Gli inizi della filosofia e le sue relazioni con mito e credenze orientali 1 Giove padre, togli a questo buio i figli degli Achei, spandi il sereno rendi agli occhi il vedere; e, poiché spentine vuoi, ci spegni nella luce almeno. (Iliade, XVII, v.809-12) In questa preghiera di Aiace c’è lo spirito europeo (nella sua origine mediterranea): non importa morire, purché si sia nella luce della conoscenza (G. Preti, Storia del pensiero scientifico, p. 10). Compito (Platone, della filosofia è «l’uso del sapere a vantaggio dell’uomo [umanità]». Eutidemo) «Gli uomini, sia nel nostro tempo sia dapprincipio, hanno preso dalla meraviglia lo spunto per filosofare [...] anche chi ha propensione per le leggende è, in qualche modo, filosofo, infatti il mito è un insieme di cose meravigliose. Dunque, se gli uomini si diedero a filosofare con lo scopo di fuggire l’ignoranza, essi perseguirono la scienza [conoscenza vera] col puro scopo di sapere e non per qualche scopo pratico.» (Aristotele, Metafisica, I 982b) Mythos contenuto: fantastico, ma con riferimenti alla realtà storica e politica metodo: narrativo e poetico (letterario) scopo: insegnare e divertire (per Sallustio il mito non è mai stato, ma sempre sarà) Filosofie (religioni) orientali contenuto: spiegazione dell’esistente, quindi della realtà; anche dell’origine del cosmo (cosmogonie) metodo: tradizionale o di tipo religioso; visione (Zoroastro o Buddha) scopo: conoscere per vivere meglio; c’è uno scopo pratico, anche se non esclusivamente pragmatico, sia nelle religioni sia nelle scienze dell’antico oriente (medicina, geometria, astronomia) Filosofia greca (occidentale) 2 - contenuto: spiegazione complessiva, di tutta la realtà (cosmo) metodo: razionale e discorsivo (non fantastico o religioso) scopo: esigenza di conoscenza e contemplazione della realtà (è un’esigenza astratta perseguita per sé e non per altro, anche se la conoscenza è a servizio dell’uomo) nota - L’analisi di una forma culturale in base a contenuto, metodo e scopo è tipica della filosofia della scienza occidentale e forse non può essere completamente applicata alle filosofie orientali (o al mito); tuttavia qui occorreva trovare una base di comparazione. 3 - la filosofia è conoscenza delle cose umane e divine; - la filosofia è arte delle arti e scienza delle scienze; - la filosofia è conoscenza dell’essere in quanto essere; Nella tarda antichità, nel commentatore neoplatonico Ammonio di Ermia [V secolo], sono attestate sei diverse definizioni di philosophia: - la filosofia è imitazione di dio [omoiôsis theô/'], per quanto ciò è possibile all’uomo; - la filosofia è amore della sapienza. - la filosofia è meditazione della morte [meletê thanatou]; 4 In effetti l’uso del termine è già registrato in Eraclito (DKB35) e riscontrato in Erodoto (Storie, I, 30); Diogene Laerzio ne attribuiva invece il conio a Pitagora, che avrebbe distinto tra coloro, di natura servile, che perseguono gloria e ricchezze e coloro che, al contrario, di natura filosofica, ricercano la verità. Nel caso di Eraclito l’uso dell’espressione filosofo doveva inscriversi nella polemica condotta contro la cultura del suo tempo, accusata di superficiale nozionismo proprio nella figura di Pitagora, e assumere così il positivo significato di sapere capace di coniugare oggettività di contenuti e consapevolezza soggettiva. In Pitagora e nel pitagorismo più antico, il concetto doveva essere ancorato al programma di indagine della scuola e esplicitamente accostato alla verità (suo fine) e quindi alla realtà (oggetto da rendersi razionalmente trasparente). La civetta di Minerva è il simbolo della filosofia.[1] « Chi pensa sia necessario filosofare, deve filosofare e chi pensa che non si debba filosofare, deve filosofare per dimostrare che non si deve filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l'addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui. » (Aristotele, Protreptico o Esortazione alla filosofia) La filosofia, dal greco φιλείν (fìleìn), amare e σοφία (sofìa), sapienza, cioè amore per la sapienza, è la disciplina che si occupa di studiare e definire i limiti e le possibilità della conoscenza e, in generale, dell'esistenza dell'uomo, considerato come singolo e nella sua relazione, teoretica e pratica, con gli altri uomini e con gli oggetti. 5 Il pensiero filosofico occidentale, secondo Aristotele, nascerebbe dalla "meraviglia", ovvero dal senso di stupore e di inquietudine sperimentata dall'uomo quando, soddisfatte le immediate necessità materiali, comincia ad interrogarsi sulla sua esistenza e sul suo rapporto con il mondo che lo circonda. Queste domande di carattere universale, che in filosofia vengono definite come il problema del rapporto tra il soggetto e l'oggetto, vengono trattate secondo due aspetti: il primo è quello della filosofia teoretica, che studia l'ambito della conoscenza, il secondo è quello della filosofia pratica o morale o etica, che si occupa del comportamento dell'uomo nei confronti degli oggetti e, in particolare, di quegli oggetti che sono gli altri uomini, che egli presume siano individui come lui, perché appaiono a lui simili, pur non potendo sapere cosa siano essi veramente nella loro interiorità. Etimologia [modifica] Com'è noto, la parola filosofia ha origine dal greco φιλείν (fìleìn), amare e σοφία (sofìa): in essa si stabilisce un nesso fondamentale fra il sapere, che il filosofo cerca o ritiene di aver raggiunto, e l'amore, che qui va inteso non nella sua forma erotica (anche se l'eros, il desiderio è platonicamente il movente fondamentale della ricerca filosofica), ma in un senso più vicino al sentimento dell'amicizia. Il filosofo, in questa accezione, sarebbe dunque l'"amico del sapere"; e come tale, egli non si identifica con il sapere, ma piuttosto vi si accompagna, essendo consapevole di non poterlo possedere del tutto (così ad es. in Socrate (cfr. Apologia di Socrate) o in Pitagora, visto dalla tradizione come il creatore del termine filosofia, quando avvertiva che l'uomo può solo essere amante del sapere ma mai averlo del tutto, poichè questo appartiene veramente solo agli dei). Quanto al termine σοφία, la gamma dei suoi significati è piuttosto ampia, e si è prestata, nel corso dei secoli, a un uso molto differente del sapere filosofico: originariamente distinta dalla φρόνησιϛ, la prudenza, l'accortezza di giudizio, la sophia indica un'abilità di tipo più teorico, cioè la capacità di trarre verità universali dalla conoscenza delle cose. Il saggio, tuttavia, nel senso greco del termine, non è l'uomo perso nelle sue riflessioni teoriche; egli, pur detenendo un sapere considerato astratto, possiede invece l'abilità di farne un uso concreto, pratico: [2] in questo senso la filosofia greca è permeata, fra l'altro, dal problema politico[3], ovvero dal rapporto fra la sapienza e la capacità di governare sia il comportamento dell'uomo come singolo che come facente parte della comunità della polis stessa. La filosofia come espressione di libero pensiero [modifica] 6 Stanza dei filosofi dei Musei Capitolini di Roma Per approfondire, vedi la voce Storia della filosofia. « La verità è per noi perenne, infinito movimento. [...] Scorgere la verità è la dignità dell'uomo. Solo attraverso la verità diveniamo liberi, e solo la libertà ci rende pronti incondizionatamente per la verità. » (Karl Jaspers,da Piccola scuola del pensiero filosofico, Edizioni di Comunità, 1984, traduzione di C. Mainoldi) Come introduzione propedeutica a questa voce è necessario premettere che una definizione ultimativa e specifica della filosofia non può darsi; ogni sistema di pensiero infatti include al suo interno una ridefinizione del concetto di filosofia. Il filosofare cioè è un contenitore che permane uguale a se stesso ma il cui senso e valore muta per il contenuto sempre diverso. Il filosofare sempre lo stesso ma anche sempre diverso. La storia della filosofia consente di rintracciare le varie linee evolutive del concetto di filosofia e quindi definire in modo più unitario ed organico i problemi che sono oggetto della conoscenza filosofica. La storia della filosofia può essere intesa come un necessario contenitore che ci permette così di seguire una relativamente unitaria linea logica del filosofare proprio attraverso i contenuti, le continue diversità e sviluppi della speculazione. Come attività esclusivamente razionale e come tentativo di sostituire all'interpretazione mitica dei fenomeni naturali un'analisi attenta ai dati dell'esperienza, la filosofia nasce nell'ambito della cultura greca e europea. L'esercizio della filosofia ha sempre richiesto e sempre pretenderà la libertà di pensiero. Requisito che si può ritenere presente nel mondo greco e in quello romano, ma per nulla in quello cristiano. La ragione sta nel fatto che i politeismi pagani non erano dogmatici e non possedevano dottrina né precettistica. Con l'affermazione del Cristianesimo, nel IV secolo, la filosofia diventa ancilla theologiae, perde ogni autonomia e viene rigorosamente "pilotata" dalla dottrina cristiana, che ne fissa ambiti, canoni e criteri. 7 Il pensatore di Auguste Rodin Nei secoli VII e VI a.C. la Grecia si trasforma da paese agricolo a artigiano e commerciale. Una nuova classe di mercanti cerca la sua fortuna lontano dalle polis d'origine, prevalentemente mercantili quelle della Ionia (Asia Minore), come Mileto, Efeso, Clazomene, Samo, ecc., mente altrove prevale l'economia agro-pastorale. Anche ad Atene domina a lungo una classe aristocratica conservatrice che basa il suo potere sulla proprietà della terra. I flussi migratori hanno inizio intorno al 1200 a.C. colonie e vedono in un primo tempo mercanti-marinai che dalla penisola ellenica vanno verso Oriente, fondando colonie nella Ionia. In un secondo tempo, dall'VIII sec. a.C. in poi, è da qui che (sotto la pressione persiana) avviene l'inverso, vedendo per esempio Leucippo ed Anassagora trasferirsi il primo ad Abdera e il secondo ad Atene. Ciò determina un rimescolamento di culture estremamente favorevole per l'evoluzione della filosofia. È sulle coste della Ionia, e in particolare a Mileto, che l'evoluzione della società, i frequenti contatti mercantili con gli altri popoli del Mediterraneo, del mondo iranico e forse anche di quello indiano, portano un nuovo bisogno di conoscere. Al di fuori del mito la realtà dei fenomeni naturali, di cui si tenta per la prima volta una interpretazione razionale utile a soddisfare le necessità della navigazione, trova nuovi sviluppi e può nascere un pensiero filosofico laico, sganciato dalla religione. 8 Questa interpretazione "scientifica" della natura, che dà un nuovo senso ai racconti mitologici, per cui, ad esempio, il principio originario dell'acqua di Talete si sovrappone al mito del padre Oceano, non viene ostacolata dal credo religioso, poiché la religione greca era un religione naturalistica, legata all'immanenza e all'antropomorfizzazione del divino, e quindi assai lontana dalla trascendenza. L'esercizio della filosofia nasce quindi come espressione della la libertà di pensiero. La ragione sta nel fatto che i politeismi pagani non erano dogmatici e non possedevano dottrina né precettistica. In Grecia infatti, in assenza di libri sacri, non esiste una casta sacerdotale come custode del dogma e quindi rimane ampio spazio per il libero pensiero che si traduce a sua volta in libertà politica. Questa situazione, propria del politeismo e della differenziazione creativa dei miti, permette un pensiero libero, che finirà però col trionfo politico del Cristianesimo, intorno al 320 d.C., e specialmente col suo diventare religione ufficiale dell'impero (sotto Teodosio). Statua della dea Minerva con la civetta È nelle libere colonie ioniche che nasce la prima struttura della polis democratica greca che assieme con la filosofia, dopo la conquista persiana delle colonie, si trasferirà, dopo aver sopraffatto il vecchio regime aristocratico conservatore, nella madrepatria, facendo di Atene la capitale della filosofia e della libertà greca. 9 Esistono altresì dottrine ancora più antiche a carattere speculativo, sorte nell'ambito di varie culture orientali, anch'esse spesso strettamente connesse ad ambiti religiosi, che rendono questo tipo di riflessione particolarmente orientata alla comprensione del senso dell'esistenza del singolo individuo in rapporto a un Tutto olistico. Alcune di queste forme di pensiero mistico-filosofico, specificamente indiane, tramite anche delle pratiche improntate sull'ascesi, aspirano ad elevare l'individuo verso una più alta spiritualità. Oriente ed Occidente [modifica] Sulla priorità della filosofia, se essa sia nata cioè prima in Oriente o in Occidente, si sono confrontate due correnti di pensiero opposte. Infatti ci sono due tesi che si contrappongono per stabilire dove la filosofia nacque: quelle degli "orientalisti" e degli "occidentalisti". Appare piuttosto probabile che all'ambito indiano vadano riconosciuti, prima del 1100 a.C., i prodromi di ciò che sarà la speculazione filosofica, per quanto essi siano qui di carattere specificamente religioso. Ma è in ambito greco-ionico, e specificamente a Mileto nel VII sec.a.C., che nasce una vera filosofia laica, espressa da naturalisti come Talete, Anassimandro e Anassimene Gli orientalisti affermano che la filosofia abbia avuto origini in Oriente circa nel 1300 a.C., e che la stessa filosofia greca derivi dall'antico pensiero sviluppatosi in Asia. A supporto di questa tesi si porta la prova degli intensi rapporti commerciali tra i greci e le popolazioni orientali. Poiché la matematica nelle sue prime acquisizioni è nata in India il rapporto con l'oriente sembrerebbe provato per la dottrina pitagorica, ma assai meno possono essere collegati alla cultura orientale i naturalisti di Mileto. Talete, in particolare, avrebbe tratto piuttosto dalla cultura egizia elementi di tipo cosmologico. L'Egitto, infatti, all'epoca esprimeva un contesto assai più progredito della Grecia sul piano tecnologico, con importanti acquisizioni nel campo della geometria e dell'astronomia. La cultura occidentale avrebbe ripreso elementi di civiltà da quella orientale e sud-orientale che vantava da tempo acquisizioni di tipo scientifico importanti: basti pensare che nel XII secolo a.C. gli egizi distinguevano già la medicina dalla magia usando il metodo diagnostico e facevano progressi in campo matematico (come i babilonesi) e i caldei che già nel 2000 a.C. erano in possesso di documenti di studio sui corpi celesti. Ma le motivazioni degli orientalisti vanno oltre le prove sui contatti commerciali dell'Oriente con i greci e sui progressi culturali e scientifici orientali, poiché essi sostengono che la riflessione speculativa, e quindi la filosofia, era già presente in India nella religione brahmanica e poi nel Buddhismo, in nel Confucianesimo e nel Taoismo. Ciò può essere vero in quanto ai temi che saranno anche del pensiero greco (origine, essere, causa, anima, corpo, materia, ecc.) ma non per quanto riguarda le modalità di analisi e approfondimento. 10 Pur accettando che la filosofia greca abbia ricevuto apporti tematici provenienti dalle culture orientali, l'appproccio razionale e analitico era scarsamente utilizzato in Oriente, mentre sarà alla base di quello greco, [4] e la maggior parte degli storici della filosofia oggi afferma l'autonomia e l'originalità della filosofia greca nata a Mileto, colonia greca dell'Asia minore, nel VI secolo a.C. sostenendo: che anche gli autori della filosofia classica più vicini per tematiche al pensiero orientale (Platone, Aristotele, ecc.), pur riconoscendo l'importanza della cultura orientale, ne sottolineano il carattere pratico e non fanno alcuna menzione di una derivazione orientale della filosofia; che non abbiamo conferma di nessuna traduzione di testi orientali da parte di filosofi greci poiché evidentemente esistevano delle difficoltà linguistiche alla conoscenza delle culture orientali in un popolo, come quello greco, poco incline alla conoscenza delle lingue straniere, del linguaggio dei barbaroi; che la sapienza orientale si basava su conoscenze poste come verità teologiche indiscutibili conosciute solo da un gruppo ristretto di persone, i cosiddetti "sacerdoti", che non miravano allo sviluppo della razionalità ma erano orientate ideologicamente verso il raggiungimento di una vita ultraterrena o praticate per l' accrescimento di facoltà spirituali connesse alla sacralità; che infine esistevano fattori sociali e culturali che, come l'espansione coloniale greca in quella zona che sarà la Magna Grecia da parte di liberi mercanti che si affrancarono economicamente e culturalmente dalla madrepatria, costituirono un ambiente caratterizzato dalla libertà politica e di pensiero favorevole allo sviluppo del pensiero filosofico. Saggezza, educazione e scienza [modifica] Per approfondire, vedi la voce Presocratici. La scuola di Atene, affresco di Raffaello Sanzio, 1511 11 La traduzione generica di filosofia come amore per la saggezza non rende ragione della pluralità di significati che il termine sophia aveva nella lingua greca che la distingueva dalla phronésis (φρόνησιϛ), la prudenza.[5]. Nella cultura greca antica il termine filosofia oscillava tra due significati estremi: in un senso la filosofia, spesso identificata come sinonimo di sophia coincideva con la saggezza o, come anche si diceva, la paideia (educazione, formazione culturale): ad esempio Erodoto [6] racconta di Solone come un uomo che aveva molto viaggiato per il mondo «filosofando», per desiderio di sapere. All'estremo opposto filosofia assume il significato di dottrina scientifica ben delineata, che Aristotele chiama «filosofia prima» che indica cioè sia i principi primi, le cause prime, le strutture essenziali degli esseri sia quel pensiero che studia il primo principio di tutto: Dio stesso. È nell'ambito di questi due significati che si sviluppano gli usi più particolari del termine filosofia e il filosofare pratico dei pensatori greci classici. La nascita del termine [modifica] I più antichi pensatori della storia della filosofia non ebbero consapevolezza di essere filosofi: sia Diogene Laerzio [7] che Cicerone [8] indicano Pitagora come il primo a definirsi filosofo, amante del sapere: come colui, cioè, che può solo dirsi amante della sapienza, poiché gli unici, veri sapienti, sono gli dei. Lo stesso Pitagora, secondo la tradizione, viene indicato come l'autore dell'allegoria della filosofia come un mercato: la vita è come una grande fiera dove si recano quelli che vogliono fare affari, quelli che vi vanno per divertimento ed infine, i migliori, i filosofi, i quali non hanno altro scopo che osservare la varia umanità. Questo almeno secondo la tradizione che Diogene Laerzio riprende da Eraclide Pontico, un discepolo di Platone: il che fa sospettare che questo fosse un significato in uso nella filosofia platonica. In un frammento di Eraclito, riferito da Clemente Alessandrino [9] compare il termine filosofia e si dice che «é necessario che gli uomini filosofi siano indagatori di molte cose» [10]. Sembrerebbe che Eraclito volesse identificare la filosofia con la polimanthia, il sapere molte cose, ma questa interpretazione è esclusa da altri frammenti dove lo stesso filosofo afferma che questa «non insegna l'intelligenza» [11] ma piuttosto egli dice che compito del filosofo è quello di fare molte esperienze e da queste arrivare al principio primo unitario che egli chiama Logos (ragione, discorso). Ecco quindi cominciare a delinearsi in embrione un significato di filosofia come conoscenza dei principi primi: scienza universale che tratta l'essere in generale e che quindi è alla base e a fondamento di tutte le forme di conoscenza che si occupano dell'essere nei vari aspetti particolari. 