da Nobel a Nobel
«Perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali,
dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi.»*
«Per il suo coraggio e l'ingegnosa
ripresentazione dell'arte drammatica e teatrale»*
*parte delle motivazioni ai Premi Nobel
LUMIE DI SICILIA – UNA GIORNATA QUALUNQUE
due atti unici di Luigi Pirandello e Dario Fo
libero adattamento di Federico Corona e Rita Lelio
regia di Federico Corona
Con
Daniela Zamperla – Rita Lelio – Federico Corona – Barbara Scalco – Francesco Corona
Selezione Musiche: Federico Corona – Luci: Francesco Corona – Scenografie: Elena Storero
Musiche: Diego Dal Bon - Costumi: Eulalia Cardozo
gruppo panta rei via rosales 10 31030 borso del grappa tv tel/fax 0423 930225 mob 328 3857664
[email protected] www.gruppopantarei.it
Lo spettacolo
Uno spettacolo, due premi nobel. Nella stesse serata un omaggio a due tra i più grandi drammaturghi
italiani conosciuti e apprezzati in tutto il mondo: Luigi Pirandello con la sua profonda indagine sulla società
borghese e sui vizi dell’essere umano, e Dario Fo con la sua inarrivabile satira sulla società moderna.
Lumie di Sicilia è una commedia in un atto scritta da Luigi Pirandello sulla base di una novella del 1910 dallo
stesso titolo. E' stata la prima commedia di Pirandello ad esser rappresentata. Fu interpretata dalla
Compagnia dei Minimi di Nino Martoglio il 9 dicembre 1910 al Teatro Metastasio di Roma. Fu publicata su
La nuova Antologia il 16 marzo 1911 e l'anno successivo dall'editore Treves. Della stessa commedia
Pirandello ne scrisse una versione in dialetto siciliano per Angelo Musco che la interpreterà il primo luglio
1915 a Catania. Una rielaborazione in dialetto romanesco con il titolo Agro di limone fu portata in scena da
Ettore Petrolini.
In Una giornata qualunque è Giulia, una pubblicitaria di successo che, in crisi per il fallimento del proprio
matrimonio, ha deciso di suicidarsi. Grazie alla sua dimestichezza con le tecnologie televisive più avanzate,
anziché lasciare la solita lettera, dirà addio al marito e alla vita con un video-tape. Ma non tutto va come
previsto: telefonate di donne pazze e disperate, telenovelas poliziesche o sentimentali, ladruncoli goffi e
litigiosi, dispositivi terroristici antifumo e antialcool, poliziotti, infermieri, ambulanze… portano
vorticosamente a un finale a sorpresa per una giornata che doveva essere… qualunque.
Luigi Pirandello
Pirandello nacque nel 1867 a Càvusu, luogo che al momento della sua nascita aveva cambiato la sua
denominazione originaria in "Caos", (località attualmente parte del comune di Porto Empedocle, che a quel
tempo apparteneva per metà al primo e per metà al comune di Girgenti, oggi Agrigento), da Stefano e
Caterina Ricci Gramitto, in una famiglia di agiata condizione borghese dalle tradizioni risorgimentali.
La famiglia di Pirandello viveva in una situazione economica agiata, grazie al commercio e all'estrazione
dello zolfo.
I primi anni
L'infanzia di Pirandello non fu sempre serena ma, come lui stesso racconterà nel 1935, caratterizzata anche
dalla difficoltà di comunicare con gli adulti e in specie con i suoi genitori, in modo particolare con il padre.
Questo lo stimolò ad affinare le sue capacità espressive e a studiare il modo di comportarsi degli altri per
cercare di corrispondervi al meglio.
Dopo l'istruzione elementare impartitagli da maestri privati, andò a studiare in un istituto tecnico e poi al
ginnasio. Qui si appassionò subito alla letteratura. A soli undici anni scrisse la sua prima opera, "Barbaro",
andata perduta.
Per un breve periodo, nel 1886, aiutò il padre nel commercio dello zolfo, e poté conoscere direttamente il
mondo degli operai nelle miniere e quello dei facchini delle banchine del porto mercantile.
Iniziò i suoi studi universitari a Palermo nel 1886, per recarsi in seguito a Roma, dove continuò i suoi studi di
filologia romanza che poi, anche a causa di un insanabile conflitto con il rettore dell'ateneo capitolino,
dovette completare su consiglio del suo maestro Ernesto Monaci, a Bonn.
