Musei, marketing e didattica Massimo Melotti Molto spesso nei convegni dedicati alle problematiche museali e a volte nei testi dedicati allo sviluppo dei musei quando si prende in considerazione il possibile rapporto fra istituzioni culturali e marketing si omette di sottolineare, forse perché si dà per scontato, quale sia la natura, l’identità del museo. Quale siano gli elementi fondanti che fanno si che il museo sia ciò di cui si tratta e non un’altra istituzione culturale o un supermercato. Perché anche nel supermercato si conservano dei beni ed anche nel supermercato questi beni vengono esposti, come nel museo, allo sguardo del pubblico. Ma tutti noi diamo per scontato che tra le due forme organizzative vi siano delle differenze sostanziali, anche se per entrambe possiamo utilizzare il marketing. I musei, anche in un’epoca fortemente caratterizzata da un post consumismo a cui si è assommato un diffuso potere massmediale, rimangono, nonostante le derive verso “l’intrattenimento”, quelle istituzioni culturali che, come diceva Benjamin, “fanno parte nel modo più spiccato delle dimore oniriche del collettivo”. Utilizzo questa definizione perché pone in rilievo due elementi fondanti del museo che oggi sono del tutto trascurati: l’aspetto onirico e quindi di memoria e l’elemento del collettivo quindi di comunità o di collettività. Il museo è innanzi tutto un’istituzione in cui vengono conservati e esposti allo sguardo del pubblico beni che, usciti dal circuito economico-sociale in cui il loro valore era determinato dall’uso, hanno assunto le valenze di beni semiofori, cioè portatori di segni, beni ad alto contenuto simbolico. Anche il più umile degli oggetti, entrato nel museo, assume un valore elevato e riconosciuto dalla comunità o dal gruppo sociale a cui esso si riferisce. Questo oggetti sono la rappresentazione materiale, da un punto di vista simbolico, della storia, della memoria collettiva, dei valori su cui si regge la comunità. Non solo, grazie ad essi si crea, in quanto beni semiofori, un collegamento fra visibile ed invisibile. “Tutti , senza eccezione- come sostiene K.Pomian in un fondamentale saggio sulla collezione- svolgono il ruolo di intermediari tra gli spettatori e un mondo invisibile di cui parlano i miti, i racconti e le storie”. Ed ancora, aggiungo, stabiliscono un collegamento verso le generazioni future verso le quali può essere indirizzato l’insegnamento che da essi si trae. Il che sembrerebbe un ruolo più importante che non quello del supermercato, visto che attiene alla formazione dell’immaginario collettivo e a quella essenziale molla primaria che permette all’umanità di progredire o quanto meno di sopravvivere. Se non abbiamo ben presente ciò, rischiamo di chiamare musei altre di istituzioni culturali che non ne hanno le peculiarità, creando una disdicevole confusione a causa della quale si chiede ai musei di svolgere un ruolo che non è loro proprio, e ad altre istituzioni di assumere le caratteristiche del museo che ad esse non competono. Per quanto riguarda il marketing poi, esso ha regole generali ma che devono essere adattate al soggetto. Il marketing dei musei non è lo stesso che quello dei supermercati. L’altro elemento è la rilevanza dell’aspetto collettivo. Elemento che è uno dei fondanti del museo e che oggi non sembra molto preso in considerazione ma che al contrario può costituire, inaspettatamente, una risorsa di marketing. Il museo nasce e prospera solo se vi è una comunità o un gruppo di riferimento. Se il contesto sociale non lo sostiene il museo smarrirà la sua missione e sarà costretto a chiudere. Neanche la volontà politica e neppure la sicurezza delle risorse sono sufficienti per garantire la sua attività o la sua stessa esistenza. Fatte queste due premesse che ci saranno utili in seguito, è necessario prima di considerare il rapporto fra didattica e marketing, rifarsi alla storia dei musei perché vi è un particolare momento che ci può essere utile indagare. Il museo nasce in Europa come “collezione del principe”. Uso questa definizione, anche se non storicamente corretta, perché sinteticamente mi permette di raffigurare simbolicamente il museo come un’istituzione che ha la sua base nel collezionare. Abbiamo una collezione permanente composta da beni ai quali, come abbiamo visto, si attribuiscono valori socialmente rilevanti, fondanti, che hanno corrisposto in passato all’equazione sapere uguale potere. La storia del museo