judaica - Aracne editrice

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JUDAICA
COLLANA DI STORIA, LETTERATURA E CULTURA EBRAICA

Direttore
Myriam S
Università Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Comitato scientifico
Roberto B
Hebrew University di Gerusalemme
Elèna M
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Kenneth S
Università di Haifa
Giuseppe V
Università di Halle–Wittenberg
JUDAICA
COLLANA DI STORIA, LETTERATURA E CULTURA EBRAICA
La collana intende promuovere studi di storia, cultura, pensiero e
letteratura ebraica, nella consapevolezza delle pluralità di declinazioni
dell’ebraismo, nelle varie aree geografiche e nel corso della sua storia.
Attenzione particolare sarà dunque riservata ai saggi che privilegiano
l’interazione della tradizione ebraica con il contesto in cui questa si
sviluppa e alle personalità che hanno innovato il panorama della storia
del pensiero e della filosofia, elaborando anche fonti ebraiche, e alla
pubblicazione di documenti storici e letterari inediti. Largo spazio
verrà riservato ai nuovi studi prodotti in prestigiosi Centri di ricerca su
ebrei ed ebraismo in Europa, Stati Uniti e nelle accademie e università
israeliane.
Esilio e persecuzione
Exil et persécution
Sguardi incrociati su ebrei e ugonotti
a cura di
Myriam Silvera
Contributi di
Eckart Birnstiel
Hans Bots
Dominique Bourel
Harm Den Boer
Yosef Kaplan
Bertram Schwarzbach
Myriam Silvera
Myriam Yardeni
Aracne editrice
www.aracneeditrice.it
[email protected]
Copyright © MMXVI
Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale
www.gioacchinoonoratieditore.it
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via Sotto le mura, 
 Canterano (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: novembre 
Indice
9
Ebrei ed ugonotti: alcuni spunti di riflessione
Myriam Silvera
23 Ordine e disciplina all’interno della Sinagoga portoghese di
Amsterdam
Yosef Kaplan
41 Persécution et élection aux alentours de la Révocation
Myriam Yardeni
53 La question de la tolérance à l’égard des Juifs étudiée à travers
les journaux de Hollande
Hans Bots
67 La controverse religieuse d’Abraham Gómez Silveira
Harm den Boer
81 Le martyre comme indicateur d’humanité
Bertram E. Schwarzbach
133 Deux minorités pour une modernité: Juifs et Huguenots à
Berlin au XVIIIe siècle
Dominique Bourel
143 L’Église huguenote de Berlin et les Juifs (XVIIe - XIXe siècles)
Eckart Birnstiel
159 Gli Autori
7
Ebrei e ugonotti: alcuni spunti di riflessione
MYRIAM SILVERA
∗
Quando, dopo la Revoca dell’editto di Nantes (1685), gli ugonotti
fuggono dalla Francia, trovano – in alcune delle città in cui si
stabiliscono – una consistente e organizzata presenza ebraica. È il
caso – ad esempio – delle comunità sefardite di Amsterdam e di
Amburgo. I due gruppi, ebrei e ugonotti, hanno sofferto persecuzioni,
soprusi, prigione e morte. Gli uni nella Penisola iberica, gli altri in
Francia. Condividono una comune denuncia contro la politica di
intolleranza affermatasi nel loro paese di origine, e con comune
preoccupazione seguono la sorte degli ex-correligionari che
permangono nei paesi della persecuzione, in costante pericolo e
costretti a simulare adesione a un culto imposto con la forza:
“nouveaux chrétiens” gli uni, “nouveaux catholiques” gli altri.
Le prospettive storiografiche che hanno orientato gli studi a proposito dell’una o dell’altra minoranza sono tuttavia molto diverse. La
forte corrente che ha posto al centro dei suoi interessi l’apparato
dell’Inquisizione, i suoi processi e le sue sentenze, allo scopo di rivedere criticamente il cripto-giudaismo dei christianos nuevos, cioè degli ebrei convertitisi al cattolicesimo, ha praticamente dominato nel
panorama degli studi relativi alle persecuzioni anti-ebraiche in Spagna
e alle sue conseguenze1.
Docente di Storia e Cultura degli ebrei in età moderna presso l’Università degli Studi di
Roma Tor Vergata.
∗
1
Ci limitiamo a richiamare come termine a quo il repertorio bibliografico e critico di G.