A Bonn, importante centro culturale di quei tempi, Pirandello seguì i corsi di filologia romanza ed ebbe
l'opportunità di conoscere grandi maestri come Franz Bücheler, Hermann Usener e Richard Förster.
Si laureò nel 1891 con una tesi sulla parlata agrigentina "Voci e sviluppi di suoni nel dialetto di Girgenti".
Il tipo di studi gli fu probabilmente di fondamentale aiuto nella stesura delle sue opere, dato il raro grado di
purezza della lingua italiana utilizzata.
Il giovane laureato
Nel 1892 Pirandello si trasferì a Roma, dove poté mantenersi grazie agli assegni mensili inviati dal padre. Qui
conobbe Luigi Capuana che lo aiutò molto a farsi strada nel mondo letterario e che gli aprì le porte dei
salotti intellettuali dove ebbe modo di conoscere giornalisti, scrittori, artisti e critici.
Nel 1894, a Girgenti, Pirandello sposò Maria Antonietta Portulano, figlia di un ricco socio del padre. Questo
matrimonio probabilmente concordato soddisfaceva anche gli interessi economici della famiglia di
Pirandello. Nonostante ciò tra i due coniugi nacque veramente l'amore e la passione. Grazie alla dote della
moglie, la coppia godeva di una situazione molto agiata, che le permise di trasferirsi a Roma.
Nel 1895, a completare l'amore tra gli sposi, nacque il primo figlio: Stefano, a cui seguirono due anni dopo,
Rosalia (1897) e nel 1899 Fausto.
Il crollo finanziario
Nel 1903, un allagamento e una frana in una miniera di zolfo del padre, nella quale era stata investita parte
della dote di Antonietta, e da cui anche Pirandello e la sua famiglia traevano un notevole sostentamento, li
ridusse sul lastrico.
Questo avvenimento accrebbe il disagio mentale, già manifestatosi, della moglie di Pirandello, Antonietta.
Ella andava sempre più spesso soggetta a crisi isteriche, causate anche dalla gelosia, a causa delle quali o
Antonietta rientrava dai genitori in Sicilia, o era Pirandello a esser costretto a lasciare la casa.
Solo diversi anni dopo, nel 1919, egli, ormai disperato, acconsentì che Antonietta fosse ricoverata in un
ospedale psichiatrico.
La malattia della moglie portò lo scrittore ad approfondire, portandolo ad avvicinarsi alle nuove teorie sulla
psicanalisi di Sigmund Freud, lo studio dei meccanismi della mente e ad analizzare il comportamento sociale
nei confronti della malattia mentale.
Spinto dalle ristrettezze economiche e dallo scarso successo delle sue prime opere letterarie, e avendo
come unico impiego fisso la cattedra di stilistica all'Istituto superiore di magistero femminile, lo scrittore
dovette impartire lezioni private di italiano e di tedesco, dedicandosi anche intensamente al suo lavoro
letterario. Dal 1909 iniziò anche una collaborazione con il Corriere della Sera.
Il successo
Il suo primo grande successo fu merito del romanzo Il fu Mattia Pascal, pubblicato nel 1904 e subito
tradotto in diverse lingue. La critica non dette subito al romanzo il successo che invece ebbe tra il pubblico.
Numerosi critici non seppero cogliere il carattere di novità del romanzo, come d'altronde di altre opere di
Pirandello. Perché Pirandello arrivasse al successo riconosciuto si dovette aspettare il 1922, quando si
dedicò totalmente al teatro.
Rapporti con il Fascismo
Nel 1924 il quotidiano L'Impero pubblica un telegramma inviato da Pirandello a Mussolini:
« Eccellenza, sento che questo è per me il momento più proprio di dichiarare una fede nutrita e
servita sempre in silenzio. Se l'E.V. mi stima degno di entrare nel Partito Nazionale Fascista, pregierò come
massimo onore tenermi il posto del più utile e obbediente gregario. Con devozione intera »
Nel 1925 Pirandello è tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti, redatto da Giovanni Gentile.
L'adesione di Pirandello al Fascismo fu alquanto imprevedibile, anche tra i suoi più stretti amici. La
motivazione migliore che è stata elaborata per spiegare tale scelta è che il fascismo lo riconduceva a quegli
ideali patriottici e risorgimentali di cui Pirandello era convinto sostenitore, anche per le radici garibaldine
del padre. Pirandello vedeva nel Fascismo la prima idea originale post-risorgimentale, che doveva essere la
"forma" nuova per l'Italia e divenire modello per l'Europa.
