L’analisi della ricchezza e della povertà: i contributi pionieristici di Pierpaolo Luzzatto Fegiz
Achille Puggioni (Banca d’Italia, Sede di Trieste)1
All’interno della sessione sugli impoverimenti del Laboratorio della memoria non
poteva mancare una breve riflessione sul contributo di quel grande statistico e
organizzatore di cultura triestino che è stato Pierpaolo Luzzatto Fegiz. Non essendo
io uno storico di professione, e tanto meno uno storico della statistica, le brevi note
che seguono si propongono di tratteggiare unicamente alcuni aspetti della sua
biografia di borghese mitteleuropeo e triestino e di ripercorrere i passaggi più
importanti delle vicende che lo hanno portato a realizzare, nel 1948, uno studio
pioneristico sulla distribuzione del reddito delle famiglie italiane.
Il tema della distribuzione dei redditi è tornato al centro del dibattito nelle discipline
economiche, dopo essere stato confinato ai margini dell’economia politica
nell’ultimo ventennio. La diseguale distribuzione del reddito e della ricchezza
rappresenta il cuore dell’economia politica classica: i “modelli” interpretativi di
Smith, Ricardo, Malthus,e Marx assegnano un ruolo prioritario alle variabili
distributive nella spiegazione della dinamica di lungo periodo del capitalismo
industriale. Il successo del volume di Thomas Piketty, Il Capitale nel XXI Secolo, ha
ridestato l’interesse verso la tematica distributiva presso l’opinione pubblica, al di
1
Le opinioni espresse sono personali e non coinvolgono in alcun modo l’Istituzione di appartenenza. Ringrazio gli
organizzatori e, in particolare, il professor Giacomo Todeschini per avermi invitato a questo secondo convegno
organizzato dal Laboratorio della memoria dell’Università di Trieste e dall’Amministrazione provinciale di Trieste.
fuori dei dibattiti scientifici. Non poteva esserci quindi momento più propizio per
ricordare i primi studi di Pierpaolo Luzzatto Fegiz sull’argomento.
Pierpaolo Luzzatto Fegiz nasce a Trieste nel 1900 da una famiglia dell’alta borghesia
triestina2. Il padre Giuseppe era un avvocato che, dopo gli studi a Vienna, aveva
esercitato la professione per conto delle maggiori società triestine e, nel primo
dopoguerra, era entrato nel consiglio di amministrazione delle Generali. Giuseppe
Luzzatto esce dalla comunità ebraica triestina e diventa cattolico praticante fin dal
1882 (Rinauro, p. 196 e p. 218). La mamma è Alice Fegitz: Pierpaolo Luzzatto Fegiz
aggiungerà il cognome modificato della madre a quello del padre. È la madre la
destinataria delle lettere che costituiscono il nucleo originario dell’affascinante e
piacevole autobiografia “Lettere da Zabodaski, ricordi di un borghese mitteleuropeo”:
pubblicato nel 1984, deve il suo titolo alla baia nell’isola di Lussino, dove Pierpaolo
Luzzatto Fegiz aveva trovato rifugio nel 1943. Nel primo capitolo sono descritte con
grande nostalgia l’intima vita familiare e l’intensa vita sociale di questa famiglia di
intellettuali, professionisti e artisti prima della Grande Guerra ed è rappresentato
anche il crepuscolo della grande borghesia, descritta da Anna Millo nei suoi studi
sull’elite triestina. Sul milieu triestino ritorneremo più tardi per esaminare alcune
ipotesi interpretative sull’influenza dell’ambiente culturale triestino nel favorire lo
sviluppo delle indagini di opinione in Italia.
Dopo la maturità classica, nel luglio del 1918 Pierpaolo Luzzatto Fegiz si iscrive alla
Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna. Nell’autobiografia egli
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Il prozio Moisé Luzzatto era stato segretario comunale del comune di Trieste per quasi trent’anni.
rammenta che dopo l’esame di maturità aveva incaricato un parente di iscriverlo alla
Facoltà di Legge dell’Università di Vienna, seguendo le orme paterne: “Particolare
notevole: quando finita la guerra chiesi di annullare l’iscrizione, l’Università di
quell’Impero in pezzi mi restituì le tasse che avevo pagato” (Lettere da Zabodaski, p.
