"Tornavento in 20 schede" - di F.Bertolli e A.Iannello (2010).

Questo quaderno di poche pagine su Tornavento
nasconde un lavoro assai più lungo e faticoso di quanto
potessero supporre gli autori quando si accinsero ad
iniziarlo. Questo ci confida il prof. Franco Bertolli, che
anche stavolta ha voluto trasformare una conferenza
fatta ai corsisti della Unitrè in uno studio approfondito.
Bertolli ci spiega il perché delle difficoltà incontrate.
Non mancano riferimenti sparsi a Tornavento
nelle pubblicazioni di Lonate, del Gallaratese, del
Castanese, ma tali riferimenti, generalmente di scarsa
consistenza, andavano raggruppati ed integrati con
nuove ricerche, estese anche alle realtà significative
di Tornavento finora trascurate: ricerche non agevoli
perché Tornavento fu sempre villaggio di poco conto e
non ha prodotto o provocato carteggio, se si esclude
la battaglia del 1636.
Ma, a quaderno finito, gli autori sono soddisfatti. E
noi con loro. Anche perché con questo quaderno si
completa un trittico. Ricordiamo che il quaderno n° 1
riguardava le chiese minori e scomparse di Lonate,
il quaderno n° 2 i conventi e monasteri lonatesi del
passato. Mentre ci predisponiamo a consegnare con
orgoglio il lavoro di due nostri docenti agli altri docenti
e corsisti dell’anno accademico 2010-2011 che va a
cominciare, pronti a distribuirlo poi a chi dimostrerà
attenzione o semplice curiosità per l’attività dell’Unitrè,
ringraziamo il prof. Bertolli e l’arch. Alessandro
Iannello per il regalo che fanno a noi e, nostro tramite,
alla comunità di Tornavento. All’arch. Iannello, in
particolare, riconosciamo la bravura nell’impaginare il
quaderno e nel dotarlo di una idonea copertina.
Cogliamo l’occasione per ringraziare anche coloro che
nell’assemblea del 10 luglio scorso, in assenza di liste
e di candidati concorrenti, ci hanno riconfermato in
carica per un altro anno, accordandoci la loro fiducia.
Presentazione
Lonate Pozzolo, 29 settembre 2010.
Il consiglio Direttivo
UNITRÈ
Lonate Pozzolo
Carla Colnago - presidente
Fabrizio Iseni - vice presidente
Delia Colnago - direttrice dei corsi
Maria Ferrario - consigliere
Rino Garatti - tesoriere
Paola Ferrario - segretaria
Elisa Desperati - rappresentante dei corsisti
1
1. Reperti archeologici
romani e longobardi
Nell’anno 1927, nel fondo Siramattina allora
di proprietà Parravicino – sul lato ovest
dell’attuale via De Amicis – intanto che si
tracciava un filare di gelsi, sono emerse
ad un metro di profondità tombe a cassa di
tegoloni contenenti scheletro e lucernetta
fittile, assegnabili alla tarda età romana (IIIIV secolo): materiale in parte disperso, in
parte raccolto dai signori Parravicino1. Nelle
relazioni giacenti presso la Soprintendenza
archeologica di Milano si legge, per
Tornavento, di ritrovamenti (si noti il plurale)
di vasi e lucerne2.
Ceramica
tardo-romana,
ma
anche
presumibilmente più antica, si è reperita in
questi ultimi anni a Tornavento (via De Amicis)
e alla cascina Maggia.
Di età tardo-romana è anche la cisterna che
rimane in località Fugazza, sul confine tra
Lonate e Vizzola, nella quale si trovarono
monete col nome dell’imperatore Gallieno (III
secolo).
Ai Romani seguirono come dominatori i
Longobardi.
Testimoniano la presenza longobarda,
nonostante la mancanza di reperti materiali
specifici, sia la tradizione orale della “città
della Binda”, tradizione viva fino a pochi
decenni fa tra la popolazione dei paesi del
medio Ticino da Castelnovate a Nosate,
sia l’esistenza di molti toponimi di matrice
germanica sull’uno e sull’altro lato del fiume
Ticino: la località Gaggio (“bosco riservato”)
poco discosta da Tornavento3, l’oratorio di
Gaggiolo a Oleggio, la “Benda” di Galliate,
la “Bindella” di Conturbia, il toponimo “Sala”
di Pombia, il “Guzza” (e varianti) di Oleggio
e dintorni4, alterazioni in Oleggio di toponimi
tipici come “arimannia” e “sortes”5.