NAHON, Les Marranes espagnols et portugais et les communautés juives issues du
marranisme dans l’historiographie récente (1960-1975), «Revue des Etudes Juives» 1977, 34, pp. 297-367; 344-356. La seconda edizione di A.J. SARAIVA, Inquisição e Cristãos-Novos,
Lisboa 1985 (I ed.1969), contenente le testimonianze del suo dibattito con Révah; le stesse
sono riprese, in traduzione inglese, in Id., The Marrano Factory. The Portuguese Inquisition
and Its New Christians 1536-176, translated, revised and augmented by H.P. Salomon and
9
10
Myriam Silvera
Questo settore della produzione scientifica non trova né somiglianze né paralleli nel caso dei nouveaux catholiques. Siamo dunque di
fronte a un diverso approccio che ci consente di vedere un po’ più da
vicino il tema che ci interessa.
Sono individuabili, in effetti, diverse circostanze che hanno consentito una maggiore perseveranza dei protestanti francesi nel loro culto,
così come vi sono profonde diversità sui modi e soprattutto sui tempi
in cui le conversioni sono avvenute, nel caso degli ebrei e nel caso degli ugonotti. Sappiamo che il processo che dilania la comunità ebraica
spagnola, sottoposta a violente spinte conversionistiche, viene riportato già al primo quarto del XIV secolo, per raggiungere con le violente
persecuzioni del 1391 una delle sue punte massime. Al tempo della
Revoca dell’Editto, si trovano dunque nella penisola iberica discendenti di conversos da diverse generazioni.
Emergono così, dal problema dell’approccio storiografico da cui
siamo partiti, somiglianze e differenze, ma, soprattutto, la possibilità
di inquadrare il nostro oggetto di studio in modo diverso, di vederlo
secondo una nuova angolatura. Il confronto – quando fondato – può
mettere in luce potenzialità inespresse, inesplorati sentieri di ricerca e
di lettura. E veniamo con ciò precisamente al principio che ci ha ispirato nell’organizzazione di questa raccolta di saggi: ci siamo proposti
di studiare le affinità, di analizzare le differenze all’interno delle somiglianze, ma, soprattutto, di allargare le nostre prospettive, scambiandoci, da storici del protestantesimo e da storici dell’ebraismo, i risultati dei nostri studi reciproci.
I.S.D. Sassoon, Brill, Leiden 2001. Vedi ancora I.S. REVAH, Uriel da Costa et les marranes
de Porto. Cours au Collège de France 1966-1972, édition presentée et annotée par Carsten L.
Wilke, Centre Culturel Calouste Gulbenkian, Paris 2004; in particolare la parte relativa ai
processi dei familiari di Da Costa, dove lo storico mette a punto una sorta di controprova per
rispondere alle obiezioni di Saraiva e di quanti negavano legittimità al marranesimo. Per le
forme di religiosità dei cripto-giudei v. D. GITLITZ, Secrecy and Deceit. The Religion of the
Cripto-Jews, University of New Mexico Press, Albuquerque 2002. Si veda inoltre: M.
SILVERA, “Nuovi cristiani e marrani. Alcune prospettive storiografiche su cui rimeditare”, in
L. VACCARO (a cura di), Storia religiosa degli Ebrei d’Europa, Fondazione Ambrosiana,
Gazzada 2013, pp. 115-154; in cui accenno a diverse modalità di interpretazione del
marranesimo, citando i lavori di D. Graizbord, di N. Wachtel, di M. Kriegel e di N.
Muchnick. Recentemente ciascuno dei tre ultimi studiosi citati ha pubblicato nuove ricerche
sull’argomento.
Ebrei ed ugonotti: alcuni spunti di riflessione
11
Passiamo ora ad una seconda esemplificazione, comparando questa
volta alcuni aspetti della produzione culturale e filosofica in ciascuno
dei due ambiti. Pensiamo al grosso contributo degli ugonotti alla riflessione sull’idea di tolleranza e di libertà di coscienza. All’interno
del mondo sefardita è difficilmente reperibile un analogo impulso2.
“Per approssimazione”, tuttavia, una larga approssimazione, potremmo volgerci al modo in cui autorevoli personalità dell’ebraismo del
XVII secolo si confrontano – attingendo alle fonti della tradizione
ebraica – con il tema del rapporto con il mondo dei Gentili e con il
problema del riconoscimento di un culto e credo diversi. La teorizzazione del diritto alla libertà di culto, pare divenire, in questa “traduzione” – che risente della mancata autonomia politica degli ebrei –, la
difesa dell’estensione dei privilegi del popolo ebraico ai «giusti e pii
delle Nazioni del mondo», vale a dire a coloro che osservano i precetti
noachidi3. La riflessione dei Maestri all’interno delle fonti talmudiche
diviene dunque il cardine su cui fondare la giustificazione dei “diritti
dell’altro”. Sebbene il pensiero degli ugonotti sia profondamente nutrito di riferimenti alla Bibbia, permane la differenza tra la riflessione
politica degli ugonotti e la riflessione teologica dei sefarditi. Una seconda differenza, alla prima correlata, pare risiedere nell’indicazione
delle circostanze storiche in cui questo pensiero dovrebbe tradursi in
realtà, o, per meglio dire, nella indicazione del tempo del suo compimento. La proposta ebraica non è relativa al “qui ed ora”, ma ad un
2
Diverso il caso di A.G. Silveira che scrive nel XVIII secolo avanzato e che risponde al
dibattito già da diverso tempo in corso in Olanda. Si veda l’articolo di H. DEN BOER qui pubblicato e H. MECHOULAN, "La liberté de conscience chez les penseurs juifs d’Amsterdam au
XVIIe siècle", in La liberté de conscience (XVIe-XVIIe siècles) Actes du Colloque de Mulhouse et Bâle (1989), réunis par Hans R. Guggisberg, Frank Lestringant et Jean-Claude Margolin, Droz, Genève 1991, pp. 217-233. Anche in questo caso, tuttavia, si tratta – scrive Méchoulan – di una riflessione more judaico.