12 La scuola di Mileto e l'archè [modifica] Con la scuola milesia di Talete, Anassimandro e Anassimene, il pensiero per la prima volta si emancipa dall'impostazione religiosa e dogmatica per ricercare spiegazioni razionali ai fenomeni naturali e alle questioni cosmologiche e si impone centralmente il problema dell'identificazione dell'archè, l'elemento costitutivo e animatore della realtà, indagato nello stesso periodo anche da Pitagora ed Eraclito. Essi pensarono che, pur essendo apparentemente diversi, i fenomeni naturali fossero omogenei, della stessa natura fondamentale. Si trova nelle loro teorie una ricerca di un punto di riferimento comune che metta ordine nella molteplicità caotica dei fenomeni. Se quindi, si riuscirà a identificare la causa prima di tutti questi fenomeni, quell'elemento comune a tutte le cose, che soggiace ("hypokeimenon") a tutto, nascosto al loro interno, per cui una cosa è quella che è nella variabilità di ciò che appare, si avrà la chiave di spiegazione unica di tutto il cosmo, cioè dell'universo come ordinato e armonioso. Quindi i primi filosofi presocratici ricercheranno quest'elemento primordiale, la causa di tutto, da cui tutto si è generato e a cui tutto ritorna: l'arché, il principio apparso per primo nel tempo e scopriranno così la sostanza dandole una pluralità di significati, come ente che: permane nei mutamenti rende unitaria la molteplicità rende possibile l'esistenza della cosa [12] Interessante notare come dalla iniziale speculazione sulla natura, ancora legata ad elementi fisici con Talete, il discorso filosofico si faccia sempre più astratto con Anassimandro, capace di concepire come principio ciò che non è materiale, l'indefinito, sino ad arrivare con la scuola Pitagorica ad una visione matematica della natura,[13] prima premessa per l'accesso della filosofia verso la via che porta alla scienza. Via che s'interromperà con le riflessioni sull'archè che faranno nascere, con Parmenide e la scuola eleatica, le prime speculazioni ontologiche; e con esse la percezione di un conflitto irriducibile tra la logica che governa la dimensione intellettuale e il contraddittorio divenire dei fenomeni testimoniato dai sensi. Contrasto variamente risolto dai successivi filosofi del VI-V secolo a.C. (fisici pluralisti), la questione rimarrà centrale in tutta la storia del pensiero occidentale, dalla Scolastica ad Heidegger nel Novecento. Il pluralismo ontologico [modifica] 13 Ontologia In filosofia, l'ontologia, fondamento storico della metafisica, è lo studio dell'essere in quanto tale, ovvero in quanto essente, nonché delle sue categorie fondamentali. Il termine deriva dal greco ὤν, ὄντος, "òntos" (genitivo singolare del participio presente di εἶναι, "èinai", il verbo essere) più λόγος, "lògos". Significa letteralmente "discorso sull'"essere". L'ontologia può avere, in determinati tipi di pensiero, legami con la teologia, in particolare per quanto riguarda alcune questioni fondamentali relative all'esistenza di Dio. Il termine ontologia fu coniato soltanto agli inizi del XVII secolo da Jacob Lorhard nella prima edizione della sua opera Ogdoas Scholastica (1606) e successivamente utilizzato da Rudolph Göckel per il suo Lessico filosofico (1613). L'ontologia monistica, che nasce con Senofane di Colofone, trova ad Elea, nell'ambito dell'occidentale Magna Grecia, i suoi principali sviluppi; ma essa è negata a oriente, in ambito ionico. Ionici sono infatti sia Leucippo (di Mileto) e sia Anassagora (di Clazomene), assertori di un'ontologia pluralistica, degli atomi il primo e dei semi il secondo (che Aristotele ribattezzerà omeomerìe). Per quanto il monismo determinista risulterà prevalere, e gli epigoni di Parmenide (e tra essi Platone) vincenti dal IV secolo a.C. in poi, nel V secolo il dibattito risultò assai fecondo per il pensiero greco. In ogni caso Aristotele, per quanto sostanzialmente monista, fu molto attento all'ontologia pluralistica, confrontandosi con essa a più riprese sia nella Fisica che nella Metafisica (la filosofia "prima"). L'espressione di tale pluralismo che risulterà più ricca di sviluppi sarà però l'atomismo leucippeo, che troverà in Democrito un valido continuatore e più tardi in Epicuro un suo riformulatore in direzione spiccatamente indeterministica. Filosofia come nuova paideia [modifica] 14 Accanto a questo primo iniziale configurarsi della filosofia come conoscenza universale compare nella storia della filosofia un'applicazione più pragmatica del filosofare: è quella dei sofisti che non tramandano definizioni della filosofia, ma come si legge nei Dialoghi platonici e in Senofonte [14] chiamano filosofia una particolare forma di educazione, dietro compenso, per i giovani che vogliano intraprendere una carriera politica. I sofisti compaiono nel periodo compreso fra il culmine della civiltà ateniese e i primi sintomi della decadenza dovuta a tensioni individualistiche ed egoistiche che erano già evidenti nell'età di Pericle. Allo scoppio della guerra del Peloponneso e alla morte di Pericle, entrano in crisi quei valori di supremazia culturale ed economica a cui si sostituisce il senso di precarietà dell'esistenza a cui i sofisti rispondono offrendo come soluzione le capacità retoriche dell'individuo, educato con una nuova tecnè (tecnica). Essi insegnano in particolare l' arte della parola, un'educazione retorica e letteraria che riporta la filosofia al suo primo significato di paideia ma con diversi contenuti rispetto a quella antica, basata sulla poesia e sul mito, attraverso i quali si realizzava l'aristocratico ideale della kalokagathia ("kalos kagathos" o "kalos kai agathos " (καλὸς κἀγαθός o καλὸς καὶ ἀγαθός, IPA:kalos kaːgatʰos), del bello e del buono. Una educazione come quella omerica, che si trasmetteva di padre in figlio, tesa alla formazione del cittadino osservante di quelle leggi che erano state date dagli dei. I sofisti (almeno la loro prima generazione) non mettono in dubbio l'autorità dello Stato ma evidenziano attraverso un'analisi storica, l' origine umana delle leggi che lo regolano e il ruolo determinante di chi è capace di influenzarne la formazione attraverso l'uso fascinoso del linguaggio che permette di vincere sull'interlocutore. Filosofia come educazione al non sapere [modifica] Socrate 15 Paradossale fondamento del pensiero socratico, ostile a quello dei sofisti, è l'ignoranza, elevato a movente fondamentale del desiderio di conoscere. La figura del filosofo secondo Socrate è completamente opposta a quella del saccente, ovvero del sofista. Le fonti storiche descrivono Socrate come un personaggio animato da un'idea del sapere come forma di ricerca, piuttosto che come erudizione intellettuale. Egli diceva di ritenersi il più saggio degli uomini, proprio in quanto cosciente del proprio non sapere. Il senso della sua filosofia è quello di essere essenzialmente ricerca che caratterizza quella dotta ignoranza che permette di sviluppare lo spirito critico nei confronti di coloro che presumono di sapere in modo definitivo e invece non sanno rendere conto di quello che dicono[15]. Con lui si acquisisce piena consapevolezza della peculiarità del metodo di indagine filosofica (e dell'indagine intellettuale in generale, distinta da quella religiosa o mitica) basato sulla maieutica, ovvero sulla capacità, attraverso un dialogo serrato (che poi verrà riproposto, da Platone, nei suoi celebri dialoghi giovanili) fra il filosofo e coloro che lo ascoltano, di discernere la conoscenza vera dalla mera opinione soggettiva[16]. Platone e la vera filosofia [modifica] Busto di Platone nel Museo Pio-Clementino Filosofia come riflessione sulla politica [modifica] 16 Quella che in termini storici possiamo chiamare "filosofia platonica", origina dalla riflessione sulla politica conseguente alla vicenda socratica. Secondo quanto scrive Alexandre Koiré: « Tutta la vita filosofica di Platone è stata determinata da un avvenimento eminentemente politico, la condanna a morte di Socrate. » Occorre tuttavia distinguere la "riflessione sulla politica" dall'"attività politica". Non è certo in quest'ultima accezione che dobbiamo intendere la centralità della politica nel pensiero di Platone. Come egli scrisse, in tarda età, nella Lettera VII del suo epistolario, proprio la rinuncia alla politica attiva segna la scelta per la filosofia, intesa però come impegno "civile". Tuttavia i filosofi che vorrebbero dedicarsi alla meditazione [17] devono invece essere costretti all'arte del governo [18], in quanto, proprio perché disinteressati, essi sono i più affidabili come politici [19]. La riflessione sulla politica diventa, in altre parole, riflessione sul concetto di giustizia, e dalla riflessione su questo concetto sorge un'idea di filosofia intesa come processo di crescita dell'Uomo come membro della polis. Fin dalle prime fasi di questa riflessione, appare chiaro che per il filosofo ateniese risolvere il problema della giustizia significa affrontare il problema della conoscenza. Da qui la necessità di intendere la genesi del "mondo delle idee" inteso come depositario della verità contrapposto al "mondo delle cose" mere "copie" delle idee,come frutto di un impegno "politico" più complessivo e profondo. Tuttavia la vera educazione che assegnerebbe ai filosofi il diritto-dovere di governare non è quella dei sofisti ma quella descritta nel settimo libro della Repubblica dove, attraverso il mito della caverna, Platone delinea una formazione culturale che porti alla visione del mondo intellegibile [20] per la quale è vero, come sostenevano i sofisti, che spetta ai filosofi la funzione politica, ma non perché addestrati all'uso della parola ma in quanto depositari di quella luce della verità a cui essi sono giunti liberandosi dalle catene dell'ignoranza. La loro formazione culturale quindi sopravanza quella dei non filosofi, in quanto essi saranno educati non solo tramite la ginnastica, la musica e le arti [21] ma con quelle scienze esatte come la matematica [22], la geometria che permettano loro di arrivare alla concezione intellettuale delle idee perfette ed immutabili [23]. Tramite la dialettica, l'ascesa dalle forme sensibili all'intellegibile, «il volgere dell'anima da un giorno tenebroso a un giorno vero», si giungerà alla «vera filosofia». I molti significati platonici della filosofia [modifica] Con Platone il termine filosofia ha raggiunto una tale vastità di significati che la storia della filosofia, a cominciare da Aristotele, non farà altro che svilupparne i vari aspetti che egli ha delineato [24],: filosofia quindi come: 17 sapere globale, sapienza e pratica politica, visione della perfezione intellegibile e distacco dai sensi, scienza dei principi primi, scienza di tutte le scienze, spirito critico per la contestazione e la verifica dei saperi particolari. Questa forma di classificazione della filosofia nei suoi vari significati condizionerà tutta la tradizione filosofica occidentale successiva, almeno fino alle riflessioni filosofiche di Locke e Kant e a quelle della filosofia contemporanea, che metteranno in discussione la stessa possibilità della conoscenza filosofica in quanto tale. A differenza di altri (come Aristotele) Platone non è un pensatore sistematico. I vari significati della filosofia sopra indicati appaiono e scompaiono in relazione alle fasi successive del suo pensiero. Essi si accompagnano quindi anche a una certa variabilità dei significati dei termini , in ragione dei periodi e talvolta in ragione anche di singoli dialoghi. Si deve inoltre tenere presente che il senso della filosofia e quello dei suoi oggetti deve, per Platone, essere inseribile in un quadro cosmologico generale perfetto ed armonico su base matematico-geometrica (la sfera per lui era la struttura cosmica perfetta). Per quanto egli ammetta il divenire come una forma incipiente di essere (a differenza del suo grande referente Parmenide che lo vedeva come nonessere), esso, in quanto imperfetto e passibile di disordine, esiste soltanto come evento variabile e mutevole che precede l'avvento della perfezione e dell'ordine di un essere che è anche verità. Con queste premesse la realtà platonica è totalmente avulsa dalla realtà vissuta e vivibile dall'uomo comune. Il primato dell'idealità non è quindi solo gnoseologico, ma decisamente ontologico. Uno dei più importanti dialoghi della maturità, il Timeo, è molto significativo a questo proposito, e non a caso è stato il testo base per tutta la cosmologia mistica medioevale. È un inno alla perfezione "geometrica" di un cosmo che non è solo ideale ma del tutto reale, dove è riecheggiato Pitagora che vedeva il mondo come basato sui numeri. L'ontologia platonica riguarda quindi un Essere generale (governato dall'anima del mondo) che ha il suo fondamento nell'elemento etico (il bene), in quello estetico (la bellezza) e in quello gnoseologico (la verità). Sono infatti essi che si coniugano come fondanti, lo qualificano e lo definiscono. La materia (la fisicità) è quindi elemento del tutto irrilevante per Platone, in quanto, non possedendo verità non può essere posto come oggetto della vera filosofia. Aristotele: la filosofia come libertà [modifica] 18 Lisippo. Busto di Aristotele Gli anni che separano Platone da Aristotele sono relativamente pochi, eppure il tempo di crisi in cui si trova a vivere Aristotele è già profondamente diverso da quello del suo maestro. Nella metà del IV secolo a.C. la decadenza della libertà nella polis è ormai irreversibile di fronte alla potenza macedone. Il cittadino greco non è più direttamente coinvolto nelle faccende del governo ed ormai è inglobato in un più vasto organismo statale del quale altri reggono le fila e quindi perde quella passione per la politica che aveva costituito la molla per la filosofia platonica. Da qui l'emergere per altri interessi conoscitivi ed etici che saranno caratteristici dell'età ellenistica. Per Aristotele la filosofia è il più grande dei beni, dal momento che ha per scopo se stessa, mentre le altre scienze hanno per fine qualcosa di diverso da sé. Aristotele introduce una nuova concezione del sapere rispetto a quella della tradizione che collegava la sapienza all'agire e al produrre. Dedicarsi al sapere richiede la scholè, l'otium dei latini, un tempo assolutamente libero da ogni cura e preoccupazione legata alle necessità materiali dell'esistenza. «Primum vivere deinde philosophare», fare filosofia che è l'inclinazione della natura razionale di tutti gli uomini, e che solo i filosofi realizzano a pieno mettendo in atto un sapere che non serve a nulla ma che proprio per questo non dovrà piegarsi a nessuna servitù: un sapere assolutamente libero. La filosofia quindi: presuppone di essere liberi da ogni bisogno materiale, è essa stessa libera perché persegue il sapere per il sapere, rende liberi dall'ignoranza. 19 La ricerca filosofia è nello stesso tempo difficile, perché deve affrontare la vastità del sapere, ma anche facile perché ognuno ha la capacità di cogliere qualcosa della verità. Talora la sua difficoltà nasce dal fatto che non siamo in grado di cogliere proprio le cose più evidenti, ma in fondo tutti possono contribuire alla ricerca della verità poiché questa è già nella storia. La filosofia non crea la verità ma la porta alla luce; la verità infatti è anche nelle opinioni comuni, nei filosofi del passato. La filosofia è come la nottola che vola intorno al tempio di Minerva al tramonto, quando cioè la luce della verità è già apparsa. Aristotele è dunque il primo storico della filosofia che, interpretando le dottrine altrui alla luce della sua , tende a vedere nel pensiero dei filosofi passati dei tentativi di arrivare alla verità della sua dottrina. Filosofia come scienza prima [modifica] Platone guardava il mondo secondo un'ottica verticale e gerarchica ed anche Aristotele in un primo tempo pensa che l'oggetto della filosofia debba essere il divino e che quindi essa sia la scienza più alta. Nella maturità, con le mutate condizioni culturali e politiche, lo Stagirita guarda il mondo secondo un' ottica orizzontale per cui tutte le scienze hanno pari dignità. In questo modo Aristotele constata e giustifica la situazione culturale del IV secolo a.C. dove le scienze si rendono autonome dalla filosofia e si specializzano nel loro specifico settore della realtà. Quindi la filosofia si differenzia dagli altri saperi perché invece di considerare la varie facce della realtà o dell'essere studia l'essere e la realtà in generale quindi tutte le scienze che studiano una parte del reale dovranno ora presupporre la filosofia che studia il reale in quanto tale. La filosofia come metafisica [modifica] La filosofia diventa la scienza prima, l'anima unificatrice ed organizzatrice delle scienze particolari. La filosofia come un'enciclopedia del sapere, essa non può essere altro che scienza o sapere globale. Aristotele non enuncia direttamente il significato del termine ma sapere per lui vuol dire «conoscenza dei principi primi e delle cause» [25] quanto più una cosa infatti è realizzata nella sua natura tanto più essa è causa dell'essere delle cose che di tale natura partecipano. Ad esempio il fuoco non può eseere che la causa del calore delle cose calde in quanto esso realizza al massimo la sua natura calda. Aristotele cioè stabilisce una connessione logica e reale tra verità, causalità e essere. Vi sarà quindi la scienza che studia gli enti nello spazio, la matematica, quella che studia gli enti che divengono, la fisica (che comprende tutte le scienze naturali), quella infine che studia l'ente in quanto ente e questa sarà la «filosofia prima» che, quando si dedica allo studio dell'ente supremo, si definisce come teologia. 