200 ANNI 1816-2016 GUIDA AI PARCHI CITTADINI 06 PARCO DI VILLA TORELLI MYLIUS “Achille Cattaneo” ASSESSORATO ALL’AMBIENTE E VERDE URBANO. Area XI Attività Verde Pubblico La presente collana è stata curata dai tecnici dell’Attività Verde Pubblico del Comune di Varese Dott. For. Chiara Barolo, Arch. Lorenza Castelli, Dott. Agr. Ilaria Merico, Dott. For. Pietro Cardani. Si ringrazia Silvia Motta per l’attività di ricerca bibliografica riguardante la mitologia degli alberi svolta durante il periodo di servizio di leva civica regionale. PRESENTAZIONE Cari Varesini e cari turisti, Un ringraziamento al Geom. Michele Giudici dell’Area IX - Ufficio Sistema Informativo Territoriale. Riferimenti bibliografici • Botanica Forestale – Volume Primo e secondo – Romano Gellini e Paolo Grassoni – Cedam Padova 1997; • Cottini P. - “I Giardini della Città Giardino” – Edizione Lativa – dicembre 2004; • Sulla Condizione dei Parchi Pubblici della Città di Varese – Tomo I-II-III-IV a cura del Prof. Salvatore Furia – 1978- Atti in possesso del Comune di Varese - Attività Verde pubblico . • Mitologia degli alberi – Dal giardino dell’Eden al legno della Croce, Jacques Brosse – BUR Rizzoli Saggi, 1991 R.C.S. Libri & Grandi Opere S.p.A. Milano; • La Natura ed i suoi simboli – Piante, fiori e animali – Lucia Impelluso - Dizionari dell’Arte Edizioni Varese è la nostra città-giardino. E come poterla scoprire meglio se non con queste guide e mappe, molto comode e pratiche? I parchi sono un bene prezioso che negli ultimi anni abbiamo preservato e cercato di migliorare, anche ampliandone gli spazi verdi. Varesini e turisti hanno la possibilità di scoprirne la ricchezza, dal patrimonio arboreo e botanico alle peculiarità architettoniche presenti nei giardini principali. Non mancano le info turistiche per raggiungere i sei parchi cittadini. Palazzo Estense e Villa Mirabello, Villa Toeplitz, Villa Augusta, Castello di Masnago, Villa Baragiola e Villa Mylius: le guide passano dai cenni storico-artistici alla descrizione e al posizionamento, con le mappe, degli alberi monumentali. Grazie al lavoro attento dell’assessorato al Verde pubblico, le guide sono state ampliate e ristampate. Non mi resta che augurarVi un buon giro all’aria aperta accompagnato da un’ottima lettura. Il Sindaco di Varese Attilio Fontana Cari tutti, Della stessa collana Giardini Estensi e Parco di Villa Mirabello Parco di Villa Augusta Parco del Castello di Masnago (Mantegazza) Parco di Villa Baragiola Parco di Villa Toeplitz Progetto grafico e impaginazione: Magoot Comunicazione Costruttiva - www.magoot.com Stampa: Bosetti Group S.r.l. - Gorla Maggiore (VA) - Maggio 2016 In questo 2016, anno del Bicentenario dell’elevazione di Varese a Città, è un piacere avere l’opportunità di presentare al pubblico i libretti della collana, “Guide ai Parchi Cittadini” quale contributo per testimoniare la bellezza e la ricchezza della Città Giardino. Nelle guide si trovano aneddoti e cenni della storia delle famiglie che hanno creato questi parchi meravigliosi, che li hanno vissuti e che ce li hanno tramandati. Si trovano le descrizioni degli alberi autoctoni, di quelli esotici, dei più rari e più preziosi, oltre ai bellissimi alberi monumentali, tanto amati dalla Città, e alcuni vero e proprio simbolo Bosino. I Giardini sono Storia e Cultura insieme; rappresentano l’essenza della capacità e sensibilità degli uomini di plasmare il territorio nel rispetto della Natura dei luoghi, con l’obiettivo di poter godere appieno delle meraviglie che offre. Sono parchi pubblici, sono di tutti: ad ognuno di noi, quindi, il diritto di goderne appieno delle bellezze che offrono, ma anche il dovere di rispettarli e averne cura, per il presente, per il futuro. L’Assessore al Verde Pubblico e Tutela Ambientale Riccardo Santinon CENNI STORICI L’origine del compendio Villa e Parco TorelliMylius, oggi dedicato ad “Achille Cattaneo”, può agevolmente essere fatta risalire al XVIII secolo attraverso l’esame dei documenti catastali. Intorno al 1720-30 il luogo risultava appartenere in massima parte all’istituzione religiosa dei Padri Gesuiti di Varese. Qui campeggiavano due porzioni di edificio accostate (“sito di casa” e “casa da massaro con orto”) collocate in corrispondenza del nucleo originario della villa. La parte rimanente apparteneva alle Monache di S. Maria del Monte con lotti suddivisi fra altre proprietà private. L’area circostante, che attualmente ricade all’interno dell’attuale perimetro del parco, era destinata per lo più a prato con coltivazione di vigneti e gelsi. Dopo il 1773 l’ordine religioso fu espropriato della proprietà che passò così alla famiglia Torelli. Nei primi anni del 1800 il modesto edificio fu ampliato e destinato, al piano terreno, a filanda. Nel 1861, sulle cartografie catastali, risultava infatti identificato in parte come “casa colonica” e parte come “casa di villeggiatura”. Nel 1905 la proprietà dell’ing. Enea Torelli passò al cav. Carlo Giorgio Mylius, industriale della tessitura. Il nuovo proprietario provvide ad un definitivo abbellimento della villa che figura nelle tavole catastali come “edificio urbano”, ma meglio descrivibile come “villa di Delizia”. Alla morte del cav. Mylius la proprietà passò ad una cospicua schiera di eredi che, nel 1946, la vendette all’industriale Achille Cattaneo, il quale vi ap- portò ulteriori trasformazioni. Risale infatti ai primissimi anni della seconda metà del ‘900 la realizzazione, in aggiunta al corpo centrale, dell’elegante porticato, sormontato da terrazzo con balaustra. Gli accurati disegni allegati all’istanza vennero infatti inoltrati all’Amministrazione comunale da parte del cav. Achille Cattaneo nel 1950. I parterres attualmente presenti sulla terrazza e la relativa fontanella centrale sono invece riconducibili ad un’epoca compresa tra il 1907 ed il 1934, come documentato dalla cartografia aerofotogrammetrica e dalla documentazione fotografica anteriore a tale periodo. Queste mostrano un terrazzamento sostanzialmente diverso dalla situazione attuale, senza parterre e con balaustre classiche sormontate da statue. Non v’è purtroppo più traccia degli “splendidi parterres graziosamente guarniti di superbe aiuole fiorite, nelle quali sono ben armonizzati i colori” come composti dal capo giardiniere Alessandro Motta e segnalati dal Bollettino della Società Orticola Varesina nel 1913. Il parco posto alla base del colle dei Miogni Inferiori “[…] non teme confronti sia per quanto attiene la superficie sia per la sapiente distribuzione delle aree ornamentali e delle imponenti alberature”( Cottini Paolo, “I Giardini della Città Giardino”, Edizione Lativa, pag. 77): trattasi infatti di 78.000 mq dei quali ben 64.750 di superficie a verde. In particolare il giardino paesaggistico-romantico che vediamo ora è pressoché il risultato della ristrutturazione commissionata nei primi anni del ‘900 dal Mylius per modificare i preesistenti appezzamenti rurali a prati da foraggio, viti e gelsi per l’allevamento dei bachi da seta della famiglia Torelli. Tutt’oggi è ancora apprezzabile il disegno del paesaggista milanese marchese Achille Majnoni d’Intignano (1855-1933): rimangono le ampie distese prative esaltate da masse arboree di conifere esotiche e latifoglie mediterranee od ornamentali. Sapientemente spaziati troviamo individui adulti di faggi, platani, sughere e lecci del Mediterraneo, sophore giapponesi, cedri dell’Himalaia, del Libano e del Marocco, sequoie e tsughe americane, falsi cipressi, pecci del Caucaso e di montagna, pini