3
Con le opere di Menasseh Ben Israel si ha la più completa (e avanzata) teorizzazione di
quest’apertura, v. MENASSEH BEN ISRAEL, De la resurreccion de los muerto, libros III. En los
quales contra los Zaduceos se prueva la immortalidad del alma, y Resurreccion de los
muertos. Las causas de la Resurreccion se exposen, y del juizio final, y Reformacion del
mundo se trata, en casa, y à costa del autor, Amsterdam año 5396 de la criacion del mundo
[1636] , libro II, capitolo 8, e soprattutto Id., Piedra gloriosa o de la Estatua de
Nebuchadnesar. Con muchas y diversas authoridades de la S.S. y antiguos sabios,
Amsterdam 5415 [1655]. Di questa seconda opera si veda la traduzione francese, con
commento e note, di M. Hadas-Lebel e di H. Méchoulan (Vrin, Paris 2007). Il tema è
approfondito anche in S. RAUSCHENBACH, Judentum für Christen. Vermittlung und
selbstbehauptung Menasseh ben Israels in den gelehrten debatten des 17 jahhunderts, De
Gruyter, Berlin 2012.
12
Myriam Silvera
tempo futuro. Privi di potere politico e giurisdizionale, e anche quando
si trovano in buone relazioni con il contesto circostante, gli ebrei sembrano soprattutto riflettere sull’incontro con il mondo dei Gentili
all’epoca del loro riscatto storico-nazionale, essenziale premessa dei
tempi messianici.
Sempre a proposito di scelte politiche, non possiamo non riflettere
sulla totale assenza da parte ebraica di inviti alla ribellione armata nei
confronti del sovrano persecutore, sollecitazioni che caratterizzano la
produzione esegetica di una parte del Refuge e dei pastori del Désert.
Luigi XIV è per esempio per Pierre Jurieu una personalità con una
precisa fisionomia, e con un profilo storicamente determinato. Il nemico d’Israele, per contro, non è più un singolo individuo, ma una
complessa stratificazione di nemici di epoche diverse, tipologicamente
racchiusi dentro “Edom” (la Roma imperiale e poi cristiana del Talmud). È vero che la rappresentazione tipologica è propria anche degli
ugonotti, si pensi ai frequenti e costanti richiami all’Anticristo. Ma,
mentre il tipo dell’Anticristo si incarna nel re malvagio, attraverso
un’operazione che va dall’astratto al concreto, il procedimento ebraico
pare andare in direzione opposta: Ferdinando ed Isabella, infine quasi
spogliati della loro fisicità, vanno ad “accrescere” il nemico di tutti i
tempi. Stante le risorse umane è dunque impensabile un combattimento “materiale” contro questo plurisecolare tiranno. Ancora una volta il
problema della risposta da opporre ai suoi soprusi è rimandato
all’epoca messianica, quando il Signore vendicherà – in un atto unico
– la distruzione del primo e del secondo Tempio, i martiri delle crociate, la cacciata degli ebrei dalla penisola iberica, i roghi
dell’Inquisizione...
