STAGIONE
TEATRALE
2015-2016
Comune di Padova
Assessorato
allo Spettacolo
Provincia
di Padova
Teatro Stabile del Veneto
Programmazione e stagioni 2015-2016
Il Teatro Stabile del Veneto presenta la sua prima stagione come Teatro Nazionale, qualifica che dà
il giusto riconoscimento al passato e al presente di una delle regioni più fortemente teatrali d’Italia, e
colloca il Veneto tra le “eccellenze nazionali” selezionate dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e
del Turismo. Questo risultato prestigioso ha premiato un progetto culturale di indubbia qualità e una strategia d’azione fortemente radicata nel territorio. L’integrazione tra Padova, Venezia e Verona rende tangibile la peculiarità dell’assetto geopolitico del Veneto: una “metropoli diffusa” senza un unico capoluogo
che faccia da polo d’attrazione, ma dotata di tre centri dal forte appeal turistico, artistico e culturale. Una
complementarietà che emerge chiaramente nel disegno delle stagioni 2015/2016. Di seguito illustriamo
i cartelloni del Teatro Verdi di Padova e del Teatro Goldoni di Venezia, indicando inoltre le
principali presenze al Teatro Nuovo di Verona, il cui programma completo verrà illustrato, secondo
consolidata consuetudine, a Verona nel mese di settembre.
35 i titoli in cartellone, tra produzioni e ospitalità, per un totale di 216 spettacoli: sono questi i numeri
di un programma concepito in senso unitario, ma capace di diversificare l’offerta per i pubblici delle tre
sedi. Una proposta di ampia portata, una sfida lanciata dal Teatro Stabile del Veneto: quella di diventare
uno dei motori più importanti per lo sviluppo culturale dell’intera Regione. Un progetto che guarda al
territorio, con un respiro nazionale e una vocazione internazionale e che intende intercettare un pubblico
vasto, attraverso proposte e generi teatrali molto diversi tra loro, ma sempre nel segno della più alta
qualità delle proposte.
Nucleo portante delle nuove stagioni sono le 6 nuove produzioni del Teatro Stabile del Veneto, che
occupano un ruolo di primo piano nell’impianto complessivo della programmazione. Una funzione essenziale per un Teatro Nazionale, che ha come obiettivo primario la capacità di ideare, produrre e realizzare
spettacoli di alto livello, in linea con la qualità massima che deve esprimere uno dei sette teatri più
importanti d’Italia.
Due i filoni principali indagati: PAROLE CONTEMPORANEE e ISPIRAZIONE CLASSICA.
Parole Contemporanee è riferito ad autori teatrali contemporanei che raccontano il nostro presente.
Un’azione a sostegno della drammaturgia italiana, che merita di essere esaltata e valorizzata al meglio,
soprattutto alla luce delle grandi potenzialità ancora inespresse che possiede. Sono ben quattro le produzioni che seguono questa linea di indirizzo.
Si parte da un’opera di un’autentica star della scrittura contemporanea come Alessandro Baricco, che
torna al puro teatro dopo il successo eclatante di Novecento. Il titolo dello spettacolo è Smith & Wesson
e rappresenta una grande metafora sulla vita e sulle scelte che ne cambiano il corso. Un testo delicato e
commovente, interpretato da un inedito Natalino Balasso, affiancato dal premio UBU Fausto Russo
Alesi per la regia di Gabriele Vacis (Venezia e Padova).
La nuova produzione di Babilonia Teatri rappresenta invece una grande sfida per il Teatro Stabile del Veneto, che assieme a Emilia Romagna Teatri ha scelto di produrre un nuovo lavoro e di presentarlo in abbonamento al pubblico dei suoi teatri. David è morto è un progetto originale che esalta l’unicità del linguaggio
dei due autori-registi Enrico Castellani e Valeria Raimondi. A partire dall’idea di un surreale suicidio
collettivo, il testo si prende gioco di una società che ha smarrito i suoi punti di riferimento: “il racconto di
una provincia lasciata a se stessa, dove si corre per non sapere quel che ci si lascia alle spalle, per non vedere quel che c’è attorno, per continuare a sognare un traguardo che non c’è” (Verona, Padova e Venezia).
Il testamento di Maria, dell’autore irlandese Colm Tóibín, è uno spettacolo che sviluppa in modo originale un filone teatrale che negli ultimi anni sta acquistando importanza sulle scene italiane, ovvero la
relazione tra teatro e spiritualità. Un ritorno all’antico, alla dimensione rituale dell’azione scenica, ma
anche alla necessità di usare il palcoscenico per interrogarsi sui grandi perché dell’umanità. Un testo
che ripercorre gli ultimi giorni della Madre di Gesù evidenziandone il lato umano: una donna concreta,
sicura del suo punto di vista, che innesta una serie di dubbi su alcune “verità rivelate”. La grande versatilità di Michela Cescon saprà donare a questo personaggio credibilità e coerenza, anche grazie
alla regia curata da un grande del cinema italiano come Marco Tullio Giordana (Venezia, Padova e
Verona).
Per chiudere in bellezza il percorso dedicato alle Parole Contemporanee, eccoci al testo di Natalino
Balasso, attore veneto tra i più amati dal grande pubblico, che con lo Stabile ha avviato un articolato
percorso di collaborazione. La Cativìssima - Epopea di Toni Sartana è una rivisitazione dell’“Ubu Re” di
Jarry in salsa veneta che usa l’arma dell’ironia per tracciare un ritratto spietato del presente. Un testo
corale a sei personaggi, che vede protagonista un gruppo affiatato (una all-star composta da Francesca
Botti, Marta Dalla Via, Andrea Pennacchi, Silvia Piovan e Stefano Scandaletti) riunito attorno a un mattatore di razza, che con quest’opera dimostra di essere un fuoriclasse anche come drammaturgo (Venezia,
Padova e Verona).
Nel filone legato agli spettacoli di Ispirazione Classica si colloca invece il nuovo allestimento de I Rusteghi,
uno dei testi più amati e rappresentati di Carlo Goldoni. Questa versione, firmata da Giuseppe Emiliani
– che esordirà dal 9 al 14 luglio al Teatro Romano di Verona nell’ambito dell’Estate Teatrale Veronese –,
riunisce alcuni tra i migliori talenti del teatro veneto come Alessandro Albertin, Alberto Fasoli, Piergiorgio
Fasolo, Stefania Felicioli, Cecilia La Monaca, Maria Grazia Mandruzzato, Giancarlo Previati, assieme ai
giovani Margherita Mannino e Francesco Wolf, diplomati dell’Accademia Palcoscenico, la scuola di teatro
del Teatro Stabile del Veneto diretta da Alberto Terrani (Venezia e Padova).
In programma infine un altro straordinario scrittore veneto, con un testo simbolo della sua articolata
parabola artistica. Stiamo parlando di uno dei capolavori della letteratura italiana del Novecento: Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati, testo magnifico che profonde riflessioni sulla precarietà della vita, sulla
solitudine dell’uomo, sull’impossibilità di realizzazione e soprattutto sull’ironia della sorte. Paolo Valerio
adatta per la scena e dirige quest’opera di rara bellezza e, dopo il grande successo ottenuto qualche
anno fa da Sette Piani, torna ad affrontare un autore che merita di essere riscoperto nella sua assoluta
grandezza. Per questo lo Stabile ha scelto di produrlo, mettendolo al centro di un progetto artistico articolato, che prevede diverse azioni e che verrà sviluppato nel corso della prossima stagione (Verona e nella
prossima stagione Padova e Venezia).
Oltre agli allestimenti firmati dal Teatro Stabile, le tre Stagioni ospitano un caleidoscopio di storie e
linguaggi teatrali, che intrecciano immagini e segni offrendo un panorama variegato di proposte di spettacolo. Coerente con la sua nuova funzione di Teatro Nazionale, il Teatro Stabile del Veneto intende
sviluppare un progetto culturale alto, capace di intercettare il meglio della scena nazionale.
La linea progettuale Parole Contemporanee include autori e protagonisti del teatro italiano e interna-
zionale come Michele Serra, Domenico Starnone, Enzo Moscato, Valerio Massimo Manfredi, Massimo Carlotto, Emma Dante, Simone Cristicchi, Cristiana Morganti, Edward Albee,
Pascal Rambert.
L’uso del corpo sulla scena è elemento essenziale di narrazione nella proposta presentata da Cristiana
Morganti dal titolo Jessica and me. Per anni membro fisso dello storico Tanztheater Wuppertal fondato
dall’indimenticabile Pina Bausch, questa artista italiana interpreta alla perfezione la grande tradizione
del teatro-danza di matrice mitteleuropea. Sul palco si compone un racconto autobiografico, alternando
al parlato movenze con il marchio indelebile della scuola bauschiana, nelle mani parlanti, nelle braccia
flessuose, nella liricità dei gesti che riempiono la scena di autentica poesia (Venezia).
Dalla poesia in movimento del teatro danza si passa alla poesia in musica interpretata alla perfezione da
Simone Cristicchi in Magazzino 18. L’esodo giuliano-dalmata, conseguente al Trattato di Pace del 1947
che cedette alla Jugoslavia territori un tempo italiani, rivive in una narrazione schietta e appassionata,
orchestrata dall’abile mano di Antonio Calenda. Cambiando registri vocali, costumi, atmosfere musicali,
Cristicchi dà vita a una koinè di linguaggi, capace di trasfigurare il reportage storico in una forma nuova,
che potremmo definire “musical-civile” (Venezia).
Ispirato ai due successi letterari Gli Sdraiati e Breviario comico di Michele Serra, Father and son, racconta
il rapporto padre/figlio, radiografato senza pudore e con un linguaggio che oscilla tra il comico e il tragico.
Protagonista un attore come Claudio Bisio, qui diretto da Giorgio Gallione, che continua a collezionare una serie di interpretazioni eccellenti, in teatro come al cinema, confermandosi uno tra gli attori più
apprezzati della sua generazione (Venezia e Padova).
Allo stesso modo Silvio Orlando, amato dal miglior cinema d’autore degli ultimi anni, ha concentrato
sempre più la sua attenzione sul teatro, dando prova di grande versatilità nell’affrontare sia i classici che
i testi di autori contemporanei. Qui torna idealmente sul luogo del delitto portando in palcoscenico un suo
grande successo cinematografico come La scuola. Diretto sempre da Daniele Luchetti, con un cast stellare tra cui spiccano Marina Massironi e Roberto Citran, il testo di Starnone fotografa le dinamiche e
le contraddizioni delle realtà educative italiane con precisione chirurgica, offrendo uno spaccato sociale
divertente, solido e convincente (Padova).
Il mondo non mi deve nulla di Massimo Carlotto è un noir veloce ed elegante, dolente elegia dei naufraghi della vita e amara riflessione sul peso del caso e della nemesi, sulla libertà di scelta e di coscienza.
Una storia di solitudini a confronto, che trova in Pamela Villoresi e Claudio Casadio due interpreti
efficaci, diretti con piglio deciso da Francesco Zecca in un allestimento continuamente in bilico tra
dramma e commedia (Venezia).
Presente nei più prestigiosi teatri e festival internazionali, Pascal Rambert, autore e regista francese,
presenta la versione italiana di una sua fortunatissima opera intitolata La prova (nella versione francese
vedeva in scena la bellissima Emmanuelle Béart). Il testo è una minuziosa analisi sulle dinamiche che
definiscono le relazioni umane nel XXI secolo. Un perfetto esempio di “teatro d’autore” di respiro europeo che trova in Anna Della Rosa, Luca Lazzareschi e Laura Marinoni (tutti premi UBU) assieme a
Giovanni Franzoni, gli interpreti ideali (Padova).
Dall’Europa agli Stati Uniti per incontrare un drammaturgo che ha fatto la storia del Novecento come
Edward Albee con il suo capolavoro assoluto Chi ha paura di Virginia Woolf. Un dramma sociale a tinte
forti che fotografa una coppia nell’America degli anni ’60 tra recriminazioni e segreti inconfessati. Dopo
alcune versioni memorabili questo testo straordinario risorge a nuova vita grazie al talento di Arturo
Cirillo, attore e regista tra i più interessanti oggi in Italia (Venezia e Padova).
Libera riscrittura della celebre opera di Mérimée curata da Enzo Moscato, la Carmen di Mario Martone
è una versione attualizzata dell’emblematica storia di amore e morte ambientata tra i vicoli di Napoli.
Maestro indiscusso del cinema e del teatro d’autore italiano, Martone scommette su una viscerale Iaia
Forte e arricchisce l’impianto narrativo reinterpretando dal vivo le melodie di Bizet grazie al gusto etnico
che ha reso inconfondibile il sound dell’Orchestra di Piazza Vittorio (Padova e Verona).
Lo scrittore, archeologo e topografo del mondo antico di fama internazionale Valerio Massimo Manfredi ha indagato la figura de L’Ulisse in ben due romanzi. Un mito senza età, una materia densa, tragica
e intrisa di dolore, un lungo viaggio tra poesia, disperazione ed erotismo, per attraversare la vita di un
uomo a cui Sebastiano Lo Monaco dà anima e corpo, nell’adattamento teatrale curato da Francesco
Niccolini per la regia di Alessio Pizzech (Venezia).
Dopo Sebastiano Lo Monaco un’altra siciliana verace come la regista Emma Dante che in Le sorelle Macaluso tocca uno dei suoi massimi vertici creativi. Premio UBU come miglior regia e spettacolo dell’anno
2014, l’opera recupera tutte le immagini cardine della sua poetica: la famiglia, la violenza dei legami di
sangue, la coralità, l’irrequieto confine fra vita e morte. Il risultato è uno spettacolo di rara intensità,
capace di emozionare dall’inizio alla fine (Venezia).
È dunque un programma all’insegna degli autori viventi con ben quattordici titoli tra produzioni e
spettacoli in ospitalità, undici dei quali sono italiani: un segno di grande vitalità della drammaturgia
italiana contemporanea che evidenzia la volontà del nuovo Teatro Nazionale di interrogarsi sull’oggi,
intercettando tematiche e contenuti che ci riguardano da vicino.