Un'altra motivazione molto più pragmatica è la fondazione della nuova compagnia teatrale: l'iscrizione al
partito serviva per poter ricevere il sostegno governativo e le relative sovvenzioni economiche.
In ogni caso non sono infrequenti suoi scontri violenti con autorità fasciste e dichiarazioni aperte di
apolicità: « Sono apolitico: mi sento soltanto uomo sulla terra. E, come tale, molto semplice e parco; se
vuole potrei aggiungere casto...». Clamoroso è il gesto del 1927, narrato da Corrado Alvaro (e riportato da
G. Giudice nel suo saggio), in cui Pirandello a Roma strappa la sua tessera del partito davanti agli occhi
esterrefatti del Segretario Nazionale.
La critica fascista non esaltava le opere di Pirandello, anche perché queste non erano in linea con gli ideali
fascisti. Parecchi lavori furono ancora accusati dalla stampa di regime di disfattismo anche dopo il Nobel, e
Pirandello finì anch'egli tra i "controllati speciali" dell'OVRA.
Dalla Grande Guerra al Nobel
La guerra fu un'esperienza dura per Pirandello; il figlio Stefano venne infatti imprigionato dagli austriaci, e,
una volta rilasciato, ritornò in Italia gravemente malato e con i postumi di una ferita. Durante la guerra,
inoltre, le condizioni psichiche della moglie si aggravarono al punto da rendere inevitabile il ricovero in
manicomio (1919).
Dopo la guerra, lo scrittore si immerse in un lavoro frenetico, dedicandosi soprattutto al teatro. Nel 1925
fondò la "Compagnia del teatro d'arte" con due grandissimi interpreti dell'arte pirandelliana: Marta Abba e
Ruggero Ruggeri. Con questa compagnia cominciò a viaggiare per il mondo: le sue commedie vennero
rappresentate anche nei teatri di Broadway. Nel 1929 gli venne conferito il titolo di Accademico d'Italia. Nel
giro di un decennio arrivò ad essere il drammaturgo di maggior fama nel mondo, come testimonia il premio
Nobel ricevuto nel 1934.
La morte e il testamento
Grande appassionato di cinematografia, mentre assisteva a Cinecittà alle riprese di un film tratto dal suo "Il
fu Mattia Pascal", si ammalò di polmonite. Aveva già subito due attacchi di cuore, e il suo corpo, ormai
segnato dal tempo e dagli avvenimenti della vita, non sopportò oltre.
Pirandello morì lasciando incompiuto un nuovo lavoro teatrale, I giganti della montagna.
Il regime fascista avrebbe voluto esequie di Stato. Vennero invece rispettate le sue volontà espresse nel
testamento: "Carro d'infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m'accompagni, né parenti né amici.
Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta". Per sua volontà il corpo fu cremato, per evitare postume
consacrazioni cimiteriali e monumentali. Le sue ceneri furono sparse per il "Caos" (la sua tenuta,
nell'omonima contrada).
Teatro
Pirandello divenne famoso proprio grazie al teatro che chiama teatro dello specchio, perché in esso viene
raffigurata la vita vera, quella nuda, amara, senza la maschera dell'ipocrisia e delle convenienze sociali, di
modo che lo spettatore si guardi come in uno specchio così come realmente è, e diventi migliore. Dalla
critica viene definito come uno dei grandi drammaturghi del XX secolo. Scriverà moltissime opere, alcune
della quali rielaborazioni delle sue stesse novelle, che vengono divise in base alla fase di maturazione
dell'autore:
* Prima fase - Il teatro siciliano
* Seconda fase - Il teatro umoristico
* Terza fase - Il teatro nel teatro (metateatro)
* Il teatro dei miti
Generalmente si attribuisce l'interesse di Pirandello al teatro nella maturità dei suoi anni, ma alcuni
precedenti mostrano come tale convinzione necessiti di una rivalutazione: in gioventù, infatti, Pirandello
compose alcuni lavori teatrali andati purtroppo perduti poiché da lui stesso bruciati (tra gli altri, il copione
del perduto Gli uccelli dell'alto). In una lettera del 4 dicembre 1887, indirizzata alla famiglia, si legge:
« Oh, il teatro drammatico! Io lo conquisterò. Io non posso penetrarvi senza provare una viva
emozione, senza provare una sensazione strana, un eccitamento del sangue per tutte le vene. Quell'aria
pesante chi vi si respira, m'ubriaca: e sempre a metà della rappresentazione io mi sento preso dalla febbre,
e brucio. È la vecchia passione chi mi vi trascina, e non vi entro mai solo, ma sempre accompagnato dai
fantasmi della mia mente, persone che si agitano in un centro d'azione, non ancora fermato, uomini e
donne da dramma e da commedia, viventi nel mio cervello, e che vorrebbero d'un subito saltare sul
palcoscenico. Spesso mi accade di non vedere e di non ascoltare quello che veramente si rappresenta, ma di
vedere e ascoltare le scene che sono nella mia mente: è una strana allucinazione che svanisce ad ogni
scoppio di applausi, e che potrebbe farmi ammattire dietro uno scoppio di fischi! »
(Luigi Pirandello, da una lettera ai familiari del 4 dicembre 1887)
È in questa dimensione che si parla di "teatro mentale": lo spettacolo non è subito passivamente ma serve
come pretesto per dar voce ai "fantasmi" che popolano la mente dell'autore (nella prefazione ai Sei
personaggi in cerca d'autore Pirandello chiarirà di come la Fantasia prenda possesso della sua mente per
presentargli personaggi che vogliono vivere, senza che lui li cerchi).
