© Riproduzione riservata Renata Cruini e Chiara Nifosi (studentesse del corso di Storia del Teatro e della Drammaturgia Inglese – Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, a.a. 2011-12) Solo e Soltanto Romeo e Giulietta? Vero cavallo di battaglia della compagnia ATIR, questa versione del classico shakespeariano “Romeo e Giulietta” è sicuramente una riproposizione anticonvenzionale e più vicina ad una sensibilità contemporanea. Nella sala gremita del Teatro Ringhiera l’accoglienza è delle più calde: gli attori, già pronti ad entrare in scena, occupano rumorosamente la platea e fomentano il pubblico, costringendolo fin da subito a schierarsi dalla parte di una delle due ben note famiglie. In mezzo a cori da stadio e zuffe improvvisate tra le poltrone, lo spettacolo inizia: senza preamboli introduttivi, si è immersi nella contesa tra Montecchi e Capuleti, che si affrontano a colpi di spada e bastone. La prima parte dello spettacolo, che termina con il matrimonio tra i due protagonisti, si svolge in un clima goliardico e frenetico: l’umorismo sboccato e fallocentrico dei personaggi (su tutti il buon Mercuzio), che pur rispecchia i gusti della platea elisabettiana, è sostenuto da un ampio numero di battute aggiunte rispetto al testo originale, e da una mimica molto pronunciata. È di fatto la fisicità spinta fra gli attori in scena a caratterizzare, oltre al linguaggio, tutto il primo tempo della messinscena. Proprio il linguaggio costituisce immediata materia di riflessione: il testo shakespeariano, soprattutto nelle scene più presenti nell’immaginario dello spettatore odierno, è una sorta di canovaccio a cui gli attori si appoggiano per poi mutare completamente registro e toni. Romeo e Giulietta appaiono due ragazzi tanto spensierati da risultare frivoli (mentre potremmo dire che nell’originale Giulietta è più posata e benevolmente calcolatrice, oltre che lievemente malinconica così come in molte altre trasposizioni della tragedia, tra cui i film di Zeffirelli e Luhrmann), e le loro reciproche dichiarazioni d’amore sono adattate alla parlata di due comuni ragazzi di oggi. Attorno ai due giovani innamorati ruotano altri personaggi. Mercuzio non tradisce la sua fama di stravagante, accentuata da un ingresso in scena quanto mai appariscente: egli compare a testa in giù, quasi a simboleggiare il non-senso di una faida il cui esito non può che essere distruttivo. Benvolio diventa una donna invaghita del cugino, angelo custode impotente di fronte agli eventi che investono Romeo. Scompaiono del tutto i genitori Montecchi, mentre la Nutrice di Giulietta gode di grande autonomia scenica, fino a creare situazioni assenti nella partitura originale e spiccatamente comiche. Passiamo alla seconda parte dello spettacolo: il testo imporrebbe a questo punto una decisa virata tragica, ma l’intento sembra essere quello di arrivare in fretta allo scioglimento del nodo. Le ellissi si fanno sempre più frequenti: così come non assistiamo al matrimonio di Romeo e Giulietta che chiude la prima parte, vengono in seguito tagliate o notevolmente ridimensionate anche altre scene, come ad esempio il colloquio tra la ragazza e Frate Lorenzo (sostituita da un resoconto in contemporanea dei due personaggi – espediente ricorrente nella messinscena), o l’uccisione di Paride da parte dello stesso Romeo nella cripta dei Capuleti. Infine, manca il commento conclusivo 1 © Riproduzione riservata del Principe, che nell’opera di Shakespeare ha la funzione di sancire l’ordine ristabilito dal “martirio” dei due amanti. La chiusura è affidata invece a un brano di Fabrizio De André, Disamistade, che al contrario sottolinea il sentimento di totale inutilità che si prova di fronte ad una strage di innocenti, spesso compiuta per futili motivi: “Due famiglie disarmate di sangue si schierano a resa, e per tutti il dolore degli altri è dolore a metà.” Last but not least, la scenografia si presenta semplice ma efficace, delimitata da due serie di teli colorati appesi a delle corde che convergono verso il punto di fuga del palcoscenico; dietro questi teli, tavoli che vengono inseriti in scena a seconda delle esigenze. Un altro telo, questa volta bianco, avanza e arretra illuminato da un proiettore, a creare effetti di luce ed ombra. Il letto dei due amanti, anche questo ricavato dai tavoli impilati, è paragonabile ad una pira sacrificale posta al centro del palco. Un sottofondo musicale di percussioni accompagna spesso le azioni dei personaggi, e, oltre al già citato brano di De André, sono presenti intermezzi di musica contemporanea (il banchetto a casa Capuleti è scandito da un tango ballato dai genitori e diversi brani pop, quasi a trasformare il palco in una discoteca). Nel complesso, lo spettacolo è una godibile attualizzazione del dramma shakespeariano, la cui grave vena tragica viene attenuata e resa fruibile ad un pubblico ampio e desideroso di accostarsi ad un classico del teatro occidentale. Certo si può avanzare una provocazione: l’unica chiave di lettura possibile oggi per questa tragedia sembra essere quella dell’amore contrastato, tema per cui l’opera è giustamente famosa, mentre il contesto culturale e antropologico da cui essa è generata all’apparenza non trova spazio nelle moderne rappresentazioni. Non è che forse si rischia di perdere la consapevolezza della sua straordinaria portata? 2