Se l’attenzione alla contemporaneità e a tematiche vicine al nostro tempo rappresenta il tema dominante
della programmazione, non mancano grandi spettacoli di ispirazione classica: indiscussi capisaldi del teatro di tutti i tempi firmati da Shakespeare, Schnitzler, Molière, Strindberg, Boccaccio, Checov
e Pirandello.
Grazie al progetto “Grandi Italiani” e all’adattamento curato dal regista Marco Baliani, un testo profondamente radicato nella storia del nostro Paese come il Decamerone di Boccaccio, con le novelle
più celebri e peccaminose della letteratura di tutti i tempi, va ad abitare i principali palcoscenici d’Italia.
Protagonista è Stefano Accorsi, attore che alterna con successo palcoscenico, cinema e televisione,
mettendosi alla prova in sfide impegnative come questa (Verona e Venezia).
In Don Giovanni Alessandro Preziosi, regista e interprete principale, oltre che da Molière attinge da
diversi testi, in primis quello scritto da Lorenzo Da Ponte per l’omonima opera mozartiana. Il risultato è
il ritratto di un bellimbusto impenitente, che l’attore rende con partecipazione istrionica, dando prova di
grande versatilità e conquistando letteralmente il pubblico, in particolare quello femminile (Padova).
Altro capolavoro assoluto del teatro classico firmato da Luigi Pirandello è Enrico IV. Dramma sospeso
tra verità e finzione, tra essere e apparire, questa pietra miliare della drammaturgia italiana trova in
Franco Branciaroli un interprete perfettamente calato nella parte, erede di una lunga tradizione di
teatro d’attore che con lui ha trovato nuovi spunti, collocandosi perfettamente sui palcoscenici del terzo
millennio (Padova).
Apprezzata protagonista un paio di stagioni fa de La locandiera, Nancy Brilli torna con un altro ruolo
femminile che è un autentico banco di prova per le attrici di tutti i tempi: La bisbetica domata di William
Shakespeare, tradotto e adattato da Stefania Bertola. La femminista ante litteram che si oppone al dominante mondo maschile trova, grazie alla regia di Cristina Pezzoli, inedite chiavi di lettura di assoluta
modernità (Padova).
Eterno protagonista del grande teatro d’autore europeo, Anton Cechov continua ad essere specchio
fedele dell’uomo contemporaneo, denunciando una modernità che non risente del passare del tempo. Tra
i suoi testi più celebri Il Gabbiano, qui diretto da Carmelo Rifici, è un’allegoria spietata di quel fumoso
fuoco di resina, che è l’invaghimento di un quarantenne per una fanciulla, e, viceversa, l’estatica infatuazione di una giovane per l’uomo maturo (Venezia).
Quindi un doppio appuntamento con Arthur Schnitzler: in Scandalo descrive le contraddizioni di una
società che si proclama progressista ma poi espelle il diverso perché ne ha paura. Un tema di estrema
attualità, che il regista Franco Però affida all’interpretazione di Stefania Rocca. (Padova). Amore e
tradimento, in un limbo sospeso tra sogno e realtà, è il tema trattato invece in Doppio sogno, la fortunatissima novella adattata per il teatro e diretta da Giancarlo Marinelli che indaga segreti celati e
confessati all’interno di un rapporto di coppia (Venezia).
Dall’Austria di Schnitzler alla Danimarca di August Strindberg che in Danza macabra indaga quasi un
secolo prima del citato Edward Albee alcune tematiche legate alle dinamiche di coppia. Un autentico inferno domestico, reso magistralmente dall’interpretazione di Adriana Asti che è anche una delle ultime
regie firmate dal grande Luca Ronconi. Una sorta di testamento spirituale dell’ultimo grande esponente
del “teatro di regia” italiano, scomparso quest’anno e che il Teatro Stabile del Veneto doverosamente
celebra (Padova).
Infine, per ricordare degnamente i 400 anni della morte di William Shakespeare, Il Teatro Stabile del
Veneto ha scelto di ospitare una straordinaria produzione internazionale: Il racconto d’inverno di Declan
Donnellan, che sarà presentato fuori abbonamento in versione originale inglese con sopra titoli. Come
in tutti i suoi inconfondibili allestimenti il regista inglese riesce a sciogliere con assoluto nitore il plot del
racconto: nelle mani di Donnellan questa straordinaria favola shakespeariana diventa così la perfetta
metafora di un inno alla vita e alla forza dell’amore (Verona e Venezia).
Tornerà inoltre, come di consueto, il programma di teatro comico e brillante del Teatro Nuovo di Verona
DIVERTIAMOCI A TEATRO, il cui calendario verrà presentato a Verona a settembre, assieme a quello
completo del Il Grande Teatro.
Sono inoltre in definizione i contenuti delle programmazioni di teatro ragazzi, di teatro per le scuole,
delle consuete Domeniche in Famiglia, della rassegna di danza Evoluzioni, della rassegna di nuovo teatro
“Officina Contemporanea” e di altri spettacoli fuori abbonamento che saranno presentati nelle prossime
settimane e che saranno proposti a condizioni speciali, dedicate agli abbonati dei nostri Teatri.
Ecco dunque gli ingredienti delle Nuove Stagioni 2015-2016 del Teatro Stabile del Veneto, costruite per
rispondere a due esigenze fondamentali: da un lato la coerenza con la nuova prestigiosa qualifica di Teatro
Nazionale; dall’altro la volontà di volgere lo sguardo al pubblico, cercando di intercettare gusti e tendenze,
di lanciare nuove sfide e percorsi culturali, per coinvolgerlo e appassionarlo alle tante e diverse proposte del
Teatro Stabile del Veneto – elementi fondamentali per la crescita di una sempre più vasta comunità teatrale.
Massimo Ongaro
TEATRO GOLDONI VENEZIA
28 ottobre - 1 novembre 2015
10 - 12 dicembre 2015
2 - 6 marzo 2016
EPOPEA DI TONI SARTANA
un progetto di Babilonia Teatri
di Valeria Raimondi e Enrico Castellani
parole di Enrico Castellani
collaborazione artistica Vincenzo Todesco
con (in ordine alfabetico) Chiara Bersani,
Emiliano Brioschi, Alessio Piazza,
Filippo Quezel, Emanuela Villagrossi
produzione Teatro Stabile del Veneto
Emilia Romagna Teatro Fondazione
EYES WIDE SHUT
LA CATIVISSIMA
di e con Natalino Balasso
e con (in ordine alfabetico) Francesca Botti,
Marta Dalla Via, Andrea Pennacchi,
Silvia Piovan, Stefano Scandaletti
regia Natalino Balasso
produzione Teatro Stabile del Veneto
turni p g v s d
DAVID È MORTO
DOPPIO SOGNO
di Giancarlo Marinelli
tratto dall’omonimo racconto
di Arthur Schnitzler
con Ivana Monti, Caterina Murino,
Ruben Rigillo, Rosario Coppolino
regia Giancarlo Marinelli
produzione Compagnia Molière
turni p g v s d
turni p v s
12 - 15 novembre 2015
JESSICA AND ME
13 - 17 gennaio 2016
turni p v s d
ispirato a Gli sdraiati e Breviario comico
di Michele Serra
con Claudio Bisio
e con i musicisti Laura Masotto, Marco Bianchi
regia Giorgio Gallione
produzione Fondazione Teatro dell’Archivolto
di e con Cristiana Morganti
creazione, direzione, coreografia
e interpretazione Cristiana Morganti
produzione Il Funaro - Pistoia
18 - 22 novembre 2015
MAGAZZINO 18
di e con Simone Cristicchi
regia Antonio Calenda
produzione Promo Music
Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
turni p g v s d
25 - 29 novembre 2015
DECAMERONE
VIZI, VIRTÙ, PASSIONI
liberamente tratto dal Decamerone
di Giovanni Boccaccio
con Stefano Accorsi
e con Salvatore Arena, Silvia Briozzo,
Fonte Fantasia, Mariano Nieddu,
Naike Anna Silipo
adattamento e regia Marco Baliani
produzione Nuovo Teatro
Teatro della Pergola di Firenze
turni p g v s d
2 - 6 dicembre 2015
TESTAMENTO
DI MARIA
di Colm Tóibín
traduzione e adattamento
Marco Tullio Giordana e Marco Parisse
con Michela Cescon
regia Marco Tullio Giordana
produzione Teatro Stabile di Torino
Teatro Stabile del Veneto
in collaborazione con Zachar Produzioni
turni p g v s d
FATHER AND SON
9 - 13 marzo 2016
CHI HA PAURA
DI VIRGINIA WOOLF?
di Edward Albee
con Arturo Cirillo, Milvia Marigliano,
Valentina Picello, Edoardo Ribatto
regia Arturo Cirillo
produzione Tieffe Teatro Milano
turni p g v s d
turni p g v s d
27 - 28 gennaio 2016
6 - 10 aprile 2016
di Anton Čechov
con Fausto Russo Alesi, Giovanni Crippa,
Ruggero Dondi, Zeno Gabaglio, Mariangela
Granelli, Igor Horvat, Emiliano Masala, Maria
Pilar Pérez, Giorgia Senesi, Anahi Traversi
e con la partecipazione di Antonio Ballerio Maspero
regia Carmelo Rifici
produzione LuganoInScena
di Valerio Massimo Manfredi
con Sebastiano Lo Monaco,
Maria Rosaria Carli, Turi Moricca,
Carlo Calderone
regia Alessio Pizzech
produzione Sicilia Teatro
GABBIANO
turni p g
3 - 7 febbraio 2016
I RUSTEGHI
di Carlo Goldoni
con (in ordine alfabetico) Alessandro Albertin,
Alberto Fasoli, Piergiorgio Fasolo, Stefania
Felicioli, Cecilia La Monaca, Michele Maccagno,
Maria Grazia Mandruzzato, Margherita
Mannino, Giancarlo Previati, Francesco Wolf
regia Giuseppe Emiliani
produzione Teatro Stabile del Veneto
L’ULISSE
turni p g v s d
21 - 24 aprile 2016
LE SORELLE
MACALUSO
con Serena Barone, Elena Borgogni,
Sandro Maria Campagna, Italia Carroccio,
Davide Celona, Marcella Colaianni,
Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso,
Leonarda Saffi, Stephanie Taillandier
testo e regia Emma Dante
produzione Compagnia Sud Costa Occidentale
turni p v s d
turni p g v s d
12 - 14 febbraio 2016
IL MONDO
NON MI DEVE NULLA
di Massimo Carlotto
con Pamela Villoresi, Claudio Casadio
regia Francesco Zecca
produzione Teatro e Società srl
turni v s d
4 - 8 maggio 2016
SMITH & WESSON
di Alessandro Baricco
con Natalino Balasso, Fausto Russo Alesi
regia Gabriele Vacis
produzione Teatro Stabile del Veneto
Teatro Stabile di Torino
turni p g v s d
TEATRO GOLDONI VENEZIA
Prezzi abbonamenti
turni P e V ore 20.30, S ore 19.00 - 14 spettacoli
intero ridottogiovani
platea294,00 266,00 140,00
1° ordine
238,00
210,00
112,00
2° ordine
231,00
203,00
105,00
3° ordine
140,00
112,00
70,00
4° ordine
84,00
56,00
49,00
turno D ore 16.00 - 13 spettacoli
intero ridottogiovani
platea273,00 247,00 130,00
1° ordine
221,00
195,00
104,00
2° ordine
214,00
188,50
97,50
3° ordine
130,00
104,00
65,00
4° ordine
78,00
52,00
45,50
turno G ore 16.00 - 11 spettacoli
interoridottogiovani
platea231,00 209,00 110,00
1° ordine
187,00
165,00
88,00
2° ordine
181,50
159,50
82,50
3° ordine
110,00
88,00
55,00
4° ordine
66,00
44,00
38,50
abbonamento POSTO LIBERO
8 ingressi a scelta per gli spettacoli della stagione
intero184,00
giovani96,00
Perché abbonarsi
• quest’anno abbonarsi è ancora più conveniente: con le nuove tariffe,
rispetto all’acquisto dei singoli biglietti, il risparmio va dal 25% a oltre
il 50% a seconda del turno e dell’ordine scelto
• posto sempre garantito
• tariffa speciale per tutti gli spettacoli fuori abbonamento e le rassegne estive
• sconti e vantaggi presso i nostri partner
Prezzi biglietti
per tutti gli spettacoli a esclusione di Father and Son e David è morto
intero ridottogiovani
platea29,00 26,00 17,00
1° ordine
25,00
22,00
14,00
2° ordine
24,00
21,00
13,00
3° ordine
18,00
15,00
10,00
4° ordine
12,00
10,00
8,00
per lo spettacolo Father and Son
intero
platea35,00
1° ordine
30,00
2° ordine
29,00
3° ordine
23,00
4° ordine
17,00
ridottogiovani
31,00 22,00
26,00
19,00
25,00
18,00
19,00
15,00
15,00
13,00
per lo spettacolo David è morto
intero
platea20,00
1° ordine
16,00
2° ordine
15,00
3° ordine
10,00
4° ordine
8,00
ridottogiovani
16,00 10,00
12,00
8,00
10,00
8,00
8,00
4,00
6,00
4,00
INFO
riduzioni
• ridotto: età superiore a 65 anni e altre riduzioni concesse
• giovani: età inferiore a 26 anni
campagna abbonamenti
• dal 29 giugno al 26 settembre rinnovo con diritto di prelazione
a tutti gli abbonati della stagione 2014-2015
• dal 30 settembre al 1° novembre vendita nuovi abbonamenti
biglietteria
• lunedì - venerdì dalle 10.00 alle 18.30
• 041 2402014
• [email protected]
per tutte le altre informazioni
www.teatrostabileveneto.it
CONTATTI
Teatro Goldoni, San Marco 4650/b, 30124 Venezia
centralino 041 2402011, fax 041 5205241
[email protected]
www.teatrostabileveneto.it
TEATRO VERDI PADOVA
4 - 8 novembre 2015
13 - 17 gennaio 2016
9 - 13 marzo 2016
EPOPEA DI TONI SARTANA
LA BISBETICA DOMATA
DI WILLIAM SHAKESPEARE
MESSA ALLA PROVA
testo, regia e coreografia Pascal Rambert
con (in ordine di apparizione)
Anna Della Rosa, Laura Marinoni,
Luca Lazzareschi, Giovanni Franzoni
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione
LA CATIVISSIMA
di e con Natalino Balasso
e con (in ordine alfabetico) Francesca Botti,
Marta Dalla Via, Andrea Pennacchi,
Silvia Piovan, Stefano Scandaletti
regia Natalino Balasso
produzione Teatro Stabile del Veneto
BISBETICA
con Nancy Brilli
regia Cristina Pezzoli
produzione La Pirandelliana
DON GIOVANNI
di Molière
con Alessandro Preziosi, Nando Paone
regia Alessandro Preziosi
produzione Khora Teatro - Teatro Stabile d’Abruzzo
turni b c d e f
20 - 24 gennaio 2016
FATHER AND SON
ispirato a Gli sdraiati e Breviario comico
di Michele Serra
con Claudio Bisio
e con i musicisti Laura Masotto, Marco Bianchi
regia Giorgio Gallione
produzione Fondazione Teatro dell’Archivolto
turni b c d e f
25 - 29 novembre 2015
ENRICO IV
di Luigi Pirandello
con Franco Branciaroli,
Melania Giglio, Giorgio Lanza, Antonio Zanoletti
regia Franco Branciaroli
produzione Centro Teatrale Bresciano
Teatro de Gli Incamminati
turni b c d h l m
2 - 4 dicembre 2015
DAVID È MORTO
un progetto di Babilonia Teatri
di Valeria Raimondi e Enrico Castellani
parole di Enrico Castellani
collaborazione artistica Vincenzo Todesco
con (in ordine alfabetico)
Chiara Bersani, Emiliano Brioschi, Alessio Piazza,
Filippo Quezel, Emanuela Villagrossi
produzione Teatro Stabile del Veneto
Emilia Romagna Teatro Fondazione
turni b c d
9 - 13 dicembre 2015
TESTAMENTO
DI MARIA
di Colm Tóibín
traduzione e adattamento
Marco Tullio Giordana e Marco Parisse
con Michela Cescon
regia Marco Tullio Giordana
produzione Teatro Stabile di Torino
Teatro Stabile del Veneto
in collaborazione con Zachar Produzioni
turni b c d e f m
turni b c d e f
turni b c d h l
turni b c d h l m
18 - 22 novembre 2015
LA PROVA
16 - 20 marzo 2016
CHI HA PAURA
DI VIRGINIA WOOLF?