20 La filosofia prima, che la tradizione filosofica chiamerà metafisica [26] , costituirà come teoria generale della realtà, il nucleo centrale, almeno fino a Locke, della filosofia. Ancora filosofia come saggezza [modifica] Matematica, fisica, filosofia prima, Aristotele le chiamerà filosofie teoretiche distinguendole da quelle pratiche (etica, politica) e da quelle poietiche (da poieo, produco) che riguardano la poetica e le discipline tecniche[27]. Nelle dottrine pratiche e poietiche rientra quella caratterizzazione della filosofia come saggezza che la filosofia prima come scienza escludeva dal suo ambito. Anzi, a differenza di Platone, Aristotele attribuisce dignità filosofica anche alle filosofie pratiche e poietiche non potendo sempre avere il sapere i caratteri precisi e definitivi come, ad esempio, quelli della matematica[28]. L' impoverimento della metafisica [modifica] Epicuro Per approfondire, vedi la voce Ellenismo. Sia per il Liceo che per l'Accademia dopo la morte dei loro capiscuola il significato della filosofia tese a impoverirsi ma si arricchì la civiltà greca che si diffuse nel mondo mediterraneo, eurasiatico e in Oriente, fondendosi con le culture locali. 21 Dall'unione della cultura greca con quelle dell'Asia Minore, l'Eurasia, l'Asia Centrale, la Siria, la Mesopotamia, l'Iran, l'Africa del Nord, l'India, nacque una civiltà (323 a.C.-31 a.C.) - detta Ellenismo - che fu modello insuperato a livello di filosofia, religione, scienza ed arte. Tale civiltà si diffuse dall'Atlantico all'Indo apportando un notevole impulso anche al diritto, alla politica ed all'economia che troveranno la loro piena realizzazione nel mondo romano. La civiltà greca - da sempre legata con quella degli altri popoli mediterranei e del Vicino Oriente - si rinnovò al contatto diretto con la varie civiltà (egiziana, mesopotamica, iranica e di molti altri popoli) che via via - soprattutto in seguito alle conquiste di Alessandro Magno - venivano ad avere sempre più rapporti politici, economici e culturali con le città di lingua greca. La nuova definizione di filosofia [modifica] Per approfondire, vedi le voci Epicureismo, Stoicismo e Scetticismo. Dal IV secolo a.C. la definizione di filosofia più diffusa è quella di Senocrate, secondo successore di Platone, che suddivide la filosofia in etica, politica e dialettica. [29]. Senocrate abbandona l'aspetto metafisico della dialettica platonica, intesa come ascensione al mondo intellegibile, e la riduce essenzialmente alla logica. Altrettanto avviene nel Liceo dopo la morte di Teofrasto: la filosofia prima, da studio metafisico dell'Atto puro, viene ora spostata sulla fisica nei suoi aspetti scientifici. La tripartizione della filosofia di Senocrate è quella in vigore anche preso le correnti di pensiero degli epicurei, degli stoici e degli scettici. Epicuro però sostituisce alla dialettica la canonica, una dottrina che fornisce i canoni, i criteri fondamentali per arrivare, tramite i sensi, alla verità poiché la salita all'intellegibile, sostiene Epicuro, sarebbe una via che va all'infinito [30] D'altra parte per Epicuro la filosofia è sostanzialmente etica [31] . Interesse primario per l'etica caratterizza anche il pensiero degli stoici, per i quali la filosofia è come un frutteto il cui muro di cinta che ne segna i confini è la logica, gli alberi sono la fisica e i frutti, gli oggetti più importanti, l'etica. [32] Filosofia e religione [modifica] 22 Per approfondire, vedi la voce Filosofia latina. Plotino La filosofia antica greca ha trasmesso alla tradizione filosofica occidentale un metodo di pensiero improntato all'antidogmatismo e la sensibilità verso una serie di problematiche ontologiche ed etiche che l'hanno caratterizzata rispetto ad altre tradizioni filosofiche. Non si può poi tralasciare, tuttavia, il contributo che allo sviluppo della filosofia occidentale ha dato la riflessione teologica giudaico-cristiana che già dalla Tarda Antichità va ad instaurare un rapporto complesso con il pensiero filosofico di tradizione greco-romana, e soprattutto con quello metafisico ed idealista, avviando quella dialettica tra fede e ragione variamente risolta nei secoli, e in maniera esclusiva, sino al Quattrocento. Allo stesso tempo non si deve dimenticare che l'integrazione tra la fede cristiana e la metafisica greca ha determinato il blocco sistemico di una "filosofia-teologia" che ha emarginato se non espunto il materialismo dal corso culturale dell'Europa cristiana almeno sino a tutto il secolo XV. L'atomismo infatti è diventato una filosofia demoniaca inconciliabile con la fede cristiana, mentre venivano considerati assimilabili il platonismo e l'aristotelismo e, in qualche misura, anche lo stoicismo. Gli scritti degli Atomisti ad esempio, teorizzatori di quel materialismo dinamicistico che è l'atomismo, sono andati soggetti a una sistematica distruzione. L'asse tra la metafisica greca e la teologia cristiana ha dominato la cultura europea per oltre dieci secoli, continuando a condizionarla sino al Settecento inoltrato. Il rapporto fra la filosofia e la religione non appare all'inizio caratterizzato da rilevanti contrasti. I primi concetti emergono, dal comune terreno del mito, delle antiche cosmogonie; successivamente, anche quando, come accade con Platone, la filosofia torna a occuparsi di religione, lo fa con strumenti e metodi propri di una razionalità ormai divenuta del tutto autonoma da schemi dottrinari. 23 Con la fine della polis e l'espansione dell'Impero romano, l'importanza che l'etica aveva avuto nella filosofia del periodo ellenistico assume ora un carattere religioso sia nei filosofi che nella gente comune. Siamo in un particolare momento storico, in cui l'uomo sembrava avvertire una profonda crisi interiore e si accorgeva della caducità della realtà sensibile. Era l'epoca del tardo ellenismo, un periodo di grandi difficoltà e sconvolgimenti, preludio della caduta dell'Impero Romano, ma culturalmente fecondo per la varietà di correnti filosofiche e religiose da cui fu caratterizzato e per il fatto che proprio allora stava cominciando a diffondersi il messaggio cristiano mescolato con altri culti (specie orientali). L'espressione di queste nuovo sentire filosofico religioso è il neoplatonismo che viene fatto iniziare con l'attività di Plotino di Licopoli, che visse nella prima metà del III secolo e studiò ad Alessandria d'Egitto, dove fu allievo di Ammonio Sacca. Qui assimilò i fermenti culturali sia della filosofia greca che della mistica orientale, egiziana ed asiatica. L'incontro del Cattolicesimo con la filosofia [modifica] Per approfondire, vedi la voce filosofia e religione cristiana. Il problema della relazione fra fede, dottrina religiosa e pensiero torna tuttavia d'attualità con l'avvento del cristianesimo; in una prima fase sulla scorta della predicazione di San Paolo[33] si ritiene che i primi fedeli debbano salvaguardare la propria devozione, dall'incontro con la filosofia pagana ma nello stesso tempo invita i cristiani a dare fondamento razionale alla loro fede. È stato recentemente affermato che: «Il cristianesimo, fin dal principio, ha compreso se stesso come la religione del logos, come la religione secondo ragione. Non ha individuato i suoi precursori in primo luogo nelle altre religioni, ma in quell’illuminismo filosofico che ha sgombrato la strada dalle tradizioni per volgersi alla ricerca della verità e verso il bene, verso l’unico Dio che sta al di sopra di tutti gli dèi.»[34] Successivamente, la Patristica assume due indirizzi prevalenti, quello occidentale, rappresentato da Ireneo e Tertulliano, che esalta il carattere volontaristico e non razionale della fede, e quello orientale, rappresentato ad es. da Clemente Alessandrino o da Origene, i quali invece ritengono la filosofia una degna ancella della fede, nell'ottica di una razionalizzazione del pensiero cristiano[35]. Questa concezione, che culminerà nel primo tentativo di sintesi fra ragione e fede operato da Agostino, permeerà quindi tutto l'Alto Medioevo, almeno nell'Occidente cristianizzato; e solo con San Tommaso [36] si giungerà a una più piena conciliazione fra fede e ragione, nell'ottica però di una filosofia concepita come strumento indispensabile per dimostrare le verità della dottrina cattolica e difenderle da eresie e nemici. Questo parallelismo di ragione e fede diverrà nuovamente problematico in particolare con l'emergere della scienza moderna nel Rinascimento; la ricerca filosofica infatti dimostra sempre maggiori difficoltà a conciliarsi con le restrizioni della dottrina religiosa, man mano che i risultati dell'indagine razionale contrastano con i dogmi e le verità della Rivelazione mettendo in crisi il Principio di autorità con cui venivano risolti questi contrasti. 24 Alcuni dei grandi protagonisti di quest'epoca si scontrano con la Chiesa Cattolica: Bernardino Telesio, Tommaso Campanella perseguitato dall'Inquisizione, Giordano Bruno condannato al rogo, e Galileo Galilei, che pur animato da una sua sincera fede religiosa, è costretto ad abiurare le sue scoperte e quanto aveva dedotto da esse. A questa conflittualità porrà termine, in un certo senso, l'illuminismo, in particolare attraverso la figura di Kant, che delimiterà in modo netto il campo della ragione, liberandola da tutti gli errori che ne contaminerebbero la purezza e l'autonomia. Nell'ultimo secolo, tuttavia, e in particolare negli ultimi decenni, non sono mancati i tentativi, da parte di esponenti della Chiesa Cattolica, di sottolineare la necessità di un pensiero forte, frutto della conciliazione fra filosofia e dottrina cristiana, capace di contrapporsi al nichilismo, al relativismo, a tutti gli irrazionalismi e in generale, alla perdita di fondamento che l'uomo contemporaneo sperimenta secondo l'interpretazione della realtà corrente da parte della chiesa cattolica. Questi appelli hanno trovato una sintesi in una recente enciclica, promanata da papa Giovanni Paolo II col nome di Fides et Ratio che presenta lo spirito dell'uomo come compreso tra due ali che sono appunto la fede e la ragione. Mancando un sola delle due non si può spiccare il volo alla ricerca della verità. [37]. Va però rimarcato come questo punto di vista non ha di per sè mutato lo stato attuale del dibattito filosofico, che è da tempo impegnato, pur fra vari punti di vista, in una analisi critica dei presupposti e dei fondamenti di tutta la tradizione del pensiero occidentale; questa analisi, che ha preso le forme(per citare solo alcuni dei tanti casi) del pensiero debole, della filosofia analitica, del costruttivismo di Deleuze o del decostruzionismo di Derrida, ha messo in luce come la ragione, secondo questi filosofi, non appaia più in grado di offrire verità forti e sistematiche. Il compito della filosofia, oggi, sembrerebbe piuttosto essere quello di denunciare tutti gli usi ambigui e inadeguati del linguaggio, e della ragione stessa, che spingono l'uomo a cadere vittima di irrazionalismi e ideologie. Resta tuttavia attuale lo scontro fra la filosofia e la religione cattolica, con riguardo a quelle evoluzioni scientifiche che mettono l'uomo in condizione di operare scelte autonome e personali sui fondamenti biologici della sua vita e di quella di altri. Il nuovo terreno di scontro, o di possibile incontro, fra fede cattolica e ragione, è oggi quindi rappresentato dalla bioetica. Filosofia e scienza [modifica] Ockham: la filosofia si separa dalla religione [modifica] Il Rasoio di Occam: la verità è semplice Il Rasoio di Occam (Ockham's Razor) è una pietra di paragone della 25 filosofia della scienza. Guglielmo di Ockham suggerì che tra le diverse spiegazioni di un fenomeno naturale si dovesse preferire quella che non moltiplica enti inutili,(entia non sunt multiplicanda.) L'esempio più classico si riferisce alla questione sulla generazione dell'universo: da un lato si può ipotizzare un universo eterno, o generato da sé o per motivi sconosciuti; dall'altro, un universo generato da una divinità, la quale a sua volta è eterna, o generata da sé o per motivi sconosciuti. In questo senso, la prima versione non postula enti inutili (la divinità), ed è quindi preferibile. Oggi, comunque, si tende a definire la teoria del Rasoio di Occam come la scelta più semplice. Guglielmo di Ockham non suggeriva che essa sarebbe stata quella vera, né che sarebbe stata più vicina alla verità; si può però notare da un punto di vista storico che generalmente le teorie 'più semplicì hanno superato un numero maggiore di verifiche rispetto a quelle 'più complesse'.[38] Il Rasoio di Occam è stato solitamente usato come una regola pratica per scegliere tra ipotesi che avessero la stessa capacità di spiegare uno o più fenomeni naturali osservati. Siccome per ogni teoria esistono generalmente infinite variazioni egualmente consistenti con i dati, ma che in alcune circostanze predicono risultati molto differenti, il Rasoio di Occam è usato implicitamente in ogni istanza della ricerca scientifica. Consideriamo ad esempio il famoso principio di Newton "Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale ed opposta". Una teoria alternativa potrebbe essere: "Per ogni azione c'è una reazione uguale ed opposta, eccetto il 12 gennaio 2055, quando la reazione avrà metà intensità." Questa aggiunta apparentemente assurda viola il principio di Occam perché è un'aggiunta gratuita, come pure farebbero infinite altre teorie alternative. Senza un regola come il Rasoio di Occam gli scienziati non avrebbero mai alcuna giustificazione pratica o filosofica per far prevalere una teoria sulle infinite concorrenti; la scienza perderebbe ogni potere predittivo. 26 Sebbene il Rasoio di Occam sia la regola di selezione tra teorie, non basata sull'evidenza, più ampiamente usata e filosoficamente comprensibile, ci sono oggi approcci matematici simili basati sulla teoria dell'informazione che bilanciano il potere esplicativo con la semplicità. Uno di questi approcci è l'inferenza sulla minima lunghezza di descrizione (Minimum Description Length).[39] Per approfondire, vedi la voce Filosofia moderna. Pur essendo prevalsa, per un lungo periodo del medioevo, la concezione che vede la filosofia come sostegno e supporto razionale delle credenze religiose, con Guglielmo di Ockham iniziò ad affermarsi una visione del pensiero come attività del tutto autonoma; egli sostenne infatti che «gli articoli di fede appaiono falsi ai sapienti, cioè a quelli che si affidano alla ragione naturale» [40], contestando il fideismo acritico che si era avuto a partire da Tertulliano. Con Ockham viene in evidenza un problema già sollevato da Averroè [41], che assegnava alla filosofia il riflettere e lo speculare e alla religione l'amore per Dio e l'agire di conseguenza. La duplicità nasceva dal fatto, noto da tempo, che i frutti della ragionamento spesso non coincidono con quelli della credenza. Questa posizione di Averroè veniva battezzata dagli Scolastici "doppia verità" e tale espressione si affermerà per indicare ogni discrasia emergente tra fede e ragione. Il dibattito sull'armonia di ragione e fede, il problema medioevale dell'intellectus fidei proseguirà ancora ma ciò che conviene notare è che la filosofia, messa di fronte al rapporto con la religione, comincia a rivendicare a delineare una sua propria autonomia. Va ricordato che già prima di Ockham ciò veniva ribadito in ambito cristiano da Duns Scoto (1265-1308), che in Opus Oxoniense [42] aveva riproposto in termini positivi la posizione del mussulmano Averroè. La nuova concezione della natura [modifica] La stessa definizione dell'ambito della filosofia, la sua autonomia, sarà da specificare nell'età moderna nei confronti della scienza sperimentale e matematica della natura. Cambia nell'umanesimo la visione dell'uomo non più legato alla divinità: l'uomo viene considerato nel suo aspetto concreto e nel suo legame con la natura, che lo porta a sperimentare e conoscere con i sensi prima e piuttosto che attraverso le astrazioni della logica, con lo scopo di volgere la natura stessa ai propri fini. Una scarsa considerazione della natura aveva caratterizzato il pensiero neoplatonico fino all'età moderna; durante il predominio della filosofia cristiana, dove si distingue nettamente il creatore dal creato, il naturalismo era stato messo completamente da parte. Anzi le dottrine naturalistiche, 27 fatte risalire alla versione meccanicistica dell'epicureismo, venivano considerate empie, in quanto negatrici dei dogmi cristiani dell'esistenza di Dio, dell'immortalità dell'anima, di tutto quello che si riferiva al soprannaturale. Il naturalismo torna prepotentemente nell'età rinascimentale, riprendendo in un certo modo l'antica visione panteistico vitalistica o materialisticameccanicistica degli antichi. Alla prima concezione della natura appartengono Telesio, Bruno e Campanella con la loro visione di un Dio che s'identifica nella natura stessa, che vive nella stessa perfezione dei fenomeni naturali, mentre la interpretazione materialistica la si ritrova in tutte quelle filosofie rinascimentali caratterizzate da una ripresa dello stoicismo. La dottrina di Giordano Bruno è la sintesi, intrisa di magia, di queste due tendenze: egli concepirà la natura naturans e quindi Dio come mens insita omnibus che come il pneuma degli stoici dà vita a tutto l'infinito universo. Ora la natura dove l'uomo agisce non è più corrotta dal peccato e quindi l'uomo può ben operare nel mondo e può trasformarlo con la sua volontà. Questi uomini nuovi non sono atei ma hanno una nuova religiosità. L'uomo del Medioevo sta con i piedi sulla terra ma guarda al cielo: la filosofia medioevale era impostata su una dimensione verticale dell'uomo, nel pensiero moderno prevale la dimensione orizzontale, perché Dio è nella natura stessa. L'ansia di perfezione che caratterizza l'opera di Leonardo da Vinci è in fondo il tentativo di raggiungere Dio nella natura. Nasce l'esigenza di una nuova religiosità che metta in contatto diretto, senza nessuna mediazione, l'uomo con Dio. L'uomo solo, individuo, in rapporto a Dio, sarà questo il fulcro della Riforma. La perdita dell'unità medioevale del sapere [modifica] Il sapere medioevale era enciclopedico, armonioso, coordinato e orientato verso Dio inteso come culmine della verità, quadro che tiene assieme i vari saperi. Ragione e fede procedevano assieme. Dopo Ockam filosofia e teologia sono autonome e anzi si contrastano. Nel M.E. per quanto disordinata e approssimativa fosse la vita, il papato e l'impero costituivano dei punti di riferimento ben saldi, e per alcuni speranza d'ordine e di legalità universale (Dante). Ora salta il quadro di riferimento religioso, la cornice che tiene assieme il mosaico del sapere. La specializzazione delle scienze [modifica] Si smarrisce il senso della stabilità culturale e politica. Le scienze diventano autonome e specialistiche, si perfezionano ma non comunicano più tra loro. Tutto si risolve nel singolo, nella individualità del Principe che tende a fare della propria esistenza un'opera unica e irripetibile.