Paolo Russo
“Capuleti e Montecchi” di Felice Romani:
dal sublime ‘grande’ al sublime ‘patetico’
in Vincenzo Bellini, „I Capuleti e i Montecchi",
München, Bayerische Staatsoper, 2011, pp. 60-83
Paolo Russo, Felice Romanis „I Capuleti e i Montecchi" von der ‚Großen' zur ‚pathetischen' Erhabenheit, in Vincenzo Bellini, „I
Capuleti e i Montecchi", München, Bayerische Staatsoper, 2011, pp. 60-83
Nell’inverno del 1830, Vincenzo Bellini era a Venezia per rappresentare il suo Pirata; l’impresario del
teatro La Fenice, Giuseppe Crivelli e il suo ‘procuratore speciale’ Alessandro Lanari approfittarono della
presenza dell’allor giovane compositore per chiedergli di tenersi pronto a scrivere la quarta opera della stagione,
nel caso in cui Giovanni Pacini non avesse rispettato il contratto a suo tempo firmato e non avesse composto la
prevista Olga, o l’orfana moscovita su libretto di Felice Romani. L’impegno doveva decorrere dal 14 gennaio,
poi prorogato al 20, «stante il ritardo dei corrieri» dovuto ad una gelata occorsa in quell’anno. Bellini accettò per
non urtare Lanari, ma sperava caldamente che Pacini rispettasse il contratto e lo liberasse così dalla gravosa
incombenza: componeva infatti con tempi lunghi, rispetto al frenetico mercato italiano del tempo, ed era
riluttante a scrivere un’opera nuova in solo un mese e mezzo. Il 19 gennaio, però, Felice Romani arrivò a
Venezia con la notizia che Pacini non avrebbe onorato il contratto: Bellini doveva quindi adempiere all’impegno
e scrivere la nuova opera per il 5 marzo; anche quella data sarebbe poi slittata di una settimana. La prima della
nuova opera si tenne così l’11 marzo 1830.
Si trattava di un’opera d’emergenza, dunque, da montare in poco più di un mese. Già nel contratto
preliminare del 5 gennaio 1830 era previsto che non si sarebbe trattato di un’opera interamente nuova: le parti
della Olga che aveva letto, a Bellini non piacevano; chiedere a Romani di scrivere un libretto interamente nuovo
avrebbe richiesto troppo tempo. Nel caso di rinuncia di Pacini, Bellini si era impegnato dunque a lavorare su un
libretto già esistente, sempre di Romani, ma scritto cinque anni prima per Nicola Vaccai e per il Teatro alla
Canobbiana di Milano: «Giulietta Capelio da Romani … con patto espresso però di avere un mese e mezzo di
tempo dal giorno che mi verrà consegnato il libro per andare in scena». All’arrivo di Romani, il 19 gennaio, il
progetto prende corpo e si precisa. In una lettera a Francesco Florimo, Bellini scrive che avrebbe composto «da
nuovo Giulietta e Romeo ma [Romani] lo intitolerà diversamente e con diverse situazioni»1.
Per ottimizzare i tempi i due artisti vivono assieme e lavorano gomito a gomito: pianificano e scelgono
l’impianto dell’opera via via che questa viene composta, anche perché, con tempi così stretti, Bellini decide di
riutilizzare alcune parti della partitura di Zaira, opera data nel maggio precedente a Parma con scarso successo.
La stretta collaborazione e la convivenza tra i due artisti facilitò certamente il loro lavoro, ma priva noi di
qualunque documento scritto sulla concezione drammatica del rifacimento. Certamente fu graduale: Bellini
iniziò a scrivere la musica delle due parti che non subirono modifiche rispetto al libretto per Vaccai, il coro
dell’introduzione e quello d’avvio del Finale I; insieme, intanto, concepivano una drammaturgia completamente
differente per la vicenda di Romeo e Giulietta, articolata in nove numeri lirici (1 coro, 4 arie, 2 duetti, 2 finali),
rispetto ai 12 che costituivano l’opera di Vaccai (2 cori, 3 arie, 5 duetti e terzetti, 2 tra finali e introduzioni).
Il libretto dell’opera italiana non è soltanto il testo poetico che il cantante deve pronunciare mentre canta
la musica scritta dal compositore. È molto di più. L’opera, infatti, prima ancora che raccontare una vicenda, la
“monta” in scene giustapposte, la articola in un’azione drammatica che consente il pieno dispiegamento di ciò
che si ritiene, nelle varie epoche, il potenziale espressivo della musica. Se ci limitassimo al racconto
dell’intreccio, dunque, pochi elementi distinguerebbero il libretto per Vaccai da quello per Bellini e addirittura
da uno omonimo precedente di Giuseppe Maria Foppa per Nicola Zingarelli: sono tutte varianti della vicenda
raccontata da Matteo Bandella e Girolamo dalla Corte, tutt’al più mediate dalla tragedia scespiriana tradotta in
1
Le vicende della composizione dell’opera sono narrate nel dettaglio da Claudio Toscani nella introduzione alla
edizione critica dell’opera Vincenzo Bellini, I Capuleti e i Montecchi, a cura di Claudio Toscani, Milano, Ricordi, 2003, pp.
