L`astronomo che ha svelato i misteri della stella Nova

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L’astronomo che ha svelato i misteri della stella Nova Cygni
Lunedì 23 ottobre 2006 il Sindaco di Teramo Gianni Chiodi ha conferito, all’astronomo Piero
Tempesti, la cittadinanza onoraria nel corso di una solenne cerimonia a Palazzo di Città che ha visto
la partecipazione di astrofisici italiani del calibro del professor Amedeo Tornambè, ex direttore della
Specola di Collurania. Specola, ideata, progettata e fatta realizzare (su commissione del prof.
Vincenzo Cerulli) dall’illustre prof. De Bernardinis (sindaco di Teramo), grande matematico che la sua
città natale dovrebbe giustamente onorare nel segno di una continuità, per il futuro
dell’Osservatorio.
Le chiavi della Città di Teramo sono state donate all’illustre astronomo Tempesti che negli anni ’60 e
’70 con dedizione ed entusiasmo diresse le sorti (salvandolo) dell’Osservatorio “Vincenzo Cerulli” di
Collurania (Teramo) reintroducendo il metodo della fotometria fotoelettrica e lo studio degli asteroidi.
Tempesti, decano dell’Astronomia ìitaliana, ricorda molto bene la sua più importante scoperta
scientifica effettuata a Collurania: la prima osservazione al mondo della duplicità di un sistema
stellare durante la fase di massimo dell’esplosione della Nova Cygni 1975, avvenuta 5.800 anni fa.
“A Napoli – ricorda Emilio Sassone Corsi, presidente dell’Unione Astrofili Italiani – ebbi con mio
fratello la fortuna di osservare, forse tra i primi, la Nova Cygni 1975.
Chiamammo l’allora direttore dell’Osservatorio di Padova, Leonida Rosino, il quale si mise subito in
contatto con Tempesti che, da Collurania, ottenne ottimi spettri della nova quando era ancora nella
fase ascendente della curva di luce. Un lungo articolo sulla rivista Coelum scritto da Tempesti
glorificò la scoperta dei due giovani astrofili napoletani”. Tempesti, nato a Firenze nel 1917, apprese
i rudimenti dell’Astronomia frequentando dal 1936 l’Osservatorio di Arcetri, quando ancora era
studente liceale, a due passi dal “Gioiello”, la modesta villa dove Galileo Galilei visse da confinato
del Sant’Uffizio l’ultima e più buia parte della sua vita. Dopo la laurea in Fisica a Bologna nel 1947, è
stato assistente del prof. Horn D’Arturo, poi astronomo presso gli Osservatori di Catania e di Teramo,
quindi professore associato di Spettroscopia all’Università di Roma “La Sapienza”.
Si è interessato di ricerche fotometriche di stelle doppie ad eclisse, di novae e supernovae, e ha
altresì svolto un’intensa attività divulgativa con libri e articoli su riviste scientifiche internazionali,
amatoriali e su quotidiani, spaziando dalle comete alla fotometria extragalattica. Direttore
dell’Enciclopedia in sei volumi "Astronomia, Alla scoperta del cielo", (Curcio, 1985) che meriterebbe
una ristampa, è autore del bel volume "Pulsar" (Biroma, 1997), ha pubblicato il libro "Stelle doppie"
(Fabbri, 2002), un volumetto tecnico sulle aberrazioni ottiche dei telescopi, edito dal Dipartimento di
Astrofisica dell’Università di Padova e “Il calendario e l’orologio” (Gremese Editore, 2007), duecento
pagine dedicate alla misura del tempo.