[43] La Politica, scienza naturale [modifica] 28 Machiavelli Il pensiero rinascimentale estende il concetto di naturalità, così come era accaduto con i sofisti, non solo alla considerazione della scienza naturale, ma anche a quell'ambiente naturale in cui vive l'uomo: lo Stato, e la scienza naturale che studia lo stato è la Politica. Vera scienza naturale perché determinata da principi naturalistici e autonoma da tutte le altre scienze. Il pensiero politico di Machiavelli ora considererà suo oggetto di studio l'essere, le cose come stanno effettivamente e non più il dover essere, le cose come dovrebbero essere o come si vorrebbe che fossero. Una concezione storicistica e naturalistica assieme della vita dell'uomo simile a quella delle vicende della natura: come in questa nulla cambia così avviene, nonostante le apparenti trasformazioni, anche per la storia dell'uomo. L'utilità del sapere [modifica] René Descartes 29 L'inutilità della filosofia «Mi trovai intricato in tanti dubbi ed errori, che mi sembrava di avere tratto nel tentativo di istruirmi un unico utile: la crescente scoperta della mia ignoranza...Mi si era fatto credere che con lo studio avrei acquistato una conoscenza chiara e sicura di tutto ciò che è utile alla vita». [44] Sin dall'inizio della storia della filosofia si è posto il problema della inutilità pratica della filosofia; basterebbe ricordare l'aneddoto che racconta di Talete che per osservare le stelle con il capo rivolto verso l'alto cascava nelle buche che si trovavano sul terreno. Così anche Aristofane nelle Nuvole ridicolizzava Socrate ponendo il personaggio che lo rappresentava in una cesta sollevata in alto sulla scena, volendo far intendere come il filosofo fosse colui che ha la testa tra le nuvole, perso in astratte, inutili speculazioni. Il matematico Imre Toth, che si è dedicato a definire i rapporti tra la creazione matematica e la speculazione filosofica, in un'intervista a Ennio Galzenati [45] ha osservato come le altre scienze come la medicina, l'astronomia non si pongano domande sulla loro specificità, ovvero sulla definizione di sé stesse, come fanno invece la filosofia e la matematica che continuano a interrogarsi sui limiti e le possibilità della propria forma di conoscenza. Appare evidente l'inutilità di quella domanda per le scienze che si autogiustificano per la produzione di risultati pratici, sia in positivo che, talora, in negativo: cosa di cui invece la filosofia non si preoccupa. Altresì manca per il pensiero filosofico un criterio di verificabilità sperimentale che possa stabilire se ciò che esso afferma sia vero o falso; la filosofia stessa, infatti, è soggetta a una continua ridefinizione del criterio di verità con cui essa legittima le proprie conclusioni. Quindi la filosofia risulterebbe, alla fine, un girare a vuoto su se stessa e costituita da teorie che si contraddicono a vicenda; eppure di essa non si riesce a sbarazzarsene. Opponendosi alla filosofia si fa ancora filosofia. La 30 tematica della circolarità del pensiero filosofico può portare ad esiti scettici, ovvero a considerazioni di tipo ermeneutico, secondo le quali proprio questa circolarità del pensiero filosofico costituisce la specificità e la potenzialità proprio della filosofia, che la differenzia dalle altre forme di conoscenza. Falliti infatti i tentativi positivistici di ridurre la filosofia a scienza ci si è resi conto che l'oggetto della filosofia non sono gli oggetti naturali che studiano le scienze ma l'uomo stesso. L'uomo che indaga l'uomo, questo è ciò che caratterizza il filosofare che ha conseguito risultati concreti nel corso della sua lunga storia rendendo coscienti alla mente dell'uomo principi e valori universali prima inespressi o semplicemente intuiti. [46] Se noi oggi consideriamo chiaro ad esempio quello che diciamo quando parliamo di libertà dimentichiamo che questo concetto appare per la prima volta nelle "Etiche" di Aristotele. Nella "Grande Etica", e nell' "Etica Eudemia" Aristotele parla però non di libertà, come noi oggi la intendiamo, ma di eleutheros, eleutheria che in greco antico connotava soltanto la condizione sociale dell'uomo libero in rapporto a uno schiavo. Aristotele non disponeva ancora di un termine equivalente al concetto che noi oggi abbiamo di libertà. Ed è proprio da Aristotele che è cominciata la lunga storia che ha portato alla coscienza riflessa del significato di quel termine, ora diventato per noi banalmente chiaro e che la filosofia continuerà ad arricchire di significati nel futuro. [47] Come afferma Remo Bodei:«la filosofia ha avuto il merito di essere, e di continuare a essere, un laboratorio in cui concetti e valori vengono collaudati, vengono sperimentati e se ne osserva la tenuta rispetto alla discussione che si svolge nell'intera società. Quindi la filosofia ha il senso di creare in un mondo che cambia continuamente, in generazioni che si susseguono, in mentalità che si incontrano, questo spirito che è quello della ricerca critica, della vigilanza e persino del dubbio».[48] Come nota Paul Ricoeur, [49] nel realizzare questo suo compito la filosofia esprime un valore unificante nell'assicurare, nella diversità dei linguaggi, la loro connessione reciproca. Dobbiamo al pensiero 31 filosofico se la cultura europea occidentale non si sia frantumata e parcellizzata, perdendo il senso della sua unità, di fronte alla specializzazione dispersiva dei vari saperi tecnologici. Mentre infatti la filosofia si sviluppa unitariamente cercando di risolvere le domande di un'epoca, ma tenendosi collegata a quelle passate, «nella storia delle scienze ci sono rotture, discontinuità, denominate fratture epistemologiche» [50] che fanno del percorso della scienza un cammino continuamente interrotto. Di fronte alle acquisizioni scientifiche galileiane della verità oggettiva va in crisi quello che Galilei definì il mondo di carta [51]. Secondo alcuni interpreti la filosofia della natura rinascimentale intrisa di magia o che riprendeva la ricerca della sostanza dell'antica filosofia greca [52] sembrava non potesse reggere dinanzi al nuovo sapere scientifico; secondo altri, invece, fu proprio il rinnovato interesse per la magia, rimasto alquanto sopito durante il Medioevo, a causare lo sviluppo del sapere scientifico [53] Va quindi in crisi non solo l'antica fisica aristotelica ma la stessa metafisica che già nel medioevo serviva essenzialmente come strumento già pronto per sostenere la conversione alla fede, obiettivo primario degli scolastici. La filosofia per la scolastica va utilizzata per dimostrarne il profetico contenuto cristiano (Platone ad esempio diviene profeta dell'avvento del Cristianesimo) o va adoperata per confermare o dare sostegno filosofico, con gli strumenti filosofici dei grandi pensatori del passato, alla dottrina cristiana [54] Gli uomini di cultura laica dell'età moderna rifiutano il linguaggio della metafisica medioevale che a loro appariva farraginoso, astratto e formale. Cartesio infatti ora assegnerà alla filosofia un nuovo scopo, occorrerà egli dice che: «un uomo dabbene, che non ha l'obbligo di aver letto tutti i libri né di aver imparato con cura tutto ciò che s'insegna nelle scuole» possa avere un sapere che gli consenta di affrontare e risolvere i problemi quotidiani dell'esistenza [55]. Esigenza questa di una filosofia ordinata sistematicamente e utile all'uomo già sentita da Bacone che distingue la filosofia naturale (le scienze sperimentali), la filosofia umana (logica, psicologia e etica) e la filosofia civile (la politica). Alla base di tutte la filosofia prima [56] In questo nuovo significato del filosofare risolutivo, che dà soluzioni, Cartesio riprende il suo ambito tradizionale per il quale la filosofia è come un «albero le cui radici sono la metafisica, il tronco la fisica, e i rami che se ne dipartono tutte le altre scienze» [57]. Ritorna qui l'impostazione aristotelica della filosofia come scienza prima nel cui ambito acquistano senso e significato tutte le altre scienze particolari. La vera novità di Cartesio nell'uso del filosofare sarà il metodo - di cui anche Bacone aveva sentito l'esigenza come novum organum, nuovo strumento del sapere cui però non era riuscito ad indicare le regole - applicato secondo un'impostazione geometrica e algebrica alla scomposizione e composizione dei problemi filosofici [58]. 32 L'uso del metodo per l'analisi e la soluzione di problemi metafisici, etici, cosmologici diverrà prevalente nei filosofi seguenti come Spinoza e Leibniz. La filosofia e il metodo scientifico [modifica] La filosofia non si è mai fondata sul metodo sperimentale proprio della scienza moderna, come del resto appare evidente anche nella filosofia antica e medioevale (va tuttavia ricordato che il metodo scientifico è un'acquisizione successiva, a queste epoche). Quando Democrito ad esempio parlava degli atomi aggiungeva che questi «si vedevano con gli occhi della mente». Ma anche filosofi scienziati come Bacone e Newton o filosofi matematici come Cartesio e Leibniz sentirono l'esigenza di un metodo certo, che fondasse in modo indubitabile la loro conoscenza. Però i primi hanno proposto metodi basati sul metodo empirico, mentre i secondi hanno proposto metodi logici con forti valenze metafisiche. Gli uni e gli altri hanno poi distinto la loro speculazione filosofica dalle loro opere più strettamente scientifiche o teologiche. Nel caso di Leibniz ad esempio la teodicea ha segnato profondamente anche la sua speculazione in ogni campo. La filosofia illuministica è quasi totalmente allineata sulle posizioni di Bacone e di Newton ma riprende da Cartesio il valore della razionalità, intesa però, nello spirito di Locke, come programmaticamente finita. Il pensiero di Diderot, per certi aspetti, è quello che meglio sintetizza l'indizzo filosofico e scientifico in contrasto a quello metafisico e il suo Interpretazione della natura è uno dei testi chiave del pensiero illuministico legato alla scienza. Sarà poi Kant ad armonizzare il ragionamento di tipo matematico, quale quello del cartesianesimo, con quello di tipo sperimentale, che si ritrova nell'Illuminismo di tipo newtoniano. Da questo punto di vista Kant si riallaccia a Galilei che aveva proclamato l'accordo di matematica e sperimento quale condizione indispensabile al progesso della scienza. Galilei trovò una tecnica che dimostrava operativamente la possibilità di tale accordo ma lasciò ad altri il compito di giustificarlo filosoficamente. Ed è questa giustificazione al centro della problematica filosofica della Critica della ragion pura di Kant. Alcuni autori come Kant e Wittgenstein, pur nella distanza storica che li separa, concordano che l'assenza di una forma di verifica empirica in filosofia è una caratteristica epistemologica essenziale di questa dottrina, la quale rifiuta ogni commistione con le scienze sperimentali pur ritenendosi legittimata ad accedere alle risultanze della scienza, per adeguarvi i propri concetti. Per esempio questo si è verificato nella corrente dello spiritualismo con Bergson. Appare chiaro comunque che la filosofia non è una scienza sperimentale anche quando essa dedica la sua attenzione all'esame dei fatti empirici, collimando così con discipline quali la sociologia, la pedagogia, la politica etc. La filosofia in questi ambiti considera i dati empirici ma non si limita a catalogarli; piuttosto, essa studia questi dati concreti nell'ottica di una teorizzazione critica. Così per esempio Aristotele prenderà in considerazione le costituzioni delle città greche della sua epoca ma se ne servirà nella Politica per dedurne delle considerazioni teoriche di carattere universale. 33 Sin dai suoi inizi la filosofia sembra talora indirizzarsi verso un linguaggio di tipo matematico o logico formale; essa però non ha mai finito per esaurirsi in una mera simbolizzazione formale dei concetti, anche se Leibniz per primo poneva l'esigenza di risolvere i problemi filosofici per mezzo di un calcolo logico universale. Se oggi la filosofia analitica deve necessariamente ricorrere alla logica matematica tuttavia essa utilizza ancora prevalentemente il linguaggio naturale. Un problema importante è l'atteggiamento della filosofia nei confonti della scienza, fortemente consdizionato dalla cultura dominante nei vari tempi e luoghi e in rapporto anche alle condizioni socio-politiche. Il metodo della filosofia [modifica] Purtuttavia non è azzardato affermare che proprio le regole del metodo delineate filosoficamente hanno poi consentito alle scienze sperimentali di poter conseguire i loro risultati.[59] Quando Socrate ad esempio affermava che bisognava liberare la mente dalle verità preconcette o quando Cartesio sosteneva l'origine della verità dal dubbio, questo nel campo del lavoro scientifico vuol dire mettere in discussione le conoscenze acquisite per poter poi progredire nella scoperta. Ma questa, per Cartesio, rimane sempre di carattere metafisico più che scientifico: da qui i travisamenti in fisica e astronomia che toccherà a Newton correggere. Dal dubbio fonte di verità non rimaneva fuori neppure l'esistenza di Dio che però, una volta dimostrata l'infallibilità del metodo, era semplice, seguendo le sue regole, dimostrarne l'esistenza riprendendo magari l'argomento ontologico rivalutato alla luce del cogito ergo sum. Ma non è fuori luogo anche ricordare che per Descartes di tutto si poteva dubitare, ma non del divino nell'anima, quale res cogitans calata dall'alto nella materiale res extensa. Quando Bacone, pur nella sua incapacità di capire l'importanza della matematica nella scienza e nel non considerare la prospettiva meccanicistica dei fenomeni naturali, sosteneva che il metodo dovessse consistere nella connessione di videre e cogitare, nella collaborazione tra senso ed intelletto [60] anticipava la grande scoperta del metodo sperimentale galileiano. Metodo che del resto è figlio diretto del metodo cartesiano che delle sue regole, che nascono dalla matematica, indicava quella finale della enumerazione e revisione, del controllo cioè dell'analisi e della sintesi, che sarà tradotta da Galilei in quella della verifica sperimentale della ipotesi. L'abbandono del metodo e la sfiducia nella scienza [modifica] Per approfondire, vedi la voce Empirismo. 34 La corrente dell'empirismo sosterrà che il confronto della filosofia con la scienza non dev'essere condotto sul piano del metodo, ma verificando che ogni forma di conoscenza possa sostenere il cimento dell'esperienza sensibile. Questo dev'essere il banco di prova delle verità filosofiche e quindi il nuovo significato della filosofia che con Locke si assumerà il compito di critica del sapere definendo: «l'origine, la certezza e l'estensione della conoscenza umana» [61].[62] Questo è anche il percorso che segue Hume; tale percorso tuttavia lo conduce a conclusioni scettiche, data l'inevitabile contingenza delle esperienze sensibili fondamenta di ogni pensiero. Hume però ritiene anche, nei suoi scritti dove si occupa di etica, religione e politica, che la validità della filosofia non debba restringersi a verificarne il rigore e la precisione identificandola con la scienza, ma debba estendersi anche ad una nuova concezione della filosofia come sapere tendente al conseguimento del bene individuale e sociale. La filosofia come liberazione dall'ignoranza e dalla tirannia [modifica] Immanuel Kant Per approfondire, vedi la voce Illuminismo. È Kant che definirà chiaramente cosa deve intendersi per filosofia nel secolo dell'illuminismo: « L'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro, Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d'intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell'Illuminismo[63]. » 35 Filosofia quindi come liberazione dalla superstizione e dall'ignoranza diffuse dalla Chiesa cattolica e dalla tirannia dei regimi assoluti. Scriveva nel 1713 Anthony Collins nel Discourse of Freethinking (Discorso sul libero pensiero): « Se la conoscenza di alcune verità ci è richiesta da Dio; se la conoscenza di altre è utile alla società; se la conoscenza di nessuna verità ci è proibita da Dio o è dannosa per noi; allora abbiamo il diritto di conoscere, cioè possiamo legittimamente conoscere ogni verità. E se abbiamo il diritto di conoscere ogni verità, abbiamo quindi il diritto alla libertà di pensiero[64]. » Jean Baptiste Le Rond d'Alembert Nel Discorso preliminare dell'Enciclopedia di Jean d'Alembert si mette in rilievo come l'illuminismo erediti in un certo senso la concezione dell'empirismo inglese della filosofia come sapere risultato dell'attività della ragione per il bene della società. D'Alembert poi è convinto che debba rientrare nella filosofia anche lo studio della logica e del linguaggio poiché la filosofia non ha solo il compito di elaborare idee ma anche quello di comunicarle. Il philosophe illuminista, inteso come sinonimo di intellettuale, ha infatti il dovere di usare il sapere, la filosofia ai fini della sua comunicazione sociale e della sua efficacia sociale. Il significato della filosofia è quello di «addolcire i costumi e istruire i governanti» [65] La stessa visione della filosofia come educazione sociale si ritrova nell'illuminismo tedesco dove Christian Wolff definisce la filosofia come «il sapere di tutte le cose possibili e del come e perché sono possibili» (Pensieri razionali su i poteri dell'intelletto umano) evidenziando fin dal titolo della sua opera il fine educativo e politico. 