di Edward Albee
con Arturo Cirillo, Milvia Marigliano,
Valentina Picello, Edoardo Ribatto
regia Arturo Cirillo
produzione Tieffe Teatro Milano
turni b c d h l m
3 - 7 febbraio 2016
30 marzo - 3 aprile 2016
di Domenico Starnone
con (in ordine alfabetico) Vittorio Ciorcalo,
Roberto Citran, Marina Massironi,
Roberto Nobile, Silvio Orlando,
Antonio Petrocelli, Maria Laura Rondanini
regia Daniele Luchetti
produzione Cardellino srl
di Enzo Moscato
con Iaia Forte, Roberto De Francesco
adattamento e regia Mario Martone
produzione Teatro Stabile di Torino
LA SCUOLA
turni b c d h l m
10 - 14 febbraio 2016
I RUSTEGHI
di Carlo Goldoni
con (in ordine alfabetico) Alessandro Albertin,
Alberto Fasoli, Piergiorgio Fasolo, Stefania
Felicioli, Cecilia La Monaca, Michele Maccagno,
Maria Grazia Mandruzzato, Margherita
Mannino, Giancarlo Previati, Francesco Wolf
regia Giuseppe Emiliani
produzione Teatro Stabile del Veneto
turni b c d e f m
17 - 21 febbraio 2016
SCANDALO
di Arthur Schnitzler
con Franco Castellano e Stefania Rocca
regia Franco Però
produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
Artisti Riuniti e Mittelfest 2015
turni b c d h l
CARMEN
turni b c d e f
20 - 24 aprile 2016
DANZA MACABRA
di August Strindberg
con Adriana Asti, Giorgio Ferrara,
Giovanni Crippa
regia Luca Ronconi
produzione Teatro Metastasio
Stabile della Toscana
Spoleto57 Festival dei 2Mondi
con la collaborazione di Mittelfest 2014
turni b c d h l
11 - 15 maggio 2016
SMITH & WESSON
di Alessandro Baricco
con Natalino Balasso, Fausto Russo Alesi
regia Gabriele Vacis
produzione Teatro Stabile del Veneto
Teatro Stabile di Torino
turni b c d e f m
TEATRO VERDI PADOVA
PREZZI ABBONAMENTI
primi posti balconata
palco pepiano: da n. 1 a n. 31
palco 1° ordine: da n. 5 a n. 27
palco 2° ordine: da n. 8 a n. 24
Perché abbonarsi
• rispetto all’acquisto dei singoli biglietti abbonandosi si ottiene un
risparmio a partire dal 15% a seconda del turno e dell’ordine scelto
• posto sempre garantito
• tariffa speciale per tutti gli spettacoli fuori abbonamento
• sconti e vantaggi presso i nostri partner
15 spettacoli turni B mercoledì, C giovedì, D venerdì ore 20.45
interogiovani
platea, palco pepiano/1° ordine (balconata) 360,00
150,00
palco pepiano/1° ordine (no balconata)
315,00
120,00
palco 2° ordine (balconata)
300,00
120,00
palco 2° ordine (no balconata)
150,00
60,00
galleria
150,0060,00
7 spettacoli turni E e H sabato ore 20.45, F e L domenica ore 16.00
interogiovani
platea, palco pepiano/1° ordine (balconata) 175,00
77,00
palco pepiano/1° ordine (no balconata)
154,00
63,00
palco 2° ordine (balconata)
147,00
63,00
palco 2° ordine (no balconata)
77,00
35,00
galleria
77,0035,00
7 spettacoli turno M giovedì ore 16.00
platea, palco pepiano/1° ordine (balconata)
palco pepiano/1° ordine (no balconata)
palco 2° ordine (balconata)
palco 2° ordine (no balconata)
galleria
intero
112,00
91,00
84,00
56,00
56,00
INFO
PREZZI BIGLIETTI
intero ridottigiovani
platea, palco pepiano/1° ordine (balconata) 29,00
26,00
17,00
palco pepiano/1° ordine (no balconata) 25,00
22,00
14,00
palco 2° ordine (balconata)
24,00
21,00
13,00
palco 2° ordine (no balconata)
18,00
15,00
10,00
galleria
12,0010,00 8,00
prezzi biglietti per gli spettacoli Father and Son e La scuola
intero ridottigiovani
platea, palco pepiano/1° ordine (balconata) 35,00
31,00
22,00
palco pepiano/1° ordine (no balconata) 30,00
26,00
19,00
palco 2° ordine (balconata)
29,00
25,00
18,00
palco 2° ordine (no balconata)
23,00
19,00
15,00
galleria
17,00 15,0013,00
prezzi biglietti per lo spettacolo David è morto
intero ridottigiovani
platea, palco pepiano/1° ordine (balconata) 20,00
16,00
10,00
palco pepiano/1° ordine (no balconata) 15,00
12,00
8,00
palco 2° ordine (balconata)
15,00
12,00
8,00
palco 2° ordine (no balconata)
8,00
6,00
4,00
galleria
8,00 6,004,00
riduzioni
• ridotto: età superiore a 65 anni e altre riduzioni concesse
• giovani: età inferiore a 26 anni
campagna abbonamenti
• dal 1° luglio al 19 settembre rinnovo con diritto di prelazione
a tutti gli abbonati della stagione 2014-2015
• dal 25 al 26 settembre cambi di abbonamento, posti o turni dei posti
non rinnovati, a esclusione degli abbonamenti speciali e in promozione
• dal 29 settembre vendita nuovi abbonamenti
biglietteria
• dal 1° luglio al 30 agosto (chiusura estiva dal 10 al 23 agosto):
lunedì dalle 14.30 alle 19.00, da martedì a sabato dalle 9.00 alle 13.00
• dal 31 agosto: lunedì dalle 15.00 alle 18.30, da martedì a venerdì
dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.30, sabato dalle 10.00 alle 13.00
• 049 87770213 - [email protected]
per tutte le altre informazioni
www.teatrostabileveneto.it
contatti
Teatro Verdi, via dei Livello 32, 35139 Padova
telefono 049 8777011, fax 049 661053
[email protected]
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PRODUZIONI
2015-2016
Teatro Goldoni Venezia 28 ottobre - 1 novembre 2015
Teatro Verdi Padova 4 - 8 novembre 2015
Teatro Nuovo Verona 17 - 19 novembre 2015
LA CATIVISSIMA
Epopea di Toni Sartana
di e con Natalino Balasso
e con (ordine alfabetico) Francesca Botti, Marta Dalla Via, Andrea Pennacchi, Silvia Piovan,
Stefano Scandaletti
regia Natalino Balasso
produzione Teatro Stabile del Veneto
La Cativìssima. Epopea di Toni Sartana è la prima commedia di un progetto di trilogia che ho preparato per il Teatro Stabile
del Veneto.
L’idea è quella di creare l’epopea di un personaggio surreale e fuori dagli schemi, Toni Sartana, appunto, il quale non ha
mezzi termini, non ha remore morali, è totalmente ignaro di ciò che significa correttezza.
Toni Sartana tradisce chiunque pur di raggiungere il suo scopo e il suo scopo si direbbe sconosciuto a lui stesso. Vuole possedere per il semplice gusto del possesso. Per lui le persone, dalla più prossima alla più sconosciuta, sono solo strumenti.
Il personaggio di Toni Sartana sarà interpretato da me.
Le commedie sono scritte in italiano, ma alcuni personaggi usano un linguaggio che, seppur italiano, è intriso di venetismi
e pronunce locali e giungono a creare una di quelle che Pasolini chiamava «le tante lingue dell’italiano».
In questa prima commedia assistiamo alla resistibile ascesa di Toni Sartana, da semplice sindaco di un piccolo paese di
campagna, fino ai vertici del suo partito, in seno al quale tradirà anche gli amici più fidati pur di diventare la massima carica
della Regione Serenissima: Asessore ai Schei.
Ma questo non gli basterà, vorrà giungere a conquistare anche la confinante Regione Giulia all’inseguimento del Potere
fine a se stesso. In questo clima da fanta-politica, in un tempo non definito, che potrebbe essere il futuro, Toni Sartana
riluce come una sorta di Ubu veneto; fa ruotare gli eventi attorno a sè, istigato da una moglie, la signora Lea, che, come
una moderna lady Macbeth, è forse più crudele di lui.
Tutto questo, com’è prevedibile, porterà ad una rovinosa caduta ma, come Ubu, Sartana ha la consistenza dei pupazzi di
gomma, non si fa mai male, casca sempre in piedi. Egli è salvato dalla sua stessa inconsapevolezza.
Posso impegnarmi a dire che questa sarà una commedia molto divertente, intrisa di una comicità che non ritengo spocchioso definire tipicamente mia, mista a tratti di amaro e ineluttabile. Ho voluto curare anche la regia di questa commedia
perché, per una volta, credo di avere identificato un percorso che somiglia molto a quello che cerco che sia il mio teatro:
popolare innanzitutto, perché sono dell’idea che se vogliamo che a teatro ci vadano tutti dobbiamo anche riuscire a parlare
a tutti, ma cercando di non essere mai scontato.
Natalino Balasso
Durata da definire (spettacolo in produzione)
Teatro Goldoni Venezia 2 - 6 dicembre 2015
Teatro Verdi Padova 9 - 13 dicembre 2015
Teatro Nuovo Verona 12 - 17 gennaio 2016
IL TESTAMENTO DI MARIA
di Colm Tóibín
traduzione e adattamento Marco Tullio Giordana e Marco Perisse
con Michela Cescon
regia Marco Tullio Giordana
produzione Teatro Stabile di Torino
Teatro Stabile del Veneto
in collaborazione con Zachar Produzioni
Dopo il grande successo di The Coast of Utopia, prodotto dal Teatro Stabile di Torino nella stagione 2011/2012, si riforma
la coppia artistica composta da Marco Tullio Giordana, che da tempo affianca alle regie cinematografiche quelle di prosa,
e dalla pluripremiata attrice Michela Cescon. L’incontro avviene attraverso le parole di Colm Tóibín, uno dei maggiori
scrittori irlandesi contemporanei, con un passato nell’IRA e un presente di impegno per i diritti gay, che riscrive in questo
breve e intenso romanzo il rapporto fra Maria e suo figlio, nei giorni della predicazione alle folle e poi in quelli drammatici
della condanna e della crocifissione. È la madre stessa che parla, che ricorda, cercando di accettare il destino atroce
che ha colpito il giovane amatissimo figlio e lei stessa. Una Passione in cui la figura di Maria è sola e fortemente umana,
lontana dall’agiografia cattolica che la vede dolente e consapevole del grande piano di salvezza di cui il figlio di Dio si è
reso protagonista. Scrive Michela Cescon: «Nel progetto di Stoppard ho dovuto rinunciare a stare in scena perché la cura
che mi richiedeva la produzione era tanta e impegnativa. Abbiamo cominciato a cercare un testo che avesse quindi un
ruolo per me, certi di voler affrontare nuovamente un lavoro sul contemporaneo, ma che avesse sempre le stesse altezze
dei classici. Quando ho letto The Testament of Mary di Tóibín ho capito subito che era il testo giusto, mi sono commossa,
mi sono sentita avvolta e, chiuso il libro, la mia immagine di Maria non è più stata la stessa. Ho sentito profondamente il
tema madre e figlio, come lo narra lo scrittore, dove la personalità, il talento e il forte destino di un ragazzo risultano dolorosamente incomprensibili e inaccettabili da una madre, perché troppo piena di paura e di amore. Sono certa che diretta
dal tocco chiaro ed elegante di Giordana arriverò a “pronunciare” queste parole cariche di tenerezza e di rabbia facendo
diventare per me e per gli spettatori Il Testamento di Maria un’esperienza importante e che ci riguarda personalmente.
