COPERTINA CULTURA L ib e r t à 33 venerdì 11 luglio 2008 Libertà da, non libertà di «Ora ascoltate: non fatevi guidare dall’autorità dei testi religiosi, né solo dalla logica e dall’inferenza, né dalla considerazione delle apparenze, né dal piacere della speculazione, né dalla verosimiglianza, né dal rispetto per il vostro maestro. Ma, quando capite da soli che certe cose sono non salutari, sbagliate e cattive, allora abbandonatele, e quando capite da soli che certe cose sono salutari e buone, allora accettatele e seguitele». La frase del Buddha, riportata nell’Anguttura Nikaya (Discorso ai Kalama), è un’ottima introduzione alla lettura delle “Dieci lezioni sul buddhismo” (Marsilio) di Giangiorgio Pasqualotto, che insegna Estetica all’Università di Padova e Filosofia delle culture nel Master di studi interculturali, ed è uno dei più importanti (e intelligenti) studiosi di taoismo e buddhismo in Italia (è anche tra i fondatori dell’associazione Mai- treya, vedi www.maitreya.it). Il suo libro raccoglie conferenze tenute in università, fondazioni, ma anche al Monastero di Camaldoli e al Convento di San Marco a Firenze. E questa mancanza di sistematicità produce l’effetto positivo - chissà quanto voluto - di attraversare gli stessi temi seguendo prospettive diverse, in un approfondimento “a ondate” molto più efficace di certi bigini in circolazione che hanno l’ambizione di essere esaustivi. Per non parlare del fatto che, ad esempio, difficilmente troverete sintesi altrettanto efficaci dell’Ottuplice Nobile Sentiero (la “terapia” buddhista per estinguere la causa della sofferenza) o del concetto di vuoto nello zen («nel buddhismo non si pensa il vuoto o al vuoto, ma si diventa vuoti, si costruisce la propria condizione di vacuità, in modo da cogliere ogni oggetto della realtà e del pensiero nel modo più autenti- co, puro, originario»). Che si sia d’accordo o no con certe interpretazioni, è indiscutibile l’efficacia del suo linguaggio, accessibile a tutti, unito alla singolare capacità di arrivare al punto in poche precise parole. Pasqualotto insiste molto sul buddhismo come «itinerario spirituale ed esistenziale dotato di grande libertà», che «valuta positivamente perfino il dubbio» e in cui vige una «prevalenza della conoscenza sulla fede». In effetti l’originalità di questa religione-disciplina risiede nel fatto che il Buddha (l’Illuminato) «non parla come Dio, né come Figlio di Dio, né in nome di Dio come suo Profeta. Le sue parole nascono da un’esperienza tutta umana». Il buddhismo non cerca una “libertà di”, ma una “libertà da”, non un certo tipo di azione, ma un distacco dai frutti di ogni atto. E questa azione disinteressata, fondata sull’assenza di un io, «è talmente alta che non ha bisogno del concetto di responsabilità, necessario solo a individui che si credono autonomi e hanno bisogno di un’autorità morale alla quale “rispondere” delle loro azioni, sperando di ottenere meriti e ricompense». Nell’atteggiamento non-metafisico del buddhismo si possono trovare analogie con la moderna pro- LIBRI / Intervista a Pasqualotto, uno dei maggior esperti d’Oriente Una filosofia pratica (laica) «Non è una teoria e non è solo psicologia. Il buddhismo è una disciplina che cambia» C ome nascono le “Dieci lezioni sul buddhismo”? La pubblicistica sull’argomento ormai è sterminata: in che senso questa introduzione è diversa dalle altre? «Il mio libro non ha nessuna intenzione sistematica. Raccoglie testi di conferenze che ho fatto negli ultimi 20 anni. Ci sono temi che mi incuriosivano, come quello della mistica buddista. Ma anche un approccio all’etica che vada al di là sia delle trattazioni troppo specialistiche sia dei testi che banalizzano l’argomento, riducendolo al tema della compassione, mentre ci si dimentica troppo spesso dell’importanza dell’equanimità e del concetto di “giusta misura”». Cosa ne pensa dei libri in circolazione sul buddhismo? Ormai si pubblica di tutto, compreso il manuale buddhista per essere buone mamme e varie iniziazioni ai “segreti” del tantrismo. «Al 90% ne penso male. Tutto ciò banalizza moltissimo il buddhismo, che è una cosa molto complessa, formata da tante scuole che si sono sviluppate in momenti diversi. Di solito se ne parla come se fosse una teoria ben definita, data