è costantemente segnata da una cessione di questi valori che costituiscono valori di potere. Il principe, le classi dominanti, nel divenire della storia, di fronte alle pressioni delle classi subalterne sono stati costretti via via a cederlo, ad aprire il museo ad una frequentazione di classi sociali sempre più ampia. Concetto di cessione di sapere che ritroviamo anche in uno degli episodi storici da cui si fa nascere il museo moderno. Nel 1675 Elias Ashmole lascia le sue collezioni all’università di Oxford ad uso dei soli studenti, successivamente nel 1683 verranno aperte al pubblico. Questo imprinting di “museo del principe” segna profondamente il museo europeo ed ancor di più il museo italiano. Il museo, divenuto chiesa secolare, comunque è sempre visto come detentore di una cultura che viene concessa, non ancora patrimonio comune. Ad un certo punto però si verifica una divaricazione nella storia del museo. Il museo del nuovo mondo, della nascente nazione americana, assume una missione del tutto nuova. Tra il 1782 e il 1786 il pittore americano Charles Wilson Peale apre a Philadelphia un museo d’arte e di storia naturale il cui scopo dichiarato è l’educazione e l’accrescimento culturale della gente comune. Il museo era aperto anche alla sera “per favorire coloro che potrebbero non avere tempo libero durante il giorno per godere del piacere razionale offerto dalla contemplazione dei vari temi trattati al Museo”. Ciò alla fine del ‘700 mentre ancor oggi, nel nostro paese, non è certo prassi diffusa. E vi è ancora un altro elemento sorprendente. Burgiss Allison, uno dei sostenitori del museo, dichiara “deve essere chiaro a tutti (…) che se riusciamo a divertire mentre istruiamo, il progresso sarà più rapido e l’impressione molto più profonda.” Dopo oltre 300 anni concetti come piacere, istruzione, divertimento non fanno ancora del tutto parte della cultura museale italiana. A due anni dalla sua fondazione il Museum of Fine Arts di Boston inaugura nel 1876 le lezioni per adulti. Brown Goode, direttore del primo museo nazionale della Smithsonian Institution, scrive che i musei dovrebbero essere adattati alle esigenze di tutti i lavoratori. “Nessun museo può crescere ed essere rispettato se non dimostra ogni anno di essere un centro di istruzione”. John Cotton Dana fondatore del Newwark Museum scrive:” Crediamo che ogni collettività ricaverà dei vantaggi dall’aggiungere al proprio apparato educativo un gruppo di persone che diano vita ad un’istituzione locale di istruzione visiva (…). (e i musei) si trasformeranno gradualmente in organismi viventi, con grande abbondanza di insegnanti, ampi laboratori, classi.” Il museo europeo assumerà anch’esso le istanze dell’illuminismo europeo per un’uguaglianza sociale ma è il pragmatismo americano che le realizza, per quanto riguarda i musei, creando un’istituzione che si potrebbe definire public oriented. Una struttura che ha come perno, come centro del suo interesse, il pubblico. Questa è la grande differenza fra museo americano e museo italiano. Nel primo verranno privilegiate tutte le attività divulgative, nel secondo rimarrà di primaria importanza un linguaggio e una comunicazione di elite, per addetti ai lavori. E’ importante tenere ben presente questa distinzione, perché grazie ad essa possiamo comprendere anche i successivi sviluppi e le derive a cui sono soggetti i due sistemi. Nel sistema americano a fronte di una maggiore fruibilità del museo si può verificare la deriva nell’intratteinment, il museo come intrattenimento, in quello italiano l’incapacità di dialogare con il pubblico. Il marketing consiste fondamentalmente in un processo di scambio tra coloro che desiderano un prodotto e coloro che sono in grado di offrirlo. Si definisce come “un processo sociale e menageriale nel quale gli individui e i gruppi ottengono ciò di cui hanno bisogno e che desiderano attraverso la creazione, l’offerta e lo scambio di prodotti che hanno un valore (Kotler, 1994)”. In sostanza gli esperti di marketing lavorano per identificare e soddisfare i bisogni dei consumatori facendoli incontrare con gli individui o le organizzazioni che sono in grado di rispondere a tali bisogni. In ambito museale il marketing può essere utilizzato in molteplici modi che vanno dall’analisi dell’ambiente in cui il museo opera, alle analisi delle risorse disponibili, dalla formulazione della missione, degli obiettivi e dei traguardi alla formulazione di una