Durata da definire (spettacolo in produzione)
Teatro Alcione 27 - 28 novembre 2015
Teatro Verdi Padova 2 - 4 dicembre 2015
Teatro Goldoni Venezia 10 -12 dicembre 2015
DAVID È MORTO
da un progetto di Babilonia Teatri
di Valeria Raimondi e Enrico Castellani
parole di Enrico Castellani
collaborazione artistica Vincenzo Todesco
con (in ordine alfabetico) Chiara Bersani, Emiliano Brioschi,
Alessio Piazza, Filippo Quezel, Emanuela Villagrossi
produzione Teatro Stabile del Veneto
Emilia Romagna Teatro Fondazione
David è morto è un progetto originale. Una storia scritta da Babilonia Teatri che sceglie di lavorare con degli attori e scardinare la dinamica di lavoro e di messa in scena della compagnia.
Una pièce in cui i piani della narrazione sono molteplici e si intersecano tra di loro senza soluzione di continuità. Una narrazione scanzonata e leggera di una realtà profondamente drammatica.
È il racconto di una provincia lasciata a se stessa, dove si corre per non sapere quel che si lascia alle spalle, per non vedere
quel c’è attorno, per continuare a sognare un traguardo che non c’è.
È una storia grottesca, un’iperbole, che porta all’estremo le dinamiche della nostra società per costruire una vicenda al
limite del verosimile.
È la storia di una coppia di fratelli che si suicida, di un’intera generazione di ragazzi di un paese che si suicida, uno dopo
l’altro, più per noia che per altro. La vicenda si interseca con la storia di un cantante famoso e del suo ex agente, pronti a
tutto per soddisfare la loro fame di successo e denaro.
DAVID
David è morto.
Ha chiuso gli occhi e se n’è andato.
È rimasto lì, immobile sulla sedia ad aspettare che il suo cuore si fermasse.
I battiti hanno cominciato a rallentare. Ad affievolirsi.
La testa reclinata in avanti improvvisamente ha ceduto. Il mento si è poggiato sul petto.
David è morto.
Quella mattina gli suonava bene.
C’era l’atmosfera giusta.
Si era tagliato la barba. Fatto una doccia.
Si era messo il profumo di suo padre. Il profumo che suo padre metteva solo a pasqua e natale. Erano dieci anni che aveva
quella cazzo di boccetta di Dolce & Gabbana. La trattava come fosse una reliquia della Madonna.
IRIS
Iris prima di partire per naia passava le sue giornate davanti al pc.
Lo accendeva appena sveglia e lo spegneva prima di andare a letto.
Era la sua seconda pelle.
Difficile incontrare il suo sguardo nell’arco della giornata. Difficile togliesse gli occhi dallo schermo.
Quando abbandonava il computer prendeva in mano il telefono.
Cosa ci facesse con l’uno e con l’altro suo padre non riusciva a capirlo.
S’incazzava. Ma era anche curioso. Provava un misto di attrazione e repulsione per quegli oggetti a lui insieme così estranei e così familiari.
Iris c’aveva provato a spiegargli cosa fosse facebook. Cosa twitter. Cosa linkedin.
Ma come glielo spieghi a uno che se gli mandi un messaggio ti dice telefonami che non riesco a leggerlo.
ALEX
Due anni prima Alex era il numero uno nella classifica e adesso era pronto ad essere
dimenticato.
Quella canzone.
Era stata la sua fortuna e la sua croce insieme.
Nuvole.
Nuvole parlava di sua madre. Sua madre che era morta e che se ne era andata. Oltre le nuvole.
L’avevano amata tutti quella canzone.
L’aveva amata suo padre. L’aveva amata il suo pubblico. L’avevano amata i critici che fino ad allora non avevano fatto altro
che massacrarlo. L’avevano amata tutte le X tipe che aveva schedato.
Era diventata un’ossessione. Tutti ripetevano lo stesso ritornello e a forza di sentirlo era entrato nella sua testa. Trapanava
e insisteva come un martello pneumatico. Come un mare le cui onde non trovano mai pace.
Alex ha un pensiero. Alex ha un cuore. Alex ha trovato la sua strada.
Si era fottuto con le sue stesse mani.
LUCAS
Gli occhiali scuri, neri, tipo ray-ban, indossati a tutte le ore e in tutti gli ambienti, lasciavano
supporre a chi lo incontrava che fossero lì per celare molti segreti e molta vita.
Ed era così.
Il sigaro acceso. Il giornale aperto davanti. Passava continuamente le mani tra i capelli. Si pettinava, si accarezzava, si
sistemava.
Si piaceva e se lo diceva.
Gli piaceva il suo corpo. Piuttosto minuto, ma proporzionato. Gli piaceva la sua faccia.
Tonda ed armonica.
Portava sempre un po’ di barba. Sempre della stessa lunghezza. Una barba molto curata e coccolata. Il gioco era questo:
tengo la barba in modo da non avere una faccia troppo pulita. Ma sto attento che non sia mai troppo lunga da apparire
trasandata, né troppo corta da sembrare una ricrescita non tagliata. Era un equilibrio delicato che nel tempo aveva trovato
il suo punto focale. Aveva cambiato diversi barbieri e diversi tagliacapelli.
Adesso era soddisfatto. Si radeva da solo col suo philips maximum tripla testina azione rotante che gli regalava delle belle
soddisfazioni.
ORRANO
Il casello dell’autostrada verrà chiuso. L’uscita per Orrano non sarà agibile per tutto l’arco di tempo in cui gireremo.
E quando verrà riaperta sul cartello che la indica non apparirà più la semplice scritta Orrano.
No.
Perchè Orrano non sarà più Orrano.
Orrano non esisterà più. Non più come è esistita fino ad oggi. Orrano si trasformerà.
La trasformerò.
Sul cartello ci sarà scritto: Parco di Orrano.
Sarà un cartello marrone di quelli che indicano i monumenti e le attrazioni turistiche. Sarà
un marrone tendente all’oro. Un marrone lucido. Vivido. Splendente. Non il solito marrone.
Ma sarà marrone.
Orrano sarà diventato un grande parco.
Un parco turistico. Un parco storico. Un parco divertimenti.
Il Parco di Orrano.
Il parco dove sono nati, vissuti e morti David ed Iris.
Durata da definire (spettacolo in produzione)
Debutto nazionale EstateTeatrale Veronese 9 luglio 2015
Teatro Goldoni Venezia 3 - 7 febbraio 2016
Teatro Verdi Padova 10 - 14 febbraio 2016
I RUSTEGHI
di Carlo Goldoni
con (in odine alfabetico )
Alessandro Albertin, Alberto Fasoli, Piergiorgio Fasolo,
Stefania Felicioli, Cecilia La Monaca, Michele Maccagno,
Maria Grazia Mandruzzato, Margherita Mannino, Giancarlo Previati, Francesco Wolf
scenografia Federico Cautero
costumi Stefano Nicolao
disegno luci Enrico Berardi
musiche Massimiliano Forza, arrangiamenti Fabio Valdemarin
regia Giuseppe Emiliani
produzione Teatro Stabile del Veneto
A tutti quelli che mi chiedono perché io ami così tanto Goldoni rispondo che lo amo perché ogni volta che allestisco un
suo testo ho l’impressione che Goldoni non sia stato ancora, fino in fondo, capito. Sono convinto che Goldoni abbia ancora
bisogno di essere riletto, interrogato, rappresentato.
Anche la commedia I rusteghi, indubbiamente il suo capolavoro, offre continui nuovi spunti di riflessione. Quando la scrive,
nel 1760, Goldoni è un intellettuale sempre più lucido, aperto alle esperienze e alla cultura europea (nel 1760 avverrà il
famoso contatto epistolare con Voltaire), più filosofo insomma, nel senso settecentesco del termine. I rusteghi nascono
anche da questa attenzione ai “lumi” che vengono dall’Europa, e permettono un giudizio più ampio sulla società veneziana.
Una commedia di rara felicità espressiva, di straordinaria abilità scenica, di grande sapienza linguistica. Un’esplosione
gioiosa d’inventività a ogni gesto e battuta. Una commedia in cui l’autore affonda il bisturi sulla città che lo circonda,
utilizzando con consumata maestria tutte le risorse del suo laboratorio drammaturgico e della sua lingua straordinaria.
Goldoni costruisce il suo componimento con un rigore raramente eguagliato in altri testi, concentrando l’azione in un
lasso di tempo minimo (una mezza giornata) che subisce un’accelerazione impercettibile ma costante fino alla frenesia
della gran scena finale.
L’azione si svolge tutta in interni, gli unici spazi possibili per i quattro rusteghi, quattro uomini alle prese con un eros inquieto e perturbante, con famiglie difficili da governare e con affari ancora prosperi ma già minacciati di crisi. Ambiguità,
insicurezza, irresolutezza, nevrosi caratterizzano questi despoti improbabili, arroccati nella difesa a oltranza del passato
contro ogni minaccia di novità.
Netta è la polemica di Goldoni con il conservatorismo ormai rozzo della classe cui appartiene e in cui ha per molto tempo
ciecamente creduto. Il mercante lucido e avveduto, che per lunghi anni, nei panni di Pantalone, aveva impersonato il prototipo di un individuo socialmente responsabile, consapevole dell’interesse proprio e altrui, aperto e illuminato, si è ormai
svilito a una caricatura di se stesso. Chiuso nella propria casa, gelosamente attaccato al proprio meschino tornaconto, si
rifiuta di concedere a chi gli è sottomesso (le donne e i figli) qualunque autonomia di comportamento.
Se i rusteghi tendono a chiudersi dentro le loro case come in una fortezza impenetrabile, le donne guardano alla vita,
all’esterno, ai contatti sociali, ai doveri dell’amicizia e della parentela, ai diritti del sentimento. I rusteghi no. Si sentono
minacciati dai grandi rivolgimenti che stanno per toccare Venezia e riescono a esistere soltanto nel chiuso delle loro
mura domestiche, dove agiscono con prepotenza insopportabile vietando visite, divertimenti, sprechi e frivolezze e ogni
minima forma di ozio, soprattutto il teatro. Il teatro è aborrito e temuto dai rusteghi: lo considerano luogo di corruzione e
di spreco, come il carnevale che c’è fuori e a cui è vietato partecipare. Il carnevale negato, tuttavia, alla fine irrompe lo
stesso nelle stanze serrate e austere dei rusteghi, con tutta la sua carica di comicità trasgressiva.
Il conte Riccardo, un avventuriero onorato, accompagnerà nella casa-fortezza di Lunardo, il giovane promesso sposo Felippetto mascherato da donna, contento di verificare il gusto tutto veneziano di fondere gioco ed esistenza, felice di “godere
della più bella commedia di questo mondo”.
I rusteghi non sono soltanto uno spaccato d’interno borghese, ma la messa in evidenza di un rapporto continuo tra questo interno e una città che penetra in esso nonostante l’ideale di claustrazione che domina i rusteghi. Il teatro penetra
nel chiuso mondo domestico, sommuovendolo dall’interno, smascherandone le contraddizioni: per affermare, insomma,
il proprio potere demiurgico. Goldoni riesce a costruire, nel modo insieme più naturale e raffinato, una struttura comica
omogenea e pur fondata su sottili differenze (sociali, familiari, di sesso e di generazioni).
Lunardo si presenta con due donne giovani in casa (la figlia e la seconda moglie), fin troppo “desmesteghe” per lui. Maurizio, vedovo, presenta, per opposizione, un mondo senza donne. È il rustego apparentemente più favorito, il più silenzioso,
austero. Simon costituisce con Marina una coppia solitaria, legata da una lunga consuetudine di reciproca aggressività.
Canciano, infine, costituisce con donna Felice la coppia più civile, proprio perché il rapporto tende a rovesciarsi, rendendo
Canciano il rustego più velleitario e represso.
Il gioco mutevole dei personaggi e tra i personaggi è affidato soprattutto al linguaggio, alla grande energia verbale. Non
c’è nei Rusteghi una sola battuta sbagliata. Famosa è “la renga” finale di siora Felice, quasi portavoce dell’autore: bella,
elegante, più ricca delle altre donne per retaggio famigliare, sa parlare con proprietà ed è abile a dominare il marito e i
suoi temibili compari. La sua forza sta nel possesso pieno dello strumento della retorica. È lei il personaggio che più strettamente si lega al grande motivo metaforico che percorre la commedia: quella del teatro.
È subito avvertibile, sin dalle prime battute, che alla base della commedia ci sia una sorta di allegra e sicura provocazione
del Teatro - per usare i termini notissimi dell’autore - rispetto al Mondo che tende a esorcizzarlo come un rito pericoloso
e inutile.
Il pubblico, sin dall’inizio, viene coinvolto in questa provocazione: “Debotto xe fenio el carneva l- osserva Lucietta - gnanca
una strazza de comedia no avemo visto”…
La commedia si avvia quindi come discorso sul teatro.
Tra le improvvisazioni di siora Felice, simbolo esplicito dell’autore in quanto regista della “commedia”, e lo spasso di Riccardo, rappresentante pure esplicito del pubblico sulla scena, si muove l’invenzione sicura del Goldoni. Nei Rusteghi traspare la sua maggiore fiducia nelle capacità del teatro di affermare la propria funzione sociale e civile. Un teatro moderno.
Perché in questo universo domestico di rancori e ossessioni, non ci sono alla fine né cordialità né riscatti: solo l’ effimera
tenerezza della scena nuziale conclusiva, che non reca un vero sollievo.
