Libertà - Marsilio Editori

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COPERTINA CULTURA
L ib e r t à
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venerdì 11 luglio 2008
Libertà da, non libertà di
«Ora ascoltate: non fatevi guidare dall’autorità dei testi religiosi, né solo dalla logica e dall’inferenza, né dalla considerazione
delle apparenze, né dal piacere
della speculazione, né dalla verosimiglianza, né dal rispetto per il
vostro maestro. Ma, quando capite
da soli che certe cose sono non salutari, sbagliate e cattive, allora
abbandonatele, e quando capite
da soli che certe cose sono salutari e buone, allora accettatele e seguitele». La frase del Buddha, riportata nell’Anguttura Nikaya (Discorso ai Kalama), è un’ottima introduzione alla lettura delle “Dieci
lezioni sul buddhismo” (Marsilio)
di Giangiorgio Pasqualotto, che
insegna Estetica all’Università di
Padova e Filosofia delle culture
nel Master di studi interculturali, ed è uno dei più importanti (e
intelligenti) studiosi di taoismo e
buddhismo in Italia (è anche tra
i fondatori dell’associazione Mai-
treya, vedi www.maitreya.it).
Il suo libro raccoglie conferenze tenute in università, fondazioni,
ma anche al Monastero di Camaldoli e al Convento di San Marco a
Firenze. E questa mancanza di sistematicità produce l’effetto positivo - chissà quanto voluto - di attraversare gli stessi temi seguendo
prospettive diverse, in un approfondimento “a ondate” molto
più efficace di certi bigini in circolazione che hanno l’ambizione di
essere esaustivi. Per non parlare
del fatto che, ad esempio, difficilmente troverete sintesi altrettanto
efficaci dell’Ottuplice Nobile Sentiero (la “terapia” buddhista per
estinguere la causa della sofferenza) o del concetto di vuoto nello
zen («nel buddhismo non si pensa
il vuoto o al vuoto, ma si diventa
vuoti, si costruisce la propria condizione di vacuità, in modo da cogliere ogni oggetto della realtà e
del pensiero nel modo più autenti-
co, puro, originario»).
Che si sia d’accordo o no con
certe interpretazioni, è indiscutibile
l’efficacia del suo linguaggio, accessibile a tutti, unito alla singolare
capacità di arrivare al punto in poche precise parole.
Pasqualotto insiste molto sul
buddhismo come «itinerario spirituale ed esistenziale dotato di
grande libertà», che «valuta positivamente perfino il dubbio» e in
cui vige una «prevalenza della conoscenza sulla fede». In effetti
l’originalità di questa religione-disciplina risiede nel fatto che il
Buddha (l’Illuminato) «non parla
come Dio, né come Figlio di Dio,
né in nome di Dio come suo Profeta. Le sue parole nascono da
un’esperienza tutta umana». Il
buddhismo non cerca una “libertà
di”, ma una “libertà da”, non un
certo tipo di azione, ma un distacco dai frutti di ogni atto. E questa
azione disinteressata, fondata
sull’assenza di un io, «è talmente
alta che non ha bisogno del concetto di responsabilità, necessario
solo a individui che si credono autonomi e hanno bisogno di un’autorità morale alla quale “rispondere” delle loro azioni, sperando
di ottenere meriti e ricompense».
Nell’atteggiamento non-metafisico del buddhismo si possono trovare analogie con la moderna pro-
LIBRI / Intervista a Pasqualotto, uno dei maggior esperti d’Oriente
Una filosofia pratica (laica)
«Non è una teoria e non è solo psicologia.
Il buddhismo è una disciplina che cambia»
C
ome nascono le “Dieci
lezioni sul buddhismo”? La pubblicistica sull’argomento ormai è
sterminata: in che senso questa introduzione è diversa
dalle altre?
«Il mio libro non ha nessuna intenzione sistematica. Raccoglie testi di conferenze che
ho fatto negli ultimi 20 anni.
Ci sono temi che mi incuriosivano, come quello della mistica buddista. Ma anche un approccio all’etica che vada al di
là sia delle trattazioni troppo
specialistiche sia dei testi che
banalizzano l’argomento, riducendolo al tema della compassione, mentre ci si dimentica
troppo spesso dell’importanza
dell’equanimità e del concetto
di “giusta misura”».
Cosa ne pensa dei libri in
circolazione sul buddhismo?
Ormai si pubblica di tutto,
compreso il manuale buddhista per essere buone mamme
e varie iniziazioni ai “segreti” del tantrismo.
«Al 90% ne penso male.