La delusione per non essere riuscito a far rappresentare i primi lavori lo distoglie inizialmente dal teatro,
facendolo concentrare sulla produzione novellistica e romanziera.
Nel 1907 pubblica l'importante saggio Illustratori, attori, traduttori dove esprime le sue idee, ancora
negative, sull'esecuzione del lavoro dell'attore nel lavoro teatrale: questi è infatti visto come un mero
traduttore dell'idea drammaturgica dell'autore, il quale trova dunque un filtro al messaggio che intende
comunicare al pubblico. Il teatro viene poi definito da Pirandello come un'arte "impossibile", perché
"patisce le condizioni del suo specifico anfibio": un tradimento della scrittura teatrale, che ha di contro "il
cattivo regime dei mezzi rappresentativi, appartenenti alla dimensione adultera dell'eco".
È in questo momento che Pirandello si distacca dalla lezione positivista e, presa diretta coscienza
dell'impossibilità della rappresentazione scenica del "vero" oggettivo, ricerca nella produzione
drammaturgica di scavare l'essenza delle cose per scoprire una verità altra (come poi spiegò nel saggio
L'Umorismo con il sentimento del contrario).
Il 6 ottobre 1924 fonda la compagnia del Teatro d'Arte di Roma con sede al Teatro Odescalchi con la
collaborazione di altri artisti: il figlio Stefano Pirandello, Orio Vergani, Claudio Argentieri, Antonio
Beltramelli, Giovani Cavicchioli, Maria Letizia Celli, Pasquale Cantarella, Lamberto Picasso, Renzo Rendi,
Massimo Bontempelli e Giuseppe Prezzolini[13]: tra gli attori più importanti della compagnia figurano Marta
Abba, Lamberto Picasso, Maria Letizia Celli, Ruggero Ruggeri. La compagnia, il cui primo allestimento risale
al 2 aprile 1925 con Sagra del signore della nave dello stesso Pirandello e Gli dei della montagna di Lord
Dunsany, ebbe però vita breve: i gravosi costi degli allestimenti, che non riuscivano ad essere coperti dagli
introiti del teatro semivuoto[14] costrinsero il gruppo, dopo solo due mesi dalla nascita, a rinunciare alla
sede del Teatro Odescalchi. Per risparmiare sugli allestimenti la compagnia si produsse prima in numerose
tournée estere, poi fu costretta allo scioglimento definitivo, avvenuto a Viareggio nell'agosto del 1928.
Dario Fo
Figlio di Felice e Pina Rota, è cresciuto in una famiglia intellettualmente vivace, trovandosi fin dall'infanzia a
contatto con le favole del nonno e con i racconti di viaggiatori e artigiani. Saranno poi proprio gli affabulatori
di paese, ripetutamente citati e ricordati da Fo, coloro che, grazie alla loro capacità di raccontare gli
avvenimenti, ispireranno l'artista nel corso degli anni.
Paracadutista nella Repubblica Sociale di Salò
Durante la seconda guerra mondiale si arruolò volontario tra i paracadutisti del Battaglione Azzurro di
Tradate nella Repubblica Sociale Italiana. Fo si era arruolato nel battaglione A. Mazzarini della Guardia
Nazionale. Sulla rivista Gente, il 4 marzo 1978, venne pubblicata una fotografia di Dario Fo con la divisa da
parà repubblichino.