Tempesti arriva a Collurania alla fine del 1958 (vi rimarrà fino al 1982) subito dopo la soppressione
della figura del Direttore residente e il trasferimento della direzione a Napoli nella persona del
cattedratico di Astronomia (1956): fatto gravissimo perché privò l’Osservatorio di Teramo della guida
di un responsabile che, direttamente coinvolto nelle sorti dell’Istituto (fondato dal Cerulli e donato
allo Stato per amore della libera scienza) ne difendesse il nome e lo sviluppo in anni in cui
l’astronomia italiana si trasformava in Centri di scienza sempre più competitivi tra loro nella ricerca
di quei finanziamenti e di quel personale indispensabili per un moderno sviluppo della scienza di
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Urania. Grazie alla dedizione e all’entusiasmo del prof. Tempesti, Collurania evitò il tracollo totale e
conobbe una nuova florida stagione scientifica.
“Nel 1958 il vecchio telescopio rifrattore Cooke del Cerulli" – rivela il prof. Piero Tempesti – "era
inutilizzabile. Per iniziare a Teramo la nuova fotometria fotoelettrica, una tecnica di ricerca
astronomica moderna all’inizio degli Anni ’60, occorrevano nuovi strumenti: così potenziato, il Cooke
era pronto per osservazioni di tipo moderno. Ma la fotometria non era nuova a Collurania: già nel
1930, il direttore, prof. Mentore Maggini, aveva inaugurato, primo in Italia, questa nuova tecnica
sull’esempio delle esperienze fatte da P. Guthnik in Germania.
Come? Con una cellula fotoelettrica semplice e un fotocatodo di rubidio che, al passaggio della luce
stellare, generava una debole corrente misurata direttamente mediante la carica indotta in un
sensibilissimo elettrometro. Ma la corrente era così debole che si riusciva a fotometrare, con attenti
accorgimenti, soltanto stelle splendenti ben visibili ad occhio nudo. Il fotometro di Maggini era una
scatola cilindrica attaccata all’estremità dell’oculare del telescopio Cooke, con all’interno le ottiche
per il puntamento stellare e l’elettrometro. Questo delicatissimo strumento era in sospensione
cardanica affinché, qualunque fosse la posizione del telescopio, potesse mantenere un assetto
verticale”. Con la fotometria si misura l’intensità luminosa delle stelle e le loro variazioni periodiche
e/o irregolari di luce nel tempo. Lo studio delle stelle variabili, una tradizione a Collurania, porta alla
conoscenza di molti problemi astrofisici.
Tempesti inaugura a Teramo questa nuova tecnica grazie al fotomoltiplicatore con registratore su
carta che consente di fotometrare stelle molto deboli, sempre sfruttando l’effetto fotoelettrico la cui
interpretazione in fotoni quantici di luce, valse ad A. Einstein il Premio Nobel per la Fisica nel 1921.
Tempesti dispone a Collurania della potenza del telescopio Cooke, oggi relegato a pezzo da
museo.“Rispetto ai miei colleghi di Catania e Trieste, mi trovavo in condizioni vantaggiose: ho
studiato diverse stelle variabili e novae, in particolare stelle doppie ad eclisse, cioè sistemi stellari
dove coppie di astri orbitano l’uno attorno all’altro e il cui piano orbitale giace sulla nostra linea
visuale, in modo che ad ogni giro si eclissano l’un l’altro! Ad occhio nudo vediamo solo una stella,
all’oculare del telescopio vediamo solo una diminuzione di luce e in questo caso le misure sono poco
precise.
Ma con il fotometro moderno otteniamo dati più affidabili. Ho così studiato la stella AZ Cassiopeiae,
una doppia con un periodo di 9 anni e ne ho osservato il minimo del ’66 e del ’75, seguendola
pazientemente notte dopo notte, grazie al valido aiuto del mio collaboratore, il tecnico Agostino Di
Paolantonio, le cui misurazioni sono risultate molto più precise di quelle fornite da altri Osservatori:
Agostino con le coordinate celesti della stella era in grado di puntare il telescopio, trovare l’oggetto
ed iniziare la fotometria”.
