L’EDUCAZIONE NEL PENSIERO DI GIAMBATTISTA VICO di Marcello Strommillo- Saggio pubblicato nel volume “Il brusio dell’aula” ed. Tecnodid”, Napoli- 2011 Introduzione 1. Vico: la ricerca del metodo tra antichi e moderni 2. Vico e Cartesio: un confronto sul metodo degli studi 3. La topica 4. Educazione integrale: l’allievo 5. Breve sguardo alla gnoseologia vichiana 6. L’ingegno 7. Il senso comune 8. Dalla fantasia all’universale fantastico 9. Momenti del dibattito critico vichiano 10. Osservazioni: a) la perdita del fine b) la verità nella storia c) la ricerca delle sorgenti: la metafisica del concreto d) educazione e libertà e) gradualità e globalità: Vico e Corallo Passi scelti Introduzione A Napoli, nel piccolo edificio di S. Biagio Maggiore, nel 1628, si insediava la Corporazione dei librai. Nei Capitula1 dei Governatori che fanno riferimento a tale Corporazione, si possono leggere due norme interessanti: la 12 che, nella tradizione di solidarietà di vicolo, riguarda il soccorso in vita e morte dei cosiddetti poveri vergognosi e la 21 che afferma : “ Quando…ci sarà alcuna persona cattiva mascolo o femmina detti governatori useranno ogni diligenza acciò quello tale si emendi …altrimenti useranno le loro diligenze…acciò ne passino in altre parti”. Scrive Maria Grazia De Ruggiero: “ Questa funzione che oggi chiameremmo di polizia di quartiere si spiega col fatto che la zona, abitata dalla più bella nobiltà di Napoli, era a ridosso dell’intrico di viuzze del Porto, luoghi di malaffare dove, tra l’altro, la prostituzione era ammessa ed appaltata almeno dall’epoca di Ferderico II di Svevia. Misericordia e severità di costumi: due valori che passeranno nel pensiero e nell’opera di Giambattista Vico.”2 Del pensiero e dell’opera di Giambattista Vico, oggetto di prestigiosi studi, intendiamo con questo breve lavoro, cogliere alcuni momenti ed aspetti di quella dimensione educativa che il filosofo, fin dall’infanzia, respirò nei vicoli della sua Napoli.3 1 Capitula gubernatorum ecclesiae S. Blasij maioris, Archivio di Stato di Napoli, Cappellano Maggiore, Statuti e congregazioni, busta 1205/115 Ricordiamo che Giambattista Vico nasce a Napoli il 23 giugno del 1668, nella povera casa-bottega del padre Antonio, sita in via S.Biagio dei librai al n.31. 2 Catalogo della mostra – Nel lume di questa grande, bella e gentil città d’Italia. La Napoli vichiana, a cura di Maria Grazia De Ruggiero, Napoli, 2007, p. 54 3 F. Nicolini, La giovinezza di G.B. Vico, Laterza, Bari, 1932 Per uno sguardo globale sull’opera vichiana e sugli studi introduttivi al suo pensiero rimandiamo alle utili e ragionate indicazioni bibliografiche di Antonio Livi contenute nel suo manuale: La Filosofia e la sua storia, Firenze, Dante Alighieri, 1996, da p. 408 a p. 411. La dimensione educativa dell’ opera vichiana è uno dei focus di tutta la sua opera, dagli anni della giovinezza fino agli anni del suo impegno come docente universitario e giurista. Gli aspetti che intendiamo riprendere e sottolineare non possono, a nostro giudizio, essere compresi se non alla luce di quel “ senso comune”4 del popolo che fa leva su una “ comunanza di desideri, necessità e bisogni”.5 Educazione vera è sempre risposta ai bisogni materiali e spirituali di tutto un popolo come Vico ben sapeva, se, per citare anche un altro piccolo indizio storico, è vero che tra il 1539 e 1640 nei vicoli del cuore di Napoli, un osservatore attento alla realtà popolare, avrebbe potuto sorprendere la nascita di una realtà unica e originale: i Banchi pubblici.6 Ricordiamo solo di passaggio che a Napoli, la costituzione del Monte di Pietà ( 1539), nato non da un progetto economico-sociale, ma da uomini educati alla fede, si deve alla presenza in città di San Gaetano da Tiene, venuto a Napoli , insieme al beato Giovanni Marinoni per fondare la prima casa Teatina.7 In questo clima di passione religiosa e civile, Vico modella la sua opera. Con questo nostro lavoro intendiamo focalizzare in particolare alcuni nuclei tematici dell’ orazione: De nostri temporis studiorum ratione8, e fare qualche cenno, quando occorre, al Vico della Scienza nuova9 e di qualche altra opera, per meglio chiarire il filo sottile che, attraverso tanti passaggi e fasi del suo lavoro, permane come legame significativo. Dopo un breve riferimento a qualche aspetto del dibattito critico su Vico, concluderemo segnalando come in Vico viva, a nostro giudizio, una forma di “pensiero sorgivo”10, nato cioè non da un’accumulazione di dati storico-eruditi, ma direttamente dall’“esperienza elementare”11 Si veda anche la storia della critica degli studi vichiani nel volume di N. Badaloni, Introduzione a Vico, Bari, Laterza, 2008. Segnaliamo inoltre il “Bollettino del Centro di studi vichiani”, ed. Bibliopolis, Napoli, fondato da Pietro Piovani, che fa il punto sul periodico aggiornamento sugli studi che sono pubblicati in Italia e all’estero. Tra gli articoli del bollettino vorremmo richiamare l’attenzione sull’articolo di Cesare Vasoli : Vico, Tommaso D’Aquino e il Tomismo, IV, 1974. E’ un articolo che aiuta a entrare nella gnoseologia vichiana, a cui faremo cenno in questo nostro lavoro, essendo la gnoseologia il fondamento della concezione pedagogica di Vico. Dall’articolo di Cesare Vasoli emerge l’apprendistato filosofico “ compiuto da Vico nelle scuole gesuitiche napoletane, sul fondamento dichiarato della Metafisica del Suárez e di uno dei numerosi compendi ad usum scholarum di cui si servono i maestri della Compagnia e dall’insegnamento impartito da maestri di indubbia formazione scolastica come il P. Ricci e il P. Del Balzo”. p. 10 4 Si veda: Giuseppe Modica, La filosofia del “senso comune” in Giambattista Vico, Caltanisetta-Roma, Sciascia, 1983. Antonio Livi, Filosofia del senso comune, Milano, Ares, 1990 5 Per un approfondimento si veda nota n. 98 nel volume citato di Giuseppe Modica. 6 Il primo Banco nacque come pia istituzione che concedeva alla povera gente prestiti su pegni, piccole somme senza interesse, in conformità ai canoni della chiesa che vietava l’usura. 7 Dopo il Monte e Banco della Pietà, nel 1563 sorse il Monte e Banco dei Poveri e nel 1587 il Banco della Santissima Annunziata. Seguirono poi altre cinque istituzioni sempre con lo stesso scopo di sostegno ai bisogni del popolo. ( Banco di Santa Maria del Popolo 1589; Banco dello Spirito Santo 1590; Banco di San Eligio 1592; Banco di San Giacomo e Vittoria 1597; Banco del Santissimo Salvatore 1640), dando così vita agli otto Banchi Pubblici Napoletani che possono essere considerati i progenitori del Banco di Napoli. 8 Seguiremo l’edizione, la traduzione e l’apparato critico a cura di Claudio Fascilli nel volume : Giambattista VicoMetafisica e Metodo, Milano, Bompiani, 2008 Il titolo latino è così tradotto da C. Fascilli: Il metodo degli studi del nostro tempo. Interessanti sono le osservazioni dello studioso circa la traduzione della parola “ratio” con “metodo”. Ved. p. 167 9 Per questo nostro lavoro, ci siamo serviti del testo in commercio, dotato di ottimo apparato critico: G. B. Vico, Autobiografia, Poesie, Scienza Nuova. Milano, Garzanti, 2000, a cura di Pasquale Soccio, 10 L’espressione è nel volume di Angelo Scola, Un pensiero sorgivo, Marietti, 2004. In tale opera, Scola, riprende alcune riflessioni di Von Balthasar che individua uno stile di pensiero sorgivo in quegli autori capaci di aprire nuove vie di accesso all’esperienza umana elementare ( integrale). Pp. 53-54. 11 Si veda: Luigi Giussani, Il senso religioso, Milano, Garzanti, 1997. dell’uomo, cioè da quel nucleo di esigenze ed evidenze originali della natura umana che può accomunare la riflessione scientifica più raffinata con il vissuto dell’uomo più umile. In questa luce ci sembra fondamentale un’osservazione vichiana della Scienza nuova: quando l’uomo parte alla ricerca dell’inizio del fenomeno umano e storico “ si dee far conto come se non vi fossero libri nel mondo”12 All’inizio dell’esperienza non c’è un libro, ma un inizio misterioso che rompe il cerchio di ogni determinismo, sia esso il fato stoico o il sensismo meccanicistico degli epicurei: un atto libero. In questo senso educazione e libertà, a nostro giudizio, si incontrano nel cuore dell’uomo vichiano e di chi ne accetta l’antropologia, se è vero che lo stesso peccato originale, cardine dell’antropologia del filosofo napoletano, non è l’espressione del male radicale della storia, ma della stessa radicale libertà dell’uomo. Vedremo come la ricerca di Vico rimetta al centro del dibattito pedagogico il problema del fine dell’educazione, liberamente scoperto ed affermato e la necessità di un percorso educativo che implicitamente affermi l’esigenza di criteri che la didattica moderna renderà espliciti e sistematizzerà: quello della gradualità o prossimità psicologica e quello della globalità dell’esperienza.13 Accenneremo, a tale proposito, all’opera del pedagogista contemporaneo Gino Corallo. Vico: la ricerca del metodo tra antichi e moderni Nel 1699 Vico fu nominato docente di retorica presso l’Università di Napoli14. Era consuetudine che l’insegnante di retorica ogni 18 ottobre inaugurava ufficialmente il nuovo corso accademico con un’orazione. La settima orazione15, su cui intendiamo soffermarci, fu recitata il 18 ottobre 170816. G. B. Vico, Scienza Nuova, Sez III, De’ Principi- 330, op. cit., p. 280 Si veda il Trattato di Gino Corallo: Pedagogia. Vol. I: L’educazione. Problemi di pedagogia, Roma, Armando, 2010. 14 Vico fu allievo dei Gesuiti. Dopo un periodo di interruzione degli studi, li riprese presso gli stessi Gesuiti, poi privatamente. Dal 1686 al 1695 fu precettore dei figli del marchese Rocca a Vatolla, nel Cilento. Nel 1692 si iscrisse all’Accademia degli Uniti e stampò l’anno seguente la canzone Gli affetti di un disperato. Nel 1694 si laureò a Salerno. Nel 1698 si iscrisse all’Accademia Palatina, fondata dal Vicerè, duca di Medinaceli ed esordì con un lavoro su Cene sontuose dei Romani. 15 I orazione: Suam ipsius cognitionem ad omnem doctrinarum orbem brevi absolvendum maximo cuique esse incitamento. ( Massimo incitamento a trattar succintamente l’intero ciclo delle scienze è la conoscenza di se stesso). Recitata il 18 ottobre 1699. II Orazione: Hostem hosti infensiorem infestioremque quam stultum sibi esse neminem. ( Nessun nemico è così avverso e molesto al suo nemico quanto lo stolto a se stesso). Recitata l’anno 1700. III Orazione: A letteraria societate omnem malam fraudem abesse oportere, si vos vera non simulata , solida non vana, eruditione ornari studeatis. ( Dal mondo degli studi dovete tener lontana ogni mala frode se volete rendervi adorni di una vera, non simulata, di una piena, non vacua erudizione.). Recitata l’anno 1701. IV Orazione: Si quis ex litterarum studiis maximas utilitates easque sempre cum honestate coniunctas percipere velit, is gloriae sive communi bono erudiatur. ( Se qualcuno dagli studi qualcuno voglia trarre i maggiori vantaggi congiunti col decoro, egli, nell’erudirsi, miri alla gloria, cioè al bene della comunità). Recitata l’anno 1704. 