NELLA LUCE Nuova Umanità DELL`IDEALE DELL`UNITA XVIII

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NELLA LUCE
DELL'IDEALE DELL'UNITA
Nuova Umanità
XVIII (1996) 3-4, 313-326
DISCORSO TENUTO DA CHIARA LUBICH ALL'UNIVER­
SITÀ DI LUBLINO il 19 giugno 1996, in occasione del conferimento del dottorato honoris causa in Scienze Sociali Eminenze ed Eccellenze reverendissime, Rettore Magnifico,
illustre Senato, egregi Professori, Signore e Signori,
vorrei anzitutto rivolgere il più caldo ringraziamento al Ret­
tore Magnifico di questa Università, al Senato accademico ed alla
facoltà di Scienze Sociali, che sono stati gli strumenti, che Dio ha
usato, per conferirmi questo dottorato.
Non avrei mai pensato di trovarmi, in un momento della
mia vita, qui, per una tale cerimonia, in un ambiente così nobile e
prestigioso, reso ancora più importante dal fatto che vi ha svolto
il ruolo di professore Karol Wojtyla, il nostro santo Padre.
Già da più di cinquant'anni, infatti, ho smesso di dedicarmi
allo studio, ponendo letteralmente in soffitta i miei amatissimi li­
bri. E questo non solo per mancanza di tempo (stava nascendo a
quell'epoca il Movimento dei Focolari), ma soprattutto perché,
assetata di verità, della vera verità, avevo compreso che, se essa si
poteva intravedere attraverso la filosofia cui m'ero dedicata con
vera passione, mai avrei potuto scoprirla meglio e tutta intera che
in Colui che dice di sé: «lo sono la verità» (Cv 14,6).
Fu per questo che decisi, per una speciale chiamata di Dio,
di seguire Gesù sulla strada che avrebbe voluto indicarmi.
Ed ecco che, con sorpresa, posso affermare ora, a sola gloria
di Dio, che, dopo anni e anni di questa impegnativa e splendida
sequela, il Signore ha avuto la bontà di far conoscere a me, ed a
quanti seguono il Movimento dei Focolari, qualcosa della sua in­
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Discorso di Chiara Lubich all'Università di Lublino
finita sapienza. E non solo per quanto ha a che fare con lo studio
su Dio, la teologia, ma anche sulle principali linee, che devono in­
nervare - per renderle autenticamente vere ed accette a Lui - le
varie scienze umane, fra cui le scienze sociali.
Ma passiamo all'attuale conferimento del dottorato.
Esso ha - a quanto ho capito - delle motivazioni lusinghiere.
Lusinghiere non certo perché riguardano me o noi, sempre servi
inutili e infedeli, ma perché parlano di realizzazioni avvenute e
che continuamente progrediscono in un'Opera, che è di Dio:
il Movimento dei Focolari;
la letteratura che ne è nata;
l'ecumenismo che vi si vive;
il suo aspetto sociale e più precisamente l' «economia di co­
mUnIone».
Il Movimento dei Focolari.
Non è facile descriverlo in qualche minuto. Vediamo però
subito a quale scopo pensiamo Dio l'abbia suscitato.
Quando esso è apparso nella Chiesa, negli anni quaranta,
erano tempi in cui - e loro lo possono capire meglio di altri - si
lanciava nel mondo un'ideologia che rnisconosceva Dio, anzi vo­
leva bandirLo dalla società.
L'odio aveva assunto un ruolo importante per la realizzazio­
ne di una società che si voleva presentare come progredita.
L'unità, l'unità dei popoli senza Dio, costituiva l'utopia a cui
si voleva credere e per la quale valeva la pena di spendere gran
parte delle proprie energie.
Proprio in tale contesto è nato il Movimento dei Focolari, che
incentra i suoi obiettivi, le sue finalità proprio qui: in Dio, scelto
addirittura come Ideale; nell'amore, come stile di vita; nell'unità,
come esercizio che lega ciascun uomo a Dio, e gli uomini fra loro.
Ma come si presenta oggi il Movimento dei Focolari?
Esso è una realtà religiosa e civile, che conta più di 2 milioni
di persone di ogni razza, lingua, popolo e religione, sparse nel
mondo intero, in quasi 200 Nazioni.
