STAGIONE TEATRALE 2015-2016 Comune di Padova Assessorato allo Spettacolo Provincia di Padova Teatro Stabile del Veneto Programmazione e stagioni 2015-2016 Il Teatro Stabile del Veneto presenta la sua prima stagione come Teatro Nazionale, qualifica che dà il giusto riconoscimento al passato e al presente di una delle regioni più fortemente teatrali d’Italia, e colloca il Veneto tra le “eccellenze nazionali” selezionate dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Questo risultato prestigioso ha premiato un progetto culturale di indubbia qualità e una strategia d’azione fortemente radicata nel territorio. L’integrazione tra Padova, Venezia e Verona rende tangibile la peculiarità dell’assetto geopolitico del Veneto: una “metropoli diffusa” senza un unico capoluogo che faccia da polo d’attrazione, ma dotata di tre centri dal forte appeal turistico, artistico e culturale. Una complementarietà che emerge chiaramente nel disegno delle stagioni 2015/2016. Di seguito illustriamo i cartelloni del Teatro Verdi di Padova e del Teatro Goldoni di Venezia, indicando inoltre le principali presenze al Teatro Nuovo di Verona, il cui programma completo verrà illustrato, secondo consolidata consuetudine, a Verona nel mese di settembre. 35 i titoli in cartellone, tra produzioni e ospitalità, per un totale di 216 spettacoli: sono questi i numeri di un programma concepito in senso unitario, ma capace di diversificare l’offerta per i pubblici delle tre sedi. Una proposta di ampia portata, una sfida lanciata dal Teatro Stabile del Veneto: quella di diventare uno dei motori più importanti per lo sviluppo culturale dell’intera Regione. Un progetto che guarda al territorio, con un respiro nazionale e una vocazione internazionale e che intende intercettare un pubblico vasto, attraverso proposte e generi teatrali molto diversi tra loro, ma sempre nel segno della più alta qualità delle proposte. Nucleo portante delle nuove stagioni sono le 6 nuove produzioni del Teatro Stabile del Veneto, che occupano un ruolo di primo piano nell’impianto complessivo della programmazione. Una funzione essenziale per un Teatro Nazionale, che ha come obiettivo primario la capacità di ideare, produrre e realizzare spettacoli di alto livello, in linea con la qualità massima che deve esprimere uno dei sette teatri più importanti d’Italia. Due i filoni principali indagati: PAROLE CONTEMPORANEE e ISPIRAZIONE CLASSICA. Parole Contemporanee è riferito ad autori teatrali contemporanei che raccontano il nostro presente. Un’azione a sostegno della drammaturgia italiana, che merita di essere esaltata e valorizzata al meglio, soprattutto alla luce delle grandi potenzialità ancora inespresse che possiede. Sono ben quattro le produzioni che seguono questa linea di indirizzo. Si parte da un’opera di un’autentica star della scrittura contemporanea come Alessandro Baricco, che torna al puro teatro dopo il successo eclatante di Novecento. Il titolo dello spettacolo è Smith & Wesson e rappresenta una grande metafora sulla vita e sulle scelte che ne cambiano il corso. Un testo delicato e commovente, interpretato da un inedito Natalino Balasso, affiancato dal premio UBU Fausto Russo Alesi per la regia di Gabriele Vacis (Venezia e Padova). La nuova produzione di Babilonia Teatri rappresenta invece una grande sfida per il Teatro Stabile del Veneto, che assieme a Emilia Romagna Teatri ha scelto di produrre un nuovo lavoro e di presentarlo in abbonamento al pubblico dei suoi teatri. David è morto è un progetto originale che esalta l’unicità del linguaggio dei due autori-registi Enrico Castellani e Valeria Raimondi. A partire dall’idea di un surreale suicidio collettivo, il testo si prende gioco di una società che ha smarrito i suoi punti di riferimento: “il racconto di una provincia lasciata a se stessa, dove si corre per non sapere quel che ci si lascia alle spalle, per non vedere quel che c’è attorno, per continuare a sognare un traguardo che non c’è” (Verona, Padova e Venezia). Il testamento di Maria, dell’autore irlandese Colm Tóibín, è uno spettacolo che sviluppa in modo originale un filone teatrale che negli ultimi anni sta acquistando importanza sulle scene italiane, ovvero la relazione tra teatro e spiritualità. Un ritorno all’antico, alla dimensione rituale dell’azione scenica, ma anche alla necessità di usare il palcoscenico per interrogarsi sui grandi perché dell’umanità. Un testo che ripercorre gli ultimi giorni della Madre di Gesù evidenziandone il lato umano: una donna concreta, sicura del suo punto di vista, che innesta una serie di dubbi su alcune “verità rivelate”. La grande versatilità di Michela Cescon saprà donare a questo personaggio credibilità e coerenza, anche grazie alla regia curata da un grande del cinema italiano come Marco Tullio Giordana (Venezia, Padova e Verona). Per chiudere in bellezza il percorso dedicato alle Parole Contemporanee, eccoci al testo di Natalino Balasso, attore veneto tra i più amati dal grande pubblico, che con lo Stabile ha avviato un articolato percorso di collaborazione. La Cativìssima - Epopea di Toni Sartana è una rivisitazione dell’“Ubu Re” di Jarry in salsa veneta che usa l’arma dell’ironia per tracciare un ritratto spietato del presente. Un testo corale a sei personaggi, che vede protagonista un gruppo affiatato (una all-star composta da Francesca Botti, Marta Dalla Via, Andrea Pennacchi, Silvia Piovan e Stefano Scandaletti) riunito attorno a un mattatore di razza, che con quest’opera dimostra di essere un fuoriclasse anche come drammaturgo (Venezia, Padova e Verona). Nel filone legato agli spettacoli di Ispirazione Classica si colloca invece il nuovo allestimento de I Rusteghi, uno dei testi più amati e rappresentati di Carlo Goldoni. Questa versione, firmata da Giuseppe Emiliani – che esordirà dal 9 al 14 luglio al Teatro Romano di Verona nell’ambito dell’Estate Teatrale Veronese –, riunisce alcuni tra i migliori talenti del teatro veneto come Alessandro Albertin, Alberto Fasoli, Piergiorgio Fasolo, Stefania Felicioli, Cecilia La Monaca, Maria Grazia Mandruzzato, Giancarlo Previati, assieme ai giovani Margherita Mannino e Francesco Wolf, diplomati dell’Accademia Palcoscenico, la scuola di teatro del Teatro Stabile del Veneto diretta da Alberto Terrani (Venezia e Padova). In programma infine un altro straordinario scrittore veneto, con un testo simbolo della sua articolata parabola artistica. Stiamo parlando di uno dei capolavori della letteratura italiana del Novecento: Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati, testo magnifico che profonde riflessioni sulla precarietà della vita, sulla solitudine dell’uomo, sull’impossibilità di realizzazione e soprattutto sull’ironia della sorte. Paolo Valerio adatta per la scena e dirige quest’opera di rara bellezza e, dopo il grande successo ottenuto qualche anno fa da Sette Piani, torna ad affrontare un autore che merita di essere riscoperto nella sua assoluta grandezza. Per questo lo Stabile ha scelto di produrlo, mettendolo al centro di un progetto artistico articolato, che prevede diverse azioni e che verrà sviluppato nel corso della prossima stagione (Verona e nella prossima stagione Padova e Venezia). Oltre agli allestimenti firmati dal Teatro Stabile, le tre Stagioni ospitano un caleidoscopio di storie e linguaggi teatrali, che intrecciano immagini e segni offrendo un panorama variegato di proposte di spettacolo. Coerente con la sua nuova funzione di Teatro Nazionale, il Teatro Stabile del Veneto intende sviluppare un progetto culturale alto, capace di intercettare il meglio della scena nazionale. La linea progettuale Parole Contemporanee include autori e protagonisti del teatro italiano e interna- zionale come Michele Serra, Domenico Starnone, Enzo Moscato, Valerio Massimo Manfredi, Massimo Carlotto, Emma Dante, Simone Cristicchi, Cristiana Morganti, Edward Albee, Pascal Rambert. L’uso del corpo sulla scena è elemento essenziale di narrazione nella proposta presentata da Cristiana Morganti dal titolo Jessica and me. Per anni membro fisso dello storico Tanztheater Wuppertal fondato dall’indimenticabile Pina Bausch, questa artista italiana interpreta alla perfezione la grande tradizione del teatro-danza di matrice mitteleuropea. Sul palco si compone un racconto autobiografico, alternando al parlato movenze con il marchio indelebile della scuola bauschiana, nelle mani parlanti, nelle braccia flessuose, nella liricità dei gesti che riempiono la scena di autentica poesia (Venezia). Dalla poesia in movimento del teatro danza si passa alla poesia in musica interpretata alla perfezione da Simone Cristicchi in Magazzino 18. L’esodo giuliano-dalmata, conseguente al Trattato di Pace del 1947 che cedette alla Jugoslavia territori un tempo italiani, rivive in una narrazione schietta e appassionata, orchestrata dall’abile mano di Antonio Calenda. Cambiando registri vocali, costumi, atmosfere musicali, Cristicchi dà vita a una koinè di linguaggi, capace di trasfigurare il reportage storico in una forma nuova, che potremmo definire “musical-civile” (Venezia). Ispirato ai due successi letterari Gli Sdraiati e Breviario comico di Michele Serra, Father and son, racconta il rapporto padre/figlio, radiografato senza pudore e con un linguaggio che oscilla tra il comico e il tragico. Protagonista un attore come Claudio Bisio, qui diretto da Giorgio Gallione, che continua a collezionare una serie di interpretazioni eccellenti, in teatro come al cinema, confermandosi uno tra gli attori più apprezzati della sua generazione (Venezia e Padova). Allo stesso modo Silvio Orlando, amato dal miglior cinema d’autore degli ultimi anni, ha concentrato sempre più la sua attenzione sul teatro, dando prova di grande versatilità nell’affrontare sia i classici che i testi di autori contemporanei. Qui torna idealmente sul luogo del delitto portando in palcoscenico un suo grande successo cinematografico come La scuola. Diretto sempre da Daniele Luchetti, con un cast stellare tra cui spiccano Marina Massironi e Roberto Citran, il testo di Starnone fotografa le dinamiche e le contraddizioni delle realtà educative italiane con precisione chirurgica, offrendo uno spaccato sociale divertente, solido e convincente (Padova). Il mondo non mi deve nulla di Massimo Carlotto è un noir veloce ed elegante, dolente elegia dei naufraghi della vita e amara riflessione sul peso del caso e della nemesi, sulla libertà di scelta e di coscienza. Una storia di solitudini a confronto, che trova in Pamela Villoresi e Claudio Casadio due interpreti efficaci, diretti con piglio deciso da Francesco Zecca in un allestimento continuamente in bilico tra dramma e commedia (Venezia). Presente nei più prestigiosi teatri e festival internazionali, Pascal Rambert, autore e regista francese, presenta la versione italiana di una sua fortunatissima opera intitolata La prova (nella versione francese vedeva in scena la bellissima Emmanuelle Béart). Il testo è una minuziosa analisi sulle dinamiche che definiscono le relazioni umane nel XXI secolo. Un perfetto esempio di “teatro d’autore” di respiro europeo che trova in Anna Della Rosa, Luca Lazzareschi e Laura Marinoni (tutti premi UBU) assieme a Giovanni Franzoni, gli interpreti ideali (Padova). Dall’Europa agli Stati Uniti per incontrare un drammaturgo che ha fatto la storia del Novecento come Edward Albee con il suo capolavoro assoluto Chi ha paura di Virginia Woolf. Un dramma sociale a tinte forti che fotografa una coppia nell’America degli anni ’60 tra recriminazioni e segreti inconfessati. Dopo alcune versioni memorabili questo testo straordinario risorge a nuova vita grazie al talento di Arturo Cirillo, attore e regista tra i più interessanti oggi in Italia (Venezia e Padova). Libera riscrittura della celebre opera di Mérimée curata da Enzo Moscato, la Carmen di Mario Martone è una versione attualizzata dell’emblematica storia di amore e morte ambientata tra i vicoli di Napoli. Maestro indiscusso del cinema e del teatro d’autore italiano, Martone scommette su una viscerale Iaia Forte e arricchisce l’impianto narrativo reinterpretando dal vivo le melodie di Bizet grazie al gusto etnico che ha reso inconfondibile il sound dell’Orchestra di Piazza Vittorio (Padova e Verona). Lo scrittore, archeologo e topografo del mondo antico di fama internazionale Valerio Massimo Manfredi ha indagato la figura de L’Ulisse in ben due romanzi. Un mito senza età, una materia densa, tragica e intrisa di dolore, un lungo viaggio tra poesia, disperazione ed erotismo, per attraversare la vita di un uomo a cui Sebastiano Lo Monaco dà anima e corpo, nell’adattamento teatrale curato da Francesco Niccolini per la regia di Alessio Pizzech (Venezia). Dopo Sebastiano Lo Monaco un’altra siciliana