una costosissima e altrettanto fallimentare caccia mineraria nell’agordino e nel vicentino. Nei pressi di Torrebelvicino furono fatti gravosi e inutili lavori di scavo di una galleria; alla fine Camerini si arrese e nel 1914 cessò ogni lavoro di ricerca37. 37 C. Fumian, cit., 1990, pp. 83-124. Figura 34. Il re Vittorio Emanuele III a Piazzola, 1918 50 Durante la guerra del 1915-’18 Piazzola conobbe un lungo periodo di ristrettezze con quasi 400 persone chiamate alle armi e molti di loro non tornarono più. Dopo la soddisfazione per la conclusione del conflitto mondiale (Fig. 34) con il ritorno dei soldati alle loro famiglie, la comunità di Piazzola fu toccata dall’epidemia di febbre detta ”la spagnola” ma anche da tensioni sociali provocate dalla disoccupazione, dalla pesante inflazione e dalla rissosità politica con risvolti anche violenti38. La guerra era stata un’esperienza di massa senza precedenti e fece sentire i suoi effetti in ogni campo della vita sociale; tutti i valori tradizionali ne furono scossi. Il problema maggiore che i governi si trovarono di fronte fu quello dell’inserimento dei reduci e contemporaneamente iniziavano a diffondersi aspirazioni al cambiamento39. Nel primissimo dopoguerra, 1921, si inaugurò il ponte sul Brenta, tra Piazzola e Campo San Martino, fu un avvenimento patriottico trattandosi di un ponte requisito agli austriaci. Importante infrastruttura per l’intera zona, fu voluta e finanziata da Camerini in sostituzione delle vecchie chiatte su cui trasbordavano operai e merci40. 3.2. Gli anni del fascismo Tra il 1919-’22 il Veneto visse un’intensa stagione di lotte sociali nonostante, su scala nazionale, venisse spesso considerato statico e arretrato. Variegate appartenenze politiche si riscontrarono allora nel Veneto: ad esempio a Vicenza subito dopo la fine del conflitto vi fu un’amministrazione ”rossa”, nel trevigiano agì un forte movimento repubblicano, mentre tra i contadini del basso veronese e del basso padovano serpeggiarono fermenti anarchici. Padova e Venezia nel Veneto post-bellico rappresentarono quella parte del mondo contadino rimasto ai margini delle grandi lotte contrattuali del periodo giolittiano. 38 E. Reato, op. cit., pp. 32-33. 39 G. Sabbatucci, V. Vidotto, op. cit., p. 305. 40 C. Fumian, cit., 1990, p. 127. 51 Il fascio di combattimento padovano era stato tra i primi a sorgere nel Veneto e questo fu dovuto, ancora una volta, all’ambiente universitario permeato da una cultura nazionalista41: molti studenti erano stati ufficiali al fronte e ciò alimentava contrasti turbolenti tra la maggioranza degli studenti sulla questione della ”Dalmazia italiana”. Secondo Francesco Piva, il fascismo si configura inizialmente come un movimento di ceti medi della città (impiegati, intellettuali, insegnanti, liberi professionisti, tecnici), di estrazione democratica che hanno cominciato a muoversi autonomamente, alla ricerca della propria identità in contrapposizione alla borghesia dominante e al proletariato. Il primo fascismo delle due provincie ebbe influenza sull’intera regione con i connotati del fascismo di sinistra. La direzione del movimento fu assunta dai sindacati cattolici (leghe bianche, soprattutto a Cittadella, Camposampiero e Piazzola), e socialisti (leghe rosse) che ebbero molta difficoltà a ”contenere” il movimento stante il caroviveri, le insufficienze nei rifornimenti dei generi alimentari e la disoccupazione che sfociò in episodi di violenza contro i municipi e gli uffici pubblici. Nel 1920, si contarono nel Veneto almeno 45.000 lavoratori disoccupati e ciò diede il via a nuove forme di lotta: a Montagnana i disoccupati, appoggiati dalla Camera del Lavoro, iniziarono autonomamente opere pubbliche (arginature, strade) per costringere l’amministrazione statale a sborsare i finanziamenti42. L’affermazione del regime fascista (1922-’45) portò alla soppressione a Piazzola delle pur modeste libertà e istituzioni democratiche consentite dall’onnipotente duca Camerini e la loro sostituzione con iniziative miranti al controllo sistematico del Comune, dell’istruzione ed educazione dei giovani, delle attività ricreative spesso in concorrenza con quelle parrocchiali43. Ascesa e declino della Piazzola industriale seguiranno la parabola dei Camerini: negli anni trenta del Novecento i colpi della crisi finanziaria e una 41 Sulla cultura del nazionalismo padovano cfr. G. Simone, Il Guardasigilli del regime. L’itinerario politico e culturale di Alfredo Rocco, Milano, FrancoAngeli, 2012. 