PLATONE
Platone è uno delle più importanti figure della filosofia greca. Il suo pensiero ha influenzato la riflessione
successiva fino a giungere nell'età moderna e contemporanea. Con P. nasce un
nuovo modo di fare filosofia e affrontare i problemi di vecchia data:
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•
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natura dell'uomo
vivere etico-politico
realtà e conoscenza
Nacque ad Atene nel 428/27 a.C, e muore nel 348/47. Il suo vero nome era
Aristocle. Di famiglia aristocratica ebbe un'educazione fondata sullo studio della
grammatica, ginnastica e musica. Frequentò personaggi influenti come Crizia. La
sua formazione avvenne nell'ambiente dei circoli aristocratici filospartani.
Avvicinatesi inizialmente all'eraclitismo di Cratilo (principio della realtà-divenire)
si accosta anche all'eleatismo di cui conosce i principi di fondo. Tuttavia fondamentale sarà, invece,
l'incontro con Socrate (408 a.C.) che lo porteranno a dedicarsi interamente alla filosofia.
Un'altra data importante è il 399 a.C. infatti è proprio con la condanna a morte di Socrate che inizierà
l'attività speculativa di P. che vedeva nella polis un'organizzazione morale e politica che non funzionava.
Infatti essa aveva condannato l'unico vero uomo politico.
Era necessario costruire una cultura e una paidéia nuove.
Platone non si sente ancora pronto e comincia una serie di viaggi di istruzione:
1. Megara: filosofia socratico-eleatica (Euclide)
2. Egitto (Cirene)
3. Magna Grecia: movimento orfico-pitaorico
• Taranto: amico di Archita
4. 388 a.C. Sicilia, in particolare a Siracusa, dove era tiranno Dionisio il Vecchio, amico e cognato di
Dione. A causa di questo viaggio si ritroverà prigioniero a Egina.
➢ Nel 387 a.C. ritornerà ad Atene, dove fonderà l'accademia, un istituto di ricerca (eroe Academo).
Essa era una comunità autonoma e godeva di prestigio politico.
Platone si dedica, dunque, all'insegnamento e alla stesura della sue opere.
➢ Nel 367 farà un secondo viaggio a Siracusa, dove trova Dionisio il Giovane. Anche questo viaggio lo
deluderà. Platone riuscirà con difficoltà a ritornare ad Atene.
➢ Nel 361 intraprenderà un terzo viaggio a Siracusa, anche questo avrà esiti negativi.
Corpus degli scritti:
•
34 dialoghi
• Apologia di Socrate
• 13 lettere
Trasillo ha ordinato tali scritti in nove tetralogie. E' difficile stabilire la cronologia degli scritti. I metodi usati
sono (1) l'analisi stilometrica1; (2) studio del ruolo di Socrate.
Platone espone la sua filosofia attraverso il dialogo e questo per diversi motivi. La prima fase del suo
pensiero è definita socratico-platonica e ciò per l'influenza che su di lui aveva avuto l'insegnamento del suo
maestro che si riflette anche nella scelta della struttura dialogica utilizzata nelle sue opere. P. inoltre
considerava la conversazione orale superiore alla parola scritta come affermerà nel “Fedro”. Alcuni studiosi
parlano dell'esistenza di un P. orale e delle cosiddette «dottrine non scritte» che esporrebbero idee
filosofiche difficilmente comprensibili e non presenti nei dialoghi. E' solito inoltre trattare gli stessi problemi
in modo diverso. Le opere scritte, dunque, presentano una filosofia mobile, caratterizzata da un continuo
processo di autocorrezione. A tal fine P. fa uso di più linguaggi. Del resto per lui non esiste un modo unico
per esprimere la verità. Il dialogo ha lo scopo di permettere questo lavoro. Peculiare è l'uso del mito, uno
strumento per esprimere in modo più comprensibile la verità. Esso ha una funzione filosofica, è uno
strumento che ha il compito di aiutare il lavoro del lógos; una narrazione costruita dal filosofo per
rappresentare sotto una forma non dottrinale importanti contenuti razionali.
Platone nutriva un profondo interesse per la politica ma ne era rimasto deluso. Il regime aristocratico (Trenta
1 Le analisi stilometriche sono indagini circa lo stile di un testo, attraverso l'applicazione di tecniche statistiche.
Tiranni) si era macchiato di gravi nefandezze mentre quello democratico era il responsabile della morte di
Socrate. Di fronte a queste crisi P. crede sia necessario la ricerca di nuovi fondamenti etico-politici. Una dose
di responsabilità era della cultura tradizionale ancora molto forte ma non in grado di affrontare determinate
problematiche. La critica è rivolta sia ai sacerdoti che ai poeti.
➢ i primi non avevano un'idea chiara su ciò che è sacro e la loro concezione della divinità era
imprecisa, per certi aspetti sacrilega. Non erano stati in grado di dare un significato veramente
morale alla religione. Quella dei sacerdoti era, dunque, una religione superficiale e formalista.
➢ Per quanto riguarda i poeti P. chiama in causa primo fra tutti Omero che era considerato il cardine di
tutta l'educazione. L'errore dei poeti è quello di aver dato un'immagine irriverente della divinità,
soggetta a passioni riprovevoli. Mostra, inoltre, gli eroi e gli uomini illustri in atteggiamenti
eccessivi che costituiscono modelli negativi di comportamento.
➢ P. non si ferma a tali critiche ma ha qualcosa da dire anche su gli uomini politici del passato che
hanno compiuto azioni grandi e degne di lode solo grazie ad una predisposizione naturale e non per
conoscenze correttamente acquisite.
Il successo di tali uomini è dovuto a una sorta di «favore divino» che instilla nella loro mente una «retta
opinione» che permette di formulare giudizi validi ma non un'adeguata «conoscenza».
I politici, quindi, governano grazie alla «retta opinione» e non possiedono la tecnica politica
(tecnica=modello di sapere effettivo).