Fo parlò di una "momentanea e forzata presenza nella sezione addestramento della contraerea
dell'aeronautica" dichiarando: "Io repubblichino? Non l'ho mai negato. Sono nato nel '26. Nel '43 avevo 17
anni. Fin a quando ho potuto ho fatto il renitente. Poi è arrivato il bando di morte. O mi presentavo o
fuggivo in Svizzera" e spiegando di essersi arruolato volontario per non destare sospetti sull'attività
antifascista del padre.
Il sergente maggiore istruttore dei paracadutisti fascisti, Carlo Maria Milani, durante un processo asserì che
Dario Fo militò con la RSI e "l'allievo paracadutista Fo era con me durante il rastrellamento della Val
Cannobina per la riconquista dell'Ossola, e il suo compito era portare delle bombe".
Nella sentenza del Tribunale di Varese del 15 febbraio 1979 si legge tra l'altro: "È certo che Fo ha vestito la
divisa del paracadutista repubblichino nelle file del Battaglione Azzurro di Tradate. [...] Deve ritenersi
accertato che delle formazioni fasciste impegnate nell'operazione in Val Cannobina facessero sicuramente
parte anche i paracadutisti del Battaglione Azzurro di Tradate. [...] Non è altrettanto certo, o meglio è
discutibile, che vi sia stato impiegato Dario Fo."
Il passato di Fo scatenò in seguito diverse critiche negative.
Vita artistica
Compiuti gli studi all'Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, dal 1950 cominciò a lavorare per la radio e
la televisione come autore e attore di testi satirici.
Il 24 giugno 1954 Dario Fo sposò l'attrice e collega Franca Rame a Milano nella basilica di Sant'Ambrogio.
Trasferitosi a Roma, dal 1955 al 1958 lavorò come soggettista per il cinema.
Dal 1958 al 1968 Fo e la moglie, che nel frattempo avevano fondato la "Compagnia Dario Fo - Franca Rame",
prepararono una serie di brevi pezzi per lo spettacolo di varietà televisivo della RAI Canzonissima. La
censura intervenne così spesso che abbandonarono la televisione in favore del teatro.
Le commedie prodotte tra il 1959 e il 1961 avevano la struttura della farsa dilatata e arricchita da elementi
di satira di costume. Con atteggiamento critico verso quello che lui denominava "teatro borghese", Fo
cominciò a recitare in luoghi diversi dai teatri quali piazze, case del popolo, fabbriche dove trovava
naturalmente un pubblico diverso composto soprattutto dalle classi subalterne.
"Mistero buffo", il Grammelot e il "teatro di narrazione"
Nel 1968 venne fondato il gruppo teatrale "Nuova Scena" con l'obiettivo di ritornare alle origini popolari del
teatro ed alla sua valenza sociale. Le rappresentazioni avvenivano in luoghi alternativi ai teatri ed a prezzo
politico. Nel 1969 Fo portò in scena con grande successo Mistero buffo, egli, unico attore in scena, recitava
una fantasiosa rielaborazione di testi antichi in Grammelot. Il Grammelot è un linguaggio teatrale derivato
dalla tradizione della Commedia dell'Arte costituito da suoni che imitano il ritmo e l'intonazione di un
idioma reale. Fo utilizzò il padano, che imitava i vari dialetti parlati nella Val Padana.
Il Mistero buffo di Dario Fo costituisce, per certi versi, l'atto di fondazione (il modello archetipico) di quel
quasi-genere che si è soliti definire come teatro di narrazione e che annovera tra i suoi esponenti di spicco
autori-attori come Marco Paolini, Marco Baliani, Laura Curino (la cosiddetta prima generazione: i narratori
nati negli anni '50) ed Ascanio Celestini e Davide Enia (la seconda generazione: i narratori nati negli anni
'70). Tracce dell'insegnamento di Fo si possono scorgere anche negli affabulatori comici come Paolo Rossi o
in attautori come Andrea Cosentino che fondono il teatro di narrazione con la performatività del cabaret
televisivo.
Negli anni settanta, Dario Fo si schierò con le organizzazioni extraparlamentari e fondò il collettivo "La
Comune" con la quale tentò con grande passione di stimolare il teatro di strada. Al 1970 risale Morte
accidentale di un anarchico col quale Fo tornò alla farsa ed all'impegno politico, era chiaramente ispirata al
caso della morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli ma, per evitare la censura, si ispirava ufficialmente ad un
evento analogo avvenuto negli Stati Uniti all'inizio del XX secolo In quel periodo infatti fu tra i più acerrimi
accusatori del commissario Luigi Calabresi (ucciso poi nel 1972), ritenuto il responsabile della morte di
Pinelli.
