Metodo scientifico e analisi fenomenologica dell`esperienza1

annuncio pubblicitario
Metodo scientifico e analisi fenomenologica dell’esperienza 1
Vittorio De Palma
L’esperienza è la fonte della verificazione
e della falsificazione, l’esperienza disvela
la parvenza, ossia ciò che va cancellato
dal mondo esistente, e dirime il dubbio se
qualcosa è o non è. L’esperienza è quindi
autoattestazione dell’ente, anche se questa
autoattestazione può in seguito essere disattestata da altre autoattestazioni nuove e
più «forti».
Husserl, Ms. A VII 20/38b.
Cercare di dimostrare cose evidenti mediante cose che non lo sono è proprio di chi non
sa distinguere ciò che è conoscibile per sé e
ciò che non lo è.
Aristotele, Physica, II, 1, 193a 4-7.
1. L’interpretazione che Husserl offre di Galileo e della scienza moderna nella
Crisi delle scienze europee ha fatto sì che il fondatore della fenomenologia sia stato
classificato, ad esempio da Paolo Rossi e da Lucio Colletti, come un esponente o
addirittura un pioniere della cosiddetta reazione idealistica e irrazionalistica contro
la scienza. Ora, se è senz’altro vero che nella critica di Husserl alla scienza sono
presenti motivi ideologici, ossia non fondati teoreticamente,2 è altrettanto vero che il
1 Questo lavoro si basa su studi da me compiuti grazie a una borsa di studio conferitami dalla Alexander
von Humboldt Stiftung, che desidero qui ringraziare. Sono grato inoltre ad Andrea Altobrando e a Monica
Tombolato, che hanno letto e commentato una prima versione del testo. I volumi pubblicati nelle serie
Husserliana e Husserliana Materialien sono citati con le sigle «Hua» e «Hua Mat», seguite dal numero
romano del volume e dal numero arabo della pagina. Le traduzioni italiane sono state per lo più seguite.
2 Da un certo momento in poi Husserl sembra considerare il naturalismo pericoloso dal punto di vista
etico prima che sbagliato dal punto di vista teoretico. Nelle lezioni del 1919 egli lo critica appunto in
quanto, «nelle diverse forme del materialismo, del sensismo e del positivismo», ha diffuso «una visione del
mondo che rende impossibile una vita spirituale davvero libera e grande, rivolta ai fini eterni dell’uomo»
(Hua Mat IV, 9). Nel 1927 Husserl recupera l’ideale della «saggezza», contro cui aveva polemizzato in
Filosofia come scienza rigorosa: la razionalità astratta delle scienze, lungi dall’essere quella comprensibilità
ultima che è necessaria dal punto di vista esistenziale, rende il mondo privo di senso dal punto di vista
etico-religioso (Hua XXXII, 239-40). Nelle conferenze tenute a Praga e a Vienna nel 1935 la «fonte di tutti i
mali attuali» viene identificata con la «concezione psicofisica del mondo», che pensa lo spirito secondo il
modello naturalistico del corpo reale (Hua VI, 342) e la perdita di senso delle scienze viene ricondotta al
fatto che esse escludono i «problemi metafisici», che sono «vitali», in quanto riguardano il «senso assoluto,
eternamente valido della nostra esistenza e del mondo», senza il quale non possiamo vivere (ivi, 4; Hua
XXIX, 104 ss.). Quest’impostazione produce paradossalmente una sorta di nemesi dello psicologismo: le
conferenze di Praga si concludono inneggiando al detto di Protagora «l’uomo è misura di tutte le cose»
(Hua XXIX, 139), che nel § 34 dei Prolegomeni a una logica pura veniva criticato come massima del relativismo,
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
ISSN 2281-9177
2
Vittorio De Palma
suo nucleo teoretico è del tutto indipendente da tali motivi e non può essere liquidato
appellandosi al successo della scienza: questa reazione rappresenta infatti una forma
di irrazionalismo e dogmatismo oscurantista.
In questo lavoro tenterò di ricostruire il nucleo teoretico e le implicazioni della
critica fenomenologica della scienza moderna prendendo le mosse dall’interpretazione
husserliana di Galileo. Cercherò di mostrare che si tratta di una critica empiristica,3 la
quale respinge la visione scientifica del mondo in quanto rifiuta di considerare reali le
entità teoriche, ossia non sensibili, ma cerca nel contempo di reperire nel sensibile il
fondamento delle costruzioni teoriche. Sulla base di quest’impostazione, e tenendo
conto anche del dibattito epistemologico contemporaneo, prenderò in esame la pretesa
delle teorie scientifiche di fornire una descrizione fedele della realtà. Ciò che è in gioco
sono i concetti di oggettività e di realtà, nonché il compito della filosofia.
Galileo è per Husserl il simbolo della concezione scientifica moderna in quanto è il
primo a compiere la matematizzazione della natura. La scienza moderna matematizza
la natura, senza tuttavia tematizzare il presupposto di quest’operazione, ossia il terreno
da cui l’idealizzazione matematica sorge e trae legittimità: il mondo dell’esperienza.
Non si tratta affatto di contrapporre scienza e vita per rivalutare la soggettività contro
l’oggettivismo scientifico. Si tratta invece di ritornare all’autentica oggettività che è
stata rimossa dal pragmatismo della scienza moderna, il quale identifica ciò che è
vero con ciò che funziona e ha successo. L’oggettivismo scientifico non è altro che
un soggettivismo mascherato. Esso infatti considera oggettivo ciò che è una mera
costruzione soggettiva (le teorie con le loro entità teoriche) e soggettivo ciò che è
dato oggettivamente prima di ogni intervento del soggetto (le datità sensibili con le
loro strutture). Mentre la scienza moderna è intrinsecamente idealistica (in quanto
spaccia per reali entità ideali) e si muove in continuità con la metafisica esplicativa,
la fenomenologia nega la portata ontologica di ogni spiegazione di ciò che è dato
mediante ciò che per principio non può esserlo, e nega quindi la realtà di ogni entità
teorico-esplicativa.
L’amore idealistico per le costruzioni teoriche del soggetto e il disprezzo per ciò
che è dato oggettivamente prima di ogni teoria sono caratteristiche di una certa
impostazione filosofica, che non sorge con la scienza moderna, ma che quest’ultima ha
alimentato enormemente attraverso il suo successo, divenuto misura della verità. In
polemica con posizioni antiempiristiche analoghe a quelle dell’oggettivismo moderno,
sostenute da pensatori platonici, pitagorici ed eleatici, Aristotele dichiarava che «è una
malattia del pensiero pretendere che tutte le cose siano in quiete, e cercare una ragione
di ciò lasciando da parte la sensazione»,4 e stigmatizzava l’atteggiamento di coloro i
quali, «parlando di cose che sono oggetto della nostra diretta esperienza, affermano
cose che con l’esperienza non s’accordano», argomentando che «i principi devono
essere sensibili per ciò che è sensibile», mentre essi, «per amore delle loro dottrine, [. . . ]
accettano qualsiasi conseguenza, nella convinzione che i loro principi siano veraci,
come se alcuni di questi non si dovessero giudicare [. . . ] dal loro esito ultimo. Ma
esito ultimo [. . . ] della scienza naturale è quanto ogni volta viene incontestabilmente
attestato dai sensi».5
e nella Crisi delle scienze europee si sostiene la tesi caratteristica dello psicologismo, alla cui confutazione i
Prolegomeni erano dedicati, ossia che la psicologia è «il campo delle decisioni» (Hua VI, 212, 218). Il recupero
di posizioni psicologistiche da lui precedentemente confutate è il prezzo che Husserl paga all’ideologia
soggettivista da lui appassionatamente sposata.