42 F. Piva, Lotte contadine e origini del fascismo,Venezia, Marsilio Editori, 1977, pp. 9-286. 43 E. Reato, op. cit., pp. 32-33. 52 insostenibile situazione debitoria costringeranno al disimpegno l’imprenditore, alla dissoluzione dei suoi ambiziosi progetti con il conseguente avvio della smobilitazione o della vendita dei sopravvissuti impianti tessili e chimici e con l’alienazione di larghe, crescenti quote delle vastissime proprietà terriere. Nel 1928 Piazzola era ancora uno strategico ganglio industriale, le due più grandi industrie della provincia padovana erano lo jutificio di Piazzola e la fabbrica di seta artificiale di Padova. Lo jutificio per mancanza di smercio del prodotto lavorava 3 giorni alla settimana e nel 1930 l’industria chimica piazzolese verrà ceduta alla Montecatini che preferirà, però, tenere inattivi gli impianti; il destino del feudo agroindustriale era definitivamente segnato. Negli anni Trenta, il duca era ancora un personaggio ingombrante per il fascismo, specialmente locale. Restò estraneo al regime fascista, anche se in politica estera fu interventista sia per la guerra di Libia come per la guerra del 1915-’18. Il prefetto di Padova, nel marzo del 1933, tentò una disperata difesa del duca Camerini, descrivendo la sua azione come squisitamente dedicata al settore primario e il duca stesso come un pioniere dei miglioramenti agrari, marcando il suo stile di vita modestissimo. Piazzola rimase gelosa delle proprie specificità tant’è che anche gli incaricati dal Prefetto di Padova su indicazione del Partito Nazionale Fascista (i suoi affari finivano sul tavolo di Mussolini), di amministrare le proprietà Camerini, agirono sempre sotto l’influenza dello stesso duca. Farla pagare a Camerini significava disoccupazione per centinaia di famiglie, con possibili rivolte, disordini e lotte politiche. Camerini si identificava con i valori di autorità ma non con il fascismo ed è naturale, quindi, che le gerarchie locali oscillassero tra l’insofferenza e l’antica deferenza: egli comanderà sulle sue terre fino all’ultimo. Si era illuso di salvare la campagna, gravata da una schiacciante imposta patrimoniale, con i proventi dell’industria e l’infido aiuto delle banche nei cui uffici finanziari finirà l’antico sogno. 53 Lo jutificio ormai è vicino al collasso e due anni dopo, nel 1935, un gruppo di operaie scriverà una lettera a Mussolini per denunciare i malfattori che all’interno dell’amministrazione le affamano. Ciò che minacciava l’intera opera cameriniana e le sue realizzazioni agricole e industriali era, come detto, l’imposta patrimoniale. Gli anni fra le due guerre furono segnati da un lento e inarrestabile declino delle fortune piazzolesi di Paolo Camerini e conseguentemente del suo patrimonio, sullo sfondo della generale crisi economica degli anni ’30 che provocò anche a Piazzola un clima di forti tensioni tra maestranze e dirigenti dell’azienda. In quella conflittualità politica, la crisi di Piazzola assunse un carattere irresolubile. La sconfitta di Paolo Camerini, con il successivo isolamento, fu accolta con preoccupata soddisfazione sia dalle autorità locali che nazionali con un sentimento di ostilità nei confronti delle difficoltà del complesso industriale piazzolese: veniva piegato un infido alleato che aveva precorso in linea generale la politica fascista con complesse attività assistenziali e che poteva vantare diritti di primogenitura rispetto a numerose iniziative dello stesso fascismo. Paolo Camerini morirà a Piazzola il 18 novembre 1937 (Fig. 35). L’eredità raccolta dal figlio Luigi Silvestro (Fig. 36) risultò molto ridimensionata ed Figura 35. Corteo funebre per il duca P. Camerini, 1937 esposta ad una imminente dissoluzione. Qualche anno dopo, a causa della recessione, il Figura 36. L.S. Camerini, ritratto industriale della cittadina sarà più vicino ai Padova 1906-Ischia 1991 54 prodromi sei-settecenteschi che al progresso cameriniano. In un corposo volume celebrativo sulle glorie industriali della città di Padova in occasione della Fiera campionaria, colpevolmente, dell’epoca cameriniana non si farà alcuna menzione. Molti stabilimenti sopravviveranno stancamente fino al secondo dopoguerra: la filanda verrà chiusa nel 1949 e, nello stesso anno, la piazza sarà ceduta al Comune44. Cancellata dalla memoria industriale del Veneto contemporaneo, Piazzola torna ad essere uno dei molti dintorni di Padova ad alta densità artistica. 