Suolo
Profilo di suolo (Alfisol)
Il suolo è lo strato superficiale che ricopre la crosta terrestre, derivante dall'alterazione di un
substrato roccioso, chiamato roccia madre, per azione chimica, fisica e biologica esercitata da tutti
gli agenti superficiali e dagli organismi presenti su di esso. Il suolo può comprendere
sia sedimenti sia regolite. È chiamato anche pedosfera (dal greco πέδον, pedon,
suolo, terra e σφαίρός, sfaíros, sfera) quando considerato parte della geosfera[1].
Descrizione
Struttura schematica di orizzonti pedologici tipici di ambienti umidi sub-tropicali.
Il suolo è composto da una parte solida (componente organica e componente minerale), una
parte liquida e da una parte gassosa.
Durante la sua evoluzione, il suolo differenzia lungo il suo profilo una serie di orizzonti. I più
comuni orizzonti identificabili, ad esempio, sono un orizzonte superficiale organico (sovrastato
talvolta da uno strato di lettiera indecomposta), in cui il contenuto di sostanza organica insieme alle
particelle minerali raggiunge una percentuale notevole (es: 5%-10%), un sottostante orizzonte
di eluviazione, in cui il processo di percolazione delle acque meteoriche ha eluviato una parte delle
particelle minerali fini lasciando come prevalente la componente limosa o sabbiosa, e al fondo l'
orizzonte di illuviazione corrispondente, dove le suddette particelle fini (argillose) si sono
accumulate.
I processi che originano un suolo sono comunque disparati, ed è possibile una caratterizzazione dei
suoli in stretta correlazione ai regimi climatici. Questa non è comunque l'unico tipo di
classificazione operabile.
La pedologia è la scienza che studia la composizione, la genesi e le modificazioni del suolo dovute
sia ai fattori biotici che abiotici. La chimica del suolo è invece la disciplina che si occupa dello
studio e caratterizzazione chimica e chimico-fisica del suolo.
Formazione ed evoluzione di un suolo
Un suolo si origina dall'alterazione, per via fisica, chimica e biologica (detta,
in inglese, weathering) di un substrato pedogenetico, vale a dire un accumulo di materiale
disgregato e inconsolidato derivante da alterazione di qualche tipo di roccia; solo raramente un
suolo si sviluppa direttamente da roccia in posto (come è il caso, ad esempio di alcuni suoli
sviluppatisi direttamente su marne). Ad un certo punto del cammino di formazione di un suolo
compare anche la frazione organica, originata dal lento accumularsi di resti organici
(animali, piante, funghi, batteri), una parte dei quali viene complessata (attraverso l'attività dei
microrganismi) fino ad essere trasformata in composti resistenti alla degradazione (humus).
Il percorso di formazione di un suolo varia moltissimo in dipendenza dell'ambiente in cui si trova a
svilupparsi, le cui caratteristiche dipendono dall'intensità di alcuni, ben definiti, fattori
pedogenetici:
il clima;
la topografia;
la componente biotica;
la roccia madre;
il tempo.
Il livello di espressione di questi fattori di pedogenesi determina varie successioni di eventi aventi
luogo in un suolo o che hanno effetti su di esso; queste successioni di eventi vengono
chiamati processi pedogenetici.
Proprietà fisiche
L'insieme delle caratteristiche di un suolo, derivanti sia dal suo stato fisico che dalla sua natura
chimica, ne determina le proprietà fisico-meccaniche e chimiche.
Le principali proprietà fisico-meccaniche di un suolo sono:
composizione: in un suolo sono normalmente presenti costituenti in tutte e tre le
fasi: solidi (componenti minerali e organiche), liquidi (soluzione circolante), gas (i medesimi
componenti dell'atmosfera terrestre, con qualche variazione nelle proporzioni relative), con
l'eccezione di suoli di ambienti stagionalmente molto aridi in cui si osserva un disseccamento
del profilo;
tessitura: è data dalla proporzione esistente fra le classi diametriche in cui possono essere
divise le particelle di suolo, dopo la rottura degli aggregati naturali (cioè della struttura stabile).
La parola tessitura si applica solo agli elementi della cosiddetta terra fine, cioè dell'insieme di
tutte le particelle di diametro inferiore ai 2 millimetri; oltre questa misura, si parla di scheletro;
struttura: indica le modalità con cui le singole particelle si uniscono a formare aggregati
(chiamati ped) mantenuti insieme da sostanze dette cementi e separati fra loro da superfici di
rottura; tali aggregati devono essere di origine naturale (si escludono così certe forme
di pseudostruttura come le grosse zolle prodotte dalle arature) e costituiscono l'unità minima di
suolo. La presenza di una struttura assicura generalmente una maggiore qualità del suolo;
densità: esprime la massa del terreno riferita all'unità di volume. Si distingue fra la densità
reale, che prende in considerazione solo il volume della frazione solida, e la densità apparente,
che prende in considerazione il volume totale del terreno, compresi quindi gli spazi vuoti;
porosità: esprime il volume degli spazi vuoti del terreno come rapporto percentuale sul
volume totale. Questa proprietà fisica influenza direttamente la dinamica della fase liquida e di
quella aeriforme nel terreno e, indirettamente, la fertilitàchimica. Ha una correlazione stretta con
la struttura e con le lavorazioni;
adesione: la forza con cui le particelle terrose sono legate da corpi estranei che vengono a
contatto con il suolo (es. gli organi lavoranti degli attrezzi agricoli);
coesione: la forza con cui le particelle terrose sono legate fra loro e si oppongono al
distacco. Dipende dalla tessitura, dalla struttura e dall'umidità del terreno;
temperatura;
colore.
Suolo agrario
Il Suolo agrario è la parte della superficie terrestre che, per la sua struttura, si presta allo sviluppo
delle specie vegetali e che l’uomo utilizza per le coltivazioni agricole.
Suolo naturale e suolo agrario
diversi tra di loro; in particolare il secondo, presenta due soli strati, l'attivo in superficie, fino alla
profondità di circa 70 cm, e l'inerte, al di sotto. I suoli possono essere originati da materiali del
luogo (terreni eluvionali), ma più comunemente sono formati da materiali trasportati in loco
da acqua, vento o ghiaccio (terreni colluviali).
Tessitura
I terreni possono essere classificati in base alla tessitura, cioè al contenuto percentuale di particelle
di calibro diverso.
Ogni componente del suolo assume nomi diversi a seconda delle sue dimensioni; per esempio,
secondo la Società Internazionale della Scienza del Suolo le particelle venivano classificate
come scheletro (diametro maggiore di 2 mm), sabbia (diametro compreso tra 2 e 0,02
mm), limo (diametro compreso tra 0,02 e 0,002 mm), argilla (diametro minore di 0,002 mm).
La composizione del suolo viene determinata facendo attraversare un campione di terra seccata
attraverso una serie di setacci. Composizioni diverse in scheletro, sabbia, limo e ed argilla
conferiscono al suolo proprietà fisiche, meccaniche ed agronomiche diverse.
In base alla composizione percentuale di sabbia, limo ed argilla ogni terreno assume una particolare
denominazione, generalmente ottenuta utilizzando dei grafici detti triangoli della tessitura. In base
alla prevalenza di un tipo di particelle sulle altre, si hanno terreni argillosi, limosi, sabbiosi, e le
diverse situazioni intermedie (argilloso-sabbioso, argilloso-limoso, sabbioso-argilloso, ecc.); in
particolare viene indicato come franco un terreno dalla composizione intermedia, dove nessuna
frazione prevale con le sue caratteristiche sulle altre, ideale per la coltivazione. Si possono
incontrare altre espressioni (terreno forte, di medio impasto, ecc.) che però hanno solo valore
pratico.
Struttura
Le diverse particelle inorganiche del terreno possono unirsi tra loro grazie all'azione aggregante
della componente argillosa e della componente organica. Di conseguenza il suolo agrario si presenta
generalmente sotto forma di grumi di particelle legate tra loro. Il suolo agrario, a seconda del tipo di
struttura, può assumere denominazioni diverse: compatta, glomerulare, vacuolare, ecc. Il tipo di
struttura influenza le caratteristiche fisiche, chimiche, ed agronomiche del suolo.
Carbonati di calcio e magnesio
I carbonati di calcio e di magnesio costituiscono nei suoli italiani i minerali più importanti e
comuni. La quantità di questi due minerali viene espressa in percentuale di carbonato di calcio
(CaCO3, anche se in realtà viene considerato il carbonato di magnesio). Il calcare attivo, dato
espresso sempre in percentuale, derivato dal precedente, è un indice della influenza dei carbonati
presenti sulle diverse colture. Un eccesso di carbonati ha effetti negativi sulla assimilazione, da
parte delle piante, soprattutto arboree, degli elementi nutritivi presenti nel terreno (per es. il ferro).
Un eccesso di calcare attivo obbliga alla adozione di portainnesti in grado di tollerare questa
situazione, e l'attuazione di altre pratiche agronomiche in grado di surrogare i problemi derivati.
Sostanza organica
La sostanza organica è in gran parte costituita dai resti di animali e vegetali, più o meno evoluti e
trasformati, presenti nel terreno. Le sostanze di origine organica vengono demolite nel terreno dalla
azione della microflora/fauna presente; questo processo porta da un lato alla mineralizzazione
(liberazione di elementi semplici assimilabili dalle radici delle piante), dall'altra all'umificazione
(formazione di sostanze chimiche complesse denominate humus). L'humus funge da serbatoio di
fertilità del suolo, in quanto può, a seconda delle caratteristiche del terreno, rilasciare nel tempo
elementi semplici assimilabili dalle piante. La sostanza organica complessiva presente nel terreno
viene espressa in percentuale, e viene stimata a partire dalla quantità di carbonio presente nel
terreno, elemento caratteristico delle sostanze di origine organica.
