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POLONIA, L’EUROPA SENZA EURO
AGLI AMERICANI
NON SERVIAMO PIÙ
di
Marcin ZABOROWSKI
L’illusione di essere un alleato strategico dell’America, alimentata
dall’ingresso nella Nato, lascia il posto alla delusione. Il flop
dello scudo antimissile. Le gaffe di Obama. Dobbiamo rassegnarci:
è all’Asia che guarda Washington. I limiti della collaborazione.
I
1.
DREAMLINER FERMI ALL’AEROPORTO CHOPIN
di Varsavia sono la miglior metafora degli attuali rapporti polacco-americani. Abbiamo una flotta di meravigliosi aerei moderni, ma il problema è che non possono essere usati perché i meccanici scoprono sempre nuove avarie. Sulla rotta Varsavia-Washington all’apparenza va tutto bene: i rapporti ufficiali non dovrebbero
essere fonte di inquietudine. Tuttavia, uno sguardo più attento rivela una situazione di stallo. L’iter di abolizione dei visti americani per i polacchi si è arenato,
mentre il progetto di costruzione dello scudo antimissile viene rimandato e non si
sa ancora se verrà mai realizzato. Il fatto che Varsavia sia relegata alla periferia
della mappa geopolitica statunitense appare confermato dai numerosi lapsus dei
media americani e del presidente stesso. Basti pensare a quando Obama, consegnando il premio postumo a Jan Karski, usò le parole «campi di morte polacchi»,
suscitando non poca costernazione tra l’élite politica del paese. La ruggine ha ormai intaccato sia il lato pratico sia quello simbolico delle nostre relazioni.
Anche l’opinione pubblica polacca è ormai lontana dal considerare l’America una terra promessa: l’American dream per noi è sfiorito da tempo. Il problema è che tutto ciò riguarda un alleato dal quale dipende in maniera fondamentale la nostra sicurezza. Dopo la caduta del comunismo il legame fra Polonia e
Stati Uniti era forte perché c’era la percezione di avere interessi in comune. Il sistema imposto dall’Urss non sarebbe crollato senza la pressione esercitata da
Washington su Mosca, ma neanche senza Solidarność. Tutto questo è acqua
passata: la Polonia rivestiva un’importanza particolare per l’America soltanto finché quest’ultima vedeva la Russia come un rivale. Oggi non è più così e probabilmente questa circostanza è destinata a durare.
Ancora fino a poco tempo fa qualsiasi governo polacco non comunista definiva i rapporti con gli Stati Uniti come assolutamente prioritari. Tuttavia, la fase
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dell’infatuazione acritica ha iniziato a declinare, lasciando lentamente ma inesorabilmente posto allo scetticismo. Il supporto all’America in Iraq e in Afghanistan
non ci ha portato vantaggi tangibili e pochi in America se ne ricordano, o addirittura ne sono a conoscenza. L’opinione pubblica polacca, blandita dal governo
dell’epoca con promesse di lucrativi contratti in Iraq e con visioni di una partnership polacco-americana, si è sentita delusa quando quei piani ambiziosi sono
naufragati. In più gli americani hanno mantenuto l’obbligo del visto nei confronti
del nuovo «partner strategico». A ciò si è aggiunta la rinuncia al progetto di scudo
antimissile, comunicata con poco tatto al governo polacco e a quello ceco proprio nell’anniversario dell’attacco sovietico alla Polonia. La gaffe di Obama dell’anno scorso sui campi di morte polacchi ha aggiunto al danno la beffa, cristallizzando l’immagine di ignoranza e disinteresse degli Stati Uniti verso l’Europa
centro-orientale.
Gli effetti di questa politica sono palesi. Da uno dei paesi più filoamericani
d’Europa siamo diventati una nazione che in alcune questioni giudica i rapporti
con gli Usa in modo ancor più critico rispetto alla Francia, tradizionalmente circospetta. Ci si chiede dunque quale di queste fasi rispecchi maggiormente l’effettivo stato delle relazioni polacco-americane e quale sia il posto dell’Europa centro-orientale nella politica statunitense.
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2. Come la Casa Bianca vede la nostra regione dipende da come vede il
continente intero. Quest’ultimo è tuttora vicino agli americani e in linea generale
gli Stati Uniti sono consapevoli del fatto che l’Europa è il loro più credibile e fedele alleato. Tuttavia è inutile illudersi: nell’ultimo decennio l’importanza del Vecchio Continente è diminuita agli occhi dell’America. Questo è in parte l’effetto
collaterale dei cambiamenti demografici avvenuti negli Stati Uniti, dove è decisamente aumentata la popolazione di origine latinoamericana e asiatica, mentre si
stanno estinguendo i discendenti degli europei. Ma principalmente è il risultato
del mutato equilibrio di forze a livello mondiale e della comparsa di nuove minacce per gli Usa. È per questo che gli americani hanno rivolto la propria geopolitica verso l’Asia, chiudendo le basi in Europa e aprendone di nuove nella regione del Pacifico e modificando le loro priorità diplomatiche. Gli Stati Uniti ritengono che le principali minacce alla loro sicurezza provengano dalla Corea del
Nord, dalla Cina e (a seconda di come procederà il negoziato sul nucleare) dall’Iran. Non più dalla Russia. A rafforzare tale convinzione c’è l’aumento del peso
economico di Pechino, ma anche dell’India e del Brasile, cui fa riscontro un calo
dell’importanza economica dell’Europa.