Discorso di Chiara Lubich all'Università di Lublino
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I suoi membri sono legati fra loro come fratelli e sorelle dal­
la carità portata da Gesù sulla terra, o anche semplicemente
dall'amore di benevolenza, che tutte le religioni in pratica pro­
pongono, e che è capito pure da persone indifferenti alla religio­
ne, onde poter costruire la fraternità universale.
li Movimento dei Focolari - così lo vede Giovanni Paolo II
- è un piccolo «popolo», espressione del grande popolo di Dio. È
in marcia, attraverso la civiltà dell'amore, verso la mèta di un
mondo più unito.
Ha una sua spiritualità specifica, comunitaria ed una sua
precisa cultura.
Al Movimento dei Focolari aderiscono in maggioranza per­
sone cattoliche di tutte le età e vocazioni, ma anche cristiani di al­
tre Chiese e fedeli di altre religioni.
E non sono da dimenticare i non-credenti, ma di buona vo­
lontà.
È un'Opera di Dio e quindi molto ricca. La si può vedere da
svariati punti di vista: da quello spirituale a quello apostolico, o
pastorale, o caritativo, o associativo, o profetico, o sociale ...
Oggi, almeno in questa prima parte, lo vogliamo considerare
soprattutto dal lato sociale.
li Movimento dei Focolari ha cinquantatré anni di vita: è na­
to nel 1943.
Ma quale il suo primo vagito? Quale «la prima scintilla ispi­
ratrice» - come l'ha chiamata ancora Giovanni Paolo II?
Semplice come tutte le cose di Dio.
Durante il flagello della guerra una d-rivelazione di ciò che
Dio è veramente: Amore.
Egli amava tutti e ci amava immensamente.
Questa la riscoperta, che ci ha fatto sentire Dio vicino, pre­
sente in tutte le circostanze della vita, non certo inesistente, o as­
sente.
Questo il primo annuncio a tutti quelli che incontravamo:
Dio è qui, Egli ti ama, conta persino i capelli del tuo capo; Egli è
morto per te.
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Discorso di Chiara Lubich all'Università di Lublino
Cosicché abbiamo creduto all' amore.
Ma all'amore occorreva rispondere. Come? Col nostro amo­
re, che non è certo sentimentalismo vuoto, ma porci e vivere
sull'onda della sua volontà: «Non chi dice Signore, Signore, ma
chi fa la volontà del Padre mio ... » (cf. Mt 7, 21).
E la sua volontà -lo si è ri-capito - è amare.
Lo Spirito (il carisma dell'unità), che iniziava a illuminarci,
ci spingeva dunque ad amare.
Ma si poteva amare rettamente soltanto osservando e prati­
cando le sue Parole.
Non era possibile prendere nulla, nelle molteplici corse ai ri­
fugi di giorno e di notte per ripararci dalle bombe, ma un Vange­
lo, un piccolo Vangelo, sì.
E lì, nelle ore d'attesa, la lettura. Erano parole uniche, uni­
versali, fatte per tutti.
Abbiamo capito subito che, tradotte in vita, avrebbero su­
scitato una rivoluzione.
Si leggevano e si vivevano. E il mondo in noi e attorno a noi
cambiava.
Pur nel fascino che tutto il Vangelo emanava, fummo colpite
soprattutto da alcune parole di Gesù e da realtà che sottolineava­
no proprio l'amore: amare Dio, amare il prossimo, amarci a vi­
cenda, aver la presenza spirituale di Cristo fra noi, come Egli ha
promesso dove due o più si uniscono nel suo nome (cf. Mt 18,
20), cioè nel suo amore; seguire l'Amore più espresso: Gesù cro­
cifisso; realizzare l'unità, effetto dell' amore reciproco e non solo
con chi è preposto alla Chiesa, ma con tutti (<<che tutti siano uno»
[Gv 17, 21]), quell'unità che i cristiani sono chiamati a vivere sul
modello della Santissima Trinità.
Capimmo l'Eucaristia come vincolo di unità; Maria come
Madre del bell' Amore e dell'Unità; approfondimmo la Chiesa
come comunione nell'amore; lo Spirito Santo come Amore in
persona.
Discorso di Chiara Lubich all'Università di Lublino
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In seguito queste parole, queste realtà del Vangelo, che ci
avevano particolarmente interessato, iniziarono a manifestarsi co­
me le linee di svolgimento di una spiritualità tutta incentrata
sull'amore e sull'unità: la spiritualità dell'unità.