Capacità di scambio cationico
Gli elementi minerali indispensabili per la vita delle piante (azoto, fosforo, potassio, magnesio,
ecc...), assorbiti dalle radici, vengono trattenuti dal suolo grazie alla presenza delle argille e della
sostanza organica. In linea di principio, maggiore è la presenza di queste due categorie di sostanze,
maggiore sarà la capacità del terreno di trattenere gli elementi nutritivi citati, che altrimenti si
disperderebbero per percolazione in profondità. Per esempio i terreni sabbiosi hanno bassa capacità
di trattenere i principi nutritivi, perché carenti di argilla, ed anche perché tendenzialmente poveri di
sostanza organica, per la rapidità di mineralizzazione. Al contrario, i terreni argillosi e organici
generalmente presentano caratteristiche opposte. La somma delle quantità degli elementi nutritivi
presenti sulla superficie di scambio del terreno, stimati attraverso una analisi chimica dello stesso,
viene definita come capacità di scambio cationico (C.S.C.). Valori elevati di C.S.C. indicano minori
rischi di perdita di elementi nutritivi e minori rischi di inquinamento, ma anche maggiore difficoltà
da parte delle piante di assimilare gli stessi, fortemente trattenuti dal complesso di scambio (humus
ed argilla). La C.S.C. non comprende alcuni anioni (come per es. i nitrati), in quanto solo la
sostanza organica è in grado in parte di trattenerli. Altri anioni, come i fosfati, sono in parte
trattenuti dai colloidi elettronegativi per interazione con i cationi adsorbiti. Le sostanze bloccate
sulla superficie di scambio del suolo sono in equilibrio dinamico con la soluzione acquosa
circolante nello stesso; quando la concentrazione di un certo elemento diminuisce nella fase liquida
(per es. perché assorbito dalle radici), il terreno libera una certa quantità dello stesso, riequilibrando
la situazione.
Pedogenesi
Inizio di pedogenesi su una colata lavica.
Inizio di pedogenesi su una roccia calcarea.
La pedogenesi (dal greco πέδον, «suolo» e γένεσις, «nascita») è l'insieme di
processi fisici, chimici e biologici che portano alla formazione di un suolo, nel corso del tempo, a
partire dal cosiddetto substrato pedogenetico, un materiale roccioso derivante da una prima
alterazione della roccia madre (il materiale litologico originario).
La semplice alterazione dei minerali delle rocce, anche se molto spinta, non è tuttavia sufficiente
per la formazione di un suolo, dato che l'elemento discriminante tra questo e un semplice accumulo
di sedimento non pedogenizzato è la presenza di sostanza organica mescolata alla componente
minerale; è indispensabile, ai fini dello sviluppo di un suolo, l'azione di una componente biologica.
Le prime comunità viventi che si instaurano su un substrato inorganico sono formate da organismi
semplici: licheni, muschi,colonie batteriche, che esercitano un duplice effetto: da una parte
proseguono l'opera di alterazione chimica e fisica del substrato, dall'altra riforniscono il suolo
"neonato" di un primo pool di sostanze organiche e ioni minerali che viene successivamente
sfruttato per l'insediamento di organismi più complessi, come le piante.
L'intensità e la tipologia dei processi pedogenetici sono determinate dall'interazione di diverse
componenti ambientali: la roccia madre, la morfologia e il clima dell'area, gli organismi viventi
(incluso l'uomo) e il trascorrere del tempo; tali componenti vengono chiamate fattori
pedogenetici e, ad ogni istante, determinano le caratteristiche del suolo.
Accumulo di sedimenti vulcanici non pedogenizzati, che non costituiscono un suolo.
Il primo stadio della pedogenesi è l'alterazione del materiale originario, che avviene sotto l'influenza
dei diversi fattori fisici,chimici, e biologici.
Il "motore" di queste trasformazioni è la condizione di non equilibrio energetico fra le strutture dei
minerali (tipi di reticolo cristallino, stati di ossidazione) e le condizioni esistenti alla
superficie terrestre.
Substrato pedogenetico
I processi di pedogenesi si instaurano sul cosiddetto substrato pedogenetico, vale a dire un
accumulo di detriti derivanti da una porzione di roccia madre alterata e disgregata. Questi detriti
possono derivare direttamente dalla roccia madre presente in situ(substrato autoctono) oppure da
rocce madri esterne all'area (substrato alloctono); esempi di substrati alloctoni possono essere dei
detriti alluvionali, eolici (come il löss), morenici oppure colluviali (detriti di frane, coni di
deiezione, ecc.).
Le trasformazioni subite dalla roccia madre (meteorizzazione) possono essere di tipo fisico, vale a
dire un semplice sminuzzamento della massa rocciosa affiorante sulla superficie terrestre, causato
dai diversi agenti fisici, oppure di tipo chimico, implicante cioè una modifica della composizione
chimica o una riorganizzazione della struttura cristallina, che conduce alla creazione dei
cosiddetti minerali secondari.
Degradazione fisica
Le modalità di degradazione fisica delle rocce sono di diversi tipi:
azione gelo-disgelo (detta anche gelivazione o processo crioclastico): l'acqua presente
all'interno delle fessure delle rocce, congelando, aumenta di volume (circa il 9%)
producendopressioni in grado di provocare l'allargamento della frattura e, dopo cicli ripetuti, la
frantumazione della roccia;
effetto salsedine (detta anche disgregazione salina o processo aloclastico): sostanzialmente
analogo alla disgregazione operata dai cristalli di ghiaccio, solo più lenta visto il maggior tempo
richiesto alla precipitazione e crescita cristallina di volumi di sali sufficienti a creare pressioni
disgreganti;
attività organica: anche se l'attività trasformante degli organismi si esplica soprattutto per
via biochimica, l'azione meccanica delle radici in crescita delle piante o il rimescolamento del
terreno ad opera dei lombrichi può avere una sua importanza.
Alterazione chimica
La deposizione di carbonato di calcionell'orizzonte petrocalcico bianco è stata resa possibile dalla
solubilizzazione di questo sale da parte dell'acqua circolante.
I processi attraverso i quali si ha alterazione del substrato sono:
Ossidazione/riduzione: hanno importanza nel suolo in quanto agiscono sulla solubilità e
quindi sulla mobilità di alcuni elementi; queste ultime grandezze variano al variare delle
condizioni ossidoriduttive che si determinano nel terreno. Alcuni fra gli elementi chimici più
importanti nella pedogenesi hanno dinamiche molto influenzate dal loro stato ossidativo:
il ferro, ad esempio, in condizioni riducenti (come si possono determinare in un suolo saturato
d'acqua) si riduce a ione Fe2+ e diventa parzialmente solubile in acqua, potendo essere così
allontanato. Quando l'ambiente pedologico ritorna ossidante (ad esempio, cessando le
condizioni di saturazione idrica) il ferro ritorna nella sua forma trivalente
e riprecipita come ossido o idrossido.
Solubilizzazione: l'acqua ha un grosso potere solubilizzante, ulteriormente incrementato dal
fatto che è frequentemente resa lievemente acida per la presenza di acidi organici deboli
o CO2 disciolta (nel suolo l'anidride carbonica è presente in quantità 50-100 volte superiori a
quella dell'aria a causa della respirazione degli organismi componenti la pedofauna)[2].
Le soluzioni circolanti in un suolo sono di grossa importanza nei meccanismi pedogenetici, data
la grande mobilità nel profilo pedologico dell'acqua (solvente), che rende possibile asportazioni
di grandi quantità di ioni e la loro successiva rideposizione in altri orizzonti nel profilo o il loro
allontanamento. Ad esempio, i processi di decarbonatazione sono essenzialmente derivanti
da solubilizzazione e asporto di ioni calcio (Ca2+); ancora, i processi di deposizione di sali
derivano dalla loro precipitazione, essendo stati precedentemente disciolti in acqua e da essa
mobilizzati.
Idratazione: consiste nell'incorporazione di molecole di acqua nel reticolo di un minerale;
la disidratazione, invece, si verifica quando, in condizioni di aridità, la
forte evaporazione provoca l'espulsione di acqua. L'idratazione facilita l'alterazione chimica dei
minerali, indebolendo le forze che tengono legati gli ioni alle superfici dei cristalli. Molti
minerali del suolo derivano da idratazione: ad esempio il gesso (solfato di calcio biidrato,
CaSO4·2H2O).
Idrolisi: è data, tecnicamente, da una rottura dei reticoli cristallini dei minerali causata
dall'azione dell'acqua. Nella pedogenesi è un potente fattore di alterazione, assolutamente di
primo piano in ambienti caldi e umidi come, ad esempio, quelli equatoriali. La capacità
alterativa delle molecole di acqua è aumentata dalla lieve acidità (contenuto in acido carbonico,
H2CO3). Il processo idrolitico comporta la liberazione della silice e delle basi; in dipendenza
delle caratteristiche climatiche, poi, queste possono essere completamente dilavate
(desilicizzazione) oppure dare origine ad argille di neoformazione
e idrossidi di ferro, alluminio e manganese (complesso di alterazione).
Chelazione: è una forma particolare di alterazione chimica (in alcuni casi, biochimica)
causata da alcune tipologie di composti organici (acidi organici, fenoli) che possono essere
prodotti da organismi inferiori (muschi, funghi, licheni) o provenire dalla decomposizione delle
lettiere forestali. Tali composti attaccano i minerali, estraendone degli ioni metallici (altrimenti
piuttosto refrattari a tali reazioni) formando dei composti organo-metallici chiamati chelati;
questi ioni possono poi subire una traslocazione, ad opera dell'acqua circolante, verso le parti
più basse del profilo.
Le trasformazioni della sostanza organica
Le trasformazioni della sostanza organica durante la pedogenesi.