Negli anni ‘60 Tempesti stringe uno stretto rapporto tra Collurania, l’Università di Roma e il Centro di
calcolo di Frascati, dove opera con instancabile dedizione il matematico Rodolfo Patriarca, grande
amico e collaboratore del Nostro insieme all’astronomo teramano Renato De Santis. Molti laureandi
giungono a Teramo per preparare le loro tesi sulle osservazioni fotometriche di stelle variabili: Piero
riuscirà a far laureare più di 15 giovani promesse, poi tutti astronomi di successo. Cordiale e attivo è
il rapporto con i numerosi astrofili che frequentano l’Osservatorio di Teramo. Tempesti inizia anche le
osservazioni fotometriche degli asteroidi, tra cui Interamnia, scoperto dal Cerulli, e il pianetino
Vittoria, sviluppando nuovamente a Collurania questo tradizionale filone d’oro della ricerca che nel
’68 condurrà alla prima pubblicazione scientifica sull’argomento.
Il telescopio rifrattore, protagonista di un’Astronomia d’altri tempi, torna così alla ribalta in campo
astrometrico: quanto a precisione ancora non ha rivali! “Gioverà menzionare un esempio tratto da
un’esperienza personale. Nel 1960, mentre a Collurania era in fase di realizzazione il fotometro
fotoelettrico da applicare al rifrattore Cooke (39.4 cm. di diametro e 591 cm. di focale), arrivò il
telegramma dell’Unione Astronomica Internazionale annunciante la scoperta di una supernova nella
galassia NGC4496 dell’ammasso della Vergine. L’unico strumento disponibile per l’osservazione
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fotometrica di questa esplosione stellare era un vecchio rifrattore fotografico di 16 cm. di apertura:
uno strumento che oggi sarebbe snobbato da molti astrofili e che anche allora poteva essere
valutato quasi ridicolo per un professionista.
D’altra parte l’alternativa, a me non congeniale, era di rinunciare all’osservazione: perciò fotografai
questa stellina con pose convenientemente lunghe di un’ora, seguendola per vari mesi finché,
superata la 15a magnitudine, divenne invisibile per uno strumento che con quell’apertura osava
sfidare le distanze intergalattiche. La supernova che ricevette poi il nome di SN1960F, fu seguita
fotometricamente da altri tre Osservatori in varie parti del mondo all’insaputa l’uno dell’altro. A
distanza di 42 anni tutte queste osservazioni sono diventate la base indispensabile per sfruttare
subito un risultato ottenuto dal Telescopio Spaziale Hubble, in orbita da 12 anni attorno alla Terra a
600 Km di quota: ossia, la determinazione di un parametro cosmologico qual è la Costante di Hubble.
Il Cooke sinceramente non lo metterei ancora in museo, secondo quanto ho letto sul Catalogo del
sito Intenet di Collurania: disponibilità del personale permettendo, potrebbe essere ancora utile,
certamente non più come ai miei tempi.
Come non metterei ancora in museo lo strumento fotografico con obiettivo Zeiss acquistato nel
1963. Per quanto riguarda il vecchio sismografo Agamennone della collezione privata del Cerulli, io l’
ho lasciato in Osservatorio nel 1982 ed era perfettamente funzionante! Ma c’è una storia curiosa che
desidero rivelare. Nei primi anni ’70 ci arrivò da L’Aquila un nuovo sismografo che volevo subito
mettere in funzione e così furono preparate le basi. Curiosamente occorreva una particolare carta
sismografica che veniva fornita solo dagli USA. Allora chiesi all’Istituto americano incaricato della
distribuzione, di spedirci al più presto il materiale che però veniva inviato gratuitamente.