Così i pretesi educatori non possiedono l'arte di governare ed educare. Se consideriamo che l'educazione è
fondata sulla conoscenza la situazione risulta gravosa. La crisi tradizionale è dunque legata a un vuoto
conoscitivo.
➢ P. critica pure i sofisti che si considerano maestri di virtù anche senza una vera conoscenza di ciò che
vogliono insegnare. Infatti non sono in grado di rispondere alla domanda socratica intorno al «che
cos'è». Ciò perché pretendono di insegnare la virtù ignorando il significato morale della virtù
stessa, non considerando che la vera educazione parte dalla conoscenza dei concetti di bene e di
male. Come il suo maestro, P. insiste sulla distinzione tra piaceri buoni e cattivi, convinto che solo il
vero bene conduce alla vera felicità. Anche per P. bene, virtù e felicità coincidono e solo la
conoscenza del vero bene è garanzia della vera felicità e della vera virtù.
Dunque tutte le definizioni intorno al “bello”, al “giusto”, alla “virtù” risultano prive di fondamento se non
rientrano in una dimensione universale. Per questo la necessità di interrogarsi sul «che cos'è il bene», al
quale sono ancorati le definizioni dei concetti poc'anzi menzionati.
➢ Infine P. non risparmia neanche la retorica (Gorgia), infatti l'uso della parola non serve a nulla se
non è accompagnata dalla conoscenza del vero bene. Bisogna, dunque, affidare l'anima ai veri
maestri, ovvero coloro che sanno cosa siano il bene e il male. La retorica non è vera “arte” (téchne).
Le téchnai prevedono sempre una specifica sapienza e questo non sembra essere il caso della
retorica.
Vediamo che i problemi affrontati sono diversi da quelli che interessavano i filosofi presocratici per i quali
l'oggetto di indagine e il metodo erano altri rispetto a quelli che troviamo in P. orientato invece su ciò che
riguarda l'uomo, la sua azione nel mondo e i mezzi attraverso i quali è possibile perseguire la felicità.
Diviene essenziale ricercare il significato ultimo della realtà, del fine (o dei fini) verso cui essa si trova
orientata, tutti aspetti che i presocratici avevano trascurato non curandosi del problema del bene, dei valori e
dei fini.
Ad occuparsi di tali problematiche sembra fu invece il movimento orfico-pitagorico a cui fu interessato P. e
in particolare alla dimensione ultraterrena come appare dalle sue opere. Tuttavia l'orfismo presenta dei limiti
perché dipende ancora dal mito ovvero alla rivelazione pura e semplice della verità mentre secondo P. è
necessario seguire il lógos (via della ragione).
Sin dall'inizio della sua riflessione lo scopo di P. è quello di trovare un adeguato criterio di conoscenza e per
questo nasce l'esigenza di superare lo scetticismo conoscitivo (sofisti) e lo stesso socratismo. P. vuole non
solo cercare ma anche trovare, affronta così il problema della conoscenza (conoscenza certa) passando poi a
quello della realtà (realtà certa).
Ciò che si pone davanti al filosofo è il problema ontologico (natura dell'essere in generale). Le risposte date
dalla sofistica e dallo stesso Socrate non erano soddisfacenti. Gorgia era giunto a negare la conoscenza e a
dichiarare che «nulla è». Per Protagora la conoscenza era momentanea e soggettiva. Nel cercare una dottrina
filosofica in grado di aiutarlo nella propria indagine P. giunge fino a Parmenide al fine di fondare una
conoscenza oggettiva, certa e universale.
L'eleatismo, così come il pluralismo, ha tuttavia dei limiti che P. ben conosce.
 Parmenide non aveva illustrato chiaramente cosa intendeva con «l'essere», né il rapporto che questi
ha con la realtà sensibile.
 I pluralisti avevano cercato di risolvere il problema riconducendo tutto alla phýsis.
Platone si muove in un'altra direzione e considera la natura organizzata in modo eracliteo, caratterizzata
dunque dalla mutevolezza e diversità, la sua ricerca si muove al di là della phýsis. La realtà presenta adesso
una duplice dimensione:
1. realtà intellegibile: quella più alta, al di là delle cose fisiche (metafisica). Essa è eterna e
immodificabile (eleatismo), immateriale e non-sensibile. Può essere colta solo con l'intelletto.
IDEA E MONDO IDEALE.
2. Realtà sensibile: dimensione mutevole, soggette al divenire, materiale, sensibile. Colta attraverso i
sensi.
Passiamo ora alla celebre dottrina delle idee. Il termine idea deriva dal gr, êidos, dove la radice id è una
caratteristica del verbo «vedere» (lat. video) e del verbo «conoscere» (gr. eidénai). Viene tradotto anche con
«forma». Oggi la parola “idea” ha una consistenza mentale, un significato gnoseologico, intendendo con essa
un contenuto della mente, una rappresentazione della realtà, un'elaborazione astratta del pensiero.
L'idea platonica ha valore ontologico, è una determinazione dell'essere, qualcosa che esiste veramente e che
quindi può essere pensata. Essa è l'oggetto pensato. Dunque abbiamo:
1. realtà intellettuale-universale: costituita dalle idee, un ente unico, esemplare e sempre identico a se
stesso. Essa può essere colta con il pensiero.
2. Realtà particolare-sensibile: costituita dai fenomeni mondani, numerosi e differenti che si offrono
alla mia percezione.
Le idee sono per P. la vera realtà, mentre le cose sensibili sono le loro copie imperfette. Le idee sono le
forme o i modelli che le cose imitano e costituiscono l'essenza perfetta e vera dei fenomeni mondani. Esse
sono le forme universali su cui sono modellate le cose particolari. La loro natura è puramente intellegibile,
ciò vuol dire che possono esser colte solo dall'intelletto e per via razionale. Le proprietà che le caratterizzano
sono le stesse che inerivano all'essere eleatico (vere-perfette-eterne-immutabili).