La vicenda si svolge in una stanza della procura centrale di Milano con protagonista quel "Matto" che ricorre
spesso nel teatro di Fo quando occorre rivelare verità scomode. Il matto adotta vari travestimenti
(psichiatra, giudice, capitano della scientifica e vescovo) medianti i quali la versione ufficiale dei fatti mostra
tutte le sue contraddizioni e, nel tentativo di costruire una versione plausibile, emergono ancora altre
esilaranti incongruenze.
In questo periodo, comunque, Fo, con la moglie Franca Rame, torna in televisione per un ciclo chiamato "Il
teatro di Dario Fo" (Rete 2, dal 22 aprile 1977, ore 20.30). Questa serie di trasmissioni porterà il futuro
Premio Nobel ad essere apprezzato da una ancor più vasta schiera di persone, come solo la televisione può
fare. Vengono proposti tutte le "pièces" montate nella Palazzina Liberty dell'antico Verziere di Milano (da
cui è anche trasmessa la serie).
I titoli proposti sono: Mistero Buffo, che apre il ciclo, Settimo: ruba un po' meno, Isabella, tre caravelle e un
cacciaballe e Parliamo di donne quest'ultimo interpretato dalla sola Franca Rame. Per non smentire la sua
fama rivoluzionaria, per non dire "eversiva", la serie, ed in particolare Mistero Buffo attirò l'attenzione del
Vaticano che per bocca del cardinale Poletti reagì molto duramente al linguaggio trasgressivo che popola le
rappresentazioni della celebre coppia di artisti. Una curiosità, anche se autore di molte canzoni (soprattutto
per Enzo Jannacci), per l'unica volta in tutta la sua carriera si trovò nella hit parade dei 45 giri, anche se in
posizioni basse, con la sigla del programma dal titolo ironico "Ma che aspettate a batterci le mani".
Gli anni ottanta e novanta
Il teatro di Fo possiede la caratteristica di cogliere l'attualità anche in argomenti che a prima vista ne sono
lontani; altra costante è quella dell'anticlericalismo. Questi due elementi sono evidenti nella commedia del
1989 Il papa e la strega che prende spunto dall'approvazione di una legge sulla droga che voleva essere
molto repressiva ma che ebbe scarsi risultati. Come sempre l'impianto è farsesco e la vittima della satira è la
miopia dimostrata dal governo nella stesura della legge con l'appoggio della Chiesa.
Il 1992 fu l'anno della celebrazione dei cinque secoli dalla scoperta dell'America e Fo la raccontò alla sua
maniera in Johan Padan a la descoverta de le Americhe dove un povero della provincia bergamasca,
cercando di sfuggire all'Inquisizione scappa da Venezia per approdare in Spagna e giungere infine, con una
serie di vicende, nel nuovo mondo. Qui Fo, per proporre una rilettura della storia alternativa a quella
ufficiale, utilizza lo stratagemma dell'eroe per caso che ha il suo piccolo ruolo in una vicenda più grande di
lui. Sono molti i punti in comune con Mistero buffo: anche qui si utilizza un divertente grammelot padanoveneto in un testo dove il messaggio stesso è divertente in una favola dove il comico fornisce il suo
dissacrante punto di vista del mondo. Anche in questo caso Fo è solo in scena interpretando tutti i
personaggi.
Dopo il premio Nobel
Negli ultimi anni, la produzione di Fo ha continuato a seguire le due strade parallele della commedia
farsesca (Il diavolo con le zinne, 1997) e del monologo costruito sul modello archetipico del Mistero buffo
(da Lu santo jullare Francesco del 1999 allo spettacolo-lezione Il tempio degli uomini liberi del 2004).
L'avvento del secondo governo Berlusconi lo ha nuovamente sospinto verso una produzione civile e politica
che si è infine concretizzata nell'allestimento di opere satiriche proprio su Berlusconi, da Ubu rois, Ubu bas a
L'Anomalo Bicefalo, scritta insieme con la moglie Franca Rame: quest'ultima è commedia sulle vicende
giudiziarie, politiche, economiche del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in cui Fo impersona il
premier che, dopo aver perso la memoria in seguito ad un incidente, riuscirà a riacquistarla confessando la
verità sulle sue vicende. Della commedia è stata temporaneamente impedita la diffusione televisiva, a causa
della querela presentata dal ministro Marcello Dell'Utri, in quanto l'opera citava alcune sue vicende
giudiziarie.