3 Sul carattere empiristico del pensiero di Husserl, cfr. De Palma (2012a).
4 Aristotele, Phys., VIII 3, 253 a 31-34.
5 Aristotele, De caelo, III 7, 306 a 6-18; cfr. ivi, II 13, 293a 22-26.
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Metodo scientifico e analisi fenomenologica dell’esperienza
3
2. Il realismo scientifico considera vere le teorie che hanno successo e reali le entità
da esse postulate, adottando un concetto pragmatista di verità. La stessa tesi galileiana
che la natura sia scritta in caratteri matematici non è che un’«ipotesi pratica» (Hua
VI, 133-34), la cui verità coincide senza residui con il suo successo. Descartes sostiene
apertamente che il valore della teoria fisica è pratico: non la verità, ma l’utilità. Egli
dice infatti di voler «proporre quanto scriverò in seguito come ipotesi. Anche se si
pensasse che tali cose fossero false, stimerò di aver compiuto opera di sufficiente
valore se tutto quello che ne trarrò si accorderà con le esperienze: in tal caso infatti ne
riceveremo tanta utilità per la vita quanta dalla conoscenza della stessa verità».6
In quanto esplicativa, la scienza moderna «oltrepassa ogni esperienza reale e
possibile considerando le datità dell’esperienza come mere apparizioni di qualcosa di
esatto o di ideale che è inesperibile, ma va costruito sull’esperienza» (Hua XXXII, 195).
Già la geometria antica ha a che fare con ideali esatti che trascendono l’esperienza e
non con figure sensibili. A partire da tipi empirici come punto, linea, cerchio, si coglie
una «gradualità di perfezione» da essi suggerita (più o meno dritto, piano, circolare
ecc.) e si forma l’idea di punto, linea, cerchio puri, rispetto a cui ogni figura sensibile
è una mera approssimazione, benché sia data in una sorta di «intuizione in senso
kantiano». La matrice dell’idealizzazione del continuo matematico è l’infinità di spazio
e tempo, e precisamente l’iterabilità e progressione infinita del «sempre di nuovo»
che caratterizza i processi riferiti a essi, così come caratterizza il contare: idealmente
posso avvicinarmi (ovvero raffinare i miei strumenti di osservazione) sempre di più
(Hua XLI, 240; Ms. B I 32/13a-14b). La «forma esatta» è appunto «il limite ideale di
infiniti processi di approssimazione» (Hua XLI, 96). Nell’esperienza non incontriamo
forme geometriche, ma corpi che vi si approssimano, ossia forme tipiche, non ideali.
In quest’approssimazione si delineano tuttavia forme-limite alle quali ogni serie di
progressione tende senza raggiungerle. Con tali forme si può operare senza rieffettuare
la formazione di senso da cui scaturiscono, proprio come avviene nel caso degli oggetti
culturali. La prassi matematica permette così di raggiungere l’esattezza: le forme
ideali sono determinabili come sostrati identici di proprietà identiche e a loro volta
determinabili. Da alcune di esse si possono costruire sistematicamente tutte le altre
forme possibili.
Galileo assume la geometria come scienza che permette di determinare in modo
esatto i corpi e le loro relazioni, ossia di «superare il relativismo delle percezioni
sensibili sustruendo una verità o un mondo ideale come mondo vero in sé che è
alla base di ogni relatività sensibile» (Hua XXXII, 196). La matematica considera i
corpi solo astrattamente, considera cioè solo le forme astratte, mentre in concreto
le forme empiriche sono date come forme di una materia, di un plenum sensibile
di qualità. La matematizzazione trasforma il mondo sensibile e relativo al soggetto
sensibile in un mondo obiettivo e permette una conoscenza del mondo intuitivo (che
si approssima alle entità ideali) attraverso l’applicazione della geometria alla realtà.
I plena materiali non possono essere matematizzati direttamente. Esiste infatti una
geometria delle forme, non una geometria dei plena.7 Ma le qualità sensibili, pur non
essendo idealizzabili come le forme spazio-temporali, sono comunque legate a queste
ultime. Dal punto di vista della fisica, ciò che esperiamo come suoni, colori ecc. è
costituito da vibrazioni sonore, onde, energia calorica, ossia da eventi del puro regno
6
Descartes, Principia philosophiae, III, § 44.
Alla possibilità di una geometria non delle forme ma dei contenuti e ai motivi pratici per cui essa non è
stata elaborata Husserl accenna in Hua XXIV, 412 ss. e Hua XX/2, 339 ss. Di una geometria dei colori e dei
suoni parlano anche Reinach e Scheler, sottolineando che anche nel mondo delle qualità secondarie sussiste
una legalità a priori.
7
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Vittorio De Palma
4
delle forme. Galileo ipotizza che tutto quanto si manifesta sensibilmente abbia il suo
indice matematico nella sfera delle forme. Diviene così possibile la determinazione
obiettiva dei plena, ossia la co-idealizzazione delle qualità sensibili. Vi sono formule che
esprimono nessi causali generali e leggi di dipendenza reale sotto forma di dipendenze
numeriche e la cui applicazione permette l’obiettivazione dei casi singoli sussunti
sotto di esse. Ciò rende possibile compiere previsioni riguardo al mondo empirico.
La struttura spazio-temporale è il contenuto identico delle determinazioni attraverso
tutte le differenze dei modi di apparizione soggettivi. La qualità è invece mutevole
e relativa al soggetto, perciò ha significato oggettivo solo in quanto «indice di un
elemento matematico», ossia in quanto viene ricondotta a quantità. L’idealizzazione
si riferisce alle sole qualità primarie e presuppone la possibilità di determinare le
qualità secondarie indicizzandole attraverso quelle primarie. «Per poter parlare
dello stesso, laddove ogni senso può “fallire” e ogni qualità è relativa al soggetto, le
qualità schematiche vuote (le qualità primarie) devono essere intersoggettivamente
identificabili» (ivi, 75). Perciò sono oggettive, ossia coglibili e determinabili allo stesso
modo per ognuno, solo le qualità primarie, mentre quelle secondarie lo divengono in
quanto annunciano le primarie e sono coordinate a esse.
La dottrina del carattere soggettivo delle qualità sensibili conduce alla concezione
del mondo dell’esperienza come un fenomeno meramente soggettivo, che annuncia
però l’«in sé» del mondo esatto. Mentre le qualità primarie appartengono all’oggetto,
quelle secondarie esistono solo nel soggetto, sono solo sensazioni prodotte in noi
dall’azione del reale. «La natura è “nel suo vero essere in sé” matematica» (Hua VI,
54). Il mondo sensibile è quindi un indice distorto del mondo reale: la sensibilità
rappresenta una sorta di filtro che si interpone tra il soggetto e la realtà in sé.
Si compie così «una sostituzione del mondo matematicamente sustruito delle
idealità all’unico mondo reale, al mondo che si dà realmente nella percezione, al
mondo esperito ed esperibile – al nostro mondo quotidiano della vita» (ivi, 49). Galileo
non si chiede come e in virtù di quali operazioni sia possibile una scienza matematica
della natura. Così l’ovvietà del fatto che nel mondo non troviamo idealità geometriche
è stata occultata. L’abito ideale o simbolico delle teorie scientifiche riveste il mondo
della vita, facendo sì che venga scambiato per il vero essere ciò che è soltanto un
metodo (ivi, 52). Non tematizzando i presupposti delle sue operazioni e il senso dei loro
risultati, la scienza somiglia sempre più a una macchina che ognuno può imparare a
usare senza comprenderne il funzionamento:
Quanto più cresce l’edificio della scienza, quanto più ricca si fa la sua «metodica»,
tanto più il lavoro principale passa nella sfera del pensiero simbolico; i concetti, che
originariamente erano orientati sulla base dell’intuizione, vengono usati in modo
puramente simbolico, come strumenti di calcolo con cui si può benissimo operare
senza più ritornare all’intuizione, tutto ciò nello stile di un metodo compiutamente
elaborato e sostanzialmente simbolico (Hua V, 95).