3.3. Fine dell’epoca Camerini Negli anni 1940-’45 durante la seconda guerra mondiale, Piazzola pagò un pesante tributo di quasi un terzo della popolazione maschile chiamata alle armi, requisizioni di grani e bovini con sofferenze pagate esclusivamente dalle famiglie operaie. Dopo la caduta del regime fascista, il clima si inasprì e Piazzola si trovò ben presto occupata dalle truppe tedesche che si insediarono nella villa Camerini45. Nel 1942 Luigi Silvestro partì per l’esilio a Ponza condannato a cinque anni di confino per aver manifestato opinioni contrarie all’Asse, al Regime e alla guerra in Libia. Ciò complicherà anche la vita di chi resta indebolendo ulteriormente l’amministrazione46. Negli anni ’50 il problema più grave per Piazzola fu tuttavia costituito dalla liquidazione del patrimonio del duca Luigi che portò a manifestazioni di grave tensione e di esasperazione attenuate dall’intervento della Cassa per la Piccola Proprietà Contadina che anticipò le somme richieste, consentendo ai contadini piazzolesi che da molte generazioni avevano lavorato le terre dei Camerini, di esercitare il diritto di prelazione e di diventarne finalmente proprietari. La crisi economica investì progressivamente anche la Filanda chiusa nel 44 C. Fumian, cit., 1990, pp. 4-140. 45 E. Reato, op. cit., pp. 30-107. 46 C. Fumian, cit., 1990, p. 132. 55 1949, la Montecatini chiusa nel 1959 e lo Jutificio-Canapificio chiuso nel 1978, mentre le Fornaci passarono prima alla famiglia Meneghini di Verona e successivamente ad altra proprietà. Fortunatamente, il nuovo clima creatosi con la liquidazione del ”feudo” dei Camerini, aprì la strada ad una discreta rete di nuove iniziative artigianali (Figg. 35-39), industriali e commerciali che consentirono di superare gli ”anni neri” 1945-’75 e di aprire la società civile a nuove esperienze grazie allo sviluppo dell’istruzione professionale e tecnica47. Figura 35. Riqualificazione ex-jutificio Figura 36. Riqualificazione ex-jutificio Figura 37. Riqualificazione ex-jutificio Figura 38. Riqualificazione ex-jutificio Figura 39. Fiorente mercato dell’antiquariato 47 E. Reato, op. cit., pp. 30-107. 56 CONCLUSIONI La storia di Camerini e del villaggio modello di Piazzola ha degli elementi portanti che conducono altrove, ad altri luoghi e temi. La dinastia imprenditoriale dei Camerini è stata protagonista di un processo di nobilitazione della borghesia. Resta ancora da capire la natura profonda dell’esperimento cameriniano. Due sono i valori condizionanti su cui si fonda la specificità di Piazzola: compattezza del programma agroindustriale e paternalismo. Il paternalismo industriale è dunque il protagonista delle forme di pianificazione territoriale e sociale in epoche a bassa rappresentanza sindacale, precedenti allo Stato assistenziale. Nei numerosissimi esempi di model company town non si trova un caso come quello piazzolese, così esplicitamente fondato sull’agricoltura come motore produttivo, con attenzione, quindi, a non spezzare i legami che la manodopera conservava con le proprie origini rurali. Piazzola aveva in sé gli estremi: molto più industriale di qualunque città modello e molto più rurale di qualunque company town48. 48 C. Fumian, cit., 1990, pp. 145-149. 57 BIBLIOGRAFIA ATTI DEL CONVEGNO DI CONEGLIANO in collaborazione con l’Associazione Italia-Austria, I problemi dell’amministrazione austriaca nel Lombardo-Veneto, Conegliano Veneto, Comune di Conegliano, 1981. 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La tesi di laurea, infatti, al pari di qualunque altra espressione del lavoro intellettuale dell’autore, è meritevole di tutela non appena viene creata e riceve espressione in forma compiuta, indipendentemente dal fatto che essa venga effettivamente pubblicata e resa disponibile al pubblico. Sentenza del tribunale di Perugia del 22 febbraio 1995 n. 25:”La riproduzione pressoché integrale di altrui tesi di laurea costituisce contraffazione di questa”. La tesi di laurea non può essere consultata né utilizzata da eventuali interessati senza il consenso del laureando/ato, titolare dei relativi diritti di autore morali e patrimoniali. Questi ultimi permangono in capo all’autore anche se una copia del testo viene ceduta o spedita, perché, secondo l’art. 109 della succitata Legge:“La cessione di uno o più esemplari dell’opera non importa, salvo patto contrario scritto, la trasmissione dei diritti di utilizzazione”. Il laureando/ato conserva anche il diritto di ritirare la pubblicazione, qualora ricorrano “gravi motivi morali”, con l’obbligo però di risarcire i danni a coloro che hanno acquistato i diritti di riprodurre, diffondere, eseguire, rappresentare o spacciare l'opera medesima (art. 142). 61