Essa - a distanza di decenni - la stiamo scoprendo come
un'autentica spiritualità della Chiesa, accanto alle altre più indivi­
duali, che hanno abbellito la Sposa di Cristo nei secoli. E con una
nota tutta sua, forse solamente sua: la comunitarietà.
Si viveva, allora, nella meraviglia e nello stupore, il verificar­
si quotidiano delle promesse evangeliche come il «vi sarà dato»
(Le 6, 38) per aver dato; <<il soprappiù», che puntualmente arriva­
va per aver cercato il suo Regno; il «centuplo», che regolarmente
seguiva chi fra noi aveva lasciato tutto per Dio.
Ma c'è un episodio di quell'epoca fra i mille aneddoti, che
costellavano la nostra vita, che conferma la specifica vocazione
comunitaria.
Radunateci un giorno in una cantina, per ovviare i pericoli
della guerra, abbiamo aperto il Vangelo a caso; ed eccoci di fron­
te alla solenne preghiera di Gesù al Padre, lungo il torrente Ce­
dron, verso l'orto degli ulivi.
«Padre Santo», abbiamo cominciato a leggere e abbiamo
avuto l'impressione di penetrare quel brano difficile per la nostra
preparazione; ma soprattutto abbiamo avvertito la certezza che
per quella pagina del Vangelo eravamo nate, era per noi come la
«magna charta» del nuovo Movimento.
E per questa spiritualità comunitaria si posero in comune ­
in maniera diversificata - fra i molti che ormai ci seguivano, i po­
chi beni materiali e quelli spirituali, o anche le necessità.
Tale concretizzazione evangelica (si desiderava infatti emula­
re in qualche modo i primi cristiani, fra i quali non c'erano biso­
gnosi per la comunione dei beni da loro operata), non lasciò gli
altri indifferenti.
Infatti dei comunisti si presentarono un giorno nel nostro pri­
mo focolare, chiedendoci il segreto di quanto era avvenuto attorno
a noi. Affermarono anche che, quanto avevano visto realizzato nel­
la città di Trento, l'avrebbero voluto attuare in tutto il mondo.
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Discorso di Chiara Lubich all'Università di Lublino
Indicammo su una parete il crocifisso: non era forse per
Lui che ci eravamo amati e ci amavamo fino a condividere ogni
cosa?
Ma quel segreto non era per loro che, abbassando il capo, se
ne andarono.
li Movimento cominciò poi la sua rapida espansione, dap­
prima in Italia, in seguito in Europa, anche dell'Est, e quindi nel
mondo.
E ciò per quel «segreto», segnalato ai nostri fratelli atei. In­
fatti in una circostanza - prevista pensiamo da Dio - eravamo ve­
nute a conoscenza che Gesù aveva sofferto il massimo dolore
quando in croce aveva sperimentato 1'abbandono del Padre: «Dio
mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46).
Siamo state toccate da questo fatto. E la giovane età, l'en­
tusiasmo, e soprattutto la grazia di Dio spinsero noi, prime fo­
colarine, a scegliere Gesù nel suo abbandono, come ideale della
vita.
E in seguito dappertutto scoprimmo il suo volto: nei dolori
del nostro cuore, che amavamo perché espressione di Lui, e in
quelli dei prossimi specie se sofferenti.
Egli, che aveva sentito il Padre lontano da sé, che sperimen­
tava in sé la separazione degli uomini da Dio e fra loro, fu da noi
ravvisato anche in tutte le divisioni del mondo, grandi o piccole:
quelle nella famiglia, fra le generazioni, fra poveri e ricchi, in seno
alla Chiesa stessa fra le varie opere, e poi fra le varie Chiese, fra le
religioni, fra chi crede e chi non crede ...
Ma - ciò è importante - tutte queste divisioni non ci hanno
spaventato; anzi per l'amore a Lui Abbandonato ci hanno attrat­
to. E vedevamo il nostro posto proprio lì dove era il trauma, dove
era lo spacco.
Di qui i frutti in ogni campo.