Nella misura in cui dunque i procedimenti simbolici presuppongono «il valore
conoscitivo del simbolo senza averne alcuna evidenza», le scienze diventano «fabbriche
di proposizioni preziose e praticamente utili, in cui si può lavorare come operai o tecnici
scopritori, a cui, in veste pratica, si può attingere anche senza un’intima comprensione,
cogliendone, nel migliore dei casi, semplicemente la razionalità tecnica» (ivi), e la
conoscenza si trasforma così in
una serie di industriose scoperte del pensiero mirante a industriose prestazioni
nella prassi del dominio della natura e degli uomini. [. . . ] I progressi della scienza
non hanno arricchito il nostro patrimonio di cognizioni evidenti. Questi progressi
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Metodo scientifico e analisi fenomenologica dell’esperienza
5
non hanno reso il mondo più comprensibile, lo hanno reso semplicemente più utile
(ivi, 95-96).
Poiché dunque «soltanto le “evidenze” sono valori autonomi, [. . . ] l’intuizionismo
ha pienamente ragione a reagire all’unilaterale dedizione dell’umanità all’elaborazione
delle scienze come tecniche di pensiero» (ivi, 96).
3. L’oggettivismo moderno sostiene che «la sensibilità, cioè il mondo prescientifico
dell’esperienza non è veramente esistente», e quindi che «l’esperienza in cui esso si
offre e il pensiero che lo determina predicativamente nei modi prescientifici di verifica
non sono una conoscenza autentica» (Hua VI, 397). Riprendendo la sua critica alla
degradazione platonica, cristiana e razionalistica della sensibilità (Hua Mat III, 170),
Husserl rovescia questa concezione. Egli considera infatti il mondo dell’esperienza
sensibile come oggettivo e il mondo esatto prodotto dalle teorie esplicative come una
costruzione soggettiva. Non bisogna scambiare le entità teoriche postulate al fine di
spiegare oggetti e processi fenomenici con la realtà. Bisogna invece «risalire a quel
fondamento di senso che è sempre co-fungente nella scienza, al mondo così come ci
è dato nell’esperienza reale, al “mondo della sensibilità”. Nella vicenda della storia,
questo mondo si presenta in molti stili particolari, ma rimane invariabile nella sua
struttura generale invariabile» (Hua VI, 360-61). Il mondo è «per essenza sempre lo
stesso, oggi e sempre» (ivi, 386), poiché «in tutte le sue relatività ha la sua struttura
generale», che è fondata sulla spazio-temporalità e sulla causalità prescientifiche e
che non è «a sua volta relativa» (ivi, 142). Alla base dei molteplici mondi circostanti,
storico-culturalmente determinati, c’è infatti un unico mondo dell’esperienza che ha
una struttura invariante, e quindi non è affatto relativo a un paradigma scientifico
o culturale, ma rappresenta il presupposto di tutti i possibili paradigmi e della loro
intertraducibilità.8
C’è quindi un livello costitutivo che non può essere messo in discussione dalla
scienza, in quanto viene sempre presupposto da essa. Lo stesso Democrito – che
precorrendo la degradazione della sensibilità considerava le qualità sensibili esistenti
per convenzione, gli atomi e il vuoto per verità, la conoscenza dei sensi opaca e
inattendibile e quella del pensiero pura e attendibile 9 – fa dire alle sensazioni: «O
intelletto sciagurato, trai le tue conferme da noi e poi ci rigetti? Questo rigetto sarà la
tua rovina!».10
La scienza non può avere lo stesso senso d’essere del mondo percepito, in quanto
ne è una determinazione o spiegazione.11 La natura fisica non rappresenta altro che il
correlato della determinazione logico-empirica della natura data sensibilmente (Hua
III, 114-15). L’esperienza non è un punto di partenza casuale di cui ci si può liberare alla
pari della scala, che si può gettar via dopo esserci saliti: essa è ineludibile, in quanto
può essere corretta solo dall’esperienza stessa e funge quindi da fonte ultima della
8 Un’idea analoga è alla base della metafisica descrittiva di Strawson (1978, 10): «Vi è un solido nucleo
centrale del pensiero umano che non ha storia [. . . ]; vi sono categorie e concetti che, nei loro caratteri
fondamentali, non cambiano affatto. Ovviamente non si tratta delle particolarità del pensiero più raffinato.
Si tratta invece dei luoghi comuni del pensiero meno raffinato, che sono però il nucleo indispensabile
dell’equipaggiamento concettuale degli esseri umani più sofisticati».
9 Cfr. Sesto Empirico, Adv. dogm., I, 135 e 138-39 (DK 68 B 9 e B 11). Perciò Sesto accosta Platone e
Democrito: entrambi «hanno considerato vere solo le cose intelligibili; Democrito sulla base del fatto che
nessuna cosa sensibile ha sussistenza, poiché gli atomi sono privi di qualità sensibili; Platone sulla base del
fatto che le cose sensibili divengono e non sono» (ivi, II, 6-7). È poco plausibile che Platone si riferisca a
Democrito quando parla dei materialisti nella gigantomachia del Sofista. Egli infatti attribuisce loro la tesi
che «esiste solo ciò che può essere afferrato e toccato» (Soph., 245 A) e che «ciò che non possono afferrare con
la mano non ha alcuna realtà» (ivi, 247 C). Democrito afferma esattamente il contrario.
10 Galeno, De medic. empir. (DK 68 B 125).
11 Cfr. Merleau-Ponty (1965), p. 17.
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Vittorio De Palma
6
legittimazione della conoscenza. Ogni limitazione della legittimità dell’esperienza
presuppone infatti la legittimità dell’esperienza (Hua XXXV, 475). La percezione
del mondo è «il fondamento di ogni scienza del mondo esterno [. . . ] anche se
quest’ultima finisce col dire che il mondo non è così come appare (Hua XXXVI, 40).
Ogni idealizzazione è riferita al mondo sensibile dato prima di ogni idealizzazione,
nel quale lo scienziato vede i suoi strumenti e sa di vivere con la sua attività e i
suoi pensieri (Hua VI, 123-24). Infatti «la soggettività pratica non ha a che fare con
nessuna altra realtà che quella intuitiva» (Hua XXXII, 197). 12 Anche per lo scienziato la
validità degli oggetti sensibili non funge dunque da «passaggio irrilevante», bensì da
«premessa» e «da fondamento ultimo della validità di ogni verifica oggettiva, da fonte
di evidenza»: «Le misure viste, i trattini ecc. sono utilizzati come realmente esistenti,
e non come illusioni» (Hua VI, 129). Il mondo dell’esperienza sensibile costituisce
pertanto un terreno di «evidenze originarie» e di legittimazione della conoscenza, in
quanto è «realmente esperibile e verificabile intersoggettivamente», mentre il mondo
prodotto dall’idealizzazione è «una sustruzione logico-teoretica, la sustruzione di
qualcosa che per principio non è percepibile ed esperibile», e quindi, «come qualsiasi
costruzione concettuale, trae la sua verità riportandosi a queste evidenze», le quali
hanno quindi uno statuto conoscitivo superiore a quelle scientifiche (ivi, 130-31). Le
«validità prelogiche» del mondo della vita sono in tal senso «fondanti per le verità
logiche, teoretiche» (ivi, 127).
L’oggettività scientifica viene elaborata per superare la relatività sensibile e soggettiva. Ma questo «sedicente superamento» è illusorio e produce paradossi (ivi, 135).
La relatività sensibile è una proprietà ontologica degli oggetti reali e non può essere
superata: per poter leggere i risultati della misurazione scientifica ho bisogno dei
sensi, dev’essermi dato un contenuto percettivo della cui veridicità non dubito (benché
sia relativo ai sensi) e che interpreto in un certo modo. La percezione rimane quindi
l’ultima corte di appello.