Eppure, i temi ed il linguaggio utilizzati dagli ugonotti sono molto
vicini alla sensibilità e alla cultura ebraica: l’antica storia di Israele
viene da essi rivisitata e incorporata all’interno del corso degli avvenimenti che li riguardano, un atto di “appropriazione” che conferisce
peculiare forza alla loro affermazione identitaria. I difensori della legittimità della ribellione armata contro il sovrano francese si richiamano alla persecuzione di Antioco Epifane e alla ribellione dei Maccabei. Ma quale è la sorte del libro dei Maccabei all’interno della storia ebraica? È precisamente indagando su questo che possiamo davvero cogliere il solco che separa il mondo ebraico e quello di una parte
degli ugonotti. Certamente sfondo ideologico della rivolta di Bar
Ebrei ed ugonotti: alcuni spunti di riflessione
13
Kochvà contro Adriano4, questo libro, dopo le massicce sconfitte subite in quell’occasione, sembrerebbe aver richiesto una rilettura da parte
della tradizione rabbinica. L’esempio dei Maccabei potrebbe essere
stato “corretto e mitigato” attraverso la festività ebraica di Hanuccà, a
quegli stessi avvenimenti consacrata. In questa festa si celebra sì la
vittoria militare di una guerra intrapresa contro il tentativo di forzata
assimilazione religiosa, ma si commemora anche – tramite
l’accensione delle luci – il segno del miracoloso intervento del Signore nella storia ebraica. L’enfasi sul miracolo dell’olio, servito alla riconsacrazione del Tempio, e bastato straordinariamente per otto giorni, sollecita a riflettere su quanto l’intervento divino sia essenziale nella storia umana, e invita al tempo stesso a temperare la fiducia nelle
forze, fisiche degli individui in terra. Quando i Maestri ci rappresentano Bar Kochvà che si prepara alla battaglia volgendo al Signore la
preghiera di “non aiutarlo” e di “non ostacolarlo”5, ci rappresentano
implicitamente e secondo la loro peculiare dialettica, il “peccato” di
questo combattente, un peccato che potrebbe ancora ripetersi – nel
corso della storia – nelle azioni di altri individui, che ripongono eccessiva confidenza nelle proprie forze.
Se queste possono essere alcune ipotesi indicative della ricezione
dell’“esempio” dei Maccabei nella coscienza ebraica, vorremmo ancora poter sentire la voce di un rabbino o di un altro esponente del mondo ebraico del XVII secolo sulla rivolta dei Camisards. Confermerebbe questi l’accusa di sedizione che gli ugonotti moderati rivolgono loro? O invece connoterebbe questa guerra con il termine di “nekamà”,
che contraddistingue una “vendetta” che è soprattutto e in prima istanza “giustizia”?
Sono tante, in effetti, le voci che ci mancano, quando compariamo
l’universo ebraico e quello ugonotto del XVII secolo, cercando una risposta a singoli problemi sollevati in un ambito o nell’altro. Con ogni
verosimiglianza, ad esempio, la censura che il concistorio vallone di
Rotterdam esercitò nei confronti della voce “David” del Dictionaire di
Pierre Bayle sarebbe stata condivisa dalla comunità ebraica olandese.
Ma, se le interpretazioni “non ortodosse” della Bibbia preoccupano
notevolmente entrambe le comunità, l’orientamento per la lettura
4
Cfr. M. HADAS-LEBEL, Jerusalem contre Rome, Les Éditions du Cerf, Paris 1990, pp.
160-174.
5
TY, Ta’anit 4, 5; si fa riferimento in quel contesto Ps 60,10.
14
Myriam Silvera
dell’Antico Testamento e per la conseguente determinazione
dell’eresia non proviene dalle stesse fonti: se da un lato vi è l’esigenza
di difendere il messaggio del Nuovo Testamento, dall’altro si tratta di
tutelare l’insegnamento della Torà orale. E sappiamo che le più gravi
controversie, nelle comunità ebraiche sefardite del XVIII secolo, provennero proprio da contestazioni alla tradizione orale6.
I saggi che qui pubblichiamo ci offrono abbondante materia per
proseguire la nostra riflessione. Li abbiamo chiamati “voci incrociate”: testimonianze sugli incontri tra ebrei e ugonotti ad Amsterdam,
sguardi sugli ebrei sefarditi di Amsterdam da parte di cattolici e protestanti (Yosef Kaplan), impressioni degli ugonotti su ebrei ed ebraismo
(Hans Bots, Bertram Schwartzbach, Dominique Bourel, Eckart
Birnstiel).
Un secondo spunto di riflessione è costituito dal pensiero dell’esilio
e dalla meditazione intorno alla sofferenza e alla persecuzione. Le
spiegazioni che Jurieu offre dell’esilio (Myriam Yardeni) possono trovare alcuni motivi in comune con la riflessione di fonti diverse della
letteratura rabbinica.
Infine, l’impegno pastorale di Pierre Jurieu7 nei confronti dei correligionari rimasti in Francia ci richiamano le preoccupazioni del rabbinato delle comunità ebraiche “libere” a riguardo dei “conversos” della
penisola iberica e delle colonie del Nuovo Mondo. Lo vedremo più
avanti.
1.
Voci incrociate
Nutriti delle immagini bibliche della schiavitù sotto il Faraone,
dell’esodo dall’Egitto, e della successiva diaspora babilonese, gli
6
Su questo argomento v. S.H. ROSENBERG, “Emunat Hakhamim”, in I. TWERSKY, B.