XI-XXXII.
Paolo Russo, Felice Romanis „I Capuleti e i Montecchi" von der ‚Großen' zur ‚pathetischen' Erhabenheit, in Vincenzo Bellini, „I
Capuleti e i Montecchi", München, Bayerische Staatsoper, 2011, pp. 60-83
francese da Jean-François Ducis2. Il teatro musicale non è tuttavia riducibile al solo intreccio rappresentato: è
invece dramma che si sostanzia nella musica. Un libretto non si pone dunque il problema di narrare la fabula –
che solitamente è piuttosto data per nota – ma di articolarla in modi che siano ritenuti volta a volta musicalmente
pertinenti, si fa cioè intermediario tra la fabula scelta e l’autore che intende intonarla, la sua idea di musica. Il
poeta, insomma, utilizza un setaccio che filtra la vicenda drammatica e ne distilla solo alcune situazioni, che
ritiene musicalmente più efficaci o sensate. Certo, il suo lavoro può essere svolto in solitudine, o – come nel caso
dei Capuleti e Montecchi – in collaborazione con il compositore: la responsabilità artistica del libretto, però, è
alla fin fine interamente del poeta, così come la strategia drammatica che il libretto prestabilisce.
Quando Bellini ricorda che Romani avrebbe intitolato diversamente il suo libretto e previsto «diverse
situazioni» rispetto a quelle fornite a Vaccai, intende proprio questo: Romani avrebbe concepito diversamente la
vicenda di Romeo e Giulietta e l’avrebbe organizzata prediligendo altre situazioni ‘musicabili’: avrebbe
insomma costruito una drammaturgia musicale differente.
Le differenze tra il libretto predisposto per Vaccai e quello per Bellini sono molte e configurano due
drammi musicali molto diversi, soprattutto rispetto alle fonti letterarie e drammatiche utilizzate da Felice
Romani. Il soggetto è tratto in origine da testi rinascimentali: Luigi da Porto, Istoria novellamente ritrovata di
due nobili amanti, le storie veronesi di Girolamo Della Corte, una novella di Matteo Bandello. Ma Romani non
muove direttamente da quelle fonti: piuttosto tiene sott’occhio tre testi più recenti che avevano rielaborato la
vicenda dei due amanti: il citato libretto di Foppa Giulietta e Romeo rappresentato nel 1796 alla Scala con
musica di Zingarelli, una tragedia omonima di Luigi Scevola del 1818, e un ballo di Antonio Cherubini
rappresentato a Cremona nel 1820 e poi a Vicenza nel 1823 e a Milano nel 1830: Le tombe di Verona, ossia
Giulietta e Romeo. La drammaturgia dei decenni attorno al 1800 prevedeva spesso scambi di soggetti e di
modalità rappresentative tra generi differenti come opera, tragedie letterarie, balli pantomimi e non era insolito
che l’uno servisse direttamente da spunto e suggestione all’altro. Foppa, per esempio cita tra le sue fonti la
tragedia di Shakespeare. Antonio Cherubini, a sua volta, dichiara di rifarsi alla tragedia di Scevola di due anni
prima, che sostiene aver riprodotto fedelmente, pur «ornata de necessarj episodi» per la rappresentazione
coreutica; il suo titolo poi è tratto da una tragedia francese di Mercier del 1782, Les tombeaux de Verone.
Romani, per conto suo, fa riferimento al libretto di Foppa, pur dichiarando di volersene allontanare per evitare
qualunque confronto tra la musica di Zingarelli, nel 1825 ancora ammirata e spesso eseguita, e quella di Vaccai;
non cita la tragedia di Shakespeare, allora peraltro già tradotta in italiano da Michele Leoni.3 Trae però situazioni
e, soprattutto, i nomi dei personaggi dalla tragedia di Scevola e, soprattutto, dal ballo di Cherubini. Si muove,
dunque, Romani, all’incrocio di diverse metamorfosi laterali, quelle che adattano il mito, o la vicenda originaria,
ai diversi generi drammatici e letterari, dal ballo, al melologo, all’opera. Da queste tradizioni sceglie tutto ciò
che riteneva musicabile, adeguato alla struttura a numeri dell’opera, idoneo all’espansione del potere evocativo
ed espressivo della musica.