12 13 L’orazione si apre nel segno di Francesco Bacone. Vico considerò Bacone uno dei suoi autori preferiti in forza di una funzione mediatrice dell’autore inglese tra Platone e Tacito, tra il modello eterno e la concreta sapienza pratica. Pur assimilando la lezione di Bacone, Vico muove al filosofo inglese una critica fondamentale. Non accetta di Bacone l’idea di una perfettibità assoluta del sapere: “ in realtà, tutto ciò che all’uomo è permesso sapere è, come anche l’uomo stesso, finito ed imperfetto”.17 Occorre, secondo Vico, non perdere di vista la corruzione della natura umana. Proprio il limite della natura umana impone la ricerca di un metodo degli studi, di una “ratio studiorum”. “E’ proprio perché l’uomo è finito e imperfetto che ha avuto sempre bisogno e sempre avrà bisogno di una ratio studiorum.”18 Sin dalla sua prima orazione inaugurale19, il tema del metodo è strettamente collegato a quello della conoscenza di sé: “ se noi considerassimo la corrotta natura di noi stessi, ci accorgeremmo che davvero essa non solo ci avverta quali studi si debbano da noi coltivare, ma pure ce ne indichi assai palesemente la via ed il sistema”.20 Nella prospettiva di questa ricerca, Vico si inserisce in maniera assolutamente originale e personale in quella che è passata alla storia come “querelle des anciens et des moderns” senza perdere mai di vista la sua responsabilità educativa e il fatto che le orazioni erano rivolte a studenti, cioè a menti in formazione. Vico, cosciente della novità con cui affronta il problema, brucia i termini puramente accademici della questione e fa emergere la possibilità e necessità di valorizzare il meglio degli antichi e dei moderni: “ Quale tra i due metodi degli studi è più corretto e migliore, il nostro, o quello degli antichi? Discutendo di questo porteremo esempi dei vantaggi e degli svantaggi sia dell’uno che dell’altro: vedremo quali nostri svantaggi possono essere evitati e in che modo; invece, di quelli che non si possono evitare, vedremo come si compensino con gli svantaggi degli antichi. Questa è cosa nuova, se non erro; ma è tanto necessario averne conoscenza, da essere strano che sia nuova”21 Dando uno sguardo d’insieme alla struttura dell’orazione, l’ attività degli studi è esposta da Vico secondo il seguente ordine: materia e metodo. La materia comprende l’ oggetto di studio: le nuove arti e scienze e le nuove invenzioni; il metodo viene riassunto in tre questioni focali: strumenti, sussidi e il fine. Il fine ha naturalmente un rilievo e un ordine particolare essendo come il sangue che circola in tutto l’organismo vivente alimentando e vivificando ogni attimo ed atto della ratio studiorum. “ Riguardo al fine invece, poiché si diffonde nel nostro metodo degli studi come il sangue per tutto il corpo, come lo scorrere del sangue si osserva dove le arterie sono più percepibili, così, dico, ne discuteremo là dove si distingue maggiormente”.22 V Orazione: Respublicas tum maxime belli gloria inclytas et rerum imperio potentes, quum maxime litteris floruerunt. ( Allora gli stati risplenderono massimamente per gloria militare e furon potenti per ampiezza di domini, quando in essi fiorirono massimamente gli studi). Recitata l’anno 1704. VI Orazione: Corruptae hominum naturae cognitio ad universum ingenuarum artium scientiarumque absolvendum orbem invitat incitatque , ac rectum facilem ac perpetuum in iis perdiscendis ordinem proponit exponitque. ( La conoscenza della corrotta natura umana invita e incita ad aprrendere l’intero ciclo delle arti liberali e delle scienze e propone il retto, agevole e perenne ordine a seguire nell’apprendere). Recitata l’anno 1707. Prolusione solennemente tenuta nella regia Università del Regno di Napoli. L’orazione si compone di 15 sezioni: dalla Dissertationis constitutio alla Dissertationis conclusio. 17 G. B. Vico, Il metodo di studi del nostro tempo, op. cit., p. 59 18 E. Paci, Ingens Sylva, Milano, Bompiani, 1994, p. 41 19 Tenuta il 18 ottobre 1699 . Per l’argomente di questa prima orazione vedi nota n. 15. 20 G. B. Vico, Orazioni inaugurali, Firenze, Le Monnier, 1935, trad. it. di S. Mazzilli, pp.142-143 21 G. B. Vico, Il metodo di studi del nostro tempo, op. cit. p. 61 22 Ibidem, p.63 16 Vico si sofferma su sette questioni fondamentali relative al metodo di studio del suo tempo: la nuova critica23, l’analisi, il metodo geometrico,24 la chimica e la spargirica della medicina,25 il microscopio, il telescopio, la bussola. Quattro sono i sussidi26 su cui Vico si sofferma: le arti27, i modelli ideali degli artisti, i caratteri tipografici28, le università.29 Già nella sesta orazione inaugurale, recitata nel 1707, Vico aveva affermato la necessità di rendere aderente l’articolazione e la scelta delle discipline alla caratteristiche delle varie fasi della crescita dell’uomo: “ seguiamo la stessa natura nostra corrotta come guida per impararle ( le umane arti e scienze) ordinatamente fino a conseguire la Sapienza”30 L’ordine suggerito è il seguente: cominciare dall’ insegnamento delle lingue, studio aderente alla freschezza della memoria infantile. Proseguire con l’insegnamento della matematica e della fisica che bilancia e in qualche modo corregge la vivida fantasia dei fanciulli; compiere infine il percorso con l’insegnamento della metafisica e della teologia che ci portano nel cuore della realtà. Per Vico, scrive Fornaca: “ L’educazione è sempre graduale e deve rispettare il sorgere e l’affermarsi delle diverse forme e orientamenti dello spirito”.31 Vico e Cartesio: un confronto sul metodo degli studi Ai tempi di Vico, il cartesianesimo, il metodo matematico-deduttivo, la celebre prova del cogito, erano diventati una mentalità soprattutto per quanto riguarda la sfera educativa attraverso la mediazione dei portorealisti, in particolare A. Arnauld32. 23 Ricordiamo che Cartesio aveva esteso il metodo della geometria alla fisica. Vico obietta che se gli oggetti della geometria sono nostri prodotti, gli oggetti della fisica essendo posti da Dio, possono dall’uomo essere pensati, ma non conosciuti mai totalmente. L’uomo dovrà fermarsi a un livello probabilistico di verosimiglianza. 24 Cartesio aveva introdotto nella geometria l’algebra e la possibilità di una trattazione algebrica ( coordinate cartesiane). Vico rileva che la geometria classica faceva perno sulle facoltà di memoria, fantasia e ingegno che risultano non decisive nei nuovi processi posti da Cartesio. Se ciò viene avvertito come una perdita, non per questo il filosofo napoletano intende sottovalutare le acquisizioni della geometria analitica di Cartesio. 25 La medicina antica, pur non conoscendo le cause, a giudizio di Vico, era attenta all’esperienza, ai sintomi e dava grande importanza all’osservazione. La medicina moderna, volendo applicare alla varietà delle malattie una forma di “monismo metodologico” ( Gianturco), non riesce a cogliere tutta la complessità del fenomeno medico. 26 Vico prende in considerazione i sussidi, ossia i supporti che vengono impiegati negli studi e che sono costituiti da prodotti e attività della cultura umana. Sussidio fondamentale è quello relativo alle precettistiche riguardanti argomenti di prudenza. Rientra in esso il caso della giurisprudenza. Scrive Vico: “ Infatti nelle cose governate dalla prudenza, se i precetti sono molti, non hanno valore; se sono pochi, hanno invece un gran valore. In verità quelli che tentano di ridurre a precettistica tutto quanto è relativo alla prudenza, si assumono un lavoro per principio inutile: poiché la prudenza prende le sue decisioni dalle circostanze delle cose, che sono infinite; per cui la comprensione di tutte queste, per quanto grandissima non è mai abbastanza.” ( Il metodo di studi del nostro tempo, op. cit., p. 115) Essendo la realtà fatta di infinite sfaccettature, la forza della prudenza sta proprio nella sua plasticità ed adattabilità a tale variare. La giurisprudenza moderna risente di un gran numero di precetti. I romani avevano poche leggi fondamentali attente alla pubblica utilità. L’Impero romano crollò per la crescita a dismisura del diritto privato rispetto a quello pubblico e al moltiplicarsi sconsiderato delle leggi dopo l’Editto perpetuo pubblicato nella prima metà del II secolo d.c. sotto l’Imperatore Adriano. 27 Vico ritiene che gli artisti debbano ispirarsi direttamente alla natura delle cose e non ai modelli di altri artisti. 28 Per quanto riguarda la diffusione della stampa, Vico riconosce che essa ha permesso una grande diffusione dei libri, ma ha contribuito anche a diffondere libri di scarsa qualità. Tali libri scadenti forse non sarebbero passati al setaccio della fatica della copiatura manuale in quanto non considerati valevoli di tale fatica. 29 Stringente è la critica vichiana alla perdita dell’unità del sapere nelle università moderne. Di fronte alla frammentazione moderna, Vico ricorda come nel mondo greco il centro verso cui tutto convergeva era la sapienza. 30 G.B.Vico, Orazioni inaugurali, Le Monnier, Firenze, 1935, trad. It. di S. Mazzilli, p. 150. 31 Remo Fornaca, Il pensiero educativo di Giambattista Vico, Torino, Giappichelli, 1957, p.12 32 Antoine Arnauld ( 1612-1694), teologo francese e filosofo. Fu una delle principali figure del giansenismo; . all’interno della famosa scuola di Port-Royal ebbe grande rilievo. Per approfondire si veda: B. Croce, La filosofia di Giambattista Vico, Laterza, Bari, 1953, p. 241 E ancora: G.B. Vico, Autobiografia, in op. cit. p. 23. Lo stesso Vico subì personalmente una formazione inadeguata ed inadatta allo sviluppo della sua persona, come ci testimonia nella sua autobiografia: gli squilibri nascono da un precoce studio della logica imposto ad allievi ancora bambini. Il diffondersi della “nuova critica” cartesiana e del relativo metodo logico-deduttivo aveva portato a sottovalutare il momento della percezione e dell’esperienza. Il momento della “critica” finisce sempre per precedere e imporsi sul momento della “topica” come era già accaduto, a giudizio di Vico, suffragato da Cicerone, con i filosofi stoici ed in particolare Crisippo.33 Un’impostazione criticistica danneggia il senso comune ed impedisce un’educazione veramente integrale. La “nuova critica” applicata prematuramente assopisce il senso comune. Il fondamento del senso comune risiede nella verosimiglianza la quale non ha il carattere della piena evidenza, ma orienta l’uomo nell’agire. Al senso comune sono legate le due dimensioni fondamentali della prudenza e dell’eloquenza. La prudenza, fondandosi sul senso comune, cerca di orientarsi attraverso le circostanze concrete e le mille sfumature del reale; cerca di adeguare i mezzi disponibili per raggiungere determinati fini. E’ importante rilevare che la prudenza, così come l’intende Vico, non è oppositiva al metodo critico cartesiano, ma ne vorrebbe costituire come un avveramento, in una tensione integrativa. . Scrive G. Modica: “ Ciò che Vico dunque rivendica non è né la semplicistica sostituzione del vero con il verosimile, né il mero diritto di convivenza del verisimile accanto al vero, del particolare accanto all’universale, della prudenza accanto alla scienza, bensì quell’adeguata comprensione del verisimile e del senso comune attraverso cui la scienza si faccia prudente, l’universale s’immerga nel concreto e il vero divenga più umano”.34 Qual è lo svantaggio che la mentalità cartesiana ha portato nel metodo degli studi a giudizio di Vico? “ Ma lo svantaggio più grave del nostro metodo di studi è che, mentre ci dedichiamo molto intensamente alle scienze naturali, non facciamo altrettanto con la morale e in particolar modo con quella parte, che tratta dell’indole dell’animo umano e delle sue passioni applicate alla vita civile e all’eloquenza, dei caratteri propri delle virtù e dei vizi, delle buone e delle cattive arti, dei generi di comportamento a seconda dell’età, del sesso, della condizione, della sorte, della stirpe, della nazione e di quell’arte del decoro, che è la più difficile di tutte: e in questo modo, l’importantissima ed eccellente dottrina dello stato giace, presso di noi, praticamente abbandonata e trascurata”.35 Se questo è il focus dell’emergenza educativa che Vico viveva nel suo tempo risentendo tutta l’urgenza di comprendere e rigenerare i fondamenti della civitas36, egli sa bene che, pur facendo tesoro delle meraviglie della scienza moderna, non bastava “l’analisi”, la regola deduttiva, a educare tutto l’uomo nelle concrete e spesso contraddittorie circostanze della storia. La realtà imponeva un allargamento della ragione per aderire a tutto lo spessore dell’ esperienza umana, ai fatti umani: “ I fatti umani non possono essere valutati in base a questa semplice e rigida regola mentale, ma devono essere considerati secondo quella misura flessibile utilizzata a Lesbo”.37 33 G. B. Vico, Il metodo di studi del nostro tempo, op. cit., p.83 Giuseppe Modica, op. cit., p.52 35 G. B. Vico, op. cit., p. 95 36 Si veda: Giuseppe Cacciatore, Passione e ragione nella filosofia civile di Vico, “ Bollettino del Centro Studi vichiani”, Anni XXXI-XXXII, 2001-2002, Rubettino. Scrive Giuseppe Cacciatore a proposito dell’esordio della prima Orazione inaugurale del 18 ottobre 1699: “ Qui il professore napoletano di retorica indica con chiarezza come il fine delle istituzioni civili sia da individuare nella vita morale felice a cui ridurre e condurre non tanto gli uomini nella loro singolarità, quanto la nazione come sede originaria e primaria di un interesse civile che riguarda la comunità”( p. 104) Per una ricostruzione degli ambienti culturali napoletani del primo Settecento segnaliamo: B. De Giovanni ., Il “ De nostri temporis studiorum ratione nella cultura napoletana del primo Settecento”, in AAVV, Omaggio a Vico, Napoli, Morano, 1968. Si veda anche: Antonio Corsano, G. B. Vico, Bari Laterza, 1956.. pp.17-52 Maria Donzelli, Natura e humanitas nel giovane Vico, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, MCMLXX. pp.3045. 