Il complesso monumentale di Santa Sofia a Benevento Alumna: Katia Nuzzolo Asignatura: Historia y Gestion del Patrimonio Artistico Profesor: Luis Arciniega Grado en Historia del Arte (3°B), Universidad de Valencia 1 Descrizione introduttiva Ad Arechi II, principe di Benevento, si deve la fondazione di Santa Sofia, santuario della nazione longobarda beneventana oltre che del principe stesso. La chiesa fu costruita tra il 758 e il 760, all’interno di essa furono poste le reliquie dei XII Fratelli Martiri nel 760 e di San Mercurio, patrono dei longobardi beneventani, nel 768. Benevento, Chiesa di Santa Sofia, facciata, VIII sec. Affidata alle cure di monache benedettine, a capo delle quali doveva trovarsi la stessa sorella di Arechi II, Santa Sofia divenne la chiesa di un’attigua abbazia che ebbe presto notevole importanza fino a diventare una delle più ricche e famose abbazie dell’Italia meridionale, tanto che i monaci ne rivendicarono, nel X secolo, l’autonomia da quella di Montecassino da cui era sempre dipesa. 2 Questo, naturalmente, ne favorì l’ascesa sia economica che culturale, cosicché, verso la metà del XII sec., il monastero fu arricchito da uno splendido chiostro, fatto costruire dall’abate Giovanni IV e la chiesa che aveva già ricevuto il campanile nell’XI secolo,venne ampliata con l’aggiunta di un protiro, di cui rimane il nucleo centrale col portale romanico, dove una lunetta presenta, su un fondo di mosaico a tessere dorate, un altorilievo raffigurante il Cristo in trono con a sinistra la Vergine e a destra San Mercurio. Ancora più a destra è rappresentato un abate inginocchiato, probabilmente Giovanni IV che eresse il chiostro, mentre in corrispondenza, a sinistra, uno scudo rappresenta forse lo stemma dell’abate. Benevento, Chiesa di Santa Sofia, facciata, lunetta del portale e portale romanico. Colpita più volte da terremoti e restaurata a più riprese, Santa Sofia ha recuperato con il restauro degli anni ’50 parte dell’aspetto originario e una più precisa lettura dell’originalissima pianta, per metà circolare e per metà a forma di stella. L’interno è articolato nel rigore di calcolati rapporti geometrici ma anche nei giochi prospettici e illusionistici dei due circuiti concentrici, esagonale il più piccolo, formata da sei colonne, decagonale l’altro, dato da otto colonne e due pilastri. Si ha così un senso di dilatazione dello spazio, esaltato dai giochi di 3 chiaroscuro della luce, che penetra dalle finestre dell’alto tamburo esagonale, su cui s’imposta la cupola, che copre il vano centrale e ne rappresenta il luminoso centro. Benevento, Chiesa di Santa Sofia, interno, VIII sec. Ma il risultato più interessante degli interventi di restauro condotti nella chiesa di Santa Sofia, fu la scoperta nel 1947, di frammenti di affreschi che ricoprivano le absidi minori. Queste pitture, databili all’ VIII secolo, seguono alla lettera il primo capitolo del Vangelo di Luca, attingendo al patrimonio iconografico e decorativo della cultura figurativa siro – palestinese, conferendo alle figure toni di viva espressività realistica. I brani più importanti del ciclo pittorico di Santa Sofia si trovano, dunque, nelle due absidi minori; nell’ abside sinistra sono raffigurate scene della storia di Zaccaria, padre di San Giovanni Battista mentre in quella di destra si svolgono storie delle Vergine. L’abside centrale, crollata, non reca più segni di pitture, per cui non è possibile stabilire se ve ne fossero ed eventualmente che cosa esse rappresentassero. 