La presenza di sostanza organica (sia di origine vegetale che animale) è indispensabile perché un
corpo naturale possa essere definito suolo. Durante la fase di genesi di un suolo la sostanza organica
(o meglio, i suoi prodotti di alterazione) può svolgere un ruolo importantissimo e indirizzare, in un
senso piuttosto che in un altro, la pedogenesi (si pensi alle foreste di conifere e alla lettiera acida
che generano, o alla lettiera forestale ricca di basi e non acidificante delle foreste di latifoglie).
In alcune situazioni, come ad esempio in climi temperato-freddi e umidi, la sostanza organica ha un
ruolo importante nella pedogenesi: la migrazione dei composti organici, le loro trasformazioni
biochimiche e le interazioni con la componente minerale svolgono un ruolo di primo piano. In altre,
vedansi le pedogenesi di ambienti equatoriali o tropicali, la sostanza organica ha un ruolo
trascurabile, soverchiata dalle fortissime alterazioni geochimiche.
Il destino della sostanza organica fresca nella formazione di un suolo può portarla a percorrere due
cammini differenti:
la mineralizzazione, vale a dire una forma di degradazione prevalentemente biologica che
porta alla scomposizione dei composti organici di origine fino a sostanze inorganiche (ad
esempio nitrati,ammoniaca, anidride carbonica, acqua);
l'umificazione, che consiste nella produzione di composti colloidali di neoformazione, dotati
di stabilità chimica sufficiente a renderli abbastanza refrattari alla degradazione microbica.
I due processi possono considerarsi antagonisti fra loro; l'insieme delle trasformazioni deve
intendersi però come una specie di "circolo" (l'humus può subire una degradazione successiva,
unamineralizzazione secondaria che lo può ricondurre a sostanze minerali, mentre alcune sostanze
minerali possono subire una riorganizzazione).
La componente derivante da umificazione costituisce il patrimonio di sostanza organica stabile del
suolo, con importanti influenze sulle sue proprietà fisiche (colore, struttura, ritenzione idrica) e
chimiche (capacità di scambio cationico).
I fattori della pedogenesi si possono definire come gli agenti che condizionano i processi
pedogenetici; possono essere di carattere litologico, climatico e biologico, e l'alterazione di uno
qualsiasi di questi fattori ha importanti conseguenze sullo sviluppo futuro del suolo, facendo
procedere la pedogenesi in una maniera differente da quella seguita fino al momento della
variazione.
Fu il pedologo russo Dokučaev, nel 1898[14], a porre l'accento sul fatto che un suolo è il risultato
dell'azione dei diversi fattori; il concetto fu formalizzato nel 1941 dal pedologo Jenny, nella prima
versione della sua famosa equazione che connette le proprietà osservate del suolo con i fattori
indipendenti che determinano la sua formazione:[15]
dove:
S = una qualunque proprietà del suolo
cl = clima
o = organismi
r = topografia (intesa come rilievi, dall'inglese relief)
p = roccia madre (dall'inglese parent material)
t = tempo (momento iniziale della formazione di un suolo)
... = altri fattori, di importanza locale
Orizzonte pedologico
Orizzonti di suolo podzolico.
Un orizzonte pedologico è uno strato ben identificabile di suolo, distinguibile dagli altri sopra- e
sottostanti.
Quando la pedogenesi prevale sulla morfogenesi, formando un suolo detto maturo, i movimenti
verticali di acqua, minerali esostanza organica, possono creare locali accumuli o impoverimenti
per lisciviazione di alcuni di questi componenti, che caratterizzano gli orizzonti. In questo senso
essi si distinguono dagli strati tipici della sedimentologia, costituiti semplicemente da depositi in
sequenza.
Tipi di orizzonti
Gli orizzonti pedologici vengono distinti comunemente utilizzando alcune lettere (maiuscole),
riguardo ai differenti tipi principali, e minuscole per definire dei sottorizzonti più specifici:
O - orizzonti organici di suoli minerali: sviluppati alla sommità dei suoli minerali, sono
composti quasi esclusivamnete da materia organica in via di decomposizione (foglie e radici
morte, escrementi, ecc...), o ancora non decomposta; è costituito in pratica dalla lettiera, ed è
perciò maggiormente presente in suoli di foresta. Può suddividersi in orizzonti L, F, H a
seconda del crescente grado di decomposizione della sostanza organica contenuta. Si distingue
in:
O1 La forma del materiale organico originario è riconoscibile.
O2 L’originaria forma degli animali e delle piante non è riconoscibile ad occhio
nudo.
A - orizzonti minerali evolutisi a partire dalla superficie: è un orizzonte di superficie,
composto sia da frazione minerale che organica (humus); quest'ultima è il prodotto della crescita
vegetale e della decomposizione di sostanze biologiche ad opera dei microrganismi, dei vermi e
degli altri piccoli animali del suolo. Questo orizzonte viene intensamente alterato e rimescolato
da radici e pedofauna. Sono suddivisi in:
A1 Evoluti in superficie o vicino ad essa tramite un evidente accumulo di sostanza
organica umificata associata alla frazione minerale.
A2 L’aspetto appariscente è la perdita di argilla, ferro o alluminio con
concentrazione di quarzo o altri minerali resistenti con dimensioni delle sabbie o dei limi.
E - orizzonti che hanno subito eluviazione: È un orizzonte caratterizzato da perdita di
minerali per traslocazione verso il basso; è perciò spesso caratterizzato da colori chiari. Dato
che i minerali traslocati si accumulano in un particolare tipo di orizzonte, il B (vedi sotto),
questi due orizzonti viaggiano sempre insieme.
B - orizzonti minerali, differenziati ad opera di diversi processi pedogenetici: Possono
verificarsi semplici fenomeni di alterazione oppure si può avere illuviazione, in cui l'orizzonte è
destinatario di materia traslocata dall'alto. Argilla, minerali di ferro, carbonati, humus si
accumulano, rendendo questo orizzonte più definito e colorato degli altri. Si differenziano per
colore, struttura, accumulo residuale di argilla silicatica in:
B1 È di transizione tra gli orizzonti A e B.
B2 Esprime la proprietà dell’orizzonte B.
B3 È di transizione tra gli orizzonti B e C.
C - orizzonti minerali debolmente alterati. È un orizzonte relativamente poco interessato
da processi pedologici; in particolare mancano i segni dell'alterazione biologica ad opera
di organismi e, di conseguenza, è quasi totalmente minerale.
R - rocce litoidi: non è propriamente un orizzonte pedologico, dato che è costituito
dalla roccia madre situata alla base del suolo.
Esistono anche orizzonti che manifestano simultaneamente caratteristiche di due,
chiamati orizzonti di transizione e indicati con le due lettere (es. si indica con AB un orizzonte
dominato da proprietà tipiche degli A, ma con presenza anche di proprietà B, separati da linee
diagonali o curve).
Suffissi/sottorizzonti
I suffissi sono indicati per meglio definire le caratteristiche di un singolo orizzonte; si scrivono con
lettere minuscole, a fianco della lettera maiuscola che segnala il tipo principale di orizzonte.
Segue un elenco di suffissi:
a: da sapric, presenza di sostanza organica ben decomposta;
b: da buried, sepolto; indica un orizzonte di superficie la cui normale evoluzione è stata
successivamente interrotta da un seppellimento;
c: indica presenza di concrezioni o noduli di titanio, alluminio, ferro, manganese;
d: da densità, indica uno strato con densità elevata che rappresenta un ostacolo per
la radicazione;
e: da hemic, presenza di sostanza organica parzialmente decomposta;
f: da frozen, orizzonte gelato in permanenza (permafrost);
ff: orizzonte gelato, ma che non contiene tanto ghiaccio da essere da questo cementato;
g: da gley, parola russa che significa massa di terra fangosa; presenza screziature che
indicano alternanza di condizioni ossidanti e riducenti;
h: da humus, accumulo di humus illuviale;
i: da fibric, sostanza organica fresca;
j: da jarosite, un minerale di ferro e potassio;
k: da kalzium, calcio, (ted.), indica accumuli di carbonato di calcio;
m: orizzonte cementato; si adopera solo in combinazione con l'elemento che compone il
cemento;
n: da natrium, segnala accumulo di sodio;
p: da plow, aratro, indica un suolo che ha subito lunghe alterazioni per attività agricola;
q: da quarzo, indica accumulo di silice;
r: indica un orizzonte tenero;
s: da sesquiossidi, nome obsoleto per indicare degli ossidi di ferro, presenti nell'orizzonte a
seguito di illuviazione;
ss: da slickensides, facce di scivolamento, dovute alla presenza di argille a reticolo
espandibile;
t: da ton, argilla (ted.), indica accumuli di argilla di origine illuviale;
v: segnala la presenza di una plintite;
w: da weathering, alterazione in situ, rilevabile da particolari strutture, colori, tipologia
di argille;
x: indica la presenza di uno strato di terreno più denso del normale ma friabile,
denominato fragipan;
y: da gypsum, gesso (lat.), descrive un orizzonte con accumulo illuviale di gesso;
z: indica accumulo di sali con solubilità in acqua maggiore del gesso.
Secondo alcuni autori si possono usare alcuni suffissi aggiuntivi, in caso di situazioni molto
specifiche, come ma (orizzonte con accumulo di marna), co (presenza di materiali fecali di animali
marini), di (orizzonte con presenza di materiali silicei di origine marina).
Orizzonte diagnostico
Si definisce orizzonte diagnostico un orizzonte pedologico utilizzato per distinguere e classificare i
differenti tipi di suolo. Il concetto di orizzonte diagnostico è basilare, quindi, in tutte le tassonomie
pedologiche sviluppate nel mondo.
Lavorazione del terreno
Aratura tradizionale con trazione animale
Aratura moderna con trattice agricola
Vangatura manuale
Le lavorazioni del terreno, in agronomia, sono interventi praticati dall'uomo con l'ausilio di
utensili o macchine allo scopo di creare un ambiente fisico ospitale per le piante agrarie.