verace come la regista Emma Dante che in Le sorelle Macaluso tocca uno dei suoi massimi vertici creativi. Premio UBU come miglior regia e spettacolo dell’anno 2014, l’opera recupera tutte le immagini cardine della sua poetica: la famiglia, la violenza dei legami di sangue, la coralità, l’irrequieto confine fra vita e morte. Il risultato è uno spettacolo di rara intensità, capace di emozionare dall’inizio alla fine (Venezia). È dunque un programma all’insegna degli autori viventi con ben quattordici titoli tra produzioni e spettacoli in ospitalità, undici dei quali sono italiani: un segno di grande vitalità della drammaturgia italiana contemporanea che evidenzia la volontà del nuovo Teatro Nazionale di interrogarsi sull’oggi, intercettando tematiche e contenuti che ci riguardano da vicino. Se l’attenzione alla contemporaneità e a tematiche vicine al nostro tempo rappresenta il tema dominante della programmazione, non mancano grandi spettacoli di ispirazione classica: indiscussi capisaldi del teatro di tutti i tempi firmati da Shakespeare, Schnitzler, Molière, Strindberg, Boccaccio, Checov e Pirandello. Grazie al progetto “Grandi Italiani” e all’adattamento curato dal regista Marco Baliani, un testo profondamente radicato nella storia del nostro Paese come il Decamerone di Boccaccio, con le novelle più celebri e peccaminose della letteratura di tutti i tempi, va ad abitare i principali palcoscenici d’Italia. Protagonista è Stefano Accorsi, attore che alterna con successo palcoscenico, cinema e televisione, mettendosi alla prova in sfide impegnative come questa (Verona e Venezia). In Don Giovanni Alessandro Preziosi, regista e interprete principale, oltre che da Molière attinge da diversi testi, in primis quello scritto da Lorenzo Da Ponte per l’omonima opera mozartiana. Il risultato è il ritratto di un bellimbusto impenitente, che l’attore rende con partecipazione istrionica, dando prova di grande versatilità e conquistando letteralmente il pubblico, in particolare quello femminile (Padova). Altro capolavoro assoluto del teatro classico firmato da Luigi Pirandello è Enrico IV. Dramma sospeso tra verità e finzione, tra essere e apparire, questa pietra miliare della drammaturgia italiana trova in Franco Branciaroli un interprete perfettamente calato nella parte, erede di una lunga tradizione di teatro d’attore che con lui ha trovato nuovi spunti, collocandosi perfettamente sui palcoscenici del terzo millennio (Padova). Apprezzata protagonista un paio di stagioni fa de La locandiera, Nancy Brilli torna con un altro ruolo femminile che è un autentico banco di prova per le attrici di tutti i tempi: La bisbetica domata di William Shakespeare, tradotto e adattato da Stefania Bertola. La femminista ante litteram che si oppone al dominante mondo maschile trova, grazie alla regia di Cristina Pezzoli, inedite chiavi di lettura di assoluta modernità (Padova). Eterno protagonista del grande teatro d’autore europeo, Anton Cechov continua ad essere specchio fedele dell’uomo contemporaneo, denunciando una modernità che non risente del passare del tempo. Tra i suoi testi più celebri Il Gabbiano, qui diretto da Carmelo Rifici, è un’allegoria spietata di quel fumoso fuoco di resina, che è l’invaghimento di un quarantenne per una fanciulla, e, viceversa, l’estatica infatuazione di una giovane per l’uomo maturo (Venezia). Quindi un doppio appuntamento con Arthur Schnitzler: in Scandalo descrive le contraddizioni di una società che si proclama progressista ma poi espelle il diverso perché ne ha paura. Un tema di estrema attualità, che il regista Franco Però affida all’interpretazione di Stefania Rocca. (Padova). Amore e tradimento, in un limbo sospeso tra sogno e realtà, è il tema trattato invece in Doppio sogno, la fortunatissima novella adattata per il teatro e diretta da Giancarlo Marinelli che indaga segreti celati e confessati all’interno di un rapporto di coppia (Venezia). Dall’Austria di Schnitzler alla Danimarca di August Strindberg che in Danza macabra indaga quasi un secolo prima del citato Edward Albee alcune tematiche legate alle dinamiche di coppia. Un autentico inferno domestico, reso magistralmente dall’interpretazione di Adriana Asti che è anche una delle ultime regie firmate dal grande Luca Ronconi. Una sorta di testamento spirituale dell’ultimo grande esponente del “teatro di regia” italiano, scomparso quest’anno e che il Teatro Stabile del Veneto doverosamente celebra (Padova). Infine, per ricordare degnamente i 400 anni della morte di William Shakespeare, Il Teatro Stabile del Veneto ha scelto di ospitare una straordinaria produzione internazionale: Il racconto d’inverno di Declan Donnellan, che sarà presentato fuori abbonamento in versione originale inglese con sopra titoli. Come in tutti i suoi inconfondibili allestimenti il regista inglese riesce a sciogliere con assoluto nitore il plot del racconto: nelle mani di Donnellan questa straordinaria favola shakespeariana diventa così la perfetta metafora di un inno alla vita e alla forza dell’amore (Verona e Venezia). Tornerà inoltre, come di consueto, il programma di teatro comico e brillante del Teatro Nuovo di Verona DIVERTIAMOCI A TEATRO, il cui calendario verrà presentato a Verona a settembre, assieme a quello completo del Il Grande Teatro. Sono inoltre in definizione i contenuti delle programmazioni di teatro ragazzi, di teatro per le scuole, delle consuete Domeniche in Famiglia, della rassegna di danza Evoluzioni, della rassegna di nuovo teatro “Officina Contemporanea” e di altri spettacoli fuori abbonamento che saranno presentati nelle prossime settimane e che saranno proposti a condizioni speciali, dedicate agli abbonati dei nostri Teatri. Ecco dunque gli ingredienti delle Nuove Stagioni 2015-2016 del Teatro Stabile del Veneto, costruite per rispondere a due esigenze fondamentali: da un lato la coerenza con la nuova prestigiosa qualifica di Teatro Nazionale; dall’altro la volontà di volgere lo sguardo al pubblico, cercando di intercettare gusti e tendenze, di lanciare nuove sfide e percorsi culturali, per coinvolgerlo e appassionarlo alle tante e diverse proposte del Teatro Stabile del Veneto – elementi fondamentali per la crescita di una sempre più vasta comunità teatrale. Massimo Ongaro TEATRO GOLDONI VENEZIA 28 ottobre - 1 novembre 2015 10 - 12 dicembre 2015 2 - 6 marzo 2016 EPOPEA DI TONI SARTANA un progetto di Babilonia Teatri di Valeria Raimondi e Enrico Castellani parole di Enrico Castellani collaborazione artistica Vincenzo Todesco con (in ordine alfabetico) Chiara Bersani, Emiliano Brioschi, Alessio Piazza, Filippo Quezel, Emanuela Villagrossi produzione Teatro Stabile del Veneto Emilia Romagna Teatro Fondazione EYES WIDE SHUT LA CATIVISSIMA di e con Natalino Balasso e con (in ordine alfabetico) Francesca Botti, Marta Dalla Via, Andrea Pennacchi, Silvia Piovan, Stefano Scandaletti regia Natalino Balasso produzione Teatro Stabile del Veneto turni p g v s d DAVID È MORTO DOPPIO SOGNO di Giancarlo Marinelli tratto dall’omonimo racconto di Arthur Schnitzler con Ivana Monti, Caterina Murino, Ruben Rigillo, Rosario Coppolino regia Giancarlo Marinelli produzione Compagnia Molière turni p g v s d turni p v s 12 - 15 novembre 2015 JESSICA AND ME 13 - 17 gennaio 2016 turni p v s d ispirato a Gli sdraiati e Breviario comico di Michele Serra con Claudio Bisio e con i musicisti Laura Masotto, Marco Bianchi regia Giorgio Gallione produzione Fondazione Teatro dell’Archivolto di e con Cristiana Morganti creazione, direzione, coreografia e interpretazione Cristiana Morganti produzione Il Funaro - Pistoia 18 - 22 novembre 2015 MAGAZZINO 18 di e con Simone Cristicchi regia Antonio Calenda produzione Promo Music Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia turni p g v s d 25 - 29 novembre 2015 DECAMERONE VIZI, VIRTÙ, PASSIONI liberamente tratto dal Decamerone di Giovanni Boccaccio con Stefano Accorsi e con Salvatore Arena, Silvia Briozzo, Fonte Fantasia, Mariano Nieddu, Naike Anna Silipo adattamento e regia Marco Baliani produzione Nuovo Teatro Teatro della Pergola di Firenze turni p g v s d 2 - 6 dicembre 2015 TESTAMENTO DI MARIA di Colm Tóibín traduzione e adattamento Marco Tullio Giordana e Marco Parisse con Michela Cescon regia Marco Tullio Giordana produzione Teatro Stabile di Torino Teatro Stabile del Veneto in collaborazione con Zachar Produzioni turni p g v s d FATHER AND SON 9 - 13 marzo 2016 CHI HA PAURA DI VIRGINIA WOOLF? di Edward Albee con Arturo Cirillo, Milvia Marigliano, Valentina Picello, Edoardo Ribatto regia Arturo Cirillo produzione Tieffe Teatro Milano turni p g v s d turni p g v s d 27 - 28 gennaio 2016 6 - 10 aprile 2016 di Anton Čechov con Fausto Russo Alesi, Giovanni Crippa, Ruggero Dondi, Zeno Gabaglio, Mariangela Granelli, Igor Horvat, Emiliano Masala, Maria Pilar Pérez, Giorgia Senesi, Anahi Traversi e con la partecipazione di Antonio Ballerio Maspero regia Carmelo Rifici produzione LuganoInScena di Valerio Massimo Manfredi con Sebastiano Lo Monaco, Maria Rosaria Carli, Turi Moricca, Carlo Calderone regia Alessio Pizzech produzione Sicilia Teatro GABBIANO turni p g 3 - 7 febbraio 2016 I RUSTEGHI di Carlo Goldoni con (in ordine alfabetico) Alessandro Albertin, Alberto Fasoli, Piergiorgio Fasolo, Stefania Felicioli, Cecilia La Monaca, Michele Maccagno, Maria Grazia Mandruzzato, Margherita Mannino, Giancarlo Previati, Francesco Wolf regia Giuseppe Emiliani produzione Teatro Stabile del Veneto L’ULISSE turni p g v s d 21 - 24 aprile 2016 LE SORELLE MACALUSO con Serena Barone, Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Italia Carroccio, Davide Celona, Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Leonarda Saffi, Stephanie Taillandier testo e regia Emma Dante produzione Compagnia Sud Costa Occidentale turni p v s d turni p g v s d 12 - 14 febbraio 2016 IL MONDO NON MI DEVE NULLA di Massimo Carlotto con Pamela Villoresi, Claudio Casadio regia Francesco Zecca produzione Teatro e Società srl turni v s d 4 - 8 maggio 2016 SMITH & WESSON di Alessandro Baricco con Natalino Balasso, Fausto Russo Alesi regia Gabriele Vacis produzione Teatro Stabile del Veneto Teatro Stabile di Torino turni p g v s d TEATRO GOLDONI VENEZIA Prezzi abbonamenti turni P e V ore 20.30, S ore 19.00 - 14 spettacoli intero ridottogiovani platea294,00 266,00 140,00 1° ordine 238,00 210,00 112,00 2° ordine 231,00 203,00 105,00 3° ordine 140,00 112,00 70,00 4° ordine 84,00 56,00 49,00 turno D ore 16.00 - 13 spettacoli intero ridottogiovani platea273,00 247,00 130,00 1° ordine 221,00 195,00 104,00 2° ordine 214,00 188,50 97,50 3° ordine 130,00 104,00 65,00 4° ordine 78,00 52,00 45,50 turno G ore 16.00 - 11 spettacoli interoridottogiovani platea231,00 209,00 110,00 1° ordine 187,00 165,00 88,00 2° ordine 181,50 159,50 82,50 3° ordine 110,00 88,00 55,00 4° ordine 66,00 44,00 38,50 abbonamento POSTO LIBERO 8 ingressi a scelta per gli spettacoli della stagione intero184,00 giovani96,00 Perché abbonarsi • quest’anno abbonarsi è ancora più conveniente: con le nuove tariffe, rispetto all’acquisto dei singoli biglietti, il risparmio va dal 25% a oltre il 50% a seconda del turno e dell’ordine scelto • posto sempre garantito • tariffa speciale per tutti gli spettacoli fuori abbonamento e le rassegne estive • sconti e vantaggi presso i nostri partner Prezzi biglietti per tutti gli spettacoli a esclusione di Father and Son e David è morto intero ridottogiovani platea29,00 26,00 17,00 1° ordine 25,00 22,00 14,00 2° ordine 24,00 21,00 13,00 3° ordine 18,00 15,00 10,00 4° ordine 12,00 10,00 8,00 per lo spettacolo Father and Son intero platea35,00 1° ordine 30,00 2° ordine 29,00 3° ordine 23,00 4° ordine 17,00 ridottogiovani 31,00 22,00 26,00 19,00 25,00 18,00 19,00 15,00 15,00 13,00 per lo spettacolo David è morto intero platea20,00 1° ordine 16,00 2° ordine 15,00 3° ordine 10,00 4° ordine 8,00 ridottogiovani 16,00 10,00 12,00 8,00 10,00 8,00 8,00 4,00 6,00 4,00 INFO riduzioni • ridotto: età superiore a 65 anni e altre riduzioni concesse • giovani: età inferiore a 26 anni campagna abbonamenti • dal 29 giugno al 26 settembre rinnovo con diritto di prelazione a tutti gli abbonati della stagione 2014-2015 • dal 30 settembre al 1° novembre vendita nuovi abbonamenti biglietteria • lunedì - venerdì dalle 10.00 alle 18.30 • 041 2402014 • [email protected] per tutte le altre informazioni www.teatrostabileveneto.it CONTATTI Teatro Goldoni, San Marco 4650/b, 30124 Venezia centralino 041 2402011, fax 041 5205241 [email protected] www.teatrostabileveneto.it TEATRO VERDI PADOVA 4 - 8 novembre 2015 13 - 17 gennaio 2016 9 - 13 marzo 2016 EPOPEA DI TONI SARTANA LA BISBETICA DOMATA DI WILLIAM SHAKESPEARE MESSA ALLA PROVA testo, regia e coreografia Pascal Rambert con (in