Inoltre l'idea è forma anche delle cose astratte. Esistono molte azioni giuste, infatti, ma nessuna di esse
rappresenta in se stessa la giustizia. Non posso, dunque, usare i diversi casi di giustizia per giudicarne altri.
Le cose giuste sono tali perché partecipano di quella realtà perfetta che è l'idea del giusto. Solo questa è
veramente universale e solo per essa posso giudicare tutte le azioni giuste. La teoria delle idee ha
implicazioni importanti in quanto:
➢ risolve il problema gnoseologico: la conoscenza è possibile perché esiste una realtà che può essere
colta dal pensiero, una realtà non soggetta al divenire
➢ coglie i principi ultimi delle cose: riesce dove gli altri avevano fallito facendo delle idee l'unità
nella molteplicità che i milesi avevano cercato; l'essere puro e immutabile degli eleati; i concetti
stabili e universali a cui Socrate riconduceva ogni discorso
➢ l'esistenza di una dimensione ideale permetteva a P. di garantire l'esistenza di un altro «mondo»,
quello ultraterreno e sovrasensibile che risulterà essenziale per la concezione etica.
Possiamo individuare una dimensione assiologica2 del mondo ideale di P. Le idee, infatti, non sono solo
principi ma anche valori. Essendo dei modelli perfetti essi si riferiscono a quelle realtà che sono veramente
belle e buone (vero bene). In tal senso il mondo delle idee è quella dimensione superiore cui il mondo
dell'esperienza tende come al suo fine. La teoria delle idee del resto nasce da un'esigenza etica, ovvero dalla
necessità di valori morali che costituiscano la guida sicura per l'attività etico-politica.
P. cerca inoltre di individuare un principio unificatore. Le idee sono molte, per questo occorre individuare
un principio che conferisca unità al mondo ideale. Tale problema era stato affrontato da P. quando si era
occupato della morale socratica secondo la quale era necessario che tutti i valori morali si riferissero a un
bene superiore che li tenga uniti. Secondo P. il principio unificante delle idee è l'idea del bene, che ha
2 Assiologia (gr. áxios, degno, valido e lógos, scienza)
Teoria dei valori (etici, estetici,logici). Essa generalmente ha come punto di riferimento una ideale scala gerarchica,
alla quale devono tendere ed uniformarsi il più possibile i comportamenti umani.
diverse funzioni:
• unificare il molteplice
• spiegare la profonda unità che lega fra loro i valori (spiegare la tensione che spinge l'uomo verso il
bene)
• principio che orienta verso di sé, come suo fine ultimo, tutta la realtà
• principio gnoseologico e ontologico
La realtà può essere raffigurata da una piramide, vediamo in che modo:
UNO
DIVERSI GRADI
MOLTEPLICE
Per dimostrare l'esistenza delle idee P. ricorre alla dialettica socratica. Il confronto delle opinione è, infatti,
sufficiente ad attestare l'esistenza del vero. Conoscere inoltre non vuol dire costruire una verità che prima
non esisteva ma togliere il velo a qualcosa che da sempre esiste.
Giungiamo così alla famosa teoria della reminiscenza (anamnesi) che espone nel “Menone” e ne da una
spiegazione attraverso l'esperimento maieutico. Il problema di P. è quello dell'apprendimento, come
dall'ignoranza può nascere la conoscenza. Da qui l'episodio dello schiavo che se guidato nel modo corretto
riesce a ricordare nozioni di matematica mai apprese prima. L'uomo possiede, in qualche modo, le idee
(nozioni). Esse vengono dimenticate o ritenute in modo scorretto e quindi con un aiuto esterno possono
essere richiamate alla mente. Tali conoscenze devo essere state acquisite prima della nascita. Ciò vuol dire
che l'anima ha una vita che precede ed è indipendente dal corpo. Apprendere vuol dire, dunque, ricordare. In
questo contesto P. riprende la concezione orfica della trasmigrazione delle anime3.
Nel “Fedone” P. afferma esplicitamente che le nozioni che ogni uomo possiede sono le idee. La loro
preesistenza è il necessario presupposto di qualsiasi ragionamento. Secondo P. siamo in grado di dire se due
oggetti sono uguali o diversi solo perché possediamo l'idea dell'uguale, cosi come posso discutere sul «che
cos'è la giustizia» perché esiste l'oggetto in questione.
Possiamo dire a questo punto che la conoscenza per P. consiste nel portare alla luce e svelare una realtà, una
verità che si trova nascosta.
Le idee non esistono nella realtà sensibile ma preesistono in un'altra dimensione e l'uomo le acquisisce prima
di nascere per poi dimenticarle. L'esperienza sensibile ha il compito di stimolare il “ricordo”. Per questo è
necessaria la ricerca che sarebbe stata inutile in caso di conoscenza assoluta e impossibile in caso di
ignoranza assoluta. Platone parla di un grado di pre-conoscenza e di conseguenza ricorre alla dimensione
intellegibile. Tuttavia, sarebbe errato affermare che per P. la realtà sensibile non ha valore. Il filosofo ricorre
ad una dimensione superiore proprio per spiegare gli eventi mondani.
L'aspetto antropologico inerisce al rapporto (1) uomo-mondo delle idee e a quello (2) uomo-mondo
sensibile. L'uomo è costituito di corpo (soma) e anima (psyché). Per Socrate l'anima era il centro dei valori
morali e la identificava con la coscienza. P. fa propria la tesi socratica integrandola con una concezione
«fisiologica» dell'anima che è dunque anche principio vitale. Essa è principio di movimento e di vita, anzi è
la vita stessa e dunque è immortale. L'anima immortale di cui parla P. corrisponde alla coscienza socratica,
un «demone incarcerato nel corpo» (credenza orfica) che ha un'esistenza e un destino indipendente, tanto che
l'anima può opporsi agli impulsi del corpo. Per questo l'anima non appartiene al mondo sensibile e ciò perché
più vicina al divino, tuttavia non appartiene neanche al mondo intellegibile e ciò per il suo legame con il
mondo del divenire. Essa è quindi un ente intermedio, ciò emerge più chiaramente nel “Fedro” dove P. narra
il mito della biga alata:
3 Metempsicosi (dal greco metempsychosis, passaggio delle anime), teoria secondo la quale le anime vanno soggette
a successive reincarnazioni.