silvestri, il famoso Ginkgo biloba, ovvero tutte quelle specie diffusamente presenti anche nei parchi pubblici varesini. Pregevolissimi anche residuali esemplari di autoctoni castagni e secolari carpini bianchi nella zona a selva in fregio alla via Crotti, oltre a due esemplari di rovere preesistenti alla trasformazione paesistica ornamentale di quello che fu un grande appezzamento agricolo produttivo. Alla base del pianoro che sorregge la Villa oltre un centinaio di palme Liberty della Manciuria ci ricordano la mitezza del clima insubrico. Sul compendio è stato imposto con D.M. del 1° giugno 1953 il vincolo di notevole interesse pubblico per la protezione delle bellezze naturali, ai sensi della L. 1497 del 29.06.1939, “perché la pregiata vegetazione arborea di detto immobile dona alla località una nota paesaggistica di non comune bellezza”. Lungo viale Aguggiari, e lungo la via Fiume, in seguito a ricorso amministrativo sul provvedimento di apposizione del vincolo statale, vi sono state alcune lottizzazioni che hanno ridotto l’ampiezza originaria del parco Mylius a partire dagli anni ’70. La realizzazione, sulla sommità del colle dei Miogni retrostante la villa, di una piscina con sottostante locale tecnico e relativi servigi igienici e spogliatoi si presuppone risalga a metà del ‘900 in sostituzione di una rettangolare pre-esistente. Si legge, infatti, sulla stampa dell’epoca che a partire dal ’52 si iniziò a costruire alle spalle della villa una piscina a forma d’albero, benché nella cartografia del Nistri del ’53 ancora non figuri. La documentazione conservata presso l’archivio privato di Pietro Porcinai testimonia inequivocabilmente la paternità dell’intervento. Ciò è documentato tanto dalla firma degli elaborati grafici di progetto, quanto dalla corrispondenza intercorsa, tra il 1951 ed il 1955, tra il paesaggista ed il cav. Achille Cattaneo. Risale infatti al 14 febbraio 1951 la lettera con cui Pietro Porcinai scrive al Comm. Achille Cattaneo dichiarandosi “lietissimo” di “sistemare il parco della Sua villa”, su suggerimento del Cav. del Lavoro Silvio Mazzucchelli (proprietario di villa San Pedrino). Riporta la data del 7 aprile 1952 il disegno della piscina, che corrisponde quasi totalmente all’attuale stato di fatto, dove sono espressamente indicate le vasche circolari interne per l’allocazione delle piante acquatiche. Un anno più tardi la piscina doveva presumibilmente essere in fase di avvio, in quanto in una lettera del maggio ’53 vengono inviati al Comm. Cattaneo ulteriori otto “disegni relativi alla zona piscina”; nel luglio dello stesso anno il collaboratore di Porci- nai, l’arch. Enzo Vannucci, fa espresso riferimento ai lavori di costruzione dell’impianto di depurazione. Il trampolino pare invece essere un ‘pezzo unico’, appositamente disegnato dal Porcinai per villa Mylius, visto che viene espressamente indicato come “originalissimo” nella lettera del 1° luglio 1953 e poi realizzato su dettagliato disegno nel maggio 1954. Il progetto ideato dal Porcinai non era tuttavia limitato all’ampliamento della piscina nella conformazione odierna, ma ha riguardato tutta la sistemazione dell’area sulla collinetta: “livellamento generale”, realizzazione dei lastricati in pietra e del piazzaletto (a pezzi rettangolari, trapezoidali, e a dischi difformi posti in alternanza), realizzazione del fabbricato ad uso spogliatoi con il pergolato in elementi prefabbricati, arredamento del bar, progettazione del locale depurazione e realizzazione dei relativi impianti. Il 30 maggio del 1955 l’intero progetto risulterebbe ultimato, ad eccezione “del giardinaggio ancora incompleto” e della doccia esterna. Ancora al giorno d’oggi non risultano tracce dei previsti impianti di illuminazione della vasca e del giardino, di irrigazione a pioggia e del “toboga”, contemplati invece nei vari documenti. Nella parte meridionale del parco, invece, ad un fabbricato accessorio documentato sin dal 1934 si sono aggiunti, intorno agli anni ’80, per quanto desumibile dalla comparazione della documentazione cartografica disponibile, il campo da tennis e gli attigui servizi igienici, nonché il definitivo abbandono dell’accesso da via Botticelli, di recente riattivato dall’Amministrazione comunale. Come in molti parchi urbani di Vare- se è rilevata anche una preziosa componente faunistica che ispira i criteri progettuali. Le scelte prendono in considerazione anche la presenza dei roditori scoiattolo (Sciurus vulgaris), ghiro (Glis glis), quercino (Eliomys quercinus), moscardino (Muscardinus avellanarius), topo selvatico (Apodemus sylvaticus), oltre a insettivori come il riccio (Erinaceus europaeus), il toporagno comune (Sorex araneus), la talpa (Talpa europea), la crocidura (Crocidura russula) e dei chirotteri quali il pipistrello serotino (Eptesicus serotinus). Non si esclude la presenza della civetta (Athene noctua), del gufo comune (Asio otus), dell’allocco (Strix aluco) mentre certa è quella delle comuni cince (paridi), pettirosso (turdide), fringuello e verzellino (fringillidi); ed ancora della ghiandaia, dell’upupa (upupide), del picchio muratore (sittide) e del picchio verde e del torcicollo (picidi). Nel dicembre 2007 l’intero complesso è stato donato al Comune di Varese da parte della Fondazione Cattaneo, con la precisa imposizione di destinare gli immobili a sede “per la promozione e lo svolgimento di attività culturali, museali, congressuali, di formazione, di ricerca, di studio”, ed il parco a “parco pubblico, con l’obbligo di intitolarlo ad Achille Cattaneo”. Dal 2008 il Comune di Varese cura la manutenzione e sta predisponendo le attrezzature del parco per soddisfare le esigenze dei sempre più numerosi frequentatori. DESCRIZIONE BOTANICA 1. ABETE ROSSO o PECCIO *Fam. Pinaceae Picea abies (L.) Karst. (= P. excelsa (Lam.) Link) Originario del Nord Europa vive normalmente oltre i 1000 m. Il nome latino è dovuto alla quantità di resina prodotta, infatti in passato da essa si ricavava pece. Albero che in condizioni ottimali può superare i 50 m d’altezza, dalla corteccia brunastra, ha rami regolari coperti da una chioma verde scura e a profilo piramidale. Gli strobili (pigne) sono sempre rivolti verso il basso e, rilasciati i semi, cadono al suolo ancora interi, gli aghi sono disposti all’intorno dei rami; queste caratteristiche lo distinguono dall’abete bianco, con aghi disposti a pettine e strobili rivolti verso l’alto che si decompongono giunti a maturazione. L’apparato radicale si sviluppa orizzontalmente, è quindi superficiale, e ciò spiega come la pianta possa essere facilmente sradicata dai venti forti. Questa specie ha un grosso impiego in ambito forestale e tecnico, perché il suo legno è di ottima qualità e tenero; se proveniente da alberi vecchi di oltre 200 anni, grazie alle sue eccezionali proprietà di risonanza, viene utilizzato nella costruzione di casse armoniche per gli strumenti musicali (i violini Stradivarius sono costruiti in Abete rosso di Paneveggio). Dello stesso genere ma con areale disgiunto è l’ABETE ROSSO DEI BALCANI o DI SERBIA *Fam. Pinaceae - Picea omorika (Pančić) Purkině, originario di Serbia e Bosnia, dov’è sopravvissuto all’Era Glaciale, può raggiungere i 30-35 m di altezza ma ha crescita piuttosto lenta, coltivato per lo più a scopo ornamentale: ha chioma molto stretta e portamento slanciato; a differenza delle altre piante appartenenti al genere Picea presenta aghi appiattiti; i coni, lunghi 2,5-5 cm, penduli, hanno grandi squame arrotondate, dapprima di colore porporino, infine marrone scuro a maturità. Rispetto agli altri pecci tollera maggiormente l’inquinamento urbano. Confuso molto spesso con l’abete bianco, il peccio parrebbe non avere una personalità mitica propria. Sembra che nella Grecia classica fosse dedicato ad Artemide, la Signora dell’albero, dea della vita selvatica, divinità venuta dal nord ove l’abete rosso era considerato albero della nascita, divenuto, poi, il nostro albero di Natale. 