Nel caso del libretto per Vaccai, la suggestione maggiore dovette essere esercitata dal ballo di Antonio
Cherubini: dagli ultimi decenni del Settecento in avanti, infatti, il ballo appariva genere di rottura, proponeva
vicende e situazioni drammatiche difformi rispetto all’universo operistico. In generale era più pronto ad
accogliere le poetiche romantiche del sublime. Nel «Conciliatore», Ermes Visconti individuava nelle sublimi
tragedie di Alfieri (soprattutto della Mirra e Filippo) il modello tragico per il ballo caratterizzato dalla rapidità
narrativa e, soprattutto, dai «bei gruppi» e dall’eccitazione di «emozioni forti»: «Il ballo pantomimo partecipa
della poesia e della pittura … la leggiadria o la sublimità pittoresca delle attitudini e de’ gruppi, l’interesse
pittorico»4 lo rende irriducibile alla tragedia. Molti soggetti migrano così dal ballo all’opera, subiscono la
medesima decantazione che toccava ai drammi scespiriani o a quelli di soggetto preromantico5.
2
Roméo et Juliette è del 1772 (La Haye, Constapel).
Romeo e Giulietta. Tragedia … recata in versi italiani da Michele Leoni da Parma, Firenze, Marenich, 1814; poi
anche come vol. VII di Tragedie di Shakspeare (sic!) tradotte da Michele Leoni, Verona, Società Tipografica, 1819-1822:
1821.
4
Ermes Visconti, Idee elementari sulla poesia romantica e Dialogo sulle unità drammatiche di luogo e di tempo, «Il
Conciliatore», 6 dicembre 1818 e 24 gennaio 1819, ora in Il Conciliatore. Foglio scientifico-letterario, a cura di V. Branca,
2 voll., Firenze, Le Monnier, 1953, I, pp. 436-447 e II, pp. 90-117: I, pp. 439-442.
5
Sulla decantazione coreutica di soggetti inizialmente considerati eccessivi per l’opera, cfr. PAOLO FABBRI, Il ballo
veduto colla ‘lorgnette’, in Di sì felice innesto. Rossini, la danza, e il ballo, teatrale in Italia, a cura di P. Fabbri, Pesaro,
3
Paolo Russo, Felice Romanis „I Capuleti e i Montecchi" von der ‚Großen' zur ‚pathetischen' Erhabenheit, in Vincenzo Bellini, „I
Capuleti e i Montecchi", München, Bayerische Staatsoper, 2011, pp. 60-83
Romani costruisce il primo libretto per Vaccai in stretto riferimento al ballo e alla drammaturgia terribile
e drammatica che gli era propria. Sono diverse infatti le scene che l’opera di Vaccai ha in comune con il ballo di
Cherubini: certamente sono dovute alla comune fonte nella tragedia di Scevola, ma siccome il problema del
librettista non era tanto raccontare un intreccio ma selezionare scene pregnanti dal punto di vista spettacolare e
musicale, le ‘situazioni’ scelte da Romani si sovrappongono in buona parte con quelle scelte da Cherubini.
Analoga è infatti la presentazione di Romeo nei panni dell’ambasciatore (n. 2); analoga è anche l’implicita
conferma di Giulietta dell’amore che nutre per Romeo e che suscita l’ira paterna (n. 4); analogo è infine il
materiale che costruisce il Finale I (n. 5) attorno allo svelamento dell’identità del messo in Romeo: il concertato
di stupore è innescato dalla rivelazione che Romeo è rivale di Tebaldo, la stretta dall’identificazione di Romeo
ed è analogamente costruita in contrapposizione tra parti maschili bellicose e parti femminili concilianti. Anche
la notizia della morte di Tebaldo (n. 6), il duetto con cui Lorenzo propone a Giulietta il sonnifero (n. 7), l’aria di
Romeo al sepolcro, il successivo duetto con Giulietta (n. 11) e dialogo conclusivo tra Giulietta e Lorenzo di
fronte al cadavere di Romeo (n. 12), sono ricalcati sulle situazioni del ballo che consentivano di creare ampi
quadri espressivi: le didascalie del libretto che descrivono la morte di Giulietta «all’appressarsi del coro … con
singulto», per esempio, sono ricalcate dai gesti prescritti dal ballo di Cherubini: «la presenza dei genitori che
sopraggiungono in quel istante, mette il colmo alla sua angoscia, e con mortal singulto cade estinta ai piedi del
padre».