“Per Platone l'anima è una biga trainata da cavalli alati: essa è composta da tre elementi: un auriga e due
cavalli. Nell'esistenza prenatale le anime degli uomini stavano con quelle degli dei nel cielo, con la
possibilità di raggiungere un livello superiore, l'iperuranio, una realtà al di là del mondo fisico. L'auriga
impersonificava l'elemento razionale, mentre i cavalli quelli irrazionali: ciò significa che la nostra anima è
per Platone costituita da elementi razionali ed irrazionali. Dei due cavalli, uno, di colore bianco, è un
destriero da corsa ubbidiente e con spirito competitivo, l'altro, nero, è tozzo, recalcitrante ed incapace:
compito dell'auriga è riuscire a dominarli grazie alla sua abilità e alla collaborazione del bianco.
Il nero si ribella all'auriga (la ragione) e rappresenta le passioni più infime e basse, legate al corpo.
Il bianco rappresenta le passioni spirituali, più elevate e sublimi.”
Vi è una connessione tra la concezione dell'anima e il comportamento del filosofo che deve dedicarsi alla
ricerca della sapienza e non preoccuparsi della vita pratica e materiale. Il filosofo è «colui che desidera
morire» perché solo in questo modo l'anima viene liberata dal carcere del corpo e raggiungere la realtà
intellegibile. Infatti anche quando l'uomo riesca a dedicare la sua vita all'attività intellettuale e contemplativa
non arriverà mai a possedere le idee in forma perfetta. Egli deve comunque prendersi cura della propria
anima e guardare la morte con serenità. Platone crede che vi siano diverse via per giungere al mondo delle
idee:
✔ esercizio della sapienza
✔ retto comportamento morale
✔ ricerca della verità
✔ eros (“Simposio”)
Naturalmente ciò non è semplice e subentra a questo punto l'eros (amore) che ha la capacità di promuovere
nell'uomo la tendenza verso le cose belle (mondo ideale =realtà fra tutte più bella). L'amore non è un dio ma
un demone ovvero un essere intermedio tra dio e l'uomo. E' figlio di Penía (povertà, privazione) dal quale
deriva nell'uomo la propria costitutiva mancanza; e di Póros (abbondanza, risorda) dalla quale eredita la
tendenza a superare tale stato di privazione. L'amore è l'intuizione dell'esistenza del bello e del buono da
parte di chi non li ha ma li desidera. Tale desiderio porta l'uomo a superare i propri limiti fino ad arrivare alla
contemplazione della bellezza in sé. L'amore coincide con il desiderio di immortalità.
La concezione dell'anima e dell'eros di cui si è parlato sopra, e quindi il desiderio dell'uomo di staccarsi dal
mondo sensibile sembrano in apparente contraddizione con l'intento politico e morale di P. che non intende
ripudiare la dimensione mondana e sensibile. Uno studio più approfondito mostra che la dottrina dell'anima è
legata più di quanto si pensi al retto comportamento e va vista quindi in termini etici. P. usa la dottrina
dell'immortalità dell'anima per giustificare la scelta di Socrate riguardo al processo, considerandola una
scelta razionale e positiva.
Un'analoga interpretazione va data anche per quanto riguarda la dottrina dell'eros. L'uomo è immerso nel
mondo delle opinioni (doxa) dunque è difficile per lui amare la sapienza e desiderare di contemplare il
mondo ideale. Per questo è necessaria una conversione interiore («follia»), in questo modo l'amore aiuterà
l'uomo a superare i suoi limiti individuali-sensibili e innamorato sentirà l'impulso di «procreare nel bello»
ovvero sentirà il desiderio di riprodurre nel mondo sensibile quel bello contemplato nel mondo delle idee.
Quella del filosofo è una «pazzia» positiva perché consiste nel creare le condizioni per instaurare in questo
mondo il bene e il bello. Ciò non renderà il mondo perfetto tuttavia lo perfezionerà di molto.
Nella “Repubblica” P. parla di come è possibile costruire il “suo” stato. Raccoglie tutti i suggerimenti
positivi che la cultura greca del tempo gli offriva. In più aggiungeva i principi della sua ontologia dualistica e
della sua gnoseologia. Si era allontanato dalla politica, la polis del resto mancava di principi veri e certi, i
cittadini vivevano seguendo esempi negativi (irrazionalità della polis). Tuttavia P. è convinto che tale mondo
può essere organizzato secondo un modello razionale. Per produrre un ordine etico-politico più reale ed
efficace occorre, però, una più articolata concezione dell'anima e dello stato.
Il dialogo si apre con una riflessione sulla giustizia. Nel I libro Socrate confuta la tesi di Trasimaco secondo
cui la giustizia è l'utile del più forte. Intervengono poi i fratelli di P.:
➢ Adimanto: la giustizia è seguita solo per il timore dei castighi comminati dalla legge, talché
l'ingiusto è più felice del giusto.
➢ Glaucone: la giustizia è difficile e faticosa mentre l'ingiustizia è facile da seguire ed è fonte di
piacere.
Socrate è criticato perché le sue argomentazioni non giungono a conclusioni valide. Secondo P. egli oltre a
demolire le tesi avversarie dovrebbe elaborare una teoria alternativa.