Oggi il Movimento, vista la varietà delle persone che lo
compongono, pur essendo un'unica realtà, unificata da un unico
Centro e ben compaginata, si snoda in una ventina di diramazioni
Discorso di Chiara Lubich all'Università di Lublino
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che riguardano i giovani (con ragazzi e bambini) e gli adulti, gli
sposati e i consacrati, i sacerdoti, i religiosi e le religiose ed anche
un numero notevole di Vescovi amici.
Queste varie branche s'impegnano anche per le famiglie e
per i diversi campi sociali.
Ed i frutti sono immensi.
Anzitutto conversioni, conversioni, conversioni.
I ragazzi. Non sono più «persone incompiute» o «acerbe»
come si pensa degli adolescenti. Diventano «protagonisti».
I giovani mettono in opera microrealizzazioni, come raccolte
di fondi per catastrofi naturali, azioni per la pace, momenti di pre­
ghiera. Le loro manifestazioni attirano l'interesse dei mass-media.
L'ultimo Genfest a Roma, di 15.000 giovani, è stato trasmesso da
324 Tv nazionali e locali, raggiungendo 200 milioni di ascoltatori.
Nella famiglia si rivitalizza 1'amore. Lo spacco tra generazio­
ni viene trasformato in un positivo scambio di doni.
In una società che sembra, sulla frontiera della famiglia, an­
dare perdendo i valori cristiani, della sessualità, della vita, la testi­
monianza di famiglie radicate nel trascendente diventa fermento
di impegno sia religioso che civile.
Coppie sull'orlo della separazione o del divorzio, riacquista­
no forza per un dialogo nuovo; migliaia sono le adozioni a distan­
za di bambini di Paesi in via di sviluppo.
Nel mondo sociale.
La spiritualità collettiva, avendo in sé il «codice» per trasfor­
mare il sociale, lo investe tutto, dal mondo dell'economia e del la­
voro, a quello della politica, della giustizia, della sanità, della
scuola, delle comunicazioni sociali.
Nel mondo ecclesiale.
I sacerdoti vivendo in unità tra loro e col Vescovo, speri­
mentano la realtà di una famiglia soprannaturale ove risplende la
bellezza del celibato.
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Discorso di Chiara Lubich all'Università di Lublino
Il nuovo stile di vita suscita vocazioni e anche i seminari di­
ventano centri di irradiazione.
Per il loro servizio pastorale nascono comunità vive nelle
quali rifulge la Chiesa-comunione.
I religiosi comprendono meglio il loro fondatore; riscoprono
le loro regole. Nasce una profonda unità con i superiori e un rin­
novamento della comunità.
Inoltre si realizza una profonda comunione fra istituti diver­
si, con il clero diocesano e con i laici impegnati.
Vi sono varie centinaia difoco/ari femminili e maschili nel
mondo, case per membri di tutta l'Opera, Centri Mariapoli
per convegni e una ventina di cittadelle, come quella che spe­
riamo nasca presto qui in Polonia, i cui abitanti vorrebbero
mostrare a chi le visita cosa sarebbe il mondo se tutti vivessero
il Vangelo.
Lo sviluppo esteso del Movimento è da attribuirsi alla per­
fetta unità sempre mantenuta con chi rappresenta la Chiesa e
all'unità fra i membri sempre ristabilita. E dall'unità si sa cosa oc­
corra aspettarsi: «Che siano uno affinché il mondo creda» (cf. Gv
17, 21) ha pregato Gesù.
Una seconda motivazione di questo dottorato honoris causa
è la letteratura che avrei prodotto.
A dir la verità non ho mai scritto un libro di proposito, an­
che se più di trenta portano il mio nome come autore. Ma essi so­
no raccolte fatte da altri di pensieri miei, di meditazioni, di con­
versazioni, di brani di diario, che via via negli anni ho appuntato
semplicemente per servire il Movimento.
Sono anche approfondimenti teologici dei vari punti della
spiritualità posti a confronto con le Scritture, con i Padri della
Chiesa, con il Magistero, con i Concili, con testi di santi.
In questi libri si può cogliere la linea spirituale che, mano
mano, veniva stagliandosi e le prove e le gioie che essa ha richie­
sto e richiede.
Discorso di Chiara Lubich all'Università di Lublino
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Ed eccoci all'aspetto ecumenico del Movimento.
Non si sapeva nulla di ecumenismo all'inizio del Movimento
e per diversi anni abbiamo creduto che questo carisma fosse uni­
camente per la Chiesa e il mondo cattolico, onde ravvivare le co­
munità civili e religiose con lo spirito d'unità.