37 G. B. Vico, op. cit., p. 97 34 Come ci ricorda Aristotele, il regolo di piombo usato nelle costruzioni di Lesbo soleva adattarsi alla forma della pietra, non conosceva rigidezze.38 Ora le pietre vive di questa costruzione da riedificare sono uomini che in circostanze “indeterminate”, dalle mille sfaccettature sono trascinati innanzitutto dai desideri: “ Ma la moltitudine e il volgo sono presi e trascinati via dai desideri: il desiderio poi è tumultuoso e turbolento; essendo infatti un’affezione dell’animo, contratta per contagio del corpo, del quale segue la natura.”39 Quale metodo impone questo oggetto vivo o meglio soggetto vivente che è l’uomo con le sue passioni e i suoi desideri? Quale metodo proposto dai due filosofi? Cartesio nel Trattato delle passioni dell’anima sosteneva che l’ anima educata, per spezzare l’impeto delle passioni doveva dominare i movimenti del corpo, doveva imporre le armi della pura volontà, armi che consistono per Cartesio nei “ giudizi fermi e determinati riguardanti la conoscenza del bene e del male”.40 Rotta, in forza della sua visione antropologica, l’unità animacorpo, a Cartesio non resta, pur non condannando le passioni, che rivendicare alla razionalità il controllo dispotico dell’istanza affettiva. Antonio Malo, nel suo volume Antropologia dell’affettività, ricostruisce bene tutto il percorso del fenomeno. Riprendiamo un passo del suo volume a tale proposito: “ Con le parole della psicologia classica- specialmente di quella aristotelica-tomista- il controllo propugnato da Cartesio è dispotico ovvero rigido, in quanto non tiene conto appunto dell’origine naturale delle passioni, se non per modificarle o addirittura distruggerle, sempre dall’ esterno”.41 Per Vico, se l’affezione è contratta per contagio di corpo, del quale segue la natura, non si rimuove se non passando per il corpo stesso. Non si tratta, per Vico, di sradicare le passioni, ma di governarle in un percorso educativo servendosi strategicamente degli stessi indizi corporei ed immagini fisiche. “ Perciò il volgo dev’essere attirato con immagini corporee, affinché giunga ad amare; infatti, una volta che abbia amato, facilmente gli s’insegni a credere; e quando crede e ama, lo si deve infiammare, affinché, vinta la sua consueta debolezza, cominci a volere: e se non si fanno queste tre cose, non si otterrà effetto della persuasione”.42 Sfondo essenziale di questo percorso educativo sono, nel Vico di quest’orazione del 1708, la filosofia come esercizio della sapienza e introduzione alle virtù e l’eloquenza capace di “accendere” l’entusiasmo. In questo percorso è l’embrione della libertà del soggetto che si lascia plasmare in quanto, fin dall’inizio, vive un suo misterioso rapporto con il mistero che lo genera: “Dio Ottimo Massimo”43. Sarà questa una delle prospettive fondamentali del Vico maturo della Scienza nuova nella quale, attraverso il fiume infinito della storia e delle nazioni, la Provvidenza e la libertà si staglieranno come attori del dramma educativo. Si tratterà di una libertà sempre concretamente posizionata, quasi fisicamente percepibile nel suo sbocciare aurorale e in tutti i travagli di corsi e ricorsi. Sarà una libertà ancorata sempre, sensibilmente, al senso comune degli uomini e delle nazioni. La topica Occorre soffermarci ora su un aspetto di metodo che ai tempi di Vico subiva come una sfocatura e una non adeguata attenzione metodologica: è il problema della topica nel suo rapporto con la critica. 38 39 Aristotele, Etica Nicomachea, 1137- 30 G. B: Vico, op. cit.., p. 101 Cartesio, Trattato delle passioni dell’anima, in Opere filosofiche, a cura di B. Widmar, Torino, UTET, 1981, p.731 Antonio Malo, Antropologia dell’affettività, Roma, Armando, 1999, p. 38 42 G. B. Vico, op. cit., p.101 43 Ibidem, p. 83 40 41 Il termine “topica” è in Aristotele. Per “topica” si intendeva nella retorica classica l’arte di trovare gli argomenti utili per ogni discorso: Inventio. L’Inventio che costituiva la prima parte della Retorica era seguita dalla Dispositio e dalla Elocutio. La topica, definita da Cicerone “ars inveniendi”, aveva lo scopo di ritrovare gli argomenti utili ad ogni discorso.44 Il problema della topica si inserisce nel percorso vichiano della ricerca di un criterio educativo di ordine graduale e di integralità delle dimensioni. Occorre, come attesta la dinamica naturale dell’apprendimento, prima una fase di esperienza, percezione ed assimilazione e poi una fase di esercizio del giudizio critico. Scoprire, esperire, invenire precedono e sono la base del ben giudicare. Ha scritto Giusi Furnari Luvara’: “ Vico recupera la funzione metodologica del sapere topico, che individua non come passiva trasmissione di contenuti del sapere, né mero luogo di esercizio critico, ma come percorso attraverso cui la mente mette in movimento le sue potenzialità creative e critiche. Aiutata dalla topica, la mente si immerge nell’esperienza storica del problema e, ricreandone le linee compositive, sprigiona l’inventio, appropriandosi di un’ordinata dinamica risolutiva, ma soprattutto di quell’arte predisposta ad bene beateque vivendum senza la quale non si dà vita civile”.45 Vico, maestro di retorica nell’università di Napoli, riscopre dunque attraverso il suo insegnamento e la sua passione civile-giuridico che l’arte retorica, i tropi, le metafore, le metonimie non sono forme di abbellimento del linguaggio poetico, quanto forme e linguaggio della mente dell’uomo che si affaccia nel mondo e nella società tentandone una lettura. In sintesi, Vico avverte il carattere euristico e critico della retorica, assumendo la topica come percorso gnoseologico in grado di potenziare le menti dei giovani attraverso l’esercizio di nuclei di esperienza esemplari. In questo modo invita le giovani menti a progredire sia nella “prudenza” , che nella pratica della vita, nella passione civile, esercitando la fantasia e la memoria. Lo studio dell’uomo nella sua integralità, auspicato dalla topica, troverà nella Scienza nuova la realizzazione più adeguata. Educazione integrale: l’allievo Vico sostiene l’ educazione integrale degli adolescenti: “ Sono dell’opinione che gli adolescenti debbano venire istruiti in tutte le scienze e arti secondo un criterio integrale, affinché si arricchiscano dei luoghi della topica e, intanto, si consolidino nel senso comune per la prudenza e l’eloquenza, e si rafforzino nella fantasia e nella memoria per le arti, che presiedono a quelle facoltà della mente; soltanto dopo imparino la critica. Allora valutino, con il loro stesso giudizio, l’integralità delle cose apprese, e si esercitino in esse sostenendo prima l’una e poi l’altra tesi. Così infatti, arriverebbero ad essere veraci nelle scienze, solerti nella prudenza, ricchi nell’eloquenza, fantasiosi nella poesia e nella pittura, di buona memoria nella giurisprudenza; inoltre si eviterebbe di farli diventare temerari, come quelli che discutono le cose mentre le stanno imparando”.46 44 Cicerone, Topica, I, 2 Giusi Furnari Luvarà, Topica, retorica e scientia civilis nel De nostri temporis studiorum ratione, in “Bollettino del Centro di Studi Vichi”, Anno XXXIV 2004, Rubbettino, p. 135 46 Ibidem, p. 40 45 Come iniziale movimento dell’apprendimento, significativa ci sembra poi la successiva sottolineatura nel testo vichiano dell’importanza dell’ascolto, della necessità di recuperare e rivalorizzare l’ educazione all’ascolto e all’attenzione. L’esempio antico è quello della scuola pitagorica: “ E riguardo a questo mi pare che gli antichi fossero, rispetto a noi, superiori: i Pitagorici, infatti tacevano per un intero quinquennio; durante questo periodo difendevano le cose ascoltate ricorrendo alla sola testimonianza del maestro, “ipse dixit”, e generalmente il compito proprio degli iniziati alla filosofia era quello di ascoltare: per ciò, con termine appropriato, erano definiti acusmatici”.47 Che non si tratti di un richiamo alla passività dell’allievo e una contrapposizione di un metodo antico a quello moderno è subito segnalato dallo stesso Vico: “ E sebbene lo stesso Arnauld neghi a parole questo metodo degli studi, me lo conferma nei fatti e lo impiega, riportando nella sua logica esempi astrusi di ogni genere di disciplina; questi esempi a fatica possono essere in qualche modo compresi dall’ascoltatore, senza una somma eloquenza e un’enorme fatica degli insegnanti, se prima non siano state apprese le arti e le scienze, da dove esse provengono”.48 Ma come e perchè l’allievo così come emerge da questo passaggio di questa orazione vichiana, non finisce per essere passivo ricettore della realtà mediata e proposta dall’insegnante? Qui una breve apertura sulla gnoseologia vichiana è necessaria. Breve sguardo alla gnoseologia vichiana Il noto criterio vichiano del “verum ipsum factum”49 ci introduce decisamente all’interno dell’impianto gnoseologico dualistico di un ordine logico e di un ordine ontologico. Perno della gnoseologia vichiana, come ha ben mostrato nella sua monografia F. Amerio50, rimane al di là di qualsiasi fraintendimento idealistico o positivistico, un giudizio realistico di corrispondenza tra res e mente dell’uomo; sicuramente, per Vico, la mente “ extra res omnes est”.51 La chiave per comprendere adeguatamente il problema così come è posto da Vico è nel significato da attribuire al verbo “facere”. Il “facere” consiste per Vico non in un creare della mente (idealisticamente) , e nemmeno in una registrazione passiva delle dinamiche fisicalistiche, ma in una naturale capacità della mente di possedere gli elementi essenziali di ciò che sta conoscendo e di saper ripercorrere ed aderire ai movimenti della realtà che si rende trasparente nell’esperienza umana. La mente umana, al tocco della realtà, in tutta la sua ricchezza, è immediatamente mossa, commossa, fino al punto di voler non solo rispecchiare e ricostruire in se stessa le evidenze, ma arrivare al punto di scoperta dei punti generativi di ciò che conosce. In questo “farsi” oggetto di ciò che riceve, la mente tende attivamente a farsi soggetto conoscente, a porsi come libero ed attivo principio conoscente volto alla scoperta delle cause fino alla Causa Prima: “ scire est nosse causa ex quibus res nascatur”52. In questo senso la mente per Vico ha un carattere attivo, costruttivo non dell’oggetto che è un dato a cui aderire, ma della verità dell’oggetto colto dalla mente nei suoi elementi essenziali. Il moto 47 Ibidem, p.41 Ibidem, p. 42 49 Si veda in particolare come prima sistematizzazione di questo punto focale che avrà un grande approfondimento e sviluppo nell’opera vichiana il Capitolo I del testo De Antiquissima italorum sapientia ( L’antichissima sapienza degli italici), traduzione, note ed apparato critico di Ciro Greco, nel volume citato: G. B. Vico, Metafisica e metodo, Milano, Bompiani, 2008, pp. 195-197 50 Franco Amerio, Introduzione allo studio di G. B. Vico, Torino, SEI, 1947. Si vedano in particolare le pagine sulla gnoseologia vichiana: da p. 1 a p. 135. Amerio, sulla base di un confronto puntuale sui testi vichiani, corregge l’interpretazione della gnoseologia vichiana in chiave idealistica operata da B. Croce. 