Articolo originale Vol. 95, N. 11, Novembre 2004 Epidemiologia, clinica e terapia della coinfezione HIV-HCV in una casistica di pazienti umbri Daniela Francisci, Marina Valente, Francesco Di Candilo, Claudio Sfara, Maria Elisabetta Conte, Benedetta Canovari, Franco Baldelli, Giuliano Stagni Riassunto. Poiché HIV e HCV condividono le modalità di trasmissione, la coinfezione HIV-HCV è frequente e interessa circa il 40% dei soggetti sieropositivi: in particolare tossicodipendenti ed emofilici. Abbiamo analizzato retrospettivamente i dati epidemiologici, clinici e di terapia dei pazienti HIV positivi con coinfezione C seguiti presso il nostro Centro nel triennio 2001-2003. Il 40% dei 404 pazienti osservati è risultato coinfetto; il 90% dei coinfetti era tossicodipendente e in larga parte (90,2%) era in trattamento HAART. Il 73% dei pazienti coinfetti presentava alterazione delle transaminasi ed era viremico nell’85% dei casi. I genotipi prevalenti erano 1 (44,6%) e 3 (36,4%). L’associazione di peg-interferone e ribavirina ha permesso di ottenere in 9 pazienti trattati il 55,6% di risposte sostenute. Parole chiave. Coinfezione HIV-HCV, peg-interferone, ribavirina. Summary. Epidemiological, clinical and therapeutical aspects of HIV/HCV coinfection in a series of HIV seropositive Umbrian patients. Because hepatitis C virus (HCV) and human immunodeficiency virus (HIV) share common transmission pathways, HIV-HCV co-infection is frequent, involving about 40% of seropositive subjects particularly injection drug users and patients with hemophilia. We performed a retrospective analysis on clinical, epidemiological and therapeutical aspects in a population of HIV-HCV coinfected patients, observed in our Department during the period 2001-2003. Forty per cent of 404 observed patients had a co-infection; 90% of those were drug addicts and most (90.2%) were on HAART treatment. Seventy-three per cent of co-infected patients showed transaminases alterations, and 85% had detectable viremia. Prevalent genotypes were 1 (44.6%) and 3 (36.4%). The association PEG-IFN and ribavirine obtained sustained responses in 55% of 9 treated patients. Key words. HIV/HCV coinfection, PEG-IFN, ribavirin. Introduzione Il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) e il virus dell’epatite C (HCV) condividono le modalità di trasmissione 1. Per tale motivo la coinfezione HCV è di frequente osservazione nei soggetti HIV positivi. La prevalenza della coinfezione HIV-HCV varia dal 10 all’80% nelle diverse casistiche raggiungendo i livelli più elevati nei soggetti con storia di tossicodipendenza per via endovenosa e negli emofilici; livelli più bassi si riscontrano nei soggetti HIV positivi che riferiscono una trasmissione sessuale (omo/etero) 2,3. La diversa prevalenza è causata della minore efficienza di trasmissione di HCV per via sessuale e verticale rispetto ad HIV 4. La coinfezione HIV-HCV ha avuto una minima rilevanza clinica fino alla seconda metà degli anni novanta, quando per effetto delle potenti terapie antiretrovirali di combinazione (HAART) si è verificato un drammatico abbattimento della morbosità e mortalità AIDS-relata con conseguente incremento della sopravvivenza dei pazienti HIV positivi 5 . In conseguenza di ciò, patogeni ad evoluzione cronica come HCV hanno acquisito una rilevanza clinica crescente. L’ HCV rappresenta oggi, nei Paesi industrializzati, la principale causa di morbosità e mortalità per i pazienti HIV positivi 6,7. Il fenomeno ha proporzioni rilevanti in Italia dove si stima ci siano oltre 100.000 soggetti con infezione da HIV e di questi circa 60.000 con coinfezione C 1. Sezione di Clinica delle Malattie Infettive, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Scienze Biochimiche, Università, Perugia. Pervenuto il 25 giugno 2004. 