Il libretto di Romani per Vaccai organizza l’azione drammatica dentro le strutture formali comuni
nell’opera italiana degli anni venti dell’Ottocento. È un aspetto evidente soprattutto nei grandi finali dell’opera
che mettono in forma lirica i colpi di scena e gli episodi spettacolari tratti dalla tradizione coreutica. Qui, infatti,
abbondano le didascalie che governano il movimento di personaggi o gruppi di comparse. I finali sono così
concepiti come grandi numeri di movimento scenico oltre che affettivo: alla ricca prescrizione registica e
mimico-gestuale delle didascalie corrisponde una notevole articolazione metrica fra le sezioni. Il finale I ha
effetti da pantomima con cori che da dietro le quinte danno segnali sonori in grado di animare la situazione in
scena e poi prorompono direttamente in primo piano, con situazioni solistiche e a due contrapposte a movimenti
corali, con la scena che si svuota in uno dei momenti culminanti e poi si riempie nuovamente a poco a poco6. Le
didascalie prescrivono: 1) Entrano da varii lati i cavalieri e le dame invitate alla festa 2) Salgono le scalinate e
si perdono nelle gallerie; 3) Musica di dentro 4) Inno nuziale di dentro 5) Segue l’inno 6) Odesi di dentro gran
tumulto; squillan le trombe, echeggiano strida, e vedonsi dalle gallerie tutti li convitati in iscompiglio correr di
qua e di là. 7) Romeo si allontana velocemente. Lorenzo lo segue. 8) Il luogo rimane sgombro; a poco a poco il
tumulto si allontana. Giulietta sola scende dalla galleria. 9) [coro] Di dentro. 10) [Romeo] Per trascinarla
[Giulietta] seco 11) Voci di dentro. 12) Voci sulle gallerie. 13) Tebaldo e Capellio con armigeri da un lato,
dall’altro Lorenzo, Adele, e donne. 14) [Giulietta] frapponendosi. 15) [Tebaldo] A Romeo. 16) Odesi vicino
strepito d’armi e di grida. 17) Coro in iscena. 18) [Romeo] Accennando a Tebaldo. La drammaturgia di queste
sezioni si organizza in quadri che vengono sbloccati da uno choc che consente di costruire un altro «bel gruppo»
capace di eccitare «emozioni forti».
Nel rifacimento del libretto, Bellini e Romani concordano una diversa strategia drammatica, ben più
concentrata sul dramma della coppia di amanti e, di conseguenza, meno spettacolare rispetto all’opera concepita
per Vaccai. Anche il finale ne risente: sebbene sostanzialmente analogo al precedente, in Capuleti e Montecchi,
vengono soppressi tutti gli inni sacri che festeggiavano, dietro le quinte, la celebrazione delle nozze di Tebaldo e
Giulietta. In sostanza l’irrompere dei Montecchi a casa dei Capuleti non avviene in flagranza delle nozze. Il
Fondazione Rossini, 1996, pp. IX-XII che parla del «ben noto fenomeno della anticipazione in sede coreografica – o del
tener viva la tradizione – di soggetti che poi il teatro cantato farà propri». In generale sul rapporto tra ballo e opera tra fine
Sette e primo Ottocento, cfr. Kathleen Kuzmick Hansell, Il ballo teatrale e l’opera italiana, in Storia dell’opera italiana, a
cura di L. Bianconi e G. Pestelli, V: La spettacolarità, Torino, EDT, 1988, pp. 175-306. Della circolazione coreutica di
soggetti poi assimilati dall’opera accenna anche Giovanni Morelli, Ascendenze farsesche nella drammaturgia seria italiana
del grande Ottocento, in I vicini di Mozart, I: Il teatro musicale tra Sette e Ottocento, a cura di D. Bryant e M. T. Muraro,
Firenze, Olschki, 1989, pp. 641-688.
6
Una situazione analoga la riscontra Daniela Goldin, nella Semiramide di Rossi: «Ma l’effetto del dramma è
piuttosto quello di una pantomima, con personaggi che vanno e vengono, si rincorrono sulla scena e ne escono senza che si
completi l’azione; sono indicati nella didascalia, ma non intervengono nel dialogo», Vita, avventure e morte di Semiramide,
in La vera fenice. Librettisti e libretti tra Sette e Ottocento, Torino, Einaudi, 1985, pp. 190-229: 197.