Nel 1950, infatti, ad un padre gesuita che, volendo conosce­
re il Movimento, mi chiedeva: «Lei naturalmente penserà all'ecu­
menismo?», «No» - ho risposto.
li fatto è che il progetto di quest'Opera non è stato e non è
pensato solo da mente umana, ma viene dalI'Alto e sono in gene­
re le circostanze che ci manifestano ciò che Dio vuole. Noi cer­
chiamo di seguire la sua volontà giorno dopo giorno.
Così è stato nel gennaio 1961 - tempo ancora preconciliare
- quando, invitati in Germania, ci siamo imbattuti in alcuni pa­
stori evangelici, meravigliati perché si dava rilievo particolare alla
Parola di Dio. Ciò li ha convinti ad unirsi a noi.
li cardinale Agostino Bea, il Papa Giovanni XXIII e i succes­
sivi Pontefici hanno sempre seguito e incoraggiato tale dialogo.
In seguito i contatti con gli evangelici sono così progrediti,
da decidere di costruire una cittadella vicino ad Augsburg (Ger­
mania), dove convivessero cattolici ed evangelico-luterani, per es­
sere una testimonianza dell'amore reciproco fra cristiani.
Nel 1965, invece, in un nostro incontro a Roma di cattolici
ed evangelici, tre sacerdoti anglicani sono rimasti profondamente
toccati dal clima di unità che regnava. Hanno quindi desiderato
conoscere e far conoscere questo spirito.
In seguito, 100 anglicani sono venuti al nostro incontro ecu­
menico a Roma, ed essendo nata una bellissima comunione tra noi,
hanno voluto che si andasse in Inghilterra. lo stessa ho avuto, negli
anni successivi, rapporti intensi con gli ultimi tre Primati d'Inghil­
terra: con l'arcivescovo Michael Ramsey, con Donald Coggan, e
con Robert Runcie, che hanno incoraggiato a portare questo spirito
nel loro Paese, dove il Movimento si è poi sviluppato assai.
Anche l'attuale Primate, George Carey ci attende.
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Discorso di Chiara Lubich all'Università di Lub/ino
Nel 1967 il Patriarca ecumenico Atenagora I, venuto a sape­
re qualcosa del Movimento, mi ha mandato a chiamare.
Sono stata ad Istanbul per ben 8 volte. Ne è nato un rappor­
to profondo, trovando in lui una persona straordinaria, un vero
carismatico.
È iniziato così il Movimento fra gli ortodossi.
In seguito i suoi successori Demetrio I e Bartolomeo I han­
no continuato sulla stessa linea.
Pure riformati in Svizzera e in Olanda hanno voluto cono­
scere a fondo il Movimento.
Così membri di antiche Chiese orientali.
Ora i cristiani in contatto con noi sono circa 50.000 di 300
Chiese.
E quali sono gli effetti di questo rapporto?
Sono crollati pregiudizi di secoli. Si è ravvivata, con questa
spiritualità, la loro vita personale e comunitaria. Sono nate, in
queste Chiese, le stesse vocazioni della Chiesa cattolica: focolari­
ni, volontari, i giovani, ecc. La loro Chiesa di appartenenza ha in­
cominciato a rinnovarsi.
Ma l'ecumenismo del Movimento non si ferma qui. Esso ab­
braccia anche il dialogo con fedeli di altre religioni come ebrei,
musulmani, buddisti, scintoisti, taoisti, sikhs, zoroastriani, bahai,
yainisti, fedeli di religioni tradizionali. ..
È un dialogo che ha una tecnica: il «farsi uno». E questo
non è solo un atteggiamento di benevolenza, di apertura, di stima
e di rispetto. È una pratica, che esige il vuoto completo di noi,
per immedesimarci con gli altri, per comprenderli.
È stato scritto che: «Conoscere la religione dell'altro implica
l'entrare nella pelle dell'altro, vedere il mondo come l'altro lo ve­
de, penetrare nel senso che ha per l'altro essere indù, musulmano,
ebreo, buddista» 1.
1 F. Whaling, Christian Theology and World Religions: A Global
Approach, London 1986, pp. 130-131.