36 Il tentativo degli illuministi di una sistemazione razionale del sapere scientifico per migliorare le condizioni di vita e arrivare ad un'organizzazione politica più razionale e giusta si basava però su un rapporto non ancora sufficientemente chiarito tra filosofia e scienza. Questo il compito che si assume Kant. La filosofia si oppone alla matematica: mentre questa costruisce i suoi saperi astratti, prescindendo dall'esperienza, la filosofia riflette su realtà oggettive [66]. La filosofia più che un'estensione delle conoscenze si deve proporre un'analisi delle condizioni che rendono possibile la formazione di un sapere, magari non più esteso ma più solidamente fondato. In questo criticismo trascendentale kantiano rientra ancora la metafisica che ha perso ogni pretesa di conoscenza assoluta ma che ha acquistato come postulato della morale il suo reale valore. La filosofia come totalità [modifica] Georg Wilhelm Friedrich Hegel Per approfondire, vedi la voce Idealismo. L'uso della scienza come razionalizzazione della società umana per l'idealismo tedesco si attua concependo tutto il corso della storia culminante nella filosofia. La filosofia dice Hegel è la «considerazione pensante degli oggetti» [67] che invece di esaminare isolatamente gli oggetti della conoscenza con gli strumenti analitici dell'intelletto, come fanno le scienze naturali, li studia come momenti dialettici della realtà totale. La verità è nell'intero, nella totalità e la filosofia come sapere di questa totalità è la meta finale dello Spirito [68] che tramite essa diviene cosciente della sua identità con il tutto [69]. 37 L'eredità romantica dell'aspirazione all'infinito si ritrova nella filosofia idealistica di Fichte, Schelling ed Hegel con una nuova visione della realtà che da fattuale diviene attuale. Il filo rosso del problema iniziale che attraversa tutta la storia della filosofia: il rapporto del soggetto con l'oggetto, rimasto indefinito con la problematicità del noumeno kantiano, appare risolto poiché ora «ogni fatto rimanda all'atto che lo pone» (Fichte, Dottrina della scienza). L'autocoscienza, l'autoproduzione e l'autocreazione dell'Io assoluto mette fine alle credenze dogmatiche della oggettività del reale separata dal soggetto. Questo rapporto rimane però tale che stabilisce una identità tra oggetto e soggetto che porta all'indistinzione, per cui sarà come in «una notte in cui tutte le vacche sono nere». La soluzione sarà opera di Hegel con la celebre formula che recita come «tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale». Finalmente il rapporto tra il soggetto e l'oggetto non sarà più un rapporto di ostilità nei confronti di un oggetto che procura fatica all'attività teoretica o pratica del soggetto, né un illusorio rapporto di identità dove il soggetto si pone quasi come un dio creatore della realtà, ma di un proficuo rapporto di complementarietà dove il soggetto sarà confermato nella sua realtà dall'oggetto e questi esisterà come tale perché c'è un soggetto che lo considera e lo interpreta. La filosofia come unificazione del sapere [modifica] Per approfondire, vedi la voce Positivismo. Lo sviluppo della varie scienze nel XIX secolo nei più svariati settori faceva nascere l'esigenza, già presente nell'idealismo, di una concezione unificante, di un sapere del sapere che è appunto il compito che il positivismo, caratterizzato dalla fiducia nel progresso scientifico e dal tentativo di applicare il metodo scientifico a tutte le sfere della conoscenza e della vita umana, assegna alla filosofia. Per Auguste Comte la filosofia è «lo studio delle generalità scientifiche che deve definire esattamente lo spirito di ciascuna scienza, scoprire le relazioni e i concatenazioni fra le scienze, riassumere possibilmente tutti i loro principi propri nel minor numero di principi comuni» [70] Così anche per Spencer la filosofia è «conoscenza completamente unificata» [71] La critica della filosofia [modifica] 38 Arthur Schopenhauer L'idea metafisica di una filosofia come unificatrice di tutti i saperi si scontra verso la seconda metà del XIX secolo con i numerosi fattori di dissolvimento di un astratto ideale di un sapere globale in grado di realizzare, come pensava Platone, «l'uso del sapere a vantaggio dell'uomo» [72] La filosofia ora non deve più, come nel medioevo e nell'età moderna difendere il suo ruolo e la sua egemonia nei confronti di altri saperi, ma deve confrontarsi con nuove forze che ne mettono in discussione la sua caratteristica essenziale e che nello stesso tempo rinnovano la sua funzione. La filosofia che era nata come una disciplina deduttiva e razionale e non come una semplice intuizione o impressione soggettiva ma come voler dimostrare con argomenti logici quello che ipotizzava ora viene messa in discussione dagli stessi filosofi con una critica radicale della ragione, la razionalità viene messa in discussione dalla stessa ragione. Le critiche alla filosofia hegeliana da parte delle dottrine di Schopenhauer, Kierkegaard, Marx fanno sì che la filosofia non sia più in grado di ridefinirsi, di stabilire i suoi propri confini tradizionali e assuma il ruolo, più che di astratta conoscenza metafisica, di riflessione sull'uomo e sulla sua condizione di vita individuale e sociale. Certo Schopenhauer conserva la definizione di filosofia come espressione concettuale dell'esperienza [73] ma allo Spirito hegeliano, che in quanto pensiero autocosciente e razionale informa di sé tutta la totalità dell'Ente, egli sostituisce la volontà di vivere, una sorta di istinto irrazionale che affligge l'uomo e ne causa i patimenti, fino a che egli non riesca, attraverso l'arte, l'etica e l'ascesi, a liberarsene. 39 Per Kierkegaard la filosofia hegeliana è la filosofia del vuoto, del vacuo e dell'astratto, basata su definizioni dell'essere che non servono a risolvere la problematicità dell'esistere, che è evidenziata particolarmente dal rapporto, conciliabile, ma non certo fra ragione e fede. Marx basa il suo discorso politico sulla dialettica hegeliana ma prevede una fine della filosofia in una futura società comunista dove avverrà l'attuazione dello spirito assoluto hegeliano nella concreta e reale liberazione dell'uomo dall'oppressione del sistema capitalista [74]. La filosofia in questo senso appare essere un gradino di un percorso di liberazione che vede in ogni caso primeggiare il soggetto pratico dell'azione sul "filosofo" come intellettuale puro, troppo portato a perdersi nell'astrattezza delle sue riflessioni e a farsi condizionare dal potere. La filosofia del XX secolo come funzione critica [modifica] I neokantiani [modifica] Per approfondire, vedi la voce Neokantismo. Nel secolo XX l'unico senso tradizionale della filosofia sembra essere rimasto quello della sua funzione critica. Persa ogni possibilità di unificare i saperi particolari, ormai troppo diversi e complessi, la filosofia non si definisce più per un metodo proprio d'indagine o per uno specifico campo di applicazione ma conserva in un certo modo la sua funzione universale riservandosi il compito di critica dei vari saperi, delle loro differenze e delle loro possibilità.[75] Jürgen Habermas della Scuola di Francoforte autore della Teoria critica 40 Questa visione della filosofia è evidente nelle nuove filosofie come il neokantismo, con l'obiettivo di recuperare, dall'insegnamento kantiano, l'idea che la filosofia debba essere innanzitutto riflessione critica sulle condizioni che rendono valida l'attività conoscitiva dell'uomo. Se come attività conoscitiva si intende in particolare la scienza, il discorso neocriticista guardò anche ad altri campi di attività, dalla morale all'estetica. In linea con i principi del criticismo i neokantiani rifiutano ogni tipo di metafisica, e se questo li contrappone polemicamente alle contemporanee correnti neoidealiste e spiritualiste, li allontana allo stesso tempo dallo scientismo del Positivismo che tende ad una visione assoluta e misticheggiante della scienza. Le due massime espressioni del neocriticismo tedesco furono incarnate dalla Scuola di Baden e dalla Scuola di Marburgo, che influenzarono buona parte della filosofia tedesca successiva (storicismo, fenomenologia); nonostante questa corrente filosofica si sia diffusa in tutti i paesi europei, altre manifestazioni degne di nota si ebbero solo in Francia (Charles Renouvier). Una particolare corrente del neokantismo riprende il trascendentale kantiano adottandolo per una filosofia della cultura [76] Neoidealismo [modifica] Così anche nel neoidealismo che definisce il filosofare come «autoconoscenza dello spirito umano» [77] con un apparente rifarsi all'eredità hegeliana che, in effetti, come anche in Benedetto Croce, si riduce a una concezione della filosofia come «metodologia della storiografia» [78] dove la metafisica hegeliana è ormai completamente dissolta. Le correnti critiche del XX secolo [modifica] Questa funzione critica della filosofia si sviluppa in modi diversi a seconda che si veda in essa prevalentemente l'aspetto metodologico, come critica cioè dei metodi dei saperi, come fa l'empirismo logico e la filosofia analitica; una funzione di critica liberatoria dalla soggezione a strutture filosofiche del passato come nella fase finale della fenomenologia di Edmund Husserl, in modo particolare nell'opera Crisi delle scienze europee; una funzione di critica dei valori come nel pragmatismo di John Dewey [79] una funzione di critica sociale come in Jürgen Habermas e Max Horkheimer come «interpretazione filosofica del destino degli uomini in quanto non sono puramente individui ma membri della società» [80] La critica sociale [modifica] Questa nuova funzione critica della filosofia, erede del criticismo di Locke e soprattutto di Kant, prevale nel pensiero del XX secolo ad eccezione di alcune correnti marxiste come in György Lukács, Ernst Bloch, Theodor Adorno, Herbert Marcuse per i quali la funzione critica della filosofia non 41 deve rimanere un'astratta descrizione dei saperi e delle loro condizioni di possibilità ma deve portare dialetticamente ad una rivoluzionaria, concreta e reale trasformazione della cultura e delle varie forme del sapere fondate su concrete forze storiche. Il valore dell'individuo [modifica] Secondo altre concezioni non bisogna trascurare il fatto che, quando attraverso la critica ci si impossessa teoricamente, o concretamente secondo i marxisti, della cultura e del suo fondamento storico, il protagonista di questo impossessamento è pur sempre il soggetto della tradizione metafisica che è portato a dimenticarsi della sua limitatezza, che Martin Heidegger chiama l'«essere gettato» [81] equiparando la certezza della coscienza con la verità mentre, come sosteneva Nietzsche, la coscienza non è altro che «la voce del gregge dentro di noi» [82] come confermerà la psicoanalisi. La filosofia e il senso dell'essere [modifica] Con la scoperta della finitezza del soggetto, dei suoi condizionamenti storici, emotivi, economici, sociali ecc., una parte della filosofia di fine secolo rifiuta la definizione della filosofia come critica della ragione e ripropone, fuori dagli schemi della metafisica tradizionale, una filosofia come ricerca del senso dell'essere, inteso come ciò che precede e determina tutto ciò che è, [83], ricerca che avvicina la filosofia alla letteratura e alla poesia, per certi versi, come accade anche in alcuni pensatori francesi quali ad es. il de-costruzionista Jacques Derrida. Sempre nell'ottica di una filosofia concepita come attività di pensiero del tutto libera e creativa, ma pur sempre rigorosa nell'applicazione del suo metodo, si può considerare come profondamente innovativa la riflessione di Gilles Deleuze[84], secondo il quale l'attività del filosofo consiste in null'altro che creare concetti. La filosofia del XXI secolo [modifica] L'incomprensibilità della filosofia Quando colui che ascolta non capisce colui che parla e colui che parla non sa cosa stia dicendo: questa è filosofia. (Voltaire) È possibile intravedere in questo odierno processo di divulgazione al pubblico della filosofia, un tentativo di risolvere una delle più antiche accuse che la filosofia condivide con la scienza, la matematica e la teologia, di incomprensibilità del linguaggio adottato. Certo è 42 inevitabile l'uso di un linguaggio specialistico ma da alcuni vi si è voluta vedere la volontà di utilizzare a bella posta un linguaggio castale, riservato agli addetti ai lavori. Un po' quanto già accadeva con Eraclito, chiamato l' "oscuro", lo skateinos, che nascondeva sotto l'ermeticità del linguaggio la convinzione che il suo pensiero potesse essere inteso solo da pochi, dai migliori. Una concezione aristocratica del sapere che si tramandò in Platone sostenitore della concezione che gli uomini, nati con un patrimonio di idee innate, per quanto facciano esperienze non potranno mai andare oltre quelle conoscenze già contemplate nell'Iperuranio. Per questo il filosofo è colui la cui anima bella, già prima di nascere, possiede un sapere che le anime rozze non avranno mai.[85] Oggi il problema di comunicazione del sapere comporta finalmente la consapevolezza che bisogna «... partire non dallo scienziato o dal filosofo o comunque dall'intellettuale aggiornato, ma proprio dal tipo di domande che vengono dal pubblico, che vengono dalla gente, dall'uomo della strada. Questo dovrebbe essere almeno il nostro orizzonte, l'orizzonte di chi fa divulgazione.» [86] « E se "filo-sofia" non volesse dire "amore della saggezza" ma "saggezza dell'amore", così come "teologia" vuol dire discorso su Dio e non parola di Dio, o come "metrologia" vuol dire scienza delle misure e non misura della scienza? Perché per filosofia questa inversione nella successione delle parole? Perché in Occidente la filosofia si è strutturata come una logica che formalizza il reale, sottraendosi al mondo della vita, per rinchiudersi nelle università dove, tra iniziati si trasmettte da maestro a discepolo un sapere che non ha nessun impatto sull'esistenza e sul modo di condurla? Sarà per questo che da Platone, che indica come condotta filosofica "l'esercizio di morte", ad Heidegger, che tanto insiste sull'essere-per-la-morte, i filosofi si sono innamorati più del saper morire che del saper vivere? » (Umberto Galimberti, La Repubblica 12 aprile 2008) La speculazione filosofica sembra oggi svilupparsi quasi esclusivamente nell'ambiente accademico come disciplina che procede parallelamente alle altre scienze. La ricerca in passato sviluppata in ambito privato indipendente dai grandi pensatori del XVII secolo (Cartesio, Spinoza) o del XIX secolo (Marx, Nietzsche, Croce, Sartre ecc.) ora è stata sostituita dalle figure istituzionali dei filosofi-professori, situazione questa di cui è possibile trovare forse un lontano esempio nei tempi della filosofia medioevale.[87] Questo non vuol dire che la filosofia si stia isolando nel chiuso delle 43 università ma al contrario si assiste a un interesse per la ricerca filosofica, di cui si occupano anche quotidiani, siti specializzati sul web, da parte di un pubblico di non specialisti che affollano dibattiti pubblici su temi come la bioetica o l'etica ambientale.[88] La filosofia per tutti [modifica] Per approfondire, vedi la voce Comunicazione filosofica. Sembra ora che la filosofia voglia tornare a un più diretto contatto con il pubblico, offrendo anche forme nuove di fruizione della filosofia, come negli Stati Uniti con le esperienze ormai affermate della Philosophy for Children, la filosofia per bambini, o l'attività che dalla Germania è arrivata anche in Italia, di consulenza filosofica per il benessere della persona nella sua vita privata o nel lavoro aziendale. Caratteristica di questo nuovo filosofare aperto alle necessità dei nuovi tempi è che esso non viene fornito da professionisti della filosofia ma da esperti di altri settori scientifici. Questo non inficia la validità del filosofare se si riflette come ciò sia accaduto anche in passato, quando grandi filosofi non facevano della filosofia il loro "mestiere": basterebbe pensare al tornitore di lenti Spinoza. Così oggi ingegneri informatici, biologi, fisici ritengono utile alla loro ricerca l'approfondimento filosofico.[89] Principali discipline filosofiche [modifica] La filosofia, nel corso dei secoli, si è specializzata in numerose discipline, che si occupano più specificamente di determinati settori della riflessione filosofica. Alcune di queste dottrine confinano con altre scienze umane, o si intersecano con esse. Discipline teoretiche [modifica] Filosofia teoretica: oggetto della filosofia teoretica è la conoscenza nel senso più astratto e generale; non dunque le modalità concrete e gli strumenti della conoscenza, ma la possibilità e il fondamento del conoscere umano, e i suoi oggetti più universali e astratti, quali l'essere, il mondo etc. Logica: la logica, originariamente, costituisce lo studio delle corrette modalità di funzionamento ed espressione della ragione umana(Logos). Nel corso della storia del pensiero essa ha assunto il carattere particolare di disciplina che si occupa del corretto argomentare, da un punto di vista meramente formale e simbolico; in questo senso è una disciplina per certi versi affine, alla matematica. Metafisica: la filosofia teoretica ha assunto, in un determinato, ancorché lungo periodo storico, il carattere di filosofia prima ovvero metafisica. Essa, letteralmente, è la conoscenza che si rivolge a quegli enti generalissimi che stanno "al di là" degli enti sensibili. La metafisica è divenuta, nel tempo, sinonimo dell'aspetto più astratto, e per certi versi vicino alla teologia, della riflessione filosofica. 