ordine di apparizione) Anna Della Rosa, Laura Marinoni, Luca Lazzareschi, Giovanni Franzoni produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione LA CATIVISSIMA di e con Natalino Balasso e con (in ordine alfabetico) Francesca Botti, Marta Dalla Via, Andrea Pennacchi, Silvia Piovan, Stefano Scandaletti regia Natalino Balasso produzione Teatro Stabile del Veneto BISBETICA con Nancy Brilli regia Cristina Pezzoli produzione La Pirandelliana DON GIOVANNI di Molière con Alessandro Preziosi, Nando Paone regia Alessandro Preziosi produzione Khora Teatro - Teatro Stabile d’Abruzzo turni b c d e f 20 - 24 gennaio 2016 FATHER AND SON ispirato a Gli sdraiati e Breviario comico di Michele Serra con Claudio Bisio e con i musicisti Laura Masotto, Marco Bianchi regia Giorgio Gallione produzione Fondazione Teatro dell’Archivolto turni b c d e f 25 - 29 novembre 2015 ENRICO IV di Luigi Pirandello con Franco Branciaroli, Melania Giglio, Giorgio Lanza, Antonio Zanoletti regia Franco Branciaroli produzione Centro Teatrale Bresciano Teatro de Gli Incamminati turni b c d h l m 2 - 4 dicembre 2015 DAVID È MORTO un progetto di Babilonia Teatri di Valeria Raimondi e Enrico Castellani parole di Enrico Castellani collaborazione artistica Vincenzo Todesco con (in ordine alfabetico) Chiara Bersani, Emiliano Brioschi, Alessio Piazza, Filippo Quezel, Emanuela Villagrossi produzione Teatro Stabile del Veneto Emilia Romagna Teatro Fondazione turni b c d 9 - 13 dicembre 2015 TESTAMENTO DI MARIA di Colm Tóibín traduzione e adattamento Marco Tullio Giordana e Marco Parisse con Michela Cescon regia Marco Tullio Giordana produzione Teatro Stabile di Torino Teatro Stabile del Veneto in collaborazione con Zachar Produzioni turni b c d e f m turni b c d e f turni b c d h l turni b c d h l m 18 - 22 novembre 2015 LA PROVA 16 - 20 marzo 2016 CHI HA PAURA DI VIRGINIA WOOLF? di Edward Albee con Arturo Cirillo, Milvia Marigliano, Valentina Picello, Edoardo Ribatto regia Arturo Cirillo produzione Tieffe Teatro Milano turni b c d h l m 3 - 7 febbraio 2016 30 marzo - 3 aprile 2016 di Domenico Starnone con (in ordine alfabetico) Vittorio Ciorcalo, Roberto Citran, Marina Massironi, Roberto Nobile, Silvio Orlando, Antonio Petrocelli, Maria Laura Rondanini regia Daniele Luchetti produzione Cardellino srl di Enzo Moscato con Iaia Forte, Roberto De Francesco adattamento e regia Mario Martone produzione Teatro Stabile di Torino LA SCUOLA turni b c d h l m 10 - 14 febbraio 2016 I RUSTEGHI di Carlo Goldoni con (in ordine alfabetico) Alessandro Albertin, Alberto Fasoli, Piergiorgio Fasolo, Stefania Felicioli, Cecilia La Monaca, Michele Maccagno, Maria Grazia Mandruzzato, Margherita Mannino, Giancarlo Previati, Francesco Wolf regia Giuseppe Emiliani produzione Teatro Stabile del Veneto turni b c d e f m 17 - 21 febbraio 2016 SCANDALO di Arthur Schnitzler con Franco Castellano e Stefania Rocca regia Franco Però produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia Artisti Riuniti e Mittelfest 2015 turni b c d h l CARMEN turni b c d e f 20 - 24 aprile 2016 DANZA MACABRA di August Strindberg con Adriana Asti, Giorgio Ferrara, Giovanni Crippa regia Luca Ronconi produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana Spoleto57 Festival dei 2Mondi con la collaborazione di Mittelfest 2014 turni b c d h l 11 - 15 maggio 2016 SMITH & WESSON di Alessandro Baricco con Natalino Balasso, Fausto Russo Alesi regia Gabriele Vacis produzione Teatro Stabile del Veneto Teatro Stabile di Torino turni b c d e f m TEATRO VERDI PADOVA PREZZI ABBONAMENTI primi posti balconata palco pepiano: da n. 1 a n. 31 palco 1° ordine: da n. 5 a n. 27 palco 2° ordine: da n. 8 a n. 24 Perché abbonarsi • rispetto all’acquisto dei singoli biglietti abbonandosi si ottiene un risparmio a partire dal 15% a seconda del turno e dell’ordine scelto • posto sempre garantito • tariffa speciale per tutti gli spettacoli fuori abbonamento • sconti e vantaggi presso i nostri partner 15 spettacoli turni B mercoledì, C giovedì, D venerdì ore 20.45 interogiovani platea, palco pepiano/1° ordine (balconata) 360,00 150,00 palco pepiano/1° ordine (no balconata) 315,00 120,00 palco 2° ordine (balconata) 300,00 120,00 palco 2° ordine (no balconata) 150,00 60,00 galleria 150,0060,00 7 spettacoli turni E e H sabato ore 20.45, F e L domenica ore 16.00 interogiovani platea, palco pepiano/1° ordine (balconata) 175,00 77,00 palco pepiano/1° ordine (no balconata) 154,00 63,00 palco 2° ordine (balconata) 147,00 63,00 palco 2° ordine (no balconata) 77,00 35,00 galleria 77,0035,00 7 spettacoli turno M giovedì ore 16.00 platea, palco pepiano/1° ordine (balconata) palco pepiano/1° ordine (no balconata) palco 2° ordine (balconata) palco 2° ordine (no balconata) galleria intero 112,00 91,00 84,00 56,00 56,00 INFO PREZZI BIGLIETTI intero ridottigiovani platea, palco pepiano/1° ordine (balconata) 29,00 26,00 17,00 palco pepiano/1° ordine (no balconata) 25,00 22,00 14,00 palco 2° ordine (balconata) 24,00 21,00 13,00 palco 2° ordine (no balconata) 18,00 15,00 10,00 galleria 12,0010,00 8,00 prezzi biglietti per gli spettacoli Father and Son e La scuola intero ridottigiovani platea, palco pepiano/1° ordine (balconata) 35,00 31,00 22,00 palco pepiano/1° ordine (no balconata) 30,00 26,00 19,00 palco 2° ordine (balconata) 29,00 25,00 18,00 palco 2° ordine (no balconata) 23,00 19,00 15,00 galleria 17,00 15,0013,00 prezzi biglietti per lo spettacolo David è morto intero ridottigiovani platea, palco pepiano/1° ordine (balconata) 20,00 16,00 10,00 palco pepiano/1° ordine (no balconata) 15,00 12,00 8,00 palco 2° ordine (balconata) 15,00 12,00 8,00 palco 2° ordine (no balconata) 8,00 6,00 4,00 galleria 8,00 6,004,00 riduzioni • ridotto: età superiore a 65 anni e altre riduzioni concesse • giovani: età inferiore a 26 anni campagna abbonamenti • dal 1° luglio al 19 settembre rinnovo con diritto di prelazione a tutti gli abbonati della stagione 2014-2015 • dal 25 al 26 settembre cambi di abbonamento, posti o turni dei posti non rinnovati, a esclusione degli abbonamenti speciali e in promozione • dal 29 settembre vendita nuovi abbonamenti biglietteria • dal 1° luglio al 30 agosto (chiusura estiva dal 10 al 23 agosto): lunedì dalle 14.30 alle 19.00, da martedì a sabato dalle 9.00 alle 13.00 • dal 31 agosto: lunedì dalle 15.00 alle 18.30, da martedì a venerdì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.30, sabato dalle 10.00 alle 13.00 • 049 87770213 - [email protected] per tutte le altre informazioni www.teatrostabileveneto.it contatti Teatro Verdi, via dei Livello 32, 35139 Padova telefono 049 8777011, fax 049 661053 [email protected] www.teatrostabileveneto.it PRODUZIONI 2015-2016 Teatro Goldoni Venezia 28 ottobre - 1 novembre 2015 Teatro Verdi Padova 4 - 8 novembre 2015 Teatro Nuovo Verona 17 - 19 novembre 2015 LA CATIVISSIMA Epopea di Toni Sartana di e con Natalino Balasso e con (ordine alfabetico) Francesca Botti, Marta Dalla Via, Andrea Pennacchi, Silvia Piovan, Stefano Scandaletti regia Natalino Balasso produzione Teatro Stabile del Veneto La Cativìssima. Epopea di Toni Sartana è la prima commedia di un progetto di trilogia che ho preparato per il Teatro Stabile del Veneto. L’idea è quella di creare l’epopea di un personaggio surreale e fuori dagli schemi, Toni Sartana, appunto, il quale non ha mezzi termini, non ha remore morali, è totalmente ignaro di ciò che significa correttezza. Toni Sartana tradisce chiunque pur di raggiungere il suo scopo e il suo scopo si direbbe sconosciuto a lui stesso. Vuole possedere per il semplice gusto del possesso. Per lui le persone, dalla più prossima alla più sconosciuta, sono solo strumenti. Il personaggio di Toni Sartana sarà interpretato da me. Le commedie sono scritte in italiano, ma alcuni personaggi usano un linguaggio che, seppur italiano, è intriso di venetismi e pronunce locali e giungono a creare una di quelle che Pasolini chiamava «le tante lingue dell’italiano». In questa prima commedia assistiamo alla resistibile ascesa di Toni Sartana, da semplice sindaco di un piccolo paese di campagna, fino ai vertici del suo partito, in seno al quale tradirà anche gli amici più fidati pur di diventare la massima carica della Regione Serenissima: Asessore ai Schei. Ma questo non gli basterà, vorrà giungere a conquistare anche la confinante Regione Giulia all’inseguimento del Potere fine a se stesso. In questo clima da fanta-politica, in un tempo non definito, che potrebbe essere il futuro, Toni Sartana riluce come una sorta di Ubu veneto; fa ruotare gli eventi attorno a sè, istigato da una moglie, la signora Lea, che, come una moderna lady Macbeth, è forse più crudele di lui. Tutto questo, com’è prevedibile, porterà ad una rovinosa caduta ma, come Ubu, Sartana ha la consistenza dei pupazzi di gomma, non si fa mai male, casca sempre in piedi. Egli è salvato dalla sua stessa inconsapevolezza. Posso impegnarmi a dire che questa sarà una commedia molto divertente, intrisa di una comicità che non ritengo spocchioso definire tipicamente mia, mista a tratti di amaro e ineluttabile. Ho voluto curare anche la regia di questa commedia perché, per una volta, credo di avere identificato un percorso che somiglia molto a quello che cerco che sia il mio teatro: popolare innanzitutto, perché sono dell’idea che se vogliamo che a teatro ci vadano tutti dobbiamo anche riuscire a parlare a tutti, ma cercando di non essere mai scontato. Natalino Balasso Durata da definire (spettacolo in produzione) Teatro Goldoni Venezia 2 - 6 dicembre 2015 Teatro Verdi Padova 9 - 13 dicembre 2015 Teatro Nuovo Verona 12 - 17 gennaio 2016 IL TESTAMENTO DI MARIA di Colm Tóibín traduzione e adattamento Marco Tullio Giordana e Marco Perisse con Michela Cescon regia Marco Tullio Giordana produzione Teatro Stabile di Torino Teatro Stabile del Veneto in collaborazione con Zachar Produzioni Dopo il grande successo di The Coast of Utopia, prodotto dal Teatro Stabile di Torino nella stagione 2011/2012, si riforma la coppia artistica composta da Marco Tullio Giordana, che da tempo affianca alle regie cinematografiche quelle di prosa, e dalla pluripremiata attrice Michela Cescon. L’incontro avviene attraverso le parole di Colm Tóibín, uno dei maggiori scrittori irlandesi contemporanei, con un passato nell’IRA e un presente di impegno per i diritti gay, che riscrive in questo breve e intenso romanzo il rapporto fra Maria e suo figlio, nei giorni della predicazione alle folle e poi in quelli drammatici della condanna e della crocifissione. È la madre stessa che parla, che ricorda, cercando di accettare il destino atroce che ha colpito il giovane amatissimo figlio e lei stessa. Una Passione in cui la figura di Maria è sola e fortemente umana, lontana dall’agiografia cattolica che la vede dolente e consapevole del grande piano di salvezza di cui il figlio di Dio si è reso protagonista. Scrive Michela Cescon: «Nel progetto di Stoppard ho dovuto rinunciare a stare in scena perché la cura che mi richiedeva la produzione era tanta e impegnativa. Abbiamo cominciato a cercare un testo che avesse quindi un ruolo per me, certi di voler affrontare nuovamente un lavoro sul contemporaneo, ma che avesse sempre le stesse altezze dei classici. Quando ho letto The Testament of Mary di Tóibín ho capito subito che era il testo giusto, mi sono commossa, mi sono sentita avvolta e, chiuso il libro, la mia immagine di Maria non è più stata la stessa. Ho sentito profondamente il tema madre e figlio, come lo narra lo scrittore, dove la personalità, il talento e il forte destino di un ragazzo risultano dolorosamente incomprensibili e inaccettabili da una madre, perché troppo piena di paura e di amore. Sono certa che diretta dal tocco chiaro ed elegante di Giordana arriverò a “pronunciare” queste parole cariche di tenerezza e di rabbia facendo diventare per me e per gli spettatori Il Testamento di Maria un’esperienza importante e che ci riguarda personalmente. Durata da definire (spettacolo in produzione) Teatro Alcione 27 - 28 novembre 2015 Teatro Verdi Padova 2 - 4 dicembre 2015 Teatro Goldoni Venezia 10 -12 dicembre 2015 DAVID È MORTO da un progetto di Babilonia Teatri di Valeria Raimondi e Enrico Castellani parole di Enrico Castellani collaborazione artistica Vincenzo Todesco con (in ordine alfabetico) Chiara Bersani, Emiliano Brioschi, Alessio Piazza, Filippo Quezel, Emanuela Villagrossi produzione Teatro Stabile del Veneto Emilia Romagna Teatro Fondazione David è morto è un progetto originale. Una storia scritta da Babilonia Teatri che sceglie di lavorare con degli attori e scardinare la dinamica di lavoro e di messa in scena della compagnia. Una pièce in cui i piani della narrazione sono molteplici e si intersecano tra di loro senza soluzione