La Repubblica costituisce uno strumento fondamentale per distinguere la filosofia platonica da quella
socratica. Dal II libro protagonista è Socrate e la tecnica delle domande e risposte ha ora una funzione
costruttiva ed ha lo scopo di giungere a conclusioni valide. Da qui P. delinea i tratti fondamentali dello stato
ideale fondato sulla giustizia. Prima di tutto occorre individuare i bisogni della popolazione e distribuire i
vari compiti in modo che tali bisogni vangano soddisfatti. A tale scopo P. suddivide la società in tre classi:
 produttori: artigiani e commercianti, individui destinati alle attività necessarie per la sussistenza
materiale della polis
 guardiani: si occupano della difesa dello stato in sede militare e garantire l'ordine interno. Per loro è
vietato avere una famiglia e beni propri. Vige una sorta di «comunismo». Platone ribadisce
l'importanza della loro educazione
 governanti: scelti tra i guardiani per le doti particolari di cui sono provvisti. E' necessario che siano
filosofi perché i soli convinti che la giustizia coincida con il bene e dunque con la felicità dello stato.
Per questo diviene di importanza capitale l'educazione intesa come strumento fondamentale per il
buon funzionamento del governo.
L'educazione secondo la cultura tradizionale consisteva nel prendersi cura dell'anima e del corpo attraverso
la poesia, la musica e la ginnastica.
Platone giudica negativamente la poesia quando tollera aspetti contrari ai precetti morali. Per il greco è bello
ciò che è moralmente giusto. La poesia ha ragion d'essere solo quando è veramente bella e dunque
moralmente giusta. Dunque il bene ha il primato rispetto al piacere.
Platone critica duramente anche l'arte perché i prodotti artistici non sono altro che «copie di copie» della
realtà ideale.
La musica e la ginnastica, invece, favoriscono l'armonia psico-fisica dell'organismo, sviluppando la salute
del corpo considerata molto più importante della bellezza esteriore.
Ai filosofi-governanti spetta una specifica educazione ed anche più elevata dato il loro ruolo nella società.
Ad ogni classe P. associa una virtù specifica e l'appartenenza alle varie classi dipende dalle doti naturali che
ogni uomo possiede:
1. Produttori: «uomini di ferro», a loro è associata la temperanza (sophrosýne)
2. Guardiani: «uomini d'argento», a loro è associato il coraggio (andréia)
3. Governanti: «uomini d'oro», a loro è associata la sapienza (sophía)
La giustizia consiste nell'armonizzazione delle tre classi, e nel rispetto del proprio ruolo nella società. La
felicità tanto dei guardiani che dei governanti consiste nella realizzazione della virtù e della giustizia sociale.
La Repubblica platonica parla di uno stato ideale che identifica con lo «stato aristocratico», un'aristocrazia
aperta, e prevede il «comunismo» per i guardiani.
Platone divide l'attività economica da quella politica, in questo modo la vita politica può essere chiusa,
come è giusto che sia, a coloro che hanno interessi pratici e personali e i governanti che sono liberi da tali
interessi possono occuparsi della cosa pubblica. Per P. la politica è un'arte aristocratica concessa ai soli
uomini d'oro, di conseguenza i sofisti sbagliavano quando dicevano che la techne politica è a tutti comune.
Per questo non sono solo cattivi educatori ma anche cattivi politici.
Il vero aristocratico, per P., è colui che sa che fare il bene agli altri vuol dire farlo a se stesso. Per questo è
l'unico che ha il diritto di comandare, perché di necessità potrà fare solo il bene.
Non possiamo, come ha fatto Karl Popper, parlare di «totalitarismo» platonico. Infatti lo stato di cui parla P.
è uno stato ideale.
Dottrina delle costituzioni: le varie forme di costituzioni sono degenerazioni dello stato ideale.
1. Timocrazia (governo dell'onore) è la meno imperfetta, fondata sul governo dell'onore.
2. Oligarchia (governo di pochi) è fondato sul governo di pochi privilegiati interessati alle ricchezze.
3. Democrazia (governo del popolo) caratterizzato da una certa libertà che rischia di diventare anarchia.
4. Tirannide: governo autoritario di uno solo.
Corrispondenza fra le caratteristiche dell'anima e le tre classi sociali:
CLASSE
- produttori
- guardiani
- governanti
ANIMA
- parte “concupiscibile”
- parte “animosa”
- parte “razionale”
VIRTÙ
- sophrosýne
- andréia
- sophía
La GIUSTIZIA consiste nell'accordo ordinato delle tre parti dell'anima. Una tale concezione dell'anima
permette a P. di descrivere l'uomo in modo più unitario e organico. Supera, così, l'astrattezza di fondo della
concezione socratica con conseguenze in ambito politico. Non esiste più una netta distinzione fra anima
razionale e impulsi fisiologici disordinati e per questo è possibile cercare di instaurare un giusto accordo tra
le varie parti dell'anima. A questo punto dato che lo stato è strutturato in un modo analogo rispetto all'anima,
è suscettibile di un analogo accordo. L'armonizzazione dell'anima si manifesta nella virtù, quella dello stato
nella giustizia. Se è possibile parlare di un'anima e di uno stato giusti è altresì possibile parlare di uno stato e
un'anima ingiusti nei quali prevalgono gli impulsi irrazionali e i desideri fisico-corporei.
In antropologia possiamo parlare di due modelli ideali opposti:
• filosofo: una figura povera, dalla vita frugale
• tiranno: esaltato come l'uomo più felice
Platone intende dimostrare che solo l'uomo giusto è felice, spingendoli così ad adottare la rettitudine
filosofica nella loro condotta.
La Repubblica si conclude con una dimostrazione dell'immortalità dell'anima e il «mito di Er». Questi
narra di ciò che attende l'uomo nell'aldilà, dei premi e dei castighi connessi alla condotta tenuta in vita. In
esso viene sottolineato che è l'uomo a scegliere il proprio destino. La felicità o l'infelicità dell'uomo dipende
dalla libera scelta che questi avrà operato e non perché ha casualmente subito un destino.