44 Ontologia: L'ontologia si occupa dello studio dell'essere in quanto è, della sua differenza con l'ente(differenza ontologica), del suo rapporto col nulla, ovvero con ciò che non è, e dell'ente che esiste, ovvero l'uomo, in quanto capace di un rapporto privilegiato con l'essere. Epistemologia e gnoseologia: con differenti sfumature di significato, entrambe si occupano dell'analisi dei limiti e delle modalità della conoscenza umana. Soprattutto nella filosofia contemporanea, il concetto di epistemologia riguarda più specificamente la conoscenza scientifica: l'epistemologia coincide, in questo senso, con la filosofia della scienza. Filosofia del linguaggio: sempre più attuale nella filosofia contemporanea, è quell'aspetto della filosofia che si occupa di studiare il linguaggio nella sua relazione con la realtà. Correlandosi strettamente alla linguistica e alla logica, essa si occupa della genesi del linguaggio, del rapporto fra senso e significato e della modalità attraverso cui, in generale, il pensiero si esprime. Discipline pratiche [modifica] Etica o morale: è il campo d'applicazione pratico della filosofia, per eccellenza. Il suo oggetto è l'uomo in quanto essere sociale, dunque nella sua relazione con gli altri uomini: essa in particolare si occupa di determinare ciò che è giusto o sbagliato, distinguendo il Bene dal Male in base a una determinata teoria dei valori o assiologia. L'etica è intesa anche come la ricerca di uno o più criteri che consentano all'individuo di gestire adeguatamente la propria libertà; essa è inoltre una considerazione razionale, dei limiti entro cui la libertà umana si può estendere. Estetica: è un settore della filosofia che si occupa della conoscenza del bello naturale e artistico, ovvero del giudizio di gusto. In origine, tuttavia, il termine estetica indicava l'analisi dei contenuti e delle modalità della conoscenza sensibile. Filosofia del diritto: si tratta di una disciplina intermedia fra filosofia e diritto, che, con riferimento all'etica, si occupa di definire i criteri fondamentali attraverso cui si forma il sistema delle norme che regolano la convivenza umana, e i principi in base ai quali un determinato sistema giuridico più essere riconosciuto come valido e vigente. Filosofia della politica: oggetto di questa disciplina sono le istituzioni nella loro formazione, soprattutto per ciò che riguarda i fattori fondamentali che regolano il rapporto fra il potere sovrano e coloro che vi sono sottoposti, ovvero i fattori che regolano l'instaurazione e il mantenimento del potere. Filosofia della religione: è la disciplina che si occupa di studiare le caratteristiche delle principali religioni da un punto di vista filosofiche, individuandone le caratteristiche costanti e universali e studiando il rapporto dell'uomo con la religione come formazione culturale e storica. Filosofia della storia: il suo ambito è la storia, per quel che riguarda i metodi con cui essa viene studiata, ma soprattutto la ricerca di eventuali leggi generali dalle quali essa appare essere regolata. Nuove discipline [modifica] Bioetica: la bioetica, incrociando conoscenze filosofiche con analisi di tipo scientifico, antropologico e medico, si occupa in particolare degli aspetti etici connessi alla vita, umana e non, con riguardo particolare ai fattori biologici e genetici fondamentali. Problematiche bioetiche essenziali concernono dunque la riproduzione, la nascita, la morte, l'identità genetica etc. 45 Filosofia della mente: sulla scorta delle moderne scoperte scientifiche riguardanti il funzionamento del sistema nervoso umano, si è sviluppata questa disciplina filosofica, che si occupa di indagare il rapporto fra la mente, come forma organizzativa della coscienza, e il cervello come struttura meramente fisica; nonché il rapporto della mente con il corpo e con il mondo. Consulenza filosofica: più che una disciplina vera e propria, essa costituisce una peculiare applicazione della filosofia, con un uso della stessa assimilabile (ma non coincidente) con una sorta di terapia psicologica. Note [modifica] 1. ^ Gli occhi e il becco seguono la linea della lettera φ (fi) simbolo alfabetico greco della filosofia e in seguito della sezione aurea. Lettera che accomuna quindi, armonia, bellezza e amore per la conoscenza e per la ricerca in senso lato 2. ^ Con l'uso della sapienza sarebbe facile arricchire, sostiene Ieronimo di Rodi, (Ieronimo di Rodi, Memorie sparse VI, 54.) narrando come si arricchisse Talete il quale, prevedendo un'abbondante produzione di olive, affittò tutti i frantoi di un'ampia regione, monopolizzandone la molitura. L'aneddoto è raccolto, oltre che da Cicerone,(Cicerone, De divinatione, I 49, 111.) da Aristotele, il quale nella "Politica" (A 11, 1259 a) scrive che: « ...siccome, povero com'era, gli rinfacciavano l'inutilità della filosofia, avendo previsto in base a calcoli astronomici un'abbondante raccolta di olive, ancora in pieno inverno, pur disponendo di poco denaro, si accaparrò tutti i frantoi di Mileto e di Chio per una cifra irrisoria, dal momento che non ve n'era alcuna richiesta; quando giunse il tempo della raccolta, cercando in tanti urgentemente tutti i frantoi disponibili, egli li affittò al prezzo che volle imporre, raccogliendo così molte ricchezze e dimostrando che per i filosofi è molto facile arricchirsi, ma tuttavia non si preoccupano di questo. » 3. ^ Secondo Jean-Pierre Vernant «...è sul piano politico, di fatto, che in Grecia la Ragione si è in primo luogo espressa, costituita, formata.»(cfr.J.P.Vernant, "Le origini del pensiero greco", ed. Riuniti, p.117). 4. ^ Aristotele stesso aveva notato come ci fossero analogie della filosofia con le culture non solo degli egiziani ma anche dei caldei e degli ebrei e, persino, dei magi iranici (Zoroastro) 5. ^ Il termine si evolverà ulteriormente in seguito. Jean-Joël Duhot, uno dei maggiori studiosi di storia della filosofia, chiarisce che «gli intellettuali ellenisti sapevano che sophia indicava l'abilità, il saper fare, il conoscere operativo e che quindi il sophos è l'uomo abile e nello stesso tempo il sapiente» (in Epictète et la sagesse stoïcienne, Bayard èditions (1996) 6. ^ Erodoto,Storie, I, 30 7. ^ Diogene Laerzio,in Vite dei filosofi, Proemio 12 8. ^ Cicerone, Tuscolanae disputationes,V, 3,9 9. ^ Passo la cui autenticità è messa però in dubbio da alcuni studiosi come M. Marcovich nella sua opera Frammenti (Firenze,1978) 10. ^ fr.B 35 Diels-Kranz 11. ^ ibidemfr. B 40 46 12. ^ cfr. Gabriele Giannantoni, I Presocratici. Testimonianza e frammenti, Laterza, Roma-Bari 2002. 13. ^ Molto tempo dopo Galilei dirà come «il gran libro della Natura è scritto in caratteri matematici» e «L'universo è un libro scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi e altre figure geometriche».(ne Il Saggiatore) 14. ^ per es. Memorabilia, IV, 2, 23 e Simposio I, 5 15. ^ Platone, Fedro, 278b 16. ^ Si ripropone qui una delle interpretazioni della maieutica socratica. Per un discorso più approfondito si rimanda a Pensiero di Socrate (interpretazioni) dove il senso della maieutica, secondo alcuni studiosi, è da rintracciare nella volontà di Socrate di convincere l'interlocutore che la sua certezza di possedere verità definitive è falsa e che ciò che si conosce va invece sempre rimesso in discussione. 17. ^ In settimo libro della Repubblica,519d 18. ^ Ibidem 520a 19. ^ Ibidem 521b 20. ^ Ibidem 517b 21. ^ 521b 22. ^ Ibidem 521c 23. ^ Ibidem 532c 24. ^ «Tutta la storia della filosofia occidentale non è che una serie di note a margine su Platone» («The safest general characterization of the European philosophical tradition is that it consists of a series of footnotes to Plato».) Alfred North Whitehead in Process and Reality, p. 39 (Free Press, 1979) 25. ^ Aristotele,Metafisica, I, 981b 29 26. ^ Il termine metafisica deriva dalla catalogazione dei libri di Aristotele, nell'edizione di Andronico da Rodi (I secolo a.C.), nella quale la trattazione dell'essenza della realtà fu collocata dopo (in greco "meta") quella della natura (che è la fisica). Il prefisso "meta" assunse poi il significato di "al di là, sopra, oltre". 27. ^ Aristotele,Topici, VI, 6, 145a 15; Metafisica, XI, 7, 1064a 10 sgg. 28. ^ Aristotele, Etica nicomachea I, 3, 1094b 12sgg. 29. ^ Diogene Laerzio, Vite, IV, 2 e Sesto Empirico, Contro i matematici, VII, 16 30. ^ Epistola ad Erodoto, 37 sgg. 31. ^ Epistola a Meneceo, 132 32. ^ Sesto Empirico, Contro i matematici, VII, 16 sgg. 33. ^ Dice San Paolo: «Badate a non farvi ingannare con la filosofia» Paolo, in Colossesi, 8 34. ^ Joseph Ratzinger, L'Europa nella crisi delle culture,ed. Cantagalli 35. ^ cfr. Carlo Sini, "I filosofi e le opere", ed. Principato, vol.1 pag. 308-309, il quale descrive appunto: "una patristica occidentale, che mira prevalentemente a esaltare la fede, il carattere volontaristico, e cioè irrazionalistico(..)della predicazione cristiana, e una patristica orientale, che sottolinea maggiormente la continuità fra filosofia e cristianesimo(...)" 36. ^ «Pensiero e ragione si possono conciliare, anzi, la ragione serve agli esseri umani per interrogarsi anche su alcuni enigmi di fede. Lo scopo della fede e della ragione è lo stesso, se poi la ragione si trova in contrasto con la fede deve cedere a questa» (San Tommaso, Summa contra gentiles) 37. ^ Vedi testo integrale dell'enciclica Fides et Ratio 38. ^ Cfr.Donald Gillies e Giulio Giorello, La filosofia della scienza nel XX secolo, Roma, Laterza, 1995. 39. ^ Cfr. Alberto Strumia, Introduzione alla filosofia delle scienze, Bologna, ESD, 1992. 40. ^ Ockam,Logica, III, 1 47 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. 50. 51. 52. 53. 54. 55. 56. 57. 58. 59. 60. 61. 62. 63. ^ Averroè,Destructio destructionum, VI, fl.56, 79 ^ Duns Scoto, Prol, 3 ^ G. Saitta, "Il pensiero italiano nell'Umanesimo e nel Rinascimento", Vol. II, Il Rinascimento. Bologna 1950 ^ René Descartes, Discorso sul metodo ^ [1] Intervista di Ennio Galzenati a Imre Toth ^ Cfr.Imre Toth,"La filosofia e il suo luogo nello spazio della spiritualità occidentale", Torino, Bollati Boringhieri, 2007. ^ [2] Intervista di Ennio Galzenati a Imre Toth ^ sito.cit.ibidem ^ sito.cit.ibidem ^ sito cit. ibidem ^ «E qual cosa è più vergognosa che'l sentir nelle pubbliche dispute, mentre si tratta di conclusioni dimostrabili, uscir un di traverso con un testo, e bene scritto in ogni altro proposito, e con esso serrar la bocca all'avversario? Ma quando pure voi vogliate continuare in questo modo di studiare, deponete il nome di filosofi, e chiamatevi istorici o dottori di memoria; chè non conviene che quelli che non filosofano mai, si usurpino l'onorato titolo di filosofo. [...] Signor Simplicio, venite pure con le ragioni e con le dimostrazioni, vostre o di Aristotile, e non con testi e nude autorità, perché i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta». (Galileo Galilei, "Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo" (1632)) ^ cfr. Telesio, De rerum natura iuxta propria principia, e Tommaso Campanella, Metaphysica ^ «Troverete persino gente che scrive del XVI secolo come se la magia fosse una sopravvivenza medioevale, e la scienza la novità venuta a spazzarla via. Coloro che hanno studiato l'epoca sono più informati. Si praticava pochissima magia nel Medio Evo: XVI e XVII secolo rappresentano l'apice della magia. La seria pratica magica e la seria pratica scientifica sono gemelle».(C.S. Lewis), Narratore e saggista di classe, perspicace studioso dell'età medievale,stimato docente a Oxford e a Cambridge ^ Ad esempio uno dei più famosi scolastici dell'età mediovale «Ugo di San Vittore nel Didascalicon riconduce gerarchicamente le scienze profane alla filosofia e considera la filosofia propedeutica allo studio delle Sacre Scritture.» (AA.VV. I filosofi e le idee , B. Mondadori editore, 2007 pag.585) ^ Cartesio, La ricerca della verità, Introduzione ^ Bacone,De dignitate et augmentis scientiarum, III, 1 ^ Cartesio, Lettera a Picot, in Opere, ed. Adam-Tannery ^ Cartesio,Discorso sul metodo, Parte II ^ K. R. Popper, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1970 ^ Famosa l'allegoria di Bacone sul metodo scientifico: non dobbiamo fare come gli empirici che badano solo all'esperienza e si affidano solo alla sensibilità. Gli empirici sono come le formiche che ammucchiano tutto ciò che trovano, esaminano ogni fatto che gli si presenta senza prima elaborarlo, ordinarlo. Né dobbiamo imitare i razionalisti che trascurano invece i dati sensibili e fanno come i ragni, che intessono da sé la propria tela e s'avviluppano nei loro stessi ragionamenti, nella loro ragnatela. I nuovi scienziati, devono essere invece come le api che da tutti i fiori traggono il polline per trasformarlo in miele, così lo scienziato deve elaborare tutti i fatti e trasformarli in teorie. Dispongono in modo ordinato i loro sforzi e si servono di tutti gli strumenti per arrivare alla verità. ^ Locke,Saggio sull'intelletto umano, Introduzione ^ «Poiché debbo pur accennarti la storia di questo Saggio, dirò che essendosi cinque o sei amici riuniti a discutere...ben presto ci trovammo in un vicolo cieco...a me venne il sospetto...che prima di applicarci a ricerche di quel genere, fosse necessario esaminare le nostre facoltà e vedere con quali oggetti il nostro intelletto fosse atto a trattare e con quali no». (Locke, Prefazione Epistola al lettore del Saggio sull'intelletto umano) ^ Immanuel Kant da Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo? 48 64. 65. 66. 67. 68. 69. 70. 71. 72. 73. 74. 75. 76. 77. 78. 79. 80. 81. 82. 83. 84. 85. 86. 87. 88. 89. ^ C. Giuntini, Toland e i liberi pensatori del '700, Sansoni, Firenze, 1974, pag.81) ^ Voltaire, Dizionario filosofico, voce "Philosophe", sez.IV ^ Kant, Critica della ragion pura, Dottrina del metodo, I,1 ^ Hegel, Enciclopedia par.2 ^ Hegel, Fenomenologia dello spirito, Prefazione ^ Hegel, Enciclopedia par.574 ^ Comte, Corso di filosofia positiva, Lezione I ^ Spencer,Primi principi, par.37 ^ Platone,Eutidemo, 288e sgg. ^ Schopenhauer, Mondo, vol.I, par.15 ^ Marx,Per la critica dell'economia politica, 3° manoscritto ^ Cfr.Umberto Galeazzi, La teoria critica della Scuola di Francoforte : diagnosi della società contemporanea e dialogo critico con il pensiero moderno, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2000. ^ In Ernst Cassirer prende il nome di Filosofia delle forme simboliche come recita il titolo della sua opera maggiore. ^ K.Fischer, Storia della filosofia moderna, Vol.I ^ B.Croce,Logica e La Storia ^ J.Dewey,Esperienza e natura, cap.10 ^ M.Horkheimer, La situazione della filosofia sociale, 1931 ^ Heidegger, la Geworfenhaeit, cfr.Essere e tempo par.29 ^ Nietzsche,Gaia Scienza, af.354 ^ Martin Heidegger, Essere e tempo, parr. 1-5 ^ Deleuze è uno dei più prestigiosi esponenti della "Nietzsche-renaissance" che insieme allo strutturalismo e al pensiero di Jean-Paul Sartre ha caratterizzato la filosofia francese nel secondo dopoguerra. È considerato appartenere all'ambito dei filosofi post-strutturalisti e post-moderni, ma in realtà il suo pensiero, particolarmente originale e complesso, risulta difficile da classificare. ^ [http://www.educational.rai.it/mat/ss/d06prat.asp Franco Prattito, giornalista e divulgatore scientifico ^ Franco Prattito, in sito web citato ^ cfr. AA.VV.Philosophica, Novara, 2007, pag.404 e sgg. ^ Ibidem pag. 408 ^ Silvano Tagliagambe, L'epistemologia contemporanea, Editori Riuniti, 1991 1. Platone Tuttavia sarà solo nelle pagine platoniche che il termine e il concetto assumeranno una valenza specifica e una portata universale (nel senso dell’impronta storica che ha segnato la nostra cultura occidentale). Aspetto ancora oggi rilevante nel dibattito sul pensiero di Platone, come 49 si evince anche dall’impegno recente di Karl Albert [K. Albert, Il concetto di filosofia in Platone, Vita e Pensiero, Milano, 1991]. L’autore, richiamando filologicamente i testi centrali del filosofo (Simposio, Teeteto, Fedro, Fedone, Repubblica), smonta una delle letture più comuni del concetto, quella che, partendo dagli elementi costitutivi del termine (phileô e sophia) e dall’interpretazione affrettata delle celebri pagine del Fedro e del Simposio, conclude che la sapienza è meta ultima dell’interrogativo filosofico, ma essendo strutturalmente un eterno nonancora per la comprensione umana, trasforma la filosofia in un tendere infinito, in un ininterrotto essere sulla via, rimanere sul percorso piuttosto che nella presenza di ciò che si conosce. In realtà, come ha dimostrato Walter Burkert in un saggio sull’origine del termine philosophia, philein non sta a significare il desiderio per qualcosa di assente, l’anelito verso qualcosa di irraggiungibile: "chiunque abbia coniato la parola filosofo" non può averla intesa come contrapposta a sofos", come rinuncia a sofia". [W. Burkert, Platon oder Protagoras, "Hermes", 88, 1969, pp. 172-3] Nel Simposio, Eros, che rappresenta l’immagine del filosofo è un essere mediano tra uomini e dei, un traghettatore, un traduttore: la mediazione, insomma, è dinamica e non statica, implica il conseguimento della meta (almeno momentaneamente). A causa della madre (Penia) Eros è descritto come sempre afflitto dall’indigenza: il desiderio erotico, in cui si radica la stessa filosofia, ha la propria origine in un sentimento di insufficienza. Di qui l’impulso specificamente filosofico. In conseguenza del padre (Poros), però, quell’anelito non è privo di meta, bensì rivolto al raggiungimento del Bello: e il figlio, vigoroso cacciatore come il padre, può conseguirlo. Questi tratti rendono complessivamente il carattere filosofico di Eros. Certamente, quanto ha ottenuto, continuamente gli sfugge: in altre parole, nella sua medietà Eros è sì in grado di raggiungere la sapienza degli dei, ma non può trattenere quanto ha conquistato: il filosofo non è per sua stessa natura un sophos, anche se accede provvisoriamente alla sapienza divina. Dopo questa celebre presentazione, Platone ritorna più avanti su queste dottrine d’amore e alla strada da seguire correttamente, attraverso la conoscenza filosofica o, meglio, l’ascesa filosofica, fino a giungere al cospetto della Bellezza: "Chi invero sia stato condotto per mano sino a questo punto della dottrina d’amore, contemplando gli oggetti belli secondo un ordine e nel modo giusto, costui oramai, giunto alla fine della disciplina amorosa, scorgerà - in un istante - un qualcosa di bello, ammirabile nella sua natura, proprio quello, o Socrate, in vista del quale, inoltre, tutte le sofferenze di prima erano appunto esistite". Colui che pratica la filosofia, dopo un lungo percorso conoscitivo, approda finalmente alla sua destinazione, il suo anelito e la sua ricerca terminano, hanno improvvisamente e meravigliosamente termine. La stessa tensione erotica è dato riscontrare nel grande mito del Fedro, dove la forma della bellezza nel sensibile è sprone alla rammemorazione. Nel dialogo che a più riprese si confronta con il tema della memoria (antico quanto la filosofia, almeno in Occidente), nel bel mezzo della visione estatica e dell’entusiasmo, Platone dà un’indicazione fondamentale: la continua prossimità dell’uomo alla alêtheia [verità, costruzione con alfa privativa da lanthanô, (lateo latino), sfuggire alla attenzione, restare nascosto, dimenticato] e quindi la sua permanente possibilità di comprendere attraverso l’eidos, forma visibile, aspetto: da idein, vedere] che è anamnesi. Il richiamo al mito della caduta implica anche caricare l’anamnesi di una potentissima significazione originaria, che altrove Platone ha chiamato nostalgia, rimpianto (pothos). L’anamnesi assume così anche il carattere di consapevolezza della destinazione, di via per il ritorno [Su questi aspetti è illuminante il lavoro di V. Meattini, Anamnesi e conoscenza in Platone, Ets, Pisa, 1981, in particolare capitolo 1]. Nel Fedro la epistêmê [da epistasthai, 50 essere esperto, intendersi, conoscere: attraverso la connessione con