SEPTIMUS (eds.), Jewish Thought in the Seventeenth Century, Harvard University Press,
Cambridge 1987, pp. 285-341 e, naturalmente, il caso di Uriel Da Costa su cui v. U. DA
COSTA, Exame das tradições farisaicas acrescentado com Semuel da Silva Tratado da
Imortalidade da alma, Introdução, leitura, notas e cartas genealógicas por H.P. Salomon,
I.S.D. Sassoon, Edições appacdm distrital de Braga, Braga 1995 (questa edizione portoghese è
aggiornata rispetto alla prima edizione inglese). V. anche Y. KAPLAN, “L’excommunication
des caraïtes en 1712”, in Les nouveaux-juifs d’Amsterdam. Essais sur l’histoire sociale et
intellectuelle du judaïsme séfarade au XVIIe siècle, Chandeigne, Paris 1999, pp. 149-194.
7
Oltre alla bibliografia degli scritti di Jurieu di E. Kappler, che ha visto una riedizione
nel 2002 con prefazione di A. Mckenna, e agli studi di F.R. Knetsch, di E. Labrousse, A. Minerbi Belgrado, D. Spini e di tanti altri ancora, segnalo il recente D. CARPANETTO, Nomadi
della fede. Ugonotti, ribelli e profeti tra Sei e Settecento, Claudiana, Torino 2014.
Ebrei ed ugonotti: alcuni spunti di riflessione
15
ugonotti si confrontano ad Amsterdam con quel popolo che di tali avvenimenti ha fatto per primo l’esperienza. Esiti di tali incontri, e, forse, della curiosità da essi suscitati, possono essere considerati tanto
l’Histoire des Juifs dell’ugonotto Jacques Basnage, quanto la serie di
dipinti di Bernard Picart, quanto ancora la celebre veduta della sinagoga di Amsterdam di Emanuel de Witte8.
Largo spazio viene dedicato da Yosef Kaplan alla descrizione della
comunità ebraica di Amsterdam e delle sue istituzioni da parte di
viaggiatori in transito nelle Province Unite, soprattutto inglesi, quali
Edward Brown, John Evelyn, William Montague, ma anche italiani o
francesi come Gregorio Leti e Denis Diderot. La visione degli altri
sollecita la stessa comunità a farsi vedere, a presentarsi in modo conveniente, e a tal fine vengono emanati diversi decreti riguardanti
l’ordine e la disciplina all’interno della sinagoga. Per i dirigenti degli
ebrei portoghesi ad Amsterdam un buon comportamento sociale,
orientato dalle norme di “decoro” e “decenza” costituisce un valore
fondamentale, tanto da caratterizzare il “buon ebraismo”. Essenziale è
dunque questo saggio di Kaplan per aiutarci a comprendere come il
nucleo socialmente e culturalmente più avanzato dell’ebraismo sefardita del XVII secolo abbia potuto rappresentare per la Haskalà (il cosiddetto Illuminismo ebraico) il suo diretto predecessore9. Paragoni
con tempi ancor più recenti ci vengono alla mente quando Kaplan ricorda la proibizione del 1640 di accompagnare la lettura del libro di
Esther, durante la festa di Purim, con manifestazioni di chiasso intermittente, all’udire richiamato il nome del malvagio ministro “Haman”.
8
Per il primo v. S. BERTI, Bernard Picart e Jean-Frédéric. Bernard dalla religione
cristiana al deismo. Un incontro con il mondo ebraico nell’Amsterdam del primo Settecento,
«Rivista Storica Italiana», n. 117 (2005), pp. 974-1001 e la nota 36 del saggio di Yosef
Kaplan qui pubblicato; per il secondo Y. KAPLAN, “For Whom Did Emanuel De Witte Paint
his Three Pictures of the Sephardi Synagogue in Amsterdam?”, in An Alternative Path to
Modernity. The Sephardi Diaspora in Western Europe, Brill, Leiden 2000, pp. 29-50.
9
M.A. Meyer si era già soffermato sulla peculiare auto-rappresentazione dell’ebreo ottocentesco, di area ashkenazita, che individuava le sue radici nella sefardita Amsterdam, cfr.
M.A. MEYER, “The Emergence of Jewish Historiography. Motives and motifs”, in Essays in
Jewish Historiography, ed. by Ada Rapoport-Albert in memoriam Arnaldo Dante
Momigliano (1908-1987), «History and Theory», n. 27, 4 (1988), pp. 160-175: p. 162. Più recentemente, in ambito storiografico si tenta di “liberare” l’Amsterdam ebraica dalle “proiezioni” della Haskalà, cfr. D.M. SWETSCHINSKI, Reluctant Cosmopolitans. The Portuguese
Jews of Seventeenth-Century Amsterdam, The Littman Library of Jewish Civilization, London-Portland 2000.