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Per riuscire a far questo la nostra spiritualità ci offre uno
strumento privilegiato: l'amore a Gesù crocifisso e abbandonato,
annientatosi per noi. Lui è la vera chiave del nostro dialogo con le
Altre Religioni, la cui forza e il cui fascino sta spesso proprio nel
completo mortificarsi, nell'annullarsi.
Ma quali le realizzazioni?
Accenno a due mondi: quello buddista e l'Islam.
Quello che, in ordine di tempo, ci ha per primo attratti è il
mondo buddista.
Sono stata invitata in Giappone dal Presidente e Fondatore
di un grande Movimento laico buddista, Rissho Kosei-kai, con 6
milioni di aderenti. Ha voluto che raccontassi la mia esperienza
spirituale a 12.000 membri dell'associazione nel loro grande tem­
pio di Tokyo.
Quell'avvenimento, 15 anni or sono, è stato seguito da in­
numerevoli occasioni di contatto e di collaborazione in varie
parti del mondo. E si può certamente affermare che c'è stato
un avvicinamento notevole e una crescita di interesse e di gran­
de apertura verso i valori evangelici, di cui il Movimento è por­
tatore.
Ma gli incontri più sorprendenti con il buddismo sono avve­
nuti da circa due anni con degli eminenti rappresentanti del mo­
nachesimo tailandese, il Gran Maestro Ajahn Tong e il monaco
Thongrattana, che contano in patria e in altri Paesi migliaia di di­
scepoli. Per essi si è aperta una strada verso il cuore del Buddi­
smo Theravada.
Il loro prolungato soggiorno nella cittadella internazionale
di Loppiano (Italia) li ha messi a contatto vitale con un'esperien­
za di Vangelo vissuto. E sono caduti quegli ostacoli che impedi­
scono un vero dialogo fra buddisti e cristiani.
Uno di loro, il più giovane, mi ha comunicato le sue scoper­
te personali, il suo cammino spirituale. Ha capito che <<il cristia­
nesimo è la religione dell' amore» e che «la morte di Gesù sulla
croce è un insegnamento preziosissimo».
Questa scoperta contraddice la tradizione buddista la quale
ha sempre rigettato il simbolo della croce come crudele ed estra­
neo alla propria cultura.
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Discorso di Chiara Lubich all'Università di Lublino
Il monaco Thongrattana, che ora non si sente più «tolto» ­
come lui dice - perché ha compreso, e il suo Maestro, tornati in
Thailandia, sono testimoni dell'amore reciproco visto fra i cristia­
ni e non perdono occasione di raccontare a migliaia di fedeli e a
centinaia di monaci la loro esperienza di incontro con il cristiane­
simo, il santo Padre e il Movimento dei Focolari.
C'è poi un altro campo che, a prima vista, appare più ostico
e duro, quello dei rapporti con l'Islam. Eppure anche qui ci sono
esperienze confortanti.
Da 25 anni si vive un intenso scambio di esperienze spiritua­
li, in lunghi incontri di convivenza e di dialogo.
Si è realizzato in tali incontri (come del resto anche con altre
religioni) quel modello di dialogo proposto dal Sinodo dei Vesco­
vi del 1985, quando dice che esso «tende a far sì che la persona
umana apra e comunichi la sua interiorità al suo interlocutore»
cosicché «Dio può servirsi del dialogo come via per comunicare
la pienezza della grazia».
Una conseguenza sorprendente del dialogo interreligioso del
Movimento è che vari giovani e giovanette, come anche persone
sposate di altre religioni, desiderano impegnarsi nel Movimento
collaborando a suoi scopi e vivendone, come è loro possibile, la
spiritualità.
È nata cosÌ una branca di «collaboratori» di varie religioni
che, come tali, sono ufficialmente riconosciuti negli statuti della
nostra Opera.
A volte si è fatta sentire, nel dialogo interreligioso, la tensio­
ne fra annuncio e dialogo, una sorta di contrapposizione che ren­
derebbe incompatibili i due termini, riducendo la missione della
Chiesa all'uno o all'altro.
Dall'esperienza mia personale e da quella del Movimento
ho tratto la convinzione che l'annuncio del Vangelo, necessario
per ogni cristiano (<<Guai a me se non annunciassi il Vangelo»
[cf. 1 Cor 9, 16J), è composto indissolubilmente dai due mo­
menti: la testimonianza e l'evangelizzazione. L'ascolto del no­
stro messaggio cristiano è aperto e fecondo se preceduto dalla
Discorso di Chiara Lubich all'Università di Lublino
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testimonianza di una vita personale e collettiva impregnata di
valori evangelici.