Tutto ciò banalizza moltissimo
il buddhismo, che è una cosa
molto complessa, formata da
tante scuole che si sono sviluppate in momenti diversi. Di solito se ne parla come se fosse
una teoria ben definita, data
una volta per tutte, e se ne
prendono gli aspetti psicologici, che sono più a portata di
mano: come calmare la mente,
come usare le passioni in modo positivo... Anche molti maestri tibetani si sono adattati a
questo approccio, che però
non può essere risolutivo: non
è che sapendo queste cose si
conosce e si padroneggia il
buddhismo».
E per il rimanente 10%?
«Tutto sommato questi libri
hanno una loro funzione. Ci
sarà un lettore su cento che
comincerà da lì per saperne di
più, a cui verrà voglia di approfondire l’argomento».
Guardando la questione
da un altro punto di vista, si
potrebbe dire però che il nostro approccio occidentale,
molto intellettuale e quasi
astratto, è in contraddizione
con una disciplina che è soprattutto un fare, uno sperimentare in prima persona.
«Questo è vero. Ed è l’esatto opposto di quell’altro problema. Una visione super-specialistica, solo filosofica e
gnoseologica, è sbagliata, perché il buddhismo è fondato su
una pratica. Tutte le acquisizioni di tipo teoretico del
buddhismo non sono state abbozzate a tavolino, ma sono il
risultato di lunghi periodi di
meditazione. E comunque il
buddhismo ha una finalità
molto concreta: eliminare le
cause del dolore. Questo lo dimenticano anche gli studiosi
più bravi. Sono d’accordo con
Pierre Hadot quando dice che
la filosofia antica occidentale
era una pratica di vita. Ecco,
noi quella cosa l’abbiamo persa, mentre il buddhismo in
gran parte è ancora così».
Come mai il buddhismo
sta avendo questo successo in
Occidente? Non corre il rischio di essere frainteso, come è successo allo yoga, che
ormai è diventato una variante del fitness, da praticare in palestra?
«Ci sono delle possibilità
che finisca così, ma è più difficile, perché non si tratta di
una tecnica così specifica come lo yoga, che può essere
estrapolata dal suo contesto. Il
successo del buddhismo è una
questione che andrebbe affrontata da molti punti di vista, sociologico, psicologico, storico.
Non bisogna dimenticare, ad
esempio, che la sua diffusione
in Occidente è legata in buona
parte anche all’esilio tibetano.
Il Dalai Lama, che vede sempre il bicchiere mezzo piano,
una volta ha detto che tutto
sommato la persecuzione cinese ha prodotto un’espansione
dell’interesse per il buddhismo. Un interesse che ovviamente può essere banalizzato,
come dimostra l’attenzione dei
media per i divi hollywoodiani
che si dichiarano buddhisti.
Eppure ci sarà sempre quella
persona su un milione che si
chiederà come mai in uno spot
pubblicitario una star americana arriva con la sua auto in
Tibet e si impegna per quella
causa...».
Faccio un’ipotesi: molti
occidentali, che hanno avuto
un’educazione cattolica e conoscevano solo un certo modo di essere religiosi, che
comporta dogmi, obbedienze,
rituali formali, stanno scoprendo che esiste una spiritualità che mette l’accento
sulla ricerca personale, la libertà, la pratica.
«Questo c’è sicuramente.
Qualcuno dice anche che dietro al successo del buddhismo
forse c’è un motivo sociologico: in un’età di fondamentalismi come la nostra, che siano
islamici o cristiani, il buddhismo appare come un’alternativa, una terza via. C’è poi un
altro aspetto, anche se non è
sviluppato come vorrei: il
buddhismo è un pensiero laico,
che per certi aspetti ricorda il
Kant della Dialettica della ragion pura. E’ una disciplina
spirituale pragmatica, empiri-
ca, sperimentale. Purtroppo
scienza e filosofia per lo più la
pensano diversamente, dicono
che è una disciplina che non ci
appartiene e si rifiutano di conoscerla meglio e di prenderla
seriamente in considerazione».
Eppure il Dalai Lama
porta avanti da anni, in prima persona, un confronto
con la scienza, anche con
neurologi di grande fama.
«Purtroppo questo in Italia
non succede. C’è ancora molto
scetticismo».
Giriamo la questione, anche qui: non c’è un pericolo
di fraintendimento in questa
nostra visione molto laica del
buddhismo? Coomaraswamy
scriveva che in fondo si tratta di una religione che prosegue il cammino tracciato dal
Vedanta. Sullo sfondo rimane comunque la meta
dell’Assoluto, l’Atman.