Il mondo dell’esperienza è il terreno ineludibile da cui ogni costruzione concettuale
prende le mosse (in quanto è il suo fondamento strutturale) e a cui ogni costruzione
concettuale ritorna (in quanto è il terreno della sua verifica e applicazione). E ciò 1)
perché in senso proprio non c’è altro mondo che quello sensibile e 2) perché il mondo
sensibile ha una struttura intrinseca prima e indipendentemente da ogni operazione
intellettuale. Quanto al primo punto, Husserl scrive:
Ciò che le cose sono, le cose su cui soltanto possiamo compiere enunciati, sul cui
essere o non-essere, essere-così o essere-diversamente soltanto possiamo disputare
e deciderci razionalmente, lo sono in quanto cose dell’esperienza. È questa soltanto
che prescrive a esse il loro senso, e precisamente, poiché si tratta di cose fattuali,
l’esperienza attuale nei suoi nessi di esperienza ordinati in modo determinato (Hua
III, 100).
La cosa di cui parla la fisica è dunque la cosa data sensibilmente:
questa e nessun’altra diventa il soggetto dei predicati della fisica, quali il peso,
la massa, la temperatura, la resistenza elettrica ecc. Allo stesso modo, sono
gli accadimenti e le connessioni percepite che vengono determinate mediante
concetti come forza, accelerazione, energia, atomo, ione. La cosa che si manifesta
sensibilmente, dotata di figura sensibile, colore, odore, sapore, non è dunque affatto
un segno per qualcosa d’altro, ma in certo modo segno per se stessa (ivi, 113).
Quanto al secondo punto, l’esperienza non fornisce alla scienza un mero punto
di partenza, ma una struttura oggettiva senza la quale non sarebbe possibile alcuna
12 Unicamente in questo senso va inteso il «rientrare» (einrücken) o «confluire» (einströmen) delle scienze e
di tutti i prodotti dell’attività teoretica nel mondo della vita (Hua VI, 133, 141 n. 1).
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Metodo scientifico e analisi fenomenologica dell’esperienza
7
idealizzazione e determinazione esatta della natura. Se il mondo non fosse già
organizzato secondo una legalità intrinseca prima e indipendentemente da ogni
teoria, nessuna teoria potrebbe sorgere e andare al di là dell’esperienza. La struttura
dell’esperienza rappresenta il presupposto strutturale, e non solo genetico della scienza.
La prassi della vita legata alla normalità intersoggettiva fornisce infatti alla fisica un
«mondo sensibile, che si mantiene obiettivo, familiare a tutti (che supera almeno alcune
relatività)», su cui la fisica può erigere la costruzione teorica di un mondo vero che si
presenta in quello sensibile (Hua XXXII, 223). L’esperienza si presta all’idealizzazione,
in quanto ha una struttura morfologica, anche se l’esplicitazione dello stile formale
dell’esperienza produce una ristrutturazione di quest’ultima, conferendole nuovi
momenti formali: «l’esperienza, per poter divenire conoscenza esatta, ha bisogno
di un trattamento idealizzante, che non le viene imposto arbitrariamente, ma che
essa stessa suggerisce, come pure a suo modo contiene motivi che spingono allo
scopo di un’esattezza scientifico-naturale» (ivi, 73-74). L’idealizzazione è motivata in
ultima analisi dalla legalità prescientifica (sensibile) dell’esperienza, cioè dal fatto che
il mondo sensibile ha in sé tendenze all’idealizzazione ed è quindi anticipazione di un
mondo esatto. Prima e indipendentemente dall’interpretazione scientifica, gli oggetti
che si danno nell’esperienza hanno infatti una forma spaziale, una durata temporale e
una causalità, cioè uno stile o regolarità di comportamento a seconda delle circostanze,
e si organizzano in regioni oggettuali a seconda della loro peculiarità contenutistica. Il
mondo ha pertanto una struttura complessiva diversa da quella indagata dalle scienze
esatte (Hua XLI, 262). Oltre all’a priori matematico c’è infatti un a priori morfologico,
che si fonda su categorie materiali e non formali (ivi, 316 ss.). Esso viene enucleato
da una scienza morfologica, ossia da una «scienza a priori della forma eidetica di un
mondo in generale, e quindi di tutte le forme particolari incluse in essa e richieste da
essa», ossia spazio, tempo e causalità (ivi, 262). Questa scienza, che Husserl chiama
«estetica trascendentale» o «ontologia del mondo della vita», rappresenta l’autentica
filosofia prima, poiché esplicita i presupposti ultimi di ogni teoria, ossia – come egli
scrive nella lettera a Lévy-Bruhl dell’11.3.1935 – «la grammatica elementare della
formazione di ‘oggetti’ come unità valide».
È la legalità morfologica del mondo dell’esperienza che rende possibile l’idealizzazione,
e quindi le strutture esatte della scienza esplicativa. Infatti, affinché la sua conoscenza
scientifica sia possibile, il mondo dell’esperienza dev’essere in grado per così dire
di sostenere il pensiero scientifico, dev’essere cioè in se stesso determinabile in modo
logico-obiettivo: se l’esperienza sensibile non avesse una struttura oggettiva e quindi
non fosse dato un mondo stabile e oggettivo già attraverso di essa, non sarebbe
possibile alcuna scienza del mondo, poiché quest’ultima non avrebbe un terreno per
le sue oggettivazioni di grado superiore (Hua XXXII, 97, 100-01, 116, 142; Hua IX, 56).
L’esperienza sensibile consente dunque l’applicazione della logica e della matematica
(Hua VII, 394) e costituisce «un terreno per una possibile scienza» (Ms. B I 13/58-59)
solo nella misura in cui nelle sue datità è già presente una «razionalità» (Hua Mat IX,
439), la quale non viene tuttavia mai tematizzata dalla scienza.
Del resto la scienza (come ogni altra forma di cultura) non modifica il mondo
dell’esperienza nella sua struttura (Hua VI, 51), e quindi il modo in cui percepiamo i
fenomeni, ma solo il modo in cui li pensiamo e li spieghiamo.
La rivoluzione di Einstein investe le formule della fisica idealizzata. Ma non ci dice
nulla sul modo in cui le formule e l’obiettivazione matematica assumono un senso
sullo sfondo del mondo circostante intuitivo; perciò Einstein non riforma lo spazio
e il tempo entro cui si svolge la nostra vita (ivi, 343).
Ma anche gli esperimenti di Einstein presuppongono la fiducia nei sensi, altrimenti
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Vittorio De Palma
8
non si potrebbe dire ad es. che l’orologio posto sull’aereo e quello rimasto a terra
segnano tempi diversi. Anche se il mondo circostante si modifica a seconda delle
convinzioni scientifiche e culturali, il mondo dell’esperienza rimane lo stesso. Esso
costituisce l’explanandum invariante della scienza. La distinzione tra oggetti osservabili
(reali, ossia sensibili) e oggetti teorici (ideali, ossia prodotti dalle operazioni intellettuali)
non è affatto relativa alla teoria o al linguaggio, poiché nell’esperienza sensibile non si
danno entità teoriche, ma contenuti e nessi fenomenici, e viene presupposta anche da
chi la nega. Se infatti non fosse possibile distinguere i fenomeni sensibili dalle teorie
che li spiegano, non sarebbe possibile neanche affermare che una teoria spiega meglio
gli stessi fenomeni o che spiega più fenomeni di un’altra, e quindi è «migliore» di
un’altra. Lo scopo di ogni scienza è spiegare, prevedere e comprendere il mondo
sensibile, che è l’unico realmente esperibile, in quanto solo a partire da esso una
verità o un concetto scientifico è accessibile e verificabile. La scienza esatta non può
quindi fare a meno della verità relativa delle scienze intuitive e non indaga affatto
un mondo sovraintuitivo: ogni constatazione esatta o ideale rimanda alle intuizioni
che rientrano sotto l’idea (Hua XXXII, 197) e i concetti teorici «hanno un senso che si
riferisce all’esperienza» (ivi, 223). Così, quando il fisico legge una formula esatta, sa
subito come si presenteranno i relativi fatti fisici dal punto di vista sensibile-intuitivo
e il tecnico può usare i risultati della fisica matematica per dare forma appropriata al
mondo circostante in cui viviamo (ivi, 197). L’oggetto fisico non è quindi una cosa
sconosciuta che sta dietro le cose esperite e relative al soggetto, ma un sostrato costruito
teoricamente di predicazioni irrelative: ognuno, nella sua situazione soggettiva e
sulla base del mondo circostante attualmente esperito, può ottenere – attraverso il
metodo formalmente uguale e quindi attuabile nello stesso modo da ognuno – la stessa
determinazione per ogni cosa esperita, e, viceversa, ognuno può sapere, leggendo la
formula, cosa può esperire nella sua situazione (ivi, 202-03).