84). Si laurea nel 1922 con una tesi in Statistica discussa con il Professor Giovanni
Battista Salvioni. La scelta è del tutto casuale: avrebbe voluto laurearsi in Scienza
delle Finanze e Diritto Finanziario ma, essendo stato trattato con sufficienza dal
titolare di cattedra al momento della sua proposta di tesi di laurea, chiede in seconda
battuta e in maniera abbastanza casuale una tesi in Statistica, che era allora materia
obbligatoria all’interno del corso di laurea in Giurisprudenza. Pierpaolo Luzzatto
Fegiz tratteggia con affetto la figura di questo docente non vedente, colto, sereno, non
solo statistico ma anche umanista e storico dell’economia. L’aspirante avvocato
diventa così uno “statistico per caso”, laureandosi senza lode, nonostante l’ottimo
curriculum negli esami, con una tesi sullo sviluppo demografico di Trieste. Ritornato
nella sua città, senza prospettive accademiche sicure, dal 1923 inizia a collaborare
alla cattedra di economia politica, della quale era titolare Gustavo del Vecchio, presso
l’Istituto superiore di economia e commercio di Trieste3 che nel 1924 diviene Regia
Università degli Studi economici e commerciali di Trieste. Gustavo Del Vecchio,
economista di scuola liberale e uno dei protagonisti della vita dell’Italia repubblicana,
guida i suoi primi passi nell’attività di ricerca. Luzzatto Fegiz intraprende uno studio
sistematico dell’economia applicata e della statistica: egli ricorda che Gustavo Del
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Istituita, com’è noto grazie alla volontà testamentaria del Barone Pasquale Revoltella nel 1877.
Vecchio lo avvicinò allo studio dei Principles of Economics di Marshall, dicendogli:
“intanto legga questo, affinché si possa parlare la stessa lingua” (Lettere da
Zabodaski, p. 100). E oltre ai Principles inizia a leggere Pigou, Keynes, Pantaleoni,
Fischer e Pareto.
La sua carriera accademica è molto rapida: è nominato assistente universitario nel
1923, libero docente in statistica nel 1926. Nel 1931 è vincitore della terna per il
concorso a cattedra in Statistica ed è chiamato dall’Università di Trieste.
Sandro Rinauro, nel capitolo dedicato a Luzzatto Fegiz nella sua importante opera
sulla storia del sondaggio di opinione in Italia (Rinauro, 2002), fornisce molti dettagli
su una sua missione negli Stati Uniti per conto del Ministero della cultura popolare e
della Real Accademia d’Italia, nel 1938, pochi mesi prima dell’entrata in vigore delle
leggi razziali: negli Stati Uniti il nostro autore svolge una ricerca statistica sugli
italiani in America e tiene una serie di conferenze, entrando in contatto con studiosi
americani di statistica e dell’opinione pubblica, tra i quali George Gallup, il fondatore
dell’omonimo Istituto di ricerca demoscopica e propugnatore dell’uso dei sondaggi di
opinione. Una sua seconda missione negli Stati Uniti non avrà seguito sia per
l’introduzione delle leggi razziali, sia per l’ostilità delle autorità fasciste locali in
seguito alla difesa di uno dei suoi studenti, Albert Otto Hirschman, discriminato per
motivi razziali agli esami (Rinauro, p. 218): fratello di Ursula Hirschmann e cognato
di Altiero Spinelli, emigrato negli Stati Uniti, Albert diventerà poi uno dei più
originali ed eterodossi economisti dello sviluppo.4
Come già anticipato, alla fine degli anni Trenta Pierpaolo Luzzatto Fegiz, nel
frattempo diventato Direttore dell’Istituto di Statistica dell’Università di Trieste, dopo
i primi articoli su argomenti demografici e attuariali, inizia a rivolgere i propri
interessi di studioso e quelli dei suoi allievi verso le condizioni economiche, i redditi
e i consumi delle famiglie e verso le metodologie statistiche da utilizzare per misurare
queste variabili, basate sulla tecnica del campione rappresentativo. [citare articolo 25,
28, 30, 31, nel 1940 pubblica anche la prima edizione del suo manuale di Statistica
demografica ed economica che conoscerà 4 edizioni nel dopoguerra, l’ultima delle
quali nel 1967].