4 Benevento, Chiesa di Santa Sofia, abside laterale nord, Scene della storia di Zaccaria, VIII sec. Benevento, Chiesa di Santa Sofia, abside laterale sud, Scene della storia della Vergine, VIII sec. 5 Storia: la chiesa, il monastero, il campanile, la fontana. Il complesso monumentale di Santa Sofia si trova a Benevento e comprende la chiesa, una delle più importanti della Longobardia Minor giunte fino ai giorni nostri, il campanile antistante la piazza, l'ex monastero con un bel chiostro e la fontana al centro dell'area. L'insieme fa parte del sito seriale "Longobardi in Italia: i luoghi del potere", comprendente sette luoghi densi di testimonianze architettoniche, pittoriche e scultoree dell'arte longobarda, inscritto alla Lista dei patrimoni dell'umanità dell'Unesco nel giugno 2011. Il complesso di Santa Sofia si sviluppò intorno alla chiesa, fondata dal duca longobardo Arechi II intorno al 760. Dopo la sconfitta di Desiderio ad opera di Carlo Magno (774) divenne tempio nazionale dei Longobardi, che nel Ducato di Benevento avevano trovato rifugio. Proprio nel 774 la chiesa fu dedicata a Santa Sofia, con una donazione; Arechi vi annesse anche un monastero femminile benedettino che divenne, attorno al XII secolo, una delle più importanti dell'Italia meridionale. Attorno a questo periodo, ad opera dell'abate Giovanni IV il Grammatico, capo del monastero dal 1119, subì le prime modifiche: furono infatti aggiunti un campanile romanico sulla sinistra della facciata e un protiro a quattro colonne davanti alla porta d'ingresso, con un bassorilievo ora posizionato nella lunetta sovrastante l'ingresso. Nel 1595 i benedettini abbandonarono il monastero. Gravi danni subì poi la chiesa nei terremoti del 5 giugno 1688 e del 1702: a causa del primo crollarono le aggiunte medievali e la cupola primitiva. Già in quest'occasione il cardinale Orsini, futuro papa Benedetto XIII, volle che la chiesa fosse ricostruita secondo il gusto barocco: nei lavori di restauro, affidati dal 1705 all'ingegnere Carlo Buratti, la pianta fu trasformata da stellare a circolare, furono costruite due cappelle laterali, fu cambiato l'aspetto dell'abside, della facciata, dei pilastri. Furono inoltre distrutti quasi del tutto gli affreschi di artisti legati alla Scuola di miniatura 6 beneventana (fine VIII - inizio IX secolo) che ricoprivano la chiesa, dei quali restano solo alcuni frammenti con Storie di Cristo e della Vergine. Un discusso intervento di restauro nel 1951 ripristinò scrupolosamente, sulla base dei documenti disponibili, le absidi e l'originale pianta della chiesa longobarda ed eliminò le cappelle settecentesche; tuttavia lasciò quasi immutata la facciata barocca. La chiesa La chiesa di Santa Sofia presenta una pianta centrale molto originale: al centro sei colonne sono disposte ai vertici di un esagono e collegate da archi che sorreggono la cupola. L'esagono interno è poi circondato da un anello decagonale con otto pilastri e due colonne ai fianchi dell'entrata. Non meno originale è la forma delle pareti. La zona delle tre absidi è circolare, ma nella porzione centrale ed anteriore le mura disegnano parte di una stella, interrotta dal portone, con quattro nicchie ricavate negli spigoli. La facciata degli spioventi ricurvi. Benevento, Chiesa di Santa Sofia, pianta. 7 presenta, dal restauro settecentesco, Il monastero Il monastero annesso alla chiesa oggi esistente è stato costruito tra il 1142 e il 1176 dall'abate Giovanni IV, in parte con frammenti di quello precedente del VIII secolo, distrutto dal terremoto del 986. La sua parte più notevole è il chiostro, dalla struttura romanico-campana arricchita dal gusto arabo. È a pianta quadrangolare, composto da quindici quadrifore ed una trifora, che, nell'angolo a sud, ripiegando con la quadrifora dell'altro lato per dare spazio alla chiesa, forma un angolo sporgente di bell'effetto, esistente forse già nel primo chiostro costruito intorno all'VIII secolo. Al centro del giardino, un capitello incavato funge da pozzo. Le aperture del chiostro sono adornate da 47 colonne di granito, calcare ed alabastro, ciascuna con la sua caratteristica, che su ciascuno dei lati si inseguono in una prospettiva composita. Poggiate su basi alte 50 cm, dimostrano il gusto creativo teso all'originalità dell'opera, tipico del tempo, come i capitelli ed i pulvini elaboratissimi, sfaccettati