vera e propria strategia. Ma, al di là delle definizioni politically correct, il marketing è molto spesso una formidabile arma per incrementare i consumi. L ’attenzione per il marketing nasce dal fatto che oggi anche i musei, come si suol dire, “sono sul mercato”. E’ finito il tempo degli stanziamenti assicurati e pertanto si deve porre attenzione alla ricerca e all’uso delle risorse economiche che sono collegate, nella maggior parte dei casi, ad un dato essenziale: l’affluenza di pubblico. Sono i due aspetti del marketing: se ben utilizzato è utile per far crescere l’impresa museo Indicando una serie di proposte di comunicazione, gestione e di sviluppo. Se prevale l’aspetto “consumistico” allora è in grado anche di snaturare la missione stessa di museo. Ma il marketing viene guardato con sospetto dagli operatori museali anche per altri motivi. Spesso i musei considerano le ricerche di marketing troppo costose, a volte la formazione degli operatori esclude ogni conoscenza gestionale per poter interloquire con gli esperti di marketing, ma più ancora i dirigenti dei musei temono che le loro scelte possano venir condizionate dalle logiche di marketing. Questo ultimo aspetto è in Italia il più rilevante. Per le ragioni storiche sopra esposte, per una formazione basata esclusivamente sulla conservazione, per una concezione di fruizione culturale da concedere solo a chi possegga gli strumenti consoni, il museo italiano è restio a utilizzare i mezzi che il marketing offre. Ma il paradosso è che, se da un lato si rifiutano tecniche collaudate che potrebbero rendere l’impresa museo più efficiente salvaguardando la scientificità e la missione dell’istituzione, dall’altro, colto dall’ansia di una modernizzazione, per recuperare il terreno perduto, il museo italiano sembra prediligere proprio quell’aspetto di intrattenimento consumistico negativo che risolve tutto con l’istituzione di un book shop. Ma il marketing museale è ben altra cosa. All’inizio del mio intervento avevo sottolineato come uno degli elementi fondanti del museo è il rapporto con la collettività. Tale rapporto oltre che essere fondante si esplica, o dovrebbe esplicarsi, nell’attività quotidiana del museo. Le attività cosiddette collaterali costituiscono a ben vedere uno degli elementi più significativi dell’attività museale, per certi versi importanti quanto l’attività espositiva. Infatti esse sono, nella maggior parte dei casi, l’esplicazione, la divulgazione della collezione permanente del museo che, come abbiamo visto, rimane l’elemento cardine del museo stesso. Oltre a ciò esse permettono ai membri della collettività di conoscere il museo, di riconoscerlo come luogo sociale, ed infine di divenire dei fruitori costanti delle sue iniziative. Conferenze, incontri con il pubblico, rassegne, spettacoli, visite guidate, social program per le associazioni culturali, le carceri, gli ospedali sono gli strumenti estremamente efficaci che studiati in un’ottica di marketing permettono al museo di creare un proprio pubblico fidelizzato disponibile per le mostre temporanee e non alieno dall’instaurare un rapporto anche economico continuato sotto forma di abbonamenti, iscrizione ad associazioni di amici del museo, ecc... In quest’ottica che rifugge l’opzione del marketing consumistico fine a se stesso ma previlegia il marketing gestionale compare la necessità della formazione di una nuova figura di operatore museale che abbia la funzione di comunicare e divulgare al pubblico il sapere del museo. Un operatore che abbia una conoscenza di buon livello della materia trattata, che conosca i processi di apprendimento, che sia particolarmente portato alla comunicazione verbale e gestuale e, soprattutto, esperto nella divulgazione. Se infatti è necessario come è necessario aprire il museo al pubblico per aumentarne la fruizione cosciente, si rende necessario altresì creazione di una nuova figura professionale che abbia in generale il compito di rendere accessibile al pubblico la lettura del museo in modo intelligente e possibilmente non noioso. Chi lo può fare? Se si hanno risorse e tempo vi è la possibilità di istruire appositamente personale con queste caratteristiche ma, a mio avviso, esiste già un dipartimento nel museo che può svolgere questo ruolo ed è il dipartimento educazione. Da quanto ho detto, già vi potete immaginare come io non creda che il marketing sia conflittuale con la didattica e che creda più ad un’alleanza.