Nonostante l’ostilità del regime, questi primi studi, su piccoli campioni comunque
non rappresentativi per mancanza dei finanziamenti necessari, consolidano la sua
reputazione scientifica; nel febbraio del 1942 viene nominato consulente della
Direzione Generale dell’Alimentazione e del Tesseramento presso il Ministero
dell’Agricoltura. Vede così la luce la prima inchiesta sui consumi e sulla produzione
delle famiglie urbane e rurali. Tra il 16 e il 20 marzo 1942 Luzzatto Fegiz annota nel
suo diario: “Sfondo costante a tutti i pensieri, a tutte le preoccupazioni e speranze,
leitmotiv di tutte le conversazioni in casa e fuori, è il problema del mangiare. La
razione di pane calerà ancora? E la donnetta della carne viene oggi? Quanto hai
4
Sui complessi rapporti tra Pierpaolo Luzzatto Fegiz e il fascismo, prima e dopo il 1938, si rimanda ancora all’esaustiva
trattazione di Sandro Rinauro (2002) e alla letteratura ivi citata.
pagato la farina? Ecco i temi obbligati di tutte le conversazioni. Ma non ci vuole
molto a capire che la situazione continuerà a peggiorare. Ci potrà essere qualche
piccolo sollievo stagionale, ma il trend è sempre questo: sempre meno, sempre più
caro. […] In complesso il reddito nazionale reale tende a diminuire per le seguenti
ragioni: perché molti uomini sono sottratti al lavoro produttivo, essendo richiamati o
occupati in “produzioni” belliche; perché molto capitale è ugualmente destinato a
impieghi improduttivi; perché altro capitale è continuamente distrutto (per esempio le
navi); perché la crescente burocrazia arresta le iniziative, non permette di sfruttare
bene energie umane e naturali, determina sprechi; perché gli scambi internazionali
sono ridotti; perché gli uomini, mangiando meno, lavorano meno, eccetera.” (Lettere
da Zabodaski, p. 192).
Nel maggio del 1942 Pierpaolo Luzzatto Fegiz inizia un viaggio di tre mesi per
raccogliere sul campo informazioni sulla situazione alimentare, intervistando
agricoltori, industriali, commercianti, medici e altri professionisti, segretari comunali
e in genere persone capaci di fornire, come produttori, consumatori o esperti, notizie
utili per migliorare l’organizzazione del tesseramento. Percorre 12 regioni italiane e
intervista personalmente 112 persone, verbalizzando le loro dichiarazioni: ottiene non
solo una misurazione accurata (anche se non statisticamente rappresentativa) dei
consumi degli italiani durante il periodo bellico ma anche una nitida fonte qualitativa
sull’opinione degli italiani a proposito della politica annonaria del Regime in pieno
periodo bellico. Il quadro preciso delle condizioni di povertà e delle situazioni di
deprivazione materiale delle famiglie italiane nel secondo trimestre del 1942 è inviato
in una relazione al Ministero dell’agricoltura il 20 luglio del 1942. Segue una seconda
indagine su consumi, spese e prezzi nel primo trimestre del 1943, svolta tra il
novembre 1942 e l’aprile del 1943, inviata al Ministero il 20 maggio 1943. Con
questi due contributi Luzzatto Fegiz ha l’occasione di formare una prima rete di
rilevatori, che costituirà il nucleo iniziale dei collaboratori dell’Istituto Doxa, da lui
fondato all’inizio del 1946, che rileverà i dati della grande indagine sul reddito
nazionale del 1948. Nelle 112 interviste raccolte per l’Italia viene strappato il velo
sulla politica autarchica del fascismo, sugli abusi e la corruzione del regime. Per
queste indagini Luzzatto Fegiz fu comunque aspramente criticato dai suoi amici
antifascisti, a causa dei suggerimenti impliciti che egli forniva alla politica economica
del regime, aiutandolo in definitiva a tenersi in piedi e allontanando la resa dei conti.