di continuità. Una narrazione scanzonata e leggera di una realtà profondamente drammatica. È il racconto di una provincia lasciata a se stessa, dove si corre per non sapere quel che si lascia alle spalle, per non vedere quel c’è attorno, per continuare a sognare un traguardo che non c’è. È una storia grottesca, un’iperbole, che porta all’estremo le dinamiche della nostra società per costruire una vicenda al limite del verosimile. È la storia di una coppia di fratelli che si suicida, di un’intera generazione di ragazzi di un paese che si suicida, uno dopo l’altro, più per noia che per altro. La vicenda si interseca con la storia di un cantante famoso e del suo ex agente, pronti a tutto per soddisfare la loro fame di successo e denaro. DAVID David è morto. Ha chiuso gli occhi e se n’è andato. È rimasto lì, immobile sulla sedia ad aspettare che il suo cuore si fermasse. I battiti hanno cominciato a rallentare. Ad affievolirsi. La testa reclinata in avanti improvvisamente ha ceduto. Il mento si è poggiato sul petto. David è morto. Quella mattina gli suonava bene. C’era l’atmosfera giusta. Si era tagliato la barba. Fatto una doccia. Si era messo il profumo di suo padre. Il profumo che suo padre metteva solo a pasqua e natale. Erano dieci anni che aveva quella cazzo di boccetta di Dolce & Gabbana. La trattava come fosse una reliquia della Madonna. IRIS Iris prima di partire per naia passava le sue giornate davanti al pc. Lo accendeva appena sveglia e lo spegneva prima di andare a letto. Era la sua seconda pelle. Difficile incontrare il suo sguardo nell’arco della giornata. Difficile togliesse gli occhi dallo schermo. Quando abbandonava il computer prendeva in mano il telefono. Cosa ci facesse con l’uno e con l’altro suo padre non riusciva a capirlo. S’incazzava. Ma era anche curioso. Provava un misto di attrazione e repulsione per quegli oggetti a lui insieme così estranei e così familiari. Iris c’aveva provato a spiegargli cosa fosse facebook. Cosa twitter. Cosa linkedin. Ma come glielo spieghi a uno che se gli mandi un messaggio ti dice telefonami che non riesco a leggerlo. ALEX Due anni prima Alex era il numero uno nella classifica e adesso era pronto ad essere dimenticato. Quella canzone. Era stata la sua fortuna e la sua croce insieme. Nuvole. Nuvole parlava di sua madre. Sua madre che era morta e che se ne era andata. Oltre le nuvole. L’avevano amata tutti quella canzone. L’aveva amata suo padre. L’aveva amata il suo pubblico. L’avevano amata i critici che fino ad allora non avevano fatto altro che massacrarlo. L’avevano amata tutte le X tipe che aveva schedato. Era diventata un’ossessione. Tutti ripetevano lo stesso ritornello e a forza di sentirlo era entrato nella sua testa. Trapanava e insisteva come un martello pneumatico. Come un mare le cui onde non trovano mai pace. Alex ha un pensiero. Alex ha un cuore. Alex ha trovato la sua strada. Si era fottuto con le sue stesse mani. LUCAS Gli occhiali scuri, neri, tipo ray-ban, indossati a tutte le ore e in tutti gli ambienti, lasciavano supporre a chi lo incontrava che fossero lì per celare molti segreti e molta vita. Ed era così. Il sigaro acceso. Il giornale aperto davanti. Passava continuamente le mani tra i capelli. Si pettinava, si accarezzava, si sistemava. Si piaceva e se lo diceva. Gli piaceva il suo corpo. Piuttosto minuto, ma proporzionato. Gli piaceva la sua faccia. Tonda ed armonica. Portava sempre un po’ di barba. Sempre della stessa lunghezza. Una barba molto curata e coccolata. Il gioco era questo: tengo la barba in modo da non avere una faccia troppo pulita. Ma sto attento che non sia mai troppo lunga da apparire trasandata, né troppo corta da sembrare una ricrescita non tagliata. Era un equilibrio delicato che nel tempo aveva trovato il suo punto focale. Aveva cambiato diversi barbieri e diversi tagliacapelli. Adesso era soddisfatto. Si radeva da solo col suo philips maximum tripla testina azione rotante che gli regalava delle belle soddisfazioni. ORRANO Il casello dell’autostrada verrà chiuso. L’uscita per Orrano non sarà agibile per tutto l’arco di tempo in cui gireremo. E quando verrà riaperta sul cartello che la indica non apparirà più la semplice scritta Orrano. No. Perchè Orrano non sarà più Orrano. Orrano non esisterà più. Non più come è esistita fino ad oggi. Orrano si trasformerà. La trasformerò. Sul cartello ci sarà scritto: Parco di Orrano. Sarà un cartello marrone di quelli che indicano i monumenti e le attrazioni turistiche. Sarà un marrone tendente all’oro. Un marrone lucido. Vivido. Splendente. Non il solito marrone. Ma sarà marrone. Orrano sarà diventato un grande parco. Un parco turistico. Un parco storico. Un parco divertimenti. Il Parco di Orrano. Il parco dove sono nati, vissuti e morti David ed Iris. Durata da definire (spettacolo in produzione) Debutto nazionale EstateTeatrale Veronese 9 luglio 2015 Teatro Goldoni Venezia 3 - 7 febbraio 2016 Teatro Verdi Padova 10 - 14 febbraio 2016 I RUSTEGHI di Carlo Goldoni con (in odine alfabetico ) Alessandro Albertin, Alberto Fasoli, Piergiorgio Fasolo, Stefania Felicioli, Cecilia La Monaca, Michele Maccagno, Maria Grazia Mandruzzato, Margherita Mannino, Giancarlo Previati, Francesco Wolf scenografia Federico Cautero costumi Stefano Nicolao disegno luci Enrico Berardi musiche Massimiliano Forza, arrangiamenti Fabio Valdemarin regia Giuseppe Emiliani produzione Teatro Stabile del Veneto A tutti quelli che mi chiedono perché io ami così tanto Goldoni rispondo che lo amo perché ogni volta che allestisco un suo testo ho l’impressione che Goldoni non sia stato ancora, fino in fondo, capito. Sono convinto che Goldoni abbia ancora bisogno di essere riletto, interrogato, rappresentato. Anche la commedia I rusteghi, indubbiamente il suo capolavoro, offre continui nuovi spunti di riflessione. Quando la scrive, nel 1760, Goldoni è un intellettuale sempre più lucido, aperto alle esperienze e alla cultura europea (nel 1760 avverrà il famoso contatto epistolare con Voltaire), più filosofo insomma, nel senso settecentesco del termine. I rusteghi nascono anche da questa attenzione ai “lumi” che vengono dall’Europa, e permettono un giudizio più ampio sulla società veneziana. Una commedia di rara felicità espressiva, di straordinaria abilità scenica, di grande sapienza linguistica. Un’esplosione gioiosa d’inventività a ogni gesto e battuta. Una commedia in cui l’autore affonda il bisturi sulla città che lo circonda, utilizzando con consumata maestria tutte le risorse del suo laboratorio drammaturgico e della sua lingua straordinaria. Goldoni costruisce il suo componimento con un rigore raramente eguagliato in altri testi, concentrando l’azione in un lasso di tempo minimo (una mezza giornata) che subisce un’accelerazione impercettibile ma costante fino alla frenesia della gran scena finale. L’azione si svolge tutta in interni, gli unici spazi possibili per i quattro rusteghi, quattro uomini alle prese con un eros inquieto e perturbante, con famiglie difficili da governare e con affari ancora prosperi ma già minacciati di crisi. Ambiguità, insicurezza, irresolutezza, nevrosi caratterizzano questi despoti improbabili, arroccati nella difesa a oltranza del passato contro ogni minaccia di novità. Netta è la polemica di Goldoni con il conservatorismo ormai rozzo della classe cui appartiene e in cui ha per molto tempo ciecamente creduto. Il mercante lucido e avveduto, che per lunghi anni, nei panni di Pantalone, aveva impersonato il prototipo di un individuo socialmente responsabile, consapevole dell’interesse proprio e altrui, aperto e illuminato, si è ormai svilito a una caricatura di se stesso. Chiuso nella propria casa, gelosamente attaccato al proprio meschino tornaconto, si rifiuta di concedere a chi gli è sottomesso (le donne e i figli) qualunque autonomia di comportamento. Se i rusteghi tendono a chiudersi dentro le loro case come in una fortezza impenetrabile, le donne guardano alla vita, all’esterno, ai contatti sociali, ai doveri dell’amicizia e della parentela, ai diritti del sentimento. I rusteghi no. Si sentono minacciati dai grandi rivolgimenti che stanno per toccare Venezia e riescono a esistere soltanto nel chiuso delle loro mura domestiche, dove agiscono con prepotenza insopportabile vietando visite, divertimenti, sprechi e frivolezze e ogni minima forma di ozio, soprattutto il teatro. Il teatro è aborrito e temuto dai rusteghi: lo considerano luogo di corruzione e di spreco, come il carnevale che c’è fuori e a cui è vietato partecipare. Il carnevale negato, tuttavia, alla fine irrompe lo stesso nelle stanze serrate e austere dei rusteghi, con tutta la sua carica di comicità trasgressiva. Il conte Riccardo, un avventuriero onorato, accompagnerà nella casa-fortezza di Lunardo, il giovane promesso sposo Felippetto mascherato da donna, contento di verificare il gusto tutto veneziano di fondere gioco ed esistenza, felice di “godere della più bella commedia di questo mondo”. I rusteghi non sono soltanto uno spaccato d’interno borghese, ma la messa in evidenza di un rapporto continuo tra questo interno e una città che penetra in esso nonostante l’ideale di claustrazione che domina i rusteghi. Il teatro penetra nel chiuso mondo domestico, sommuovendolo dall’interno, smascherandone le contraddizioni: per affermare, insomma, il proprio potere demiurgico. Goldoni riesce a costruire, nel modo insieme più naturale e raffinato, una struttura comica omogenea e pur fondata su sottili differenze (sociali, familiari, di sesso e di generazioni). Lunardo si presenta con due donne giovani in casa (la figlia e la seconda moglie), fin troppo “desmesteghe” per lui. Maurizio, vedovo, presenta, per opposizione, un mondo senza donne. È il rustego apparentemente più favorito, il più silenzioso, austero. Simon costituisce con Marina una coppia solitaria, legata da una lunga consuetudine di reciproca aggressività. Canciano, infine, costituisce con donna Felice la coppia più civile, proprio perché il rapporto tende a rovesciarsi, rendendo Canciano il rustego più velleitario e represso. Il gioco mutevole dei personaggi e tra i personaggi è affidato soprattutto al linguaggio, alla grande energia verbale. Non c’è nei Rusteghi una sola battuta sbagliata. Famosa è “la renga” finale di siora Felice, quasi portavoce dell’autore: bella, elegante, più ricca delle altre donne per retaggio famigliare, sa parlare con proprietà ed è abile a dominare il marito e i suoi temibili compari. La sua forza sta nel possesso pieno dello strumento della retorica. È lei il personaggio che più strettamente si lega al grande motivo metaforico che percorre la commedia: quella del teatro. È subito avvertibile, sin dalle prime battute, che alla base della commedia ci sia una sorta di allegra e sicura provocazione del Teatro - per usare i termini notissimi dell’autore - rispetto al Mondo che tende a esorcizzarlo come un rito pericoloso e inutile. Il pubblico, sin dall’inizio, viene coinvolto in questa provocazione: “Debotto xe fenio el carneva l- osserva Lucietta - gnanca una strazza de comedia no avemo visto”… La commedia si avvia quindi come discorso sul teatro. Tra le improvvisazioni di siora Felice, simbolo esplicito dell’autore in quanto regista della “commedia”, e lo spasso di Riccardo, rappresentante pure esplicito del pubblico sulla scena, si muove l’invenzione sicura del Goldoni. Nei Rusteghi traspare la sua maggiore fiducia nelle capacità del teatro di affermare la propria funzione sociale e civile. Un teatro moderno. Perché in questo universo domestico di rancori e ossessioni, non ci sono alla fine né cordialità né riscatti: solo l’ effimera tenerezza della scena nuziale conclusiva, che non reca un vero sollievo. La commozione finale dei quattro rusteghi, occasionalmente sconfitti, non prelude a significativi cambiamenti. Ed è questa la sottile crudeltà sottesa alla commedia. E la sua straordinaria modernità. Giuseppe Emiliani Durata da definire (spettacolo in produzione) Teatro Goldoni Venezia 4 - 8 maggio 2016 Teatro Verdi Padova 11 - 15 maggio 2016 SMITH & WESSON di Alessandro Baricco con (in ordine alfabetico) Natalino Balasso, Fausto Russo Alesi e cast in via di definizione regia Gabriele Vacis produzione Teatro Stabile del Veneto Teatro Stabile di Torino Tom Smith e Jerry Wesson si incontrano davanti alle cascate del Niagara nel 1902. Nei loro nomi e nei loro cognomi c’è il destino di un’impresa da vivere. E l’impresa arriva insieme a Rachel, una giovanissima giornalista che vuole una storia memorabile, e che, quella storia, sa di poterla scrivere. Ha bisogno di una prodezza da raccontare, e prima di raccontarla è pronta a viverla. Per questo ci vogliono Smith e Wesson, la coppia più sgangherata di truffatori e di