Ma la nostra dogana pretendeva la fattura: bene, non siamo riusciti a sdoganare la carta! Scrissi
all’Istituto USA nella speranza di ottenere una fattura pro forma, ma nulla di nulla: dopo la loro
risposta un po’ bruttina, rinunciammo alla carta ed al sismografo, ringraziando la burocrazia
dell’epoca!”. Molto importanti sono per Collurania gli studi pionieristici di Tempesti sulla stella Nova
Cygni 1975. Il giovane astrofilo giapponese Kentaro Osada, nella calda serata del 29 agosto 1975 era
tutto preso dall’esame della volta celeste quando si rese conto con stupore che nella costellazione
del Cigno una nuova stella si era accesa fra le altre, brillando con splendore pari alla 3a magnitudine,
5° a nord di Deneb, la stella supergigante bianco-azzurra di prima grandezza del Cigno.
Osada iniziò a sorvegliare l’intrusa durante le successive sei ore, al termine delle quali la luce
dell’astro risultava intensificata di circa il doppio! Giunta l’alba, telegrafò la notizia della scoperta
all’Ufficio Internazionale dei Telegrammi Astronomici: era una stella Nova. In quelle medesime ore,
calata la notte sull’Europa, gli astronomi informati della comunicazione cominciarono le osservazioni.
In Italia c’era Piero Tempesti. “Quando arrivò il telegramma della scoperta dagli USA, puntai subito il
Cooke per osservare la Nova che raggiunse la massima luminosità (1.7 magn.) la sera del 30 agosto
(tempo di Greenwich). Poi la stella prese a declinare con rapidità e nei 5 giorni successivi lo
splendore finì per scendere oltre il limite di visibilità per l’occhio nudo. L’ ho seguita con il Cooke per
ore e ore, misurando ogni notte l’intensità luminosa per vedere sul diagramma come diminuiva, al
fine di stabilire l’andamento del fenomeno che si produce in un sistema binario le cui componenti
sono una stella nana bianca e una stella gigante rossa.
La gigante si trova in una fase della vita in cui la sua atmosfera straordinariamente espansa deborda
nel dominio d’azione gravitazionale della nana bianca e perciò cede in continuazione materia
gassosa alla stellina compatta, la quale l’accumula su un disco equatoriale in rapida rotazione. Dal
disco, poi, il gas si trasferisce sulla superficie della nana bianca ove si addensa, riscaldandosi sempre
più, fino a che non si determinano le condizioni per l’accensione di una reazione di fusione
termonucleare che in breve tempo brucia quasi tutto quanto la stella ha risucchiato nel corso di
decine o centinaia di migliaia di anni. Dalla Terra, allora, noi vediamo una nuova stella, Nova per
l’appunto, accendersi in cielo! Ma non tutto il gas brucia perché una buona parte viene
violentemente sospinto verso l’esterno a formare una nebulosità tondeggiante che con il tempo si
diluisce e si disperde nello spazio interstellare.
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La nana bianca è così densa che il suo nucleo non risente minimamente del cataclisma: la stella si
limita a liberarsi del suo soprappeso per poi tornare normale. Le energie in gioco sono notevoli: la
Nova Cygni 1975 ha irradiato, in poche ore, qualcosa come 1039 joules, equivalenti a 1032 Kwh!
Tutte le forme di vita in un raggio di qualche centinaio di anni-luce si sono sicuramente estinte al
passaggio dell’onda di energia della nova, migliaia di anni fa. Al Cooke ho eseguito alcune misure per
poi elaborare la media: dopo un quarto d’ora, ho ripetuto le misure per migliorarla ulteriormente e
mi sono accorto che la stella era discesa molto in luminosità. Fatto un po’ strano, visto che in così
poco tempo in una nova non si vede alcun cambiamento: una normale discesa dura mesi, variazioni
si notano solo da una notte all’altra e la stella torna allo splendore primitivo in capo ad anni.