2. ACERO GIAPPONESE *Fam. Aceraceae Acer palmatum Thunb. Acero originario del Giappone, molto diffuso come pianta ornamentale, grazie soprattutto alle foglie a 7 lobi molto incisi con margine seghettato, che assumono, prima di cadere, colorazione rosso intensa in autunno. Raggiunge i 4-5 m di altezza; ne esistono più di 300 cultivar: dagli esemplari nani adatti ai giardini rocciosi agli alberi più o meno grandi con chioma allargata, con una grande varietà di forme e colori per quanto riguarda le foglie. 3. ALLORO o LAURO *Fam. Lauraceae Laurus nobilis L. Arbusto o alberello sempreverde, alto fino a 12 m, con foglie lanceolate od ovali, coriacee, di colore verde scuro, lucide sulla pagina superiore, molto aromatiche; produce piccoli fiori gialli a forma di stella all’ascella delle foglie, seguiti da bacche ovali dapprima verdi e poi nerastre. Diffuso intorno al Mediterraneo, fra i boschi di leccio e di roverella. Nella Grecia antica il lauro era considerato pianta sacra ad Apollo, mentre i Romani lo adoperavano come simbolo di successo. Si parla dell’alloro in un racconto contenuto nelle Metamorfosi di Ovidio in cui è protagonista una ninfa, Dafne. Divinità minore che amava vivere libera e indipendente, percorrendo la solitudine delle foreste, fu concupita da Apollo che, vantandosi di poter sfuggire al potere di Eros, ne fu soggiogato e si innamorò di Dafne. Insensibile verso l’amore del pretendente, la ninfa chiese al padre Peneo di mutarla in un albero, l’alloro. Apollo, non potendo averla in sposa, ne fece l’albero a lui consacrato. Ritroviamo questo albero in un avvenimento prodigioso riferito da Plinio. La promessa sposa di Cesare Augusto, Livia Drusilla, si vide cadere in grembo una gallina di una sorprendente bianchezza, lasciata precipitare da un’aquila, senza che si ferisse. Nel becco portava un ramoscello d’alloro carico di bacche, evento prodigioso per cui gli aruspici (sacerdoti dediti alla divinazione) ordinarono di custodire l’animale e la sua prole, oltre che di piantare il ramo e di vegliare su di esso. Fu così che la casa di campagna dei Cesari prese il nome di Ad Gallinas (Alle Galline), luogo in cui nacque un boschetto di allori. Da quel momento l’alloro divenne la corona di Augusto e così, dopo di lui, quella di tutti gli altri imperatori. Nel Medioevo l’alloro coronava i giovani dottori che avevano discusso con buona riuscita la tesi: il termine “laurea” deriva proprio dal nome della pianta, Laurus nobilis. 4. CARPINO BIANCO *Fam. Betulaceae Carpinus betulus L. Albero alto 15-20 m, non particolarmente longevo in natura (150-200 anni). Ha fusto a se- zione irregolare per la presenza di costolature e corteccia grigia e liscia molto simile a quella del faggio, foglie che in inverno rimangono a lungo secche sulla pianta; sopporta bene le potature e può essere sagomato a piramide, a colonna, a pergolato come nei Giardini Estensi. Architetture vegetali tipicamente in carpino erano i roccoli settecenteschi per l’uccellagione. È distribuito in tutta l’Europa centrale; in Italia è presente su tutto l’arco alpino, in Liguria, Emilia e Toscana e meno frequentemente nell’Appennino meridionale. Insieme alla farnia (Quercus robur) costituiva la specie tipica del bosco planiziale della pianura padana. Carpino viene dal latino carpinus, derivato a sua volta dal celtico car , legno, e pin o pen, testa, perché il carpino serviva un tempo a fare i gioghi per animali da lavoro. Una delle poche leggende legate al carpino è la seguente: Astolfo, re dei Longobardi, era solito andare a caccia con il suo fedele falcone. Un giorno lo lanciò, ma dopo poco l’animale scomparve in un fitto bosco. Lo cercò in ogni luogo, ma senza successo. Decise, allora, di fare un voto: se lo avesse ritrovato avrebbe fondato una città e una chiesa dedicata alla Madonna. Dopo numerose ricerche lo vide appollaiato sul ramo di un albero di carpino. In quel luogo fu fondata la emiliana Carpi e fu eretta una chiesa alla Madonna. Tipiche architetture vegetali composte di carpino sono i “berceaux” o “carpineti” tipici dei giardini alla francese ove erano destinati a piacevoli passeggiate al riparo dal sole: l’abbronzatura avrebbe, infatti, compromesso il ricercato colorito madreperlaceo tipico della nobiltà settecentesca. I camminamenti ombrosi che da Palazzo Estense salgono alla collina modellata da 400 operai denominata “Castellazzo” o “Belvedere” furono disegnati dallo stesso Duca Francesco III D’Este nel 1770 che vi impiegò circa 4000 piantine di carpino bianco. Il mantenimento in sagoma del carpineto richiede potatura annuale e sostituzioni periodiche degli alberi che via via muoiono, spossati dalla mano dell’uomo. Altra celeberrima architettura vegetale composta dal carpino bianco è il roccolo per l’uccellagione, architetture da aucupio. L’origine dei roccoli pare sia da circoscrivere al territorio della Lombardia, durante l’epidemia di peste diffusa nel corso del XVI secolo per catturare con grandi reti stormi di uccelli migratori, per lenire la carestia divampante. Il ‘roccolo’ avrebbe dunque avuto origine nel bergamasco (vedasi la tradizione culinaria popolare: polenta e osei), per poi diffondersi gradualmente, nei secoli successivi, in tutto il nord Italia; furono gli uccellatori bresciani a promuoverne la diffusione in Trentino e da lì, fino all’area meridionale tedesca. Il ‘roccolo’ è fondamentalmente composto da due elementi: un’alberatura generalmente a forma circolare o a ferro di cavallo (tondo), vario ed accogliente per le diverse specie di volatili costituito generalmente da un doppio filare di carpino bianco (altrove faggio, larice) resistente alle necessarie, numerose potature e con fogliame mantenuto anche in autunno/inverno; ed una costruzione a forma di torretta (casello) in posizione preferibilmente elevata in funzione delle linee di migrazione o delle aree di sosta dei volatili e per individuare per tempo l’arrivo degli stormi. 5. CASTAGNO *Fam. Fagaceae Castanea sativa Mill. Albero che assume portamento maestoso, con chioma espansa e rotondeggiante quando ha molto spazio libero intorno, alto mediamente 15-20 m, talora anche 30 m con 6-8 m di diametro; è anche assai longevo potendo raggiungere e superare i 400-500 anni di età. Le foglie, decidue, lunghe 12-20 cm, dai margini dentati, sono ellittico-lanceolate con apice bre- vemente acuminato, di consistenza coriacea e di colore verde intenso; i fiori sono portati in lunghi amenti, dal caratteristico e penetrante odore emanato da quelli maschili. Il frutto è racchiuso nel caratteristico riccio. L’areale originario è di difficile determinazione, in quanto il castagno è stato coltivato fin dall’antichità, per l’utilizzo del legno e del frutto: allo stato spontaneo lo si trova in un’ampia area gravitante sul Mar Mediterraneo orientale, con limite settentrionale costituito dai Pirenei, dalle Alpi e dal Caucaso. Se ne può ammirare uno monumentale sulle pendici dell’Etna, nel comune di Sant’Alfio (Catania), a 700 m s.l.m. Nel tronco cavo di questo albero millenario era stata ricavata una rientranza in cui, nel XVI secolo, Giovanna