L’area di Tornavento, che sta come al centro di
tutti questi siti, non poteva risultare estranea
alla vita e all’attività dei longobardi.
Binda significa striscia, dunque striscia di terra:
ma dove in territorio di Lonate? Nella valle del
Ticino o sul ciglione della valle o in entrambe
le situazioni?. Alla città di Binda accennava
senza avvedersene il Cantù nella Grande
illustrazione del Lombardo-Veneto quando,
alla voce Lonate, scriveva di avere raccolto da
un “sincero patriota” l’informazione che Lonate
era stata “città della circonferenza di un miglio
e mezzo, giacché verso il Ticino furono, anni
fa, trovate fondamenta di caseggiato, e fino
là diceva che arrivava la città”6. Esagerazione
incredibile, ma su un fondo di verità.
Non è esclusa la commistione, sul ciglione della
valle, di realtà longobarde con testimonianze
tardo-romane o anche con successive realtà
altomedievali. Tra gli studiosi si parla, e a
ragione, anche di una strada mercatoria,
sviluppata sul ciglione, lunga e importante,
da Pavia a Sesto Calende: una strada che
poteva essere addirittura preistorica e che era
utilizzata nel medioevo. Il toponimo Somasca,
presente più volte nelle pergamene duetrecentesche di Turbigo, prova l’esistenza di
un tratto di questa strada che doveva sfiorare
Tornavento in direzione di Somma7.
2. Cerca, Panperduto,
roggia molinara a Tornavento
Ceramica antica trovata in territorio
di Tornavento.
Nella pagina precedente:
Tornavento e circondario nella carta
“contorni di Milano” del 1827 circa.
Cerca, in latino Circha, significa circuito,
confine. Che cosa c’era da recingere nella
brughiera, si chiede stupito, chiunque osservi
la linea di sviluppo della Cerca così come
è indicata dagli studiosi che hanno potuto
considerare il territorio prima che venisse
alterato nell’Otto-Novecento per lo scavo
dei canali e recentemente per i lavori di
3
“Malpensa 2000”. La linea da essi tracciata
negli schizzi che la rappresentano, prende
inizio nella valle del Ticino sotto Somma,
raggiunge il pianalto, vi si sviluppa per lungo
tratto in contesto di arida brughiera, all’altezza
di Tornavento si intreccia e confonde con il
fosso del Panperduto, a quel punto o poco
oltre si perde nel nulla come fosse un disegno
lasciato incompleto in mancanza di appigli o
di indizi. Nel realtà del territorio, ad oriente
della Cerca c’è la brughiera o, meglio, c’era
la brughiera, perché “Malpensa 2000” l’ha
cancellata quasi tutta; ad occidente c’è la
valle del Ticino.
Le due più antiche citazioni esplicite sinora
trovate del fossatum Cirche, entrambe relative
al territorio di Lonate, sono in atti notarili del
1340 e del 13898. Lo stesso appezzamento
di brughiera confinante con la Cerca che è
descritto nell’atto del 1340 compare in un
atto del 1330 come realtà confinante con
il “fossato asciutto del Comune di Milano”
(fossatum sichum communis Mediolani)9.
Ammesso che questo sia un sinonimo cioè
una denominazione parallela anch’essa
esatta, la domanda diventa: perché il comune
di Milano fermava il suo confine nella
infruttuosa brughiera e non poteva spingersi
fino alle acque del Ticino?
Non troviamo una giustificazione del fosso
della Cerca all’infuori dei diplomi degli
imperatori tedeschi di Casa Sveva – Enrico e
Federico – che premiarono i conti di Biandrate,
loro fedeli alleati nelle lotte contro Milano,
donando ad essi le regalie sulla riva del fiume
che in precedenza avevano concesso alle
“comunanze” di Lonate e di Castano. Queste
sulla riva del fiume dovevano avere qualcosa
Uno dei tratti della Cerca cancellati
durante i lavori per Malpensa 2000.