522 Recenti Progressi in Medicina, 95, 11, 2004 È ormai dimostrato che la storia naturale dell’infezione da HCV risulta profondamente modificata dalla coinfezione con HIV. I livelli plasmatici di HCV-RNA tendono ad essere più elevati , la fibrosi epatica e i segni clinici dello scompenso epatico si sviluppano molto più velocemente nei pazienti coinfetti rispetto ai pazienti con sola epatite C e tale progressione è in correlazione diretta con la deplezione dei linfociti T CD4 + 8,9. A sua volta , HCV sembrerebbe agire come cofattore in grado di accelerare la progressione dell’infezione da HIV, presumibilmente interferendo con l’efficacia e tollerabilità delle terapie antiretrovirali,, anche se il dato rimane controverso 10,11. In questo contesto, fermo restando che l’obiettivo prioritario rimane il controllo dell’infezione da HIV, è evidente che il trattamento dell’epatite C deve essere incentivato. Anche se i protocolli di terapia dell’epatite C nei pazienti coinfetti non sono ancora stati completamente definiti, la combinazione peg-interferone e ribavirina sembra rappresentare, oggi, il trattamento di scelta della epatopatia anche in questi pazienti. Tale terapia ha mostrato infatti una percentuale di risposta sostenuta nei genotipi difficili (HCV 1 e 4) oscillante tra 20 e 33% 12,13 e per i genotipi “facili” (HCV 2 e 3) tra il 42% e l’80% nei diversi studi 13,14. Pazienti e metodi È stata condotta una indagine retrospettiva sui pazienti sieropositivi per HIV e coinfezione da HCV osservati nel triennio 2001-2003 presso l’Ambulatorio-Day Hospital della Clinica di Malattie Infettive di Perugia. I dati desunti dalla consultazione delle cartelle cliniche sono stati trasferiti su schede cartacee e quindi inseriti in un database (EPI.INFO 6) per la successiva analisi. Mediante l’analisi univariata sono state confrontate nei due gruppi di pazienti considerati (HIV+/HCV+ e HIV+) una serie di variabili: sesso, età, stadiazione CDC 15, fattori di rischio, alterazione delle transaminasi, presenza di anti HBc, trattamento HAART. Per la variabile età è stato utilizzato il T-test per le varianze disomogenee. Sono stati considerati significativi valori di p inferiori o uguali a 0,05. Risultati Nel triennio 2001-2003 sono stati seguiti complessivamente presso l’Ambulatorio – Day Hospital della Clinica di Malattie Infettive di Perugia , che è Centro di Riferimento Regionale per l’AIDS, 404 pazienti con infezione HIV. Di questi, 163, pari al 40,3% del totale, presentavano una coinfezione HIV-HCV (gruppo 1). Si trattava di 118 maschi (72,3%) e di 45 femmine (27,6 %) con una età media di 37,7 anni , significativamente inferiore a quella dei soggetti HIV monoinfetti (gruppo 2) che risultava essere di 39,5 anni (p=0,05). Relativamente ai fattori di rischio di acquisizione dell’infezione da HIV, come atteso, nel gruppo 1 oltre il 90% dei pazienti era tossicodipendente, mentre la trasmissione sessuale (omo/etero) era riferita solo dal 5,5 % dei soggetti. Nel gruppo 2 il fattore di rischio sessuale (omo/etero) ricorreva nel 94 % dei soggetti e la tossicodipendenza era dichiarata solo dal 2 % dei pazienti. Il confronto dei fattori di rischio tra pazienti coinfetti e monoinfetti è riportato in tabella 1. Tabella 1. - Confronto dei fattori di rischio tra pazienti del gruppo 1 e 2. Rischio TD Sex (omo/etero) EMOF Altro Totale Gruppo 1 (HIV/HCV +) Gruppo 2 (HIV+) Tot 148 (90,7%) 9 (5,5%) 4 (2,4%) 2 (1,2%) 163 5 (2%) 226 (93,7%) 1 (0,4%) 9 (3,7%) 241 153 235 5 11 404 Lo stadio di infezione da HIV, valutato in 157 su 163 pazienti secondo la classificazione CDC del 1993, risultava essere A(asintomatici) in 66 , B (sintomatici) in 41 e C (AIDS ) in 50 pazienti del gruppo 1; tale distribuzione non differiva sostanzialmente da quella dei 241 soggetti con sola infezione da HIV (gruppo 2) osservati nello stesso periodo (p= 0,62) . Sostanzialmente simile nei due gruppi è risultata anche la percentuale dei pazienti in trattamento HAART: 92,6% nel gruppo 1 e 90,1% nel gruppo 2 (p = 0,99). Differenze statisticamente significative sono state invece osservate nei due gruppi in merito alla presenza di anticorpi anti-HBc . Tali anticorpi, espressione di contatto con HBV, altro virus a trasmissione parenterale (apparente e in apparente), sono stati