d’Aragona, per sfuggire ad un temporale, si rifugiò sotto le sue immense fronde con tutto il seguito e da allora prese il nome di “castagno dai cento cavalli”. Successivamente, al suo interno, venne costruita una casettina con un forno, alimentato coi pezzi della pianta stessa, per cuocerne i frutti; alla lunga un simile trattamento lo danneggiò al punto che l’enorme tronco si divise in tre. 6. CEDRO DELL’HIMALAYA *Fam. Pinaceae Cedrus deodara (Roxb.) G. Don Cedro proveniente dall’Himalaya dove può raggiungere anche i 50 m di altezza; nel proprio areale vive tra i 1000 e i 2800 metri di quota, ma trova, all’interno dei parchi cittadini un ter- prima della sepoltura del padre. Nel 1973 il dendrologo inglese Hugh Johnson contò non più di 400 esemplari nella foresta del Djebel in Libano a 2000 metri di altitudine. I più grossi esemplari presentavano una circonferenza di 15 metri raggiunti in 2500 anni. Il più grande e monumentale esemplare varesino è radicato al parco Mirabello. Impiantato nel 1859, all’età di 10 anni, pare in occasione della visita a Varese del primo Re d’Italia Vittorio Emanuele di Savoia, in “soli” 167 anni (1849-2016) ha raggiunto una circonferenza di 10 m! Una curiosità: il catasto teresiano (1723-1756) indica che prima del Cedro del Libano c’era un ronco ad uso roccolo per l’uccellagione (si veda la scheda relativa al carpino bianco). reno fertile per il suo sviluppo. Questa pianta ha, di solito, la punta piegata verso il basso, e spesso anche le estremità dei rami sono incurvate; si distingue dagli altri per gli aghi lunghi 30-50 mm, piuttosto molli. Nell’idioma locale è chiamato “deva-darà”, letteralmente “l’albero degli dèi”, infatti è considerato sacro nelle regioni di origine (Himalaya, Afghanistan e Belucistan). 7. CEDRO DEL LIBANO *Fam. Pinaceae Cedrus libani A. Richard Originario del Libano (dove ne sono rimasti pochissimi esemplari), della Cilicia e dei Monti del Tauro (Turchia), questo cedro ha fusto spesso policormico ed è di lento sviluppo, raggiunge notevoli dimensioni e aspetto maestoso, con rami secondari a candelabro, chioma verde cupo e cima spesso tabulare negli esemplari adulti. I cedri universalmente considerati più belli e spettacolari sono quelli che si trovano in Libano, precisamente nella Forest of the Cedars of God. Per la protezione di questa pianta il governo libanese ha istituito tre aree protette: la riserva dei cedri dello Shuf, la riserva di Horsh Eden e la riserva delle foreste di Tannourine. Introdotto in Europa già alla fine del XVII sec., in Italia i primi esemplari furono piantati, nel 1787, nell’Orto Botanico di Pisa. Nell’antico Egitto l’olio distillato dal legno era utilizzato nell’imbalsamazione dei defunti. Questo cedro è il simbolo dello Stato Libanese ed è raffigurato al centro della bandiera nazionale. Lo straordinario prestigio del cedro gli viene in gran parte dal fatto di essere spesso citato nella Bibbia; il suo legno sarebbe servito nella costruzione del tempio di Gerusalemme. Il versetto 1, 17 del Cantico dei cantici di cui sarebbe autore Salomone così recita: “Gli assi della nostra casa sono di cedro”, commentato dal filosofo Origene d’Alessandria (II-III sec. d.C.) con le seguenti parole: “Il cedro non marcisce; fare di cedro le travi delle nostre dimore significa preservare l’anima dalla corruzione”. Gli arabi hanno una venerazione tradizionale per questi alberi: attribuiscono loro non soltanto la forza vegetativa che li fa vivere eternamente, ma anche un’anima che consente loro di dar segni di saggezza, di preveggenza, simili a quelli dell’istinto degli animali e dell’intelligenza negli uomini. Di cedri si parla in uno dei più antichi scritti conosciuti, l’Epopea di Gilgamesh, di origine sumerica; l’eroe, in cerca dell’immortalità, un giorno deve affrontare il mostro Khumbaba, a cui gli dèi hanno affidato la custodia della foresta di cedri che appartiene a loro; secondo gli orientalisti questa doveva verosimilmente trovarsi sul M. Amano tra la Siria e la Mesopotamia; questo racconto attesta dunque che fin dalla più remota antichità i cedri furono votati agli dèi. Da leggende medioevali pare che il ramo tenuto in mano da Mosè per dividere le acque del mare fosse del Cedro del Libano nato da un seme posto nella bocca di Adamo da suo figlio Seth 8. CIPRESSO DI LAWSON o DELLA CALIFORNIA *Fam. Cupressaceae Chamaecyparis lawsoniana (A. Murr.) Parl. Albero originario della costa occidentale del Nord America che può raggiungere notevoli dimensioni nel suo areale naturale: 50 m di altezza (in Europa 25 m) e 2 di diametro; è anche assai longevo, potendo raggiungere età di 500 anni. Dal portamento eretto piramidale con cima arcuata e pendente, ha foglie squamiformi lunghe 1,5 mm, opposte e appressate al ramo, strobili globosi di 8 mm di diametro rosso-bruni a maturità, formati da 8-10 squame (che, una volta aperte, assomigliano a chiodi) ognuna contenente 2-4 semi alati. Adatto a climi a elevata umidità atmosferica e piogge distribuite durante l’anno, con inverni miti, molto resistente al vento. È detto anche “falso cipresso” e ne esistono moltissime varietà ornamentali distinte per portamento (sono state selezionate anche forme nane e prostrate), forma e colore della chioma. 9. CRIPTOMERIA o CEDRO ROSSO DEL GIAPPONE *Fam. Taxodiaceae Cryptomeria japonica (L.f.) D. Don Albero sempreverde alto fino a 40 m con chioma strettamente piramidale, di colore verde lucente, piuttosto rada, con apice arrotondato; tronco colonnare, dritto con base allargata, nodoso, con corteccia rosso-bruna che si squama in strisce longitudinali. Foglie aghiformi verdi, appiattite alla base, lunghe fino a 1,5 cm, appuntite ed incurvate verso l’esterno, inserite a spirale tutt’intorno ai rametti, persistenti 4-5 anni. In inverno le foglie assumono una colorazione scura per la formazione di pigmenti protettivi contro il freddo. Infiorescenze maschili ovali di circa 3 mm, giallo-brunastre all’ascella delle foglie, le femminili verdi all’apice dei rametti. Fiorisce in marzo. Coni rotondi squamosi di circa 2 cm di diametro portati su corti rametti rivolti verso l’alto, con 5-6 spine per ogni squama. 10. FAGGIO *Fam. Fagaceae Fagus sylvatica L. Albero che raggiunge i 30-35 m di altezza con diametro anche superiore a 1,5 m; normalmente può vivere sino a 150 anni di età, ma in circostanze particolarmente favorevoli può raggiungere anche 300 anni. La pianta si riconosce facilmente per la corteccia grigia e liscia, le foglie ovali dal margine intero e leggermente ondulato di colore verde scuro a maturità e rossastre in autunno; i frutti, detti faggiole, a maturità si aprono in 4 valve liberando 2 semi. Il faggio è una delle specie più importanti in Italia sia per l’estensione dei suoi boschi sia per l’uso del legno nell’industria del mobile, nonché per la sua bellezza ornamentale; è specie esclusiva dell’emisfero settentrionale ed è presente in tutta Europa, dalla Spagna all’Ucraina, fino alla Norvegia meridionale. Un tempo si utilizzava la corteccia del faggio, febbrifuga e tonica, anche contro la dissenteria. Il catrame del suo legno, distillato a secco, il creosoto, potente antisettico scoperto nel 1832 da Reichenbach, viene usato dall’industria farmaceutica come disinfettante dei polmoni nella composizione di molti sciroppi. La varietà Asplenifolia, ornamentale, si caratterizza per le foglie a margine molto inciso e lamina stretta; il faggio pendulo, a differenza delle altre varietà, che si distinguono per il colore e la forma delle foglie, si caratterizza per il portamento