Un'ultima motivazione di questo dottorato honoris causa è la
realizzazione in seno al Movimento di quella che è stata chiamata
l' «economia di comunione», nella libertà naturalmente.
Come ho già detto, si è cercato fin dall'inizio di dar una so­
luzione ai problemi economici emergenti nella nostra Opera e
questo attraverso una comunione dei beni. Tutto bene fino a
qualche anno fa quando, per la crescita del Movimento, mi sono
resa conto che ciò non bastava.
E ciò è avvenuto in occasione del mio viaggio in Brasile nel
1991.
Mi sono recata diverse volte in quel Paese e ho avuto modo
di costatare gli enormi contrasti che lo contraddistinguono: svi­
luppo e sottosviluppo, spreco e indigenza, abbondanza e miseria.
il Movimento, presente laggiù sin dal 1958, si è diffuso in
ogni parte, attraendo persone di tutte le categorie sociali. Anche
lì si sono sviluppate attività sociali di ogni tipo.
Inoltre, dagli inizi degli anni settanta, è presente la cittadella
Araceli che fa un po' da punto di riferimento per le nostre atti­
vità.
Ed è in questa cittadella che è maturata l'idea dell'economia
di comunione. Mi è sembrato che Dio chiamasse il nostro Movi­
mento in Brasile - di circa 200.000 persone - ad attuare una co­
munione dei beni più ampia, coinvolgente il Movimento nel suo
insieme.
Pur non essendo per nulla edotta in problemi economici, ho
pensato che lì si trattava di far nascere delle aziende, delle impre­
se. La loro gestione doveva essere affidata a persone capaci e
competenti, in grado di farle funzionare efficacemente e ricavarne
degli utili. Questi utili - e qui sta la novità - dovevano essere mes­
si in comune.
Per quali scopi? Quelli della prima comunità cristiana: aiu­
tare coloro che sono nel bisogno, dar loro da vivere, finché posso­
no trovare un posto di lavoro. Poi, naturalmente, per incrementa­
re l'azienda e infine per sviluppare strutture di formazione per
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Discorso di Chiara Lubich all'Università di Lublino
«uomini nuovi», animati dall' amore cristiano, perché senza uomi­
ni nuovi non si fa una società nuova.
L'idea è stata colta con entusiasmo non solo in Brasile, ma in
Europa e in varie parti del mondo.
Molte aziende sono nate e molte si sono «trasformate» se­
condo i canoni dell'economia di comunione.
Ma questo esige un agire economico che - pur attuandosi
all'interno del sistema economico vigente - va in direzione oppo­
sta ai capisaldi fondamentali dell'economia. Si va insomma con­
trocorrente, evitando comportamenti contrari all'amore evangeli­
co, mettendo in atto atteggiamenti che si ispirano alla nostra spi­
ritualità basata appunto sull'amore vicendevole e sull'unità.
Questo progetto, che può sembrare un'utopia, offre già dati
soddisfacenti. A novembre 1995, le aziende che aderivano all'eco­
nomia di comunione erano 544: 182 nelle Americhe (di cui 144 in
America Latina), 22 in Asia, alcune in Africa e in Australia, 333 in
Europa.
Eminenze ed Eccellenze Reverendissime, Rettore Magnifico,
illustre Senato, egregi Professori, Signore e Signori,
da quello che ho detto spero si sia compreso che qui vi è
una vasta Opera nuova nella Chiesa, fatta da Colui che fa trionfa­
re la sua forza, la sua potenza proprio là dove è la debolezza. «La
mia potenza - dice Gesù a san Paolo - si manifesta pienamente
nella debolezza» (cf. 2 Cor 12, 9).
Occorre quindi dedurre che l'onore, che esprime questo
dottorato, non è tanto da attribuirsi a me, o a noi del Movimento
dei Focolari, ma soprattutto a Colui che, essendo Uno e Trino
nello stesso tempo, è radice e modello d'ogni forma di società lai­
ca e religiosa e primo Ispiratore d'ogni vera scienza sociale.
CHIARA LUBICH
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