4
di economicamente importante e questo
qualcosa non poteva che essere la roggia
dei mulini o, meglio, i mulini mossi dall’acqua
della roggia.
I mulini ad acqua, diffusisi rapidamente dopo
il Mille in molte parti d’Europa e già presenti
sul Ticino a Bernate nel 1064 in proprietà dei
monaci di Fruttuaria10, portavano ricchezza,
erano dunque appetibili e potevano costituire
un premio apprezzabile.
L’acqua nella concezione giuridica medievale
era un bene del re, dell’imperatore;
l’assegnazione e le successive conferme ai
Biandrate recano le date 1140 e seguenti11;
il mulino di Tinella sul tratto lonatese della
roggia è ritenuto del secolo XII, anteriore allo
scavo del Naviglio e alla pace di Costanza12;
un mulino sul tratto castanese della roggia
è citato nel 111113; i due tratti di roggia di
Lonate e di Castano costituivano una roggia
unica prima che il Naviglio la tagliasse in
due tronchi: il primo sfociante nel Naviglio
a Tinella, il secondo derivato dal Naviglio
alla bocca Cicognera. La roggia di Lonate
passava e passa sotto Tornavento.
Sotto Tornavento passava anche il fosso del
Panperduto. Gli studiosi dell’Ottocento, Melzi
e Bellini, incrociavano Cerca e Panperduto
a Tornavento, anzi facevano iniziare a
Tornavento il Panperduto. Documenti scovati
di recente negli archivi di Milano e di Torino
fanno spostare l’inizio del Panperduto sotto
Somma, dove, non senza motivo, da quando fu
costruita porta il nome del Panperduto la diga
che dà origine ai canali otto-novecenteschi
Villoresi e Industriale. In valle del Ticino, nella
costa sotto Castelnovate, rimangono tracce
dell’antico scavo.
La roggia dei mulini in territorio
di Tornavento.
Il fosso fu chiamato Panperduto perché la
grande fatica e spesa per lo scavo non fruttò
nulla in cambio. Fu dunque pane mancato! Lo
scavo, di percorso simile al canale Villoresi
ma fatto senza il supporto delle tecniche
moderne, doveva contenere acqua a scopo o
di irrigazione o di navigazione, ma il progetto
non funzionò per lo spagliarsi nella brughiera
dell’acqua prelevata dal Ticino e lo scavo,
realizzato anche in territorio di Castano e
di Buscate, fu abbandonato all’altezza di
Arconate.
Può considerarsi illuminante sullo scopo dello
scavo la denominazione di navigium che
compare in un atto notarile dell’anno 1464
con cui Ambrogio Perotti, residente a Lonate,
affittava una ventina di terreni in territorio di
Castano, uno dei quali sito ultra navigium
panis perditi14.
Il fosso del Panperduto si presenta ancor oggi
ben visibile per un breve tratto in territorio
di Tornavento, tra il cimitero e la strada
provinciale Lonate-Oleggio (statale 527);
pochi altri tratti sono visibili nella realtà odierna
dei territori da Castano ad Arconate. Chiara
testimonianza rimane invece nella cartografia
ottocentesca limitatamente al pianalto; di
meno ovvia lettura in qualche carta più antica,
come nell’Atlante d’Italia del Magini del 1620
e nelle carte da esso derivate.
3. Il toponimo Tornavento
in citazioni documentarie
Il nome odierno del paese compare tardi,
dopo il buio dell’alto medioevo, in un atto di
vendita deI 1263 rogato in Lonate, che cita
tra i testimoni Guglielmo Pagani e Zanolo de
Lamberto15 – donde il cognome Lamperti –
abitanti in loco Tornavento.
Che la zona fosse abitata in secoli precedenti
è dimostrato dai reperti anzidetti. Nel tardo
medioevo l’abitato era ancora molto piccolo.
Gli statuti milanesi delle strade del 1346
pongono la manutenzione di un breve tratto
della Milano-Novara a carico degli abitanti
del “locho de Tornavento pieva de Dayrago”,
indizio appunto della piccolezza dell’abitato:
un tratto di 19 braccia soltanto, contro le 39 di
Nosate, le 77 di Induno e di Paregnano, le 116
di Castelletto, Castelnovate e Turbigo, le 153
di Ferno e Vanzaghello, le 192 di S. Antonino,
le 442 di Magnago, le 517 di Dairago, e contro
misure molto più alte a carico dei “borghi”:
braccia 842 Busto Garolfo, 1760 Corbetta,
1912 Magenta, 1989 Lonate Pozzolo, 2601
Castano16.