ephistasthai, imporre, mettere a capo, ma anche fermare, sono impliciti tanto il dominare (epistasia, presidenza, direzione) quanto l’arrestare un processo (epistasis, fermata, arresto)] è il frutto di una comprensione della idea, un passaggio attraverso la molteplicità sensibile fino all’unità (249 b-c). Il percorso verso la verità è la conquista anamnestica dell’ordito eidetico, dialettica nel senso del saper unificare e dividere rispettando le giunture naturali, di capacità di rinvenimento, nella temporalità, dei modi d’essere che la temporalità trascendono e che costituiscono il vero sapere. Si ripensi al famoso brano del Fedone (96b ss.) in cui Socrate (Platone) ricostruisce la parabola della riflessione presofista, rimarcando la forza d’attrazione di quel sapere che chiamano indagine della natura, la sua pretesa aitiologica totalizzante, la sua progressiva articolazione fino al presunto finalismo anassagoreo. A quella arcaica esperienza filosofica, che per altri versi Platone è anche disposto a venerare per la sua matrice sapienziale, nella convinzione che gli antichi fossero più vicini agli dei e quindi migliori (Filebo, 16c), è rinfacciata una insufficiente considerazione della causalità, l’incapacità di discernere tra vera causa e concausa, tra ciò che fonda e giustifica e ciò che solo concorre a determinare. Una presa di posizione che, come è noto, induce un radicale mutamento di rotta, investendo l’aitiologia, l’archeologia e l’ontologia platoniche: la svolta nella trascendenza, l’introduzione di un piano fondativo dai tratti ontologici più forti rispetto alla debolezza del fondato. Un piano che immane, in altre parole che può fondare, solo trascendendo, risultando altro dal piano sensibile. Un riorientamento deciso, oltre la tradizione presofista, che ne conserva tuttavia l’istanza del principio e della causa: questo si rivela estremamente importante per la comprensione del concetto platonico di filosofia. I libri centrali della Repubblica (VI-VII) in fondo riprendono i temi del Fedone, le distinzioni là introdotte, ma gli sviluppi sono ulteriormente illuminanti. Problematicamente ma chiaramente, a più riprese, si accenna a una struttura metafisica scandita da piani fondativi, risalente fino al principio assoluto, anipotetico, che fonda senza essere fondato. Una struttura che, come è normale in Platone, si riflette anche sul versante gnoseologico: così la epistêmê è in primo luogo un cammino all’indietro, nella direzione del fondamento. "La episteme non imposta soltanto una deduzione di conoscenze, la configurazione di un campo del sapere, essa richiede soprattutto le motivazioni del perché e del come un sapere sia tale; la caratteristica dell’episteme non è la mera conoscenza, ma è la consapevolezza che dà luogo alla aletheia". Una consapevolezza, possiamo dire, che implica necessariamente il risalire alla archê: origine, principio, da archô, precedo, guido, comincio], a quel principio che non soffre condizioni. L’essere risaliti fino al fondamento permette di contemplare, liberati completamente dal sensibile e da alcunché d’ipotetico, la trama dell’intelligibile: "Risalire all’archè, aver episteme, vuol dire così star di fronte alla realtà". Quella è poi la strada di cui parla il Simposio, in un contesto meno articolato ma segnato dall’identica verticalizzazione gerarchica. Quella intellezione (noêsis) del fondamento (il Bene nella Repubblica, il Bello nel Simposio) costituisce allora il pieno esaurimento e l’esaustivo compimento dell’originario sentimento filosofico dello stupore (Teeteto) di fronte alle cose, che dà alla filosofia il proprio slancio estatico, il proprio contenuto ontologico, la propria matrice aitiologica. Il thaumazein impronta di sé il philosophein con i suoi reiterati perché, con l’inquietudine che muove verso giustificazioni altre e più solide. La meraviglia innesca un processo che non accetta ignoranza di sorta, che punta a un’assoluta trasparenza della realtà: possiamo forse concedere che, in fine, essa si trasformi in senso aristotelico, nella meraviglia che le cose possano essere diversamente da come sono. 51 L’esigenza platonica di dar conto di tutto si esprime paradigmaticamente nel VII libro della Repubblica: di fronte alla richiesta radicale di fondazione soltanto il metodo dialettico può rivendicare per sé le proprietà essenziali della epistêmê, riducendo quindi l’ambizione e il grado di ogni altra forma di conoscenza. Con il grande mito della caverna, Platone dà una risonanza universale al processo di superamento dell’ignoranza, e, nella misura in cui fa riconoscere nella condizione dei prigionieri la nostra, ne produce l’interiorizzazione: nuovamente il tema della strada (qui anche fisicamente) si fa centrale, come esercizio di libertà cui è affidata la nostra liberazione dalle tenebre. Una strada che conduce dalle ombre al chiarore del lume, alla luce lunare, quindi allo splendore del sole, riconosciuto principio della realtà tutta. Una strada a ostacoli, scoscesa, percorribile a fatica, che garantisce, nel passaggio dalla eikasia alla epistêmê, una progressiva katharsis, purificazione: "Mettersi di fronte alla realtà, all’essente cioè, ricondotto al fondamento che ne determina quell’essere, assicura la "purificazione" di cui parla il Fedone, rompe quel guscio d’ostrica che è l’esistenza, impedimento alla contemplazione del perfetto, del semplice e dell’immutabile"[ Meattini, p. 101]. Nel suo saggio Mathematics and Dialectic in the Republic VI-VII [Ora in F.M. Cornford, Studies in Plato's Metaphysics ed. by R.E. Allen, London, 1965 (edizione originale 1932)] Cornford, a proposito dell’avverbio exaiphnês [subitaneamente], afferma che nel Simposio, nel Fedro e nella Repubblica "Platone adotta il linguaggio dei misteri eleusini, perché come l’iniziazione si concludeva nell’epopteia, nella vista di certi oggetti sacri "in una fiamma di luce", così il processo conoscitivo fondato sulla matematica e sulla dialettica è un passaggio dalla tenebra alla luce e termina in un’esperienza d’ordine diverso, in una visione". A queste pagine si è di recente richiamato un altro studioso di Platone, Domenico Pesce, che in Il Platone di Tubinga rimarca energicamente la centralità della componente intuitiva nella riflessione platonica, per cui, si tratti del Bene, del Bello o del principio anipotetico, "l’intuizione, nella sua purezza, esaurisce l’intera conoscenza, quando si sia pervenuti al vertice del mondo delle idee". L’ascesa al fondamento nell’immagine della linea, il percorso catartico del mito della caverna, la strada iniziatica di Diotima, pur articolandosi differentemente, con una sottolineatura più o meno decisa della paideia scientifica, matematica in senso lato (su cui saranno ritagliate le arti del quadrivio medievale), hanno in comune il compimento esaustivo dello sforzo nella conquista del principio da cui dipende la conoscenza d’ogni cosa. In questo senso condividono la stessa situazione dialettica, dove dialettica è da intendersi come capacità di dar conto dell’ordito della realtà, come contemplazione dell’ordine totale: "quando uno, servendosi della dialettica e prescindendo da ogni sensazione, cerca di muovere con la ragione verso ciascuna cosa che è, in se stessa, e non desiste se prima non è riuscito a cogliere con la pura intellezione la reale essenza del bene, giunge al limite estremo dell’intelligibile" (Rep.532a b). Le vie della facoltà dialettica sono quelle che conducono a quella meta dove chi giunge potrà ristorarsi del cammino percorso e porre termine al suo viaggiare: il principio, il Bene, isolato, estratto, astratto da tutto il resto, come misura esattissima (504) (secondo la tradizione 52 accademica degli agrapha dogmata). Si tratta di pagine centrali per il nuovo paradigma ermeneutico tubinghese, non a caso approfondite da Hans Kraemer in Dialettica e definizione del Bene in Platone. L’esigenza di fondazione, di giustificazione del sapere, che lo trasforma da mera, accidentale opinione in vera epistêmê, che dà ragione della realtà esaurendone i perché, non solo porta Platone a introdurre gli eidê come oggetti stabili di definizione e cause paradigmatiche, ma anche a procedere a una ulteriore unificazione, secondo la stessa logica elementarizzante della tradizione presofista. L’esito protologico individuato dal nuovo paradigma si colloca al punto di intersezione tra due linee di indagine, quella appunto elementarizzante e l’altra generalizzante: nell’Uno inteso come misura esattissima di tutte le cose, esse esibirebbero da un lato il principio in grado di ridurre la molteplicità e quindi di renderla trasparente, dall’altro il principio che, alla base di ogni realtà, ne garantisce la comprensione. Per riprendere il filo del nostro discorso, lo sforzo, lo slancio della ricerca platonica conquistano la propria meta conclusiva, non rimangono aperti, in-finiti; il filosofo non resta in cammino: evidentemente la via e lo star sulla via implicano per Platone sempre una risoluzione (che è teoretica ma anche esistenziale). Abbiamo già riscontrato nel grande mito dell’auriga nel Fedro il radicamento nella trascendenza, la vita dell’anima letta come rimpianto e tensione alla riconquista della propria origine: "Anche secondo il Fedro dunque la conoscenza dell’anima del filosofo non anela invano all’infinito, per quanto essa non sia in grado di sostare per sempre presso la propria meta ma piuttosto secondo le sue capacità, attraverso la reminiscenza è sempre fissa sul ricordo di quegli oggetti per la cui contemplazione la divinità è divina"[ K. Albert, op.cit., p.67]. Recentemente uno specialista americano, M. Morgan, già autore di un importante saggio sulla religiosità platonica [M. Morgan, Platonic piety, philosophy and ritual in fourth century Athens, Yale, 1990], ha così puntualizzato l’argomento: "Il brano dell’ascesa nel Simposio non offre certamente un resoconto completo dell’indagine filosofica. È in primo luogo incentrato sul desiderio della conoscenza e della bellezza, e non tratta degli stadi cognitivi della ricerca che iniziano con l’opinione e culminano nella conoscenza. Platone affronta questi temi nel Menone, Fedone e nella Repubblica. Ho suggerito che la concezione platonica di questo processo, e quindi anche della stessa vita filosofica, è religiosa e in particolare estatica. Questo significa che non solo egli caratterizza in termini ricavati dai riti misterici e dalle pratiche estatiche; egli sviluppa altresì la sua versione della ricerca e dell’educazione in parte da queste tradizioni, e in fine ritiene che la filosofia sia una forma di tali riti d’iniziazione" [M. Morgan, Plato and Greek religion in R.Kraut (editor) The Cambridge companion to Plato, CUP, Cambridge, 1992, pp.234-5]. A conclusioni analoghe è arrivato anche Albert, coniugando la propria ricerca con le acquisizioni tubinghesi. Lo scopo della filosofia platonica è un’esperienza, nel senso originario del termine tedesco (erfahren, Erfahrung), percorrere un cammino. Si tratterebbe di un’esperienza che prende le mosse dalla molteplicità e raggiunge infine l’unità dell’essente nell’essere. Il suo percorso è razionale, anche se poi la meta è situata ai limiti della sfera razionale. Distinguendo tra concetti e ciò che i concetti vogliono esprimere, Platone definisce la conoscenza giunta alla propria meta come una sorta di contemplazione, come una conoscenza immediata; sia nel Simposio, sia nel mito della caverna, sia ancora nel Fedro, la più elevata conoscenza filosofica è descritta come una contemplazione dell’essente [da theaomai, contemplare, considerare]. Convogliando la stessa tradizione del pitagorismo antico all’interno della propria scuola, Platone con la omoiôsis theô (Teeteto), traduce sul piano scientifico e politico quella fondamentale istanza di contemplazione dell’essere, in cui consiste la sapienza degli dei. 2. Aristotele 53 Passando ora a considerare la posizione aristotelica, non possiamo non rilevare nei due capitoli iniziali del primo libro della Metafisica, luogo classico della definizione aristotelica della filosofia, la forte connotazione sapienziale, tanto più evidente in un autore per molti versi laico come lo Stagirita. Anzi, è proprio la sophia il tema centrale del trattato e della raccolta. Il libro Alfa ha una storia particolare, risultando molto probabilmente dal materiale già utilizzato nel Peri philosophias e nel Protrettico. Così è implicito al disegno aristotelico il riferimento alla storia della sapienza, alla sua ciclica tradizione, imperniata sull’ipotesi delle grandi catastrofi, che, distruggendo parzialmente l’umanità, ne condizionerebbero gli sviluppi successivi: i ricordi, i miti, le leggende rappresentano in questo quadro residui mnestici dell’antica sapienza, conservati per gli uomini a venire dai superstiti, e destinati a fruttare nel corso di un nuovo ciclo. Il taglio epocale è di matrice accademica, essendo già presente nel tardo Platone (Politico, Leggi). All’interno poi d’ogni ciclo, la storia della sapienza ha un senso preciso: la crescita, delineata nel primo capitolo, delle tecniche, dalla soddisfazione dei bisogni primari, agli agi, alla ricerca disinteressata. Nella Metafisica entrava così uno schema della storia della sapienza, costruita nella ripetizione di una struttura lineare: le tappe successive della sapienza in ogni ciclo si dispongono secondo un ordine che corrisponde ad una gerarchia di funzioni individuali, a una scala di funzioni conoscitive. Riallacciandosi al Peri philosophias, dove aveva sostenuto che "Fu chiamata sapienza nel senso che è una specie di chiarezza, in quanto chiarisce ogni cosa. Questa chiarezza è stata così chiamata, in quanto è qualcosa di luminoso, dalle parole che esprimano luce, per il fatto che porta alla luce le cose nascoste. Poiché, dunque, le realtà intelligibili e divine, come dice Aristotele, anche se sono chiarissime nella loro essenza, a noi sembrano tenebrose e oscure in causa della caligine corporea gravante su di noi, chiamarono a ragione sapienza la scienza che ci porta alla luce quelle realtà" [Aristotele, Sulla filosofia, fr. 8], il discorso di Aristotele si articola nel primo capitolo a partire dalla vista, riprendendo in altre parole il tema squisitamente greco della contemplazione e della sua connessione con il divino (si pensi in particolare alla tradizione pitagorica, ma anche al VI libro della Repubblica). Egli nel Protrettico aveva posto l’accento sulla densità sapienziale del vedere: la vista è partecipe dell’intelligenza ed è il sostituto o il simbolo dell’intelligenza sul piano sensibile. A ciò avrebbero alluso Pitagora e Anassagora, sostenendo che destino dell’uomo fosse contemplare il cielo: a questi motivi si richiamava la concezione della sapienza come emergere alla luce di una realtà nascosta alla vista sensibile, espressa nel Peri philosophias: "si faccia l’ipotesi di uomini che avessero sempre abitato sotto terra in dimore splendide e ben illuminate, e inoltre abbellite da statue e da quadri e provviste di tutte le suppellettili possedute in copia da coloro che sono giudicati ricchi. E si supponga che costoro, per altro, non fossero mai usciti sulla terra, ma fossero stati informati da notizie e da testimonianze dirette dell’esistenza di una divina potenza causatrice. E che, poi, a un dato tempo, spalancatesi le fauci della terra, essi fossero potuti da quella dimora recondita fuggire e salire in queste terre abitate da noi. E, a un tratto, avessero visto terra, mare e cielo e si fossero fatta un’idea dell’imponenza delle nubi e dell’impeto dei venti, e avessero fissato il loro sguardo sul sole e ne avessero conosciuto tanto l’ampiezza e lo splendore, quanto del pari la potenza, per il fatto che è causa del giorno mediante la diffusione della sua luce in tutto il cielo; quindi, dopo che la notte aveva oscurato la terra, essi godessero la vista di tutto il cielo ricamato e ornato di astri, e delle fasi luminose della luna crescente e calante; e ancora del sorgere e tramontare di tutti questi astri e delle loro orbite stabilite e immutabili in tutta l’eternità. Quando essi vedono questi spettacoli, credono che certamente esistono gli dei e che queste grandi meraviglie sono manifestazioni [opera] degli dei" [fr. 13a]. 54 L’eco platonica della vista come unico senso in grado di immettere al mondo ideale, è facilmente riscontrabile, così come l’analogia, sempre platonica ma non solo, tra visibile e intelligibile, tra vedere con gli occhi del corpo ed intelligere con gli occhi dell’ani ma. Nel Protrettico Aristotele riproduceva il modello platonico della gerarchia del sapere: il sapere che occupa la sommità è la più elevata attività dell’anima umana, quella che merita d’essere perseguita per sé, rivelando l’ordine naturale. Il libro Alfa si apriva dunque con il riconoscimento della orexis tou eidenai come physis della filosofia [Per questo è fondamentale il bel libro di L. Lugarini, Aristotele e l’idea della filosofia, La Nuova Italia, Firenze, 1962, pp.16 ss.]