4. La distinzione tra mondo della fisica e mondo dell’esperienza non coincide
affatto con quella tra verità e parvenza sensibile all’interno della vita e la realtà
prescientifica non è una parvenza che si rivela tale nella scienza. La scienza non
considera gli oggetti sensibili come parvenze, bensì come fenomeni relativi al soggetto,
e li determina attraverso concetti non sensibili in modo da renderli indipendenti da
tale relatività soggettiva. Essa definisce parvenza le concezioni sensibili solo in certi
casi, in cui anche la vita naturale distingue realtà e parvenza. Così il movimento
del sole nel cielo è una parvenza alla stessa stregua del movimento del paesaggio
dal veicolo in viaggio: non notiamo che ci muoviamo insieme alla terra. Benché la
consapevolezza di ciò sia dovuta alla scienza, non bisogna per questo contrapporre
scienza ed esperienza.
La rettifica della parvenza del movimento del sole non produce ancora una
conoscenza fisica di terra e sole e una conoscenza fisica dei loro movimenti; essa si
limita a rettificare ciò che vale per i fenomeni stessi, mentre la fisica riguarda in
un nuovo senso il vero in sé, che si può trarre conoscitivamente dai fenomeni in
generale solo attraverso la teoria (ivi, 73).
Terra e sole sono oggetti definiti da concetti empirici, gli oggetti della fisica da
concetti esatti, ideali, non-sensibili, che sorgono dall’idealizzazione e designano
qualcosa che per principio non può essere intuito.
La contrapposizione del mondo prodotto dalle teorie scientifiche come mondo
vero al mondo dato nell’esperienza sensibile come mondo meramente apparente,
ossia come «immagine» del primo, conduce al raddoppiamento degli oggetti in reali
e fenomenici. L’unico modo di evitare questo raddoppiamento è considerare reali
solo gli oggetti fenomenici. Del resto, se il mondo dell’esperienza sensibile fosse
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Metodo scientifico e analisi fenomenologica dell’esperienza
9
un’illusione soggettiva, lo sarebbe anche il mondo scientifico che lo presuppone.
Infatti, per verificare le teorie scientifiche bisogna ricorrere alla percezione dei relativi
fenomeni, e quindi alle qualità secondarie, che secondo la scienza non esistono.
Spiegare i fenomeni con entità non fenomeniche porta inoltre a un regresso infinito,
poiché bisogna spiegare a loro volta le entità non fenomeniche. Come Hume osserva
nei Dialoghi sull’esperienza naturale, oltrepassare il mondo materiale significa sollecitare
una ricerca capricciosa che non è possibile soddisfare. Se il mondo materiale si
fonda su un mondo ideale, quest’ultimo deve fondarsi su un altro mondo e così via
all’infinito. Perciò non si deve guardare mai al di là del presente mondo materiale.
Supponendo che contenga in sé il principio del suo ordine, noi affermiamo che
esso è Dio.
In questo argomento empiristico, non certo nelle costruzioni idealistiche di
Democrito e della scienza moderna, si esprime l’essenza del materialismo. 13
Sostenere che le entità teoretiche siano il fondamento ontologico degli oggetti
sensibili significa compiere un’inversione del rapporto tra teoria ed esperienza e
ricondurre qualcosa che è evidente a qualcosa che non lo è affatto. Ciò che viene
postulato, cioè le entità teoriche (inesperibili) che servono a spiegare e prevedere i
fenomeni sensibili, non può assolutamente possedere una certezza epistemologica e
uno statuto ontologico superiori a quelli di ciò a partire da cui viene postulato, cioè dei
fenomeni sensibili (esperibili). Le entità teoriche servono di volta in volta (a seconda
della teoria) a spiegare e prevedere i fenomeni sensibili invarianti (indipendenti dalla
teoria), ossia ciò che è reale, e quindi non possono essere a loro volta reali. Mentre
una teoria scientifica può sempre rivelarsi falsa, le leggi eidetiche che descrivono la
struttura a priori del mondo sensibile non lo possono. Colori inestesi o movimenti
senza velocità non c’erano né ai tempi di Aristotele né a quelli di Newton e non ci
saranno mai. Che questi nessi abbiano una validità solo soggettiva può essere sostenuto
solo se si presuppone, di nuovo, che reali e oggettive non siano le datità sensibili
che si incontrano nell’esperienza, ma le costruzioni teoriche che le contraddicono
presupponendo nel contempo la loro validità. Il che è assurdo. 14
La verità scientifica non è una mera «costruzione teorica», in quanto una teoria
può costruire solo ciò che può essere colto con evidenza e legittimato (Hua XXXII,
222), ma la spiegazione è «un metodo che travalica l’ambito descrittivo, realizzabile
mediante intuizione realmente esperiente» (Hua VI, 226-27). Sussiste perciò una
sottodeterminazione dell’esperienza rispetto alla spiegazione. Come dello spazio
sensibile sono possibili più idealizzazioni,15 così del mondo sensibile sono possibili
più spiegazioni, di cui – come osserva van Fraassen – si può valutare l’adeguatezza
empirica, non la verità. Vi sono del resto numerosi esempi di teorie scientifiche mature
che funzionavano anche al di là dei fenomeni per spiegare i quali erano state elaborate
e che sono state poi considerate false.16 Sostenere che, se tali teorie funzionavano
13 La corretta definizione del materialismo in quanto empirismo antimetafisico viene fornita da Fichte (1977,
p. 364): «Il materialismo nega la possibilità della domanda su un fondamento del mondo. Il mondo è
fondato in se stesso. In questo sistema non viene spiegato nulla, bensì ci si ferma alla mera esperienza».
Questa posizione è ancora una volta diametralmente opposta a quella di Democrito e dei suoi epigoni
moderni.
14 Cfr. De Palma (2011).
15 Il sensibile – si chiede Husserl – «esige davvero quest’unica idealizzazione o è possibile una pluralità
di idealizzazioni corrispondenti alla dottrina delle varietà non euclidee? [. . . ] La realtà cosale in quanto
realtà di un essere oggettivo prescrive norme e queste sono connesse con la scelta della determinata
idealizzazione?» (Hua XLI, 96). «L’idealizzazione è qualcosa di predelineato intuitivamente dall’essenza
di ciò che è intuito? A uno stesso sistema di intuizione in quanto “approssimativo” non possono venire
attribuite diverse idee di esattezza in quanto norme?» (ivi, 255).
16 Cfr. Laudan (1981); Lyons (2002).
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Vittorio De Palma
10
pur essendo false, allora contenevano qualcosa di vero, significa presupporre ciò che
va dimostrato, ossia che solo la verità può spiegare il successo di una teoria. Che
una teoria predica con successo certi fenomeni non implica che le entità teoriche da
essa postulate siano reali, ma solo che coglie di fatto dei nessi tra i fenomeni. Perciò
Descartes poneva nella veracitas dei la garanzia che le teorie non abbiano solo un valore
pragmatico, ma ontologico, ossia che non solo funzionino, ma descrivano la realtà.