falliti che Rachel può legare al suo carro di immaginazione e avventura. Ci vuole anche una botte, una botte per la birra, in cui entrare e poi frasi Trascinare dalla corrente. Nessuno lo ha mai fatto. Nessuno è sceso giù dalle cascate del Niagara dentro una botte di birra. È il 21 giugno 1902. Nessuno potrà mai più dimenticare il nome di Rachel Green? E sarà veramente lei a raccontarla quella storia? Alessandro Baricco Durata da definire (spettacolo in produzione) PRODUZIONI IN TOURNÉE 2015-2016 I Rusteghi Dal 9 al 14 luglio 2015 Estate Teatrale Veronese (debutto) Dal 3 al 7 febbraio 2016 Teatro Goldoni, Venezia Dal 10 al 14 febbraio 2016 Teatro Verdi, Padova Dal 17 al 21 febbraio 2016 Teatro Politeama Rossetti, Trieste 23 febbraio 2016 Teatro Fabbri, Vignola Dal 25 al 28 febbraio 2016 Teatro Bonci, Cesena Dal 3 al 6 marzo 2016 Teatro Metastasio, Prato Dal 9 al 13 marzo 2016 Teatro Sociale, Brescia LA CATIVISSIMA Epopea di Toni Sartana Dal 28 ottobre al 1 novembre 2015 (debutto) Teatro Goldoni, Venezia Dal 4 all’8 novembre 2015 Teatro Verdi, Padova Dal 17 al 19 novembre 2015 Teatro Nuovo, Verona Dal 23 al 24 novembre 2015 Teatro Lac, Lugano Dal 26 novembre al 6 dicembre 2015 Teatro Menotti, Milano 9 dicembre 2015 Teatro Odeon, Lumezzane Dal 11 al 12 dicembre Teatro Comunale, Monfalcone Dal 19 al 20 gennaio 2016 Teatro Cristallo, Bolzano Dal 29 al 31 gennaio 2016 Teatro Masini, Faenza Dal 2 al 7 febbraio 2016 Teatro Fonderie Limoni, Torino Entrambe le tournée sono in fase di definizione OSPITI 2015-2016 JESSICA AND ME di e con Cristiana Morganti creazione, direzione, coreografia e interpretazione Cristiana Morganti collaborazione artistica Gloria Paris disegno luci Laurent P. Berger video Connie Prantera consulenza musicale Kenji Takagi editing musica Bernd Kirchhoefer direttore tecnico Jacopo Pantani suono Simone Mancini produzione Il Funaro - Pistoia Lei vuole che io danzi, oppure vuole che io parli? Dietro questa domanda, rivolta da Cristiana Morganti a uno spettatore, si cela una delle chiavi di lettura di Jessica and me. In questo spettacolo la storica danzatrice del Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch, giunta a un momento importante del suo percorso, si ferma a riflettere su se stessa: sul rapporto con il proprio corpo e con la danza, sul significato dello stare in scena, sul senso dell’“altro da sé“ che implica il fare teatro. Ne risulta una sorta di autoritratto idealmente a due voci (“Jessica and me”, appunto) di efficace e spiazzante ironia, dove Cristiana rivela ciò che accade nel backstage del suo percorso professionale. Un puzzle di gesti, ombre, muscoli, tenacia, spavalderia, timidezza, ricordi e progetti. Avevo bisogno di buttare uno sguardo indietro per potermi proiettare in avanti – sostiene Cristiana Morganti – Lavoro a Wuppertal da vent’anni e vivo in Germania da quasi trenta... Fondamentalmente volevo capire chi sono diventata nel frattempo. Attrice-ballerina di irresistibile talento e di vivida comicità, la Morganti unisce una furia d’amazzone mediterranea all’innocenza stupefatta di un clown. Cristiana si mostrerà pronta a giocare col “dentro” e il “fuori” del teatro, ora tuffandosi nel movimento, ora osservando se stessa dall’esterno con humor feroce. La sfida sta nel ricostruire, lungo una confessione poetica e spiazzante, il filo della memoria, dal suo rapporto complesso con la danza classica (frequentata negli studi giovanili) fino all’incontro fatidico con Pina Bausch. Il tutto in un mix di interventi video, costumi evocativi del mondo del balletto e musiche che mescolano l’alto e il basso, il classico e il pop. Una fiaba irriverente su Cristiana allo specchio. Leonetta Bentivoglio «il Venerdì di Repubblica» Durata 70’ atto unico DON GIOVANNI di Molière traduzione e adattamento Tommaso Mattei con Alessandro Preziosi, Nando Paone e con Lucrezia Guidone, Barbara Giordano, Roberto Manzi, Daniele Paoloni, Daniela Vitale, Matteo Guma scene Fabien Iliou costumi Marta Crisolini Malatesta musiche originali Andrea Farri luci Valerio tiberi supervisione artistica Alessandro Maggi regia Alessandro Preziosi produzione Khora.teatro e Teatro Stabile d’Abruzzo Le versioni del mito di Don Giovanni sono ben superiori alle donne sedotte dall’ammaliatore sivigliano e contano oltre 4000 riscritture. Numerosissime erano state le rappresentazioni teatrali con protagonista questo personaggio, la cui immensa fortuna letteraria era cominciata nel 1630, quando Tirso de Molina, probabilmente ispirandosi a racconti popolari che utilizzavano i padri Gesuiti, negli spettacoli edificanti dei loro piccoli allievi facendone il prototipo dell’eretico blasfemo per definizione, scrisse il suo Burlador de Sevilla. Venne in seguito ripreso dalla Commedia dell’Arte italiana, che lo incluse nel suo repertorio accentuando gli aspetti più comici della vicenda. Molière, attinge a queste fonti italiane e le rielabora per ricavarne un suo personale Don Giovanni, ritraendolo come un personaggio raffinato, cinico, dissacrante, in aperta opposizione con le convenzioni sociali, pronto a burlarsi anche della religione. Nella scelta del Don Giovanni Khora.teatro ha intravisto nella compresenza di toni drammatici e comici, un materiale drammaturgico teso a coniugare l’esaltazione ed il senso tragico del personaggio archetipico, mito dell’individualismo moderno, e le mirabili leve sulle parti comiche, necessarie per meglio andare incontro al gusto del pubblico, il testo ideale nel compimento di una particolarissima trilogia di ambientazione seicentesca, Amleto, Cyrano, Don Giovanni. Il Don Giovanni di Moliere non è un banale donnaiolo, collezionista di femmine per sfogo fisiologico o edonistico svago, ma a dominare è una volontà di potenza, di affermazione di sé che nasce da un vuoto esistenziale, da una sorta di noia metafisica, e insieme da un timore di fallimento, un Don Giovanni che ormai, prossimo al termine della sua carriera, sembra quasi svelare la maschera ipocrita della cinica empietà, per smascherare i cattivi pensieri e le ipocrisie della società in cui viviamo. La scelta artistica prende le mosse non solo dalla straordinaria contemporaneità del classico la cui rilettura si rende necessaria in considerazione del dilagante relativismo dell’attuale società in cui impera l’immagine fine a se stessa e si continua a riscontrare il totale sgretolamento dei valori, ma soprattutto nell’ottica della messa in scena come un omaggio sentito e coraggioso alla scrittura, al fascino dell’immaginazione e soprattutto al Teatro, in tutte le sue forme. Durata 2h 15’ con intervallo MAGAZZINO 18 di e con Simone Cristicchi scritto con Jan Bernas musiche e canzoni inedite Simone Cristicchi musiche di scena e arrangiamenti Valter Sivilotti registrate dalla FVG Mitteleuropa Orchestra scene Paolo Giovanazzi luci Nino Napoletano regia Antonio Calenda produzione: Promo Music - Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia Al Porto Vecchio di Trieste c’è un “luogo della memoria” particolarmente toccante. Racconta di una pagina dolorosissima della storia d’Italia, di una vicenda complessa e mai abbastanza conosciuta del nostro Novecento. Ed è ancor più straziante perché affida questa “memoria” non a un imponente monumento o a una documentazione impressionante, ma a tante piccole, umili testimonianze che appartengono alla quotidianità. Una sedia, accatastata assieme a molte altre, porta un nome, una sigla, un numero e la scritta “Servizio Esodo”. Simile la catalogazione per un armadio, e poi materassi, letti, stoviglie, fotografie, poveri giocattoli, altri oggetti, altri numeri, altri nomi… Oggetti comuni che accompagnano lo scorrere di tante vite: uno scorrere improvvisamente interrotto dalla Storia, dall’esodo. Con il trattato di pace del 1947 l’Italia perdette vasti territori dell’Istria e della fascia costiera, e circa 300 mila persone scelsero – davanti a una situazione intricata e irta di lacerazioni – di lasciare le loro terre natali destinate ad essere jugoslave e proseguire la loro esistenza in Italia. Non è facile riuscire davvero a immaginare quale fosse il loro stato d’animo, con quale sofferenza intere famiglie impacchettarono tutte le loro poche cose e si lasciarono alle spalle le loro città, le case, le radici. Davanti a loro difficoltà, povertà, insicurezza, e spesso sospetto. Simone Cristicchi è rimasto colpito da questa scarsamente frequentata pagina della nostra storia ed ha deciso di ripercorrerla in un testo che prende il titolo proprio da quel luogo nel Porto Vecchio di Trieste, dove gli esuli – senza casa e spesso prossimi ad affrontare lunghi periodi in campo profughi o estenuanti viaggi verso lontane mete nel mondo – lasciavano le loro proprietà, in attesa di poterne in futuro rientrare in possesso: il Magazzino 18. Coadiuvato nella scrittura da Jan Bernas e diretto dalla mano esperta di Antonio Calenda, Cristicchi partirà proprio da quegli oggetti privati, ancora conservati al Porto di Trieste, per riportare alla luce ogni vita che vi si nasconde: la narrerà schiettamente e passerà dall’una all’altra cambiando registri vocali, costumi, atmosfere musicali, in una koinée di linguaggi che trasfigura il reportage storico in una forma nuova, che forse si può definire “Musical-Civile”. E sarà evocata anche la difficile situazione degli italiani “rimasti” in quelle terre, o quella gravosa dell’operaio monfalconese che decide di andare in Jugoslavia, o del prigioniero del lager comunista di Goli Otok… Lo spettacolo sarà punteggiato da canzoni e musiche inedite di Simone Cristicchi, eseguite dal vivo. Con Magazzino 18, lo Stabile del Friuli Venezia Giulia ripete la felice esperienza già vissuta in partnership con Promo Music in occasione della messinscena nel 2004 di Variazioni sul cielo di e con l’astrofisica Margherita Hack e Sandra Cavallini. Durata 100’ atto unico DECAMERONE vizi, virtù, passioni liberamente tratto dal Decamerone di Giovanni Boccaccio con Stefano Accorsi e con Salvatore Arena, Silvia Briozzo, Fonte Fantasia, Mariano Nieddu, Naike Anna Silipo drammaturgia Maria Maglietta scene e costumi Carlo Sala disegno luci Luca Barbati assistente scene e costumi Roberta Monopoli aiuto alla regia Maria Maglietta adattamento e regia Marco Baliani produzione Nuovo Teatro - Teatro della Pergola di Firenze Le storie servono a rendere il mondo meno terribile, a immaginare altre vite, diverse da quella che si sta faticosamente vivendo. Le storie servono ad allontanare, per un poco di tempo, l’alito della morte. Finché si racconta, e c’è una voce che narra siamo ancora vivi, lui o lei che racconta e noi che ascoltiamo. Per questo nel Decamerone ci si sposta da Firenze verso la collina e lì si principia a raccontare. La città è appestata, servono storie che facciano dimenticare, storie di amori, erotici, furiosi, storie grottesche, paurose, purché siano storie, e raccontate bene, perché la morte là fuori si avvicina con denti affilati e agogna la preda. Abbiamo scelto di raccontare alcune novelle del Decamerone di Boccaccio perché oggi ad essere appestato è il nostro vivere civile. Percepiamo i miasmi mortiferi, le corruzioni, gli inquinamenti, le mafie, l’impudicizia e l’impudenza dei potenti, la menzogna, lo sfruttamento dei più deboli, il malaffare. In questa progressiva perdita di un civile sentire, ci è sembrato importante far risuonare la voce del Boccaccio attraverso le nostre voci di teatranti. Per ricordare che possediamo tesori linguistici pari ai nostri tesori paesaggistici e naturali, un’altra Italia, che non compare nei bollettini della disfatta giornaliera con la quale la peste ci avvilisce. Per raccontarci storie che ci rendano più aperti alla possibilità di altre esistenze, fuori da questo reality in cui ci ritroviamo a recitare come partecipanti di un globale Grande Fratello. Perché anche se le storie sembrano buffe, quegli amorazzi triviali, quelle strafottenti invenzioni che muovono al riso e allo sberleffo, mostrano poi, sotto sotto, il mistero della vita stessa o quell’amarezza lucida che risveglia di colpo la coscienza. Potremmo così scoprire che il re è nudo, e che per liberarci dall’appestamento, dobbiamo partire dalle nostre fragilità e debolezze, riconoscerle e riderci sopra, magari digrignando i denti. Marco Baliani durata 1h 45’ atto unico ENRICO IV di Luigi Pirandello con Franco Branciaroli, Melania Giglio, Giorgio Lanza, Antonio Zanoletti, Sebastiano Bottari, Andrea Carabelli, Tommaso Cardarelli, Pier Paolo D’Alessandro, Daniele Griggio, Mattia Sartori, Valentina Violo scene e costumi Margherita Palli luci Luigi Saccomandi regia Franco Branciaroli produzione Centro Teatrale Bresciano - Teatro de Gli Incamminati Franco Branciaroli, dopo i recenti successi ottenuti