Paolo Russo, Felice Romanis „I Capuleti e i Montecchi" von der ‚Großen' zur ‚pathetischen' Erhabenheit, in Vincenzo Bellini, „I
Capuleti e i Montecchi", München, Bayerische Staatsoper, 2011, pp. 60-83
particolare è rilevante: nel Finale dell’opera italiana ottocentesca il concertato seguiva solitamente uno choc che
rendeva pubblico – quindi drammatico ed epico – il conflitto individuale dei protagonisti. L’irrompere di
Edgardo nel bel mezzo delle nozze di Lucia di Lammermoor con Arturo, per esempio, consente a Donizetti di
amplificare il privatissimo conflitto amoroso di Lucia e Edgardo e renderlo esemplare – dunque tragico, non
soltanto patetico. Uguale effetto sortiva nell’opera di Vaccai l’irrompere dei Montecchi nel pieno delle nozze di
Giulietta: per l’opera di Bellini, invece il finale resta confinato al conflitto privato delle nozze ostacolate e il
Finale non assurge a dramma pubblico. Anche l’ambientazione scenica di Capuleti e Montecchi cambia rispetto
a Giulietta e Romeo: è prevalentemente risolta in vani intimi: atri interni, appartamenti, luoghi remoti, senza
aprirsi in spazi pubblici come il vestibolo dove prende le mosse l’opera di Vaccai.
Per Bellini, dunque, la concezione del dramma di Romeo e Giulietta è svolta in termini meno drammatici
e più elegiaci7: il conflitto resta sostanzialmente interno alla coppia di amanti che non trova il modo di coronare
il proprio sogno d’amore. Nel duetto del primo atto (n. 5), per esempio, Romani trae spunto da un tema di Ducis
e inserisce un conflitto tra i due amanti: Romeo vorrebbe scappare con Giulietta ma questa, in nome del proprio
onore e per dovere filiale, rifiuta. Sia il cantabile che la cabaletta del duetto organizzano così la tensione tra i due
amanti e rendono drammatica una situazione che nell’opera di Vaccai (n. 3) scorreva semplicemente in una
reiterata e impotente lamentela contro l’amore ostacolato. Poiché il dramma si risolve interamente dentro la
coppia, Bellini e Romani evitano accuratamente anche ogni episodio violento: il duello di Romeo e Tebaldo (n.
8) per esempio non giunge al termine con la morte di Tebaldo ma viene interrotto in tempo dai cori funebri per
l’apparente morte di Giulietta. Sopprimono, inoltre, la “situazione” – anch’essa tratta dal ballo di Cherubini – di
Giulietta che rivela nel tempo d’attacco del terzetto con padre e Lorenzo (n. 4) l’amore proibito per un
Montecchi, e rendeva così pubblico, dunque plateale, il drammatico sentimento della ragazza.
Il rifacimento per Bellini prevede numeri più limitati e prevalentemente solistici, meno complessi e con
una più ridotta presenza del coro: numeri insomma che meno richiedono ridondanza scenica e articolati
movimenti di personaggi e popolo. Il nuovo impianto è presentato fin dall’introduzione che in Bellini è ridotta a
un semplice coro (n. 1) seguito da una cavatina di Tebaldo (n. 2) mentre per Vaccai Romani aveva concepito un
ampio numero lirico (n. 1) dove interagivano coro, Tebaldo, Lorenzo ed entrambi i genitori di Giulietta: il
concertato poteva essere dunque dedicato a commentare le riluttanze di Giulietta (assente) avversa alle nozze
con Tebaldo, il tempo di mezzo e la stretta invece ai propositi battaglieri dei Capuleti contro i Montecchi. Nelle
sue due sezioni principali, insomma, la prima introduzione rendeva conto sia del dramma privato che di quello
civile. La semplice cavatina di Tebaldo (n. 2) inserita per Bellini, invece, è decisamente più concentrata
sull’amore, comunque tenero, di Tebaldo per Giulietta. La cavatina di Romeo che segue l’introduzione è
conseguentemente scorciata nel libretto per Bellini (n. 3): Romeo, nei panni di un ambasciatore, canta il suo
cantabile in cui propone pace ai Capuleti in cambio della mano di Giulietta e la sua cabaletta di battaglia quando
viene informato che le nozze sono già combinate con Tebaldo; il coro si limita a pochi interventi nella volta della
cabaletta e l’informazione delle prossime nozze di Giulietta è sbrigata in pochi versi necessari a lanciare la
cabaletta. Nella prima versione della cavatina (n. 2), invece, questa informazione nel tempo di mezzo era
commentata da un primo diverbio tra Tebaldo e Romeo in cui quest’ultimo giungeva ad un passo dal tradire la
sua vera identità: anche questa una «situazione» vista nel ballo di Cherubini e invece soppressa nel rifacimento
per Bellini. Infine, la decisione di Giulietta di assumere la pozione che la addormenterà in sembianze di morte,
viene assunta durante un’aria (n. 7) e non in un duetto con Lorenzo (n. 7). Questa aria di Giulietta, però, come
quella di Romeo nel primo atto, è contrastata da diverse passioni: il cantabile è dedicato all’ansia per i rischi che
presenta lo stratagemma e la cabaletta, successiva all’assunzione della pozione e all’arrivo del padre, è rivolta a
quest’ultimo, con cui Giulietta tenta invano un’ultima riconciliazione.