16
Myriam Silvera
Come sappiamo, analoga modifica alla liturgia di Purim fu introdotta
dai “Reformed”.
“Le regard de l’autre” orienta anche la ricerca di Hans Bots, che ricostituisce la visione degli ebrei e dell’ebraismo moderno nei periodici di lingua francese del Refuge, redatti in larga parte da ugonotti. Per
quanto concerne il XVII secolo, scrive Bots, sembrerebbe prevalere
uno sguardo di diffidenza, mentre dopo il primo quarto del XVIII ci si
avvierebbe al riconoscimento della condivisione di un comune destino
d’esilio, accompagnato da ripetuti inviti da parte dei riformati alla tolleranza degli ebrei. Viene qui analizzata la posizione del Jean Le Clerc
giornalista sulla “questione ebraica”, un importante tassello per quanti
volessero tentare una ricostruzione complessiva del rapporto di
quest’autore con l’ebraismo10.
Nei periodici che cura Le Clerc non sembra in genere ispirato a
simpatia verso gli ebrei. Interessante per esempio la sua reazione al
sonetto di Caspar Barlaeus, pubblicato in testa al De Creatione
Problemata XXX di Menasseh ben Israel, sonetto che esprime senza
alcun dubbio l’espressione più avanzata del “dialogo ebraicocristiano” nel XVII secolo: pur presentando il resoconto e persino la
traduzione nella «Bibliothèque Ancienne et Moderne» egli rivela
chiaramente di non condividere l’apertura di vedute del professore
dell’Ateneo Illustre di Amsterdam.
Intorno al 1730, si segnalano invece importanti cambiamenti nei
periodici: la «Bibliothèque Raisonnée» traduce e pubblica in francese
le Vindiciae Judaeorum di Menasseh Ben Israel, composte quasi
ottant’anni prima per confutare una serie di accuse mosse contro gli
ebrei e sollevate allo scopo di contrastare il progetto del loro
ristabilimento in Inghilterra11. Nel 1739 la «Nouvelle Bibliothèque
Germanique» tradurrà una seconda apologia in favore del popolo
ebraico, autore, questa volta, l’ugonotto Charles de la Motte. Bots
allarga infine il quadro dei rapporti tra le due minoranze, volgendosi a
10
Si tratta di un’indagine che – se non erriamo – non è stata ancora messa a punto.
Preziose indicazioni si possono trovare nell’edizione della corrispondenza di J. Le Clerc, v. J.
LE CLERC, Epistolario, in M. SINA e M.G. ZACCONE (a cura di), Le Corrispondenze letterarie,
scientifiche ed erudite dal Rinascimento all'Età moderna, Olschki, Firenze 1987-1997, 4 voll.
Utile anche M.C. PITASSI, Le problème de la méthode critique chez Jean Le Clerc, Brill,
Leiden 1987.
11
Di questo testo viene spesso richiamata la successiva traduzione e prefazione di Moses
Mendelssohn, cfr. A. ALTAMNN, Moses Mendelssohn. A Biographical Study, Littman,
Philadelphia-London 1973.
Ebrei ed ugonotti: alcuni spunti di riflessione
17
considerare il modo in cui alcuni giansenisti in esilio nei Paesi Bassi, e
principalmente Pierre Quesnel, esprimono le loro considerazioni in
favore della tolleranza degli ebrei.
Sempre a proposito di prospettive incrociate, Bertram Eugène
Schwartzbach si domanda se e in quale misura appartenenti a confessioni religiose diverse siano disposti a concedere che l’esperienza
ebraica, quando giunge al sacrificio di sé, possa dirsi “martirio”. Accettare che gli ebrei abbiano i loro martiri richiede, infatti, in prima
istanza il riconoscimento che essi siano perseguitati, dunque che soffrano per motivi ingiusti (opinione che, lo abbiamo appena visto, Le
Clerc aveva avuto modo di confutare).
Ce que nous cherchons – scrive Schwarzbach – c’est le moment où un public,
représenté par certains de ses auteurs et penseurs, a commencé à ressentir de
la sympathie pour des hommes torturés, massacrés et opprimés, bien qu’ils ne
fussent pas de leur propre secte, en l’occurence qu’ils aient été des Juifs.
Évidemment il est plus facile de reconnaître la cruauté quand la victime est
l’un des siens.