del fusto e dei rami, eretto fino a una certa altezza e poi piangente; il faggio rosso ha foglie di colore porpora al momento dell’emissione e violetto scuro a maturità. Nell’antica Roma l’esistenza di un quartiere chiamato Fagutal, che ancora prima era stato un bosco sacro di faggi (secolo I a. C.), fa pensare che in epoche remote il faggio fosse oggetto di culto. Così, anche cento anni più tardi, all’epoca di Plinio, di fianco ad un faggio sacro si trovava un tempio dedicato a Jupiter Fagutalis (dal latino fagus). In Lorena e nelle Ardenne lussemburghesi si credeva che non ci fosse folgore che potesse colpire questo albero, cosa che lo metteva in contrapposizione con la quercia e il frassino. In un settore geograficamente limitato che comprende la Francia orientale, la Svizzera e la Baviera, la naturale apparizione di esemplari dalle foglie porporine destava l’emozione popolare; si credeva fosse un segno di deplorazione divina per l’annuncio di feroci battaglie o per il sangue versato di un delitto. Ancora oggi, nella foresta di Verzy, in Francia, si possono ammirare dei vecchissimi esemplari di faggio i cui tronchi e i rami più bassi formano un ammasso confuso di linee contorte e ritorte, malformazioni dovute ad una presunta mutazione provocata dalla caduta di un meteorite radioattivo, avvenuto moltissimo tempo fa. A Terranova di Pollino, in Lucania, nel mese di giugno si svolge la festa della Pita, rito arboreo piuttosto antico celebrato in onore di Sant’Antonio da Padova. Nonostante Pita, nel dialetto locale, designi il nome dell’abete, spesso è il faggio a fare da protagonista. Si tratta della rappresentazione rituale dell’unione tra due piante, una di sesso maschile (solitamente un abete o un faggio), l’altra di sesso femminile (una “cima” generalmente sempreverde). Entrambe vengono tagliate e, mentre la “sposa” viene doverosamente ornata con fiori e nastri, il faggio “sposo”, viene pulito dai rami, dalla corteccia e levigato. Il faggio e la cima vengono poi innestati, a sigillare il loro “rudimentale” matrimonio, simbolo arcaico di rigenerazione della natura, auspicio di fertilità. In seguito vengono innalzati e i più coraggiosi, a suon di braccia, si dilettano nell’arduo tentativo di raggiungere la cima. I faggi che troviamo nei giardini ottocenteschi (“romantici”, “all’Inglese”) sono spesso delle varianti della specie selvatica (morfotipi selezionati e riprodotti a scopo ornamentale), ricercate dalle famiglie facol- tose proprio per la loro diversità rispetto alla forma rurale: così s’incontrano i faggi a foglia di felce (F.s. “Asplenifolia”); a foglie profondamente e regolarmente dentate (F.s. “laciniata” o “heterophylla”); a foglie rosse (F.s. “Purpurea”); tricolori (F.s.”Tricolor”); gialle dorate (F.s. “Zlatia”); a ramificazione pendula-piangente (F.s. “Pendula”) o addirittura colonnare (F.s. “Dawyck”); nana e prostrata (F.s. “Cochleata”); a corteccia rugosa (F.s. var. “Quercoides”). Purtroppo, negli ultimi 15 anni, decine di faggi, amanti del clima oceanico, intristiscono con vistose microfillie, colpiti spesso da cancri (lesioni) alla fragile corteccia devitalizzata dal sole cocente del 2003 e del 2005 che li ha predisposti ad attacchi di parassiti secondari altrimenti confinati (carie del legno, marciumi radicali, cancri rameali etc.). “Le temperature registrate in Giugno e in Agosto sono RECORD. Anche Luglio è stato molto caldo, ma ci sono stati anni con temperature più alte. Record anche i 35° di giugno e 36° di Agosto. Nel complesso l’Estate 2003 è stata la più calda dal 1965 grazie alle temperature dei mesi di Giugno e di Agosto – Le precipitazioni totali dell’Estate hanno raggiunto i 285.7 mm - contro una media estiva in 37 anni di 415,2 lt/mq - tra le più secche dal 1965” con un deficit di 129,5 lt/mq” come da dati in possesso del Centro Geofisico Prealpino. La ancor peggiore siccità del 2005 con maggio di oltre 2 gradi più caldo della media e un deficit di acqua mensile di – 98,8 lt/mq quando la vegetazione era in pieno sviluppo; tra giugno e agosto il deficit idrico, rispetto ai dati registrati dal 1965, è di 171,7 lt/mq. Si ricorda che ad agosto 2005 vi fu l’abbassamento eccezionale del livello del lago di Varese pari a – 1,5 m dallo zero idrometrico che fece seccare molti secolari carpini bianchi sull’Isolino Virginia. Le siccità estive 20032005, alle quali si aggiunge il calore estremo di luglio 2015, sono state terribili anche per l’anziano patrimonio botanico varesino: le conseguenze sono state immediate ma si notano ancora a distanza di anni, come è normale avvenga con gli alberi: A subirne maggiormente gli effetti i soggetti anziani, patriarchi, radicati nei centri urbani, affetti da malattie croniche, vulnerabili agli effetti delle alte temperature e delle ondate di calore in funzione della «su- scettibilità» individuale (stato di salute, caratteristiche ambientali), della capacità di adattamento e del livello di esposizione (intensità e durata)”. Come per l’uomo. In tutta la città di Varese, invero, è evidente che vi siano vistosi e documentabili segni di deperimento a carico di alcune specie che denotano un precoce invecchiamento multifattoriale non escluso il termine della loro vitalità e vigoria in un ambiente estraneo da migliaia di anni se non da qualche milione di anni alla zona d’origine. 11. FARNIA *Fam. Fagaceae Quercus robur L. Albero che può raggiungere 30-35 m di altezza e 2 m di diametro. È molto longevo: può vivere svariati secoli, addirittura 10, assumendo forme maestose grazie alla imponenza delle ramificazioni se lasciata crescere liberamente. Le foglie, lobate, sono strette alla base e slargate nella parte superiore; i fiori maschili e femminili, come in tutte le querce, sono portati dalla stessa pianta; le ghiande sono attaccate a un lungo peduncolo (da cui l’al- tro nome scientifico Quercus pedunculata, per distinguerla dalla rovere Quercus petraea o Q. sessilis). Ha un areale molto vasto, dalla Scandinavia meridionale e dalla Russia al Mediterraneo, dall’Atlantico agli Urali e al Caucaso; in Italia manca solo in Sardegna. Insieme al carpino bianco costituiva la flora tipica del bosco di pianura, il querco-carpineto, che un tempo ricopriva tutta la pianura padana e di cui rimangono ormai solo pochi relitti, risparmiati dall’agricoltura intensiva a mais, riso, foraggere e dall’urbanizzazione. Albero sacro sia per i popoli del Nord Europa che del Mediterraneo: tra i più noti si ricordano l’Irminsul, considerato dai Sassoni il pilastro cosmico che reggeva la volta celeste (l’ultimo fu abbattuto dal cattolico Carlomagno nel 772), la quercia oracolare di Zeus del santuario di Dodona in Epiro, di Giove Capitolino a Roma, di Perun presso i popoli slavi, la quercia del dio del Tuono dei lituani e lettoni. Il nome robur ricorda la forza morale e fisica. La stessa clava di Ercole era di quercia. Una delle più grosse querce viventi, la “Major Oak”, sorge nella foresta di Sherwood, l’ultimo e più grande querceto d’Inghilterra: ha una cir- conferenza di quasi 20 m e può ospitare nella cavità del suo tronco 34 bambini: “per trecento anni è cresciuta, per trecento anni è rimasta lì immobile, per trecento anni andrà incontro a decadimento” John Dryden (1631-1700). All’interno delle querce sacre della Grecia classica vivevano le Ninfe Driadi (drys, quercia sacra) e le Amadriadi, quest’ultime intimamente (ama- “insieme”) legate al destino dell’albero: i Greci attribuivano alle Amadriadi la possibilità di vivere nella quercia che le ospitava ben 932.120 