Nel 2005 Fo viene insignito della laurea honoris causa all'Università della Sorbona di Parigi, mentre l'anno
successivo, nel 2006, la stessa onorificenza gli viene assegnata dalla Università La Sapienza di Roma (l'unico
insieme a Luigi Pirandello e Eduardo de Filippo).
Lo stile e le caratteristiche
Le caratteristiche più note, ma certo non le sole, dell'opera di Fo sono l'anticonformismo e la forte carica
satirica esercitata soprattutto sulla politica, sulla Chiesa e sulla morale comune.
Tale sua posizione fortemente antagonistica gli ha causato non pochi problemi col potere, meritandogli la
fama di artista "scomodo".
All'interno della sua vastissima produzione (circa settanta lavori) i personaggi dell'attualità, della storia o del
mito, sono presentati sempre in un'ottica rovesciata, opposta a quella comune (il gigante Golia è buono e
pacifico, mentre Davide è un litigioso rompiscatole, Napoleone e Nelson si comportano come bambini che si
fanno reciproci dispetti, ecc.).
Già nei primi spettacoli compare, sia pure in embrione, quella satira fatta di smitizzanti ribaltamenti tanto
frequente nei successivi lavori di Fo.
Oltre alla comicità altrettanto importante è, infatti, la sua capacità di costruire delle perfette macchine per
far ridere sul modello della farsa e del vaudeville (commedia brillante) e con rimandi al filone popolare dei
lazzi della commedia dell'Arte, alle gag del circo e poi del cinema muto. Questo è il tipo di produzione alla
quale Fo si è dedicato dal 1957 al 1961. Si tratta di testi che mantengono, anche a distanza di anni, una
straordinaria vis comica e risultano godibilissimi anche alla lettura.
Fo torna sempre ad usare i meccanismi della farsa, fondendoli con una satira di rara efficacia. Rispetto alle
precedenti commedie, ora sono molto più forti gli intenti satirici nei confronti del potere costituito.
Lo spettacolo spesso si articola, secondo lo schema del "teatro nel teatro", in una struttura a cornice, con
una storia esterna che ne contiene un'altra. La commedia si inserisce in un filone demistificatorio, ossia nel
tentativo di raccontare fatti e personaggi della storia e dell'attualità secondo un'ottica alternativa, magari
totalmente immaginaria, ma priva di quella retorica a cui troppo spesso la cultura ufficiale ci ha abituati.
Questo è un nodo centrale nella poetica di Dario Fo, come egli stesso dichiara: "la risata, il divertimento
liberatorio sta proprio nello scoprire che il contrario sta in piedi meglio del luogo comune, anzi è più vero o,
almeno, più credibile".
Un personaggio frequente nel teatro di Fo è quello del matto a cui è permesso dire le verità scomode (vedi
ad esempio Morte accidentale di un anarchico).
Spesso il mondo delle commedie di Fo è popolato da personaggi "da sottobosco", visti però in chiave
positiva: ubriachi, prostitute, truffatori carichi di inventiva, matti che ragionano meglio dei sani e simili.
Di certo non è estranea alla scelta di questo tipo di personaggi è l'influenza degli anni vissuti a Sangiano, il
paese natale, che Fo descrive così: "paese di contrabbandieri e di pescatori, più o meno di frodo. Due
mestieri per i quali, oltre a una buona dose di coraggio, occorre molta, moltissima fantasia. È risaputo che
chi usa la fantasia per trasgredire la legge ne preserva sempre una certa quantità per il piacere proprio e
degli amici più intimi". Forse proprio qui Fo deve avere intuito che, a volte, il vero delinquente non è chi
trasgredisce le legge, bensì chi la legge l'ha fatta.
Anche la burocrazia è presa di mira: in Gli arcangeli non giocano a flipper, un personaggio scopre di essere
iscritto all'anagrafe come cane bracco. Pur avendo scoperto che l'errore è frutto della vendetta di un
impiegato impazzito per una mancata promozione, il protagonista è costretto dalle ferree leggi della
burocrazia a comportarsi da vero cane bracco, e solo dopo che, come cane randagio, sarà stato
ufficialmente soppresso, potrà tornare uomo e riscuotere i soldi che gli spettano. Qui la burocrazia ha una
sua logica chapliniana, per cui non ciò che esiste viene annotato sulle carte, ma ciò che le carte certificano
deve esistere.
Questa surreale situazione può essere vista come variazione in chiave vaudeville, de Il fu Mattia Pascal di
Luigi Pirandello. Non è chiaro se la parodia sia voluta o meno, ma certo è che, dopo le accuse di eccessivo
cerebralismo che Fo ha sempre mosso a Pirandello, non è da escludere una deliberata volontà parodistica.