La commozione finale dei quattro rusteghi, occasionalmente sconfitti, non prelude a significativi cambiamenti. Ed è questa
la sottile crudeltà sottesa alla commedia. E la sua straordinaria modernità.
Giuseppe Emiliani
Durata da definire (spettacolo in produzione)
Teatro Goldoni Venezia 4 - 8 maggio 2016
Teatro Verdi Padova 11 - 15 maggio 2016
SMITH & WESSON
di Alessandro Baricco
con (in ordine alfabetico) Natalino Balasso, Fausto Russo Alesi
e cast in via di definizione
regia Gabriele Vacis
produzione Teatro Stabile del Veneto
Teatro Stabile di Torino
Tom Smith e Jerry Wesson si incontrano davanti alle cascate del Niagara nel 1902. Nei loro nomi e nei loro cognomi c’è
il destino di un’impresa da vivere.
E l’impresa arriva insieme a Rachel, una giovanissima giornalista che vuole una storia memorabile, e che, quella storia, sa
di poterla scrivere. Ha bisogno di una prodezza da raccontare, e prima di raccontarla è pronta a viverla.
Per questo ci vogliono Smith e Wesson, la coppia più sgangherata di truffatori e di falliti che Rachel può legare al suo
carro di immaginazione e avventura. Ci vuole anche una botte, una botte per la birra, in cui entrare e poi frasi Trascinare
dalla corrente. Nessuno lo ha mai fatto. Nessuno è sceso giù dalle cascate del Niagara dentro una botte di birra. È il 21
giugno 1902. Nessuno potrà mai più dimenticare il nome di Rachel Green? E sarà veramente lei a raccontarla quella storia?
Alessandro Baricco
Durata da definire (spettacolo in produzione)
PRODUZIONI
IN TOURNÉE
2015-2016
I Rusteghi
Dal 9 al 14 luglio 2015
Estate Teatrale Veronese (debutto)
Dal 3 al 7 febbraio 2016
Teatro Goldoni, Venezia
Dal 10 al 14 febbraio 2016
Teatro Verdi, Padova
Dal 17 al 21 febbraio 2016
Teatro Politeama Rossetti, Trieste
23 febbraio 2016
Teatro Fabbri, Vignola
Dal 25 al 28 febbraio 2016
Teatro Bonci, Cesena
Dal 3 al 6 marzo 2016
Teatro Metastasio, Prato
Dal 9 al 13 marzo 2016
Teatro Sociale, Brescia
LA CATIVISSIMA
Epopea di Toni Sartana
Dal 28 ottobre al 1 novembre 2015 (debutto)
Teatro Goldoni, Venezia
Dal 4 all’8 novembre 2015
Teatro Verdi, Padova
Dal 17 al 19 novembre 2015
Teatro Nuovo, Verona
Dal 23 al 24 novembre 2015
Teatro Lac, Lugano
Dal 26 novembre al 6 dicembre 2015
Teatro Menotti, Milano
9 dicembre 2015
Teatro Odeon, Lumezzane
Dal 11 al 12 dicembre
Teatro Comunale, Monfalcone
Dal 19 al 20 gennaio 2016
Teatro Cristallo, Bolzano
Dal 29 al 31 gennaio 2016
Teatro Masini, Faenza
Dal 2 al 7 febbraio 2016
Teatro Fonderie Limoni, Torino
Entrambe le tournée sono in fase di definizione
OSPITI
2015-2016
JESSICA AND ME
di e con Cristiana Morganti
creazione, direzione, coreografia e interpretazione Cristiana Morganti
collaborazione artistica Gloria Paris
disegno luci Laurent P. Berger
video Connie Prantera
consulenza musicale Kenji Takagi
editing musica Bernd Kirchhoefer
direttore tecnico Jacopo Pantani
suono Simone Mancini
produzione Il Funaro - Pistoia
Lei vuole che io danzi, oppure vuole che io parli? Dietro questa domanda, rivolta da Cristiana Morganti a uno spettatore,
si cela una delle chiavi di lettura di Jessica and me.
In questo spettacolo la storica danzatrice del Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch, giunta a un momento importante
del suo percorso, si ferma a riflettere su se stessa: sul rapporto con il proprio corpo e con la danza, sul significato dello
stare in scena, sul senso dell’“altro da sé“ che implica il fare teatro. Ne risulta una sorta di autoritratto idealmente a due
voci (“Jessica and me”, appunto) di efficace e spiazzante ironia, dove Cristiana rivela ciò che accade nel backstage del
suo percorso professionale. Un puzzle di gesti, ombre, muscoli, tenacia, spavalderia, timidezza, ricordi e progetti. Avevo
bisogno di buttare uno sguardo indietro per potermi proiettare in avanti – sostiene Cristiana Morganti – Lavoro a Wuppertal
da vent’anni e vivo in Germania da quasi trenta... Fondamentalmente volevo capire chi sono diventata nel frattempo.
Attrice-ballerina di irresistibile talento e di vivida comicità, la Morganti unisce una furia d’amazzone mediterranea all’innocenza stupefatta di un clown.
Cristiana si mostrerà pronta a giocare col “dentro” e il “fuori” del teatro, ora tuffandosi nel movimento, ora osservando se
stessa dall’esterno con humor feroce. La sfida sta nel ricostruire, lungo una confessione poetica e spiazzante, il filo della
memoria, dal suo rapporto complesso con la danza classica (frequentata negli studi giovanili) fino all’incontro fatidico con
Pina Bausch. Il tutto in un mix di interventi video, costumi evocativi del mondo del balletto e musiche che mescolano l’alto
e il basso, il classico e il pop.
Una fiaba irriverente su Cristiana allo specchio.
Leonetta Bentivoglio
«il Venerdì di Repubblica»
Durata 70’ atto unico
DON GIOVANNI
di Molière
traduzione e adattamento Tommaso Mattei
con Alessandro Preziosi, Nando Paone
e con Lucrezia Guidone, Barbara Giordano, Roberto Manzi, Daniele Paoloni, Daniela Vitale, Matteo Guma
scene Fabien Iliou
costumi Marta Crisolini Malatesta
musiche originali Andrea Farri
luci Valerio tiberi
supervisione artistica Alessandro Maggi
regia Alessandro Preziosi
produzione Khora.teatro e Teatro Stabile d’Abruzzo
Le versioni del mito di Don Giovanni sono ben superiori alle donne sedotte dall’ammaliatore sivigliano e contano oltre 4000
riscritture.
Numerosissime erano state le rappresentazioni teatrali con protagonista questo personaggio, la cui immensa fortuna letteraria era cominciata nel 1630, quando Tirso de Molina, probabilmente ispirandosi a racconti popolari che utilizzavano i padri
Gesuiti, negli spettacoli edificanti dei loro piccoli allievi facendone il prototipo dell’eretico blasfemo per definizione, scrisse
il suo Burlador de Sevilla.
Venne in seguito ripreso dalla Commedia dell’Arte italiana, che lo incluse nel suo repertorio accentuando gli aspetti più
comici della vicenda.
Molière, attinge a queste fonti italiane e le rielabora per ricavarne un suo personale Don Giovanni, ritraendolo come un
personaggio raffinato, cinico, dissacrante, in aperta opposizione con le convenzioni sociali, pronto a burlarsi anche della
religione.
Nella scelta del Don Giovanni Khora.teatro ha intravisto nella compresenza di toni drammatici e comici, un materiale drammaturgico teso a coniugare l’esaltazione ed il senso tragico del personaggio archetipico, mito dell’individualismo moderno,
e le mirabili leve sulle parti comiche, necessarie per meglio andare incontro al gusto del pubblico, il testo ideale nel compimento di una particolarissima trilogia di ambientazione seicentesca, Amleto, Cyrano, Don Giovanni.
Il Don Giovanni di Moliere non è un banale donnaiolo, collezionista di femmine per sfogo fisiologico o edonistico svago, ma
a dominare è una volontà di potenza, di affermazione di sé che nasce da un vuoto esistenziale, da una sorta di noia metafisica, e insieme da un timore di fallimento, un Don Giovanni che ormai, prossimo al termine della sua carriera, sembra quasi
svelare la maschera ipocrita della cinica empietà, per smascherare i cattivi pensieri e le ipocrisie della società in cui viviamo.
La scelta artistica prende le mosse non solo dalla straordinaria contemporaneità del classico la cui rilettura si rende
necessaria in considerazione del dilagante relativismo dell’attuale società in cui impera l’immagine fine a se stessa e si
continua a riscontrare il totale sgretolamento dei valori, ma soprattutto nell’ottica della messa in scena come un omaggio
sentito e coraggioso alla scrittura, al fascino dell’immaginazione e soprattutto al Teatro, in tutte le sue forme.
Durata 2h 15’ con intervallo
MAGAZZINO 18
di e con
Simone Cristicchi
scritto con Jan Bernas
musiche e canzoni inedite Simone Cristicchi
musiche di scena e arrangiamenti Valter Sivilotti
registrate dalla FVG Mitteleuropa Orchestra
scene Paolo Giovanazzi
luci Nino Napoletano
regia Antonio Calenda
produzione: Promo Music - Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
Al Porto Vecchio di Trieste c’è un “luogo della memoria” particolarmente toccante. Racconta di una pagina dolorosissima
della storia d’Italia, di una vicenda complessa e mai abbastanza conosciuta del nostro Novecento. Ed è ancor più straziante
perché affida questa “memoria” non a un imponente monumento o a una documentazione impressionante, ma a tante
piccole, umili testimonianze che appartengono alla quotidianità.
Una sedia, accatastata assieme a molte altre, porta un nome, una sigla, un numero e la scritta “Servizio Esodo”. Simile la
catalogazione per un armadio, e poi materassi, letti, stoviglie, fotografie, poveri giocattoli, altri oggetti, altri numeri, altri
nomi… Oggetti comuni che accompagnano lo scorrere di tante vite: uno scorrere improvvisamente interrotto dalla Storia,
dall’esodo.
Con il trattato di pace del 1947 l’Italia perdette vasti territori dell’Istria e della fascia costiera, e circa 300 mila persone
scelsero – davanti a una situazione intricata e irta di lacerazioni – di lasciare le loro terre natali destinate ad essere jugoslave e proseguire la loro esistenza in Italia. Non è facile riuscire davvero a immaginare quale fosse il loro stato d’animo,
con quale sofferenza intere famiglie impacchettarono tutte le loro poche cose e si lasciarono alle spalle le loro città, le
case, le radici. Davanti a loro difficoltà, povertà, insicurezza, e spesso sospetto.
Simone Cristicchi è rimasto colpito da questa scarsamente frequentata pagina della nostra storia ed ha deciso di ripercorrerla in un testo che prende il titolo proprio da quel luogo nel Porto Vecchio di Trieste, dove gli esuli – senza casa e spesso
prossimi ad affrontare lunghi periodi in campo profughi o estenuanti viaggi verso lontane mete nel mondo – lasciavano le
loro proprietà, in attesa di poterne in futuro rientrare in possesso: il Magazzino 18.
Coadiuvato nella scrittura da Jan Bernas e diretto dalla mano esperta di Antonio Calenda, Cristicchi partirà proprio da
quegli oggetti privati, ancora conservati al Porto di Trieste, per riportare alla luce ogni vita che vi si nasconde: la narrerà
schiettamente e passerà dall’una all’altra cambiando registri vocali, costumi, atmosfere musicali, in una koinée di linguaggi che trasfigura il reportage storico in una forma nuova, che forse si può definire “Musical-Civile”.
E sarà evocata anche la difficile situazione degli italiani “rimasti” in quelle terre, o quella gravosa dell’operaio monfalconese che decide di andare in Jugoslavia, o del prigioniero del lager comunista di Goli Otok…
Lo spettacolo sarà punteggiato da canzoni e musiche inedite di Simone Cristicchi, eseguite dal vivo.
Con Magazzino 18, lo Stabile del Friuli Venezia Giulia ripete la felice esperienza già vissuta in partnership con Promo Music
in occasione della messinscena nel 2004 di Variazioni sul cielo di e con l’astrofisica Margherita Hack e Sandra Cavallini.
Durata 100’ atto unico
DECAMERONE
vizi, virtù, passioni
liberamente tratto dal Decamerone di Giovanni Boccaccio
con Stefano Accorsi
e con Salvatore Arena, Silvia Briozzo, Fonte Fantasia,
Mariano Nieddu, Naike Anna Silipo
drammaturgia Maria Maglietta
scene e costumi Carlo Sala
disegno luci Luca Barbati
assistente scene e costumi Roberta Monopoli
aiuto alla regia Maria Maglietta
adattamento e regia Marco Baliani
produzione Nuovo Teatro - Teatro della Pergola di Firenze
Le storie servono a rendere il mondo meno terribile, a immaginare altre vite, diverse da quella che si sta faticosamente
vivendo.
Le storie servono ad allontanare, per un poco di tempo, l’alito della morte.
Finché si racconta, e c’è una voce che narra siamo ancora vivi, lui o lei che racconta e noi che ascoltiamo. Per questo nel Decamerone ci si sposta da Firenze verso la collina e lì si principia a raccontare. La città è appestata,
servono storie che facciano dimenticare, storie di amori, erotici, furiosi, storie grottesche, paurose, purché siano storie, e
raccontate bene, perché la morte là fuori si avvicina con denti affilati e agogna la preda. Abbiamo scelto di raccontare alcune novelle del Decamerone di Boccaccio perché oggi ad essere appestato è il nostro
vivere civile.
Percepiamo i miasmi mortiferi, le corruzioni, gli inquinamenti, le mafie, l’impudicizia e l’impudenza dei potenti, la menzogna, lo sfruttamento dei più deboli, il malaffare. In questa progressiva perdita di un civile sentire, ci è sembrato importante far risuonare la voce del Boccaccio attraverso
le nostre voci di teatranti.
Per ricordare che possediamo tesori linguistici pari ai nostri tesori paesaggistici e naturali, un’altra Italia, che non compare
nei bollettini della disfatta giornaliera con la quale la peste ci avvilisce. Per raccontarci storie che ci rendano più aperti alla possibilità di altre esistenze, fuori da questo reality in cui ci ritroviamo
a recitare come partecipanti di un globale Grande Fratello.