In un atto su pergamena del 1353 compaiono
due siti in valle: il fontanile de Tornavento e
il prato in Pobiedo ubicato in territorio loci
de Tornavento17: una risorsa importante
per gli abitanti il primo, un indicatore della
vegetazione (bosco allevato) il secondo. Della
capella de Tornavento citata sotto l’anno 1398
si avrà modo di trattare dopo.
Il toponimo compare nell’investitura livellaria
del 1433 di un mulino a Tornavento – de
molandino in territorio de Tornavento –
operata da un Donato Bossi di Azzate in testa
di alcuni che agivano per conto del comune di
Lonate, un edificio di ciottoli e mattoni, coperto
di coppi, con quattro mole e con una pista per
il panìco, in cui è facile riconoscere il mulino
“nuovo” che era ancora proprietà Bossi negli
statuti lonatesi del 1496 (art. 76) ma che nel
1538 passava da Francesco Carabelli ad una
Lampugnani sposata Carcano18.
Il toponimo Tornavento è suggestivo e
alquanto misterioso. Gli studiosi di storia
locale sono abbastanza concordi nel dare
una spiegazione in linea con la collocazione
dell’abitato: turris naventium, cioè torre
come punto di riferimento per i barcaioli che
scendevano sul Ticino in un tratto del fiume
dove – prima che l’acqua diventi piatta – il
pericolo delle rapide non è ancora finito.
D’altronde sui margini della valle del Ticino,
a partire dal lago Maggiore, si incontrano
altri toponimi che hanno a che fare con
torri o fortificazioni: Castello (in territorio
di Castelletto Ticino), Torre di Somma
(nell’Atlante del Magini) e Porto della Torre in
territorio di Somma, Castelnovate, Cascina
Castello in territorio di Marano, e Turbigo (da
turris e vicus19).
Della torre noi abbiamo trovato conferma
archivistica, seppure tardiva, nel Castellazzo
(castellatium) menzionato in un atto notarile del
1465, per la cui esatta comprensione bisogna
notare che la desinenza da peggiorativo non
indica (o non indica soltanto) una struttura
mal ridotta ma una struttura antica (e magari,
di conseguenza, mal ridotta). Intorno alla
5
torre o fortilizio posto sull’orlo della valle si
costruirono alcune case e l’insieme divenne
il locus di Tornavento20.
Nel 1464 i signori Della Croce, che già
dovevano possedere molto nel territorio di
Tornavento, tentarono di inglobare, nella scia
dell’acquisto di 225 pertiche di terra da certa
Gugliemina de Porris, i vicini pascoli (1.230
pertiche, probabilmente brughiera) della
comunità di Lonate; ma nella causa dibattuta
davanti al podestà di Milano la sentenza non
fu loro favorevole21.
Il fatto che il fascicolo slavato della causa
sia oggi conservato tra le carte dell’archivio
storico di Tornavento, unito nell’Ottocento
come vedremo all’archivio comunale di
Lonate, farebbe pensare che Tornavento già
fosse strutturato nel Quattrocento in forma
giuridica di Comune. Ma è una carta isolata,
le cui precise vicende non si conoscono.
Tra i terreni affittati nel 1465 dai fratelli
Antonio e Giacomo Della Croce ai fratelli
Perotti (de Parrotis) di Tornavento c’era un
prato ad viganum22, utilizzabile come dice
il nome dalla comunità locale, certamente
molto piccola. Nel 1574 Tornavento era villa
cioè proprietà di Giovanni Marco Della Croce
e contava 31 abitanti, raccolti in tre famiglie
patriarcali23. Non abbiamo dati sulle vittime
delle pestilenze del 1576 e del 1630.
In un registro del 1537 compilato per il
censimento spagnolo del Milanese e relativo
alla pieve civile di Dairago, anche i piccolissimi
abitati di Tornavento, Induno e Paregnano, che
contavano soltanto 5, 4 e 3 “fuochi” o famiglie,
figurano come comuni semplicemente perché
in elenco insieme con i comuni della pieve,
ma a differenza di essi sono senza un console
che li rappresenti24. Il visitatore ecclesiastico
del 1622 scrive capsina Tornaventi25.