Viene ancora ribadita l'importanza dell'educazione che ha lo scopo di formare l'individuo affinché faccia
scelte razionali che gli procurino felicità. A ciò deve mirare il filosofo.
Nella Repubblica troviamo un approfondimento della dottrina delle idee. L'«idea del bene» è considerato
principio ultimo e unificatore della realtà. In questo dialogo P. racconta il «mito della caverna» che dà una
rappresentazione della condizione umana e considera il rapporto tra mondo sensibile, mondo intellegibile e
idea del bene.
L'uomo è prigioniero della realtà sensibile e percepisce pure ombre paragonate alla realtà vera illuminata
dall'idea del bene. Il filosofo è colui che è giunto a contemplare le idee e dopo una prima fase di smarrimento
non vuole più occuparsi della realtà sensibile, ma non può farlo, il suo compito è, infatti, quello di liberare
dall'oscurità i suoi simili.
Per P. esistono due generi di conoscenza e due tipi umani che vi si correlano, riconosce inoltre tre gradi
conoscitivi ovvero l'opinione, la conoscenza e l'ignoranza (grado zero di sapere).
Platone individua una perfetta corrispondenza tra livello gnoseologico e livello ontologico. Da un lato
individua una realtà adeguata al tipo di conoscenza richiesta, dall'altro passa ad elaborare una più articolata
conoscenza individuandone varie forme. La novità consiste nell'introduzione della matematica che secondo
P. coglie l'ordine profondo della realtà e che affina le capacità umane di acquisire determinate idee (unitàmolteplicità-uguaglianza...). Per questo la matematica ha un ruolo molto importante nell'educazione.
La scienza più importante è però la dialettica:
• procedimento conoscitivo che conduce alla conoscenza delle idee e all'idea del bene
• riflessione sull'organizzazione interna del mondo ideale
MONDO SENSIBILE (HORATON)
MONDO INTELLEGIBILE (NOETON)
Di esso si ha opinione:
dóxa
Di esso si ha conoscenza:
sophia (episteme)
colui che ama l'opinione:
“filodosso”
colui che ama la sophia
“filosofo”
Universo conoscitivo
“arte” (eikasia)
imitazione delle cose
sensibili
Pensiero dianoetico
pensiero intellettivo puro
oggetti della matematica
(dianoia)
idee
(noesis)
“credenza” (pistis)
Era necessario approfondire la dottrina delle idee a causa dei vari interrogativi che ess a suscitava. Platone
non lo aveva fatto in nessuno dei suoi scritti e l'argomento viene trattato in maniera più dettagliata, forse,
durante le lezioni («dottrine non scritte»). A noi sono rimasti i «dialoghi dialettici» dove P. parla della
struttura del mondo ideale più approfonditamente. Rileviamo a tal punto una duplice esigenza, bisognava
attribuire alle idee il carattere dell'essere parmenideo e trasformare la “logica” di Parmenide. Questi era stato
costretto a rappresentare l'essere con caratteristiche (omogeneo) che lo allontanavano dall'esperienza
sensibile e quindi non poteva essere utilizzato per comprendere la molteplicità e il divenire.
Il mondo delle idee deve invece rappresentare il “modello” e la causa del mondo sensibile e P. intende
dimostrare che è lecito pensare l'essere come molteplice e disomogeneo.
Il “Parmenide” affronta il problema della natura delle idee in sé e del rapporto tra idee e mondo
sensibile. A quest'ultimo proposito P. associa la dottrina della «partecipazione», secondo cui le cose che
partecipano delle idee (tenendo in considerazione che il medesimo oggetto può essere uno e molteplice).
Vediamo le possibili obiezioni parmenidee alla dottrina delle idee:
1. c'è un idea per ogni cosa?
2. una cosa sensibile partecipa di tutta l'idea o di una sua parte?
3. come è possibile la comunicabilità fra mondo sensibile e mondo intellegibile?
Platone, tuttavia, è convinto dell'esistenza delle idee, infatti esse sono il presupposto necessario per la ricerca
della verità. A questo punto bisogna approfondire la dialettica ovvero un'indagine filosofica che abbia di mira
il mondo sensibile ma soprattutto quello ideale. Si prenderà in considerazione il rapporto tra unità e
molteplicità. Si hanno esiti inconcludenti, P. pensa che deve esistere una realtà intellegibile con le
caratteristiche dell'essere parmenideo ma tale realtà non va studiata con il metodo di Parmenide. Ciò
porterebbe a una separazione tra essere e non essere che rende impossibile stabilire relazioni conoscitive
fondate (relazioni conoscitive-diversità-non essere...). Applicare queste regole al mondo delle idee vuol dire
rendere impossibili i rapporti delle idee tra di loro, ma anche tra le idee e il mondo sensibile.
Nel “Sofista” P. cerca di dare risposte al problema sollevato dall'eleatismo. In esso troviamo lo “straniero di
Elea” che è il “vero filosofo”. Come vediamo emerge il tema della filosofia eleatica.
In questo dialogo viene delineato il metodo dicotomico della dialettica, consistente nell'arrivare a una
definizione di un determinato ente attraverso una serie di successive divisioni binarie dell'ambito cui l'ente
appartiene. Attraverso tale metodo si tenda di stabilire chi è il sofista giungendo alla conclusione che il
sofista è colui che dice le cose come sembrano e non come sono, dice dunque il falso, ovvero esprime ciò
che non è, e secondo Parmenide ciò che è impossibile.