Scopi delle lavorazioni
In generale le lavorazioni migliorano le condizioni fisico-meccaniche del terreno e indirettamente
influiscono in modo più o meno marcato sulle proprietà chimiche e su quelle biologiche.
Fra gli scopi principali che hanno in genere le lavorazioni si segnalano i seguenti:
1. Aumento della sofficità. Una maggiore sofficità riduce la tenacità e la compattezza del
terreno, creando le condizioni ideali per favorire l'espansione delle radici e l'esecuzione di
altre operazioni colturali.
2. Aumento della permeabilità. Una maggiore permeabilità del terreno favorisce l'infiltrazione
dell'acqua, evitando che ristagni o defluisca in superficie. Favorisce altresì un facile sgrondo
dell'acqua in eccesso, migliorando il rapporto fra acqua e aria nel terreno. L'aumento della
permeabilità permette inoltre la costituzione di riserve idriche di maggiore entità.
3. Preparazione del letto di semina. Lo sminuzzamento delle zolle crea un ambiente adatto ad
ospitare il seme in modo che le particelle terrose vi aderiscano meglio favorendone
l'imbibizione e la conseguente germinazione.
Gli scopi secondari o specifici che possono avere alcune lavorazioni sono molteplici. A titolo
d'esempio si segnalano i seguenti:
1. Contenimento della vegetazione infestante.
2. Contenimento delle perdite d'acqua per evaporazione.
3. Livellamento della superficie del terreno.
4. Interramento di fertilizzanti o altre sostanze.
Relazioni tra umidità e lavorazioni
Terreno arato in stato di tempera ai limiti della plasticità. La tendenza alla plasticità è evidente dal
modellamento della fetta, dalla ridotta zollosità, dal modellamento della superficie nella suola di
aratura e nella parete
I terreni sabbiosi hanno una struttura incoerente che non subisce conseguenze negative a seguito
delle lavorazioni. Questi terreni si possono infatti lavorare sia quando sono umidi sia quando sono
asciutti perché le proprietà fisiche sono determinate esclusivamente dalla tessitura. Per tutti gli altri
terreni (terreni di medio impasto, tendenti al limoso o all'argilloso) le proprietà fisiche sono
determinate sia dalla tessitura sia dalla struttura. Dal momento che la struttura del terreno è una
proprietà dinamica che può subire alterazioni marcate anche con un solo intervento è importante
considerare gli aspetti, relativi alle lavorazioni, che possono avere riflessi negativi su questa
proprietà. Le considerazioni che seguono non si applicano ai terreni sabbiosi.
Nei terreni dotati di un certo tenore in particelle fini, in particolare l'argilla, il risultato di una
lavorazione cambia in funzione della coesione e dell'adesione. I valori di queste proprietà variano in
funzione dell'umidità, perciò la scelta del momento ottimale in cui eseguire una lavorazione è
subordinata all'umidità del terreno. In relazione all'umidità, il terreno può trovarsi in tre stati fisici:
coesivo, plastico e fluido. Lo stato coesivo si ha a umidità relativamente basse, quello fluido a
umidità elevate.
Con terreno allo stato coesivo, l'adesione ha valori molto bassi. La coesione dipende dal tenore
in colloidi minerali: ha valori molto alti nei terreni argillosi, piuttosto bassi nei terreni poveri di
colloidi. Una lavorazione, ad esempio l'aratura, eseguita su un terreno allo stato coesivo richiede un
notevole dispendio di energia nei terreni argillosi, in quanto gli organi lavoranti devono vincere le
forze di coesione, con formazione di una elevata macrozollosità. Nei terreni limosi si ottiene invece
un certo grado di zollosità accompagnato da una notevole polverizzazione del terreno.
In generale si dovrebbe evitare la lavorazione dei terreni limosi in quanto l'eccessiva
polverizzazione avrà riflessi negativi sulla struttura quando il terreno riacquista umidità. I terreni
polverizzati tendono infatti a diventare asfittici e mal strutturati, con formazione di crosta
superficiale quando asciugano e difficoltà di sgrondo delle acque in eccesso.
Nei terreni argillosi gli inconvenienti sono per lo più legati ai maggiori costi delle lavorazioni
(aumenta il numero di interventi, il consumo di carburante, il costo di manutenzione per la
maggiore usura degli organi lavoranti). Non ci sono invece vincoli tecnici. Prudenzialmente si
eseguono le lavorazioni con terreno allo stato coesivo quando si teme che l'umidità elevata ne
impedisca la lavorazione.
Con terreno allo stato plastico la coesione ha valori relativamente bassi mentre l'adesione ha i valori
più alti in assoluto. Con le lavorazioni il terreno aderisce agli organi lavorati e subisce un
modellamento con la distruzione della struttura, a causa del costipamento esercitato sia dagli organi
di movimento delle macchine (ruote e cingoli) sia dagli organi lavoranti. La lavorazione allo stato
plastico va pertanto evitata in tutti i terreni perché ha effetti deleteri.
Con terreno allo stato fluido sia la coesione sia l'adesione hanno valori molto bassi. In condizioni di
umidità elevata, infatti, le particelle terrose tendono a circondarsi di un velo liquido smorzando sia
le forze di adesione sia le forze di coesione. Anche in questo caso ogni sollecitazione meccanica ha
effetti distruttivi sulla struttura. Peraltro il terreno perde del tutto la sua capacità di opporsi alla
compressione, perciò le lavorazioni sono impedite dall'impossibilità d'ingresso in campo con i
mezzi agricoli.
Esiste un campo di umidità, compreso fra lo stato coesivo e lo stato plastico in cui adesione e
coesione hanno valori abbastanza vicini. In queste condizioni si dice che il terreno è in tempera.
Con terreno in tempera gli organi lavoranti vincono facilmente le forze di coesione e il terreno
aderisce poco. Le zolle si sgretolano con relativa facilità e la lavorazione lascia il terreno in
condizioni di sofficità ideali. Con valori di umidità leggermente superiori a quelli ottimali (terreno
tendente al plastico) si ottiene un principio di modellamento. Ad esempio, dopo un'aratura le zolle
mostrano superfici lisce per effetto della compressione esercitata con il versoio. Con valori di
umidità leggermente inferiori a quelli ottimali (terreno tendente al coesivo) allo sgretolamento delle
zolle si accompagna un certo grado di polverizzazione, più accentuato nei terreni limosi e di medio
impasto rispetto a quelli argillosi.
Da quanto detto in precedenza, si evince che i terreni più facilmente lavorabili sono quelli sabbiosi,
non essendoci vincoli legati all'umidità. Un minor margine di scelta è offerto dai terreni argillosi, i
quali andrebbero lavorati in tempera, ma prudenzialmente si può optare per la lavorazione allo stato
coesivo. I terreni più difficili da gestire sono quelli limosi, i quali vanno lavorati sempre in stato di
tempera.
Lavorazioni manuali
Sono eseguite per mezzo di semplici attrezzi maneggiati direttamente dall'uomo. In generale si
tratta di lavori particolarmente onerosi perché richiedono uno sforzo fisico non trascurabile,
pertanto sono eseguiti su piccole superfici in orticoltura e in giardinaggio oppure come lavori di
raffinamento spesso in arboricoltura e in orticoltura. Va però precisato che nelle aree ad agricoltura
marginale o di sostentamento, in particolare nel Terzo Mondo le lavorazioni manuali occupano un
ruolo predominante, solo in parte integrato dalla trazione animale.
Le lavorazioni manuali sono essenzialmente riconducibili a due tipi:
1. Zappatura. Si esegue con la zappa, allo scopo di rompere il terreno, sminuzzandolo in zolle,
agendo in profondità per quanto è reso possibile dalle dimensioni dell'attrezzo, dalla
tenacità del terreno e dalla forza dell'uomo.
2. Zappettatura. Si esegue con la zappetta o con il bidente. A differenza del lavoro precedente,
la zappettatura si esegue in genere come lavoro di coltivazione superficiale, per lo più allo
scopo di eliminare piante infestanti e rompere l'eventuale crosta superficiale del terreno.
3. Vangatura. Si esegue con la vanga. Con questa lavorazione il terreno è staccato a piccole
fette che vengono rivoltate e poi sminuzzate con alcuni colpi di taglio eseguiti sempre con
la vanga.
Lavorazioni meccaniche
Sono eseguite con macchine provviste di utensili in grado di compiere interventi di più larga
portata, in termini di superficie e profondità, azionate per mezzo della trazione animale o
meccanica. La trazione animale è ancora largamente diffusa in vaste aree della Terra, ad agricoltura
marginale o di sostentamento, mentre la trazione meccanica è largamente diffusa nelle aree
economicamente sviluppate ad agricoltura sia intensiva sia estensiva.
Le lavorazioni meccaniche sono eseguite con macchine semoventi, in grado di operare su piccole
superfici, oppure con macchine operatrici trainate o portate dal trattore. L'azione meccanica degli
organi lavoranti sul terreno può essere passiva, per effetto della trazione, oppure attiva, per effetto
di un moto trasmesso da un motore proprio o dalla presa di potenzadel trattore.
Lavorazioni di messa a coltura
Sono lavori di carattere straordinario in quanto si eseguono una sola volta allo scopo di rendere un
terreno naturale adatto alla coltivazione. Alcuni di questi lavori sono talvolta eseguiti anche con
macchine industriali (es. macchine movimento terra come apripista, caterpillar, escavatrici a
cucchiaio, ecc.). Le lavorazioni di messa a coltura classiche sono le seguenti:
Dissodamento. È una lavorazione profonda, che può raggiungere i 150 cm di profondità,
eseguita allo scopo di rompere per la prima volta la compattezza di un terreno naturale. In
genere si esegue con aratri di grandi dimensioni trainati da trattori di elevata potenza.