Nel 1652, quando i capifamiglia di Tornavento
scelsero due procuratori per rappresentarli
non si sa in qual affare o questione, il notaio
rubricò l’atto come sindicatus hominum
Tornaventi, non come sindicatus communis
et hominum Tornaventi26.
Il termine Communis de Tornavento in forma
esplicita e continuativa non l’abbiamo trovato,
mediante le ricerche sinora effettuate, prima
del Settecento.
Anche la parrocchia di Tornavento si formerà
molto tardi.
6
4. Chiesa antica di Sant’Eugenio
e cappellania Della Croce
Tornavento non compare nel Liber notitiae
sanctorum Mediolani del 1300 circa, che è
un repertorio di tutte le chiese della diocesi
di Milano citate sotto le dediche ai rispettivi
santi. Sant’Eugenio, vescovo transalpino
ma difensore del rito ambrosiano al tempo
e contro le opposte mire di Carlo Magno, vi
gode soltanto delle dediche di 5 chiese e di 2
altari in Mediolanensi pago, cioè nel contado
di Milano, ma non è specificato dove27. Anni
fa, proprio partendo da questo Liber, uno
studioso gallaratese ipotizzò che la chiesa
di Tornavento già esistesse nel 1300: e ciò
perché non gli tornavano i conti delle chiese
esistenti nella pieve di Gallarate28. Ma lo
studioso sbagliava a ragionare così, perché
Tornavento – lo dicono tutte le citazioni più
antiche – non apparteneva alla pieve di
Gallarate, bensì a quella di Dairago.
Infatti è nell’ambito della pieve di Dairago
che incontriamo la già menzionata capella
de Tornavento entro un registro diocesano di
natura amministrativa del 139829. Qui cappella
significa beneficio, fondato presumibilmente
dalla famiglia Della Croce, atto ad assicurare
agli abitanti del villaggio almeno la messa
festiva, ovviamente entro una chiesa, seppure
di modestissime dimensioni. E alla pieve di
Dairago la chiesina di Tornavento continuò
ad appartenere come appendice remota della
parrocchia di San Michele di Magnago, che nel
citato Liber del 1300 è indicata come Maniago
in horo, parola quest’ultima che vale “orlo”,
con implicito riferimento alla macroscopica
estensione della parrocchia sino al ciglio della
valle del Ticino. Così il 9 maggio 1491 alla
morte del curato Francesco Della Croce di
Magnago anche i parrocchiani di Tornavento
concorsero, insieme con quelli di Magnago,
Bienate, Vanzaghello e Sant’Antonino alla
elezione di Giovanni Della Croce30.
Alla pieve di Dairago continuò Tornavento
ad appartenere anche dopo che per
frantumazione della parrocchia di Magnago si
formarono – rispettivamente nell’anno 1496,
1529, 1551 - le parrocchie intermedie di
Sant’Antonino, Bienate e Vanzaghello.
Nel 1566 il visitatore della pieve di Dairago,
mons. Cermenati, venuto a Tornavento a
fine novembre, ci lasciò questa descrizione
della chiesa di Sant’Eugenio31. “La chiesa
di Sant’Eugenio del luogo di Tornavento in
pieve di Dairago è consacrata, intonacata,
con qualche dipinto. Ha nel pavimento due
sepolcri, ha l’acquasantiera, una campana
sopra il tetto, il sacrarium su una parete
laterale (per oli sacri e reliquie). La facciata
della chiesa è dipinta e bella. Tutto ha fatto
fare il magnifico signor Marco Della Croce.
L’altare, che non è consacrato, è ben ornato,
con due angeli e due candelieri. La cura è
esercitata da un prete di Oleggio, in diocesi
di Novara, di nome Giovanni, il quale celebra
nei giorni festivi, su incarico del signor Della
Croce”. Il prete di Oleggio celebrava per un
legato istituito da Pompeo Della Croce.