con Servo di scena, Il Teatrante e Don Chisciotte, continua la sua indagine sui grandi personaggi del teatro portando sulla scena l’Enrico IV, dramma in 3 atti di Luigi Pirandello, scritto nel 1921 e rappresentato per la prima volta il 24 febbraio 1922 al Teatro Manzoni di Milano. Considerato il capolavoro teatrale di Pirandello insieme a Sei personaggi in cerca di autore, Enrico IV è uno studio sul significato della pazzia e sul tema caro all’autore del rapporto, complesso e alla fine inestricabile, tra personaggio e uomo, finzione e verità. In una lettera che Pirandello scrive a Ruggero Ruggeri – uno degli attori più noti dell’epoca – il drammaturgo agrigentino dopo avergli raccontato la trama, conclude dicendogli che vede in lui il solo attore in grado d’interpretare e dare corpo e anima al ruolo del titolo. Scrive infatti: «Circa vent’anni addietro, alcuni giovani signori e signore dell’aristocrazia pensarono di fare per loro diletto, in tempo di carnevale, una “cavalcata in costume” in una villa patrizia: ciascuno di quei signori s’era scelto un personaggio storico, re o principe, da figurare con la sua dama accanto, regina o principessa, sul cavallo bardato secondo i costumi dell’epoca. Uno di questi signori s’era scelto il personaggio di Enrico IV; e per rappresentarlo il meglio possibile, s’era dato la pena e il tormento d’uno studio intensissimo, minuzioso e preciso, che lo aveva per circa un mese ossessionato. […] Senza falsa modestia, l’argomento mi pare degno di Lei e della potenza della Sua arte». Il personaggio di Enrico IV, del quale magistralmente non ci viene mai svelato il vero nome, quasi a fissarlo nella sua identità fittizia, è descritto minuziosamente da Pirandello. Enrico è vittima non solo della follia, prima vera poi cosciente, ma dell’impossibilità di adeguarsi a una realtà che non gli si confà più, stritolato nel modo di intendere la vita di chi gli sta intorno e sceglie quindi di “interpretare” ruolo fisso del pazzo. Durata 2h 15’ con intervallo BISBETICA La Bisbetica domata di William Shakespeare messa alla prova traduzione e drammaturgia Stefania Bertola con Nancy Brilli e con Matteo Cremon, Federico Pacifici, Gianluigi Igi Meggiorin, Gennaro Di Biase, Anna Vinci, Dario Merlini, Brenda Lodigiani, Stefano Annoni e nel ruolo del Dr. Jolly Valerio Santoro scenografia Giacomo Andrico costumi Nicoletta Ercole luci Massimo Consoli musiche Alessandro Nidi regia Cristina Pezzoli produzione La pirandelliana Un classico senza tempo, ineguagliato capolavoro di William Shakespeare che una rappresentazione travolgente e colorata da elementi popolari ed echi della commedia dell’arte ne fanno un evento da non perdere. Attraverso il gioco metateatrale la chiave registica sostituisce allo Sly di Shakespeare tutta la compagnia facendola diventare il gruppo di attori che metterà in scena La Bisbetica domata. Tutta la vicenda sarà arricchita da una verve comica che guiderà in modo parallelo i destini degli attori della compagnia e dei personaggi della commedia. L’immediatezza del linguaggio musicale si sposerà perfettamente con i gusti anche di un pubblico di giovanissimi perché sarà una messa in scena, originale di grande impatto visivo. Il numeroso cast darà vita a un doppio spettacolo in cui ogni ciascuno sarà sia attore della compagnia che personaggio di Shakespeare. Una commedia nella commedia ma divertente, ricca di colpi di scena e che, col sorriso, porta a riflettere sui rapporti uomo-donna, un’occasione unica per vivere l’allegria, l’ironia e lo stupore con cui la Bisbetica Domata è diventata un cult. Senza tradire mai la commedia originale di Shakespeare si darà vita a una rivisitazione in grado di affascinare lo spettatore restituendo la contemporaneità di questo autore senza tempo. Per l’allestimento di questa nuova produzione abbiamo deciso di affidare a un punto di vista femminile la trasposizione di una delle commedie più famose di Shakespeare: Cristina Pezzoli è colei che grazie a un’originale chiave registica porterà in scena questo nuovo allestimento. Il titolo dell’opera è noto quanto la trama. La vicenda ha per protagonisti una serie di personaggi che si districano in un frizzante crogiuolo di equivoci e travestimenti. Ben nota per il suo carattere intrattabile, Caterina fatica a trovare pretendenti e quindi marito, a differenza della sorella minore Bianca, apparentemente dolce e mansueta, bramata da Gremio e Ortensio. Il padre delle ragazze, il nobile e avido Battista, decide dunque che nessun uomo avrà la più giovane finché la primogenita non si sarà accasata. Così gli zelanti corteggiatori fanno combutta e convincono il veronese Petruccio a chiedere in moglie Caterina incoraggiandolo con la prospettiva della dote. La storia narra una serie di trattative al rialzo che dimostrano quanto il padre delle ragazze veda in loro poco più che un fattore di guadagno. Confrontarsi con un classico pone sempre la questione sulla sua contemporaneità. In questo caso c’è una sfida in più da affrontare per proporre una versione di questa commedia che ha insita nel testo una visione fortemente legata a un’ottica maschile in cui la donna trova realizzazione, assoluzione ai suoi traviamenti uterini nel matrimonio, nell’auspicabile rettitudine di una devozione all’autorità del marito. È vero pure che la narrazione beneficia di una serie di astuzie provenienti dai lasciti della Commedia dell’Arte, in grado di innescare situazioni pungenti, vivaci ed esilaranti. Quando Shakespeare scrisse la commedia, la condizione femminile non era molto favorita per l’epoca in cui si viveva; tuttavia l’autore ha voluto dimostrare il suo disappunto sui matrimoni combinati che non erano altro che accordi economici, mettendo invece in risalto il diritto di poter decidere della propria vita. Durata da definire (spettacolo in produzione) FATHER AND SON ispirato a Gli Sdraiati e Breviario comico di Michele Serra con Claudio Bisio e con i musicisti Laura Masotto violino, Marco Bianchi chitarra scene e costumi Guido Fiorato musiche Paolo Silvestri luci Aldo Mantovani regia Giorgio Gallione produzione Fondazione Teatro dell’Archivolto Father and son racconta il rapporto padre/figlio radiografato senza pudori e con un linguaggio in continua oscillazione tra l’ironico e il doloroso, tra il comico e il tragico. È una riflessione sul nostro tempo inceppato e sul futuro dei nostri figli, sui concetti – entrambi consumatissimi – di libertà e di autorità, che rivela in filigrana una società spaesata e in metamorfosi, ridicola e zoppa, verbosa e inadeguata. Una società di “dopo-padri”, educatori inconcludenti e nevrotici, e di figli che preferiscono nascondersi nelle proprie felpe, sprofondare nei propri divani, circondati e protetti dalle loro protesi tecnologiche, rifiutando o disprezzando il confronto. Da questa assenza di rapporto nasce un racconto beffardo e tenerissimo, un monologo interiore (ovviamente del padre, verboso e invadente quanto il figlio è muto e assente) a tratti spudoratamente sincero. La forza satirica di Serra si alterna a momenti lirici e struggenti, con la musica in continuo dialogo con le parole. La società dalla quale i ragazzi si defilano è disegnata con spietatezza e cinismo: ogni volta che la evoca, il padre si rende conto di offrire al figlio un ulteriore alibi per la fuga. È una società ritorta su se stessa, ormai quasi deforme, dove si organizza il primo Raduno Nazionale degli Evasori Fiscali, si medita di sostituire al Porcellum il ben più efferato Sputum, dove non è chiaro se i vecchi lavorano come ossessi pur di non cedere il passo ai giovani o se i giovani si sdraiano perché è più confortevole che i vecchi provvedano a loro. In Father and son inventiva sfrenata, comicità, brutalità, moralità sono gli ingredienti di un irresistibile soliloquio che permettono a Claudio Bisio, al suo attesissimo ritorno sulla scena, di confrontarsi con un testo di grande forza emotiva e teatrale, comica ed etica al tempo stesso. Durata 1h 30’ atto unico GABBIANO di Anton Cechov con Fausto Russo Alesi, Giovanni Crippa, Ruggero Dondi, Zeno Gabaglio, Mariangela Granelli, Igor Horvat, Emiliano Masala, Maria Pilar Pérez, Giorgia Senesi, Anahi Traversi e con la partecipazione di Antonio Ballerio Maspero scene Margherita Palli costumi Margherita Baldoni musiche Zeno Gabaglio luci Jean-Luc Channonat regia Carmelo Rifici produzione LuganoInScena Perché scegliere di fare Gabbiano? È la domanda che continuo a farmi, alla quale non ho risposta. Almeno non una. Intanto è un Classico e questo mi permette di lavorare sulla memoria di un testo che ho sempre amato, su cui ho sempre lavorato, sul quale ho fatto centinaia di ipotesi, che ogni volta cambiano e si contraddicono. In secondo luogo mi viene da dire che Gabbiano parla di cose che tutti sanno: di rapporti familiari, di conflitti e di delusioni, senza averne consapevolezza. Entrare in un mondo familiare e vedere che ogni volta ti mostra qualcosa che non avevi notato dà la curiosa sensazione di visitare un universo conosciuto e, al tempo stesso, misterioso: «Cechov è talmente semplice che fa paura», diceva Gor’kij. Gabbiano è veramente un testo misterioso: ci mostra un’umanità, una famiglia che non riesce mai a essere sincera e che, per riuscire a convivere, deve continuamente mentire e immaginarsi di essere qualcosa che non è. Nel momento però che una cosa è immaginata, non diventa comunque vera? In Gabbiano tutti si rappresentano, anzi sono tutti ossessionati dalla rappresentazione. Si impegnano a vivere una vita che non è la loro e tentano di eternarla, di renderla un presente continuo. Non sarà perché tentano disperatamente di fermare la vita e il bloccare dentro di loro il sinistro desiderio di voler uscire, volare via per fare parte di qualcosa di più grande? Kostantin, nel suo testo, parla di un’anima universale che tutto ingloba; il medico Dorn parla del destino dell’umanità di ricongiungersi, prima o dopo, ad un tutto. Nina dice: «pensano che io voglia fare l’attrice, ma io sono attratta dal lago, come un gabbiano». «Anche lo spirito è fatto di materia», dice il maestro Medvedenko. Teatro e mistero, verità e sogno. Non a caso i protagonisti sono attori, scrittori, registi, e l’umanità che gira intorno a loro, fatta di contadini, di lavoratori, non sogna altro che essere attori e scrittori. Ossessione della rappresentazione di sé. I personaggi recitano su un palcoscenico che si specchia in un lago che mostra a sua volta la loro misera umanità e l’incapacità di volare in alto. Il lago li attrae verso il basso. Il lago: l’etimologia della parola viene dal latino Lacus e significa cavità, spaccatura, incavo riempito d’acqua, che lega anche con laké, il baratro. Se la parola fosse presa nel suo significato simbolico, potremmo dire che chi vive vicino ad un lago vive su una spaccatura, su un baratro. Il lago, quindi, condiziona le vite di chi lo abita, di chi lo affronta. L’incavo è però riempito d’acqua dolce, piatta, che fa da specchio. Per questo, spesso, il lago diventa anche sinonimo di occhio, è l’occhio (profondo) dentro il quale ci si specchia. Il teatro è il grande specchio del mondo. Non potrebbe essere che il lago e il teatro in Cechov siano la stessa cosa? Non potrebbe essere che è la rappresentazione a spingere l’uomo verso il baratro e a impedirgli di spiccare il volo verso l’alto? Ma l’ossessione alla rappresentazione non è comunque un tentativo dell’uomo di sconfiggere la morte? Immaginarsi di essere altro da sé e dare corpo all’immaginazione, non è un modo per lasciare delle tracce nel mondo? Carmelo Rifici Durata da definire (spettacolo in produzione) LA SCUOLA di Domenico Starnone con Silvio Orlando, Vittorio Ciorcalo, Roberto Citran, Marina Massironi, Roberto Nobile, Antonio Petrocelli, Maria Laura Rondanini scene Giancarlo Basili, disegnatore luci Pasquale Mari costumi Maria Rita Barbera, assistente alla regia Riccardo Sinibaldi macchinista Franco Dottori, elettricista Giuseppe De Gennaro sarta Piera Mura, segretaria di compagnia raffaella Gagliano fotografo di scena Giampaolo Demma, ufficio stampa Giulia Calligaro scenotecnica Mekane, consulenza organizzativa e organizzativa Teresa Rizzo regia Daniele Luchetti produzione Cardellino srl Era il 1992, anno in cui debuttò Sottobanco, spettacolo teatrale interpretato da un gruppo di attori eccezionali capitanati da Silvio Orlando e diretti da Daniele Luchetti. Lo spettacolo divenne presto un cult, antesignano di tutto il filone di ambientazione scolastica tra cui anche la trasposizione cinematografica del 1995 della stessa pièce che prese il titolo La scuola. Fu uno dei rari casi in cui il cinema accolse un successo teatrale e non viceversa. Lo spettacolo era un dipinto della scuola italiana