Infatti, come uno stesso artigiano può fabbricare due orologi che, sebbene indichino ugualmente bene le ore e dall’esterno appaiano assolutamente simili, sono
comunque costituiti all’interno da un sistema di ruote del tutto differente, così non
v’è dubbio che il sommo artefice delle cose abbia potuto costituire tutte quelle che
vediamo in parecchi modi diversi.17
Le entità scientifiche non sono causa di quelle fenomeniche e non le precedono
dal punto di vista ontologico. Una causa è infatti un fenomeno a cui ne segue un
altro secondo una regola, mentre le entità teoriche della scienza non sono fenomeni,
bensì mere rappresentazioni in noi. Come osserva Husserl – in modo analogo a
van Fraassen 18 – le inferenze causali hanno senso solo «su un terreno omogeneo di
esperienza», e quindi non possono condurre da ciò che è esperito a ciò che è per
principio inesperibile (Hua XXXVI, 178). Del resto, se una presunta causa sconosciuta
esistesse, allora dovrebbe essere a sua volta per principio percepibile, se non da noi da
altri esseri, e quindi dovrebbe darsi a sua volta in apparizioni, per cui si ha un regresso
all’infinito. La spiegazione di eventi fenomenici mediante oggetti ignoti ma percepibili
(come quella delle perturbazioni dei pianeti ipotizzando un pianeta sconosciuto) è
strutturalmente diversa dalla spiegazione mediante entità teoriche, quali atomi, ioni
ecc. (Hua III, 111). L’illegittima estensione dell’induzione e della causalità al di là del
piano fenomenico, che è alla base delle prove tomistiche dell’esistenza di Dio, è anche
il fondamento della postulazione degli oggetti teorici della scienza, che in quanto
inesperibili condividono con Dio (e con le cose in sé) il fatto di essere qualcosa la cui
realtà consiste unicamente nel potere esplicativo. Come tali sono relativi a una teoria e
non hanno dignità ontologica, al contrario degli oggetti sensibili, che sono dati prima
e indipendentemente da ogni teoria. Come osserva Quine,
in quanto a fondamento epistemologico gli oggetti fisici e gli dei differiscono solo
per grado e non per la loro natura. Sia l’uno che l’altro tipo di entità entrano
nella nostra concezione soltanto come postulati culturali. Da un punto di vista
epistemologico il mito degli oggetti fisici è superiore agli altri nel fatto che si è
rivelato più efficace degli altri miti come mezzo per elevare una semplice costruzione
nel flusso dell’esperienza.19
5. Il conflitto tra immagine scientifica e immagine manifesta è stato efficacemente
formulato da Eddington mediante il paradosso dei due tavoli: mentre il primo tavolo
fa parte del mondo circostante, ha estensione, è stabile, colorato e sostanziale, il
secondo non fa parte del mondo circostante, è in gran parte «vuoto» e sparpagliate
in questo vuoto vi sono cariche elettriche che si muovono velocemente in tutte le
direzioni, ma il loro volume complessivo rappresenta meno di un bilionesimo del
volume del tavolo.20
Al problema della compatibilità tra le due immagini del mondo Wilfrid Sellars ha
risposto conferendo una portata ontologica alla scienza, ma cercando nel contempo
17 Descartes,
Principia philosophiae, IV, § 204; cfr. IV, § 206 e III, § 43.
Cfr. van Fraassen (1985), pp. 44 ss., 104 ss.
19 Quine (1966), p. 42.
20 Cfr. Eddington (1985), pp. 9-10.
18
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Metodo scientifico e analisi fenomenologica dell’esperienza
11
di preservare la legittimità dell’immagine manifesta. Nel § 41 di Empirismo e filosofia
della mente egli riassume mirabilmente l’oggettivismo scientifico e filosofico moderno
affermando che, «per quanto riguarda la descrizione e spiegazione del mondo, la
scienza è la misura di tutte le cose, di ciò che è in quanto è, di ciò che non è in quanto
non è». Il fatto che la scienza mostra che in realtà gli oggetti fisici non sono colorati
non significa naturalmente che «gli oggetti fisici sono colorati» sia una proposizione
empirica di cui la scienza ha dimostrato la falsità. La proposizione «gli oggetti fisici
non sono colorati» ha senso come espressione dell’idea che non esistono cose del tipo
degli oggetti fisici colorati del mondo del senso comune – ha senso quindi non come
proposizione empirica formulata all’interno del quadro teorico del senso comune,
alla pari di «non esistono bipedi implumi», bensì come espressione del rifiuto di
questo quadro a favore di un altro quadro teorico. All’interno del quadro teorico del
senso comune la proposizione «gli oggetti fisici non sono colorati» è scorretta, come
osservazione filosofica su di esso è corretta.
Quest’impostazione è stata ripresa anche da Paolo Spinicci, secondo il quale le
scienze hanno carattere conoscitivo e ciò che esse scoprono è reale. Infatti, reale è ciò
per cui parlano buone ragioni, e quindi non ciò che è dato percettivamente: «una parte
dell’addestramento scolastico ci ha insegnato che le cose non sono così come appaiono
e abbiamo molte buone ragioni per sostenere che si tratta di un insegnamento fondato»,
e quindi «il mondo della vita non è il mondo reale». 21 Secondo Spinicci, benché non
ci siano ragioni per credere che esistano propriamente colori e che le cose siano così
come ci appaiono, è comunque legittimo dire che c’è la sedia su cui siamo seduti e
che essa ha un suo colore obiettivo, perché vediamo così. Infatti, anche se nel mondo
fisico non vi sono gli oggetti di cui parliamo quotidianamente, lo scienziato deve
muoversi nel mondo della vita e deve credere all’esperienza sensibile quando esercita
la scienza e la comunica: «la prassi conoscitiva presuppone un mondo di oggetti e di
cose entro il quale soltanto l’attività conoscitiva può concretamente dispiegarsi» e il
quale costituisce quindi «il presupposto concreto di ogni prassi».22 Ma in senso proprio
le certezze del mondo della vita non sono vere e non hanno contenuto conoscitivo:
la loro indubitabilità dipende da ragioni pragmatiche, cioè dal ruolo che hanno nel
sistema delle credenze del senso comune.
È vero esattamente il contrario: gli oggetti teorici della scienza non sono oggetti
reali e le certezze della scienza non sono proposizioni vere in senso proprio: la loro
indubitabilità non dipende dal loro presunto contenuto conoscitivo, ma dal successo
pragmatico delle rispettive teorie. A parte l’insegnamento scolastico, che non dimostra
alcunché, Spinicci non porta del resto nessun argomento a favore della sua tesi. Egli
dà per scontato il realismo scientifico, benché la validità di quest’ultimo sia alquanto
controversa e tutti i tentativi di difenderlo abbiano condotto finora a una riformulazione
più debole delle sue pretese.23 Ma il punto è che, se negassimo il valore conoscitivo
della percezione, non potremmo verificare le teorie scientifiche. Questo viene rilevato
anche da Spinicci, ma egli non ne trae la conseguenza che la sua tesi è contraddittoria,
poiché presuppone ciò che nega, ossia il valore conoscitivo della percezione, la quale
soltanto può confutare la percezione. Mentre infatti la validità delle teorie scientifiche
presuppone la validità della percezione, la validità della percezione non presuppone
la validità delle teorie scientifiche. Che una percezione sia ingannevole può essere
stabilito solo sulla base di altre percezioni, che sono in conflitto con essa e vengono
21 Spinicci
(2006), pp. 240-41.
Ivi, pp. 247-248.
23 Esemplare in tal senso Worrall (1989), che per difendere il realismo ripropone la tesi di Poincaré (ma
in realtà già di Kant), secondo la quale conosciamo non le cose, ma le loro relazioni!
22
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Vittorio De Palma
12
considerate veridiche. Perciò la percezione è relativa solo alla percezione stessa e
può essere confutata solo da quest’ultima, non da teorie che ne presuppongono la
validità. «Solo la percezione soppianta la percezione» (Hua XXXVI, 40). Non è quindi
possibile mettere in discussione la percezione in quanto tale, ma solo i suoi singoli casi.