Perché anche se le storie sembrano buffe, quegli amorazzi triviali, quelle strafottenti invenzioni che muovono al riso e allo
sberleffo, mostrano poi, sotto sotto, il mistero della vita stessa o quell’amarezza lucida che risveglia di colpo la coscienza.
Potremmo così scoprire che il re è nudo, e che per liberarci dall’appestamento, dobbiamo partire dalle nostre fragilità e
debolezze, riconoscerle e riderci sopra, magari digrignando i denti. Marco Baliani
durata 1h 45’ atto unico
ENRICO IV
di Luigi Pirandello
con Franco Branciaroli,
Melania Giglio, Giorgio Lanza, Antonio Zanoletti,
Sebastiano Bottari, Andrea Carabelli, Tommaso Cardarelli, Pier Paolo D’Alessandro, Daniele Griggio,
Mattia Sartori, Valentina Violo
scene e costumi Margherita Palli
luci Luigi Saccomandi
regia Franco Branciaroli
produzione Centro Teatrale Bresciano - Teatro de Gli Incamminati
Franco Branciaroli, dopo i recenti successi ottenuti con Servo di scena, Il Teatrante e Don Chisciotte, continua la sua indagine sui grandi personaggi del teatro portando sulla scena l’Enrico IV, dramma in 3 atti di Luigi Pirandello, scritto nel 1921
e rappresentato per la prima volta il 24 febbraio 1922 al Teatro Manzoni di Milano. Considerato il capolavoro teatrale di
Pirandello insieme a Sei personaggi in cerca di autore, Enrico IV è uno studio sul significato della pazzia e sul tema caro
all’autore del rapporto, complesso e alla fine inestricabile, tra personaggio e uomo, finzione e verità.
In una lettera che Pirandello scrive a Ruggero Ruggeri – uno degli attori più noti dell’epoca – il drammaturgo agrigentino
dopo avergli raccontato la trama, conclude dicendogli che vede in lui il solo attore in grado d’interpretare e dare corpo e
anima al ruolo del titolo. Scrive infatti: «Circa vent’anni addietro, alcuni giovani signori e signore dell’aristocrazia pensarono di fare per loro diletto, in tempo di carnevale, una “cavalcata in costume” in una villa patrizia: ciascuno di quei signori
s’era scelto un personaggio storico, re o principe, da figurare con la sua dama accanto, regina o principessa, sul cavallo
bardato secondo i costumi dell’epoca. Uno di questi signori s’era scelto il personaggio di Enrico IV; e per rappresentarlo il
meglio possibile, s’era dato la pena e il tormento d’uno studio intensissimo, minuzioso e preciso, che lo aveva per circa un
mese ossessionato. […] Senza falsa modestia, l’argomento mi pare degno di Lei e della potenza della Sua arte». Il personaggio di Enrico IV, del quale magistralmente non ci viene mai svelato il vero nome, quasi a fissarlo nella sua
identità fittizia, è descritto minuziosamente da Pirandello. Enrico è vittima non solo della follia, prima vera poi cosciente,
ma dell’impossibilità di adeguarsi a una realtà che non gli si confà più, stritolato nel modo di intendere la vita di chi gli sta
intorno e sceglie quindi di “interpretare” ruolo fisso del pazzo.
Durata 2h 15’ con intervallo
BISBETICA
La Bisbetica domata di William Shakespeare
messa alla prova
traduzione e drammaturgia Stefania Bertola
con Nancy Brilli
e con Matteo Cremon, Federico Pacifici, Gianluigi Igi Meggiorin, Gennaro Di Biase, Anna Vinci,
Dario Merlini, Brenda Lodigiani, Stefano Annoni e nel ruolo del Dr. Jolly Valerio Santoro
scenografia Giacomo Andrico
costumi Nicoletta Ercole
luci Massimo Consoli
musiche Alessandro Nidi
regia Cristina Pezzoli
produzione La pirandelliana
Un classico senza tempo, ineguagliato capolavoro di William Shakespeare che una rappresentazione travolgente e colorata
da elementi popolari ed echi della commedia dell’arte ne fanno un evento da non perdere. Attraverso il gioco metateatrale la
chiave registica sostituisce allo Sly di Shakespeare tutta la compagnia facendola diventare il gruppo di attori che metterà in
scena La Bisbetica domata. Tutta la vicenda sarà arricchita da una verve comica che guiderà in modo parallelo i destini degli
attori della compagnia e dei personaggi della commedia. L’immediatezza del linguaggio musicale si sposerà perfettamente con
i gusti anche di un pubblico di giovanissimi perché sarà una messa in scena, originale di grande impatto visivo.
Il numeroso cast darà vita a un doppio spettacolo in cui ogni ciascuno sarà sia attore della compagnia che personaggio di Shakespeare. Una commedia nella commedia ma divertente, ricca di colpi di scena e che, col sorriso, porta a riflettere sui rapporti
uomo-donna, un’occasione unica per vivere l’allegria, l’ironia e lo stupore con cui la Bisbetica Domata è diventata un cult. Senza
tradire mai la commedia originale di Shakespeare si darà vita a una rivisitazione in grado di affascinare lo spettatore restituendo la contemporaneità di questo autore senza tempo.
Per l’allestimento di questa nuova produzione abbiamo deciso di affidare a un punto di vista femminile la trasposizione di una
delle commedie più famose di Shakespeare: Cristina Pezzoli è colei che grazie a un’originale chiave registica porterà in scena
questo nuovo allestimento. Il titolo dell’opera è noto quanto la trama. La vicenda ha per protagonisti una serie di personaggi
che si districano in un frizzante crogiuolo di equivoci e travestimenti. Ben nota per il suo carattere intrattabile, Caterina fatica
a trovare pretendenti e quindi marito, a differenza della sorella minore Bianca, apparentemente dolce e mansueta, bramata da
Gremio e Ortensio. Il padre delle ragazze, il nobile e avido Battista, decide dunque che nessun uomo avrà la più giovane finché
la primogenita non si sarà accasata. Così gli zelanti corteggiatori fanno combutta e convincono il veronese Petruccio a chiedere
in moglie Caterina incoraggiandolo con la prospettiva della dote. La storia narra una serie di trattative al rialzo che dimostrano
quanto il padre delle ragazze veda in loro poco più che un fattore di guadagno.
Confrontarsi con un classico pone sempre la questione sulla sua contemporaneità. In questo caso c’è una sfida in più da affrontare per proporre una versione di questa commedia che ha insita nel testo una visione fortemente legata a un’ottica maschile
in cui la donna trova realizzazione, assoluzione ai suoi traviamenti uterini nel matrimonio, nell’auspicabile rettitudine di una
devozione all’autorità del marito. È vero pure che la narrazione beneficia di una serie di astuzie provenienti dai lasciti della
Commedia dell’Arte, in grado di innescare situazioni pungenti, vivaci ed esilaranti. Quando Shakespeare scrisse la commedia, la
condizione femminile non era molto favorita per l’epoca in cui si viveva; tuttavia l’autore ha voluto dimostrare il suo disappunto
sui matrimoni combinati che non erano altro che accordi economici, mettendo invece in risalto il diritto di poter decidere della
propria vita. Durata da definire (spettacolo in produzione)
FATHER AND SON
ispirato a Gli Sdraiati e Breviario comico di Michele Serra
con Claudio Bisio
e con i musicisti Laura Masotto violino, Marco Bianchi chitarra
scene e costumi Guido Fiorato
musiche Paolo Silvestri
luci Aldo Mantovani
regia Giorgio Gallione
produzione Fondazione Teatro dell’Archivolto
Father and son racconta il rapporto padre/figlio radiografato senza pudori e con un linguaggio in continua oscillazione tra
l’ironico e il doloroso, tra il comico e il tragico. È una riflessione sul nostro tempo inceppato e sul futuro dei nostri figli, sui
concetti – entrambi consumatissimi – di libertà e di autorità, che rivela in filigrana una società spaesata e in metamorfosi,
ridicola e zoppa, verbosa e inadeguata. Una società di “dopo-padri”, educatori inconcludenti e nevrotici, e di figli che
preferiscono nascondersi nelle proprie felpe, sprofondare nei propri divani, circondati e protetti dalle loro protesi tecnologiche, rifiutando o disprezzando il confronto. Da questa assenza di rapporto nasce un racconto beffardo e tenerissimo, un
monologo interiore (ovviamente del padre, verboso e invadente quanto il figlio è muto e assente) a tratti spudoratamente
sincero. La forza satirica di Serra si alterna a momenti lirici e struggenti, con la musica in continuo dialogo con le parole.
La società dalla quale i ragazzi si defilano è disegnata con spietatezza e cinismo: ogni volta che la evoca, il padre si rende
conto di offrire al figlio un ulteriore alibi per la fuga.
È una società ritorta su se stessa, ormai quasi deforme, dove si organizza il primo Raduno Nazionale degli Evasori Fiscali,
si medita di sostituire al Porcellum il ben più efferato Sputum, dove non è chiaro se i vecchi lavorano come ossessi pur di
non cedere il passo ai giovani o se i giovani si sdraiano perché è più confortevole che i vecchi provvedano a loro.
In Father and son inventiva sfrenata, comicità, brutalità, moralità sono gli ingredienti di un irresistibile soliloquio che
permettono a Claudio Bisio, al suo attesissimo ritorno sulla scena, di confrontarsi con un testo di grande forza emotiva e
teatrale, comica ed etica al tempo stesso.
Durata 1h 30’ atto unico
GABBIANO
di Anton Cechov
con Fausto Russo Alesi, Giovanni Crippa, Ruggero Dondi, Zeno Gabaglio, Mariangela Granelli,
Igor Horvat, Emiliano Masala, Maria Pilar Pérez, Giorgia Senesi, Anahi Traversi
e con la partecipazione di Antonio Ballerio Maspero
scene Margherita Palli
costumi Margherita Baldoni
musiche Zeno Gabaglio
luci Jean-Luc Channonat
regia Carmelo Rifici
produzione LuganoInScena
Perché scegliere di fare Gabbiano? È la domanda che continuo a farmi, alla quale non ho risposta. Almeno non una. Intanto
è un Classico e questo mi permette di lavorare sulla memoria di un testo che ho sempre amato, su cui ho sempre lavorato, sul quale ho fatto centinaia di ipotesi, che ogni volta cambiano e si contraddicono. In secondo luogo mi viene da dire
che Gabbiano parla di cose che tutti sanno: di rapporti familiari, di conflitti e di delusioni, senza averne consapevolezza.
Entrare in un mondo familiare e vedere che ogni volta ti mostra qualcosa che non avevi notato dà la curiosa sensazione di
visitare un universo conosciuto e, al tempo stesso, misterioso: «Cechov è talmente semplice che fa paura», diceva Gor’kij.
Gabbiano è veramente un testo misterioso: ci mostra un’umanità, una famiglia che non riesce mai a essere sincera e che,
per riuscire a convivere, deve continuamente mentire e immaginarsi di essere qualcosa che non è. Nel momento però
che una cosa è immaginata, non diventa comunque vera? In Gabbiano tutti si rappresentano, anzi sono tutti ossessionati
dalla rappresentazione. Si impegnano a vivere una vita che non è la loro e tentano di eternarla, di renderla un presente
continuo. Non sarà perché tentano disperatamente di fermare la vita e il bloccare dentro di loro il sinistro desiderio di voler
uscire, volare via per fare parte di qualcosa di più grande? Kostantin, nel suo testo, parla di un’anima universale che tutto
ingloba; il medico Dorn parla del destino dell’umanità di ricongiungersi, prima o dopo, ad un tutto. Nina dice: «pensano
che io voglia fare l’attrice, ma io sono attratta dal lago, come un gabbiano». «Anche lo spirito è fatto di materia», dice il
maestro Medvedenko.
Teatro e mistero, verità e sogno. Non a caso i protagonisti sono attori, scrittori, registi, e l’umanità che gira intorno a loro,
fatta di contadini, di lavoratori, non sogna altro che essere attori e scrittori. Ossessione della rappresentazione di sé. I
personaggi recitano su un palcoscenico che si specchia in un lago che mostra a sua volta la loro misera umanità e l’incapacità di volare in alto. Il lago li attrae verso il basso. Il lago: l’etimologia della parola viene dal latino Lacus e significa
cavità, spaccatura, incavo riempito d’acqua, che lega anche con laké, il baratro. Se la parola fosse presa nel suo significato
simbolico, potremmo dire che chi vive vicino ad un lago vive su una spaccatura, su un baratro. Il lago, quindi, condiziona
le vite di chi lo abita, di chi lo affronta. L’incavo è però riempito d’acqua dolce, piatta, che fa da specchio. Per questo,
spesso, il lago diventa anche sinonimo di occhio, è l’occhio (profondo) dentro il quale ci si specchia. Il teatro è il grande
specchio del mondo. Non potrebbe essere che il lago e il teatro in Cechov siano la stessa cosa? Non potrebbe essere che
è la rappresentazione a spingere l’uomo verso il baratro e a impedirgli di spiccare il volo verso l’alto? Ma l’ossessione alla
rappresentazione non è comunque un tentativo dell’uomo di sconfiggere la morte? Immaginarsi di essere altro da sé e dare
corpo all’immaginazione, non è un modo per lasciare delle tracce nel mondo?