di quei tempi e al tempo stesso un esempio quasi profetico del cammino che stava intraprendendo il sistema scolastico. «Ho deciso di riportare in scena lo spettacolo più importante della mia carriera; fu un evento straordinario, entusiasmante, con una forte presa sul pubblico», dice Silvio Orlando. A vent’anni di distanza è davvero interessante fare un bilancio sulla scuola e vedere cos’è successo poi. Il testo è tratto dalla produzione letteraria di Domenico Starnone. Siamo in tempo di scrutini in IV D. Un gruppo di insegnanti deve decidere il futuro dei loro studenti. Di tanto in tanto, in questo ambiente circoscritto, filtra la realtà esterna. Dal confronto tra speranze, ambizioni, conflitti sociali e personali, amori, amicizie e scontri generazionali, prendono vita personaggi esilaranti, giudici impassibili e compassionevoli al tempo stesso. Il dialogo brillante e le situazioni paradossali lo rendono uno spettacolo irresistibilmente comico. Durata 2h 15’ con intervallo IL MONDO NON MI DEVE NULLA di Massimo Carlotto con Pamela Villoresi, Claudio Casadio regista assistente Ilaria Genatiempo scene Gianluca Amodio musiche Paolo Daniele costumi Lucia Mariani disegno luci Alberto Biondi disegni Laura Riccioli regia Francesco Zecca produzione Teatro e società srl Avete mai sentito parlare dell’attrazione del vuoto? Si dice che sia inspiegabile, perché tocca corde sopite che hanno a che fare con la coscienza, chiede attenzione e sensibilità. Quando si parla di vuoto si parla di una forza centripeta, di uno spazio leggero, impalpabile, di un peso netto argenteo. Bisogna conoscere le regole della sua attrazione perché passare da vittima a carnefice è facile, è un gioco di ruolo in cui si confonde la sottile linea di divisione. E come si crea il vuoto? Come ci si svuota? Con la morte? In un certo senso sì. La morte dell’ambizione, la fine di ciò che si chiede a se stessi, ci si svuota degli obblighi e dei vincoli, delle necessità che si credevano importanti. Lo fa Lise. Lo fa Adelmo. Uno strumento dell’altra, necessari e imprescindibili, ma sideralmente distanti. Perché Lise non si permette un’alternativa. Lei che per tutta la vita ha vissuto nel lusso, non si permette il lusso più importante, ingabbiata nella convinzione che «solo i disperati vagano alla ricerca dell’occasione giusta». E in quello scalino appena prima del vuoto, quando il cuore pare fermarsi e il respiro sospendersi, quando solo il coraggio può farti vedere cosa c’è oltre, Lise decide di chiudere gli occhi per sempre. Per Adelmo, invece, quell’istante di apnea coincide con l’attimo precedente al vagito di una nuova vita. Pamela Villoresi scava in un personaggio che la vita ha indurito facendolo vibrare straordinariamente di una fragilità e ironia commoventi. Guardandola ci si incanta nel suo continuo svelare di Lise la sensibilità, l’indulgenza e l’amarezza amabilmente celate sotto un forte velo rosso di testardaggine, inclemenza e durezza. Pamela porta in scena perfettamente le due facce di Lise e la muove sul precipizio del vuoto come un ventriloquo fa con la sua bambola: la guida, la copre, la svela, la zittisce ed infine la sacrifica. Claudio Casadio indaga con grande sensibilità un’anima intrappolata in una vita disperata, regalandogli poesia e una purezza incantatrice, che rende il suo personaggio struggente. Restituisce al personaggio di Adelmo tutta la sua “veracità”, la forza e il “non arrendersi” tipico di chi è attaccato alla vita con i denti perché dalla vita ha avuto ancora troppo poco per mollare gli ormeggi. L’Adelmo di Claudio è più vitale e popolano che mai e di un popolo lavoratore e sacrificato porta in scena il riscatto con il buon senso che a volte viene meno ai più acuti filosofi. L’Adelmo di Claudio è credibile, concreto, meravigliosamente vivo, acuto e di una esuberanza necessaria per lasciare spazio alla speranza di una rinascita. Massimo Carlotto con il suo noir lascia la possibilità di muoversi in un testo pieno di molteplici opzioni. Il suo testo non patteggia per nessuno, non salva nessuno è un testo senza vincitori e senza vinti ma è anche un testo senza Dio che restituisce all’uomo la chance di guidare i suoi propri fili fino alla fine. È dunque un testo ideale per un regista che voglia dare una sua personalissima interpretazione. Di questa battaglia senza vincitori né vinti, senza eroi, di questo testo in cui da un lato c’è chi sceglie che il mondo non gli deve più nulla e dall’altro chi va a prendersi ciò che ancora il mondo gli deve, io ho scelto di lasciarmi tentare dal vuoto come fa Lise resistendogli come fa Adelmo. Francesco Zecca Durata 1h 30’ atto unico SCANDALO di Arthur Schnitzler con Franco Castellano e Stefania Rocca e con Filippo Borghi, Adriano Braidotti, Federica De Benedittis, Ester Galazzi, Andrea Germani, Lara Komar, Ricardo Maranzana, Astrid Meloni e Alessio Bernardi, Artur Cocetta scene Antonio Fiorentino costumi Andrea Viotti musiche Antonio Di Pofi regia Franco Però testo inedito e mai rappresentato in Italia produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia Artisti Riuniti e Mittelfest 2015 Scritta nel 1898, Das Vermächtnis, questa bellissima commedia, tutt’ora inedita in Italia, potremmo raccontarla anche così: immaginiamo che, oggi, il figlio adorato di una famiglia dell’alta borghesia si innamori di una ragazza proveniente da un altro mondo, un mondo lontano dalla forma, dai modi, dai rapporti sociali che circondano questa famiglia; in breve, una ragazza di bassa estrazione sociale, o un’immigrata; e che da questa relazione segreta, nasca una creatura. Il giovane ha poi un grave incidente; capisce che morirà e a quel punto, svela questa storia d’amore ai genitori e chiede loro, come ultimo desiderio, di accogliere in casa la ragazza e il bambino. Stupore e sconcerto, dapprima, ma poi la famiglia acconsente. La ragazza entra in quella che, crede, diverrà la sua famiglia. All’inizio è accolta con calore; le persone che le ruotano attorno paiono accettarla, ma lentamente e, inesorabilmente, alcuni segnali di distacco cominciano a manifestarsi. Dapprima gli amici della cerchia iniziano a non frequentare più quel luogo; il promesso fidanzato della sorella del giovane fa notare, con sempre maggior insistenza, l’imbarazzo che crea nel loro ambiente questa presenza estranea; lo stesso padre dà segni, quasi involontari, di fastidio per questa nuova situazione, e le donne - le quali, se leviamo un amico del giovane, sono le principali presenze positive in quel mondo – hanno sempre maggior difficoltà a contrastare questa determinazione a tornare a rinchiudersi nel proprio mondo, isolando l’elemento di disturbo. Poi il bambino muore e la ragazza è sempre più sola ed estranea, e neppure la cognata del padrone di casa, un personaggio forte che mette a nudo in tanti momenti le piccinerie, le volgarità, le sottili violenze che permeano quell’ambiente, riuscirà più a fermare il definitivo abbandono della ragazza: e sarà un abbandono drammatico. Oggi, come nella Vienna di fine Ottocento. Feroce è l’attacco di Schnitzler alla società, ma costruito senza alcuna forzatura; quasi senza accorgersene, grazie alla sapiente costruzione dei dialoghi e delle scene, il pubblico è trascinato dentro questa commedia amara: e si renderà conto solo alla chiusura del sipario di aver assistito al lucido smascheramento dei lati oscuri e perversi di una società. Durata da definire (spettacolo in produzione) DOPPIO SOGNO (Eyes wide shut) di Giancarlo Marinelli tratto dall’omonimo romanzo di Arthur Schnitzler con Ivana Monti, Caterina Murino, Ruben Rigillo, Rosario e con Andrea Cavatorta, Francesco Maria Cordella, Serena Marinelli, Simone Vaio, Carlotta Maria Rondana aiuto regia Federica Soranzio scene Andrea Bianchi costumi Adelia apostolico musiche Roberta Fia light designer Mirko Oteri regia Giancarlo Marinelli produzione Compagnia Molière Con il patrocinio della Regione Veneto Dopo il grande successo delle due stagioni di Elephant Man, cercavo un testo che possedesse una caratteristica; darmi la possibilità, come drammaturgo e come regista, di creare personaggi multipli per i miei attori; un testo che fosse già teatro multiplo. Dove la storia fosse tante storie; dove la verità fosse tante verità; e dove, finalmente, l’amore, la morte, il senso di colpa, il peccato e il riscatto, affiorassero prepotentemente tutti insieme. In una Vienna innevata eppure caldissima, il dottor Fridolin riceve la più imprevedibile delle confessioni dalla moglie Albertine: «Ti ricordi, l’estate scorsa, sulla spiaggia danese, quel giovane uomo? Se mi avesse chiamata, non avrei potuto oppormi. Ero pronta a sacrificare te, la nostra bambina, tutto il mio futuro». Dall’intima confidenza di un tradimento solo fantasticato all’ossessione che dura un’interminabile notte; dopo aver viaggiato negli inferi della mente e della carne, sullo scivolo dell’alba, i due coniugi si ritrovano soli, smarriti, ma innamorati più di prima. In fondo solo questo mi interessa: raccontare, (ancora una volta), i crimini, anche solo della fantasia, che attentano ogni giorno alla felicità della coppia; dire quanto sia disperante dover amare e essere amati, facendo i conti con l’infantile terrore e la sadica eccitazione dell’abbandono; mettere in scena la follia di chi, a un certo punto della sua vita, è convinto che il dolore che subiamo, in verità, sia la punizione meritata a quel nostro abbandonare, tradire, violare chi ha scelto di essere, per sempre, nostro. Il teatro è amare gli attori. E odiare tutto ciò che riescono a essere al posto nostro. Giancarlo Marinelli Durata 2h 10’ con intervallo LA PROVA con Anna Della Rosa, Laura Marinoni, Luca Lazzareschi, Giovanni Franzoni scene Daniel Jeanneteau luci Yves Godin musiche Alexandre Meyer testo, regia e coreografia Pascal Rambert produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione Répétition scritto e diretto da Pascal Rambert di cui sono protagonisti Emmanuelle Béart, Audrey Bonnet, Stanislas Nordey e Denis Podalydès ha debuttato lo scorso mese di dicembre al parigino Festival d’Automne e sarà presentato in esclusiva assoluta italiana a Vie Festival nell’autunno del 2015. La prova ne sarà la versione italiana. Pascal Rambert è regista capace di creare momenti teatrali di rara intensità. Di Rambert, direttore di T2G teatro parigino che lavora sulla creazione contemporanea, ERT ha recentemente prodotto la versione italiana di Clôture de l’amour, nel quale Anna Della Rosa e Luca Lazzareschi hanno magistralmente interpretato la cronaca sublime di una separazione annunciata. È lo stesso percorso quello che guida Pascal Rambert nella creazione di un altro lavoro, non più incentrato sul tema dell’amore e della separazione ma riguardante la scrittura e l’atto creativo. E, al centro, l’essere umano, l’artista, confusi, messi a nudo. Ecco dunque che, ne La prova, versione italiana di Répétition, ritroviamo Anna Della Rosa e Luca Lazzareschi insieme a Laura Marinoni e Giovanni Franzoni. Uno spettacolo che assume la forma di equazione priva di incognite: in una sala prove, Laura (attrice), Anna (attrice), Luca (scrittore) e Giovanni (regista) assistono all’implosione della loro unione artistica. La struttura, dietro al suo apparente ribollire, è molto semplice. Si assiste a un breve momento di una prova nel corso della quale Anna coglie nello sguardo di Luca che tra lui e Laura sta accadendo qualcosa. «A partire da qui – spiega Rambert – ho cercato di mostrare come, all’interno di uno sguardo, potessi costruire un mondo, un mondo che poi ho voluto far implodere. La realtà viene osservata su piani diversi. Ho spesso l’impressione che ciò che chiamiamo verità non risieda necessariamente in ciò che chiamiamo realtà ma molto più di frequente nelle finzioni. E ho visto più verità in alcuni momenti di teatro, danza e letteratura che nella vita stessa. Ho cercato di mostrare questo passaggio costante che caratterizza il mestiere dell’artista tra ciò che attingiamo dalla vita, la sua trasformazione in materia immaginaria e questo flusso continuo che è l’oggetto del nostro parlare. Per me la vita e la finzione sono sempre legate l’una all’altra. Non si interrompono mai. Questo flusso ininterrotto è uno dei possibili argomenti dello spettacolo». Durata da definire (spettacolo in produzione) CHI HA PAURA DI VIRGINIA WOOLF? di Edward Albee traduzione Ettore Capriolo con Milvia Marigliano, Arturo Cirillo, Valentina Picello, Edoardo Ribatto, Dario Gessati scene Dario Gessati costumi Gianluca Falaschi luci Mario Loprevite regista collaboratore Roberto Capasso assistente alla regia Giorgio Castagna assistente scenografo Lucia Rho assistente costumista Cristiana Di Giampietro fotografo di scena Diego Steccanella