Scasso. È una lavorazione profonda, analoga al dissodamento, che si esegue a 80-120 cm
prima dell'impianto di un arboreto. A differenza del dissodamento, lo scasso si esegue su uno
stesso terreno quando si ripetono più impianti.
Spietramento. È una lavorazione eseguita con macchine specifiche allo scopo di ridurre
l'eccessiva presenza di scheletro in superficie o anche in profondità. Le spietratrici agiscono
effettuando una cernita meccanica oppure frantumando i massi (es. calcare tenero).
Lavorazioni principali
Sono lavori di carattere ordinario eseguite per la preparazione del letto di semina prima di ogni ciclo
colturale. Queste lavorazioni si eseguono sul terreno sodo, più o meno compattato dall'assestamento
e dal ripetuto passaggio di macchine e persone nel ciclo precedente, pertanto richiedono l'impiego
di attrezzi in grado di vincere l'eventuale tenacità del terreno. In occasione della lavorazione
principale, in genere, si provvede anche all'interramento di ammendanti e concimi. Secondo la
lavorazione adottata, lo stato del terreno negli strati superficiali non è ancora adatto ad ospitare il
seme perciò sarà necessario eseguire uno o più lavori complementari allo scopo di raffinare il letto
di semina. I lavori che si possono eseguire come principali, per consuetudine, sono i seguenti:
Aratura. È la lavorazione principale di più largo impiego in Italia, in genere ritenuta
indispensabile per i terreni limosi e argillosi. Lascia il terreno in uno stato fisico inadatto per la
semina a causa dell'eccessiva macrozollosità pertanto richiede l'integrazione con lavori
complementari.
Aratura con aratro a dischi. È una lavorazione alternativa alla precedente, eseguita con
l'aratro a dischi. È considerata impropriamente una variante dell'aratura, ma in realtà le
condizioni e il risultato dell'operazione sono fondamentalmente differenti. Si pratica su terreni
non compatti, spesso calcarei.
Ripuntatura. È una lavorazione eseguita in alternativa all'aratura con l'impiego
di scarificatori pesanti. A differenza delle lavorazioni precedenti non altera il profilo del terreno
perché non esegue rovesciamento né rimescolamento. Si presta perciò per essere eseguita su
terreni in cui si vuole evitare l'alterazione del profilo. A parità di profondità richiede forze di
trazione inferiori.
Lavorazione a due strati. Tecnica di lavorazione che consiste nella combinazione di aratura e
ripuntatura. Si può effettuare con un passaggio con un ripuntatore ad una profondità di circa
50 cm, seguito da un'aratura superficiale ad una profondità di circa 30 cm, oppure con un unico
passaggio con aratro ripuntatore. Ha lo scopo di compensare vantaggi e svantaggi dell'aratura e
della ripuntatura. Ad esempio evita la formazione della "suola di lavorazione" che si può avere
con l'aratura e permette un adeguato interramento dei residui colturali e dei concimi, impossibile
con la ripuntatura.
Fresatura. È una lavorazione eseguita in alternativa all'aratura con l'impiego di
una fresatrice. Rispetto alle precedenti ha il pregio di eseguire un efficace lavoro di
sminuzzamento del terreno pertanto non necessita, in genere, di integrazioni con lavori
complementari, tuttavia non permette di raggiungere grandi profondità (al massimo 25 cm). Si
presta per la preparazione del terreno prima della semina di una coltura intercalare, specie
quando esiste l'esigenza di accorciare il più possibile i tempi di preparazione del letto di semina.
A parità di profondità richiede elevate potenze in funzione della larghezza di lavoro.
Vangatura. È una lavorazione eseguita in alternativa all'aratura con l'impiego di
una vangatrice. Le condizioni di lavoro sono tali da ritenerla poco adatta per la maggior parte
dei terreni in Italia, inoltre non permette di raggiungere considerevoli profondità. Si presta per la
lavorazione di terreni sciolti.
Lavorazioni complementari
Sono detti anche lavori di preparazione del letto di semina, in quanto si collocano fra la lavorazione
principale e la semina. In genere l'obiettivo di queste lavorazioni è quello di realizzare, negli strati
superficiali del terreno, un ambiente fisico adatto a ospitare il seme e fare in modo che le particelle
terrose aderiscano perfettamente al seme, affinché questi si trovi in condizioni ideali di umidità. I
lavori complementari possono anche avere lo scopo di correggere alcuni inconvenienti causati dalla
lavorazione principale oppure integrarne i benefici.
Estirpatura. È un lavoro che integra in genere l'aratura migliorando le condizioni per la
successiva erpicatura. Si esegue con l'estirpatore. L'estirpatura è in genere consigliabile nei
terreni compatti quando l'aratura è eseguita diversi mesi prima dell'erpicatura. Questa
condizione si verifica in caso di aratura estiva e semina autunnale e, soprattutto, in caso di
aratura autunnale e semina primaverile: durante questi intervalli di tempo le zolle subiscono un
parziale sgretolamento per azione degli agenti atmosferici ma nel frattempo il terreno tende a
compattarsi in superficie e a ricoprirsi di una vegetazione infestante. L'estirpatura riduce la
compattezza superficiale ed elimina la vegetazione eventualmente comparsa creando le
condizioni adatte per eseguire l'erpicatura. In alcuni casi, ad esempio con colture poco esigenti
che si adattano ad un letto di semina preparato grossolanamente e su terreni non particolarmente
tenaci, l'estirpatura può essere anche il lavoro complementare finale, lasciando il terreno pronto
per la semina.
Erpicatura. È la lavorazione complementare classica, in genere eseguita dopo un'aratura o
una ripuntatura allo scopo di ridurre la zollosità in superficie e, nello stesso tempo, rendere più
regolare e uniforme la superficie del letto di semina. La qualità del lavoro dipende dal tipo
di erpice impiegato e dalle caratteristiche fisico-meccaniche del terreno. Nei casi più favorevoli
è sufficiente un solo passaggio, in casi più difficili sono necessari più passaggi con l'erpice.
Spianamento della superficie. È un'operazione da eseguire necessariamente quando la
lavorazione principale, soprattutto un'aratura profonda, lascia il terreno con una superficie molto
irregolare, oppure quando si deve avere una superficie perfettamente livellata, come nel caso
delle risaie. L'operazione si può eseguire con una ruspa trainata dal trattore, spesso con l'ausilio
di tecnologie di controllo che migliorano l'accuratezza dell'operazione
(puntamento Laser, GPS), ma nella generalità dei casi lo spianamento della superficie si realizza
agevolmente con la semplice erpicatura.
Ripuntatura. Si esegue come lavoro complementare dopo un'aratura come intervento
correttivo o integrativo. Nel primo caso ha lo scopo di rompere il crostone di lavorazione
formato dall'aratura, intervento necessario soprattutto quando si ricorre ad arature non profonde
su terreni argillosi. Nel secondo caso ha lo scopo di approfondire la lavorazione quando l'aratura
si esegue superficialmente per evitare di portare terreno indesiderato in superficie. In entrambi i
casi la ripuntatura si esegue a profondità maggiore rispetto alla precedente aratura. La
combinazione della ripuntatura con l'aratura assume il carattere di una lavorazione a due strati.
Questa duplice lavorazione si esegue in due passaggi (aratura e ripuntatura) oppure, più
semplicemente, in un unico passaggio impiegando un aratro ripuntatore.
Fresatura. Si esegue dopo un'aratura come unico intervento complementare in alternativa
all'erpicatura. In generale è un lavoro più superficiale rispetto alla fresatura adottata come
lavoro principale. L'utilizzo della fresatura in alternativa all'erpicatura è poco razionale dal
punto di vista economico in quanto comporta in genere un maggior consumo di carburante,
tuttavia può rendersi opportuna in caso di eccessiva zollosità superficiale per semplificare le
operazioni di preparazione del letto di semina, specie quando le lavorazioni complementari
richiederebbero 3 o più passaggi.
Rullatura. Si esegue con finalità differenti, in genere subito dopo la semina allo scopo di
compattare leggermente il terreno e ridurre ulteriormente la zollosità superficiale. In questo
modo si permette al terreno di aderire meglio al seme e, nello stesso tempo, si riducono le cause
di fallanza in fase di emergenza delle piantine. La rullatura si può eseguire anche dopo una
fresatura e prima della semina: in questo caso lo scopo è quello di ridurre l'eccessiva sofficità
del terreno in quanto il successivo assestamento potrebbe alterare la profondità di semina. La
rullatura si esegue con rulli concepiti per questo scopo, abbastanza leggeri per non costipare
eccessivamente il terreno, a superficie liscia o dentata o realizzata con una griglia metallica
cilindrica. Spesso il rullo è combinato con la seminatrice, pertanto l'operazione si esegue con un
unico passaggio in corrispondenza della semina.
Lavorazioni di coltivazione
Si effettuano con la coltura in atto con scopi specifici di varia natura secondo le colture. Largamente
adottate in passato, attualmente si ricorre meno a queste lavorazioni in quanto possono essere
surrogate da altre tecniche colturali come ad esempio il diserbo chimico. I lavori di coltivazione
tradizionali sono due:
Sarchiatura o scerbatura. Consiste in una lavorazione superficiale dell'interfila eseguita allo
scopo di interrompere la risalita capillare dell'acqua, in modo da contenere le perdite per
evaporazione, e di rimuovere le erbe infestanti. Si esegue con macchine specifiche (sarchiatrici)
oppure con macchine impiegate per altri scopi ma adatte ad essere utilizzate anche per la
sarchiatura. Nelle agricolture marginali o in quelle ad alto reddito (come le orticole o le
floricole) è eseguita manualmente con la zappettatura.
Rincalzatura. Consiste nel riporto di terra al piede delle piante, rimuovendola dall'interfila,
per scopi che variano secondo la coltura. L'operazione si esegue con aratri leggeri oppure con
l'aratro assolcatore.