«Io sono d’accordo su tutto
con Coomaraswami, che è
sempre stato un punto di riferimento, tranne che su questo
punto, su cui sono in totale disaccordo. Ne parlo in un capitolo del libro. Lui voleva dimostrare che il buddhismo era
una variante interna al brahmanesimo. Ma nel buddhismo
non c’è Assoluto. Nel buddhismo non si dice che la non-esistenza del mio “io” deve risolversi sciogliendosi in un Io più
grande, ma si dice che l’io è
relativo a tutte le cose che esistono. Nemmeno il “vuoto”
può essere assunto come assoluto. Qui si apre il problema se
il buddhismo sia o no una religione. Non ha un principio
trascendente di riferimento,
ma ne ha uno immanente, che
è l’origine interdipendente delle cose. Tutto è collegato. Basta questo a considerarlo una
religione? Resta il fatto che il
buddhismo è una disciplina
che cambia, che trasforma i
comportamenti. E’ una filosofia pratica, una saggezza di vita».
Fabrizio Tassi
spettiva scientifica. Per non parlare
del fatto che da un concetto come
quello di kamma (karma) si possono ricavare conseguenze etico-politiche molto attuali, visto che ogni
azione ha sempre un carattere collettivo (l’io è un essere plurale) e
quindi dipende anche da fattori
ambientali e sociali, chiamando in
causa la responsabilità di tutti. Vale la pena approfondire...
F.T.
L’Illuminato tra
moda e verità
«Osserva con distacco i tuoi pensieri, come
osservi con distacco il volo lontano degli uccelli
nella pace della sera». Sembra facile (in effetti
non lo è per niente...). Eppure il “segreto”, in un
certo senso, sta tutto lì. La frase è attribuita a
Siddharta Gautama Sakyamuni, ma la trovi anche
in un libro semi-serio come quello scritto da Giulio Giacobbe un paio d’anni fa: Come diventare
Buddha in 5 settimane. Verrebbe da dire che la
“verità” - un pensiero efficace, una disciplina che
agisce in profondità - rimane tale anche quando
appare nei contesti meno ortodossi (il “manuale
di autorealizzazione” di Giacobbe ha anche ottime intuizioni). Ma il buddhismo rifiuta per principio ogni ortodossia. E’ poca teoria e molta pratica. E soprattutto nessuna autorità infallibile o
testo sacro indiscutibile. La verità è un cammino
da intraprendere (possibilmente in buona compagnia), non un prodotto fatto e finito da acquistare
al mercato delle religioni rivelate.
Il suo incredibile successo in Occidente si può
toccare con mano entrando in una qualsiasi libreria. La letteratura sull’argomento ormai è sterminata. Solo nei primi mesi del 2008 in Italia sono
usciti una trentina di libri sul buddhismo.
Si va dal monaco francese Ricard Mathieu, Il
gusto di essere felici (Sperling & Kupfer), a Corrado Pensa che intreccia pratica e teoria in Il silenzio tra due onde (Mondadori). Dal sempre più
inflazionato Dalai Lama, che firma suo malgrado
tre libri in sei mesi (L’abbraccio del mondo, Oltre i dogmi, Il mio Tibet), a Giovanni e Ditte Bandini che raccontano Quando Buddha non era ancora Buddha, sulle orme dello Jataka, raccolta di
storie tradizionali sulle esistenze precedenti
dell’Illuminato (Feltrinelli).
Poi c’è la grande opera di divulgazione
dell’Ubaldini (fin da tempi non sospetti), che offre anche strumenti per praticare, non solo per
soddisfare la nostra curiosità intellettuale. Vedi
tra gli ultimi Non rifiutare nulla di Rigdzin Shikpo, ma anche La rivoluzione dell’attenzione di
Alan Wallace (spendiamo tanta energia nel curare il corpo e nel soddisfare i nostri desideri, ma
non dedichiamo neanche un secondo all’addestramento della mente, che ne avrebbe tanto bisogno...), oppure il corso di meditazione di Ajahn
Braha (Consapevolezza, beatitudine e oltre), che,
come vuole la tradizione, parte dall’anapanasati,
l’osservazione del respiro.
Sono sempre consigliabili i testi di Ananda
Coomaraswami, come la Vita di Buddha, riedita
da Se. Ma ovviamente piacciono di più i libri del
monaco vietnamita Thich Nhat Hanh, per la semplicità con cui sono scritti e per la concretezza dei
suoi suggerimenti, dedicati all’accrescimento della consapevolezza (chiave di volta della pratica).
L’ultima opera (più teorica) uscita con il suo nome è Il cuore del cosmo (Mondadori), dedicato al
Sutra del Loto: «Mentre recito il Sutra del Loto,
la sera il suono smuove le galassie; sotto di me la
terra si risveglia, nel suo grembo compaiono fiori, all’improvviso. Mentre recito il Sutra del Loto,
la sera, appare splendente uno stupa adorno di
gemme, si vedono ovunque bodhisattva nel cielo;
la mano del Buddha è nella mia».
F.T.
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