Maria Teresa Vélez Per situare gli studi sulla musica

Maria Teresa Vélez
Per situare gli studi sulla musica nell’ambito degli studi culturali è
bene esaminare i temi di maggiore impatto in campo musicale limitando
la panoramica ai paesi di lingua inglese, che, storicamente e per
prolificità, occupano una posizione egemonica. Per l’identificazione delle
fonti va tenuto presente che, mentre in Gran Bretagna chi scrive sulla
musica a livello accademico è considerato un musicologo, negli Stati Uniti
lo studio della musica è diviso in musicologia/storia della musica (che
studia principalmente la musica d’arte dell’Occidente), etnomusicologia
(che studia tutta la musica altra) e teoria musicale (che studia
analiticamente la struttura della musica). In entrambi i paesi, gli studi
sulla musica sono anche prodotti da sociologi, studiosi di comunicazione
e cultural theorists.
Sotto l’influsso dello strutturalismo e della semiotica gli studi
culturali esplorano l’importanza del linguaggio come paradigma e come
metafora e, applicando i metodi d’analisi testuale e altri strumenti della
linguistica, leggono i prodotti culturali, le pratiche sociali e altri strumenti
della linguistica come si legge un testo, collegandoli al con-testo delle
strutture che li hanno prodotti; il contesto in cui si produce o si negozia
il messaggio diventa dunque (pre)occupazione centrale. Con l’affermarsi
delle istanze post-strutturaliste l’attenzione è rivolta poi ai fenomeni che
stanno a valle dell’emissione del messaggio, a quelle aggiunte, modifiche,
arricchimenti e ambiguità di cui il messaggio si riveste nell’arco della sua
ontogenesi. Si trattava di concetti già noti e operanti altrove, che gli
studi culturali adottarono e svilupparono in una nuova prospettiva,
inserendoli in un contesto ideologico-politico di lotta culturale per i
valori, il potere e la legittimazione (L. Althusser, A. Gramsci).
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In musicologia, l’analisi testuale, lo studio dei documenti e delle
fonti in sé ha un ruolo preminente fin dai tempi del periodo positivisticofilologico (anni Quaranta) e rimane dominante a lungo (Kerman 1985), e
anche ciò che accoglie, negli anni Settanta, dai campi della linguistica e
della semiologia (che per influenza dello strutturalismo e del poststrutturalismo sviluppavano nuove metodologie d’analisi) è modellato in
senso positivistico . Per quanto giustificabile per avere privilegiato
l’apparato critico a scapito della critica, la musicologia tradizionale verrà
poi criticata per avere ignorato la natura della performance art della sua
materia. Oggi si riconosce all’esecutore non solo un ruolo di esegeta, ma
anche di realizzazione e completamento del testo, perché capace di
attribuirgli nuovi e molteplici significati. La reazione riceve impulso alla
fine degli anni Ottanta con l’opera di musicologi quali Lawrence Kramer
(1990), Gary Tomlinson (1993) e Rose Rosengard Subotnik (1991).
L’influenza degli studi culturali è evidente in approcci quali quello della
nuova musicologia, ove spiccano semiotica, gender history, narratologia,
teoria della ricezione, incorporati nell’opera di musicologi come Susan
McClary (1991). In questi studi, la musica è considerata in un contesto
socio-politico al fine di comprendere le tensioni sociali che la animano e
per capire poi come essa stesa divenga arena di lotta tra versioni diverse
e concorrenti della realtà sociale. Qui i modelli critici sviluppati da
Gramsci, Bakhtin, e Hall campeggiano. Gli studi culturali hanno reso
oggetto di attenzione e apprezzamento la popular culture, la mass
culture e la struttura del vivere quotidiano. Per i cultori di questa
disciplina, e particolarmente per i britannici, ogni forma di cultura è
degna di attenzione e apprezzamento. Da qui l’attenzione volta a
oggetti culturali veicolati a canali di massa, ai mezzi stessi e al pubblico,
come pure alla dimensione ideologica dei prodotti di popular culture.
Nell’ultimo decennio questa scuola ha prodotto numerosi studi sulla
popular music, di matrice sociologica e sulla mediologia. Per esempio,
Simon Frith, un sociologo che rappresenta un elemento di spicco negli
studi culturali britannici, è anche uno degli autori più influenti nello studio
della popular music nel mondo di lingua inglese. Analogamente negli Stati
Uniti alcuni dei più interessanti lavori sulla popular music che utilizzano
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un approccio culturalista sono stati prodotti da studiosi che non
provengono dalla musicologia. Per esempio il lavoro sul rap di Tricia Rose
(1994) e quello sulla salsa di Frances Aparicio (1998). Il fenomeno non
ha mancato di suscitare critiche, fino all’accusa di scrivere sulla musica
trascurando la musica stessa.