Tessitura (terreno)
In agronomia e pedologia, la tessitura o grana o granulometria è la proprietà fisica
del terreno che lo identifica in base alla composizione percentuale delle sue particelle solide distinte
per classi granulometriche. Questa proprietà è importante per lo studio dei suoli e del terreno in
quanto ne condiziona sensibilmente le proprietà fisico-meccaniche e chimiche con riflessi sulla
dinamica dell'acqua e dell'aria e sulla tecnica agronomica.
La tecnica agronomica influisce pochissimo sulla tessitura, fatta eccezione per l'apporto di
alcuni ammendanti che in ogni modo ha un ruolo marginale. Più che una correzione vera e propria
della tessitura, che avrebbe costi proibitivi, la tecnica agronomica si prefigge gli scopi di correggere
i difetti di una tessitura anomala e di esaltare gli aspetti positivi delle singole frazioni
granulometriche.
Classi dimensionali delle particelle
Un suolo poco sviluppato a tessitura sabbiosa.
A prescindere dai diversi schemi di classificazione, le frazioni granulometriche del terreno si
distinguono in grossolana (sabbia e scheletro), fine (limo) e finissima (argilla); sabbia, limo e
argilla costituiscono la cosiddetta terra fine.
Esistono delle leggere differenze nella definizione dei limiti delle classi diametriche delle particelle
componenti la terra fine in un suolo:[1] secondo la distinzione del Dipartimento dell'Agricoltura
degli Stati Uniti, maggiormente utilizzata al mondo, le classi diametriche della terra fine sono:
argilla, con diametro minore di 2 micron;
limo, diametro compreso fra 2 e 50 micron;
sabbia, fra 50 micron e 2 mm. Questa classe viene suddivisa in sottoclassi:
sabbia molto fine, fra 50 e 100 micron;
sabbia fine, fra i 100 e i 250 micron;
sabbia media, fra 250 e 500 micron;
sabbia grossa, fra 500 micron e 1 mm;
sabbia molto grossa, da 1 a 2 mm.
Una seconda distinzione, anch'essa di un certo rilievo a livello internazionale, è quella proposta
dall'ISSS, che differisce leggermente dato che fissa i seguenti limiti:[1]
argilla, con diametro minore di 2 micron;
limo, fra 2 e 20 micron;
sabbia, fra 20 micron e 2 mm, divisa in:
sabbia fine, fra i 20 e i 200 micron;
sabbia grossa, da 200 micron a 2 mm.
Ogni distinzione di tipo dimensionale si intende eseguita su suoli in cui sia stata cancellata del tutto
la struttura (tessitura reale), che altera il comportamento dei suoli tramite la formazione di
aggregati stabili.
Argilla
In virtù delle piccolissime dimensioni e delle proprietà colloidali di una parte di questa frazione,
l'argilla conferisce al terreno un notevole sviluppo della superficie d'interfaccia con la fase liquida e
quella gassosa e, di conseguenza, un ruolo attivo nei fenomeni di adsorbimento e di
aggregazione strutturale che si traduce nelle seguenti proprietà fra loro correlate:
Elevata porosità, orientata verso una microporosità prevalente.
Grande capacità d'invaso ed elevata ritenzione idrica.
Tensione matriciale elevata (in valore assoluto) sia per l'adsorbimento colloidale sia per
la capillarità.
Scarsa permeabilità e difficoltà di movimento dell'acqua, con tendenza al ristagno e
all'asfissia.
Elevati valori della coesione allo stato asciutto e dell'adesione allo stato plastico.
Compattezza e tenacità allo stato coesivo.
Plasticità e adesività allo stato plastico.
Liquidità allo stato fluido.
Tendenza al costipamento.
Elevati tenori di argilla pongono pertanto seri problemi di fertilità fisica, che possono essere evitati
con una gestione conservativa della struttura. La tecnica colturale deve pertanto fare attenzione al
mantenimento di una stabilità strutturale. Per contro, l'argilla offre le condizioni per il
mantenimento di un'elevata fertilitàchimica e biologica.
Limo
Ha proprietà intermedie fra quelle della sabbia e quelle dell'argilla. In particolare le particelle più
grandi hanno proprietà analoghe a quelle della sabbia, le più fini a quelle dell'argilla escluse le
proprietà colloidali. In definitiva, il limo eredita pregi e difetti della sabbia e dell'argilla che in parte
si autocompensano.
Elevati tenori di limo pongono problemi sia di fertilità fisica e soprattutto meccanica, sia di fertilità
chimica. Si tratta dei terreni di più difficile gestione e la tecnica colturale deve prestare attenzione
sia agli aspetti chimici che a quelli fisici.
Sabbia
In virtù delle dimensioni relativamente grandi conferisce al terreno un ridotto sviluppo della
superficie d'interfaccia, pertanto la sabbia è una frazione sostanzialmente inerte da cui derivano le
seguenti proprietà:
Limitata porosità in gran parte costituita da macroporosità.
Limitata capacità d'invaso e scarsa capacità di ritenzione idrica.
Tensione matriciale più bassa (in valore assoluto) in gran parte dovuta alla capillarità.
Elevata permeabilità e facilità di movimento dell'acqua, con tendenza al rapido sgrondo.
Coesione e adesione virtualmente nulle.
Sofficità e scarsa resistenza alla penetrazione di organi lavoranti e di radici.
Elevata portanza.
Elevati tenori di sabbia pongono problemi di fertilità fisica solo in relazione alla dinamica
dell'acqua, mentre sono ottime le proprietà meccaniche. La sabbia è invece causa di una scarsa
fertilità chimica e biologica, accentuata dall'elevato potenziale redox del terreno e
dalla lisciviazione. La tecnica colturale deve pertanto fare attenzione a sopperire le carenze idriche e
nutrizionali a cui vanno facilmente soggetti i terreni ricchi di sabbia.
Scheletro
Ha proprietà analoghe a quelle della sabbia da cui eredita soprattutto i difetti, esaltandoli. Le
principali proprietà legate allo scheletro sono le seguenti:
Scarsa porosità in gran parte costituita da macroporosità.
Limitata capacità d'invaso e scarsa capacità di ritenuta idrica.
Tensione matriciale bassissima.
Elevata permeabilità e facilità di movimento dell'acqua, con tendenza al rapido sgrondo.
Coesione e adesione assenti.
Sofficità e compattezza strettamente legate alle dimensioni dello scheletro.
Elevata portanza.
Rapida usura degli organi lavoranti e difficoltà di esecuzione di diverse operazioni colturali.
Elevati tenori in scheletro sono da considerarsi negativi a tutti gli effetti in quanto esaltano i difetti
della sabbia senza mantenerne i pregi e ostacolano o addirittura impediscono l'esecuzione di molti
interventi agronomici. La tecnica colturale deve pertanto adattarsi ad una specifica realtà poco
migliorabile e curare in particolare il mantenimento della fertilità chimica e la disponibilità idrica.
Per ridurre lo scheletro è possibile utilizzare particolari macchine che agiscono o separandolo dalla
terra fine, o frantumandolo. Esiste un'unica eccezione in cui si è verificato che questa operazione
non porta alcun beneficio, ed è quella dei pascoli alpini, in cui lo scheletro permette di mantenere
un tenore d'umidità più elevato che in assenza di esso.
Classi tessiturali [modifica]
Triangolo per la determinazione della classe tessiturale, USDA.
La proporzione relativa delle singole frazioni dimensionali determina la classe tessituraledel suolo
in questione; sempre secondo l'USDA, queste sono 12, sotto elencate dalla più grossolana alla più
fine[2]:
Sabbiosa
Sabbioso franca
Limosa
Franco sabbiosa
Franca
Franco limosa
Franco sabbiosa argillosa
Franco argillosa
Franco limosa argillosa
Argilloso sabbiosa
Argilloso limosa
Argillosa
I terreni con tessitura più equilibrata sono quelli cosiddetti franchi o di medio impasto, contenenti
cioè una percentuale di sabbia (dal 35 al 55%) tale da permettere una buona circolazione idrica, una
sufficiente ossigenazione ed una facile penetrazione delle radici; una percentuale di argilla (dal 10
al 25%) tale da mantenere un sufficiente grado di umidità nei periodi asciutti, di permettere
la strutturazione e di trattenere i nutrienti; una frazione trascurabile di scheletro. Nei terreni di
medio impasto il limo risulta presente in percentuali che vanno dal 25 al 45%, meno ce n'è e più il
terreno risulta di qualità.
Determinazione della tessitura
La determinazione della granulometria viene effettuata solo sulla parte di terra fine, viene quindi
eliminata la parte di scheletro tramite setacciatura. Per una determinazione ottimale vanno effettuati
dei pretrattamenti:
aggiunta di HCl fino a pH 3, in modo da eliminare i carbonati
trattamento con H2O2 per ossidare la sostanza organica
aggiunta di una soluzione di metafosfato sodico o "calgon" per agevolare la dispersione e
impedire la riaggregazione delle particelle.
Ci sono quindi vari metodi per procedere, il più utilizzato è quello che si basa sulla diversa velocità
di sedimentazione delle particelle, in base alle loro diverse dimensioni.
IL SUOLO: UN'ENTITA'
PIENA DI VITA
Uno dei più grossi errori che possiamo commettere è considerare il suolo come un substrato inerte
privo di organismi e quindi di vita. In realtà la materia organica vivente, anche se rappresenta
percentualmente un valore ridotto rispetto al volume totale di un suolo, svolge un ruolo
fondamentale nell'evoluzione del suolo e nel mantenimento della sua fertilità.
Per comprendere meglio il ruolo degli organismi che vivono nel terreno occorre riprendere alcuni
concetti di ecologia generale.
Innanzitutto, partendo dalla definizione di ecosistema (interazione tra biotopo e biocenosi), si indica
con il termine biocenosi la totalità di organismi che popolano l'ecosistema, mentre con il vocabolo
biotopo si intende il substrato in cui vivono questi esseri viventi. In ecologia gli organismi della
biocenosi sono suddivisi in tre categorie: produttori, consumatori e decompositori.