Vediamo ora perché è impossibile dire e pensare il non essere:
1. nessuno ci riesce, nessuno può dunque dire il falso o essere “confutato” in quanto ignorante o falso
maestro
2. modo di parlare e pensare scorretto che va vietato, in tal senso sono lecite solo le proposizioni
tautologiche
Affermando che bisogna accettare che sia possibile dire e pensare il non essere e dimostrandolo attraverso la
distinzione tra essere come predicato del soggetto (il libro non è) e essere come copula (il libro non è un
cane) P. compie in cosiddetto parricidio di Parmenide. Nel primo caso si afferma che l'ente non esiste, nel
secondo si vuole affermare che l'ente è diverso dal cane. Possiamo dunque affermare che esistono due tipi di
NON ESSERE:
➢ come “nulla” opposto all'essere. È il non essere in senso ontologico, non può essere né pensato né
detto
➢ come ”essere diverso” del soggetto di cui si parla. È il non essere in senso “logico”, può essere sia
pensato che detto ed esiste anche nel mondo ideale
Escludendo le due ipotesi estreme secondi cui “tutto si predica di tutto” e che siano possibili i giudizi
tautologici, queste nuove interpretazioni del non essere tengono conto della possibilità di dire e di pensare
l'apparente e il falso.
Il compito della dialettica sarà quello di scoprire i rapporti corretti di «essere» e «non essere» fra le idee
ovvero nell'istituire predicazioni lecite. Platone individua cinque “generi sommi”:
– essere
- identico
– moto
- diverso
– quiete
Giungiamo dunque alle seguenti conclusioni:
1. le idee partecipano tra loro
2. le idee possono combinarsi l'una con l'altra
3. sono strutturate gerarchicamente (estensione)
4. il mondo delle idee ha una struttura organica nella quale troviamo combinazioni impossibili e
contraddittori.
Sviluppando ancora certe riflessioni, P. si è proposto di individuare alcuni principi ancora più generali delle
stesse idee e in grado di delineare la struttura originaria del mondo ideale e reale. Nel “Filebo” parla di
due «generi massimi», il finito e l'infinito in cui la realtà è interamente divisibile. Utilizza anche concetti di
carattere pitagorico, l'«uno» e il «grande e piccolo» coi quali fondare e insieme unificare tutta la realtà
pensabile, distinta in vari livelli. Sappiamo poco di questa ricerca perché affidata alle «dottrine non scritte».
Inizialmente P. individua la struttura del mondo ideale, nella relazione finito-infinito o unità-molteplicità,
passa poi a considerare la coppia «uno» (limite) e «grande e piccolo» (molteplicità illimitata) valida per tutta
la realtà.
Nel “Timeo” P. parla del cosmo e della sua costituzione, facendo parlare un pitagorico, Timeo di Locri. Il
suo è un «discorso verosimile» sulla genesi e organizzazione del mondo, perché il discorso vero si applica
alla sola realtà ideale. Il cosmo appartiene alle cose generate e dunque ha una causa che viene identificata da
P. con il «demiurgo», artefice divino che ha dato origine all'universo non creando dal nulla ma organizzando
la realtà sul modello di elementi e condizioni preesistenti. Infatti il demiurgo si serve della realtà ideale come
modello. Il suo lavoro risulta per questo imperfetto e il mondo del divenire una rappresentazione
somigliante del modello. Il demiurgo si comporta come un artista che cerca di «imitare» la realtà che vuole
descrivere e per questo P. afferma che tra le cose sensibili e le idee intercorre un rapporto di «imitazione»
(mimesi). L'opera del demiurgo è orientata finalisticamente e per certi versi risulta provvidenziale. Il mondo
non è il frutto del caso (atomismo) ma è stato costituito in modo intelligente e orientato secondo determinati
scopi. Il mondo è una realtà buona in sé. La bellezza e la bontà del cosmo sono fondate sulle sue strutture
matematiche. Dalle dottrine non scritte emerge che la matematica è l'unica via possibile per sapere in che
cosa consiste il «bene». Secondo P. il mondo è formato da quattro sostanze:
➢ terra e fuoco: constatazione fondata sulle esperienze fondamentali e che giustificano la corporeità e
la visibilità che caratterizza il mondo sensibile
➢ acqua e aria: elementi intermedi riferiti ai ragionamenti deduttivi.
Tra le due coppie di elementi vi è un rapporto proporzionale e per questo la realtà materiale ha una struttura
unitaria e ordinata. I quattro elementi assumono razionalità e necessità.
Platone spiega il modo in cui a partire da triangoli elementari, il demiurgo, forma i solidi geometrici dai
quali derivano i quattro elementi. Tali triangoli elementari sono due e sono: quello scaleno e rettangolo, e
quello isoscele e rettangolo.
- ABC: triangolo scaleno e rettangolo (fuoco-aria-acqua)
A
- ACD: triangolo isoscele e rettangolo (terra)
•
Tetraedo: fuoco-aria
•
Ottaedro: aria
D
•
Icosaedro: acqua
•
Cubo: terra
B
• Dodecaedro: non corrisponde a nessun elemento e le sue facce sono
riducibili ai due triangoli elementari scelti da Platone. La scuola platonica
tenderà a concepirlo come il quinto elemento: ETERE.
C
Gli elementi di Platone, al contrario di Democrito, sono composti di figure geometriche perfette organizzate
secondo ordinate ed armoniche proporzioni matematiche.
DEMOCRITO
PLATONE
- gli atomi hanno forma irregolare e si muovono
disordinatamente
- molteplicità, principi indipendenti e scollegati
- divenire: necessità meccanica priva di qualsiasi
finalismo
- cosmo inerte
- gli elementi sono figure geometriche perfette
- esiste un'unità ultima e superiore
- ordine universale del mondo: valore assiologico e
teleologico. Cósmos armonioso
- mondo vivente
Poiché il mondo è vivente il Demiurgo produce l'«anima del mondo»:
➢ assenza dell'identico
➢ assenza del diverso
componenti
➢ sostanza che un misto delle prime due
La sua funzione è di istituire un collegamento tra le due realtà. Essa è il modello delle anime individuali.