Carmelo Rifici
Durata da definire (spettacolo in produzione)
LA SCUOLA
di Domenico Starnone
con Silvio Orlando,
Vittorio Ciorcalo, Roberto Citran, Marina Massironi, Roberto Nobile, Antonio Petrocelli,
Maria Laura Rondanini
scene Giancarlo Basili, disegnatore luci Pasquale Mari
costumi Maria Rita Barbera, assistente alla regia Riccardo Sinibaldi
macchinista Franco Dottori, elettricista Giuseppe De Gennaro
sarta Piera Mura, segretaria di compagnia raffaella Gagliano
fotografo di scena Giampaolo Demma, ufficio stampa Giulia Calligaro
scenotecnica Mekane, consulenza organizzativa e organizzativa Teresa Rizzo
regia Daniele Luchetti
produzione Cardellino srl
Era il 1992, anno in cui debuttò Sottobanco, spettacolo teatrale interpretato da un gruppo di attori eccezionali capitanati da Silvio Orlando e diretti da Daniele Luchetti. Lo spettacolo divenne presto un cult, antesignano di tutto il filone di
ambientazione scolastica tra cui anche la trasposizione cinematografica del 1995 della stessa pièce che prese il titolo La
scuola. Fu uno dei rari casi in cui il cinema accolse un successo teatrale e non viceversa.
Lo spettacolo era un dipinto della scuola italiana di quei tempi e al tempo stesso un esempio quasi profetico del cammino
che stava intraprendendo il sistema scolastico.
«Ho deciso di riportare in scena lo spettacolo più importante della mia carriera; fu un evento straordinario, entusiasmante,
con una forte presa sul pubblico», dice Silvio Orlando. A vent’anni di distanza è davvero interessante fare un bilancio sulla
scuola e vedere cos’è successo poi.
Il testo è tratto dalla produzione letteraria di Domenico Starnone. Siamo in tempo di scrutini in IV D. Un gruppo di insegnanti deve decidere il futuro dei loro studenti. Di tanto in tanto, in questo ambiente circoscritto, filtra la realtà esterna.
Dal confronto tra speranze, ambizioni, conflitti sociali e personali, amori, amicizie e scontri generazionali, prendono vita
personaggi esilaranti, giudici impassibili e compassionevoli al tempo stesso. Il dialogo brillante e le situazioni paradossali
lo rendono uno spettacolo irresistibilmente comico.
Durata 2h 15’ con intervallo
IL MONDO NON MI DEVE NULLA
di Massimo Carlotto
con Pamela Villoresi, Claudio Casadio
regista assistente Ilaria Genatiempo
scene Gianluca Amodio
musiche Paolo Daniele
costumi Lucia Mariani
disegno luci Alberto Biondi
disegni Laura Riccioli
regia Francesco Zecca
produzione Teatro e società srl
Avete mai sentito parlare dell’attrazione del vuoto? Si dice che sia inspiegabile, perché tocca corde sopite che hanno a
che fare con la coscienza, chiede attenzione e sensibilità. Quando si parla di vuoto si parla di una forza centripeta, di uno
spazio leggero, impalpabile, di un peso netto argenteo. Bisogna conoscere le regole della sua attrazione perché passare da
vittima a carnefice è facile, è un gioco di ruolo in cui si confonde la sottile linea di divisione. E come si crea il vuoto? Come
ci si svuota? Con la morte? In un certo senso sì. La morte dell’ambizione, la fine di ciò che si chiede a se stessi, ci si svuota
degli obblighi e dei vincoli, delle necessità che si credevano importanti. Lo fa Lise. Lo fa Adelmo. Uno strumento dell’altra,
necessari e imprescindibili, ma sideralmente distanti. Perché Lise non si permette un’alternativa. Lei che per tutta la vita
ha vissuto nel lusso, non si permette il lusso più importante, ingabbiata nella convinzione che «solo i disperati vagano alla
ricerca dell’occasione giusta».
E in quello scalino appena prima del vuoto, quando il cuore pare fermarsi e il respiro sospendersi, quando solo il coraggio
può farti vedere cosa c’è oltre, Lise decide di chiudere gli occhi per sempre. Per Adelmo, invece, quell’istante di apnea
coincide con l’attimo precedente al vagito di una nuova vita. Pamela Villoresi scava in un personaggio che la vita ha indurito facendolo vibrare straordinariamente di una fragilità e ironia commoventi. Guardandola ci si incanta nel suo continuo
svelare di Lise la sensibilità, l’indulgenza e l’amarezza amabilmente celate sotto un forte velo rosso di testardaggine,
inclemenza e durezza. Pamela porta in scena perfettamente le due facce di Lise e la muove sul precipizio del vuoto come
un ventriloquo fa con la sua bambola: la guida, la copre, la svela, la zittisce ed infine la sacrifica.
Claudio Casadio indaga con grande sensibilità un’anima intrappolata in una vita disperata, regalandogli poesia e una purezza incantatrice, che rende il suo personaggio struggente. Restituisce al personaggio di Adelmo tutta la sua “veracità”,
la forza e il “non arrendersi” tipico di chi è attaccato alla vita con i denti perché dalla vita ha avuto ancora troppo poco
per mollare gli ormeggi. L’Adelmo di Claudio è più vitale e popolano che mai e di un popolo lavoratore e sacrificato porta
in scena il riscatto con il buon senso che a volte viene meno ai più acuti filosofi. L’Adelmo di Claudio è credibile, concreto,
meravigliosamente vivo, acuto e di una esuberanza necessaria per lasciare spazio alla speranza di una rinascita. Massimo
Carlotto con il suo noir lascia la possibilità di muoversi in un testo pieno di molteplici opzioni. Il suo testo non patteggia
per nessuno, non salva nessuno è un testo senza vincitori e senza vinti ma è anche un testo senza Dio che restituisce
all’uomo la chance di guidare i suoi propri fili fino alla fine. È dunque un testo ideale per un regista che voglia dare una sua
personalissima interpretazione. Di questa battaglia senza vincitori né vinti, senza eroi, di questo testo in cui da un lato c’è
chi sceglie che il mondo non gli deve più nulla e dall’altro chi va a prendersi ciò che ancora il mondo gli deve, io ho scelto
di lasciarmi tentare dal vuoto come fa Lise resistendogli come fa Adelmo.
Francesco Zecca
Durata 1h 30’ atto unico
SCANDALO
di Arthur Schnitzler
con Franco Castellano e Stefania Rocca
e con Filippo Borghi, Adriano Braidotti, Federica De Benedittis, Ester Galazzi, Andrea Germani,
Lara Komar, Ricardo Maranzana, Astrid Meloni
e Alessio Bernardi, Artur Cocetta
scene Antonio Fiorentino
costumi Andrea Viotti
musiche Antonio Di Pofi
regia Franco Però
testo inedito e mai rappresentato in Italia
produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
Artisti Riuniti e Mittelfest 2015
Scritta nel 1898, Das Vermächtnis, questa bellissima commedia, tutt’ora inedita in Italia, potremmo raccontarla anche
così: immaginiamo che, oggi, il figlio adorato di una famiglia dell’alta borghesia si innamori di una ragazza proveniente da
un altro mondo, un mondo lontano dalla forma, dai modi, dai rapporti sociali che circondano questa famiglia; in breve, una
ragazza di bassa estrazione sociale, o un’immigrata; e che da questa relazione segreta, nasca una creatura. Il giovane ha
poi un grave incidente; capisce che morirà e a quel punto, svela questa storia d’amore ai genitori e chiede loro, come ultimo
desiderio, di accogliere in casa la ragazza e il bambino. Stupore e sconcerto, dapprima, ma poi la famiglia acconsente. La
ragazza entra in quella che, crede, diverrà la sua famiglia. All’inizio è accolta con calore; le persone che le ruotano attorno
paiono accettarla, ma lentamente e, inesorabilmente, alcuni segnali di distacco cominciano a manifestarsi. Dapprima gli
amici della cerchia iniziano a non frequentare più quel luogo; il promesso fidanzato della sorella del giovane fa notare, con
sempre maggior insistenza, l’imbarazzo che crea nel loro ambiente questa presenza estranea; lo stesso padre dà segni,
quasi involontari, di fastidio per questa nuova situazione, e le donne - le quali, se leviamo un amico del giovane, sono le
principali presenze positive in quel mondo – hanno sempre maggior difficoltà a contrastare questa determinazione a tornare a rinchiudersi nel proprio mondo, isolando l’elemento di disturbo. Poi il bambino muore e la ragazza è sempre più sola ed
estranea, e neppure la cognata del padrone di casa, un personaggio forte che mette a nudo in tanti momenti le piccinerie,
le volgarità, le sottili violenze che permeano quell’ambiente, riuscirà più a fermare il definitivo abbandono della ragazza: e
sarà un abbandono drammatico. Oggi, come nella Vienna di fine Ottocento. Feroce è l’attacco di Schnitzler alla società, ma
costruito senza alcuna forzatura; quasi senza accorgersene, grazie alla sapiente costruzione dei dialoghi e delle scene, il
pubblico è trascinato dentro questa commedia amara: e si renderà conto solo alla chiusura del sipario di aver assistito al
lucido smascheramento dei lati oscuri e perversi di una società.
Durata da definire (spettacolo in produzione)
DOPPIO SOGNO
(Eyes wide shut)
di Giancarlo Marinelli
tratto dall’omonimo romanzo di Arthur Schnitzler
con Ivana Monti, Caterina Murino, Ruben Rigillo, Rosario
e con Andrea Cavatorta, Francesco Maria Cordella, Serena Marinelli, Simone Vaio,
Carlotta Maria Rondana
aiuto regia Federica Soranzio
scene Andrea Bianchi
costumi Adelia apostolico
musiche Roberta Fia
light designer Mirko Oteri
regia Giancarlo Marinelli
produzione Compagnia Molière
Con il patrocinio della Regione Veneto
Dopo il grande successo delle due stagioni di Elephant Man, cercavo un testo che possedesse una caratteristica; darmi la
possibilità, come drammaturgo e come regista, di creare personaggi multipli per i miei attori; un testo che fosse già teatro
multiplo. Dove la storia fosse tante storie; dove la verità fosse tante verità; e dove, finalmente, l’amore, la morte, il senso
di colpa, il peccato e il riscatto, affiorassero prepotentemente tutti insieme.
In una Vienna innevata eppure caldissima, il dottor Fridolin riceve la più imprevedibile delle confessioni dalla moglie Albertine: «Ti ricordi, l’estate scorsa, sulla spiaggia danese, quel giovane uomo? Se mi avesse chiamata, non avrei potuto
oppormi. Ero pronta a sacrificare te, la nostra bambina, tutto il mio futuro».
Dall’intima confidenza di un tradimento solo fantasticato all’ossessione che dura un’interminabile notte; dopo aver viaggiato negli inferi della mente e della carne, sullo scivolo dell’alba, i due coniugi si ritrovano soli, smarriti, ma innamorati
più di prima.
In fondo solo questo mi interessa: raccontare, (ancora una volta), i crimini, anche solo della fantasia, che attentano ogni
giorno alla felicità della coppia; dire quanto sia disperante dover amare e essere amati, facendo i conti con l’infantile
terrore e la sadica eccitazione dell’abbandono; mettere in scena la follia di chi, a un certo punto della sua vita, è convinto
che il dolore che subiamo, in verità, sia la punizione meritata a quel nostro abbandonare, tradire, violare chi ha scelto di
essere, per sempre, nostro.
Il teatro è amare gli attori. E odiare tutto ciò che riescono a essere al posto nostro.
Giancarlo Marinelli
Durata 2h 10’ con intervallo
LA PROVA
con Anna Della Rosa, Laura Marinoni, Luca Lazzareschi, Giovanni Franzoni
scene Daniel Jeanneteau
luci Yves Godin
musiche Alexandre Meyer
testo, regia e coreografia Pascal Rambert
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione
Répétition scritto e diretto da Pascal Rambert di cui sono protagonisti Emmanuelle Béart, Audrey Bonnet, Stanislas Nordey e Denis Podalydès ha debuttato lo scorso mese di dicembre al parigino Festival d’Automne e sarà presentato in esclusiva assoluta italiana a Vie Festival nell’autunno del 2015. La prova ne sarà la versione italiana.
Pascal Rambert è regista capace di creare momenti teatrali di rara intensità. Di Rambert, direttore di T2G teatro parigino
che lavora sulla creazione contemporanea, ERT ha recentemente prodotto la versione italiana di Clôture de l’amour, nel
quale Anna Della Rosa e Luca Lazzareschi hanno magistralmente interpretato la cronaca sublime di una separazione
annunciata.
È lo stesso percorso quello che guida Pascal Rambert nella creazione di un altro lavoro, non più incentrato sul tema dell’amore e della separazione ma riguardante la scrittura e l’atto creativo. E, al centro, l’essere umano, l’artista, confusi, messi
a nudo.
Ecco dunque che, ne La prova, versione italiana di Répétition, ritroviamo Anna Della Rosa e Luca Lazzareschi insieme a
Laura Marinoni e Giovanni Franzoni.
Uno spettacolo che assume la forma di equazione priva di incognite: in una sala prove, Laura (attrice), Anna (attrice), Luca
(scrittore) e Giovanni (regista) assistono all’implosione della loro unione artistica.
La struttura, dietro al suo apparente ribollire, è molto semplice. Si assiste a un breve momento di una prova nel corso della
quale Anna coglie nello sguardo di Luca che tra lui e Laura sta accadendo qualcosa. «A partire da qui – spiega Rambert
– ho cercato di mostrare come, all’interno di uno sguardo, potessi costruire un mondo, un mondo che poi ho voluto far
implodere. La realtà viene osservata su piani diversi. Ho spesso l’impressione che ciò che chiamiamo verità non risieda necessariamente in ciò che chiamiamo realtà ma molto più di frequente nelle finzioni. E ho visto più verità in alcuni momenti
di teatro, danza e letteratura che nella vita stessa. Ho cercato di mostrare questo passaggio costante che caratterizza il
mestiere dell’artista tra ciò che attingiamo dalla vita, la sua trasformazione in materia immaginaria e questo flusso continuo che è l’oggetto del nostro parlare. Per me la vita e la finzione sono sempre legate l’una all’altra. Non si interrompono
mai. Questo flusso ininterrotto è uno dei possibili argomenti dello spettacolo».