Scrive a tal proposito Luzzatto Fegiz nel suo diario: “Io non so se sul piano morale
sia una cattiva azione tentare di ridurre le ingiustizie in una grave situazione di fame
incombente; comunque questi amici si consolino, perché la mia relazione, che forse
non fu neppure letta nelle sedi competenti, non ebbe alcun effetto. Né io mi facevo
troppe illusioni in proposito; e neppure pubblicando, a guerra finita, la relazione,
speravo che servisse almeno a evitare futuri errori.” (Lettere da Zabodaski, p. 194).
Nella seconda indagine, che colleziona 273 bilanci di famiglie urbane (di cui 196
residenti a Trieste), l’autore è ben consapevole del problema della rappresentatività
del campione, soprattutto tra le diverse classi di reddito, questioni che svilupperà e
risolverà successivamente nell’ambito dell’indagine del 1948. È di grande interesse la
trattazione sul livello generale dei prezzi in presenza di diffusi mercati clandestini e
quella sulla borsa nera dei generi alimentari, che considera congiuntamente il
funzionamento di tre mercati: quello ufficiale, quello libero e quello clandestino; da
esse traspare chiaramente il suo scetticismo per le politiche economiche del fascismo.
Le due relazioni non sono pubblicate dal Ministero committente e suggellano la fine
della sua breve carriera di consulente ministeriale: esse saranno raccolte e pubblicate
solo nel 1948 a cura dell’Università di Trieste nel volume “Alimentazione e prezzi in
tempo di guerra (1942-1943)”.
L’ostilità crescente da parte del fascismo verso il docente triestino è dovuta anche a
questioni metodologiche, che lo ponevano in antitesi con l’ideologia del regime.
Durante gli anni Trenta l’autore sviluppa, in maniera del tutto autonoma e solitaria,
una concezione del ruolo civile dei sondaggi demoscopici. Egli insegna la statistica
illustrando indagini sociali concrete, come è stato mostrato negli studi su
alimentazione e prezzi in periodo di guerra, nei quali coinvolge i suoi numerosi
allievi. Uno di questi, Bruno Grazia Resi, in un convegno a lui dedicato nel 1990,
ricorda che “Erano lezioni affascinanti, che anticipavano possibili ricerche proprie di
una società libera, pluralista, quale soltanto ora si sta sviluppando; illustrazioni sul
modo di pensare, di agire, di interpretare i valori individuali e collettivi della vita nel
campo educativo, culturale, religioso e politico”. (Grazia Resi, 1990, p 50).
L’approccio alle indagini campionarie e ai sondaggi di opinione di Luzzatto Fegiz era
considerato con sospetto negli anni del regime: la statistica era all’epoca solo
“ufficiale” e con l’istituzione dell’Istat nel 1926 da parte di Mussolini e la nomina a
Presidente di un grande studioso di fama mondiale quale Corrado Gini, di stretta
osservanza fascista (si consultino le annate dell’importante rivista internazionale
Metron, fondata da Corrado Gini nel 1920, per farsene un’idea), la statistica era
considerata una conoscenza di proprietà monopolistica dello Stato da utilizzare
possibilmente a fini di propaganda politica. Nel marzo del 1942 Luzzatto Fegiz
pubblica sulla rivista “Statistica”, dell’Università di Bologna, “Sondaggi statistici
dell’opinione pubblica”, nel quale auspica l’adozione diffusa dei sondaggi
d’opinione. Nei diari l’autore ricorda che questo testo era stato già preparato nel
1940, dopo il viaggio del 1938 negli Stati Uniti e l’incontro con George Gallup.