con le figurazioni più impensate: fogliame, allegorie, profili di figure umane e di animale, colte in momenti di vitalità e di forza. A partire dall'entrata dell'abbazia situata a sinistra della chiesa e procedendo in senso antiorario, si riconoscono tre sequenze, ad opera di tre monaci detti il Maestro dei Mesi, che realizzò una serie dei lavori agresti dell'anno, il Maestro dei Draghi e il Maestro della cavalcata di Elefanti. Gli archi delle aperture sono a sesto ribassato, di gusto moresco. Essi sostengono la terrazza al piano superiore, con la suggestiva passeggiata su cui si aprono le stanze dell'ex monastero, che hanno subito svariati restauri e ammodernamenti. Sotto Arechi II e la moglie Adelperga, che protesse gli studi di Paolo Diacono, nel monastero fiorirono le dispute dottrinali e le ricerche umanistiche, che continuarono nei secoli seguenti, al 8 punto che, intorno al Mille, esso fu centro di attività tale da annoverare ben 32 dottori delle arti liberali. L'ex monastero è ora sede Museo del Sannio; possiede una raccolta di reperti archeologici, armi, stampe, monete ed una pinacoteca con quadri dal Cinquecento al Settecento. Benevento, monastero e chiostro, XII sec. 9 Il campanile Il primo campanile fu costruito da un tale Gregorio II, abate di Santa Sofia tra il 1038 ed il 1056, sotto il principato di Pandolfo III, come si legge da un'epigrafe scritta in caratteri longobardi, in una lapide incastrata nella parete meridionale di quello attuale, e proteggeva il sepolcro di Arechi II. Crollò con il terremoto del 5 giugno 1688, rovinando sull'atrio monumentale costruito nel Millecento. Il nuovo campanile fu ricostruito nel 1703, in una posizione diversa da quella originale, nell'ambito delle mura che allora recingevano il convento e il giardino. Nel 1915 rischiò di essere abbattuto dall'amministrazione comunale, che lo riteneva un ingombro inutile, e non affatto un'opera d'arte da conservarsi; ma Corrado Ricci si adoperò presso il ministero competente affichè non venisse compiuta tale opera di distruzione. Sulle pareti del campanile si possono ammirare gli stemmi delle dominazioni succedutesi in Benevento, posti in tempi recenti, come le tavole marmoree delle facciate sud ed est, rievocanti l'estensione del Sannio antico e del Ducato di Benevento. Benevento, Chiesa di Santa Sofia, campanile, XI sec. 10 La fontana Nel 1806 si propose di restaurare i più importanti monumenti cittadini. Su proposta del governatore Louis de Beer, una volta sgomberata l'area antistante la chiesa di Santa Sofia, egli vi fece costruire la fontana oggi esistente. Progettata dall'architetto Nicola Colle De Vita, è costituita da una vasca circolare al cui centro si erge un obelisco, sulla schiena di quattro leoni dalla cui bocca sgorga l'acqua. L'obelisco era sormontato da un globo con sopra l'aquila imperiale, emblema della Francia napoleonica, in bronzo. Alla facciata meridionale dell'obelisco si leggeva un'iscrizione, Dopo il 1815, con l'avvento della Restaurazione, l'epigrafe fu poi raschiata via, anche se qualche traccia si scorgeva ancora. All'aquila imperiale venne sostituito il triregno dei papi con le somme chiavi e, successivamente, questo fu sostituito con lo stemma d'Italia. Recenti lavori di risistemazione della piazza hanno lasciato sui lati della fontana due oblò in vetro dai quali sono visibili le rovine sottostanti. Benevento, la fontana di Nicola Colle de Vita, 1806. 