Nel 1570 l’arcivescovo Carlo Borromeo, in
visita pastorale a Lonate, passò Tornavento
sotto la cura di Lonate e quindi alla pieve
di Gallarate, e nella stessa occasione fece
togliere certe “figure profane di legno” che
erano poste “fuori di chiesa”32. Nello schizzo
coevo della pieve di Dairago Tornavento
è indicato senza croce perché non era
parrocchia.
Altri Della Croce impinguarono via via il legato
cinquecentesco, a partire da Ferdinando, che
era arcidiacono della chiesa metropolitana di
Milano. Egli col testamento 23 febbraio 1605
Tornavento e Tinella nella parte
occidentale della Pieve di Dairago
in un disegno del 1580 circa.
(rogito Gianotto Pusterla) legava alla cappella
di Sant’Eugenio mille scudi d’oro su terreni
che possedeva a Magnago, nonché la casa
di abitazione del futuro cappellano cui faceva
obbligo di celebrare messa a Tornavento in tutti
i giorni festivi e in due feriali ogni settimana.
Il primo cappellano fu, probabilmente, Giovan
Battista Ferrario33.
Un visitatore ecclesiastico ci lascia una
descrizione della chiesa come si presentava
nel 1622. Aveva l’altare non entro una
cappella ma collocato sotto un semplice
baldacchino e recintato mediante cancellata di
legno: segno che la chiesa era una semplice
aula rettangolare. Un dipinto sulla parete di
fondo dell’aula, attraversata da una crepa,
rappresentava un crocifisso con ai lati le figure
di sant’Eugenio e di santa Caterina. C’erano
dipinti anche sulla parete settentrionale, ma
non sulla meridionale. Nel pavimento, qua e là
fessurato, si notavano due sepolcri “comuni”
cioè ad uso di tutta la comunità; il soffitto era
a cassettoni. Nella facciata, non preceduta da
portico, erano aperte due finestre ai lati della
porta d’ingresso; un’altra finestra era nella
parete sud. La campana era inserita in un arco
sull’angolo settentrionale della facciata. Non
convincente nella descrizione la collocazione
dell’ingresso della chiesa ad est, dell’altare
ad ovest, contro la prassi medievale e contro
successiva documentazione archivistica. Nel
1622 il cappellano era uno Scala della diocesi
di Sarzana34.
Nei decreti del 1625 l’arcivescovo invitava
a regolarizzare la forma dei sepolcri, a
intonacare le pareti previa sistemazione della
parete meridionale, a costruire la sagrestia35.
Con atto 4 gennaio 1644 il beneficio costituito
dai Della Croce venne eretto in cappellania36.
Da allora la gente di Tornavento poté avere un
cappellano: quindi la messa della domenica e
qualche messa durante la settimana.
Il visitatore ecclesiastico del 1684 ci dice che
la chiesa misurava braccia 15 x 10, cioè poco
meno di metri 9 x 6, ed era alta 11 braccia
cioè 6 metri; dunque non era un edificio
piccolissimo; suo cappellano titolare dal 1659
era Ercole Gomez37, in documenti successivi
Ercole Vincenzo Gomez Silva.
La mappa del 1722 disegna la chiesa a sud
dell’abitato di Tornavento su un grande spiazzo
di proprietà Parravicino. Senza il chiarimento
7
Le due chiese, indicate con due croci,
nella mappa del 1722.
offerto dalla nota datata 1753 alla fine della
tavola dei possessori di Tornavento, la doppia
croce disegnata in mappa risulterebbe
misteriosa. Una croce indicava la chiesa
esistente nel 1722 ma vecchia nel 1753, la cui
area è disegnata a delineazione continua, con
abside ad est. L’altra croce, affiancata dalla
lettera A, vale, come dice la nota predetta,
per la “chiesa nuova sotto il titolo di S. Maria
con piazza d’avanti”. La chiesa nuova,
desiderata ma ancora inesistente nel 1722, si
realizzò prima del 1750: infatti la descrizione
del 1750 (atti di visita del card. Pozzobonelli)
presenta l’altare “dentro una cappella”, che
conteneva anche l’armadio della suppellettile
sacra38. Nel 1739 Giacomo Francesco Bodio,
“mastro di campo” cioè maresciallo, dispose
per testamento un lascito di 1.000 lire per il
mantenimento del vicecurato presso la “chiesa
nova” di Sant’Eugenio39. Si può credere che
la spesa della costruzione gravasse non sulla
scarsa popolazione del luogo, contadina e
povera, ma sui signori Parravicino, presenti
da qualche decennio in misura forte – come
vedremo – sulla scena di Tornavento.