anni, morendo con essa! L’esemplare dei Giardini Estensi è l’ultimo rappresentate di un boschetto di farnie e di olmi piantato fin dal 1766 dal Duca Francesco III D’Este. Si scorgono in essa i segni della folgore e del tempo, così come i segni del frequente picchio verde. Una curiosità: il nome del genere del picchio nero, Dryocopus, significa “che picchia a colpi ripetuti sulle querce”. Esemplari notevoli sono presenti nel bosco di rovere, farnia e carpino originario, radicato nel versante Nord del Parco Baragiola, così come nelle selve inserite nel Parco Toeplitz. Splendido esemplare residuale è presente in cima al colle del Belvedere del Parco Mylius, sotto la cui ombra il paesaggista Pietro Porcinai fece costruire una piscina. Simile, ma con altra ecologia, è la ROVERE - Quercus petraea (Matt.) Lieb. Albero caducifoglio alto sino a 30-35 m il cui tronco può raggiungere diametri di 1-2 m; in condizioni ottimali può raggiungere i 250 anni di età. Come la farnia anche la rovere ha corteccia inizialmente liscia, che successivamente si fessura in costolature dal profilo rettangolare; le foglie, a 5-8 lobi, in genere sono prive di orecchiette alla base e, a differenza della farnia, sono portate da un peduncolo; al contrario, le ghiande sono direttamente attaccate al rametto, da cui il sinonimo di Quercus sessilis. L’areale della rovere comprende gran parte dell’Europa occidentale e centrale fino alle foci del Danubio. 12. LAGERSTREMIA o ALBERO DI S. BARTOLOMEO *Fam. Lythraceae Lagerstroemia indica L. Arbusto o alberetto originario dell’Asia orientale (zona temperata della Cina), non supera gli 8 metri d’altezza. Presenta chioma arrotondata e leggera, tronco più largo alla base, rivestito di una scorza sottile bianco-giallognola. Le foglie, lunghe fino a 7 cm, sono decidue, opposte, la pagina superiore è lucida, verde scuro, mentre quella inferiore è più chiara e opaca. Fiorisce in estate: il colore dei fiori varia dal rosso porpora al bianco. Il grande naturalista Linneo chiamò questa pianta Lagerstroemia indica in onore del suo amico Hans Magnus Lagerstroem, morto nel 1759, che era il direttore della Compagnia Svedese delle Indie Orientali. L’esemplare dei Giardini Estensi ha una dimensione ragguardevole tanto da far supporre un’età prossima al secolo di vita. 13. LECCIO o ELCE *Fam. Fagaceae Quercus ilex L. Albero sempreverde che può raggiungere i 25 m di altezza e 1 m di diametro, ma più spesso lo si trova come piccolo albero; è però assai longevo, potendo vivere oltre i 500 anni. Le foglie sono spesse e coriacee, di colore verde lucente sulla pagina superiore, bianco tomentose su quella inferiore; sulle piante giovani le foglie sono spesso dentate al margine, su quelle adulte sono a contorno per lo più intero. Il suo areale gravita intorno al bacino del Mediterraneo, in cui è la specie principale e più rappresentativa della macchia mediterranea, ma piccoli nuclei spontanei isolati si possono trovare in Val Padana, fra cui le coste dei laghi insubrici. In Arcadia, regione storica della Grecia meridionale, la quercia leccio era dedicata a Pan; divinità della natura selvaggia, il cui nome significa “tutto”, era ritenuto figlio di Driope, nome che viene da drus, la quercia, la quale probabilmente era una ninfa del leccio. In tempi remoti si credeva che fosse oracolare, così nell’Aventino si estendeva un bosco di lecci, presunta dimora di una ninfa, Egeria, la soprannaturale consigliera in scienze sacre del re Numa. Un leccio molto antico, antecedente alla fondazione della città di Roma, si innalzava sul monte Vaticano, detto anche la collina degli indovini; portava un’iscrizione etrusca in bronzo secondo la quale la pianta era stata oggetto di un culto religioso da parte dei predecessori dei Romani. Tre querce ancora più antiche erano venerate a Tivoli, presso le quali venne consacrato re l’eroe Tiburnus, fondatore della città. Albero oggetto di venerazione, assunse nel tempo un carattere funesto. In Acarnania, regione storica della Grecia occidentale, e nelle isole Ionie si narrava che, quando a Gerusalemme fu deciso di crocifiggere Cristo, tutti gli alberi rifiutarono di donare il loro legno per lo strumento del sacrilego supplizio, ma tra questi vi era un Giuda. Quando fu il momento di tagliare la croce, tutti i tronchi andarono in mille pezzi tranne la quercia leccio, che rimase in piedi lasciando che il suo tronco diventasse lo strumento della Passione. 14. MAGNOLIA SEMPREVERDE *Fam. Magnoliaceae Magnolia grandiflora L. Magnolia sempreverde proveniente dal sud degli USA, caratterizzata da grandi foglie ovali, coriaceee, verdi scure superiormente e di color ruggine o verde chiaro inferiormente a seconda della varietà, con grandi fiori bianco crema che sbocciano durante l’estate; ha un portamento piramidale e, nei climi abbastanza caldi, può raggiungere i 20 m di altezza. Le magnolie sono piante antichissime e vengono considerate come le prime Angiosperme comparse sulla Terra. 15. MIRABOLANO PORPORINO *Fam. Rosaceae Prunus cerasifera Ehr. “Atropurpurea” Questo piccolo albero caducifoglio a portamento espanso assomiglia al prugnolo, ma ha fogliame meno fitto; la varietà “Atropurpurea” o “Pissardii” differisce dal tipo per il colore delle foglie, purpuree invece che verdi, e dei fiori, rosa pallido anziché bianchi. “Pissardii” deriva dal nome del giardiniere francese Pissard, il quale coltivò questa varietà nei giardini dello scià di Persia, alla fine del sec. XIX, e ne inviò alcuni esemplari in Francia; venne introdotto in Italia nel 1880. I PINI *Fam. Pinaceae Gen. Pinus L. Alberi indizio di morte, perché una volta tagliati non ributtano mai più, ma anche promessa di immortalità grazie all’estrema resistenza che permette loro di prosperare negli ambien- ti meno favorevoli, rappresentano il vigore e la permanenza della vita vegetativa. Oltre alla pianta stessa, nell’antichità anche la pigna assumeva più significati: chiusa rappresentava l’emblema della castità, mentre aperta indicava l’esaltazione della potenza vitale e la glorificazione dell’invincibile fecondità. Per gli antichi il pino era un albero divino, se non addirittura un dio. Attis, il pino sacro (in specifico il pino da pinoli o parasole), moriva e resuscitava sacrificando sé stesso. Se la pigna evocava di per sé il fallo in erezione, quella del pino da pinoli, che era di gran lunga la più suggestiva per via del caratteristico colore rossastro e lucido, raffigurava l’organo che il dio si recideva da sé. Questo sacrificio corrispondeva soprattutto al salasso dell’albero, ovvero alla raccolta della resina definita resinatura a morte, operazione che veniva praticata nel periodo in cui si celebravano le feste di Attis. Durante queste celebrazioni il sommo sacerdote si incideva il braccio e presentava il suo sangue come offerta, mentre gli altri sacerdoti si scatenavano in danze sfrenate, flagellandosi fino a sanguinare, lacerandosi con coltelli. Alcuni neofiti, al colmo dell’eccitazione, si amputavano l’organo virile e lo lanciavano come oblazione alla statua di Cibele, dea asiatica e madre degli déi in Frigia che i Romani assimilarono a Rea. Quei ricettacoli di fecondità venivano in seguito rispettosamente avvolti e sotterrati o posti in camere sotterranee dedicate alla dea. Il rito rianimava il dio morto e con lui tutta la natura che germogliava nel sole prima- verile. Nell’antica Grecia era l’albero favorito di Rea, la Terra Divinizzata, ma in seguito, in quanto emblema sessuale, fu messo in rapporto con Pan, il dio della sessualità selvaggia. È proprio per sfuggire alla lubricità di Pan che la ninfa Piti si mutò in pino nero, anche se un’altra leggenda vuole che la ninfa preferisse Pan a Borea, il vento del nord che, indispettito, si vendicò col suo soffio violento e la fece precipitare giù da una scarpata. Fu Pan a scoprirla e a tramutarla immediatamente in un pino (o in un abete). Si dice che, quando in autunno soffia la Borea, la ninfa pianga: lo testimoniano le gocce di resina che lacrimano dalle pigne. 