51 G. B. Vico, L’antichissiama sapienza degli italici, op. cit. p.196 Scrive Vico nella Scienza nuova, Libro I, Sez.II, LXIV- 238, ed. cit. p. 262. “ L’ordine dell’idee dee procedere secondo l’ordine delle cose”. 52 Ibidem, p. 212 48 logico della coerenza è come squarciato costantemente dall’ esigenza della cogenza: scoprire e stringere i nessi generativi della realtà alla luce dei principi della mente. Se è vero che per Vico solo la mente divina custodisce il punto di scaturigine di tutta la realtà e lì dove Dio “intellige”, l’uomo “cogita” e analizza, lì dove Dio coglie tutta la profondità della realtà, l’uomo sperimenta il suo limite: “ Deus omnia elementa rerum legit…”53, è anche vero che Vico non spezza kantianamente l’ordine conoscitivo tra mondo fenomenico e mondo noumenico, ma rimane come un’intima familiarità gnoseologica tra le evidenze della razionalità matematica e tutti gli altri oggetti della realtà fino allo struggimento sapienziale di riscoprire la radice della realtà . Questa familiarità scaturisce da un modello di ragione che affonda le radici non in un “monismo metodologico”54, ma nelle sorgenti dell’ingegno, del senso comune e dell’universale fantastico. E’ infatti nelle sorgenti dell’ ingegno, del senso comune e del plesso universale fantastico che si apre tutto l’orizzonte dell’attività conoscitiva dell’ allievo, in quel costante percorso educativo che attraverso tappe e dimensioni prevalenti ( senso, fantasia, ragione), porta l’allievo con l’aiuto del maestro a risalire costantemente dalle sorgenti di una sapienza spontanea alla scoperta di una ragione riflessa, pienamente cosciente di sè e del mondo. Soffermiamoci su ingegno, senso comune ed universale fantastico. L’ingegno. Sia nel De antiquissima, sia nel Ratione e, in senso più ampio, nell’ intera opera vichiana, l’ ingegno, dal latino gigno, sottolinea una facoltà generativa e sta ad indicare la facoltà di unificare cose separate e differenti. Essendo questa facoltà la sorgente di ogni inventiva umana, potrebbe essere indebolita e bloccata da un prematuro insegnamento analitico. “ I latini, scrive Vico, lo definivano acutum ed obtusum, entrambi termini desunti dai penetrali della geometria: infatti colui che è d’ingegno acuto penetra più velocemente e riunisce maggiorente cose differenti, come avviene per due linee che convergono in un punto compreso in un angolo retto”.55 Il verbo “penetrat” e l’immagine dell’angolo acuto lasciano ben trasparire tutta l’attività della mente la cui natura specifica è quella di entrare nella profondità delle cose e nelle sue sfaccettature. “ Inoltre ingegnium e natura in latino sono sinonimi. Forse perché l’ingegno umano è la natura dell’uomo, e dell’ingegno è proprio il vedere la simmetria delle cose, vedere ciò che è appropriato e ciò che conviene, cosa è bello e cosa è brutto, il che è negato alle bestie”.56. L’ingegno è dunque identificato da Vico con la stessa natura umana, una natura umana che reca con sé strutturalmente una capacità di giudizio. L’ingegno affonda le radici nella prudenza che è virtù conoscitiva e impeto di discernimento, cioè capacità di ri-conoscere cosa corrisponde alla natura umana e non alle bestie. Il senso comune Ha scritto Giuseppe Modica: “ Il senso comune non assume mai in Vico la forma esplicita d’un discorso tematico e , al di là di pochi e saltuari cenni, invano il lettore ne cercherebbe una pur breve ma organica trattazione…eppure va subito detto che la presenza del senso comune nell’opera vichiana è tuttavia più spiccata e pregnante che non sembri.”57 Dando uno sguardo d’insieme all’estensione del problema nello sviluppo dell’opera vichiana potremmo, con l’apporto di Modica, suggerire il seguente schema. “ Nel De ratione il senso comune è regola della prudentia e dell’eloquentia e medium tra primum verum e vera secunda; nel 53 Ibidem, p. 196 Lo definisci così E. Gianturco, nella sua introduzione all’edizione inglese del De Ratione ( G. B. Vico, On the study methods of our time, Cornell University Press, 1990, New York, p. XXVII) 55 G.B. Vico, L’antichissima sapienza degli italici, op. cit., p. 289 56 Ibidem, p. 289 57 Giuseppe Modica, op. cit., p.11 54 Diritto universale è il “ comune hominum iudicium a cui deve reverentia e medium tra una metafisica del consenso naturale e un’etica del consenso volontario; nella Scientia nuova è regola della sapienza volgare e , anzi, norma dell’incivilimento stesso delle nazioni e medium tra provvidenza e libero arbitrio”.58 Vogliamo qui, ai fini di una chiarificazione del problema, cogliere il punto più maturo, diremmo quasi terminale, del percorso vichiano circa questa dimensione che informa l’intera sua opera. E’ un passo della Scienza nuova.: “ Il senso comune è un giudizio senz’alcuna riflessione, comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta una nazione o da tutto il genere umano”.59 Antonio Livi così commenta questo significativo passo. “ E’ chiaro che l’elemento più importantecome conferma di questa nozione- è la definizione di senso comune come giudizio ( forma), riguardante le verità essenziali della vita umana ( materia) e condiviso spontaneamente da tutti gli uomini in forza della loro comune natura ( soggetto); si tratta dunque di una nozione direttamente e costitutivamente gnoseologica, che però è assunta e utilizzata in vista di una metafisica e di una morale che considerano l’uomo nella sua condizione esistenziale di creatura chiamata ad agire liberamente ( “libero arbitrio”) nella società e nella storia, in rispondenza alle iniziative di Dio creatore, legislatore e provvidente”.60 Dalla fantasia all’universale fantastico La dimensione della fantasia e della mente poetica hanno in Vico un’importanza decisiva nel percorso di educazione ed incivilimento dell’umanità. Per questo motivo riteniamo essenziale riandare agli elementi essenziali del problema. Prendendo in considerazione la dimensione fantastica, Vico non intende porre il problema estetico come sosteneva Croce, ma come ha ben mostrato Franco Amerio61, far affiorare un problema storico. Non si tratta nel caso di Vico di fantasia estetica, ma civilizzatrice. Il primo nesso da cogliere nell’opera vichiana è la correlazione senso-fantasia. Senso e fantasia per Vico si compenetrano profondamente: “ quorum sensus acres, eorum vivissima est phantasia”.62 La sfera sensitiva consiste in una unità profonda che, nelle sue varie funzioni, si articola organicamente. Espressione di questa unità organica è anche il nesso coessenziale tra fantasia e memoria in quanto la fantasia altro non è che memoria o dilatata o composta. In sintesi scrive Amerio: “ Il senso è la radice, la memoria è lo stelo, la fantasia è il fiore di questo vigoroso organismo che è la sfera sensitiva”.63 Nota distintiva di questa sfera sensitiva, che la distingue da quella della razionalità, è il suo “consistere nel singolare, nel particolare, nel concreto, nell’individuale, nell’hic et nunc”.64 Tra la sfera sensitiva e quella razionale c’è una distinzione, ma non una separazione; c’è una integrazione profonda. Se la sfera della sensibilità tende a registrare l’individualità e la spontaneità, 58 Ibidem, p. 51 G. B. Vico, Scienza Nuova, in op. cit., p. 247 60 Antonio Livi, La filosofia e la sua storia, op. cit., p. 393 61 F. Amerio, op, cit. 59 Dir. Un., vol.II, pag.364. La citazione da quest’opera vichiana è da noi raccolta dal volume di F. Amerio, p.167 F. Amerio, op. cit., 168 64 Ibidem, p.169 62 63 la sfera razionale attiverà l’universalità e la riflessione.65 Sono due modalità diverse nel percorso di svelamento del vero, ma ad ambedue conviene il possesso della verità. Alla dimensione della fantasia si connettono i motivi dell’ingegno e dell’universale fantastico. Infatti il plesso della mente fantastica è capace di muoversi attraverso l’energia dell’ingegno e del senso comune verso il vero, anteriormente alla riflessione e alla critica. Ci preme sottolineare che nella concezione vichiana “ La capacità di conoscere il vero è intrinseca alla mente umana in qualunque stadio del suo sviluppo”.66 L’unità di fantasia e ingegno fonda in Vico la dottrina, presente nella Scienza nuova, dell’universale fantastico. Essa coglie quella dinamica in base alla quale la modalità fantastica è l’involucro necessario di cui l’universale si deve rivestire per vivere in età non ancora portate ad astrarre ed universalizzare. Risponde inoltre a quel bisogno profondo della mente di unificare il molteplice dell’esperienza se non ancora in un’idea, in un’immagine. La mente infantile,per quanto in una forma elementare e particolare, possiede dunque già l’universale. Ma “ l’universale sarebbe inefficace e inutile se non riuscisse a rivestirsi dell’unica modalità proporzionata al momento, quella della concretezza e singolarià”.67 E’ noto che per Vico gli universali fantastici costituiscono l’essenza della poesia ed essa, alla luce di quanto detto, nasce dunque da un’ esigenza conoscitiva, da una necessità naturale. Essa è una particolare forma di conoscenza. Essa non è orpello o abbellimento, ma bisogno di dare un nome alle cose: “ Tutti i tropi…i quali sono finora creduti ingegnosi ritrovati degli scrittori, sono stati necessari modi di spiegarsi di tutte le prime nazioni poetiche, e nella loro origine aver avuto tutta la loro natia proprietà”.68 Dalla verità e dalla naturalezza della poesia che affonda le sue radici nella sapienza volgare dei popoli, scaturisce l’intrinseca finalità educativa della poesia. Momenti del dibattito critico vichiano Ernesto Vagaggini in un articolo del lontano 1912 Le idee pedagogiche di Giambattista Vico sul metodo”69, segnalava come particolarmente in una lettera, datata 12 Gennaio 1729, indirizzata al Solla, Vico esprimeva più esplicitamente il suo pensiero sull’educazione. Soffermiamoci su due passi della lettera. La prima in cui Vico, vent’anni dopo la composizione del De nostri temporis studiorum ratione, torna sul motivo della necessità di intendere l’educazione come introduzione alla totalità del reale, segno precipuo dell’atto dell’intelligere di contro alla frantumazione del sapere : “ La più parte dei Dotti di oggidì fervono in studi che soli reputano severi e gravi, e di metodi e di Critiche; ma metodi che disperdono affatto l’intendimento di cui è proprio vedere il tutto di ciascuna cosa, e di vederlo tutto insieme, che tanto propriamente sono intelligere”70. In un altro passo della lettera, Vico sembra voler introdurre la necessità che l’educatore penetri nella radice del cuore dell’educando: “ quell’analisi veramente divina dei pensieri umani, la quale sceverando tutti quelli che non hanno natural seguito tra loro, ci guida sottilmente fil filo entro i Scrive Vico nella famosa Degnità LIII-Libro I, sezione II, 218-“ Gli uomini prima sentono senza avvertire, dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura.” 219-“ Questa dignità è il principio delle sentenze poetiche, che sono formate con sensi di passioni e d’affetti, a differenza delle sentenze filosofiche, che si formano dalla riflessione con raziocini: onde queste più s’appressano al vero quanto più s’innalzano agli universali, e quelle sono più certe quanto più s’appropriano a’ particolari”. 