Nel 1722 chiesa vecchia e chiesa nuova, o
meglio chiesa esistente e chiesa progettata,
erano su aree giustapposte; la chiesa nuova
era destinata ad occupare un’area più a sud
e ad est rispetto alla chiesa vecchia ed a
collocarsi a filo della strada proveniente da
Lonate, come nella situazione attuale. Il titolo
di Santa Maria dovrebbe corrispondere ad
un errore dei rilevatori catastali; il visitatore
ecclesiastico del 1750, card. Pozzobonelli,
mantiene per la chiesa di Tornavento il titolo
di Sant’Eugenio.
La mappa del 1722 ci dà anche la posizione
della casa del cappellano: era sul mappale n°
8
La lettera A vale per la “chiesa nuova”,
come spiega il registro dei possessori.
64, a sud dello spiazzo Parravicino, cioè al
centro della piazza attuale, ed aveva annesso
l’orto di una pertica. Era distante diversi metri
dalla chiesa vecchia.
Si ignora quando la chiesa vecchia venne
demolita. Era ancora in piedi nel novembre
del 1780 quando un nobile Della Croce,
anche lui di nome Ferdinando, ordinò al
notaio Francesco Crespi di Lonate di recarsi
a Tornavento per fare la descrizione di uno
stemma esistente in essa “lateralmente
all’altare del SS. Crocefisso, con la B.
Vergine e S. Maria Maddalena pure dipinte
sul muro”. Il notaio chiamò a raccolta diversi
abitanti di Tornavento, “dei più vecchi”,
ed anche il console Marcantonio Berto. I
vecchi ignoravano quando erano state fatte
le pitture, dicevano la chiesa “antichissima”,
asserivano che in passato i defunti venivano
sepolti nei due sepolcri interni40. Il Crespi fece
la sua relazione e al termine di essa disegnò
lo stemma visto nella chiesa vecchia: lo
stemma Della Croce, croce rossa in campo
argenteo41. Sommando le informazioni del
1622 con queste del 1780 ci rendiamo conto
che il dipinto sulla parete di fondo della chiesa
vecchia rappresentava il Crocifisso al centro,
la Madonna e la Maddalena da un lato,
sant’Eugenio e santa Caterina dall’altro.
Della cappellania di Sant’Eugenio, di
patronato Della Croce, si conoscono i nomi
di alcuni investiti del Settecento: nel 1705,
alla morte di Enrico Gomez, il sacerdote
Giovan Cesare Della Croce, negli anni 171416 Andrea Pinza, nel 1725 Giovanni Giudici,
negli anni 1731-39 Carlo Cardani, nel 1775
un De Cantis (o de Cantianis?) deceduto
nell’anno42, nel 1780 il sacerdote Giuseppe
Della Croce43. Nel 1750 i due parroci
porzionari di Lonate, Giacomo Bodio (per
lascito testamentario del 1739) e i maggiori
possidenti di Tornavento (conte Giuseppe
Croce, Isabella Ottolini Parravicino, Luogo
Pio Santa Corona di Milano) si obbligarono,
con una privata scrittura, a fornire, tutti
insieme, una congrua al sacerdote residente
in Tornavento con l’incarico di amministrare i
sacramenti; i parroci di Lonate si impegnarono,
specificamente, ad assegnargli ogni anno
200 messe da celebrare (150 ne comportava
allora il legato Della Croce)44.
5. I Della Croce a Tornavento
e i feudatari del luogo
I Della Croce giustificavano il cognome da
un leggendario Giovanni da Rho, banderajo
dei Milanesi nella prima crociata (anni 109699), il quale per primo sarebbe entrato in
Gerusalemme piantandovi la croce45. Originaria
di Magnago, la famiglia Croce o Della Croce era
già molto ramificata nel Quattrocento quando
vantava “quindeci case” cioè nuclei nella città
di Milano e 20 nel contado, ben articolata
nella sua composizione: comprendeva infatti
notai, burocrati, ecclesiastici46. Nel primo
Quattrocento alcuni Della Croce erano titolari
di beneficio a Quinzano e proprietari a Oriano
e a Mercallo presso Sesto Calende, mentre
altri erano proprietari a Castano, Busto
Garolfo e dintorni sin dal 131747.