Nel complesso dunque Romani opera in due direzioni: da una parte riduce il movimento scenico e la
dimensione corale e sociale del dramma, dall’altra – specularmente – sposta il dramma emotivo dentro il numero
lirico e consente a Bellini di diversificare ed animare le sezioni interne. In questo progetto alcuni personaggi
perdono di consistenza drammatica: il ruolo della madre di Giulietta – Adele – presente nel libretto per Vaccai,
viene soppresso (e varrà la pena di osservare che era una delle rarissime presenze di madri nell’opera italiana
ottocentesca, ricca di padri, tutori, parenti di ogni sorta, ma non di figure materne); ma anche il padre di
Giulietta, Capellio, diventa un puro espediente drammatico per creare l’ostacolo all’unione dei due amanti e,
7
Cfr. Jacques Joly, Felice Romani ou le classicisme romantique, in «L’avant scène opéra», CXXII, 1989, pp. 84-88.
Paolo Russo, Felice Romanis „I Capuleti e i Montecchi" von der ‚Großen' zur ‚pathetischen' Erhabenheit, in Vincenzo Bellini, „I
Capuleti e i Montecchi", München, Bayerische Staatsoper, 2011, pp. 60-83
soprattutto, innescare il conflitto interiore a loro stessi: partecipa infatti ai numeri collettivi ma è privato di
un’aria propria (n. 9 in Vaccai) così che non ha modo di esprimere pentimenti e incertezze nemmeno alla
apparente morte di Giulietta.
Certamente questa nuova concezione del dramma faceva i conti con il cast previsto nella stagione della
Fenice di quell’anno che contava le star Rosalbina Carradori (Giulietta) e Giuditta Grisi (Romeo), il «debole
assai», secondo la moglie di Romani, Emilia Branca, Lorenzo Bonfigli (Tebaldo), il «mediocrissimo» Gaetano
Antoldi (Capellio), e Ranieri Pocchini Cavalieri (Lorenzo): due donne nei ruoli principali, ma la tradizione
secolare dei castrati ammetteva ancora che si scegliessero voci acute nei ruoli eroici maschili, anche se ormai
rivestiti da donne. Ugualmente, però, questo nuovo assetto del dramma sposta l’interesse dalle scene d’effetto, e
terribili, proprie del ballo pantomimo, ad un modello tragico più vicino alla tragedia: in sostanza dal sublime
‘grande’ dell’estetica del tempo, si sposta sul sublime ‘patetico’8. Il conflitto tra amore e dovere d’onore e filiale
che sostanzia il duetto tra Romeo e Giulietta (n. 5), per esempio, è tipico del teatro classico, una eco della
drammaturgia propria della tragedia che si innesta nell’opera romantica di Bellini. Nella prefazione al suo
libretto, inoltre, Romani segnala il problema di «giustificare l’andamento del dramma» nonostante i lunghi tagli,
risolto con la divisione in quattro parti «perché negli intervalli che passano fra le une e le altre la mente dello
spettatore supplisce a quello che non appare». È anche questo un problema derivato dalla logica della tragedia
dove erano decisivi «il complesso de’ pensieri e delle circostanze di tutte le persone in azione, le intenzioni loro,
l’influenza che esercitano le passioni accessorie de’ personaggi secondari, le modificazioni delle passioni
principali e secondarie … oltre al piangere contempliamo e pensiamo in cento maniere»9.
La nuova concezione drammatica si riversa nei due numeri più celebri dell’opera di Bellini: la messa in
scena del duello tra Tebaldo e Romeo, ma non cruento perché interrotto dalla notizia della morte di Giulietta, e
nel rifacimento della scena finale. L’aggiunta del duetto tra Tebaldo e Romeo è rilevante: oltre a ridurre la
crudezza dello spettacolo che non prevede più omicidi nel suo corso, consente di mostrare l’attimo in cui Romeo
viene a conoscenza della apparente morte di Giulietta. Nell’opera di Vaccai il coro funebre per Giulietta animava
l’aria di Capellio (n. 9) pentito della sua durezza paterna; in Bellini, invece, provoca la costernazione di Romeo e
lega in modo più organico la climax del dramma alla catastrofe che segue immediatamente. Ormai il dramma è
interamente risolto dentro la coppia: nel finale, il coro introduttivo cambia segno perché non è cantato dai
Capuleti in lutto ma dai Montecchi che accompagnano furtivi Romeo al sepolcro dove è appena stata deposta
Giulietta. Sarà poi sufficiente un’aria di Romeo al sepolcro e un rapido duetto in due sole sezioni al risveglio di
Giulietta per concludere la vicenda sempre saldamente imperniata sul confronto tra i due amanti e solo
rapidamente commentata dal coro conclusivo di Montecchi e Capuleti, da Lorenzo e Capellio, successivamente
sopraggiunti. La versione per Vaccai necessitava invece ancora di una lunga aria di Giulietta in dialogo con
Lorenzo, e la sua morte ‘pubblica’ – col singulto plateale già visto nel ballo di Cherubini – di fronte al popolo e
al padre: trasferiva così, come ultimo gesto, sul piano pubblico e, quindi epico, la sua intima tragedia.