Ne fa testo l’Abbé Claude Fleury che, nella sua Histoire
ecclésiastique si commuove per i martiri cristiani sotto Diocleziano,
ma rimane indifferente alle persecuzioni degli albigesi e all’espulsione
degli ebrei dalla Spagna. Al contrario, l’ugonotto Jacques Basnage
riconosce che nel corso della storia ebraica vi sono state diverse
esperienze di martirio. Gli esempi più edificanti citati nella Histoire
des Juifs riguardano Don Lope de Vera y Alarcon, Isaac de Castro
Tartas e Tomas Treviño de Sobremonte, vittime dell’Inquisizione tra il
1644 e il 1649, rispettivamente a Valladolid, a Lisbona e a Città del
Messico12.
Voltaire e Montesquieu non avranno poi alcuna esitazione ad
includere gli ebrei nella «triste mais prestigieuse catégorie des
victimes et des martyrs». Con la legittimazione del termine (e del
concetto) di martirio ebraico si testimonia, secondo Schwartzbach,
non una nuova declinazione del fenomeno storiografico che va sotto il
12
Per Tomas Treviño de Sobremonte, cfr. N. WACHTEL, La foi du souvenir. Labyrinthes
marranes, Éditions du Seuil, Paris 2001; v. anche M. BODIAN, In the Cross-Currents of the
Reformation. Cripto-Jewish Martyrs of the Inquisition 1570-1670, «Past and Present», n. 176,
2002, pp. 66-104, dove l’autrice evidenzia un elemento particolarmente interessante nel contesto di questo libro: il ricorso ad argomentazioni di matrice “protestante” da parte di alcuni
imputati accusati di cripto-giudaismo.
18
Myriam Silvera
nome di “filosemitismo” (e che giustamente – sostiene l’autore –
sarebbe da rivedere), bensì un nuovo arricchimento nella «conscience
morale de la pensée européenne».
Gli ebrei sono ancora oggetto della prospettiva degli ugonotti francesi di Berlino nell’intervento di Eckart Birnstiel che, partendo
dall’analisi dei casi di conversione dall’ebraismo, consente di analizzare nello specifico alcuni termini di confronto tra le due confessioni.
L’analisi prende le mosse dalla conversione nel 1806 dell’ebreo Jacques Gans, residente in Francia. L’episodio porta il concistorio a rivedere la precedente normativa rigurdante il battesimo degli ebrei (dal
1672 non vi erano stati altri casi di battesimo). Uno degli articoli da
stabilire concerne il tempo da dedicare alla preparazione e
all’accoglimento del convertendo: deve questo essere uguale al tempo
previsto per i convertendi dal cattolicesimo? Inoltre, era possibile
convertire un ebreo che poi non si impegnasse a frequentare la comunità francese di Berlino? La nuova normativa, approvata nel 1806 dopo varie discussioni e riapprovata in lingua tedesca nel 1876, rimase in
vigore sino al 1938.
Chi segue in particolare la controversia ebraico-cristiana del XVII
secolo non può mancare di soffermarsi attentamente sulle dichiarazioni richieste al battezzando ex-ebreo secondo la disciplina ecclesiastica
delle Chiese riformate (La Rochelle 1666), che Birnstiel ci riporta.
Dominique Bourel si sofferma sul mancato incontro tra ebrei e
ugonotti nella Prussia del XVIII secolo.
La Prusse – scrive – doit une grande partie de sa réussite et de sa gloire à la
conjonction de ces deux communautés d’exilés qui furent les juifs et les
huguenots. On pourrait penser qu’ils furent solidaires, ce ne fut pas toujours
le cas.
Al divario economico tra i due gruppi si accompagna una differenza in ambito professionale e intellettuale che, tra gli ebrei, sarà parzialmente compensata solo intorno agli anni ’70. Il fatto poi che tra i
traduttori di Mendelssohn si conti anche di un ugonotto, non modifica
sostanzialmente il quadro generale. Il fenomeno che al contrario
emergerà con evidenza, rileva Bourel, sarà piuttosto la “simbiosi
ebraico-tedesca”, dinanzi alla quale la cultura degli ugonotti risulterà
alquanto offuscata.
Ebrei ed ugonotti: alcuni spunti di riflessione
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Con Harm den Boer abbiamo, questa volta, la prospettiva di un
ebreo che risponde a un ugonotto. Abraham Gómez Silveira, permeato
di curiosità per il mondo culturale che lo circonda, è l’esempio
dell’ebreo “moderno”. Egli dedica ben cinque dei suoi dodici volumi
di controversia ebraico-cristiana a confutare le Dissertations sur le
Messie di Isaac Jaquelot. Così come Jaquelot è edotto nella letteratura
rabbinica, Gómez Silveira conosce la letteratura cristiana e, cita frequentemente, tra gli altri, Agostino e Ambrogio. Legge anche la letteratura contemporanea, si dimostra a conoscenza delle opere di ugonotti come Jurieu, Bayle o Basnage e sfoglia i periodici che si stampano
in Olanda. Se “risponde” a Jaquelot, Gómez Silveira non si “rivolge”
di fatto a lui. La sua voluminosa opera va piuttosto inquadrata entro la
letteratura di polemica anti-cristiana, tesa a rafforzare l’identità dei
correligionari e a sollecitare i conversos ad un ritorno all’ebraismo.