rilevati nel 67,4% dei pazienti con coinfezione HIV-HCV e nel 33,7% dei pazienti con la sola infezione HIV (p < 0,001). Le transaminasi ALT sono risultate alterate in un numero significativamente superiore di pazienti del gruppo 1 (73%) rispetto ai pazienti del gruppo 2 (24%) (p < 0,001). Il 7,3 % dei coinfetti aveva un valore di transaminasi >5 volte il limite superiore della norma. Per 85 pazienti con doppia infezione era disponibile almeno una determinazione della viremia HCV. Nell’85% dei casi (73 su 85 soggetti) la ricerca dello RNA virale è risultata positiva. Il genotipo è stato determinato in 74 soggetti: il più rappresentato è risultato il genotipo 1 (44,6%), seguito dal genotipo 3 a (36,4%) e dal genotipo 4 (13,5%), mentre il genotipo 2 (a e b) è stato riscontrato solo nel 5,5% dei casi. Va sottolineato che il genotipo 1 è quello più frequentemente riscontrato in Italia anche nei soggetti HIV negativi. La biopsia epatica eco-guidata è stata eseguita in 36 pazienti. I dati istologici, relativamente al grado di flogosi mostrano una prevalenza di epatiti minime (56,3%) e lievi (43,7%) e per il grado di fibrosi mostrano una prevalenza degli stadi 0-2 (78,1%) seguiti dagli stadi 3-4 (21,9%) applicando la classificazione di Ishak 16. Trattandosi di una indagine retrospettiva, non è stato possibile raccogliere informazioni precise sul consumo giornaliero di alcol nei pazienti coinfetti. Nel periodo di tempo considerato nel nostro studio, 25 pazienti coinfetti su 163 (15,3%) hanno ricevuto un trattamento per l’epatite C. Di questi, 13 soggetti sono stati trattati in monoterapia con interferone (IFN), 3 hanno ricevuto una terapia di combinazione IFN+ ribavirina. D. Francisci et al.: Epidemiologia e clinica della coinfezione HIV-HCV Due soggetti sono risultati responsivi alla fine del trattamento ma uno solo ha mantenuto la risposta virologica sostenuta: cioè la persistente negatività dell’HCVRNA e la normalità delle transaminasi a 6 mesi di distanza dalla sospensione della terapia. I restanti 9 pazienti hanno ricevuto una terapia di combinazione con PEG -IFN (alfa 2 b) + ribavirina , della durata di 12 mesi nei pazienti con genotipo 1 e di 6 mesi nei genotipi non 1. Di questi pazienti, 6 sono risultati responder alla fine della terapia e 5 (55,6%) hanno mantenuto una risposta virologica sostenuta. In tabella 2 sono riportati i risultati ottenuti con i differenti schemi di terapia. Tabella 2. - Percentuali di risposta a vari schemi di terapia dell’epatite C. Tipo di terapia N. casi N.R. % S.R. % R.R. % IFN 11 PEG-IFN 2 IFN+ Ribavirina 3 PEG-IFN Ribavirina 9 Totale 25 10 90,0% 2 100% 2 66,7% 3 333% 17 68,0% 1 – – 9,1% – – 1 33,3% + 5 55,6% 1 11,1% 6 24,0% 2 8,0% N.R.: non risposta; S.R.: risposta sostenuta; R.R.: relapser. I cinque pazienti con risposta virologica sostenuta, 4 maschi e 1 femmina, avevano una età media di 41 anni (range 37-45). Al momento dell’inizio della terapia, tutti avevano una viremia HIV < alle 400 copie/ml, una media di linfociti T CD4+ di 616 (range 315- 880) e tutti stavano effettuando una HAART; tutti i pazienti responder avevano un genotipo 3. La biopsia epatica mostrava un quadro di epatite cronica lieve/moderata (grading 5-9) in tutti i pazienti, una fibrosi di grado 2 in 3 pazienti e una fibrosi di grado 3 nei rimanenti due. Nei nostri pazienti non sono stati osservati eventi avversi gravi durante il trattamento, né progressione dell’infezione da HIV e nessuno ha interrotto la HAART per tossicità. Due pazienti su 9 trattati hanno sospeso anticipatamente la terapia per scarsa compliance. Nel periodo di tempo considerato, nell’intera popolazione di pazienti HIV positivi seguiti nel nostro Centro, si sono verificati solo 8 decessi e ciò a conferma della aumentata sopravvivenza dei pazienti HIV positivi in trattamento con HAART. Solo 3 decessi sono stati causati da patologia AIDS-relata e nessuno di questi soggetti era HCV positivo. L’insufficienza epatica da epatite cronica C ha rappresentato la causa di morte in altri 3 pazienti mentre i restanti 