11 Restauri e affreschi La chiesa di Santa Sofia è stata oggetto, nel corso del tempo, di diversi restauri. Nel secolo XII la chiesa subì infatti un primo restauro che, lasciandone intatta la pianta originaria, vi aggiunse un campanile sulla parte sinistra della piccola facciata ed un elegante protiro all’ingresso, poggiato su quattro colonne. Questo determinò il parziale abbattimento della facciata, che in origine era lunga solo 9 metri. Nella lunetta centrale, al di sopra del nuovo portale così realizzato, venne anche inserito un bassorilievo che ora si trova sulla porta d’ingresso della chiesa. All'interno si sostituirono i due pilastri all'ingresso con colonne e si sistemò una "schola cantorum" nell'esagono centrale. Dopo questo primo restauro ne segue un secondo che possiamo definire “barocco”; con la ricostruzione in forme barocche del 1698 dovuta all’allora Arcivescovo di Benevento Cardinale Orsini – divenuto poi Papa Benedetto XIII – si apportano radicali trasformazioni che determinano la scomparsa della primitiva configurazione longobarda e causarono la quasi completa distruzione dei preziosi affreschi del secolo IX. Gli interventi consistettero, tra l’altro, nella trasformazione della pianta da stellare a circolare, nell’abbattimento e ricostruzione in nuove forme dell’abside centrale, nella rastremazione degli otto pilastri e nella realizzazione della nuova facciata, tutt’ora esistente. Si realizzarono inoltre due cappelle laterali e la sacrestia. L’interno fu completamente intonacato ed arredato secondo il gusto barocco. Il reastauro più importante è però quello moderno: nel 1951 iniziarono, a cura della Soprintendenza ai Monumenti di Napoli,i lavori di restauro che permisero di riportare alla luce l’originale schema strutturale murario longobardo e di completare poi le parti demolite o manomesse in occasione della trasformazione barocca. 12 In particolare furono eliminate le due cappelle a lato della facciata, l’abside centrale ed il muro circolare che aveva incorporato gli spigoli esterni delle pareti stellari. Queste ultime vennero ricostruite seguendo le indicazioni fornite dalle ricerche archeologiche. Leggeri furono invece gli interventi sulla facciata barocca: furono obliterati i due finestroni ed il rosone, mentre il portale fu arretrato nella posizione originaria. Nel 1947, nell’ambito dei lavori di restauro del dopoguerra, Giorgio Rosi metteva in luce le due absidi minori, e faceva così scoprire i resti di affreschi che allora furono ritenuti del IX-X secolo. Ma fu nel 1951, che completati i saggi preliminari, ebbe inizio un’organica opera di restauro condotta da Antonio Rusconi, opera che, compiuta nel 1957, ha restituito alla chiesa il suo aspetto originario, eliminando le modifiche apportate nel Seicento fatte per porre riparo ai danni provocati dal terremoto del 1688. Il ritrovamento di queste pitture è di fondamentale importanza; esse s’inseriscono, infatti, in quel contesto di rivalutazione dell’arte medievale che svalutata dal momento in cui appaiono i grandi movimenti artistici della seconda metà del XII secolo, da Nicola Pisano a Cimabue viene, fino a questo momento, accantonata per lasciare spazio soprattutto all’archeologia e all’arte rinascimentale. Nella concezione ottocentesca è al Rinascimento che va dato un posto primario, probabilmente perché è in questo particolare momento della civiltà italiana che si vede una sorta di rinascita rispetto all’arte del medioevo considerata, per lungo tempo, come espressione dei “barbari”. È in questo clima culturale, dunque, che va inserito il ritrovamento degli affreschi di Santa Sofia a Benevento, scoperta che ha contribuito alla rivalutazione dell’arte medievale e ad una ripresa degli studi in questo senso, in un clima, quello degli anni ’50, in cui sembrano esserci 13 grandi passi avanti verso gli studi medievali, con particolare attenzione all’Alto Medioevo; basti pensare, a tal proposito, alla fondazione in questi anni del Centro Italiano di Studi sull’ Alto Medioevo di Spoleto1, che ha rappresentato e continua a rappresentare nell’ambito della ricerca medievistica una istituzione fortemente stimolante, un’occasione d’incontro e di dibattito scientifico di altissimo livello. Il primo ad occuparsi dello studio degli affreschi fu il Bologna nel 1950. Tuttavia a causa della frammentarietà degli affreschi lo studioso non è in grado di darne un’interpretazione iconografica, per cui si limita a