. Le sottolineature aristoteliche puntano a riscontrare il nesso strutturale tra impulso conoscitivo, che si esprime anche a livello sensoriale, e sapienza come risoluzione della stessa orexis, e quindi a rimarcare il radicamento della filosofia nella physis umana. All’apertura della nostra physis nei confronti degli enti corrisponde la filosofia come ricerca e la sophia come conquista del sapere che soddisfa fondamentalmente la brama. Secondo gli schemi prima evocati, Aristotele segue il dispiegarsi della orexis dalla sensazione, attraverso la memoria, alla empeiria, alla technê, alla epistêmê, fino alla sophia. Il desiderio di sapere troverà sul piano dell’esperienza e dell’arte una esplicazione solo parziale: il fatto che la epistêmê abbia come fine il sapere stesso ne fa campo di piena espressione dell’impulso originario dell’uomo. La epistêmê massimamente in grado di esaurirlo sarà quella dal più alto contenuto epistematico, in altre parole tale da rispondere ai perché estremi, da risalire alle cause e ai principi supremi. In questo modo Aristotele porta a compimento, coscientemente e criticamente (come dimostra tutta la seconda parte del libro Alfa), la parabola presocratica e platonica: vero sapere, epistêmê in senso proprio, è consapevolezza delle cause, capacità di dar conto e giustificare, ricostruzione ontologica e gnoseologica. La dimensione aitiologica e archeologica limpidamente emersa nel Fedone è qui approfondita, precisata, arricchita, ma anche corroborata: Aristotele confermava nella possibilità di riduzione di un fenomeno ai suoi principi, secondo la lezione presofista, il presupposto della scienza, ponendo di fatto anche il problema della stessa strutturazione archeologica e sistematica della epistêmê, che sarà poi oggetto degli Analitici. Certamente quella lezione era filtrata dalla svolta socratico-platonica, evidente nel privilegiamento della universalità della scienza, e nel superamento della prospettiva meramente fisica dei physiologoi; tuttavia è da segnalare nelle critiche a Platone il pesante ritorno dei presofisti e la centralità dei temi da loro sollevati, a partire proprio dalla physis. La ricostruzione razionale di Aristotele vuol dar ragione della realtà nella sua globalità e complessità, e quindi non rifiuta il confronto empirico, linguistico con il mondo e le sue varie manifestazioni. La distinzione che interviene nel secondo capitolo tra sophos e sophia, da un lato, e philosophia e philosophos dall’altro, non è solo terminologica (come invece vorrebbe Reale). Aristotele in realtà ribadisce puntualmente lo schema, da noi in precedenza esaminato, del Simposio platonico, connotando in senso erotico il filosofare e indicando nella scienza cercata (quella delle cause e dei principi primi) la sola scienza che possa dirsi divina. Il carattere speciale della epistêmê oggetto d’indagine è dato dal suo radicarsi nei fondamenti primari e quindi dalla sua mediata universalità. La filosofia nella sua ricerca si orienta quindi progressivamente in senso protologico e nel proprio compimento sarà sapienza. In questo ambito Aristotele introduce il famoso excursus sulla genesi del filosofare dallo stupore: come in Platone lo stupore è archê della filosofia, meraviglia di fronte agli enti, per il fatto che essi stiano come stanno. Al thamauzein segue l’impegno risolutivo per superare, nella ricostruzione eziologica, l’iniziale spaesamento: attraverso la comprensione, la meraviglia si trasforma, non presentandosi più rispetto alla realtà delle cose, piuttosto di fronte alla eventualità che quella realtà possa darsi diversamente. Richiamare lo stupore platonico, è da un lato funzionale alla sottolineatura dell’impronta teoretica del filosofare e dunque della sapienza (di là da ogni soddisfacimento materiale o utilitaristico), dall’altro rilancia anche il modello dell’eros, nella misura in cui la miscela di orexis e 55 thaumazein giustifica un’interpretazione dialettica, dove giocano l’ignoranza e la consapevolezza di ignorare, suscitando l’esigenza di venire a capo delle aporie e dello stupore. È proprio intorno al theorein [da theôreô, osservo, contemplo, partecipo come osservatore ufficiale, considero: da theôros, spettatore, colui che viaggia per vedere, derivato probabilmente da thea, visione e horaô, vedere; scorgere, volgere l’attenzione a, nella forma media anche prendersi cura di, guardarsi da; tuttavia è stata proposta una diversa provenienza [H. Koller, Theoros und Theoria, "Glotta", 36, 1958, pp. 273-286]: da theos, dio, e oJraw, nel senso complessivo di custodire dio, avere cura di dio] che si gioca la partita decisiva tra Aristotele e la tradizione filosofica: alla luce di quanto già è stato messo in evidenza, risulta che la filosofia è per eccellenza theôria peri tês alêtheias [speculazione, ricerca della verità], come emerge limpidamente nel primo capitolo del secondo libro della Metafisica: "La ricerca della verità sotto un certo aspetto è difficile, mentre sotto un altro è facile. Una prova di ciò sta nel fatto che è impossibile ad un uomo cogliere in modo adeguato la verità, e che è altrettanto impossibile non coglierla del tutto: infatti, se ciascuno può dire qualcosa intorno alla realtà, e se, singolarmente preso, questo contributo aggiunge poco o nulla alla conoscenza della verità, tuttavia, dall’unione di tutti i singoli contributi deriva un risultato considerevole. Cosicché se, relativamente alla verità, le cose sembrano stare così come si dice nel proverbio: "chi potrebbe sbagliare una porta?", allora, per questo aspetto, essa sarà facile; invece, il fatto che si possa raggiungere la verità in generale e non nei particolari mostra la difficoltà di essa. E, fors’anche, poiché vi sono due tipi di difficoltà, la causa della difficoltà della ricerca della verità non sta nelle cose, ma in noi. Infatti, come gli occhi delle nottole si comportano nei confronti della luce del giorno, così anche l’intelligenza che è nella nostra anima si comporta nei confronti delle cose che, per natura loro, sono le più evidenti di tutte" Il contemplare non implica, aristotelicamente, un mero atteggiamento di passività da parte del teoreta. In questo senso lo Stagirita si pone in continuità tanto con l’approccio presocratico, quanto con l’impostazione socratico-platonica. Theorein è per Aristotele andare a vedere la realtà, lasciando da un lato che essa si palesi sin dalla esperienza sensibile, per altro comunque inseguendone interrogativamente la struttura, ricostruendone a ritroso l’ordine archeologico. La realtà, che vien fatta coincidere in Metafisica alfa 1 con la verità, rivela la propria stratificazione di senso, orizzontalmente (le categorie) e verticalmente (le classificazioni delle sostanze), attraverso la progressiva immersione nel dato fenomenico. Qui registriamo un primo dato stimolante. Intanto phainomenon [da phainô, apparire, manifestare] in Aristotele non ha la connotazione limitativa che assumerà più tardi, per esempio in Kant; poi fenomeno è da considerarsi, per il filosofo, sia ciò che si manifesta del mondo naturale, sia quanto è documentato dalla civiltà umana, in altre parole le testimonianze che contribuiscono a svelare l’essere: "Ora, non solo è giusto essere grati a coloro dei quali condividiamo le opinioni, ma anche a coloro che hanno espresso opinioni piuttosto superficiali; anche costoro, infatti, hanno dato un certo contributo alla verità, in quanto hanno contribuito a formare il nostro abito speculativo. Se non ci fosse stato Timoteo, noi non avremmo un gran numero di melodie; ma se non ci fosse stato Frini, non ci sarebbe stato neppure Timoteo. Lo stesso vale anche per coloro che hanno parlato della verità: da alcuni abbiamo ricevuto certe dottrine, ma altri sono stati la causa che permise che quelli si formassero". In linea con la tradizione naturalistica, Aristotele prende le mosse dal mondo fisico, da ciò che è primo per noi, nella convinzione che esso consenta di approfondire le strutture generali della realtà. La storia della filosofia abbozzata, con taglio per molti versi asfittico, nei capitoli 3-10 di Metafisica Alfa, mostra tutta la fiducia di Aristotele nella esperienza, che è stata buona (anche se parziale) guida per i physiologoi, 56 condizionandone le scelte, costringendoli, quasi, a correggere le proprie impostazioni, in virtù della forza della propria evidenza. In fondo l’esigenza di adesione alle cose era un originario, programmatico, portato platonico, laddove nel Cratilo Socrate affermava (439b): "Determinare quale metodo specifico si debba poi seguire per apprendere e conoscere le cose, è compito superiore alle mie forze e alle tue; dovremo pertanto accontentarci di esserci trovati d’accordo almeno su questo: che non dai nomi bisogna partire, ma ricercare ed apprendere l’essenza stessa delle cose dalle cose stesse muovendo, assai più che dai nomi". A quel programma Platone non era rimasto del tutto fedele, come emerge dallo schema del Fedone in precedenza richiamato; la tradizione presocratica aveva invece ampiamente lavorato in quella direzione, certamente con esiti insoddisfacenti che Socrate aveva rimarcato proprio nel dialogo platonico, ma anche con fiducia nel manifestarsi della physis. Il carattere apofantico, rivelativo, ostensivo che Aristotele attribuisce alla filosofia come theôria peri tês aletheias, che palesa l’ordine del reale, ha quindi indubbiamente le proprie radici nella lezione dei pensatori classificati come oi peri physeôs [naturalisti], i quale si erano sforzati di dar conto dei fenomeni, di giustificare razionalmente la stabilità della physis. Da questo punto di vista si spiegano anche le osservazioni polemiche nei confronti del tradimento verbalistico socratico-platonico, di quella svolta nei logoi che, almeno in parte, aveva comportato l’abbandono di quel programma del Cratilo e liquidato troppo frettolosamente, secondo Aristotele, l’indagine aitiologica precedente, premendo per altro genere di fondazione causale (formale-finale). Platone in tal modo avrebbe garantito un riorientamento decisivo, denunciando il limite materialistico della riflessione presofistica, ma nel contempo ridotto drasticamente il palesarsi dell’essere, svuotando il mondo a riflesso umbratile, che invece di manifestare sostanzialmente appanna, distoglie, confonde. Ciò detto, va comunque tenuto presente che lo schema storiografico del Fedone è attivo ed efficace anche in Aristotele. La verità, come in Platone, appartiene eminentemente alla dimensione intelligibile, quindi alla stabilità, alla ingenerabilità, eternità: è da questi nodi che si articola l’indagine sui fondamenti, la quale integra robustamente lo stile presocratico di pensiero, avvicinandosi evidentemente all’approccio platonico, di cui tuttavia si rifiuta un punto fondamentale, la disgiunzione delle due dimensioni. Se effettivamente la verità non può appiattirsi a livello del fenomeno sensibile, d’altro canto è ermeneuticamente, logicamente contraddittorio separare l’eidetico dal sensibile. Se la verità, la safhvneia [saphêneia, chiarezza, evidenza] domina nell’intelligibile, essa non è occultata sul piano sensibile, che, al contrario, lo ribadiamo, per Aristotele costituisce il primo per noi, in altre parole il punto di partenza irrinunciabile dell’indagine umana, il livello dell’interrogativo stupito, che non inibisce, semmai innesca il processo teoretico. Platone aveva fatto lezione sotto un altro aspetto essenziale, correggendo profondamente la tradizione presofista. Immettendo sistematicamente nella riflessione razionale l’esigenza critica socratica, egli aveva sostanzialmente denunciato la superficialità del rapporto dei sapienti con la realtà naturale, la convinzione acritica della manifestatività della physis. Con la seconda navigazione si poneva dunque anche il problema dell’atteggiamento del teoreta: centrale, dopo Socrate, era il questionare capace di svelare il falso sapere e l’insufficienza del riferimento sensibile. La dialettica muoveva proprio dal presupposto che la contemplazione degli eidê fosse subordinata a una sistematica interrogazione. Socraticamente, nel rapporto alla verità si frapponeva - come momento ineludibile - la problematicità, la aporeticità e quindi, conseguentemente, emergeva l’idea dell’inquisizione, della ricerca critica. Ora basta andare a leggere la prima pagina di Met B1 per rendersi conto della pesante eredità platonica nella metodologia di ricerca 57 aristotelica: "È necessario, in relazione alla scienza di cui siamo in cerca, che noi esaminiamo i problemi, dei quali bisogna, innanzitutto, cogliere le difficoltà. Si tratta di quei problemi intorno ai quali alcuni filosofi hanno fornito soluzioni contrastanti, e, oltre a questi, di altri problemi che sono stati finora trascurati. Ora, per chi vuol ben risolvere un problema, è utile cogliere adeguatamente le difficoltà che esso comporta: la buona soluzione finale, infatti, è lo scioglimento delle difficoltà precedentemente accertate. Non è possibile che sciolga un nodo colui che lo ignora; e la difficoltà che il pensiero incontra, manifesta difficoltà che sono nelle cose. Infatti, in quanto si dubita, ci si trova in condizioni simili a chi è legato; nell’uno e nell’altro caso, infatti, è impossibile procedere oltre. Perciò bisogna che, prima, si siano esaminate tutte le difficoltà, sia per queste ragioni, sia, anche, perché coloro che cercano senza aver prima esaminato le difficoltà assomigliano a quelli che non sanno dove devono andare. Costoro, inoltre, non sono in grado di sapere se hanno trovato o no ciò che cercano; infatti, non è loro chiaro il fine che devono raggiungere, mentre è chiaro a chi, prima, ha compreso le difficoltà. Inoltre, si trova necessariamente in una condizione migliore per giudicare colui che ha ascoltato le ragioni opposte, come in un processo". Non si tratta di indicazione sporadica: essa è confermata dal trattato dei Topici (in particolare dalle pagine sui vantaggi della dialettica e sul suo uso filosofico) e da Metafisica alfa 1, più volte citato. Lo stupore, la meraviglia, il carattere erotico del filosofare sono consapevolmente messi a fuoco a partire dalla aporeticità delle situazioni preliminari: l’indagine trova la propria pista risolutiva nel confronto dialettico, nello sviluppo sistematico delle difficoltà. Lavorare criticamente sulle opinioni altrui, organizzare un torneo di opinioni dilemmatiche è non solo in linea con la convinzione che la realtà nel suo manifestarsi non possa essere del tutto sfuggita a nessuno, e quindi che ogni apporto filosofico in qualche misura garantisca un accesso parziale alla verità. Corrisponde anche a un’altra originaria istanza platonica che evidentemente Aristotele fa propria: superare l’impasse eristica, aggirare ostacoli del tipo di quelli sollevati da Menone nel dialogo omonimo. Pur rifiutando l’anamnesi, lo Stagirita non rinuncia alla possibilità di costruire su un sapere precedente. Gli endoxa rappresentano risultati da integrare, punti d’appoggio da cui orientare la propria indagine. Solo dal sistematico confronto con le difficoltà è possibile maturare un adeguato approfondimento della dimensione fenomenica, per andare con sicurezza a vedere la trama dei principi a fondamento di ciò che a noi si palesa. Questa scelta diaporetica è alla base della stessa riflessione aristotelica sulle forme di razionalità. Due parole, per concludere sulla concezione aristotelica della filosofia, a proposito del progetto della scienza dell’essere in quanto essere. Il testo fondamentale è l’apertura di Metafisica Gamma: "C’è una scienza che considera l’essere in quanto essere e le proprietà che gli competono in quanto tale. Essa non si identifica con nessuna delle scienze particolari: infatti nessuna delle altre scienze considera l’essere in quanto essere in universale, ma, dopo aver delimitato una parte di esso, ciascuna studia le caratteristiche di questa parte. Così fanno, ad esempio, le matematiche". Il capoverso è in particolare destinato a mettere a fuoco la universalità della scienza dell’essere, rispetto alle scienze particolari: esse si rivolgono a una parte dell’essere in quanto essere, lo studiano in qualche suo aspetto, senza problematizzarlo radicalmente, senza proporsi in universale l’interrogativo sul suo essere. L’esempio delle matematiche vuol in questo senso segnalare l’assunzione, riguardo all’ente, di un punto di vista particolare, quello quantitativo. La scienza in questione fonda invece la propria pretesa di universalità sullo studio di quelle proprietà degli enti che tutte le discipline dipartimentali assumono senza ricerca critica: in altri termini, essa è sondaggio di tutti gli aspetti che sono costitutivi di ogni oggetto scientifico [T. H. Irwin, Aristotle’s First Principles, Clarendon Press, Oxford, 1988, p.170]. La scienza universale prospettata in Alfa coincide allora con la scienza dell’essere nella misura in cui questa indaga i caratteri dell’essere presupposti 58 per la possibilità delle altre scienze. Una scienza dell’essere in quanto essere, capace di ricomprendere in sé la totalità del reale, sarà possibile, a dispetto del l’apparente proibizione degli Analitici, ricorrendo alla analisi semantica. Muovendo dalla valenza ontologica del linguaggio, dalla sua capacità di manifestare l’essere, Aristotele si affida all’esame dei significati del termine (quindi a un procedimento tipico della dialettica) per rivelarne l’irriducibile polivocità. L’espressione "l’essere si dice in molti modi" equivale all’ammissione dell’originaria pluralità di aspetti ontologici, già sostenuta nelle Categorie (alla cui provvisoria classificazione l’autore sembra alludere) e fatta valere nella polemica anti-eleatica di Fisica Alfa, e in quella anti-accademica ancora documentata negli ultimi due libri della Metafisica. D’altra parte, la polivocità dell’essere non ne implica la equivocità (la mera omonimia), dal momento che è sempre possibile il riferimento a un significato primo, in questo senso principio da cui gli altri dipendono. Tale è per Aristotele la sostanza (ousia), che rappresenta il fondamento cui si appoggiano gli altri aspetti della realtà, positivi o negativi che siano. L’essere non è un genere sommo di cui le categorie siano generi subordinati: esso è originariamente, immediatamente e irriducibilmente articolato nelle categorie che lo esprimono. Eppure, a dispetto della molteplicità ontologica e semantica, dell’essere è possibile una scienza unitaria nella misura in cui si faccia leva su quell’unica natura di riferimento, la sostanza. Gli enti saranno oggetto di un’unica scienza in quanto enti, in virtù del primato della loro relazione alla sostanza. L’ontologia si costituirà allora essenzialmente come indagine sui principi della ousia. Così sembra anche dalla apertura di Metafisica Zeta: "E in verità, ciò che dai tempi antichi, così come ora e sempre, costituisce l’eterno oggetto di ricerca e l’eterno problema: che cosa è l’essere, equivale a questo: che cosa è la sostanza […]; perciò anche noi, principalmente, fondamentalmente e unicamente, per così dire, dobbiamo esaminare che cos’è l’essere inteso in questo significato". La scienza dell’essere in quanto essere rivela, complessivamente due aspetti: uno, propriamente ontologico, direttamente connesso alla ricerca dei principi costitutivi delle ousiai [che la porterà a risalire verticalmente l’ordine delle sostanze], l’altro immediatamente logicolinguistico (anche se in Aristotele non è possibile discriminare nettamente i due piani), mirato alla chiarificazione di nozioni che possono trovare impiego in una indagine sulla realtà (e in questo senso tale scienza è autoriflessiva, problematizza anche se stessa) [C. Witt, Substance and Essence in Aristotle. An Interpretation of "Metaphysics" VII-IX, Ithaca and London, 1989, pp.25 ss.] e applicazione generale nei vari ambiti scientifici, senza essere in quelli oggetto di studio. In questo senso, riflettendo sulle nozioni coinvolte nella strutturazione della conoscenza (tenendo conto della tradizione in cui la riflessione aristotelica era maturata), la scienza in questione si ritrova a essere prima, fondante rispetto alle altre. 59