66 F. Amerio, op. cit., p. 171 67 Ibidem, p. 176 68 G. B. Vico, Scienza nuova, LibroII, Sez.II, Capitolo III-409. Ed. cit. 69 Ernesto Vagaggini, Le idee pedagogiche di Giovan Battista Vico sul metodo, in “ Rivista Pedagogica, Anno V – Vol.II, Luglio 1912 70 Ibidem, p. 646 65 ciechi laberinti del cuore dell’uomo, che ne può dare non già gl’indovinelli degli algebristi, ma la certezza, quanto è lecito umanamente, del cuore dell’uomo, senza la quale né la politica può maneggiarlo, né l’eloquenza può trionfarne”71. Nel 1930 Giuseppe Flores d’Arcais nell’articolo La pedagogia di Giambattista Vico, riprendendo il seguente passo del De nostri temporis studiorum ratione: “ Noi investighiamo la natura delle cose, perché le notizie che ne ricaviamo sembrano certe, ma non la natura degli uomini, perché essa dipende dall’arbitrio”72 ,così commenta: “ Ma è appunto qui invece che si deve basare lo studio dell’alunno, perché solo il mondo morale è quello che ci può dare sicurezza, in quanto esso è il vero mondo fatto dall’uomo che agisce nella sua libertà ed autonomia”73. Si è già accennata all’ ampia opera introduttiva allo studio di Vico di Franco Amerio. Essa ha, a nostro giudizio, il merito di avere contribuito, alla fine degli anni Quaranta, ad avvicinare molti studiosi del XX secolo al mondo vichiano correggendone l’interpretazione di matrice idealistica74. Per venire a tempi più recenti , nel volume Vico oggi75, Andrea Battistini tratteggia le tendenze attuali degli studi vichiani, focalizzando tre linee fondamentali di ricerca: una italo-napoletana, una anglosassone e una tedesca. Rimandando all’utile sintesi dello studioso, rileviamo come egli segnali che lo sfondo pedagogico delle opere vichiane è stato affrontato anche in America dopo che, nel 1965, Elio Gianturco pubblicò la traduzione del De studiorum ratione.76 Comunque lo studioso che in ambiente americano ha più contribuito alla diffusione degli studi vichiani è stato Giorgio Tagacozzo77. La tesi di fondo di Tagliacozzo è così riassunta da Battistini: “ La metafora organicistica dell’albero della conoscenza descritta nella Scienza nuova dimostrerebbe, con la sua integrazione dell’asse diacronico innestato su una ricca tassonomia delle scienze, che il Vico è il filosofo più adatto a soddisfare l’esigenza di interdisciplinarità avvertita in particolare in questi anni ’70. Se la prima parte del nostro secolo risulta dominato dal razionalismo cartesiano, dal ripudio dell’immaginazione e del verisimile, dalla specializzazione settoriale che ha frammentato i rami del sapere in tante branche tra loro irrelate e parziali, la civiltà attuale ricerca quell’unità e quella concretezza che solo Vico sembra in grado di dare.”78 Senza voler entrare nel merito del confronto tra scuole e nuclei di studiosi in una tensione sempre rinnovata tra attenzione al dato filologico dell’opera vichiana ( attenzione al dato che tenta di ricostruire precipuamente l’ambiente storico-culturale e politico di formazione del Vico, i suoi riferimenti e modelli, tipica della tradizione europea) e una lettura più rischiosamente “attualizzate” ( fare di Vico “ il secolo XX in germe”) tipica della ricerca americana, in questa sede vorremmo suggerire che, per meglio focalizzare l’importante tema dell’unità del sapere e della frammentazione delle discipline, occorrerebbe scavare nella direzione di una più profonda comprensione del rapporto topica-critica. Segnaliamo che in ambiente tedesco Stephan Otto e con lui il suo allievo Helmut Viechtbauer, sostengono che “ per capire Vico si debbano con esattezza determinare i suoi rapporti con le idee fondamentali di Cartesio, verso il quale non emergerebbe una preclusione assoluta, ma la volontà 71 Ibidem, p. 647 G. B. Vico, op. cit., ved. Cap.VII 73 Giuseppe Flores d’Arcais, La pedagogia di G. B. Vico, “ Rivista pedagogica”, Anno XXIII, Gennaio 1930 ( Anno VIII), pp. 316-317 74 Si veda a riguardo anche l’importante lavoro: Vico senza Hegel di G. Piovani in Omaggio a Vico, A.A.V.V., Napoli, Morano, 1968 75 A Battistini-E Garin-D.P: Verene- E. Grassi, Vico Oggi, , a cura di A. Battistini, Roma, Armando, 1979 76 G. B. Vico, On the study methods of our time, traslated with introduction and notes by E Gianturco, Indianapolis-New York, 1965 77 Giorgio Tagliacozzo è stato curatore dell’International Symposium del 1969 di G. B, Vico’s Science of Hamanity e degli atti del convegno nuovaiorchese del gennaio 1976 78 A Battistini, in op. cit., p. 72 72 di integrarle mediante il concetto umanistico dell’ingenium”.79 La ricerca di S. Otto indica l’esigenza di una sintesi non oppositiva tra topica e critica conseguita con il metodo trascendentale. Ma, ci chiediamo, Vico potrebbe suggerire una strada più semplice e realistica per affermare l’unità profonda dell’atto conoscitivo? Per vedere il tutto della cosa e non solo dei frammenti? Più che di metodo trascendentale, ci sembra che la dimensione a cui Vico potrebbe saldamente reintrodurre come fonte di un’unità sapienziale è il recupero dell’esatto rapporto tra senso comune e scienze particolari. Lo studioso Antonio Livi ci sembra ben coglier e sintetizzare la radice del problema quando scrive: “ Mentre le certezze dell’esperienza diretta sono ( di per sé) incontrovertibili, le certezze della scienza sono ( di per sé) opinabili o almeno relative, perfettibili, riformabili; quelle sono di tutti e sempre, queste sono di alcuni e in determinati momenti della storia personale e collettiva.”80 Da un punto di vista epistemologico , l’educazione non può avere sviluppo armonico e realistico se non sulla base di questo recuperato ordine, di questo primato veritativo. La genialità di Vico, rimette a nostro giudizio, al centro dell’attuale dibattito educativo la necessità dell’affermazione di questo primato. Osservazioni Nel concludere questo nostro breve lavoro su Vico e l’educazione, vorremmo proporre alcune osservazioni: a) La perdita del fine. Questo primato veritativo e le evidenze del senso comune fanno emergere e sfidano, nell’attuale dibattito filosofico, l’assenza del fine dell’educazione esigito al contrario dalla stessa natura umana correttamente concepita, quel fine che Vico aveva segnalato fin dalle sue prime opere come il sangue che scorre nelle vene e irrora tutto il corpo vivente di ogni atto veramente umano. “ Il fine invece, scrive Vico, sebbene venga dopo, dev’essere tenuto in conto dagli studiosi sin dall’inizio, e anche durante tutto il corso degli studi…Riguardo al fine invece, poiché si diffonde nel nostro metodo degli studi come il sangue per tutto il corpo, come il sangue si osserva dove le arterie sono più percettibili, così dico ne discuteremo là dove si distingue maggiormente.”81 E qual è per Vico il fine della natura umana che rispalanca alla vera ricerca, fine senza il quale l’impostazione di qualsiasi modello educativo “ risulta disordinato e spesso rovesciato” ? “ Uno soltanto, poi, al giorno d’oggi, è il fine di tutti gli studi che viene considerato, coltivato e da tutti celebrato: la verità”82 Senza verità non può esserci per Vico universitas della ricerca, ma solo dissipazione e frammenti per quanto assunti dalla “boria dei dotti e delle nazioni”. Bellissima l’espressione nel testo latino che rappresenta l’amore alla totalità, cioè la sapienza, con l’immagine del fiore: “ in summa tamen, qui sapientia flos essent”83. a) La Verità nella storia. 79 Ibidem, p. 37 Per Stephan Otto, La filosofia di Vico “ la sua metafisica e il suo pensiero sul metodo vogliono servire a risanare questa frattura”, quella tra le molte discipline che il pensiero moderno cartesiano aveva del tutto disgiunto, e costruire un “ unico sistema”. ( S. Otto, Giambattista Vico. Lineamenti della sua fiolosofia, tr. It. , Napoli, 1992, p. 65.) 80 A. Livi, op. cit., p. 39 81 G. B. Vico. Il metodo di studi del nostro tempo, op. cit., p. 63 82 Ibidem, p. 77 83 Ibidem, p. 159 “ Et ita incondita ac saepe perversa eorum istituto est, ut, quamquam partibus doctissimi sint, in summa tamen, qui sapientia flos esset, non constent. ( E così l’insegnamento di queste risulta essere disordinato e spesso rovesciato, così che, sebbene vi siano persone dottissime per ogni parte del sapere, però nella totalità, che è il fiore della sapienza, non hanno consistenza” ). Pp. 158.159 Ma la verità per Vico non è mai acquisizione statica, possesso pre-definito. Forse nessun filosofo più di Vico ha sentito il dramma del Vero eterno in cui la metafisica fissa il suo sguardo per rifletterlo nella carne ferita dell’uomo, nella vertigine della sua libertà posizionata nei tempi e negli spazi geografici. Fin dai primordi, la libertà e la verità non sono date nel pieno dispiegarsi delle loro dimensioni. Il “fulmine” che spaventa l’uomo primitivo non è solo “causa” del suo tremore, ma più radicalmente “ occasione” , inizio del lento risveglio in lui dei “semina veri” che sono iscritti nella natura umana. “ Ma siccome in noi sono sepolti alcun semi eterni di vero, che tratto tratto dalla fanciullezza si van coltivando finchè con l’età e con le discipline provengono in ischiaritissime cognizioni di scienze; così nel genere umano per lo peccato furono sepolti i semi eterni del giusto, che tratto tratto dalla fanciullezza del mondo, col più e più spiegarsi la mente umana scopre la sua vera natura, si sono iti spiegando in massime dimostrate di giustizia”84 Il contenuto della libertà, per cui l’uomo è fatto e di cui è fatto, dovrà attraversare tutto il travaglio della storia e si esprimerà nel ritmo misterioso e concreto di istituzioni, leggi e costumi. Nel linguaggio, nella religione e nel diritto, l’uomo scoprirà e riscoprirà continuamente la linea educativa della sua vicenda umana. Partner e grande educatore dell’uomo sarà, come documentano le pagine della Scienza nuova la stessa Provvidenza che riaprirà costantemente con la sua azione le traiettorie dei brevi ed egoistici fini dell’uomo, facendolo partecipare al Bene comune della storia. E’ un’azione educatrice quella della provvidenza che non si impone, ma si propone discretamente, ma ineludibilmente, plasmando il plesso del senso comune dei popoli attraverso i rivoli di desideri, necessità e bisogni. In questo senso la trama sotterranea della storia per Vico non è abbandonata alla impenetrabilità del fato o al meccanicismo sensistico degli epicurei. La grande tela è tramata in particolare dal filo di religione, linguaggi e diritto. Ha scritto F. Botturi .