Tra le argomentazioni del suo intervento contro Jaquelot, che sovente
ricorre alla satira, sono inclusi topoi classici di questa letteratura, come ad esempio la ridicolizzazione del termine di “Testamento” a indicare la Legge del Signore, e l’insistenza nel “Dios vivo”, oggetto dalla
fede ebraica, la cui portata polemica è più che evidente. Silveira risente parimenti degli echi della riflessione sulla libertà di coscienza e sulla elaborazione di progetti volti a trovare una comune piattaforma tra
fedi e confessioni diverse.
2.
L’esilio: i motivi della sofferenza
Diversi punti di contatto tra ebrei e ugonotti emergono dagli interventi
che riflettono sui motivi delle persecuzioni e dell’esilio. Comune pare
essere il rimando causale tra le disgrazie sofferte e il precedente trasgressivo comportamento dei fedeli, resisi in tal modo responsabili
delle loro sventure. In questa interpretazione, l’esilio è, in sostanza,
una punizione. Ma né le riflessioni degli ugonotti, né il pensiero ebraico si esauriscono in questa spiegazione. Da parte dei primi – scrive
Myriam Yardeni – la sofferenza viene elaborata in modo diverso, divenendo un segno di elezione divina, la cui premessa è già racchiusa
nel libro di Giobbe: «Dieu met à l’épreuve ceux qu’il aime». Si tratta
di una delle motivazioni offerte da Pierre Jurieu, secondo cui, se i
martiri sono coloro che giungono all’estremo della sofferenza, sono
anche coloro che testimoniano del grado più alto dell’elezione. Ma,
all’ampia gamma di spiegazioni presentate, si affianca anche lo spazio
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Myriam Silvera
per la progettazione di una articolata visione apocalittica della storia,
volta ad infondere coraggio e speranza. Jurieu voleva dare alla sofferenza una dimensione da cui potesse “germer aussi l’espoir”. Infine,
M. Yardeni ci suggerisce anche di tener conto delle diverse modalità
di riflessione e di elaborazione nel Refuge e tra coloro che permangono in Francia: chi si trova in “terra di libertà” è prevalentemente orientato a riflettere sulle cause umane della persecuzione, chi soffre in
prima persona, nella clandestinità, pare invece impegnato ad interrogarsi sul piano divino che si occulta dietro la sofferenza.
L’esilio come punizione divina è tema antico, sovente richiamato
nella letteratura rabbinica13. Esso trova il suo completamento in una
più ampia concezione della storia, che attinge a fonti midrashiche e
cabbaliste.
Tuttavia, se l’esilio è spesso interpretato come conseguenza dei
peccati commessi, nella stessa letteratura rabbinica è anche visto come
condizione esistenziale che nulla condivide con la nozione di punizione: a volte, quando Israele soffre, soffre anche il Signore. E se Dio si
rivela a Mosè da dentro il roveto ardente è per indicargli che partecipa
alla sofferenza del suo popolo14. «Ogni loro disgrazia è per Lui disgrazia», commentano i Maestri. Si “prepara” così la strada verso
l’affermazione che la Shekhinà (la presenza divina) è in esilio assieme
a Israele. L’esilio mentre è esperienza storica di Israele, è al tempo
stesso condizione dell’intero cosmo: ad Israele spetta il compito di riparare la frattura cosmica e di lavorare, tramite l’osservanza dei precetti, al ricongiungimento dell’unità. Galut (esilio) e gheullà (redenzione) – accomunati in ebraico dalle medesime vocali – sono l’uno la
precondizione dell’altra.
Sono note le esortazioni dei pastori ugonotti ad abbandonare il paese della persecuzione, onde evitare il rischio di cedere all’abiura o al
“nicodemismo”. Come non richiamare alla mente a questo proposito
le sollecitazioni che costantemente il rabbinato delle comunità ebraiche ufficiali, Amsterdam, Amburgo o Venezia, fa pervenire ai conversos della penisola iberica? «La verità e la pace sono il fondamento del
mondo» recita la scritta che i primi fondatori della comunità di Amsterdam vedono (in ebraico e in latino) sopra la porta di colui che li
13
Cfr. Y.F. BAER, Galout. L’imaginaire de l’exil dans le judaïsme, préface de Y.H.
YERUSHALMI, Calmann-Lévy, Paris 2000 (I ed. in tedesco, Berlino 1936).
14
Cfr. il commento di Rashì ad Es 3, 2-4.
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