Tra gli studi che rivolgono l’attenzione alla musica come tale si
pongono i lavori di Middleton (1990), che presenta una rassegna degli
approcci all’analisi musicale di rilevanza per la popular music e di John
Shepherd sulla sociologia dei suoni (1991). Ma i contributi di maggiore
importanza provengono da studi su specifici generi musicali quali il libro
di Robert Walser (1993) sulla heavy metal (che ha ricevuto l’elogio di
rappresentare un modello per gli studi culturali) e di Adam Krims (2000)
sul rap.
I concetti di ideologia e di egemonia hanno determinato
fortemente gli studi culturali. Attraverso lo studio della resistenza
(resistance), e in modo particolare della sua diffusione tra i giovani della
classe operaia nelle città inglesi, si sviluppò un interesse per le
sottoculture metropolitane. In questo contesto figura, tra i più
importanti contributi in ambito musicale, il testo di Dick Hebdige,
Subculture. The Meaning of Style (1979). La resistenza divenne una
categoria centrale nello studio sulla musica veicolata da mezzi di
comunicazione di massa, in particolare rock e rap (cfr. Garofalo 1992,
Rose 1994) e si estese in seguito ad altri generi che pervadono tuttora il
paesaggio sonoro dei centri cosmopoliti in un mondo globalizzato (salsa,
rai, reggae, il cosiddetto, più o meno giustamente, world music, e altro)
(Lipstiz 1990).
Con il rivolgersi dell’interesse degli etnomusicologi allo studio dei
subcultural sounds nel mondo occidentale, l’influenza degli studi culturali
diventa più fortemente sentita e riconosciuta; mentre, in precedenza
l’etnomusicologia, in quanto antropologia della musica, aveva
principalmente modellato la sua ricerca su canoni dell’antropologia
culturale, strutturalista, simbolica, urbana.
Nel suo libro, Subcultural Sounds. Micromusics of the West (1993)
l’etnomusicologo americano Mark Slobin delinea nuovi orizzonti
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sviluppando, attraverso il concetto gramsciano di egemonia, v i a
Raymond Williams, le nozioni di musical subcultures, supercultures e
intercultures applicate alla micro-musica del mondo occidentale, assai
influenti nello studio della musica diasporica in contesti multiculturali.
La diaspora come strumento di analisi fu introdotta dallo studioso
inglese di colore Paul Gilroy che sostenne la necessità di dar peso alle
componenti di etnia e di razza negli studi culturali. In The Black Atlantic:
Modernity and Double Consciousness (1993) Gilroy propone la Black
Atlantic (l’Atlantico nero) come unità d’analisi singola e complessa che
offre una prospettiva esplicitamente transnazionale e interculturale
capace di intendere forme culturali stereofoniche, bilingui o bifocali di
origine, ma ormai non più esclusiva proprietà dei neri. Gli sviluppi teorici
di creolizzazione e ibridazione, generano una serie di concetti intermedi
tra il locale e il globale di più ampia applicabilità rispetto al discorso
nazionalistico tradizionale. Le idee di Gilroy hanno avuto grande peso
nello studio della musica diasporica e biculturale, in modo particolare la
diaspora Africana.
Gli studi culturali hanno inoltre acquisito il concetto che la cultura,
non meno di altri elementi della contemporaneità, è mobile, plurivoca e
labile. I concetti di flusso e spazialità acquisiscono quindi grande rilievo
teorico (Appadurai 2000). In un mondo globalizzato, e però in flusso e
dislocato, la musica, oggetto culturale odeporico per eccellenza,
paradossalmente contribuisce grandemente a creare un senso di
appartenenza e di identità alle comunità dislocate. L’altra faccia del
transnazionalismo, la musica itinerante che appartiene a tutti e a nessun
luogo, crea una nuova condizione che richiede nuove metodologie e una
nuova teoresi per affrontare vecchie questioni. Entrambe le alternative
sono in cantiere (cfr. Lipsitz 1994, Taylor 1997, Connell, Gibson 2002).
(Cfr. anche Black cultural studies, Gender history , Mediologia,
Semiotica, Studi culturali, Studi (post-)coloniali, Studi sulla diaspora,
Studi sulla performance)
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Intercultures, Musical subculture, Popular music, Ragge, Rai, Rap, Rock,
Salsa, Sound, Subculture, Supercultures.
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