Prudentemente il nostro autore pone enfasi nell’articolo sui risparmi dei costi nell’uso
del metodo del campione rappresentativo rispetto alle rilevazioni censuarie svolte
dall’Istituto Centrale di Statistica. La risposta di Corrado Gini non tarda a venire: nel
1942 pubblica nella rivista “Archivio di studi corporativi” l’articolo “Polemiche. Il
polso della nazione”.5 Nell’articolo del 1942 Gini non cita nemmeno una volta il
collega triestino e esprime un giudizio sprezzante sui sondaggi d’opinione considerati
come strumenti di manipolazione dell’opinione pubblica da parte del governo
Roosvelt e dei gruppi di pressione industriali e finanziari, in linea con le tradizionali
critiche di impronta fascista alle democrazie liberali.
5
Nel dibattito scientifico internazionale Corrado Gini negli anni Venti era intervenuto all’interno dell’International
Statistical Association, verificando la bontà del metodo di selezione predeterminata del campione proposto nel 1925
dallo statistico danese Adolph Jansen (purposive selection) con i dati del censimento del 1921. L’articolo di Gini e
Galvani del 1929, “Di una applicazione del metodo rappresentativo all’ultimo censimento italiano della popolazione”,
pubblicato sugli “Annali di Statistica” mostra che i caratteri non rappresentati possono non essere rappresentativi,
mettendo in un certo senso “al bando” le statistiche campionarie dalle statistiche ufficiali. Sulla base dei risultati
dell’esercizio di Gini e Galvani, nel 1934 lo statistico polacco Jerzey Neyman mette finalmente a punto il metodo del
campione stratificato casuale che rappresenta ancora oggi la tecnica di campionamento usualmente utilizzata.
Come osserva Rinauro, per Gini in un regime totalitario l’indirizzo politico non nasce
dalla dialettica dei molteplici interessi individuali ma dalle scelte dei pochi. Il
sondaggio rischia di far emergere il conflitto tra gli interessi individuali, col rischio di
assecondare i desideri immediati e non i benefici collettivi a più lunga scadenza
(Rinauro, 2002, p. 245). Nella sua approfondita analisi comparata sulla diffusione dei
sondaggi di opinione nei paesi europei e negli Stati Uniti, è particolarmente
suggestiva l’ipotesi interpretativa formulata nel ponderoso studio di Sandro Rinauro,
a proposito della “culla” triestina del sondaggio di opinione in Italia: “ Nonostante la
lunga estraneità del congegno intellettuale americano all’Italia degli anni Trenta e del
secondo dopoguerra, la sua prima acclimatazione emerge come effetto della
coincidenza storica tra la sua nascita statunitense e la crisi del regime fascista in
Italia, coincidenza mediata da una personalità, quella di Pierpaolo Luzzatto Fegiz,
dalle predisposizioni socioculturali tanto ricettive al sondaggio quanto marginali nel
panorama intellettuale di quegli anni. […] La lunga assenza di propensioni autoctone
all’indagine demoscopica non solo fece della Doxa, l’istituto di opinione pensato da
Luzzatto Fegiz negli anni di guerra e fondato nel 1946, quasi l’unico istituto a
effettuare sondaggi sociopolitici sino al principio degli anni Settanta, ma proprio
mediante questo forzato monopolio, ha garantito anche la preservazione nei decenni
dei valori democratici simbolici e pratici attribuiti dallo statistico al sondaggio
durante la crisi del regime fascista. La biografia intellettuale di Luzzatto Fegiz e
l’attività della Doxa sono dunque la storia del sondaggio di opinione almeno sino al
principio degli anni Settanta.” (Rinauro, 2002, pp. 12-13). Questi studi saranno infatti
apprezzati solo nell’Italia liberata e troveranno ascolto solo presso due economisti e
uomini politici di ispirazione laica e liberale: Gustavo del Vecchio e Luigi Einaudi.6
Luigi Einaudi, in un discorso all’Assemblea Costituente il 18 giugno del 1947,