In circostanze simili, all’Europa centro-orientale risulta difficile affermarsi sull’arena internazionale. I leader dell’Europa centrale sottolineano incessantemente
il bisogno di concentrarsi sulla Russia e il tradizionale ruolo difensivo della Nato:
una visione non facile da conciliare con quella, predominante a Washington, dell’Alleanza Atlantica come organizzazione deputata a combattere attivamente le
minacce globali. In passato queste divergenze hanno già causato frustrazioni da
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ambo le parti. Se non verranno composte, il processo di allontanamento tra
America e Polonia continuerà, aumentando l’irritazione degli americani e lo
sconforto dei polacchi.
Se le basi del peculiare rapporto polacco-americano risultano profondamente minate, le aspettative di Varsavia nei confronti di Washington sono rimaste
praticamente le stesse. Ciò genera tensioni che da un lato fanno scemare l’entusiasmo dei polacchi nei confronti dell’America, mentre dall’altro allontanano gli
Stati Uniti dalla Polonia. La divergenza tra realtà e aspettative rappresenta forse il
problema principale. Il fatto che i rapporti polacco-americani non rivestano un
significato strategico per Washington non implica però che debbano trasformarsi
in un problema e che non si possano individuare dei princìpi di collaborazione
negli ambiti di mutuo interesse reciproco. Gli alti e bassi sono normali nelle relazioni tra nazioni, ma quando la regressione dura a lungo e riguarda un partner
dal quale la sicurezza della Polonia dipende in maniera fondamentale, abbiamo
seri motivi di apprensione.
3. Affinché le relazioni polacco-americane siano sane bisogna fare un serio
bilancio tra i pro e i contro del nostro ruolo di junior partner. Non siamo un partner alla pari degli Stati Uniti e mai lo saremo. Se siamo capaci di accettare questo
fatto, allora possiamo provare a costruire una nuova e più matura relazione fondata su tre princìpi.
Primo: Europa e Polonia beneficiano ancora di quella protezione americana
grazie alla quale sul Vecchio Continente regna la pace e sono presenti i presupposti dello sviluppo economico. L’Unione Europea esiste grazie agli Stati Uniti:
senza il loro coinvolgimento il processo d’integrazione europea non avrebbe mai
avuto inizio.
Secondo: se desideriamo essere un partner rilevante per gli Stati Uniti dobbiamo tenere a mente che negli alleati gli americani non cercano una claque,
bensì soci autosufficienti in grado di provvedere alla propria indipendenza. Non
a caso, in Europa e nel Vicino Oriente i paesi che occupano una posizione di rilievo nella politica estera americana sono la Francia, la Turchia e Israele.
Terzo: dato il nostro potenziale, dobbiamo ammettere che non siamo e non
saremo mai un partner strategico per gli Stati Uniti e dunque non possiamo pretendere di essere trattati come tale. Del resto, anche i rapporti con gli effettivi
partner strategici degli Usa (Israele, Giappone e Regno Unito) risultano spesso
problematici e certamente sbilanciati. Dobbiamo dunque formulare le nostre
aspettative in maniera realistica: non aspettiamoci una partnership, ma piuttosto
una collaborazione in ambiti specifici. Gli Stati Uniti hanno bisogno di noi in Europa centrale e orientale quanto noi di loro. Qui potremmo fare molto insieme,
se solo Washington rivolgesse seriamente lo sguardo verso questa regione (cosa
che attualmente non sta facendo). Le aziende americane sono interessate a investire in Polonia: non già allo scopo di promuovere una «collaborazione strategica», ma semplicemente per guadagnarci. Non dobbiamo aspettarci trattamenti di
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favore, ma nemmeno dobbiamo lasciarci prendere in giro dagli americani quando ci assicurano che per loro siamo «estremamente importanti».
Il primo quarto di secolo dei rapporti tra la Polonia libera e gli Stati Uniti è
trascorso sotto il segno di un accordo strategico: facciamo parte della Nato e siamo uno dei pochi paesi europei in cui gli Usa mantengono una modesta ma visibile presenza militare. Tuttavia, per motivi che non dipendono da noi, l’importanza della nostra regione (e in genere dell’Europa) per l’America sta scemando
e ne subiamo le conseguenze. Per questo è giunto il tempo di ridefinire le nostre
ambizioni. La relazione con Washington non sarà strategica, ciò nondimeno può
essere buona e conveniente per entrambe le parti. Non ci illudiamo: come i
Dreamliner, che se anche funzionassero non salveranno la Lot dalla crisi, così i
buoni rapporti con Washington non faranno della Polonia un partner strategico
dell’America. Anche per questo, finché non impareremo a valutare le nostre forze, continueremo a provare un senso di delusione.
(traduzione di Marco Valenti)
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