2 sono deceduti per cause diverse e di questi solo uno era anti-HCV positivo. Discussione L’analisi dei dati da noi raccolti conferma che un’alta percentuale di pazienti sieropositivi per HIV presenta una infezione da HCV. Si tratta, come atteso, in larga prevalenza di tossicodipendenti con storia di assunzione di droga per via endovenosa . Per tale motivo essi risultano essere significativamente più giovani dei soggetti con sola 523 infezione da HIV, i quali riferiscono in prevalenza una trasmissione di tipo sessuale. La significativa differenza dei fattori di rischio nei soggetti coinfetti (gruppo 1) e monoinfetti (gruppo 2), trova la sua spiegazione nella bassa efficienza di trasmissione di HCV per via sessuale. I pazienti coinfetti sono in alta percentuale viremici (85% dei testati) e presentano con elevata frequenza alterazione delle transaminasi (73% dei casi). Solo una piccola percentuale dei nostri pazienti era stata sottoposta a biopsia epatica e una percentuale ancora inferiore (15%) era stata trattata per l’epatite C: questo a conferma della modesta attenzione che in passato è stata attribuita alla coinfezione con HCV. I nostri dati confermano la inefficacia delle monoterapie con IFN e della terapia di combinazione dell’IFN alfa e ribavirina; risultati incoraggianti sono stati raggiunti nei 9 pazienti trattati con combinazione PEG-IFN (alfa 2b) + ribavirina, che hanno ottenuto una risposta sostenuta nel 55,5% dei casi. La terapia è stata discontinuata precocemente nel 13% dei casi per mancata aderenza ma non per tossicità. Conclusioni L’epatite cronica C è, attualmente, la principale causa di morbosità e mortalità per i pazienti HIV positivi nei paesi sviluppati, dove l’ampio accesso alle potenti terapie antiretrovirali di combinazione ha drasticamente ridotto la morbosità e mortalità correlata ad AIDS. L’infezione da HIV agisce come un cofattore di malattia determinando una accelerata progressione dell’epatite C verso la cirrosi scompensata, l’epatocarcinoma e la morte. Per tale motivo tutti i soggetti con infezione da HIV devono essere indagati per la presenza di antiHCV. I pazienti coinfetti con transaminasi persistentemente alterate devono essere testati per HCV-RNA e genotipo al fine di intraprendere la terapia. Tutti i pazienti coinfetti sono potenziali candidati alla terapia con peg-IFN e ribavirina,, ma poiché la efficacia e tollerabilità del trattamento è fortemente influenzata dal livello della immunodepressione 17,18 sarebbe indicato iniziare la terapia quando i linfociti T CD4+ sono > di 350/mmc 11. I pazienti coinfetti avviati al trattamento, essendo prevalentemente ex tossicodipendenti, necessitano di un counselling accurato prima e durante la terapia per limitare i fallimenti dovuti a mancata aderenza; debbono anche essere sottoposti a controlli clinici e biochimici frequenti per individuare tempestivamente gli effetti tossici legati alla terapia soprattutto nei pazienti che assumono contemporaneamente la HAART. In conclusione, una diagnosi tempestiva e un precoce inizio della terapia per l’epatite C sono cruciali per ridurre l’incidenza di cirrosi e di epatocarcinoma; e per aumentare la sopravvivenza dei pazienti coinfetti. 524 Recenti Progressi in Medicina, 95, 11, 2004 Bibliografia 1. Dianzani F, Ippolito M, Moroni M. AIDS 1998. Il contributo italiano. Padova: Piccin Nuova Libraria, 1998. 2. Quan CM, Knjden M, Grigoriew GA, et al. Hepatitis C virus infection in patients infected with Human Immunodeficiency Virus. Clin Infect Dis 1995; 17: 117-9. 3. Quaranta JF, Delaney SR, Alleman S, et al. Prevalence of antibody to hepatitis C virus (HCV) in HIV1-infected patients. J Med Virol 1994; 42: 29-32. 4. Dieterich DT. Hepatitis C and human immunodeficiency virus: clinical issues in coinfection. Am J Med 1999; 107: 72S-84S. 5. Palella F, Delaney K, Moorman A, et al. Declining morbidity and mortality among patients with advanced human immunodeficiency virus infection. NEJM 1998; 338: 853-60. 6. 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