afferma che avrebbe desiderato presentare all’Assemblea “un piano che
corrispondesse al Libro Bianco inglese, il quale ci dicesse come i cittadini italiani
vivono, quale è il loro reddito, in quali categorie sociali si dividono; quanti sono
coloro che hanno un reddito da zero a centomila lire, quanti hanno un reddito da
cento a cinquecentomila lire, ecc. Ma purtroppo noi dobbiamo riconoscere che,
nonostante i tentativi fatti dagli studiosi italiani per progredire su questa linea, siamo
ben lungi dal poter costruire un siffatto piano” (Luigi Einaudi, La situazione
economica e finanziaria, Camera dei Deputati, 1947, citata in Luzzatto Fegiz, 1950,
6 Fino alla fine della guerra le tragedie del conflitto nel confine orientale, con la perdita dei beni e dell’amato rifugio di
Zabodaski, costringono il nostro autore ad interrompere gli studi sull’argomento. Nei mesi immediatamente successivi
alla liberazione Luzzatto Fegiz sarà impegnato in un’attiva opera di persuasione di politici, giornalisti stranieri e ufficiali
alleati a proposito delle gravi conseguenze che avrebbe causato un trattato di pace ingiusto, che avesse lasciato la
Venezia Giulia fuori dai confini dell’Italia. Luzzatto Fegiz coordina un gruppo di ricerca dell’Istituto di statistica
dell’Università di Trieste per dare alle stampe nel luglio del 1946 il volume “L’economia della Venezia Giulia”, nel quale
confluisce una poderosa raccolta di dati sull’economia della Venezia Giulia, aggiornati al biennio 1938-1939. Nella
prefazione il curatore dichiara di seguire una linea di assoluta obiettività e serenità scientifica, astenendosi da ogni
commento politico: inoltrandosi nei dati raccolti è evidente però che, al termine delle trattative, i trattati di pace, alla
luce della descrizione della struttura economica, arrecheranno un danno irrimediabile al tessuto economico, oltre che
civile della Venezia Giulia: “Ma per prendere decisioni giuste e durevoli, bisogna studiare i fatti. Per costruire un
trattato vitale non è indispensabile il genio, ma occorre molta pazienza, molto lavoro di dettaglio e uno spirito di
equità che non transiga sui grandi principi (che si chiamarono allora “quattordici punti” e si chiamano oggi “carta
atlantica”). È per coloro che sono animati da tale onesta volontà di contribuire ad una pace giusta – siano essi uomini
di Stato, o esperti, o semplici membri del pubblico – che l’Istituto di Statistica dell’Università di Trieste ha preparato
questa raccolta di cifre e di notizie sopra una delle zone contestate d’Europa. Possa lo stesso spirito che ha animato gli
autori, lo stesso ardente desiderio di giustizia e di concordia universale, ispirare anche i lettori, specialmente stranieri,
ed incitarli all’azione prima che sia troppo tardi.” (Trieste, luglio 1946, PLF, p. vii). Il quadro statistico fornito , a 20 anni
di distanza dall’opera di Livio Livi, il quale aveva raccolto nel 1925 le “Statistiche sull’economia della Venezia Giulia nel
1925” è estremamente dettagliato e comprende informazioni su territorio, popolazione, redditi e tributi, opere
pubbliche, istruzione, agricoltura, pesca, industria, navigazione, commercio e traffici portuali, banche, assicurazioni,
spettacoli, e i progetti infrastrutturali per la ricostruzione (ferrovie, autostrade, canali navigabili – progetto di un
canale navigabile, mai realizzato, Alto Adriatico – fiume Sava), impianti idroelettrici, bonifiche agrarie, acquedotti,
piano regolatore e porto industriale di Trieste e di Pola. Anche in questo caso la grande mole di lavoro non otterrà i
risultati sperati. Purtroppo, anche nel contesto politico del dopoguerra, questa raccolta di statistiche che mostravano
l’irreversibile declino economico della Venezia Giulia a seguito della mutilazione del suo storico entroterra economico
non poterono influire, ovviamente, sul corso degli eventi.