regia Arturo Cirillo produzione Tieffe Teatro Milano Il testo Chi ha paura di Virginia Woolf? credo sia una potente macchina attoriale, cioè penso che esista fortemente in funzione del teatro. Come certa drammaturgia contemporanea, penso a Spregelburd per esempio, non è tanto nella sua lettura che si coglie la vera qualità della scrittura ma nella incarnazione umorale e psicologica che avviene quando si incomincia a lavorare con gli attori. Un teatro che usa un linguaggio naturalistico ma che non si preclude una possibilità più astratta, anzi direi che la sottende. Già il “basso continuo” dato dallo stato di alterazione alcolica presuppone una forma di recitazione “sporca”. Come anche invita verso una estremizzazione la valenza fortemente simbolica dei quattro personaggi, con la coppia più giovane specchio e parodia di quella più anziana, accomunate da un problema di genitorialità. Un testo bulimico ed estremo, sismico, che mi ha fatto pensare ad una scena smossa essa stessa, sconnessa, che ti scivola sotto i piedi. Una scena che va in pezzi, si spezza, crolla, come il nostro Occidente incapace di uscire da se stesso e vedere il mondo. Il tutto a ritmo di batteria, colpi su colpi. Il testo di Albee è una spietata riflessione sulla nostra cultura, sul nostro egocentrismo, sul nostro cinismo, e sull’amore. Come in un gioco al massacro, come in un interrogatorio o in una tortura, siamo in un stanza, un salotto, in una notte di sabato, dove pian piano si dà inizio ad un sacrificio, un esorcismo. Giocando e recitando ci si trova davanti alla propria distruzione, allo stato di noia che nasce dopo la perversione, a quel non sapere più cosa fare dopo aver fatto fuori tutto. Nel distruggere l’altro si distrugge se stessi, e poi ci si trova soli con l’altro, due solitudini a confronto, senza più difese, senza più riti che ci proteggono, senza più teorie analitiche che ci consolano; soli e spaventati da tutto quello che la nostra mente non ci voleva far vedere. Soli davanti alle proprie paure, come un bambino nel bosco, o di notte con i propri incubi. E poi, forse, quando sta per nascere l’alba immaginare di potersi prendere cura di sé, e dell’altro, con dolcezza e morbidezza. Arturo Cirillo Durata 1h 40’ senza intervallo L’ULISSE (Il mio nome è nessuno) di Valerio Massimo Manfredi adattamento e drammaturgia testo di Francesco Niccolini con Sebastiano Lo Monaco, Maria Rosaria Carli, Turi Moricca, Carlo Calderone e un’orchestra di 14 sassofonisti in scena scene Antonio Panzuto costumi Cristina Da Rold musiche originali Dario Arcidiacono - Davide Summaria luci Luigi Ascione regia Alessio Pizzech produzione Sicilia Teatro Valerio Massimo Manfredi, scrittore, archeologo, topografo del mondo antico di fama internazionale, ha dedicato due romanzi a Ulisse: il primo racconta le gesta dell’eroe di Itaca dall’infanzia di Odysseo fino alla distruzione di Troia. Il secondo dalla partenza di Ilio dopo la fine tragica e vittoriosa della lunga guerra, fino all’arrivo a Itaca, dieci anni dopo, con la sanguinosa vendetta contro i principi che insidiano Penepole e occupano il suo palazzo. È una materia così intensa, poetica, tragica e intrisa di sangue e dolore che invece di dar segni di invecchiamento, trova nuova linfa, dubbi e vigore nella prosa di Manfredi, che il regista Alessio Pizzech e il drammaturgo Francesco Niccolini (che già hanno lavorato insieme a Sebastiano Lo Monaco nel fortunatissimo Dopo il silenzio) hanno trasformato in materia teatrale: un lungo viaggio tra poesia, disperazione ed erotismo per attraversare la vita di un uomo, anche se quest’uomo ama farsi chiamare nessuno. Questo Ulisse non procede in linea retta: la sua strada è lunga e contorta, riparte da suo ritorno a Itaca, dal primo incontro con Telemaco e suo figlio. È a lui che racconterà – prima della grande vendetta – dieci anni di guerra e dieci di faticosissimo ritorno verso casa: come un reduce di guerra, l’ennesima guerra stupida inutile e aberrante del nostro mondo. Sebastiano Lo Monaco, con tutta la sua maestria e passione, dialoga con i molti fantasmi di questa storia, in particolare le donne e gli eroi che Odysseo ha incontrato sulla sua faticosissima strada. Perché molte sono le donne che ne hanno turbato la vita: Elena per prima, quindi Penelope, e poi Circe, Calypso, Nausicaa, Athena. Così come molti sono gli uomini che mai potrà dimenticare, uomini valorosi e disperati, consapevoli del loro destino di morte: Menelao, Aiace e, su tutti, Achille con l’amato Patroclo. Il risultato sarà una lunga, intensissima narrazione con una voce principe, quella di Sebastiano Lo Monaco, e intorno tutti quei demoni – divinità, mostri, nemici, eroi, vivi e morti, più tutti i ricordi – che ne hanno costellato il viaggio sterminato, descrivendone il destino immortale. Durata da definire (spettacolo in produzione) CARMEN di Enzo Moscato con Iaia Forte, Roberto De Francesco e con Ernesto Mahieux, Giovanni Ludeno, Anna Redi, Francesco Di Leva, Houcine Ataa, Raul Scebba, Viviana Cangiano, Kyung Mi Lee arrangiamento musicale Mario Tronco e Leandro Piccioni musiche ispirate alla Carmen di Georges Bizet esecuzione dal vivo Orchestra di Piazza Vittorio (in ordine alfabetico) Emanuele Bultrini, Peppe D’Argenzio, Duilio Galioto, Kyung Mi Lee, Ernesto Lopez, Omar Lopez, Pino Pecorelli, Pap Yeri Samb, Raul Scebba, Marian Serban, Ion Stanescu scene Sergio Tramonti costumi Ursula Patzak luci Pasquale Mari suono Hubert Westkemper coreografie Anna Redi aiuto regia Raffaele Di Florio assistente scenografa Sandra Müller adattamento e regia Mario Martone produzione Teatro Stabile di Torino Carmen nelle mani di Mario Martone svela la sua natura più intima e popolare, tra zarzuela e bassi napoletani. Scrive il regista: «Quando ho pensato di dare vita con l’Orchestra di Piazza Vittorio a una Carmen napoletana, secondo i modelli del teatro musicale popolare che vanno da Raffaele Viviani alla sceneggiata, ho proposto a Enzo Moscato di scriverne il testo, chiedendogli un copione in cui ci fossero dialoghi e personaggi ispirati alla tradizione, ma guardando alla novella di Mérimée oltre che all’opera di Bizet. Quel che mi ha sempre affascinato della novella è il fatto che la vicenda è rievocata: Mérimée immagina che Don José gliela racconti in prigione, la sera prima di morire impiccato. Enzo ha colto al volo questa indicazione e ha scritto un testo che si muove su due piani, quello del racconto al presente e quello passato dell’azione rievocata. Ne è nato lo spettacolo che vedrete, in cui procedono di pari passo le parole di Mérimée e dei librettisti Meilhac e Halévy completamente reinventate da Moscato e la musica di Bizet trasfigurata da Mario Tronco con Leandro Piccioni e l’Orchestra di Piazza Vittorio. La contaminazione è totale: Napoli si pone come centro di un mondo latino fatto di nomadismi, dalla Spagna alla Francia e, via via trasmigrando, fino a Tunisi. La lingua e la musica sono al centro di tutto, il vortice che tutto attrae: l’amore, la passione, il tradimento, la libertà e la violenza, l’allegria e il dolore, il mistero. Non c’è un’epoca definita (anche se sentiamo balenare tanto la Napoli del dopoguerra quanto quella della criminalità dei nostri giorni), non c’è la Micaela dell’opera (che in Mérimée non esiste, serviva a Bizet per ragioni morali e musicali). Soprattutto, nel testo di Enzo Moscato, la protagonista non muore: a raccontare al “forestiero” (cioè a tutti noi) quanto è successo non c’è più solo Don José, anche Carmen prende finalmente parola». Durata 1h 15’ atto unico DANZA MACABRA di August Strindberg traduzione e adattamento Roberto Alonge con Adriana Asti, Giorgio Ferrara, Giovanni Crippa scenografia Marco Rossi costumi Maurizio Galante luci A. J. Weissbard suono Hibert Westkemper regia Luca Ronconi produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana, Spoleto57 Festival dei 2Mondi con la collaborazione di Mittelfest 2014 Danza macabra di Strindberg è un testo illustre, interpretato da sempre dalla critica come un exemplum della vita coniugale vissuta quale inferno domestico, in cui si confrontano e si scontrano, da un lato, la natura satanica della moglie, Alice, e, dall’altro lato, il carattere vampiresco del marito, il Capitano, che cerca di succhiare la vita del secondo uomo, Kurt, psicologicamente fragile e remissivo. In realtà si tratta di un’interpretazione di maniera, depistata dalla forte sensibilità misogina dell’autore svedese. Una lettura più attenta del dramma consente invece di prendere atto che, più semplicemente, siamo di fronte all’inferno domestico di una coppia per niente infernale. La vicenda inizia e finisce su toni e timbri di misurata cordialità coniugale. È solo con l’arrivo del terzo, di Kurt, che cominciano le tensioni. Il Capitano e Alice sono come una coppia di attori, tranquilli quando non c’è pubblico, e subito eccitati dalla presenza di uno spettatore. L’arrivo di Kurt è l’occasione perché entrambi i coniugi si animino e si esibiscano, calandosi ciascuno di essi nel proprio personaggio: il vampiro per il Capitano, e la femmina diabolica per Alice, che seduce il timido Kurt. La fuga finale di Kurt riporta la coppia al punto di partenza, alla calma routine esistenziale. Per Ronconi siamo cioè di fronte alla rappresentazione di una storia infernale ma risibile, che fa pensare curiosamente al vaudeville di Courteline, Les Boulingrin, andato in scena nel 1898, pochi anni prima della stesura di Danza macabra (1900), in cui i coniugi Boulingrin si scatenano all’arrivo di un ospite in visita, su cui proiettano farsescamente le tensioni della coppia borghese. Roberto Alonge Durata 90’ atto unico LE SORELLE MACALUSO di Emma Dante con Serena Barone, Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Italia Carroccio, Davide Celona, Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Leonarda Saffi, Stephanie Taillandier scene e costumi Emma Dante luci Cristian Zucaro armature Gaetano Lo Monaco celano organizzazione Daniela Gusmano regia Emma Dante produzione Teatro Stabile di Napoli - Théâtre National Bruxelles, Festival d’Avignon, Folkteatern Göteborg in collaborazione con Atto Unico Compagnia Sud Costa Occidentale La scena è vuota e buia. Soltanto ombre abitano questo vuoto finché un corpo viene lanciato verso di noi. L’oscurità espelle una donna. Adulta. Segnata. Dal fondo appaiono facce di vivi e morti mescolati insieme. Tutti sono a lutto. Il piccolo popolo avanza verso di noi con passo sicuro. La donna danzante si unisce al corteo. “Le sorelle Macaluso” sono uno stormo di uccelli sospesi tra la terra e il cielo. In confusione tra vita e morte. La famiglia è composta da sette sorelle che si fermano a ricordare ad evocare a rinfacciare a sognare a piangere e a ridere della loro storia. È il funerale di una di loro. Nel confine tra qua e là, tra ora e mai più, tra è e fu, i morti sono pronti a portarsi via la defunta. Se ne stanno in bilico su una linea sopra cui combattere ancora, alla maniera dei pupi siciliani, con spade e scudi in mano. Una famiglia in movimento che entra ed esce dal buio. Vedo un giovane padre apparire alla figlia cinquantenne, una moglie avvinghiata al marito in un eterno amplesso, un uomo fallito anche da morto, vedo i sogni rimasti sospesi tra le ombre e la solitudine e vedo gli estinti stare davanti a noi con disinvoltura. È uno spettacolo profondo e delicato … Ecco questo è Le sorelle Macaluso, bello perché costruito con una comunicazione autentica ed essenziale, dove non c’è nulla di morboso, dove la commozione si mescola all’ironia, dove la morte è descritta con una partecipazione di vita, quasi come un destino, un modo di essere da cui è impossibile staccarsi. Tanto che il silenzio che chiude lo spettacolo dopo la danza libera di un corpo nudo anziché raccontarci la caducità della vita ce la rende eterna. «la Repubblica» Chi conosce il teatro di Emma Dante, nel nuovo spettacolo Le sorelle Macaluso ritroverà, emozionandosi, certe atmosfere, certe posture e movimenti, certe figure, e certi elementi, che rimandano ad alcune di quelle opere che l’hanno imposta sulla scena italiana e internazionale, e che sono rimaste impresse nella nostra memoria. … Ritroviamo tutto questo – insieme al dialetto stretto palermitano con l’aggiunta di quello pugliese – come una mappatura dell’anima, dentro la partitura corporale e scenica de Le sorelle Macaluso, spettacolo che, per la regista e autrice palermitana, segna in maniera evidente un ritorno alle radici del suo linguaggio più dirompente e squassante; dove il tema della vita e della morte risulta ancora un binomio indivisibile, potente, continuamente da esplorare, sempre all’interno di un nucleo famigliare. «Il Sole 24 Ore» Durata 70’ atto unico