“ Vi è, secondo Vico, un nesso originario tra linguaggio, religione, diritto… A fondamento del viver umano ( intrinsecamente sociale e storico) stanno infatti tre contenuti del “senso comune” universale: la religione, il matrimonio, la sepoltura dei morti; ovvero, il timore di una divinità provvidente ( in qualche modo trascendente e personale) e il pudore quale coscienza etica che nel riconoscimento dell’altro uomo come uomo raffrena gli impulsi sessuali e rispetta anche la spoglia dell’altro”85. c) La ricerca delle sorgenti: la metafisica del concreto Sulla ricerca dell’inizio della civiltà, delle sorgenti della vita, ha scritto Giuseppe Capograssi: “ La cura di Vico è coglierla in quel primo filo d’alba in cui l’individuo, il bestione, comincia a pensare umanamente: questa è la nascita dell’uomo nell’individuo. Quando nasce questo primo filo di pensiero, nasce con esso la storia. Vico è il poeta dell’alba. Il giorno fatto, il giorno pieno, tutto ciò che è dispiegato non lo interessa. Lo interessa il nascere del primo filo di luce”.86 Ma dove cercarlo questo inizio? Evidentemente il problema non è solo quello relativo alla ricostruzione di quella fase aurorale che prende il nome di preistoria. Quando Vico afferma che 84 G. B. Vico, Scienza nuova prima, in Opere, a cura di G. Gentile-B. Croce-F. Nicolini, Bari, Latreza, 1914-1953. Capoverso 49 85 F. Botturi, La Scienza nuova. Oltre il razionalismo, in A.A.V.V.., Novità della Scienza nuova di Vico. ( Cultura & libri, n. 19), Edium, Roma, Edium, 1987, p. 245 86 Giuseppe Capograssi, Attualità di Vico, in A.A.V.V- Attualità dei filosofi dell’età moderna, Mialno, Ed. Guzzo, 1943, p. 123. A tale proposito ha scritto anche Franco Amerio: “ Il Vico è affascinato dal mistero delle sorgenti nascoste del fiume della storia : nessuno come il Vico ha sentito il travaglio speculativo suscitato dalla considerazione dell’oscurità delle origini del vivere civile”. ( Sulla vichiana dialettica della storia, in Omaggio a Vico, in A.A.V.V., Napoli, Morano, 1968, p.125) “ per questa ricerca si deve far conto come se non vi fussero libri nel mondo”87, indica una forma permanente della vera ricerca relativa ad ogni epoca storica e di ogni momento della vita dell’uomo: l’esperienza elementare dell’uomo, il suo rapporto con la realtà che si rende trasparente nella presa di coscienza delle sue esigenze ed evidenze: “ in tal densa notte di tenebre ond’è coverta la prima da noi lontanissima antichità, apparisce questo lume eterno, che non tramonta, di questa verità, la quale non si può a patto alcuno chiamar in dubbio: che questo mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perchè se ne debbono, ritrovare i principi dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana”.88 Alla luce di questi principi che illuminano la natura umana, ci sembra che Vico possa suggerire non solo un metodo di approccio della ricerca scientifica, ma anche un metodo per l’insegnamento delle materie scolastiche a partire da “nuclei di esperienze”.89 Gli schemi idealistici o positivistici che ancora stancamente pesano sulla prassi educativa della scuola italiana, potrebbero essere corretti da un metodo che “ consiste nel procedere dall’esperienza immediata, del concreto, del reale esistente, per tentare prima di concettualizzarlo, di esprimerlo in categorie razionali, e poi cercarne il fondamento necessario”90: Usando ancora un’espressione di A. Livi “procedere dal senso comune alla dialettica, rendendo possibile quella che uno studioso spagnolo denomina correttamente metafisica del concreto91, sottolineando con questa espressione che il metodo adottato è appunto quello che evita di costruire una metafisica dell’astratto, che poi altro non è che il razionalismo di matrice cartesiana92.” In Vico, questa concretezza educativa, plasmata in tappe della storia umana, apre al percorso di conquista dell’umano nella sua integralità. Si tratta non tanto di tappe schematiche ( senso, fantasia e ragione), quanto, attraverso il faticoso lavoro della libertà, del passaggio costante dall’atto semplicemente spontaneo a un atto riflesso e libero che conserva tutta la ricchezza della vita e delle sorgenti dell’essere. In ciò consiste l’incivilimento, il perfezionamento dell’umano tra cadute e riprese. Quando l’atto riflesso perde questa ricchezza e queste radici, diventando malizia dei dotti, occorre un ritorno all’origine dell’umano e un atto rinnovato della libertà che si lasci riplasmare e educare coraggiosamente dal vero. d) Educazione e libertà Nella Scienza nuova, l’urgenza dei ricorsi storici ci sembra nasca dalla necessità di rompere i cerchi concentrici di una razionalità autoreferenziale e maliziosa, per riandare all’inizio, per ridisporre tutto l’essere dell’uomo in una posizione creaturale di attesa ed apertura. In questa prospettiva per Vico l’educazione è la storia dell’incivilimento di cui anche l’atto più furtivo ma libero è la genesi: educare l’io è rimetterlo in quella posizione originaria, iniziale. Che cos’ è per Vico la libertà93? G.B. Vico, Scienza nuova, torniamo a riferirci all’edizione della Scienza nuova, nell’edizione critica a cui abbiamo fatto riferimento per questo nostro lavoro, curata da Pasquale Soccio, Milano, Garzanti, 2000. Il pensiero di Vico citato è nella Sez.III, De’ Principi, p. 280. 88 Ibidem, p. 280 89 Vedi in chiave di personalizzazione educativa il testo di Víctor García Hoz, L’educazione personalizzata, Brescia, La Scuola, 2005, in particolare le pagine pp.59-61. A proposito delle discipline tradizionali scrive García Hoz: “ Più che 87 essere concepite come materie, dovrebbero essere intese come nuclei di esperienza, intorno ai quali si progettano tutti i mezzi di espressione”. 90 Antonio Livi, Gilson, il senso comune e il metodo della filosofia, postfazione al volume: Etienne Gilson, Il realismo metodo della filosofia, Roma, Leonardo da Vinci, 2008, p.154 91 Si veda: Tomás Melendo, Metafisica de lo concreto. Sobre las relaciones entre filosofia y vida, Ediciones Universitas Intrenacionales, Barcellona, 1990 ; trd. It. di Maria Gaspari : Metafisica del concreto. I rapporti tra filosofia e vita, Roma, Leonardo da Vinci, 2005 92 Antonio Livi, Gilson, il senso comune e il metodo della filosofia, op,. cit. p. 154 93 “ Vico nell’ Orazione III scrive: “ Nullum sane spendidius aeque ac magnificentius donum quam liberum hamanae menti concessum et datum arbitrium”. La libertà è “ il libero uso della volontà” , quella “proprietà umana che non può essere tolta all’uomo nemmeno da Dio, senza distruggerlo”.94 La libertà affiora attraverso l’esperienza umana e storica della pietà che “ è la madre di tutte le morali, iconomiche e civili virtù”, del conato con cui i giganti “ tennero in freno il vezzo bestiale d’andare errando da fiere per la gran selva della terra” , del pudore per il quale “ ciascuno di essi si diede a strascinare per sé una donna dentro le loro grotte e tenerlavi dentro in perpetua compagnia di lor vita”95 Lo stesso peccato originale, che è una chiave fondamentale dell’antropologia vichiana, riconosce la la sua radice nel libero arbitrio. L’uomo è di sua natura “intero”, per sua colpa corrotto. La libertà è insieme “ domicilio e stanza di tutte le virtù” e, diremmo, di tutti i vizi anche di quelli della stessa ragione che nella vertigine della sua autosufficienza riflessiva può contraddire la sua radicale appartenenza al mistero dell’essere.96 La libertà può sradicare la ragione dell’uomo dal suo rapporto con le sorgenti della sapienza volgare, cioè con quella radice culturale religiosa che lega la stirpe e l’unità del sapere. “ Scienze, discipline ed arti, se non si armonizzano con la religione divengono disumane e corruttrici: ciò che è necessario, dal momento che l’umanità ha la sua radice e la sua forma nella religione.”97 e) Gradualità e globalità: Vico e Corallo Il cenno agli universali fantastici e al valore educativo della poesia ha fatto emergere in particolare che, alla luce del percorso descritto da Vico, l’universale risulterebbe muto se non riuscisse a rivestirsi di quell’unica modalità proporzionata al momento vissuto dall’uomo nella concretezza della sua stagione psicologica e storica. A tale proposito ci sembra di poter cogliere una profonda sintonia nella percezione dell’avvenimento educativo tra Vico e il pedagogista contemporaneo Gino Corallo. Si tratta di una sintonia non solo rilevabile nella fondamentale concezione dell’educazione come crescita della libertà nell’uomo98, ma anche nell’esigenza metodologica di adeguare il percorso educativo alla forma storico-psicologica dell’allievo e all’integralità dell’esperienza.99 Gradualità o prossimità psicologica e globalità o totalità dell’esperienza sono le grandi coordinate alla luce delle quali l’uomo, per Vico come per Corallo, può costantemente riaprire dentro di sé il varco verso l’atto libero. Si tratta di una libertà che, attimo dopo attimo, si alimenta della verità di cui in qualche modo l’uomo è co-autore, come scrive Corallo in questa pagina dal sapore vichiano: “ La verità è, in un certo senso, sempre nuova: il suo apparire alla mente di chi la trova non dovrebbe mai avvenire senza quel brivido di emozione e di meraviglia che indica, con la commozione del soggetto, la sua attiva partecipazione, il suo attivo prendere parte alla costruzione 94 Si leggano a riguardo le pagine di G. Modica, in op. cit., in particolare p.104 G. B. Vico, Scienza nuova, 1097- op. cit. p. 593 96 Ibidem, Sez. quarta, Del metodo, -340, in op. cit. p. 287 “ Questo infrenar il moto de’ corpi certamente egli è un effetto della libertà dell’umano arbitrio, e sì della libera volontà, la qual è domicilio e stanza di tutte le virtù e tralle altre della giustizia, da cui informata la volontà è ‘l subbietto di tutto il giusto e di tutti i diritti che sono dettati dal giusto”. 97 Franco Amerio, Introduzione a Vico, op. cit. p. 305 98 Gino Corallo, L’educazione come crescita della libertà nell’uomo, in Educazione e libertà in Gino Corallo, Roma, Armando, 2005 Si veda anche nel primo volume di Pedagogia di Gino Corallo, in particolare il capitolo III: Il problema della libertà come forma dell’educazione. 99 La ricerca didattica moderna, ben sistematizzata da Gino Corallo nel suo Trattato, ha sintetizzato in due canoni metodologici fondamentali, alcune esigenze che Vico aveva profondamente avvertito ed implicitamente espresso: si tratta del canone della gradualità o prossimità psicologica e quello della globalità o totalità dell’esperienza. Nello sterminato mondo degli studi vichiani che avvicinano Vico attraverso varie chiavi di lettura contemporanee, vogliamo segnalare anche il volume di I. Berlin-S. Hampshire-E.Leach-G. Mora-N. Rotenstreich-G. Tagliacozzo, Giambattista Vico, Galiani, Joyce, Lévy-Strauss, Piaget, Roma, Armando, 1975. 