16. PINO DOMESTICO o PINO DA PINOLI *Fam. Pinaceae Pinus pinea L. Albero dall’aspetto inconfondibile da adulto per la chioma espansa a ombrello con grossi rami laterali che si sviluppano orizzontalmente lasciando libero il tronco per 2/3; raggiunge i 30 m di altezza e i 2 m di diametro, e può vivere fino a 200-250 anni. Gli aghi sono riuniti in fascetti di 2, talvolta 3, e sono lunghi 8-20 cm, di colore verde chiaro; i coni, lunghi 8-16 e larghi 7-10 cm (dimensioni che raggiungono a maturità, cioè dopo 3 anni), sono costituiti da grosse squame ognuna recante 2 semi legnosi contenenti i pinoli. Il suo areale comprende le coste settentrionali del Mediterraneo, spingendosi anche nell’interno fino a circa 500 m nel Nord Italia e 1000 m nel Sud e nelle isole (anche se non è certo che sia spontaneo in Italia). È una specie termofila, che ha bisogno di essere in pieno sole, vegeta bene anche su terreni abbastanza secchi mentre non sopporta i suoli acquitrinosi. 17. PINO SILVESTRE *Fam. Pinaceae Pinus sylvestris L. Si riconosce facilmente per la corteccia arancione o bruno rossastra, la chioma rada verde grigia, che nelle piante adulte tende a limitarsi alla parte superiore del fusto per potatura naturale. Può raggiungere 35-40 m di altezza, e diametri max di 1 m, in montagna può vivere fino a 200 anni; gli aghi, a 2 a 2, sono corti (5-7 cm), ritorti, a sezione semicircolare, rigidi e brevemente appuntiti, di colore verde glauco; i fiori maschili, riuniti all’ascella delle foglie in gruppi compatti, sono di colore giallo, mentre quelli femminili sono rossi e in posizione terminale; i coni raggiungono in 2 anni i 3-5 cm di lunghezza e i 2-3 di larghezza, contengono piccoli semi alati. Ha un areale molto vasto, in cui si distingue in varie razze dal portamento molto variabile, dall’Europa centrale e nordoccidentale all’Asia nordoccidentale, con nuclei disgiunti in Scozia, Germania occid., Spagna settentr.; in Italia si trova solo su Alpi e Prealpi, oltre ad alcune stazioni dell’Appennino ligure-emiliano. Sopporta bene il freddo e le forti escursioni termiche, ma anche l’aridità e le estati calde e lunghe. 18. PINO STROBO *Fam. Pinaceae Pinus strobus L. Albero proveniente dall’America nordorientale, che può raggiungere i 25-30 m di altezza e 60-100 cm di diametro. Ha chioma largamente conica, con rami sottili, di colore verdastro da giovani; gli aghi sono riuniti in fascetti di 5, lunghi fino a 14 cm, flessibili e di colore verdebluastro; i coni, lunghi fino a 20 cm e larghi 3-4 cm, diritti o incurvati, si aprono liberando i semi alati in autunno, per poi cadere in inverno o alla primavera successiva. Sopporta maggiormente degli altri pini l’ombreggiamento. È di rapido accrescimento ed è stato piantato per la produzione di legno per cellulosa e carta; si trova comunque spesso nei parchi come specie ornamentale. È soggetto alla ruggine vescicolosa del pino (Cronartium ribicola), una malattia fungina che dall’Europa arrivò in America nel 1892, provocando gravissimi danni ai popolamenti di strobi americani, laddove era presente anche il ribes, pianta su cui il fungo compie parte del ciclo vitale. 19. PIOPPO CIPRESSINO *Fam. Salicaceae Populus nigra L. “Italica” Viene così chiamato per il portamento fastigiato e affusolato, dato dai rami appressati al fusto; la pianta può raggiungere i 30 m di altezza; le foglie sono come quelle del pioppo nero, romboidali o triangolari verdi lucenti, i fio- ri sono riuniti in amenti, quelli maschili sono rossastri (tutte le piante appartenenti alla famiglia delle Salicacee sono dioiche, cioè i fiori femminili e quelli maschili sono portati su individui separati); sembra si sia originato spontaneamente per mutazione del pioppo nero nell’Italia settentrionale e che sia stato propagato successivamente per talea, quindi solo per via vegetativa, in quanto si tratta esclusivamente di esemplari maschili. È noto come Lombardy poplar nel mondo anglosassone. 20. PIOPPO IBRIDO o EUROAMERICANO *Fam. Salicaceae Populus x canadensis Moench Ibrido fra il P. nigra (pioppo nero) e il P. deltoides, di origine americana, presenta caratteri intermedi fra le due specie genitrici; raggiunge i 20 m di altezza ed è di crescita assai rapida, ma non è molto longevo; le foglie, caduche, di forma triangolare, sono glabre su entrambe le pagine e il lembo è a base diritta; coltivato nelle pianure per la produzione di legno, utilizzato soprattuto per la fabbricazione della carta e per piccola falegnameria. Deriva dal PIOPPO NERO *Fam. Salicaceae - Populus nigra L. Albero slanciato alto fino a 30 m con chioma ovoidale, corteccia grigio-brunastra. Presenta foglie decidue, alterne e ovoidali e fiori unisessuali; ecologicamente assomiglia al pioppo bianco, ma preferisce un clima estivo non troppo secco. Si tratta di una pianta simbolo delle nostre pianure alluvionali ed è tradizionalmente l’albero da viale che introduce alle ville signorili e alle proprietà rurali. I Greci distinguevano accuratamente le due varietà alle quali attribuivano significati differenti; il pioppo bianco (Populus alba L.), col suo fogliame cupo da un lato e chiarissimo dall’altro, rappresentava la vita nella morte, la rivelazione della sopravvivenza una volta passata la frontiera fatale. Era chiamato leukè, in riferimento alla ninfa Leuke che, per tentare di sfuggire alle brame divine di Ade, si trasformò in albero. Leuke è anche il nome di una delle isole dei Beati, luogo in cui gli eroi si riposano dopo la morte, motivo per cui il pioppo bianco è l’albero della morte luminosa, contrapposto al pioppo nero, di carattere funesto. In opposizione al pioppo bianco, quello nero annunciava ai trapassati che dovevano lasciare ogni speranza. Un folto di pioppi neri segnalava l’ingresso agli Inferi e soltanto una volta penetrati all’interno si poteva scorgere il pioppo bianco e comprenderne il significato. Nato anch’esso da una metamorfosi, ha come protagonista il temerario Fetonte che, precipitando dal carro del Sole, di cui era figlio, gettò nella disperazione le sue tre sorelle, le Eliadi, le quali, fissatesi al suolo, si trasformarono in pioppi. Le loro lacrime diventarono le gocce d’ambra che stillano dai rami. Da quel momento l’albero fu consacrato all’implacabile dea della Morte, al contrario del pioppo bianco, consacrato a Persefone, sposa di Ade, ma divinità della rigenerazione dopo la morte. 