«L’esperienza può essere confermata e soppressa solo dall’esperienza» (Hua XXXIX,
231). Non la scienza, ma la percezione è dunque «la misura ultima della realtà» (Hua
XL, 314).
Il conflitto tra le due immagini del mondo va risolto pertanto a favore dell’immagine
manifesta. La tesi che l’immagine scientifica del mondo è vera e quella manifesta falsa
implica infatti il collasso della stessa immagine scientifica. «La nostra conoscenza
scientifica più eccelsa – osserva Duhem – non ha, in ultima analisi, altro fondamento
che i fatti ammessi dal senso comune; se si mettono in dubbio le certezze del senso
comune, l’intero edificio della verità scientifica vacilla dalle fondamenta e crolla».24
Per poter dire che il mondo è diverso da come appare, la scienza deve presupporre
che il mondo è così come appare. Il fatto che vediamo così è dunque in realtà una
buona ragione, anzi l’unica che possiamo avere, per ritenere che sia così: se non lo
fosse non potremmo neanche legittimare le verità scientifiche che secondo Spinicci ci
insegnano come è fatto il mondo reale. Come nota La Rocca, l’assolutizzazione del
punto di vista della scienza «farebbe scomparire il mondo di cui parliamo in tanti
modi, compreso quello della scienza».25 Va aggiunto che, mentre l’assolutizzazione
del punto di vista della scienza è contraddittoria, l’assolutizzazione del punto di vista
dell’esperienza, che viene compiuta dalla fenomenologia, non lo è affatto. Spinicci
sostiene che, nella misura in cui l’immagine manifesta del mondo non è una teoria,
essa non può essere considerata vera o falsa in senso proprio, per cui «non avrebbe
alcun senso cercare di argomentare in favore dell’esistenza di quel mondo di cose
e di eventi che la percezione ci mostra».26 Ora, come non ha senso argomentare a
favore dell’esistenza del mondo sensibile, così non ha senso argomentare contro la
sua esistenza.27 Proprio per il fatto che l’immagine manifesta non è una teoria, bensì
il fondamento ineludibile di ogni teoria, una teoria che ne metta in discussione la
validità distrugge il suo fondamento e quindi se stessa. Pertanto non ci sono affatto
buone ragioni per credere alla verità delle teorie scientifiche.
Sellars e Spinicci pongono di fatto l’esistenza di due mondi, quello della verità
e quello dell’opinione, finendo così col riproporre «il sentiero della doppia verità»
(Hua VI, 179) di eleatica memoria e la concezione degli oggetti sensibili come mere
immagini o apparenze del vero essere. Si tratta di un’implicazione inevitabile della
tesi che il mondo non è come appare, e quindi che «il mondo della vita non può dirsi
reale».28 Se si conferisce valore ontologico alle entità teoriche non c’è modo di evitare
il raddoppiamento del mondo e degli oggetti, dalla cui critica sorge la fenomenologia.
Come Husserl osserva nel 1894, non è legittimo
parlare di differenti domini di esistenza, di differenti universes of discourse, di
differenti mondi che dispongono in maniera diversa dell’esistenza o della nonesistenza del medesimo oggetto. Il «mondo» del mito, il mondo della poesia, il
mondo della geometria, il mondo reale non sono mondi allo stesso titolo. C’è solo
una verità e un mondo, ma molteplici rappresentazioni, convinzioni religiose o
mitiche, ipotesi, finzioni (Hua XXII, 329).
24 Duhem
(1992), pp. 178-79.
Rocca (2006), p. 267.
26 Spinicci (2006), p. 244.
27 Cfr. De Palma (2012b).
28 Spinicci (2006), p. 241.
25 La
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Metodo scientifico e analisi fenomenologica dell’esperienza
13
Non ci sono dunque mondi diversi, ma diverse rappresentazioni e visioni dell’unico
mondo reale, ossia di quello dato nella percezione, che non consiste di atomi, ma di
qualità sensibili.
Il compito della filosofia è esplicitare il senso che il mondo ha sulla base dell’esperienza,
e quindi prima della filosofia – un senso che può essere disvelato, ma non modificato
dalla filosofia (Hua I, 177). 29 Si tratta pertanto di enucleare il concetto naturale di
mondo, non di cercare un mondo «più reale» che sta dietro quello sensibile. Non c’è
infatti nulla di più reale di ciò che è dato nell’esperienza sensibile. Husserl riprende in
tal senso il programma di Richard Avenarius: poiché ogni teoria e interpretazione si
riferisce al mondo dato prima di ogni teoria e interpretazione e può avere un senso
legittimo solo se non contraddice «il senso generale della datità immediata» (Hua
XIII, 196), bisogna esplicitare la «cornice di senso generale del mondo nell’esperienza
immediata» (ivi), ossia «descrivere il mondo così come esso mi si dà immediatamente»
(ivi, 197), al fine di cogliere il senso originario del concetto di mondo, che viene
prescritto dall’esperienza e che nessuna teoria fondata sull’esperienza può violare.
Prima di ogni teoria va dunque accordato il suo diritto originario a ciò senza cui
nessuna teoria può avere senso (Hua XXXV, 476).
Una concezione analoga si trova in Clarence Irving Lewis, secondo il quale la
filosofia non può né fondarsi sui risultati delle scienze né demandare a queste la
risposta alle questioni gnoseologiche.30 Per Lewis solo l’esperienza fornisce un
contenuto alla filosofia e solo nell’applicazione all’esperienza la verità filosofica ha il
suo significato.31 In polemica con certa filosofia che da Parmenide in poi considera
l’esperienza apparenza e cerca al di là di essa «una realtà più salda», egli sostiene
quindi che la realtà che trascende ogni fenomeno è «una specie di fuoco fatuo filosofico»
e che filosofia ha il compito di «stabilire i criteri in base ai quali l’aggettivo “reale” è
applicato correttamente» sulla base di «ciò che non trascende l’esperienza ordinaria»,
ha cioè il compito «di definire la “realtà”, non di mettere le brache al mondo».32
L’impostazione fenomenologica permette di risolvere il vecchio problema metafisico della sostanza senza ricorrere a entità mitologiche – siano esse atomi o tartarughe
che sorreggono elefanti. «Una cosa – osserva Stumpf – consiste in effetti solo di
proprietà, ma queste non sono un fascio, bensì un intero. Questo è il vero e il falso
della teoria humiana della sostanza». 33 La sostanza, ossia il portatore unitario delle
proprietà, non si dissolve dunque in un mero insieme di qualità, ma non consiste
neanche in una cosa in sé che sta al di là dell’esperienza, bensì non è altro che l’«unità
del reale» (Hua XLI, 276). Infatti il concreto non è un aggregato, ma un intero di attributi:
la sua unità è «un’unità fondata” (ivi, 92), e precisamente «un’unità che è fondata
nei diversi momenti» (ivi, 66). Al contrario dell’aggregato, che è indipendente dalla
natura delle sue parti e viene istituito dall’attività intellettuale del soggetto, l’intero
è prodotto unicamente dalla peculiarità materiale dei suoi momenti, ossia delle sue
parti non-indipendenti. La sostanza è quindi un nesso materiale di proprietà che
29 Quest’impostazione non contraddice l’XI Tesi su Feuerbach, in cui Marx afferma che i filosofi si sono
limitati a interpretare diversamente il mondo, mentre si tratta di trasformarlo, bensì la I e la V Tesi, in cui
Marx definisce idealisticamente la sensibilità come «prassi» e «attività sensibile umana», laddove essa è
invece il presupposto di ogni prassi e attività. Ciò che va trasformato è la struttura della società (che è un
prodotto storico), non certo la struttura dell’esperienza sensibile (che è invariante). Del resto Marx stesso,
nel Capitale e nella Critica del programma di Gotha, parla del «sostrato materiale depositario del valore di
scambio» e della natura come «fonte prima di tutti gli strumenti e oggetti di lavoro», sottolineando inoltre
che anche una società liberata rimane «un regno della necessità», in quanto vincolata alla produzione.