Così rimaneggiata, Capuleti e Montecchi dà voce alle corde elegiache della poesia di Romani, ma al
contempo dimostra che l’operismo italiano degli anni trenta dell’Ottocento per un verso era nutrito dal filone
drammatico più legato alla tradizione terribile e sublime di origine tardo Settecentesca costruita con gesti
icastici, chiari e platealmente contrapposti ma per altro verso tornava a competere con la tragedia e il suo mondo
di complesse e combattute passioni interiori: le angosce e le incertezze d’un cuore lacerato che è terrorizzato dal
suo stesso amore e non cessa tuttavia di amare. Lo stesso personaggio di Romeo perde molto delle tinte eroiche e
8
«Il sublime sarà dunque quello che con la sua smisurata grandezza promuove l’attività della ragione, e ne aumenta
il senso vitale. Ovvero, come dicono Kant e Schiller, il sublime consiste nell’infinito, che sbigottisce i sensi e la fantasia a
produrlo ed a capirlo, mentre la ragione lo crea e l’afferra. Il grande è affine con il sublime, ed un grado minore di esso; ma
se oltrepassa i suoi limiti, in allora gli s’avvicina di più, dicesi colossale. Se la grandezza si riferisce al morale, ne nasce il
nobile, che annunzia un grado maggiore di virtù morale, dando all’oggetto una certa dignità, che influisce una certa stima,
mentre l’ignobile, il comune vengono disprezzati. ... Il patetico è propriamente tutto ciò che eccita gli affetti più forti e più
nobili. Sotto questo rapporto il sublime e le sue affinità prendono tutti un carattere patetico. Il commovente è quello, come
già indica la stessa parola, che mette l’animo in un certo stato di vacillamento tra il piacere e il dolore; ed è perciò che il
sublime è sempre commovente, senza che però tutto ciò che è commovente vesta il carattere di sublime. Il sentimentale è
una specie particolare, ovvero un grado maggiore, del commovente»: Dizionario e bibliografia della musica di Pietro
Lichtenthal, Milano, Fontana, 1836, s.v.
9
Ermes Visconti, Idee elementari sulla poesia romantica cit.
Paolo Russo, Felice Romanis „I Capuleti e i Montecchi" von der ‚Großen' zur ‚pathetischen' Erhabenheit, in Vincenzo Bellini, „I
Capuleti e i Montecchi", München, Bayerische Staatsoper, 2011, pp. 60-83
guerresche che aveva nell’opera di Vaccai e acquista toni più elegiaci: è eroe nel suo amore incondizionato e
disperato più che nell’animo bellicoso. Il suo valore bellico resta in Bellini solo come una eco dell’opera di
Vaccai. Difficilmente Romani avrebbe potuto eliminarlo del tutto: la sua concezione classica dell’eroe non
poteva rinunciare ad un personaggio virtuoso e di alte ambizioni. Proprio su questo punto, d’altronde, solo tre
anni prima aveva criticato aspramente il romanzo I promessi sposi di Manzoni, troppo rivolto a personaggi di
bassa estrazione e senza grandi avvenire.
La competizione dell’opera con la tradizione letteraria avveniva ormai senza assumere modelli tratti
dalla tragedia, come era accaduto nel Settecento, ma grazie alla definitiva messa a punto di forme musicali
complesse e sfaccettate, capaci di dar suono alle passioni più sfumate, graduate e introverse. Laddove il numero
lirico non deve organizzare una tensione drammatica, ma semplicemente esprimere un’unica emozione
chiaramente definita, Romani suggerisce a Bellini (o Bellini chiede a Romani) un testo semplice e non
internamente articolato: è quel che accade all’aria di Giulietta nel primo atto (n. 4), concepita in una sola
sezione, senza cabaletta che consente al compositore di riutilizzare una romanza scritta a suo tempo per Adelson
e Salvini.