metterne in evidenza la qualità artistica per cui denuncia uno stile carolingio – ottoniano e per i quali propone una prima datazione intorno al IX – X secolo. Il Bologna in seguito si occupa nuovamente degli affreschi beneventani giungendo alla definitiva messa a punto della loro ricostruzione grafica: i brani più importanti sono dedicati alle Storie di Cristo e si trovano nelle absidi minori; in quella di sinistra sono rappresentate scene della Storia di San Giovanni Battista, mentre nell’abside di destra si svolgono Storie della Vergine. Lo studioso espone inoltre con chiarezza il fatto che le pitture di Benevento poggiano, senza altri strati sottostanti, su tratti di muro che appartengono con certezza ai più antichi di tutto l’edificio e in più evidenzia il fatto che altri frammenti di affresco, dello stesso carattere di quelli delle absidi e appartenenti allo stesso strato, si trovano sulle mura dell’anello 1 Il Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo è stato fondato il 7 giugno 1952 per iniziativa del prof. Giuseppe Ermini, rettore dell’Università di Perugia poi ministro della Pubblica Istruzione. La fondazione CISAM è ritenuta la più prestigiosa sede al mondo di convegni e studi interdisciplinari dedicati alla storia e alla cultura dell’alto medioevo che oggi svolge anche una brillante attività editoriale, annoverando tra le proprie pubblicazioni Collane, Riviste e Periodici in numero sempre crescente. 14 perimetrale della chiesa e che uno si trova a cavallo dell’angolo in cui due parti superstiti dei tratti murari a zig – zag si congiungono. Di qui la conclusione che le parti murarie a zig – zag appartengono con certezza alla stessa fase dell’edificio a cui risalgono le absidi laterali e che dunque parti murarie e affreschi non possono non essere contemporanei. In base a quanto scritto sarebbe interessante sviluppare delle nuove prospettive di ricerca; gli affreschi della chiesa di Santa Sofia, ad esempio, non sono stati studiati con le nuove tecniche d’indagine dei materiali, utilizzati nel campo della chimica e della fisica e applicate ai beni culturali. Le opere di cui si occupano discipline come la storia dell’arte o l’archeologia, portano in sé la storia della loro fabbricazione, del loro uso e della loro conservazione e se parte di questa storia è visibile, una parte resta nascosta sotto la loro superficie; per questo ai tradizionali studi di stile o di forma sarebbe stato opportuno affiancare queste nuove tecniche di analisi dei materiali per contribuire ad uno studio più completo, nel nostro caso degli affreschi di Santa Sofia, fornendo utili informazioni sulla loro datazione, sull’analisi dei materiali e sulla tecnica di esecuzione. Senza entrare nel campo della fisica applicata ai beni culturali, di cui queste tecniche d’indagine fanno parte, è sufficiente sapere che questi metodi permettono di determinare la datazione di un oggetto, la sua provenienza e la sua collocazione storico – artistica, nonché di fornire un valido aiuto per le opere di restauro. Si coglie, dunque, l’importanza che i risultati di queste tecniche potrebbero avere una volta applicate a cicli di affreschi con una travagliata storia critica, come quello di Santa Sofia di Benevento: innanzitutto si potrebbero avere informazioni più precise sulla sua datazione e avere così conferma di quanto proposto dagli studiosi, che fanno risalire queste pitture all’ 15 VIII secolo; dati i vari rimaneggiamenti subiti dalla chiesa di Santa Sofia si potrebbero riconoscere le parti originali da quelle eventualmente aggiunte in seguito nel corso di interventi di restauro e contribuire così alla corretta ricostruzione della storia di questo ciclo pittorico, infine, dal momento che queste tecniche permettono anche di comprendere la provenienza delle materie prime utilizzate per la realizzazione degli affreschi, potrebbero essere utilizzate per avere informazioni sulla loro origine. 16 17