21. PLATANO IBRIDO *Fam. Platanaceae Platanus x acerifolia (Ait.) Willd, sinonimo Platanus × hispanica Mill. ex Münchh. Il P. x acerifolia è un ibrido tra il P. occidentalis (di origine americana) e il P. orientalis (di origine balcanica che, in Italia, si trova allo stato spontaneo solo in Sicilia), originatosi nel 1663 nell’orto botanico di Oxford dove le due specie si incrociarono spontaneamente, da cui il nome di London plane. Grande albero di 30-40 m, che può vivere sino a 300-500 anni, il pla- tano ibrido è il più utilizzato nei parchi e nelle alberate cittadine, in quanto, rispetto alle specie parentali, è meno esigente in umidità, più rustico, capace di fotosintetizzare da tronco e rami nei quali si scorge il verde della clorofilla. Ha maggiore capacità di tollerare le potature e resiste bene all’inquinamento delle città, grazie anche al desquamarsi della corteccia che, rinnovandosi frequentemente, offre lo spettacolo di un incomparabile ed elegante mosaico di lamine rosso-brune o verdastre su un fondo liscio e chiarissimo. R. Graves, poeta inglese (1895-1985), osserva che il platano, come il serpente, cambia pelle ogni anno: sono quindi entrambi simboli di rigenerazione. Platano deriva dal greco platanos, derivato da platus, largo e piatto, che evoca la parte piatta della mano, il palmo: le sue foglie a 5 lobi molto appuntiti ricordano infatti la mano aperta. Fra gli esemplari storici provinciali si ricordano i filari di platani che nel 1800 furono piantati ai lati della napoleonica strada del Sempione che univa Milano al valico omonimo e di cui rimangono pochissimi superstiti (Somma Lombardo, Gallarate). Negli interventi urbanistici della seconda metà del 1800, per la costruzione dei utilizzavano le infiorescenze sferiche nell’antidoto contro il veleno di serpenti e scorpioni. Nel Sud-Est dell’Europa e in Asia occidentale esistono ancor oggi esemplari millenari, dei quali il più celebre è quello della città greca di Cos, nell’isola omonima, i cui rami enormi, puntellati da colonne antiche, coprono tutta la piazza e il cui tronco è largo 14 m: una leggenda racconta che, sotto la sua ombra, il fondatore della Medicina, Ippocrate, ricevesse i suoi pazienti 2500 anni fa. Gli esemplari più maestosi del Parco Mirabello, tutti ibridi, sono stati impiantati dopo la costruzione delle scuderie (ex Liceo Musicale, oggi sede di Varese Corsi) ovvero dopo il 1839, più verosimilmente fra il 1865 e il 1875 ad opera di Gaetano Taccioli. 22. SUGHERA viali (Boulevards), furono impiantati soprattutto in Francia platani ibridi sotto il regno di Napoleone III e sotto la regia del prefetto Haussman: molte città europee ne seguirono l’esempio (si ricorda il Paseo del Prado a Madrid, la Rambla di Barcellona, viale Certosa e Parco Sempione a Milano, Prato della Valle a Padova, il Passeggio Dandolo e quel che rimane dell’ottocentesco boulevard di Viale Aguggiari a Varese etc.). La diffusione del platano fu iniziata ben prima dallo stesso Napoleone Bonaparte nelle città via via conquistate. Fin dall’antichità il Platanus orientalis è l’albero delle passeggiate pubbliche, che protegge dal sole e adorna le piazze e i viali, coltivato estesamente nella torrida Grecia classica. Originario delle regioni balcaniche, in Italia si trova allo stato spontaneo solo in Sicilia. Viene piantato più frequentemente nelle zone meridionali del Mediterraneo come albero da ombra. I Romani lo introdussero in Italia nel 390 a.C.; solo nel 1561 raggiunse le Isole Britanniche, dove a partire dal 1636 subì la concorrenza del platano occidentale americano (Platanus occidentalis L.). L’ibrido fra le due specie soppiantò entrambi unendo in esso le migliori doti dei due. Il platano orientale fu un tempo albero sacro della Lidia (provincia dell’Asia minore), ai tempi del re Creso, leggendario per la sua ricchezza; il nipote Pizio offrì a Dario, re di Persia, un platano d’oro. Nell’isola di Creta il platano era venerato come appartenente alla Grande Dea (Madre Terra) rappresentata in numerose statuette col gesto benedicente della mano aperta, evocata dalla forma delle foglie della pianta stessa. Nel Peloponneso vi erano boschi di platani sacri, dedicati a Elena, moglie di Menelao, il quale ne avrebbe piantato un esemplare prima di partire per la guerra di Troia. Nell’antica Atene scrittori, filosofi e artisti conversavano sotto i platani orientali della passeggiata dell’Accademia e Socrate giurava “sul platano”. Anche i Romani li consideravano benefici perché tenevano lontani i pipistrelli di cattivo augurio; ne *Fam. Fagaceae Quercus suber L. Albero sempreverde che raggiunge i 20 m di altezza con chioma molto espansa in larghezza. Il tronco costituisce uno dei più facili caratteri di riconoscimento, poiché presenta una scorza grigiastra, spessa parecchi centimetri che tende a staccarsi in blocchi pesanti e compatti (sughero). Come tutte le querce presenta una ghianda ovoidale che raggiunge i 3 cm di lunghezza. La scorza della sughera è l’unica fonte commerciale di sughero, nota già ai Greci e ai Romani per le proprietà galleggianti e isolanti; le più belle sughere si trovano in Sicilia, nel Lazio, nella costa meridionale della Toscana, ma soprattutto in Sardegna. Monumentale l’esemplare presente al Parco di Villa Augusta; di recente introduzione al Parco Mantegazza e al Parco Torelli-Mylius. 23. TASSO *Fam. Taxaceae Taxus baccata L. Arbusto o albero alto fino a 12-15 m, con diametri considerevoli negli esemplari molto vecchi; è specie a lenta crescita e molto longeva (può raggiungere anche 2000 anni); in Europa esistono individui di 1500 anni. Il tronco può essere indiviso o ramificato sin dalla base, la corteccia si desquama in piccole placche; le foglie sono lineari, flessibili, acute ma non pungenti. Le foglie e i semi del tasso sono alta- mente tossici, mentre la parte rossa del seme (arillo) dolce e gradevole è uno dei cibi preferiti dai piccoli passeriformi. Ha legno molto forte ed elastico che, anticamente, veniva utilizzato per la fabbricazione di archi. Sopporta bene le potature, per cui può essere foggiato in varie sagome. Il suo areale comprende Europa, Caucaso e Himalaya; proprio della fascia montana temperata, si mescola al faggio, all’agrifoglio e agli aceri. In natura è una specie protetta, anche se diviene più frequente sulla Majella, sul Gran Sasso, sul Gargano. Insieme all’agrifoglio, è una specie relitta del periodo terziario. Protettore dei defunti, veniva chiamato albero della morte, in quanto velenoso e si credeva che chi si fosse addormentato sotto i suoi rami sarebbe morto. Distrutto quasi dovunque non solo per utilizzarne il legno per la costruzione di armi, ma anche per la tossicità delle sue foglie, è sopravvissuto fino ai tempi moderni grazie alla protezione dei morti: è proprio il suo utilizzo nei cimiteri ad avergli permesso di attraversare i secoli. Dotato di una vita prodigiosa costituiva all’opposto una promessa di immortalità. Data la longevità di alcuni esemplari rinvenuti in Francia è molto probabile che il tasso sia stato anticamente oggetto di culti pagani, inoltre, essendo un albero sacro del druidismo, molti oggetti cultuali, compreso il bastone druidico, erano fatti di legno di tasso. Shakespeare lo cita sia nell’Amleto, in quanto pianta velenosa utilizzata per avvelenare il re, sia nel Macbeth, in cui le streghe inglesi utilizzavano le talee nel “calderone di Ecate”. È proprio alla dea degli Inferi che i Romani sacrificavano dei tori neri decorati con ghirlande di tasso per placare gli spiriti infernali. Il Parco di Villa Mylius (Via Fiume 38, Varese) è facilmente raggiungibile dal centro cittadino, in direzione Sacro Monte (Traversa di viale Aguggiari). INFORMAZIONI TURISTICHE Via Via Cro tti G .V . Paolo i on gli sti Ca Via Veronese Montello Viale Via Cas tiglio ni Iso nzo Via Paolo Via se Verone Via Ca stiglion i nzo Giu se pp e Via ri Aguggia Ce sa re Da Se sto ce Vin Padr e Crotti pe Giusep Via Sa ele mu Via Go rizia illa mb Via Fiume Via ti ora arz M Bra i i Botticell Via Fiume Via Via uig nL Do Padre Via Berti ni Scal.ta San Giorgio Via Via Fiume Linee urbane Orari di apertura al pubblico A-B-C-Z primavera/estate 8.00 - 20.00 autunno/inverno 8.00 - 18.00