Durata da definire (spettacolo in produzione)
CHI HA PAURA DI VIRGINIA WOOLF?
di Edward Albee
traduzione Ettore Capriolo
con Milvia Marigliano, Arturo Cirillo, Valentina Picello,
Edoardo Ribatto, Dario Gessati
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
luci Mario Loprevite
regista collaboratore Roberto Capasso
assistente alla regia Giorgio Castagna
assistente scenografo Lucia Rho
assistente costumista Cristiana Di Giampietro
fotografo di scena Diego Steccanella
regia Arturo Cirillo
produzione Tieffe Teatro Milano
Il testo Chi ha paura di Virginia Woolf? credo sia una potente macchina attoriale, cioè penso che esista fortemente in
funzione del teatro. Come certa drammaturgia contemporanea, penso a Spregelburd per esempio, non è tanto nella sua
lettura che si coglie la vera qualità della scrittura ma nella incarnazione umorale e psicologica che avviene quando si incomincia a lavorare con gli attori. Un teatro che usa un linguaggio naturalistico ma che non si preclude una possibilità più
astratta, anzi direi che la sottende. Già il “basso continuo” dato dallo stato di alterazione alcolica presuppone una forma
di recitazione “sporca”. Come anche invita verso una estremizzazione la valenza fortemente simbolica dei quattro personaggi, con la coppia più giovane specchio e parodia di quella più anziana, accomunate da un problema di genitorialità. Un
testo bulimico ed estremo, sismico, che mi ha fatto pensare ad una scena smossa essa stessa, sconnessa, che ti scivola
sotto i piedi. Una scena che va in pezzi, si spezza, crolla, come il nostro Occidente incapace di uscire da se stesso e vedere
il mondo. Il tutto a ritmo di batteria, colpi su colpi.
Il testo di Albee è una spietata riflessione sulla nostra cultura, sul nostro egocentrismo, sul nostro cinismo, e sull’amore.
Come in un gioco al massacro, come in un interrogatorio o in una tortura, siamo in un stanza, un salotto, in una notte di
sabato, dove pian piano si dà inizio ad un sacrificio, un esorcismo. Giocando e recitando ci si trova davanti alla propria
distruzione, allo stato di noia che nasce dopo la perversione, a quel non sapere più cosa fare dopo aver fatto fuori tutto.
Nel distruggere l’altro si distrugge se stessi, e poi ci si trova soli con l’altro, due solitudini a confronto, senza più difese,
senza più riti che ci proteggono, senza più teorie analitiche che ci consolano; soli e spaventati da tutto quello che la nostra
mente non ci voleva far vedere. Soli davanti alle proprie paure, come un bambino nel bosco, o di notte con i propri incubi. E
poi, forse, quando sta per nascere l’alba immaginare di potersi prendere cura di sé, e dell’altro, con dolcezza e morbidezza.
Arturo Cirillo
Durata 1h 40’ senza intervallo
L’ULISSE
(Il mio nome è nessuno)
di Valerio Massimo Manfredi
adattamento e drammaturgia testo di Francesco Niccolini
con Sebastiano Lo Monaco, Maria Rosaria Carli, Turi Moricca, Carlo Calderone
e un’orchestra di 14 sassofonisti in scena
scene Antonio Panzuto
costumi Cristina Da Rold
musiche originali Dario Arcidiacono - Davide Summaria
luci Luigi Ascione
regia Alessio Pizzech
produzione Sicilia Teatro
Valerio Massimo Manfredi, scrittore, archeologo, topografo del mondo antico di fama internazionale, ha dedicato due
romanzi a Ulisse: il primo racconta le gesta dell’eroe di Itaca dall’infanzia di Odysseo fino alla distruzione di Troia. Il secondo dalla partenza di Ilio dopo la fine tragica e vittoriosa della lunga guerra, fino all’arrivo a Itaca, dieci anni dopo, con
la sanguinosa vendetta contro i principi che insidiano Penepole e occupano il suo palazzo.
È una materia così intensa, poetica, tragica e intrisa di sangue e dolore che invece di dar segni di invecchiamento, trova
nuova linfa, dubbi e vigore nella prosa di Manfredi, che il regista Alessio Pizzech e il drammaturgo Francesco Niccolini
(che già hanno lavorato insieme a Sebastiano Lo Monaco nel fortunatissimo Dopo il silenzio) hanno trasformato in materia
teatrale: un lungo viaggio tra poesia, disperazione ed erotismo per attraversare la vita di un uomo, anche se quest’uomo
ama farsi chiamare nessuno.
Questo Ulisse non procede in linea retta: la sua strada è lunga e contorta, riparte da suo ritorno a Itaca, dal primo incontro
con Telemaco e suo figlio. È a lui che racconterà – prima della grande vendetta – dieci anni di guerra e dieci di faticosissimo
ritorno verso casa: come un reduce di guerra, l’ennesima guerra stupida inutile e aberrante del nostro mondo. Sebastiano
Lo Monaco, con tutta la sua maestria e passione, dialoga con i molti fantasmi di questa storia, in particolare le donne
e gli eroi che Odysseo ha incontrato sulla sua faticosissima strada. Perché molte sono le donne che ne hanno turbato la
vita: Elena per prima, quindi Penelope, e poi Circe, Calypso, Nausicaa, Athena. Così come molti sono gli uomini che mai
potrà dimenticare, uomini valorosi e disperati, consapevoli del loro destino di morte: Menelao, Aiace e, su tutti, Achille
con l’amato Patroclo.
Il risultato sarà una lunga, intensissima narrazione con una voce principe, quella di Sebastiano Lo Monaco, e intorno tutti
quei demoni – divinità, mostri, nemici, eroi, vivi e morti, più tutti i ricordi – che ne hanno costellato il viaggio sterminato,
descrivendone il destino immortale.
Durata da definire (spettacolo in produzione)
CARMEN
di Enzo Moscato
con Iaia Forte, Roberto De Francesco
e con Ernesto Mahieux, Giovanni Ludeno, Anna Redi, Francesco Di Leva, Houcine Ataa, Raul Scebba,
Viviana Cangiano, Kyung Mi Lee
arrangiamento musicale Mario Tronco e Leandro Piccioni
musiche ispirate alla Carmen di Georges Bizet
esecuzione dal vivo Orchestra di Piazza Vittorio
(in ordine alfabetico) Emanuele Bultrini, Peppe D’Argenzio, Duilio Galioto, Kyung Mi Lee, Ernesto Lopez,
Omar Lopez, Pino Pecorelli, Pap Yeri Samb, Raul Scebba, Marian Serban, Ion Stanescu
scene Sergio Tramonti
costumi Ursula Patzak
luci Pasquale Mari
suono Hubert Westkemper
coreografie Anna Redi
aiuto regia Raffaele Di Florio
assistente scenografa Sandra Müller
adattamento e regia Mario Martone
produzione Teatro Stabile di Torino
Carmen nelle mani di Mario Martone svela la sua natura più intima e popolare, tra zarzuela e bassi napoletani. Scrive il
regista: «Quando ho pensato di dare vita con l’Orchestra di Piazza Vittorio a una Carmen napoletana, secondo i modelli
del teatro musicale popolare che vanno da Raffaele Viviani alla sceneggiata, ho proposto a Enzo Moscato di scriverne il
testo, chiedendogli un copione in cui ci fossero dialoghi e personaggi ispirati alla tradizione, ma guardando alla novella di
Mérimée oltre che all’opera di Bizet. Quel che mi ha sempre affascinato della novella è il fatto che la vicenda è rievocata:
Mérimée immagina che Don José gliela racconti in prigione, la sera prima di morire impiccato. Enzo ha colto al volo questa
indicazione e ha scritto un testo che si muove su due piani, quello del racconto al presente e quello passato dell’azione
rievocata. Ne è nato lo spettacolo che vedrete, in cui procedono di pari passo le parole di Mérimée e dei librettisti Meilhac
e Halévy completamente reinventate da Moscato e la musica di Bizet trasfigurata da Mario Tronco con Leandro Piccioni e
l’Orchestra di Piazza Vittorio. La contaminazione è totale: Napoli si pone come centro di un mondo latino fatto di nomadismi, dalla Spagna alla Francia e, via via trasmigrando, fino a Tunisi.
La lingua e la musica sono al centro di tutto, il vortice che tutto attrae: l’amore, la passione, il tradimento, la libertà e la
violenza, l’allegria e il dolore, il mistero. Non c’è un’epoca definita (anche se sentiamo balenare tanto la Napoli del dopoguerra quanto quella della criminalità dei nostri giorni), non c’è la Micaela dell’opera (che in Mérimée non esiste, serviva
a Bizet per ragioni morali e musicali). Soprattutto, nel testo di Enzo Moscato, la protagonista non muore: a raccontare
al “forestiero” (cioè a tutti noi) quanto è successo non c’è più solo Don José, anche Carmen prende finalmente parola».
Durata 1h 15’ atto unico
DANZA MACABRA
di August Strindberg
traduzione e adattamento Roberto Alonge
con Adriana Asti, Giorgio Ferrara, Giovanni Crippa
scenografia Marco Rossi
costumi Maurizio Galante
luci A. J. Weissbard
suono Hibert Westkemper
regia Luca Ronconi
produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana, Spoleto57 Festival dei 2Mondi
con la collaborazione di Mittelfest 2014
Danza macabra di Strindberg è un testo illustre, interpretato da sempre dalla critica come un exemplum della vita coniugale vissuta quale inferno domestico, in cui si confrontano e si scontrano, da un lato, la natura satanica della moglie, Alice,
e, dall’altro lato, il carattere vampiresco del marito, il Capitano, che cerca di succhiare la vita del secondo uomo, Kurt,
psicologicamente fragile e remissivo.
In realtà si tratta di un’interpretazione di maniera, depistata dalla forte sensibilità misogina dell’autore svedese. Una lettura più attenta del dramma consente invece di prendere atto che, più semplicemente, siamo di fronte all’inferno domestico
di una coppia per niente infernale. La vicenda inizia e finisce su toni e timbri di misurata cordialità coniugale. È solo con
l’arrivo del terzo, di Kurt, che cominciano le tensioni. Il Capitano e Alice sono come una coppia di attori, tranquilli quando
non c’è pubblico, e subito eccitati dalla presenza di uno spettatore. L’arrivo di Kurt è l’occasione perché entrambi i coniugi
si animino e si esibiscano, calandosi ciascuno di essi nel proprio personaggio: il vampiro per il Capitano, e la femmina diabolica per Alice, che seduce il timido Kurt. La fuga finale di Kurt riporta la coppia al punto di partenza, alla calma routine
esistenziale.
Per Ronconi siamo cioè di fronte alla rappresentazione di una storia infernale ma risibile, che fa pensare curiosamente al
vaudeville di Courteline, Les Boulingrin, andato in scena nel 1898, pochi anni prima della stesura di Danza macabra (1900),
in cui i coniugi Boulingrin si scatenano all’arrivo di un ospite in visita, su cui proiettano farsescamente le tensioni della
coppia borghese. Roberto Alonge
Durata 90’ atto unico
LE SORELLE MACALUSO
di Emma Dante
con Serena Barone, Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Italia Carroccio, Davide Celona,
Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Leonarda Saffi, Stephanie Taillandier
scene e costumi Emma Dante
luci Cristian Zucaro
armature Gaetano Lo Monaco celano
organizzazione Daniela Gusmano
regia Emma Dante
produzione Teatro Stabile di Napoli - Théâtre National Bruxelles, Festival d’Avignon, Folkteatern Göteborg
in collaborazione con Atto Unico Compagnia Sud Costa Occidentale
La scena è vuota e buia. Soltanto ombre abitano questo vuoto finché un corpo viene lanciato verso di noi. L’oscurità espelle
una donna. Adulta. Segnata. Dal fondo appaiono facce di vivi e morti mescolati insieme. Tutti sono a lutto. Il piccolo popolo
avanza verso di noi con passo sicuro.
La donna danzante si unisce al corteo. “Le sorelle Macaluso” sono uno stormo di uccelli sospesi tra la terra e il cielo. In
confusione tra vita e morte.
La famiglia è composta da sette sorelle che si fermano a ricordare ad evocare a rinfacciare a sognare a piangere e a ridere
della loro storia. È il funerale di una di loro. Nel confine tra qua e là, tra ora e mai più, tra è e fu, i morti sono pronti a
portarsi via la defunta. Se ne stanno in bilico su una linea sopra cui combattere ancora, alla maniera dei pupi siciliani, con
spade e scudi in mano. Una famiglia in movimento che entra ed esce dal buio. Vedo un giovane padre apparire alla figlia
cinquantenne, una moglie avvinghiata al marito in un eterno amplesso, un uomo fallito anche da morto, vedo i sogni rimasti
sospesi tra le ombre e la solitudine e vedo gli estinti stare davanti a noi con disinvoltura.
È uno spettacolo profondo e delicato … Ecco questo è Le sorelle Macaluso, bello perché costruito con una comunicazione autentica ed essenziale, dove non c’è nulla di morboso, dove la commozione si mescola all’ironia, dove la morte è
descritta con una partecipazione di vita, quasi come un destino, un modo di essere da cui è impossibile staccarsi. Tanto
che il silenzio che chiude lo spettacolo dopo la danza libera di un corpo nudo anziché raccontarci la caducità della vita ce
la rende eterna.
«la Repubblica»
Chi conosce il teatro di Emma Dante, nel nuovo spettacolo Le sorelle Macaluso ritroverà, emozionandosi, certe atmosfere,
certe posture e movimenti, certe figure, e certi elementi, che rimandano ad alcune di quelle opere che l’hanno imposta sulla scena italiana e internazionale, e che sono rimaste impresse nella nostra memoria. … Ritroviamo tutto questo – insieme al dialetto stretto palermitano con l’aggiunta di quello pugliese – come una mappatura dell’anima, dentro la partitura
corporale e scenica de Le sorelle Macaluso, spettacolo che, per la regista e autrice palermitana, segna in maniera evidente
un ritorno alle radici del suo linguaggio più dirompente e squassante; dove il tema della vita e della morte risulta ancora un
binomio indivisibile, potente, continuamente da esplorare, sempre all’interno di un nucleo famigliare.
«Il Sole 24 Ore»
Durata 70’ atto unico