Queste tre tipologie di esseri interagiscono all'interno dell'ecosistema (fig. 1): i produttori, ovvero le
piante, sono ancorate al suolo e, grazie alla capacità di fare la fotosintesi clorofilliana e al prelievo
di elementi nutritivi dal terreno, sono alla base della catena alimentare. Esse sono mangiate dai
consumatori, ossia dagli erbivori che a loro volta possono essere fonte di cibo per i carnivori. Sia i
produttori sia i consumatori possono rilasciare nell'ambiente degli scarti sotto forma di residui
vegetali (foglie, rami secchi ecc.) o feci, oppure possono morire e depositare i loro corpi morti sulla
superficie del suolo. E cosa succede a questo punto? Chi interviene? Fortunatamente interviene la
terza categoria di organismi viventi, i decompositori, che degradano e smantellano tutti i rifiuti
organici che sono depositati sulla lettiera. La loro attività è molto importante poiché eliminano tutti
i residui organici e li trasformano in elementi minerali che possono essere assorbiti e utilizzati dai
produttori. Pertanto, oltre alla rimozione della lettiera, i decompositori svolgono una fondamentale
azione di riciclo degli elementi nutritivi.
GLI ORGANISMI VIVENTI
Gli organismi che si possono trovare nel suolo sono tra i più svariati: si possono riconoscere parti di
esseri viventi, come le radici delle piante, oppure organismi semplici, come i batteri e i funghi,
oppure popolazioni di individui più complessi come gli insetti o i mammiferi (tab. 1).
Per semplificare lo studio di tutti gli organismi che popolano l'ecosistema suolo, si divide questo
gruppo in due categorie: i decompositori propriamente detti e detritivori. I primi sono anche indicati
con il termine microflora, mentre i secondi con la voce pedofauna.
LA MICROFLORA DEL SUOLO
Il termine microflora è molto vago e all'interno di questo gruppo sono contenuti tutti gli organismi
che non sono osservabili direttamente, ma richiedono metodi colturali e molecolari per
l'identificazione e la caratterizzazione. In questo gruppo si trovano i batteri, i funghi e le alghe che,
escludendo le radici dei vegetali, rappresentano la parte più cospicua della biomassa del terreno e
svolgono delle funzioni biochimiche fondamentali per il funzionamento dell'ecosistema. La
sostanza organica morta, vegetale e animale, è costituita da composti più o meno complessi, la cui
decomposizione è operata essenzialmente da batteri e funghi. La degradazione di questi composti è
effettuata attraverso la produzione di enzimi extracellulari che trasformano le sostanze complesse in
costituenti più semplici.
Una volta che la materia organica è stata digerita, la microflora può inglobarla all'interno della
propria biomassa, oppure mineralizzarla completamente o ancora trasformarla in composti resistenti
alla degradazione enzimatica, che si accumulano nel suolo e costituiscono una frazione della
sostanza organica umificata (l'umina microbica) (fig. 2).
I batteri sono degli organismi unicellulari procarioti che in funzione delle risorse energetiche
utilizzate si dividono in: fotoautotrofi (in grado di utilizzare l'energia solare), chemioautotrofi
(capaci di sfruttare l'energia chimica di alcune reazioni esotermiche) e eterotrofi (che traggono
energia dalla decomposizione della sostanza organica). Per quanto riguarda le esigenze ecologiche,
amano ambienti neutri e condizioni di umidità e temperatura buone.
Questi organismi sono in grado di decomporre molti composti e regolano i cicli biogeochimici degli
elementi. La decomposizione delle proteine, ad esempio, che è alla base del ciclo dell'azoto, vede
l'intervento di molti batteri, tra i quali i batteri nitrificanti, che sono i responsabili della
trasformazione dell'azoto ammoniacale in azoto nitrico, la forma di azoto più assorbita dalle radici
delle piante.
I funghi sono degli organismi eucarioti, generalmente pluricellulari, che sono facilmente visibili nel
momento in cui formano delle fruttificazioni macroscopiche: i carpofori (fig. 3). Essi amano buone
condizioni di umidità e temperatura, ma prediligono condizioni di pH acido.
In funzione del regime alimentare, i funghi possono essere parassiti, se vivono a spese di altri
organismi, simbionti, se instaurano delle relazioni di mutualismo, oppure saprofiti, se si nutrono di
sostanza organica morta in decomposizione.
Tra le relazioni di mutualismo, è utile ricordare le micorizze, un'associazione tra funghi e radici di
piante. Questa interazione è molto diffusa (si stima che coinvolga più del 90% dei vegetali) e
permette a entrambi gli organismi di trarre vantaggio: il fungo può utilizzare parte della linfa
elaborata dal vegetale, mentre la pianta aumenta il volume di terreno esplorato e pertanto può
raggiungere nuove fonti di acqua e assorbire meglio alcuni elementi nutritivi come il fosforo
I funghi saprofiti rientrano nella categoria dei decompositori e la loro importanza è legata alla
capacità di alcuni di essi di decomporre molecole molto complesse come la lignina, uno dei
principali costituenti del legno e di tessuti vegetali in generale. Attraverso questa attività essi sono
degli agenti fondamentali di degradazione che avviano la trasformazione della lettiera in humus: la
riserva di fertilità del suolo.
LA PEDOFAUNA
Gli animali che popolano il suolo possono essere di piccole, medie o grandi dimensioni.
Gli organismi di pezzatura ridotta, o microfauna (diametro inferiore a 0,1 mm), sono costituiti
essenzialmente da protozoi e nematodi che si cibano di funghi e batteri. Gli individui di media
grandezza, o mesofauna (diametro 0,1-2 mm), comprendono animali quali collemboli, acari e vermi
enchitreidi. Gli esseri di grandi dimensioni, o macrofauna (diametro 2-20 mm), sono rappresentati
da anellidi (lombrichi), molluschi (chiocciole e lumache), isopodi (porcellini di terra), miriapodi
(millepiedi e centopiedi), aracnidi (ragni e pseudoscorpioni) e insetti (formiche, coleotteri, larve di
ditteri e termiti). Infine gli organismi di taglia ancora superiore, o megafauna (diametro superiore a
20 mm), comprendono insetti come il grillotalpa (fig. 4), lombrichi di grandi dimensioni e
mammiferi che vivono e scavano gallerie nel suolo, come i roditori e le talpe.
La loro attività è riconducibile a tre forme di azione: fisica, chimica e biologica.
Azioni fisiche
La macrofauna e la megafauna compiono un intenso rimescolamento degli orizzonti
(bioperturbazione): essi sono in grado di prelevare parti di lettiera e miscelarle con materiale
minerale proveniente da strati più profondi. Anche la mesofauna compie un'attività di
rimescolamento, ma, viste le ridotte dimensione degli individui, la loro azione è modesta e
concentrata negli strati superficiali.
La macrofauna, inoltre, ha un ruolo rilevante nella formazione di gallerie, che contribuiscono
all'aerazione e alla regolazione del regime idrico del suolo, ringiovanendo il suolo e favorendo la
sua evoluzione.
Tutta la pedofauna svolge un'intensa attività di frammentazione della lettiera, che favorisce la
decomposizione della sostanza organica, poiché aumenta la superficie di attacco da parte della
microflora.
Infine gli animali del suolo producono forme di aggregati molto stabili che derivano da escrementi,
dati dal mescolamento di materiale organico e minerale all'interno del tubo digerente, oppure
dall'azione dei molluschi (lumache) che secernono sostanze mucose cementanti.
Azioni chimiche
La pedofauna può in alcuni casi contribuire alla mineralizzazione di alcuni composti organici.
Infatti, ingerendo i residui vegetali, alcune molecole più semplici possono essere decomposte. I
lombrichi, per esempio, sono in grado di produrre escrementi particolarmente ricchi di azoto e
fosforo, mentre altri detritivori possono metabolizzare degli inibitori dell'attività batterica quali i
tannini presenti sulle foglie.
Azioni biologiche
Gli organismi che vivono nel suolo instaurano delle relazioni e le più diffuse sono sicuramente la
predazione e la competizione. La prima, in particolare, ha un ruolo fondamentale nella stimolazione
e nel rinnovo della microflora, in quanto gli animali che si cibano della lettiera, ingeriscono parte
dei microrganismi che, conseguentemente, sono incentivati a proliferare e a rigenerare
continuamente nuovi individui.
La pedofauna, inoltre, ha un ruolo fondamentale nella diffusione della microflora lungo il profilo di
un suolo, poiché sulla superficie degli animali si possono depositare delle spore fungine e delle
cellule batteriche che costituiscono la fonte di inoculo in ambienti privi o poveri di microrganismi.
Prima di concludere, occorre spendere qualche parola in più sui lombrichi (fig. 5), che sono
sicuramente gli animali della pedofauna presenti in maggiore quantità nelle regioni temperate e nei
prati.
La loro presenza è indicata dai turriculi (termine specifico utilizzato per indicare gli escrementi di
lombrico) la cui produzione varia da 40 a 250 t/ha anno nelle nostre zone. Inoltre, sono in grado di
fare molte gallerie e si stima che possano scavare da 400 a 500 m di cunicoli sotto un 1 m2 di prato.
Tutte queste attività nelle aree coltivate favoriscono la porosità, l'infiltrazione dell'acqua, la
penetrazione delle radici e la formazione di aggregati stabili.
Nel suolo si distinguono tre categorie ecologiche di lombrichi che esplorano differenti porzioni di
suolo. Nello strato superficiale si possono trovare gli "epigei" che sono di piccole dimensioni,
compiono spostamenti prevalentemente orizzontali e sminuzzano la lettiera. Più in profondità, e
possibile rinvenire i lombrichi "verticali", di grossa taglia, scavano gallerie e si spostano soprattutto
in senso verticale. Essi si nutrono del materiale che si trova in superficie e lo trasportano in
profondità, compiendo così un'intensa attività di bioperturbazione. Infine esistono i lombrichi
"ipogei" che vivono sempre in profondità, si muovono orizzontalmente e si nutrono di terra e radici
morte.