Il Demiurgo crea anche il tempo. Il modello su cui si ispira vorrebbe che il cosmo fosse eterno ma ciò non è
possibile dato che è generato e quindi crea il tempo come un'«immagine nobile dell'eternità immobile». Il
tempo è un'imitazione dell'immobile e dell'eterno, non è una realtà assoluta ma è legata al mondo, al divenire
e al movimento.
ONTOLOGIA PLATONICA
IDEA DEL BENE: puro bene, veramente una= unità pura
superiore all'essere stesso
Essere vero mondo delle idee e delle forme, molteplicità (non essere logico)
Realtà sensibile
Chóra
idee forme (essere) prendono forma mescolandosi con la chóra (non essere)
molteplicità-generzione-corruzione
pura illimitatezza e pura molteplicità
Il cosmo è imperfetto anche per l'esistenza di una seconda causa, oltre al Demiurgo: la «chóra», necessità,
impedimento che resiste all'opera plasmatrice del demiurgo. Platone allude da un lato a «ciò in cui » le cose
si generano, dall'altro a qualcosa che si avvicina al non essere, al limite negativo da cui le cose emergono.
Rappresenta un concetto negativo in quanto implica una mancanza. Ne deriva una doppia natura della realtà
sensibile:
1. modellata razionalmente, plasmata dal demiurgo, ordinata matematicamente
2. costruita sulla chóra, intrisa di indeterminatezza e disordine, divenire e consunzione 4.
Proprio per questo P. si rifiuta di elaborare un discorso filosofico sulla realtà sensibile.
Siamo giunti all'ultima fase del pensiero platonico e dunque all'ultima opera da lui composta: le “Leggi”.
Questo dialogo è dedicato alla politica e allo stato ideale. Vediamo tuttavia in merito allo stato un
atteggiamento diverso del filosofo:
• costruzione meno legata a principi filosofico forti
• creazione di uno stato meno perfetto e più adatto alla concreta esperienza umana e alle esigenze
pratiche
Secondo il P. maturo la migliore costituzione è quella che contempera i vari regimi riabilitando, anche se
parzialmente, la democrazia.
Nel X libro si pone il problema della religione dando un'interpretazione non univoca sulla divinità:
4
CONSUNZIONE (lat. consumptio, “ridurre a nulla”, “distruggere”), più comunemente dicesi di malattia lente e
continua, per il quale il corpo si indebolisce e l forze vengono a mancare.
➢ accetta il politeismo
➢ parla a volte di dei e di singolo dio senza alcuna differenza
➢ crede in una religione astrale: divinità=corpi celesti
Tutto ciò perché in realtà Platone non è interessato al divino, o lo è nella misura in cui ha a che fare con la
morale e la politica che invece gli stanno molto a cuore.
Platone deve dimostrare non solo che gli dei esistono ma che sono indifferenti agli uomini e non vanno
concepiti in modo antropomorfico, il che ci porterebbe a pensare di poter gratificare e placare la divinità
attraverso preghiere e sacrifici.
La dimostrazione dell'esistenza degli dei è fondata sull'esistenza dell'anima. Così come l'anima risulta
necessaria come «movimento che muove se stesso», principio universale che muove le cose, che non vuole
tuttavia una causa che la muove a sua volta, così il cosmo rimanda a un ente che ne spieghi l'essere e l'ordine
senza richiedere a sua volta un ente superiore.
Quest'anima è l'elemento divino che da vita all'universo. Questo dialogo, del resto, si occupa più che altro
della concretezza dell'agire umano a livello etico e politico. Ecco perché la parte più filosoficamente più
impegnativa è quella che riguarda l'anima e il divino. L'anima di cui parla P. nelle “Leggi” è l'«anima del
mondo» che è il principio divino di cui si ricerca l'esistenza, un'esistenza resa evidente e indispensabile dalla
natura ordinata e orientata verso il bene del mondo stesso.
1. Repubblica: riflessione sull'essere e sulla conoscenza, funzione di giustificare l'etica e la politica
2. Dialettica e «dottrine non scritte»: approfondimento della struttura ontologica e gnoseologica su
base teorica e speculativa
3. Leggi: tale struttura considerata in termini umani e concreti
L'Accademia rimase attiva fino al 529 d.C. Essa non nasce come una vera e propria scuola ma come una
comunità di ricerca fondata sul dibattito e sul confronto e con finalità di tipo politico.
Alla morte di P. la teoria delle idee fu ben presto superata e ciò per la libertà intellettuale che regnava in
questo organismo e che consentì a studiosi sai diversi interessi di proseguire autonomamente le loro ricerche
che seguiranno due strade:
– delineare una dottrina dei principi
– approfondire le indagini intorno al cosmo visibile
Successore di P. fu il genero Speusippo del quale conserviamo pochi frammenti. Le informazioni che di lui
possediamo sono legate alle critiche di Aristotele secondo cui Speusippo costruisce una filosofia priva di una
definitiva struttura. Negò l'esistenza delle idee sostituendoli con gli enti matematici. Edificò anche una più
generale teoria dei principi (primo posto: UNO).
Altro importante esponente è Senocrate di Calcedonia. A lui si deve la divisione della filosofia in logica,
fisica e etica. Approfondi inoltre la dottrina dei numeri e dei principi, conferendo una certa impronta
religiosa alla propria visione del cosmo.
Le vicende dell'accademia si chiudono con Polemone e Cratete che privilegiarono l'esercizio della virtù.
Ricordiamo inoltre Eraclide Pontico che elaborò originali concezioni fisiche e speculazioni a carattere
magico. Infine degno di nota e Filippo di Opunte che si orienta verso l'astronomia e teologia. Dopo Cratete
la scuola cambia indirizzo assumendo un carattere scettichegiante.
Bibliografia:
- Moravia Sergio, 2006, “Filosofia”, Milano, Le Monnier
- Nicola Abbagnano, a cura di Giovanni Fornero, 2008, Dizionario di filosofia, III edizione, UTET