“Capuleti e Montecchi” e “Giulietta e Romeo” a confronto
Felice Romani
Giulietta e Romeo
(Milano, 1825)
Felice Romani
Capuleti e Montecchi
(Venezia, 1830)
1) Coro introduttivo di Capuleti battaglieri
2) Cavatina di Tebaldo
Nel cantabile esibizione di orgoglio per le prossime nozze e
per la battaglia imminente; nella cabaletta rassicurazioni di
Tebaldo che non costringerebbe mai Giulietta a sposarlo
contro la sua volontà
3) Scena e cavatina di Romeo
Nel cantabile la proposta di pace e di nozze; nella cabaletta
propositi di battaglia e vendetta
1) Introduzione
Tempo d’attacco con imposizione delle nozze di Capellio;
concertato riflette sull’obbligo delle nozze imposte a
Giulietta; la stretta annuncia battaglia ai Montecchi
2) Scena e cavatina di Romeo e coro
Nel cantabile profferte di pace e nozze; nel tempo di mezzo
diverbio con Tebaldo e coro che suscita dubbi sulla vera
identità dell’’ambasciatore’; nella cabaletta minacce di
battaglia
4) Scena e cavatina di Giulietta.
Monopartita, esprime l’amore disperato per Romeo
5) Duetto di Giulietta e Romeo
3) Duetto di Romeo e Giulietta
Nel cantabile diverbio tra gli amanti perché Giulietta non
cantabile d’amore disperato; cabaletta che celebra amore
vuole fuggire con Romeo; nella cabaletta Giulietta scaccia
eterno
Romeo perché sta per sopraggiungere il padre
4) Terzetto di Giulietta, Capellio e Tebaldo
Nel tempo d’attacco Giulietta ammette col padre di amare un
Montecchi; nel concertato Giulietta si sforza di reggere il
gioco del padre con Tebaldo che le dichiara il proprio amore
mentre Capellio si scusa con lui per l’imbarazzo della figlia;
nella stretta Giulietta è disperata, Capellio la minaccia,
Tebaldo medita di rinunciare a Giulietta.
6) Finale I.
Nel Tempo d’attacco dialogo tra Romeo e Lorenzo;
concertato di stupore quando Romeo si dichiara rivale di
Tebaldo. Stretta con scontro tra i due rivali dopo che il coro
di Montecchi sopraggiunto rivela l’identità di Romeo
5) Finale I.
Nel Tempo d’attacco dialogo tra Romeo e Lorenza; animato
dagli inni nuziali fuori scena; concertato di stupore quando
Romeo si dichiara rivale di Tebaldo. Stretta di sfida tra i due
rivali dopo che il coro di Montecchi sopraggiunto rivela
l’identità di Romeo
6) Coro introduttivo
7) Scena e aria di Giulietta
Nel cantabile esprime timori per l’effetto del sonnifero, nella
cabaletta chiede perdono al padre nel frattempo
sopraggiunto
Commento alla morte di Tebaldo nel duello avvenuto fuori
scena
7) Duetto di Giulietta e Lorenzo.
Concertato sui timori di Giulietta; tempo di mezzo con le
sollecitazioni di Lorenzo ad agire e cabaletta con ottimismo
sulla riuscita dello stratagemma
8) Duettino di Giulietta e la madre Adele
Giulietta chiede perdono alla madre per quel che sta per
Paolo Russo, Felice Romanis „I Capuleti e i Montecchi" von der ‚Großen' zur ‚pathetischen' Erhabenheit, in Vincenzo Bellini, „I
Capuleti e i Montecchi", München, Bayerische Staatsoper, 2011, pp. 60-83
accadere
9) Coro e aria di Capellio
8) Scena e duetto di Romeo e Tebaldo
Coro compiange la sorte di Giulietta, cantabile di vendetta
per la morte della figlia; cabaletta di pianto e richiesta di
perdono a Giulietta
Nel tempo lento i due si sfidano a battaglia, nella cabaletta
esprimono lo sgomento per la notizia della morte
(apparente) di Giulietta nel frattempo intercorsa
9) Finale II.
a) Coro di Montecchi
b) Recitativo e aria di Romeo
c) duetto di Romeo e Giulietta (due sezioni)
e) Finale
10) Coro funebre di Capuleti
11) Aria di Romeo e duetto:
Cantabile in cui Romeo delira credendo di poter svegliare
Giulietta; cabaletta con propositi di suicidio; duetto di
chiarimento tra gli amanti; cantabile con la morte di
Romeo
12) Aria di Giulietta e Finale
Nel cantabile Giulietta chiede a Lorenzo nel frattempo
sopraggiunto di ucciderla; nella cabaletta respinge il
padre anch’egli accorso e invoca la morte su corpo di
Romeo. Finale: Giulietta spira di crepacuore tra la
costernazione generale