p. 341). La Doxa, fondata come già ricordato da Luzzatto Fegiz nel 1946, presenta
prontamente nel luglio 1947 un progetto di indagine sulla distribuzione del reddito
nazionale per fornire solida evidenza empirica per la politica economica, e soprattutto
tributaria, al Ministro del Bilancio Luigi Einaudi e al Ministro del Tesoro Gustavo
Del Vecchio, il suo primo mentore accademico. Un decreto del dicembre 1947
assegna un contributo di 16 milioni per la realizzazione dell’indagine, che copre solo
parzialmente il costo delle rilevazioni e delle elaborazioni dei dati. Andrea Brandolini
(Brandolini, 2000, p. 214), ripercorrendo la storia della distribuzione del reddito nel
secondo dopoguerra ha definito “eroica” quest’indagine: furono infatti intervistate
quasi 11 mila famiglie, una ogni mille rispetto alla numerosità stimata dei nuclei
familiari residenti allora in Italia. Luzzatto Fegiz, nella relazione dell’aprile del 1949
con i risultati dell’indagine, esprime con grande onestà intellettuale anche i limiti di
questa indagine connessi alla mancanza di fonti censuarie aggiornate che consentano
di suddividere la popolazione in un certo numero di strati o di gruppi geograficosociali. Nell’indagine fu possibile considerare solo 13 regioni o gruppi di regioni e
otto classi economico-professionali (104 sottoclassi), utilizzando i dati del
censimento del 1936, parzialmente aggiornati al dicembre 1947. Inoltre, in assenza di
un censimento ravvicinato, la scelta delle famiglie da intervistare non poté essere
eseguita mediante estrazione a sorte ma seguendo schemi a priori (scelta ragionata),
fonte di possibili errori statistici sistematici. Con tutti i caveat, Luzzatto Fegiz
fornisce una stima attendibile del reddito nazionale, pari a circa 6.700 miliardi di lire,
con un margine di errore stimato in circa 100 miliardi. Inoltre l’indagine Doxa
presenta le prime stime sulla distribuzione dei redditi e sulla loro diseguaglianza. La
tavola e i due istogrammi che seguono, tratti dalla Relazione dell’aprile 1949,
riassumono con efficacia i risultati più significativi.
Una famiglia su 10 nel 1948 percepiva un reddito annuo superiore a 1.065.000 lire,
concentrando nel complesso circa un terzo del reddito nazionale. Il decimo più
povero delle famiglie italiane percepiva meno di 175 mila lire all’anno.
L’istogramma consente anche un confronto con la distribuzione del reddito negli Stati
Uniti tra il 1935 e il 1936, basata sulle statistiche del National Resources Committee,
alla cui metodologia Luzzatto Fegiz si era sostanzialmente attenuto in questa sua
pionieristica stima per l’Italia. Pur essendo il reddito nazionale statunitense più
elevato di quello italiano, la distribuzione per classi di reddito mostra un andamento
del tutto simile rispetto al caso italiano: il decimo più ricco delle famiglie americane
concentra il 36 per cento del reddito nazionale, contro il 34 per cento italiano; il
decimo più povero delle famiglie americane percepisce circa il 2 per cento del reddito
nazionale, quota non dissimile da quella dell’Italia. Ovviamente, a causa dei diversi
livelli di sviluppo tra i due paesi, negli Stati Uniti nel biennio 1935-1936 il reddito
delle famiglie più povere in valore assoluto non superava i 340 dollari, pari a circa
350 mila lire ai prezzi del 1949, a fronte di un valore soglia per il 10 per cento delle
famiglie italiane più povere di 175 mila lire annue.
[seguono tavola e istogrammi]
Quanto sopra narrato assume un pieno significato se, in una sorta di “cinematica
storica, è possibile confrontare i dati relativi alla distribuzione del reddito nazionale
nel corso del tempo, fornendo evidenza empirica sull’evoluzione della diseguaglianza
economica e delle condizioni di vita. A tal proposito, il lavoro di Luzzatto Fegiz del
1948 è stato recentemente ripreso all’interno di un’importante opera scritta in
occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia sulle condizioni di vita degli
italiani, sui rapporti tra crescita economica, diseguaglianza e povertà (Giovanni
Vecchi, 2011). In particolare, nel capitolo “Disuguaglianza”, Amendola, Brandolini e
Vecchi analizzano per la prima volta l’evoluzione della diseguaglianza dei redditi dal
1861 al 2011. Per confrontare le distribuzioni del reddito nel corso del tempo è
necessario ricorrere all’indice che Corrado Gini, il “rivale” di Luzzatto Fegiz nella
polemica del 1942, introdusse in due celebri articoli pubblicati nel 1912 e nel 1914.