95 della verità…La curiosità intellettuale è la freschezza e la gioia della meraviglia, freschezza e gioia che nascono solo, come si è detto, dall’attiva partecipazione del soggetto alla situazione di verità. Questo non significa che la verità sia riducibile tutta a un fatto soggettivo, o a una pura creazione da parte del soggetto, rispetto a una relazione situazionale. Qui ci interessa sottolineare il fatto che la ricerca, o anche la trasmissione, della verità non possono avvenire senza che il soggetto, o i soggetti, in essa impegnati si pongano come attivi coautori della verità stessa. Questa, si è detto, non perde così il suo carattere oggettivo, non diventa la mia verità, ma diventa- inconfutabilmente una verità mia.”100 In conclusione, ci sembra di poter suggerire che Vico e Corallo, in epoche e con quadri di riferimento culturali diversi, abbiano attraversato analogamente una crisi dei fondamenti del sapere e dell’educazione. Per questo motivo entrambi sono stati costretti a compiere un radicale ripensamento epistemologico e metodologico affinché la ricchezza della tradizione fosse integralmente riproposta nell’orizzonte dell’esperienza presente. E, accettando la sfida della modernità, essi hanno compiutamente riaffermato un modello di ragione non ridotta a un forma di “monismo metodologico”101, ma spalancata a tutta la ricchezza e profondità della realtà. Passi scelti Per approfondire quando esposto scegliamo e proponiamo in appendice una serie di passi di un’opera vichiana a cui abbiamo fatto riferimento nel nostro saggio. Si tratta dell’opera: De nostri temporis studiorum ratione. E’ la prolusione solennemente tenuta da Vico nella regia università del regno di Napoli il 18 Ottobre 1708 alla gioventù studiosa delle lettere. Dei passi da noi scelti, riporteremo anche il testo latino, per permettere a chi vuole approfondire le riflessioni vichiane un confronto diretto con l’originale. La traduzione adottata è quella di Claudio Fascilli, contenuta nel testo citato: Giambattista Vico, Metafisica e metodo, Bompiani, Milano, 2008. La divisione in sequenze e la scelta dei titoli è nostra. Confronto tra il metodo degli studi: il nostro con quello degli antichi Enim vero omne, quod homini scire datur, ut et ipse homo, finitum et imperfectum. Quod si nostra cum antiquis tempora comparemus, reique literariae utrinque pensemus utilitates et damna , eadem nobis ratio cum priscis fortasse constiterit. Multa enim nobis detecta, antiquis penitus ignorata: et multa antiquis gnara, nobis prorsus incognita: complures nobis sunt facultates, ut in alio literarum genere proficiamus; complures illis, ut in alio fuere: illi toti in aliquibus artibus excolendis, quas nons fere negligimus; nos in quibusdam, quas illiplane contempserunt: multae illis commode unitae 100 101 G. Corallo, Il lavoro scientifico. Fondamenti e metodi, Bari, Adriatica Editrice, 1966, p. 26 E. Gianturco, op. cit. doctrinae, quas nos discerpsimus, et aliquot nobis, quas illi incommode divisas tractarunt: tandem non paucae duntaxat speciem mutarunt et nomen. Quae mihi res argumentum apud vos, ingenui adolescentes, disserendum praebuerunt: Utra studiorum ratio rectior meliorque, nostrane, an antiquorum? In quo edissertando comoda incommodaque utriusque ad exemplum conferemus: et quae nostra incommoda vitari, et qua ratione possint: quae autem non possint, cum quibus antiquorum incommodis compensentur. Res nova est, ni fallor; sed tam scitu necessaria, ut mirum, quod nova sit. Invidiam declinaverim, si me non tam nostra vel antiquorum incommoda reprehendere, quam utriusque aetatis commoda componere velle existimetis. Vestra caussa est: ne si plus quam antiqui aliis in partibus scitis, aliis minus sciatis; et quae nostrae studiorum rationis incommoda vitari non possunt, incommodorum antiquae memores animo perferatis. Et quo rem facilius intelligere totam possitis, illud internoscatis oportet, me non heic scientias scientiis, artesque artibus nostras et antiquorum comparare: sed quid nostra studiorm ratio antiquam vincit, ecquid ab ea vincitur, et quo pacto, ne vincatur, disserere. Quare novae artes scientiaeque et nova inventa a novis sciendi instrumentis adiumentisque, si non separanda, distinguenda sunt tamen: illa namque studiorum materies est; haec via et ratio, proprium nostrae dissertationis argumentum. In realtà, tutto ciò che all’uomo è permesso sapere è, come anche l’uomo stesso, finito ed imperfetto. Infatti se confrontiamo i nostri tempi con quelli antichi, e valutiamo nell’ambito letterario i vantaggi e gli svantaggi da entrambe le parti, si potrebbe forse stabilire che l’equilibrio nel nostro tempo e nel loro è lo stesso. Molte cose, infatti, da noi scoperte, erano completamente ignorate dagli antichi, e molte cose che questi conoscevano, sono a noi del tutto sconosciute: noi abbiamo molte facoltà per progredire in un certo genere letterario; molte ne avevano loro per riuscire in un altro. Essi si dedicavano interamente a coltivare alcune arti, che noi quasi trascuriamo; noi invece ne coltiviamo altre, che loro disdegnavano completamente. Essi tenevano opportunamente unite molte dottrine, che noi distinguiamo, e altre noi ne teniamo unite, che loro trattavano inopportunamente come separate; infine, non poche arti mutarono nel frattempo forma e nome. Queste cose, nobili giovani, mi hanno fornito l’argomento da discutere davanti a voi: Quale tra i due metodi degli studi è più corretto e migliore, il nostro, o quello degli antichi? Discutendo di questo porteremo esempi dei vantaggi e degli svantaggi sia dell’uno che dell’altro: vedremo quali nostri svantaggi possono essere evitati e in che modo, invece, di quelli che non si possono evitare, vedremo come si compensino con gli svantaggi degli antichi. Questa è cosa nuova, se non erro; ma è tanto necessario averne conoscenza, da esser strano che sia nuova. Potrò evitare le malevolenze, se voi riterrete che io voglia, non tanto criticare gli svantaggi nostri e degli antichi, quanto combinare i vantaggi di entrambe le età. Il che è nel vostro interesse: affinché non sappiate più degli antichi in alcuni ambiti e meno in altri, ma dissoniate di un metodo che vi permetta di sapere più di essi nell’insieme, e affinché sopportiate con animo sereno gli inevitabili svantaggi del nostro metodo degli studi, memori degli svantaggi di quello antico. E perché possiate comprendere più facilmente l’intera questione, è necessario che sappiate questo: che io non intendo qui confrontare le nostre scienze e le nostre arti con quelle degli antichi, ma ma esporre in che cosa il nostro metodo degli studi supera quello antico, in che cosa è superato da questo, e cosa fare affinché non gli sia inferiore. Perciò le nuove arti e scienze e le nuove invenzioni sono da distinguere, se non da separare, dai nuovi strumenti e sussidi del sapere: quelle, infatti, sono la materia degli studi; queste sono la via e il metodo, cioè l’argomento proprio della nostra esposizione. Di quali cose è composto il metodo degli studi Studiorum enim ratio tribus omnino rebus omnis contineri videtur: instrumentis, adiumentis et fine. Instrumenta enim ordinem complectuntur: nam qui instructus ad aliquam artem scientiamque addiscendam accedit, rite et ordine accedit. Instrumenta autem praeeunt; adiumenta comitantur; fini, vero, quamquam sequitur, ad eum tamen studiosi et a principio, et per omnem studiorum rationem spectare debent. Pro hoc item ordine nostram dissertationem dispensemus , ut primo de instrumentis, tum de adiumentis nostrae studiorum rationis disseramus. De fine autem, quia per eam, uti sanguis per totum corpus, diffunditur; quemadmodum sanguinis motus, ubi sensibiliores arteriae sunt, observatur; ita, inquam, de nostrae studiorum rationis fine, ubi is magis emineat, disputabimus. Il metodo degli studi poi sembra essere riassunto completamente in tre cose: gli strumenti, i sussidi e il fine. Gli strumenti di fatto comprendono l’ordine: infatti chi, già istruito, si accinge ad imparare meglio una qualche arte e scienza, lo fa nel modo dovuto e secondo un ordine. Gli strumenti d’altra parte vengono prima; i sussidi li accompagnano; il fine invece, sebbene venga dopo, dev’essere tuttavia tenuto in conto dagli studiosi sin dall’inizio, e anche durante tutto il corso degli studi. Per questa ragione suddivideremo la nostra esposizione secondo lo stesso ordine, così che prima discuteremo degli strumenti, e poi dei sussidi del nostro metodo degli studi. Riguardo al fine invece, poiché si diffonde nel nostro metodo degli studi come il sangue per tutto il corpo, come lo scorrere del sangue si osserva dove le arterie sono più percettibili, così, ne discuteremo là dove si distingue maggiormente. Qual è oggi lo scopo degli studi? Finis autem omnium studiorum unus hodie spectatur, unus colitur, unus ab omnibus celebratur, veritas. Uno soltanto poi, al giorno d’oggi, è il fine di tutti gli studi che viene considerato, coltivato e da tutti celebrato: la verità. Necessità di un criterio integrale nell’educazione degli adolescenti Igitur, ut utrumque vitetur vicium, existimem, adolescentes scientias artesque omnes integro sudicio doveri, quo topicae ditent locos, ac interea sensu communi ad prudentiam et eloquentiam invalescant, phantasia et memoria ad artes, quae iis praestant mentis facultatibus, confirmentur; deinde discere criticam; tum de integro de iis quae edocti sunt suo ipsorum sudicio iudicent: et in iisdem in utramque partem disserendis sese exerceat. Di conseguenza, per evitare l’uno e l’altro difetto ( di un uso esclusivo della critica o della topica102), sono dell’opinione che gli adolescenti debbano venire istruiti in tutte le scienze e arti secondo un criterio integrale, affinché si arricchiscano dei luoghi della topica e, intanto, si consolidino nel senso comune per la prudenza e l’eloquenza, e si rinforzino nella fantasia e nella memoria per le arti, che presiedono a quelle facoltà della mente; soltanto dopo imparino la critica. 102 Il corsivo è nostro. Allora valutino, con il loro stesso giudizio, l’integrità delle cose apprese, e si esercitino in esse sostenendo prima l’una e poi l’altra tesi. Svantaggi che il nostro metodo degli studi arreca alla dottrina morale e civile e all’eloquenza Sed illud incommodum nostrae studiornm rationis maximum est, quod cum naturalibus doctrinis impensissime studeamus, moralem non tanti facimus, et eam potisssimum partem, quae de umani animi ingenio eiusque passionibus ad vitam civilem et ad eloquentiam accomodate, de propriis virtutum ac viciorum notis, de bonis malisque artibus, de morum characteribus pro cuisque aetate, sexu, condizione, fortuna, gente, repubblica, et de illa decori arte omnium difficillima disserit: atque adeo amplissima praestantissimaque de repubblica doctrina nobis deserta ferme et inculta iacet. Quia unus hodie studiorum finis veritas, vestigamus naturam rerum, quia certa videtur: hominum naturam non vestigamus, quia est ab arbitrio incertissima. Sed haec ratio studiorum adoloscentibus illa parit incommoda, ut porro nec satis vitam civilem prudenter agant, nec orationem moribus tingere et affectibus infiammare satis sciant. Et, quod ad prudentiam civilis vitae attinet, cum rerum humanarum dominae sint occasio et electio, quae incertissimae sunt, easque, ut plurimum, simulatio et dissimulatio, res fallacissimae ducant, qui unum verum currant, difficile media, difficilius fines earum assequuntur; et suis consiliis fustrati, alienis decenti, quam saepissime abeunt. Quando igitur vitae agenda ex rerum momentis et appendicibus, quae circumstantiae dicuntur, aestimantur: et earum multae fortasse alienae ac ineptae, nonnullae saepe perversae, et quandoque etiam adversae suo fini sunt; non ex ista recta mentis regula, quae rigida est, hominum facta aestimari possunt; se illa Lesbiorum flebili, quae non ad se corpora dirigit, sed se ad corpora inflectit, spectari debent. Ma lo svantaggio più grave del nostro metodo di studi è che, mentre ci dedichiamo molto intensamente alle scienze naturali, non facciamo altrettanto con la morale e in particolar modo con quella parte, che tratta dell’indole dell’animo umano e delle sue passioni applicate alla vita civile e all’eloquenza, dei caratteri propri delle virtù e dei vizi, delle buone e delle cattive arti , dei generi di comportamento a seconda dell’età del sesso, della condizione, della sorte, della stirpe, della nazione e di quell’arte del decoro, che è la più difficile di tutte: e in questo modo, l’importantissima ed eccellente dottrina dello stato giace, presso di noi, praticamente abbandonata e trascurata. Poiché oggi l’unico scopo degli studi è la verità, investighiamo la natura delle cose perché pare certa: ma non indaghiamo la natura dell’uomo, poiché è resa sommamente incerta dall’arbitrio. Ma questo modo degli studi produce negli adolescenti tali svantaggi, che non riescono poi a comportarsi con sufficiente prudenza nella vita civile, poiché le cose umane sono dominate dall’occasione e dalla scelta, le