Il rapporto tra Fo autore e Fo attore può essere riassunto da ciò che egli stesso scrive in un articolo nel
1962: "Gli autori negano che io sia un autore. Gli attori negano che io sia un attore. Gli autori dicono: tu sei
un attore che fa l'autore. Gli attori dicono: tu sei un autore che fa l'attore. Nessuno mi vuole nella sua
categoria. Mi tollerano solo gli scenografi”.
Le commedie di Fo sono state rappresentate in tutto il mondo, e non c'è de stupirsene, del momento che
spesso si tratta di perfette macchine teatrali, perfettamente funzionanti anche senza la presenza di Fo sulla
scena.
Se c'è un testo che però non può prescindere dalla presenza scenica di Fo, questo è "Mistero buffo" (1969),
lungo monologo in grammelot che imita il dialetto padano, che offre una versione smitizzata di episodi
storici e religiosi, coerente con l'idea che "il comico al dogma fa pernacchi, anzi ci gioca, con la stessa
incoscienza con cui il clown gioca con la bomba innescata". Una delle idee guida dello spettacolo è che la
cultura alta abbia sempre rubato a mani basse elementi della cultura popolare, rielaborandoli e spacciandoli
per propri.
Figura centrale di tutto lo spettacolo è quella del giullare, in cui Fo si identifica, rifacendosi alle origini dì
questa figura come quella di colui che incarnava e ritrasmetteva in chiave grottesca le rabbie del popolo.
I testi di Fo rompono con qualsiasi tabù politico e sociale e con tutte le regole del decoro. I suoi testi
esilaranti, spesso scritti o ideati con la moglie Franca Rame, hanno suscitato regolarmente scandali e
provocato numerosi tentativi di censura culminati nell'uso della forza fisica nei loro confronti.
Negli anni sessanta e settanta nella società italiana personaggi come Dario Fo e Leonardo Sciascia
esplicavano, tramite l'analisi dialettica della situazione politica e socio-culturale e, soprattutto, del
linguaggio eufemistico e accomodante di cui si avvale tuttora la classe politica, per mostrare il marciume, le
fallacie logiche, le segrete connivenze fra le classi dominanti e i favoreggiamenti che si celano sotto il
perbenismo politico.
Gli interventi di Fo sull'argomento sono tipici della Commedia dell'Arte e della tradizione comica italiana
così come della più feroce satira politica tedesca: la forma rende il testo umoristico, esilarante, irresistibile e
nel contempo mette a nudo i soprusi del potere e la crudeltà inarrestabile della burocrazia, la fabula vera e
propria invece è desunta dalla realtà. Il procedimento usato in questi casi è quello, già visto anche in altri
autori, di portare alle estreme conseguenze l'affermazione dell'avversario fino a farla cadere. Qui tale
tecnica è arricchita dal fatto che colui che la usa finge di stare dalla stessa parte di chi vuol sbugiardare. Gli
elementi farseschi dovuti alla girandola di situazioni, create dai continui cambi di identità del protagonista,
servono a mantenere lo spettacolo, pur di argomento così drammatico, su quel registro comico, essenziale
per Fo, al fine di evitare il rischio della catarsi e dell'indignazione (come in Pirandello).
In anni recenti in Italia una satira politica "ammaestrata" ossia connivente ed ammiccante al mondo della
politica, senza rischio ed "istituzionalizzata", gradita agli stessi bersagli che la recepiscono come indice di
popolarità, è dilagata sui palcoscenici ed in televisione, ma essa è ben lontana dallo spirito caustico di Fo e
le polemiche scaturite dal conferimento del prestigioso riconoscimento confermano che il teatro di Fo dà
ancora fastidio, che la sua forza polemica è immutata e che il commediografo resta uno spauracchio per una
classe politica che ha molte cose da far dimenticare.
In un altro contesto l'opera di Fo può essere ricondotta a Pirandello, infatti a i suoi personaggi si
confrontano con una società snaturante e con una crisi esistenziale che li spinge a lottare per affermare le
proprie ragioni e per smascherare le false verità imposte dall'alto.
Per approfondire
Novelle per un anno – Luigi Pirandello, Giunti, 1994
Pirandello e il teatro del novecento – Giorgio Pullini, Mucchi Editore, 1990
Manuale minimo dell'attore – Dario Fo, Einaudi, 1997
Il mondo secondo Fo. Conversazione con Giuseppina Manin - Dario Fo, Giuseppina Manin, Guanda, 2008