una volta per tutte, e se ne prendono gli aspetti psicologici, che sono più a portata di mano: come calmare la mente, come usare le passioni in modo positivo... Anche molti maestri tibetani si sono adattati a questo approccio, che però non può essere risolutivo: non è che sapendo queste cose si conosce e si padroneggia il buddhismo». E per il rimanente 10%? «Tutto sommato questi libri hanno una loro funzione. Ci sarà un lettore su cento che comincerà da lì per saperne di più, a cui verrà voglia di approfondire l’argomento». Guardando la questione da un altro punto di vista, si potrebbe dire però che il nostro approccio occidentale, molto intellettuale e quasi astratto, è in contraddizione con una disciplina che è soprattutto un fare, uno sperimentare in prima persona. «Questo è vero. Ed è l’esatto opposto di quell’altro problema. Una visione super-specialistica, solo filosofica e gnoseologica, è sbagliata, perché il buddhismo è fondato su una pratica. Tutte le acquisizioni di tipo teoretico del buddhismo non sono state abbozzate a tavolino, ma sono il risultato di lunghi periodi di meditazione. E comunque il buddhismo ha una finalità molto concreta: eliminare le cause del dolore. Questo lo dimenticano anche gli studiosi più bravi. Sono d’accordo con Pierre Hadot quando dice che la filosofia antica occidentale era una pratica di vita. Ecco, noi quella cosa l’abbiamo persa, mentre il buddhismo in gran parte è ancora così». Come mai il buddhismo sta avendo questo successo in Occidente? Non corre il rischio di essere frainteso, come è successo allo yoga, che ormai è diventato una variante del fitness, da praticare in palestra? «Ci sono delle possibilità che finisca così, ma è più difficile, perché non si tratta di una tecnica così specifica come lo yoga, che può essere estrapolata dal suo contesto. Il successo del buddhismo è una questione che andrebbe affrontata da molti punti di vista, sociologico, psicologico, storico. Non bisogna dimenticare, ad esempio, che la sua diffusione in Occidente è legata in buona parte anche all’esilio tibetano. Il Dalai Lama, che vede sempre il bicchiere mezzo piano, una volta ha detto che tutto sommato la persecuzione cinese ha prodotto un’espansione dell’interesse per il buddhismo. Un interesse che ovviamente può essere banalizzato, come dimostra l’attenzione dei media per i divi hollywoodiani che si dichiarano buddhisti. Eppure ci sarà sempre quella persona su un milione che si chiederà come mai in uno spot pubblicitario una star americana arriva con la sua auto in Tibet e si impegna per quella causa...». Faccio un’ipotesi: molti occidentali, che hanno avuto un’educazione cattolica e conoscevano solo un certo modo di essere religiosi, che comporta dogmi, obbedienze, rituali formali, stanno scoprendo che esiste una spiritualità che mette l’accento sulla ricerca personale, la libertà, la pratica. «Questo c’è sicuramente. Qualcuno dice anche che dietro al successo del buddhismo forse c’è un motivo sociologico: in un’età di fondamentalismi come la nostra, che siano islamici o cristiani, il buddhismo appare come un’alternativa, una terza via. C’è poi un altro aspetto, anche se non è sviluppato come vorrei: il buddhismo è un pensiero laico, che per certi aspetti ricorda il Kant della Dialettica della ragion pura. E’ una disciplina spirituale pragmatica, empiri- ca, sperimentale. Purtroppo scienza e filosofia per lo più la pensano diversamente, dicono che è una disciplina che non ci appartiene e si rifiutano di conoscerla meglio e di prenderla seriamente in considerazione». Eppure il Dalai Lama porta avanti da anni, in prima persona, un confronto con la scienza, anche con neurologi di grande fama. «Purtroppo questo in Italia non succede. C’è ancora molto scetticismo». Giriamo la questione, anche qui: non c’è un pericolo di fraintendimento in questa nostra visione molto laica del buddhismo? Coomaraswamy scriveva che in fondo si tratta di una religione che prosegue il cammino tracciato dal Vedanta. Sullo sfondo rimane comunque la meta dell’Assoluto, l’Atman. «Io sono d’accordo su tutto con Coomaraswami, che è sempre stato un punto di riferimento, tranne che su questo punto, su cui sono in totale disaccordo. Ne parlo in un capitolo del libro. Lui voleva dimostrare