30 Cfr. Lewis (1977), pp. 9, 37, 46.
31 Cfr. ivi, p. 15.
32 Ivi, pp. 11-12.
33 Stumpf (1939/40), p. 28.
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
14
Vittorio De Palma
viene istituito dalle proprietà stesse e che è dato prima e indipendentemente da ogni
intervento soggettivo. Proprio in virtù di questo nesso materiale fondato sui contenuti
sensibili può sussistere un mondo reale, che «non è un guazzabuglio di realtà esistenti
per sé e possibili per sé», ma «è possibile solo sotto un sistema di categorie della
realtà» (ivi, 320): «Il mondo come universo delle realtà [. . . ] non è un mero insieme di
elementi reali, bensì [. . . ] ha la forma di un “intero”. I singoli elementi reali possono
essere realtà reali solo se [. . . ] posseggono una certa forma di connessione reale» (ivi,
377; cfr. 261).
6. Non bisogna dunque né ritirarsi nelle tranquille regioni del senso comune,
demandando alla scienza il compito di svelare come è fatto davvero il mondo, né
accordare alla visione scientifica un significato solo parziale, considerandola legittima
all’interno di un certo atteggiamento che non può pretendere di esaurire il senso
della realtà, poiché riguardo a quest’ultima è possibile anche un altro punto di vista,
che è altrettanto legittimo nel suo ambito. Bisogna invece contestare la pretesa delle
teorie scientifiche di essere descrizioni fedeli della realtà e di fornire quindi la vera
ontologia. Questa tesi non è affatto ingenua. Ingenuo è prestare fede a teorie che
sono intrinsecamente contraddittorie, in quanto negano il senso dell’esperienza di
cui presuppongono la validità. Le teorie scientifiche sono costruzioni soggettive e
il mondo descritto da esse non è reale, bensì ideale. L’unico mondo reale è quello
sensibile. L’unica ontologia in senso proprio è dunque l’analisi fenomenologica dell’esperienza,
che non fornisce spiegazioni metafisiche o scientifiche, ma esplicita il senso che il mondo ha
prima di ogni teoria, su cui ogni teoria si fonda, e che perciò nessuna teoria valida può violare.
Essa rappresenta la vera filosofia prima, in quanto tematizza ciò che viene presupposto da ogni
teoria.
Nel VII capitolo dei Prolegomeni a una logica pura Husserl dimostra che lo psicologismo è una teoria che contravviene al senso di ogni possibile teoria e quindi si
autosopprime, poiché nel senso delle sue affermazioni presuppone implicitamente
ciò che nega esplicitamente, ossia la validità delle leggi logiche e la possibilità di
cogliere una verità oggettiva attraverso atti soggettivi. Lo stesso vale per ogni forma di
naturalismo, il quale non è altro che una variante dello psicologismo e la cui intrinseca
contraddittorietà è stata messa in luce da Putnam e da Nagel.34 Epigoni di Sellars
come Stich e i Churchland cadono in contraddizioni manifeste proprio in quanto
prendono sul serio l’aurea massima del loro maestro secondo cui la scienza è la misura
di ciò che è. Nei loro testi essi sostengono infatti che bisogna sostituire il linguaggio
ordinario, nel quale si esprimono credenze, con il vocabolario neurofisiologico, ma per
sostenere ciò esprimono credenze e utilizzano il linguaggio ordinario.35 Quest’ultimo
è infatti ineludibile e come tale non può essere messo in discussione, checché dica la
scienza. Del resto, perché mai questi autori dovrebbero sostenere le loro teorie, se non
credessero che esse siano vere? E perché mai dovrebbero scrivere libri se non volessero
convincere i lettori a credere alle loro teorie? Il senso delle loro teorie e dei loro testi
(ammesso che ce ne sia uno) presuppone dunque la validità di ciò che le loro teorie e i
loro testi dichiarano altezzosamente non valido.
Queste sono le conseguenze del credo nella scienza come misura di ciò che è.
Non si vede dunque come il professare questo credo possa essere considerato un
atteggiamento razionale e antidogmatico, mentre la posizione opposta possa venire
tacciata di oscurantismo e irrazionalismo. La tesi che le teorie scientifiche non
forniscano affatto descrizioni fedeli del mondo reale è espressione di avversione
34 Cfr. Putnam (1983); Nagel (1999). Sull’ineludibilità della ragione dal punto di vista fenomenologico,
cfr. De Palma (2012b).
35 Cfr. Haack (2009), cap. 8, in particolare pp. 337 ss.
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Metodo scientifico e analisi fenomenologica dell’esperienza
15
illuministica alle superstizioni idealistiche, e quindi di materialismo e realismo
autentici, i quali possono svilupparsi solo all’interno di un’impostazione empiristica.
Riferimenti bibliografici
De Palma, V. 2011, «La verità sull’a priori materiale», in La Cultura. Rivista di filosofia,
letteratura e storia, 49/1, pp. 47-71.
De Palma, V. 2012a, «Die Phänomenologie als radikaler Empirismus», in Studia
phaenomenologica, 12, pp. 329-355.
De Palma, V. 2012b, «Die Welt und die Evidenz. Zu Husserls Erledigung des
Cartesianismus», in Husserl Studies, 28/3, pp. 201-224.
Duhem, P. 1992, L’évolution de la mécanique, Vrin, Paris.
Eddington, A. 1985, La natura del mondo fisico, Laterza, Bari.
Fichte, J. 1977, Vorlesungen über Logik und Metaphysik von 1797/98, a cura di R. Lauth
e H. Gliwitzky, vol. vol. IV/1, Gesamtausgabe der Bayerischen Akademie der
Wissenschaften, Frommann, Stuttgart-Bad Cannstatt.
Fraassen, B. van 1985, L’immagine scientifica, CLUEB, Bologna.
Haack, S. 2009, Evidence and Inquiry. A Pragmatist Reconstruction of Epistemology,
Prometheus Book, New York.
La Rocca, C. 2007, «Commento a Spinicci», in Passive Synthesis and Life-World, a cura
di A. Ferrarin, ETS, Pisa, pp. 260-267.
Laudan, L. 2008, «Una critica reticolare dell’assiologia e della metodologia realista»,
in La scienza e i valori, Laterza, Roma-Bari, pp. 135-177.
Lewis, C. 1977, Il pensiero e l’ordine del mondo, Rosenberg & Sellier, Torino.
Lyons, T. 2002, «Scientific Realism and the Pessimistic Meta-Modus Tollens», in Recent
Themes in the Philosophy of Science, a cura di S. Clarke e T. Lyons, Kluwer, Dordrecht,
pp. 63-90.
Merleau-Ponty, M. 1965, Fenomenologia della percezione, Il Saggiatore, Milano.
Nagel, T. 1999, L’ultima parola. Contro il relativismo, Feltrinelli, Milano.
Putnam, H. 1983, «Why reason can’t be naturalized», in Realism and Reason. Philosophical
Papers 3, Cambridge University Press, Cambridge, pp. 229-247.
Quine, W. 1966, «Due dogmi dell’empirismo», in Il problema del significato, Ubaldini,
Roma, pp. 20-44.
Spinicci, P. 2007, «Il mondo della vita e il problema della certezza», in Passive Synthesis
and Life-World, a cura di A. Ferrarin, ETS, Pisa, pp. 233-252.
Strawson, P. 1978, Individui. Saggio di metafisica descrittiva, Feltrinelli, Milano.
Stumpf, C. 1939/40, Erkenntnislehre, Barth, Leipzig. 2 voll.
Worrall, J. 1989, «Structural realism: the best of both worlds?», in Dialectica, 43/1-2,
pp. 99-124.
Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy
Vol. 1, n. 1 (2013)
Scarica