Dopo le misure di controllo su stelle vicine per accertarmi che non vi fossero fenomeni di
assorbimento atmosferico, ho pensato: forse si è frapposta una nubecola tra la nova e la Terra! Dopo
ogni misura notavo una continua caduta di luce che a quel ritmo avrebbe segnato la fine del
fenomeno con la scomparsa della nova. Sicuramente, ho pensato, deve essere una variazione
periodica: dopo il minimo, la luce tornerà a salire. Infatti, osservando il tracciato fotometrico su carta,
ecco che la luce ricomincia a salire e dopo 3 ore e 23 minuti a ridiscendere! Non era una discesa
uniforme, ma una variazione periodica sovrapposta alla lenta diminuzione che dura mesi.
All’alba del 10 settembre avevo registrato più di 10 metri di carta fotometrica: dopo le ultime misure
col decimetro, mi precipitai all’Ufficio postale di Teramo, alle 7.30 del mattino, per fare il telegramma
internazionale che annunciava alla comunità scientifica la scoperta di una variazione periodica nella
Nova Cygni 1975. Un fenomeno mai osservato prima, legato al fatto che le stelle novae sono sempre
doppie: la periodicità osservata rifletteva quella del moto orbitale del lontano sistema stellare,
distante dalla Terra 5800 anni-luce. Ho pensato: qui mi possono aver superato nel tempo solo i russi,
con i loro potenti telescopi asiatici che scrutano il cielo stellato prima di noi.
Nulla di nulla: i russi dormivano! E gli americani dal canto loro si sono limitati a confermare la mia
scoperta solo alcune ore più tardi”. Per una questione di longitudine e dedizione scientifica
galileiana, il prof. Tempesti scopre per la prima volta delle fluttuazioni periodiche di luminosità nella
stella Nova Cygni 1975, un fenomeno fisico, poi studiato su altre novae, che nessun altro astronomo
all’epoca avrebbe mai sospettato, cercato e trovato.
La notorietà di Collurania e di Teramo è alle stelle! “Quasi tutte le novae hanno questo
comportamento, in alcune di osserva meglio in altre meno. Nessun astronomo sospettava, prima
della mia scoperta, che già nella fase di massimo dell’esplosione termonucleare della nova, quando
la materia gassosa in espansione circonda entrambe le stelle e le nasconde, si potesse rilevare la
duplicità della variazione luminosa. Se non mi fosse venuta in mente l’idea di eseguire una seconda
serie di misure di controllo, non avrei scoperto nulla! Prima di allora, tali variazioni erano state
osservate soltanto in novae nella fase di stasi al minimo, quando l’involucro gassoso opaco in
espansione si era ormai rarefatto da divenire trasparente.
Nell’esplosione la luminosità della Nova Cygni 1975 si era accresciuta di 40 milioni di volte rispetto
allo splendore d’origine, divenendo luminosa quanto un milione di volte quello che in ogni istante
viene irradiato dal nostro vecchio tranquillo luminare, il Sole! L’ampiezza di questa nova è stata
veramente eccezionale: prima dell’esplosione era una stella invisibile più debole della 21a
magnitudine, un mese dopo il parossismo si era ridotta ad una sorgente di 8a e continuava a
indebolirsi, tanto che nel dicembre 1976 era alla 13a magnitudine. Dopo la Nova 1942, questo è
stato sicuramente il secondo evento più considerevole del XX° Secolo: la nube mortale in espansione
fu percepita con la raffinatissima tecnica a speckles, già 45 giorni dopo il massimo, ma non fu
possibile determinarne le dimensioni apparenti.
Quattro anni dopo l’esplosione, gli astronomi tedeschi Becker e Durbeck sono riusciti a fotografare la
nube con il telescopio riflettore di 123 cm. dell’Osservatorio di Calar Alto in Spagna ed a misurarne le
dimensioni. Mediante l’effetto Doppler hanno potuto stabilire la velocità di espansione (1.600
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Km/sec.) del residuo gassoso che si sta (dal nostro punto di vista, 5.800 anni dopo) allontanando
concentricamente intorno all’ex nova”.
20 Febbraio 2007 - 17:38
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