che il buddhismo era una variante interna al brahmanesimo. Ma nel buddhismo non c’è Assoluto. Nel buddhismo non si dice che la non-esistenza del mio “io” deve risolversi sciogliendosi in un Io più grande, ma si dice che l’io è relativo a tutte le cose che esistono. Nemmeno il “vuoto” può essere assunto come assoluto. Qui si apre il problema se il buddhismo sia o no una religione. Non ha un principio trascendente di riferimento, ma ne ha uno immanente, che è l’origine interdipendente delle cose. Tutto è collegato. Basta questo a considerarlo una religione? Resta il fatto che il buddhismo è una disciplina che cambia, che trasforma i comportamenti. E’ una filosofia pratica, una saggezza di vita». Fabrizio Tassi spettiva scientifica. Per non parlare del fatto che da un concetto come quello di kamma (karma) si possono ricavare conseguenze etico-politiche molto attuali, visto che ogni azione ha sempre un carattere collettivo (l’io è un essere plurale) e quindi dipende anche da fattori ambientali e sociali, chiamando in causa la responsabilità di tutti. Vale la pena approfondire... F.T. L’Illuminato tra moda e verità «Osserva con distacco i tuoi pensieri, come osservi con distacco il volo lontano degli uccelli nella pace della sera». Sembra facile (in effetti non lo è per niente...). Eppure il “segreto”, in un certo senso, sta tutto lì. La frase è attribuita a Siddharta Gautama Sakyamuni, ma la trovi anche in un libro semi-serio come quello scritto da Giulio Giacobbe un paio d’anni fa: Come diventare Buddha in 5 settimane. Verrebbe da dire che la “verità” - un pensiero efficace, una disciplina che agisce in profondità - rimane tale anche quando appare nei contesti meno ortodossi (il “manuale di autorealizzazione” di Giacobbe ha anche ottime intuizioni). Ma il buddhismo rifiuta per principio ogni ortodossia. E’ poca teoria e molta pratica. E soprattutto nessuna autorità infallibile o testo sacro indiscutibile. La verità è un cammino da intraprendere (possibilmente in buona compagnia), non un prodotto fatto e finito da acquistare al mercato delle religioni rivelate. Il suo incredibile successo in Occidente si può toccare con mano entrando in una qualsiasi libreria. La letteratura sull’argomento ormai è sterminata. Solo nei primi mesi del 2008 in Italia sono usciti una trentina di libri sul buddhismo. Si va dal monaco francese Ricard Mathieu, Il gusto di essere felici (Sperling & Kupfer), a Corrado Pensa che intreccia pratica e teoria in Il silenzio tra due onde (Mondadori). Dal sempre più inflazionato Dalai Lama, che firma suo malgrado tre libri in sei mesi (L’abbraccio del mondo, Oltre i dogmi, Il mio Tibet), a Giovanni e Ditte Bandini che raccontano Quando Buddha non era ancora Buddha, sulle orme dello Jataka, raccolta di storie tradizionali sulle esistenze precedenti dell’Illuminato (Feltrinelli). Poi c’è la grande opera di divulgazione dell’Ubaldini (fin da tempi non sospetti), che offre anche strumenti per praticare, non solo per soddisfare la nostra curiosità intellettuale. Vedi tra gli ultimi Non rifiutare nulla di Rigdzin Shikpo, ma anche La rivoluzione dell’attenzione di Alan Wallace (spendiamo tanta energia nel curare il corpo e nel soddisfare i nostri desideri, ma non dedichiamo neanche un secondo all’addestramento della mente, che ne avrebbe tanto bisogno...), oppure il corso di meditazione di Ajahn Braha (Consapevolezza, beatitudine e oltre), che, come vuole la tradizione, parte dall’anapanasati, l’osservazione del respiro. Sono sempre consigliabili i testi di Ananda Coomaraswami, come la Vita di Buddha, riedita da Se. Ma ovviamente piacciono di più i libri del monaco vietnamita Thich Nhat Hanh, per la semplicità con cui sono scritti e per la concretezza dei suoi suggerimenti, dedicati all’accrescimento della consapevolezza (chiave di volta della pratica). L’ultima opera (più teorica) uscita con il suo nome è Il cuore del cosmo (Mondadori), dedicato al Sutra del Loto: «Mentre recito il Sutra del Loto, la sera il suono smuove le galassie; sotto di me la terra si risveglia, nel suo grembo compaiono fiori, all’improvviso. Mentre recito il Sutra del Loto, la sera, appare splendente uno stupa adorno di gemme, si vedono ovunque bodhisattva nel cielo; la mano del Buddha è nella mia». F.T.