L’indice, che da allora prende il nome del suo autore, sintetizza in un unico numero il
grado di diseguaglianza nella distribuzione del reddito (o in ogni altra variabile
quantitativa, non solo economica): tale indice, espresso in termini percentuali, calcola
la distanza media dei redditi di tutti gli individui da tutti gli altri, variando tra 0,
nell’ipotesi di perfetta uguaglianza (equipartizione) dei redditi tra i soggetti (o le
famiglie, nel nostro caso) e 100 nel caso opposto, nel quale il reddito (solo per
ipotesi, fortunatamente!) fosse concentrato nelle mani di un unico individuo
(Amendola, Brandolini, Vecchi, 2011, p. 251). Nel mondo reale si rilevano
ovviamente valori intermedi di questo indice e, in generale, a valori più elevati
corrisponde una maggiore diseguaglianza dei redditi. La figura che segue, tratta dal
contributo di Amendola, Brandolini e Vecchi, mostra 150 anni di diseguaglianza dei
redditi in Italia. Si osserva come tra l’età liberale e il fascismo l’indice di Gini è
rimasto pressoché stabile,oscillando tra 50 e 45. Il punto isolato in corrispondenza del
1948 (con un indice di poco superiore a 40) rappresenta l’analisi isolata ed “eroica”
di Luzzatto Fegiz, per riprendere la felice espressione di Andrea Brandolini. Solo a
partire dal 1965, grazie all’indagine sui bilanci delle famiglie italiane la Banca
d’Italia ha in un certo senso preso il testimone della Doxa, curando a tutt’oggi 32
indagini sui bilanci delle famiglie italiane.7 Nel periodo giolittiano e negli anni del
“miracolo economico” le diseguaglianze si riducono in misura limitata. È solo con gli
anni Settanta che la distribuzione del reddito è diventata più equa e il coefficiente di
Gini ha raggiunto il minimo storico di 30: la forza delle organizzazioni sindacali, le
riforme fiscali e pensionistiche, la riforma del meccanismo di indicizzazione dei
salari (il cosiddetto “punto unico”) inducono una maggiore eguaglianza. A partire dai
primi anni Ottanta, invece, la diseguaglianza ha ripreso a crescere: nell’opera di
Piketty, citata all’inizio di questa relazione, emerge che a livello internazionale questa
tendenza nell’ultimo periodo si è accentuata nei principali paesi occidentali. Negli
ultimi anni, in corrispondenza della crisi in atto, la mancata crescita economica e
l’incremento delle diseguaglianze si sono riflessi in un peggioramento dei principali
indicatori di povertà e, più in generale, di deprivazione materiale e sociale e di
vulnerabilità sociale. Nell’attuale momento storico, nel quale sembra interrompersi la
7
Il lettore interessato può trovare nella sezione “Pubblicazioni” del sito della Banca d’Italia le pubblicazioni ufficiali
della Banca con i principali risultati delle indagini sui bilanci delle famiglie italiane. Inoltre, la Banca mette liberamente
a disposizione degli studiosi i dati con l’archivio storico delle indagini dal 1977, anno dal quale le revisioni
metodologiche apportate rendono comunque le serie sufficientemente omogenee ai fini dell’analisi statistica e
dell’interpretazione economica.
tendenza di lungo periodo a una maggiore eguaglianza nelle condizioni e nelle
opportunità di vita che ha caratterizzato lo sviluppo economico italiano dall’Unità ai
primi anni Ottanta, la tematica distributiva è tornata al centro del dibattito pubblico:
ripercorrere la complessa storia della diseguaglianza economica fornisce non solo
agli economisti, ma anche ai cittadini, nuovi spunti di riflessione per interpretare
questo particolare momento storico.
BIBLIOGRAFIA