La fertilità di un suolo è spesso intesa da un punto di vista chimico, ovvero la capacità del terreno di
fornire elementi nutritivi alle piante provenienti, generalmente, dalla mineralizzazione dell'humus.
Alla luce delle informazioni fornite, risulta evidente che l'attività di detritivori e decompositori è
alla base della formazione dell'humus e pertanto rivestono un ruolo fondamentale nella
conservazione della fertilità dei suoli.
Compost
Compostaggio domestico tramite compostiera
Il compost, detto anche terricciato o composta, è il risultato della decomposizione e
dell'umificazione di un misto di materie organiche (come ad esempio residui di potatura, scarti di
cucina, letame, liquame o i rifiuti del giardinaggio come foglie ed erba sfalciata) da parte di macro
e microrganismi in condizioni particolari: presenza di ossigeno ed equilibrio tra gli elementi
chimici della materia coinvolta nella trasformazione.
Il compostaggio, o biostabilizzazione, tecnicamente è un processo biologico aerobico e controllato
dall'uomo che porta alla produzione di una miscela di sostanze umificate (il compost) a partire da
residui vegetali sia verdi che legnosi o anche animali mediante l'azione di batteri e funghi.
Il compost può essere utilizzato come fertilizzante su prati o prima dell'aratura.
Il suo utilizzo, con l'apporto di sostanza organica migliora la struttura del suolo e
la biodisponibilità di elementi nutritivi (composti del fosforo e dell'azoto). Come attivatore
biologico aumenta inoltre la biodiversità della microflora nel suolo.
Realizzazione del compostaggio
Per avere un buon compost, bisogna ricordarsi che sono gli organismi decompositori del suolo a
produrlo. Essi, per vivere, hanno bisogno di tre parametri:
nutrienti equilibrati composti da un misto di materie carboniose (brune-dure-secche) e di
materie azotate (verdi-molli-umide)
umidità che proviene dalle materie azotate (umide) ed eventualmente dall'acqua piovana o
apportata manualmente
aria che si infiltra attraverso la porosità prodotta dalla presenza delle sostanze carboniose
strutturanti (dure)
Cumulo all'inizio del processo di compostaggio
I residui organici compostabili sono:
rifiuti azotati: scarti vegetali, di giardino (tagli di siepi, erba del prato...), foglie verdi, rifiuti
domestici (frazione umida), limitando i residui di origine animale e mischiandoli bene a quelli
di origine vegetale. È così possibile diminuire del 30-40 % la quantità di spazzatura; inoltre
molti comuni italiani prevedono una riduzione della tassa sui rifiuti per coloro che dimostrano di
praticare il compostaggio;
rifiuti carboniosi: rami derivanti dalla potatura (meglio se sminuzzati con un biotrituratore,
altrimenti risulteranno poco aggredibili da parte dei microrganismi), foglie secche, paglia (si
terranno da parte accuratamente queste materie e le si mischierà man mano ai rifiuti azotati che
si produrranno di giorno in giorno);
fondi di caffè, filtri di tè, gusci di uova, gusci di noci;
lettiere biodegradabili di animali erbivori;
carta, evitando quella stampata (anche se oggigiorno i giornali non contengono più sostanze
tossiche) e, soprattutto, quella patinata.
pezzi di cartone (fungono anche da rifugio ai lombrichi);
pezzi di tessuti 100% naturali (lana, cotone), ecc.
2 o 3 volte all'anno bisogna rigirare il materiale per riattivare il processo di compostaggio.
È fondamentale mantenere il giusto grado d'umidità del materiale, altrimenti il processo sarà
rallentato se è troppo secco o troppo umido, inoltre in quest'ultimo caso avverranno putrefazioni
indesiderate (processo anaerobico). Per asciugare un cumulo troppo umido si attua un rivoltamento
del materiale, per inumidirlo si versa dell'acqua (con la canna da giardino o con un innaffiatoio). Il
tempo di maturazione del compost è variabile a seconda delle condizioni climatiche e del tipo di
prodotto che si vuole ottenere.
Un compost di qualità mediocre non può essere facilmente utilizzato. Può provocare
sgradevoli odori ed essere causa di sovracosti importanti. È dunque indispensabile che il processo di
compostaggio sia bene rispettato e seguito.
Il compost possiede peso specifico di circa 350-400 kg/m3.[1]
Il compost come fertilizzante
Una porzione di compost
Elemento
Titolo
Azoto (N)
0,8 - 2,4
Fosforo (P2O5)
0,3 - 2,1
Potassio (K2O)
0,4 - 1,4
Calcio (CaO)
5 - 15
Magnesio (MgO) 0,8 - 2,2
L'utilizzo del compost come fertilizzante è alla base di alcune delle tecniche agronomiche definite
"sostenibili", quali ad esempio lapermacultura, l'agricoltura naturale, l'agricoltura biologica e
l'agricoltura biodinamica.
Il trattamento del suolo con il compost è comunque diffuso trasversalmente in tutte le tecniche
culturali poiché l'aggiunta di sostanza organica migliora le caratteristiche pedologiche del suolo
stesso.
Compostaggio industriale
Su base industriale il compostaggio viene utilizzato per la trasformazione in compost di scarti
organici, come ad esempio la cosiddetta frazione umida dei rifiuti solidi urbani.
Il compostaggio industriale permette un controllo ottimale delle condizioni di processo
(umidità, ossigenazione, temperatura, ecc.) e la presenza di eventuali inquinanti nella materia prima
(ad esempio residui di metalli pesanti e inerti vari) o microrganismi patogeni per l'agricoltura viene
eliminata rispettivamente tramite trattamenti di ulteriore separazione meccanica e trattamenti
biologici.
Altre biomasse compostabili comunemente sfruttate sono rappresentate dai fanghi di depurazione e
dagli scarti della cura e manutenzione delle aree verdi (compost verde).
Dati risalenti al 2004 attestano che il 39% del compost prodotto in Italia deriva dall'umido, il 34%
dal verde, il 17% da fanghi e il restante 10% da altre biomasse. [2]
Il compost di qualità ottenuto dalla raccolta differenziata dell'organico mediante processo
industriale può venire quindi convenientemente sfruttato in agricoltura avvantaggiandosi in tal
modo di un fertilizzante naturale ed evitando il ricorso a concimi chimici a pieno campo.
Anche il florovivaismo, dilettantesco e professionale, si avvale convenientemente di questo
compost.
La commercializzazione dell'ammendante compostato è regolata dal Decreto Legislativo 29 aprile
2006, n. 217. Il compost viene anche comunemente utilizzato per la copertura dellediscariche di
rifiuti e per bonifiche agrarie.
La digestione anaerobica permette anche di ottenere del biogas utilizzabile quale combustibile.
Compostaggio domestico
Compostiera in legno
Il compostaggio domestico è una procedura utilizzata per gestire in proprio la frazione organica
dei rifiuti solidi urbani.
Per praticarlo è sufficiente disporre di un lembo di giardino, preferibilmente soleggiato, in cui
accumulare gli scarti alimentari della cucina e quelli dell'orto/giardino. In alcuni casi viene
utilizzato la compostiera o composter, un contenitore atto a favorire l'ossigenazione e a conservare
il calore durante l'inverno. Esistono compostiere prodotte industrialmente, ma anche autocostruite
con materiale di recupero.
È possibile effettuare il compostaggio anche senza una apposita compostiera, in un cumulo o in una
buca, ma i risultati saranno più lenti e di minore qualità. In pratica, per fare compostaggio con la
buca, ce ne vogliono almeno due: una in uso, e l'altra a riposo, ad esempio per 6 mesi ciascuno.
Quando la prima è piena, la si mette a riposo, si svuota la seconda e la si fa diventare quella attiva.
Una buca di 50 x 50, profonda 40cm può bastare per 6 mesi al ritmo di un secchio da 10 litri alla
settimana di scarti di cucina, più lo sfalcio di un piccolo prato.
Il processo di decomposizione è favorito dall'ossigenazione, quindi un periodico rivoltamento del
materiale ne mantiene un sufficiente livello di porosità. Per vivere e riprodursi, i microorganismi
hanno bisogno anche di una temperatura favorevole, per cui il composter o la buca devono essere
chiusi e sufficientemente isolati dall'ambiente esterno. Il rivoltamento, la pioggia e il freddo
abbattono la temperatura del materiale, e quindi rallentano il processo. In questo senso la buca
funziona meglio del cumulo, in quanto è isolata su 5 lati (oltre che essere più discreta all'occhio).
Quantunque sia possibile introdurre scarti di carne e pesce, in genere l'eccesso è sconsigliato dato
che le proteine animali decomponendosi rilasciano un odore sgradevole e possono attirare ratti od
altri animali indesiderati. Gli scarti di cucina possono essere raccolti nelle buste di mais (Mater-Bi).
Il materiale ottenuto in 3/4 mesi di compostaggio (più tempo in inverno, meno in estate) può essere
usato come fertilizzante per l'orto o il giardino, infatti il terriccio reperibile in commercio è prodotto
con un compostaggio industriale, con rivoltamento meccanico, ma i procedimenti ed i risultati sono
equivalenti.
La diffusione del compostaggio domestico permette di ridurre in modo significativo peso e volume
dei rifiuti solidi urbani che devono essere trasportati e smaltiti. In numerosi comuni italiani il
compostaggio viene pertanto incentivato attraverso uno sconto sulla tassa per lo smaltimento dei
rifiuti solidi urbani ai cittadini che lo praticano; alcuni comuni forniscono anche il composter o ne
rimborsano l'acquisto.