quali sono sommamente incerte , e poiché esse sono per lo più guidate dalla simulazione e dalla dissimulazione, cose ingannevolissime, coloro che si preoccupano soltanto del vero, con difficoltà colgono i mezzi e raggiungono i fini di quelle; e frustrati nelle loro intenzioni e ingannati da quelle altrui, il più delle volte se ne allontanano. Poiché dunque le occupazioni della vita sono valutate in base al peso e alle conseguenze delle cose, che sono dette circostanze, e di esse molte sono estranee e inopportune e alcune sono spesso rovesciate , e talvolta anche contrarie al loro scopo, i fatti umani non possono essere valutati in base a questa semplice e rigida regola mentale, ma devono essere considerati secondo quella misura flessibile utilizzata a Lesbo 103, che non vuole conformare a sé i corpi, ma si adatta essa stessa a quelli. Funzione dell’eloquenza: le immagini corporee 103 Misura flessibile, fatta di piombo e adattabile al contorno di qualunque corpo ( ne parla Aristotele nell’Etica nicomachea; V, II, 1137) Sed quid facias, si non cum mente, sed cum animo tota eloquentiae res est: mens quidam tenuibus istis veri retibus capitur, sed animus non nisi his corpulentioribus machinis contorquetur et expugnatur. Eloquentia enim est officii persuadendi facultas: is autem persuadet, qui talem in auditore animum, qualim velit, inducat. Hunc animum sapientes sibi inducunt voluntate, quae mentis placidissima pedissequa est; quare eos sat est, doceas officium, ut faciant. At multitudo et vulgus appetitu rapitur et abripitur: appetitus autem est tumultuosus et turbulentus; cum enim sit animi labes, corporis contagione contracta, corporis naturam sequens, non movetur nisi per corpora. Itaque per corporeas imagines est alliciendus ut amet; nam ubi semel amat, facile docetur, ut credat; et ubi credit et amat, est inflammandus, ut sua solita impotentia velit: quae tria nisi qui fecerit, haud persuasionis opus effecerit. Ma che cosa fare, se l’intera eloquenza riguarda, non la mente, ma l’animo? La mente, di certo, è presa da queste tenui reti del vero, mentre l’animo non viene piegato, né vinto se non con questi meccanismi più corpulenti. L’eloquenza è, infatti, la facoltà di persuadere al dovere: e soltanto colui che induce nell’ascoltatore una disposizione d’animo, quale egli la vuole, riesce a persuadere. I sapienti inducono in se stessi questo stato d’animo con la volontà, la quale segue docilissima; perciò è sufficiente che sia mostrato loro un dovere, perché lo facciano. Ma la moltitudine e il volgo sono presi e trascinati via dai desideri: il desiderio poi è tumultuoso e turbolento; essendo infatti un’affezione dell’animo, contratta per contagio del corpo, del quale segue la natura, non si rimuove se non passando per il corpo stesso. Perciò il volgo dev’essere attirato con immagini corporee, affinché giunga ad amare; infatti, una volta che abbia amato, facilmente gli si insegna a credere; e quando crede ed ama, lo si deve infiammare, affinchè, vinta la sua consueta debolezza, cominci a volere: e se non si faranno queste tre cose, non si otterrà l’effetto della persuasione. La poesia De re autem poëtica nihil singillatim disserti, quia poëticus instinctus Dei Opt. Max. donum est, nec ullis instrumentis parari potest. Quia tamen, qui ea facultate divinitus afflati sunt, si eam ipsam literarum studiis exornare velint, ut omnium studiorem florem quemdam excolant nocesse est; de eadem extra ordinem quidem, non tamen sine omni ordine, quae nostri argumenti sunt, disseramus. Criticam nostri temporis poëticae obesse diximus, sub eo temperamento: si pueris tradatur: nam iis et phantasiam obcoecat, et memoriam obruit; et poëtae optimi phantastici sunt, et peculiare eorum numen Memoria, eiusque soboles Musae. Sed si adoloscentes, utraque mentis facultate firmati, eam artem edoceantur, eam poëticae rei conferre putem: quia poëtae ad verum in idea, sive ex genere, ut paullo inferius dicemus, spectant. Della poesia non ho detto nulla in particolare, poiché l’istinto poetico è un dono di Dio Ottimo Massimo, e non lo si può procurare con alcuno strumento. Poiché tuttavia quelli che ricevono questa facoltà dal soffio divino, se vogliono affinarla con studi letterari, è necessario che coltivino il fiore di tutti gli studi, discuteremo di essa fuori dal tema, tuttavia non senza una qualche attinenza, per quanto riguarda il nostro argomento. Abbiamo detto che la critica del nostro tempo danneggia la poesia sotto questo aspetto: se è insegnata ai fanciulli, infatti, paralizza loro la fantasia e rovina la memoria; invece i migliori poeti sono fantasiosi ed il loro peculiare nume è la Memoria, con le sue figlie, le Muse. Ma se gli adolescenti, dopo aver consolidato entrambe quelle facoltà della mente, saranno istruiti in quell’arte, ritengo che ciò sarà utile alla poesia: poiché i poeti tendono al vero ideale, ossia universale, come diremo poco più sotto. La religione cristiana Christiana religio, non ut aliae vi et armis, quibus gentes delerent, sed virtutibus et cruciatuum constantia in duas saeculi sapientissimas gentes, Graecos Romanosque, et in potentissimum orbis terrarum imperium sese insinuavit; atque eae cum suo imperio, cum sua doctrina in Christianum nomen sponte sua concesserunt; nec tamen eorum religionis ac philosophiae monumenta deleta sunt, divino certe consilio, ut in omne aevum utraque ad exemplum collata, illa humana, nostra prorsus divina videtur. La religione cristiana non distrusse popoli con la forza e con le armi, come fecero altre religioni, ma s’introdusse con la virtù e la costanza dei martiri nei due popoli più sapienti del secolo, i Greci e i Romani, e nell’impero più potente della terra; e questi con il loro potere e con la loro cultura, assunsero spontaneamente il nome di cristiani; né tuttavia furono distrutti i monumenti della loro religione e filosofia, di certo per volere divino, affinchè, tramandate entrambe come esempio in ogni epoca, potessero apparire quella umana, la nostra del tutto divina. Precettistiche relative ad argomenti di prudenza …nunc de nostrae studiorum rationis adiumentis disseramus. Et quod de multis rerum argumentis, quae a prudentia sunt, artes redactas habeamus, vereor ne damno potius nostrae studiorum rationis, quam lucro apponi nocesse sit. Nam de iis rebus, quibus prudentia moderatur, artes, si multae, nullae; sin modicae, multae sunt. Qui enim omnia prudentiae in artem redigere conantur, principio inanem insumunt operam: quia prudentia ex rerum circumstantiis, quae infinitae sunt, sua capit consilia; quare omnis earum comprehensio, quam amplissima, nunquam est satis. …ora trattiamo dei sussidi del nostro metodo degli studi. E poiché abbiamo raccolto precettistiche relative a molti argomenti su cose, che dipendono dalla prudenza, temo che ne venga necessariamente un danno per il nostro metodo degli studi, piuttosto che un guadagno. Infatti nelle cose governate dalla prudenza, se i precetti sono molti, non hanno valore; se sono pochi, hanno invece un gran valore. In verità quelli che tentano di ridurre a precettistica tutto quanto è relativo alla prudenza, si assumono un lavoro per principio inutile; poiché la prudenza prende le sue decisioni dalle circostanze delle cose, che sono infinite; per cui la comprensione di tutte queste, per quanto grandissima, non è mai abbastanza. Gli antichi romani e le leggi …priscis Romanis leges admodum paucae, et gravissimis duntaxat de rebus rogatae erant: ut capita Legis XII Tabularum, quae “fons omnis Romani iuris” dicta est, omnia exiguo libello continerentur, et a Romanis pueris ad morum institutionem memoriae mandaretur. …gli antichi romani avevano assai poche leggi ed erano proposte soltanto per cose importantissime: come i lemmi della Legge dell XII Tavole, che fu definita “fonte di tutto il diritto romano”, i quali erano tutti contenuti in un piccolo libretto ed erano imparati a memoria dai bambini romani per la loro formazione morale. Le mode letterarie At mea quidem memoria, necdum etiam senex haec scribo, scriptores vivos hac frui laude vidi, ut eorum opera duodecim, et fortasse plus eo typis mandata sint, nunc vero non tantum contegni, sed sperni quoque; alios diu incultos et desolatos, tandem, aliqua ex obliquo occasione data , nunc a doctissimo quoque celebrari. A quanto ricordo, e non sono ancora vecchio mentre scrivo questo, ho visto scrittori ancora in vita godere di una tale fama, da mandare le loro opere a stampare dodici, o forse di più, volte, mentre invece oggi questi non soltanto sono trascurati, ma anche disprezzati: ne ricordo poi altri, a lungo trascurati e abbandonati, che infine, per una qualche occasione fortuita, ora sono celebrati anche dal più dotto. La scelta di buone letture Quare lectionem cum saeculurum iudicio instituamus, et nostram studiorum rationem sub quadam regamus tutela: legamus antiquos prius; nam ii et fidei et industriae et authoritatis sunt iam spectatae; atque insimet nobis sint normae, quos porro ex recentioribus praelegamus. Perciò regoliamo le nostre letture secondo il giudizio dei secoli e poniamo il nostro metodo degli studi sotto una qualche protezione : leggiamo prima gli antichi, che sono già di credito, di operosità e di autorità provati; ed essi stessi ci diano la regola, per scegliere poi tra i più moderni scrittori. L’università degli studi L’unità del sapere Hodie autem, auditores, forte ducti ab Aristotelico in dissertatrice, ab Epicureo in physica, a Carthesiano in metaphysica eruditur; a Galenico discit medicinae theoriam, a chemico praxim, ab Accursiano iurisprudentiae Institutiones, a Fabrista Pandectarum, ab Alciatiano Codicis libros parelegit. Et ita incondita ac saepe perversa eorum institutio est, ut, quamquam partibus doctissimi sint, in summa tamen, qui sapientiae flos esset, non constet. Quare, ut id videtur incommodum, vellem, ut universitatum antecessores unum omnium disciplinarum systema ad religionem et rempublicam accommodatum componerent, quod doctrinam usquequaque conformem obtineret, idque ex publico instituto profiterentur. Oggi invece, ascoltatori, ci si istruisce guidati per caso da un aristotelico nella logica, da un epicureo nella fisica, da un cartesiano nella metafisica; da un galenico si apprende la teoria della medicina, da un chimico la pratica, da un accursiano104 le istituzioni della giurisprudenza, da un fabrista105 s’impara a leggere i libri delle Pandette, da un alciatano106 quelli del codice107. E così l’insegnamento di queste risulta essere disordinato e spesso rovesciato, così che, sebbene vi siano persone dottissime per ogni parte del sapere, però nella totalità, che è il fiore della sapienza, non hanno consistenza. Perciò, sembrandomi ciò uno svantaggio, vorrei che i professori delle università ordinassero tutte le discipline in un unico sistema, adeguato alla religione e allo stato, il quale rispettasse una dottrina in tutto coerente e fosse insegnato secondo l’uso pubblico. Il timore di Giambattista Vico Nam id in omni vita unum maxime formidavi: ne ego solus saperem, quae res plenissima discriminis sempre mihi visa est, ne aut deus fierem, aut stultus. Seguace di Francesco Accursio ( 1181 ca. – 1260 ca.), giureconsulto dell’Università di Bologna, autore di una sintesi delle glosse al Corpus juris civilis, intitolata Magna Glossa. 105 Seguace di Antonio Favre ( 1557-1624) , giurista. 106 Seguace di Andrea Alciato ( 1492-1550), giurista lombardo. 107 Il codice giustinianeo. 104 Infatti in tutta la mia vita ho temuto soprattutto una sola cosa: di essere il solo a sapere, cosa che mi è sempre sembrata pericolosissima, in quanto presenta l’alternativa di essere un dio o uno stolto.