Il ramo rimasto a Magnago faceva capo a
un Rodolfino vivente negli anni 1370-142048.
Sono Della Croce sette prevosti di Dairago
nei secoli XIV-XVI49.
Nel settembre del 1464 i fratelli Michele
e Rolfino (= Rodolfino) Della Croce figli
del fu dominus Giovanni – morto l’anno
prima il loro fratello Gottardo, francescano
dell’Osservanza – effettuavano, con l’ausilio
di arbitri, la divisione dei beni paterni giacenti
non solo a Magnago ma anche a Milano (in
parrocchia di San Pietro sopra il Dosso intus),
a Domodossola, a Cassina del Manzo (oggi
San Macario), a Sant’Antonino, a Lonate
Pozzolo (terreni in Pozzera, in Grasca, al
mulino di Gaggio), computando nell’asse
ereditario quantità notevoli di grano e di vino
trafficati negli anni precedenti e gli utili derivati
dalla “condotta del sale”50.
Lo stemma del ramo nobile
della famiglia Della Croce.
Lo stesso anno, come già detto, i Della Croce
acquistarono 225 pertiche di terra nel territorio
di Tornavento da Guglielmina Porri. Nel 1465,
ricordiamo, i fratelli Antonio e Giacomo Della
Croce affittavano prati, campi e boschi di
Tornavento ai fratelli Perotti di Tornavento.
Pur possedendo molto in loco, i Della Croce
non ebbero però subito il titolo di feudatari di
Tornavento. Seguendo le vicende del feudo
della pieve di Dairago, Tornavento fu di
Castellano Maggi dal 1538, degli Arconati dal
157051.
Nel 1574, come già detto, Tornavento era
proprietà di Giovanni Marco Della Croce.
La svolta fu nel 1648 quando Magnago,
Sant’Antonino, Tornavento e Tinella, messi
all’incanto come feudo unico dalla Regia
Camera di Milano, furono acquistati dai fratelli
Giacomo e Giuseppe Croce al prezzo di 4.000
lire imperiali “per ogni cento fuochi” o famiglie.
Sant’Antonino insorse contro l’infeudazione e
si liberò52, non così Tornavento.
Nel 1695 Odoardo Croce refutò il feudo di
Tornavento alla Regia Camera perché ne
fosse investito Giuseppe Alessandri, dietro
versamento di lire 500 al refutante e lire 9
per fuoco al fisco; Tornavento era allora un
villaggio di 16 famiglie. Da allora Giuseppe
Alessandri, conte di Olgiate Olona dal 1694,
modificò il titolo nobiliare in conte feudatario di
Olgiate e Tornavento. Gli Alessandri avevano
già interessi a Tornavento dalla metà del
Seicento, con proprietà e massari53.
Nel 1709, finiti senza prole gli Alessandri,
il titolo di conte di Olgiate e Tornavento fu
concesso con diploma di re Carlo III a Carlo
Antonio Prata e ai suoi discendenti maschi.
I Prata non risiedettero mai né a Olgiate
né a Tornavento. Conservarono però il
9
titolo comitale fino al 1796 quando, con la
conquista francese del ducato di Milano,
venne soppressa ogni autorità feudale54.
Intanto le proprietà Della Croce in Tornavento
si erano ridotte fino quasi a scomparire. Il
catasto del 1751 presenta un solo Della
Croce, Diomede, proprietario soltanto del
mappale n° 16, orto di una pertica, adiacente
alla casa del cappellano.
6. Casa della Camera
e cascina Castellana
La Regia Camera, cioè l’erario dei dominatori
spagnoli e, in precedenza, la Camera Ducale
di Milano aveva un edificio nella valle del
Ticino allo Sperone, cioè all’imbocco del
Naviglio, in cui risiedeva il personale addetto
al controllo dell’incile e del movimento merci e
passeggeri e alla riscossione della tariffa del
portonatico.
Presso il caseggiato venne costruito in
epoca imprecisata un oratorio intitolato a
sant’Antonio, con l’altare ad est. Secondo il
visitatore ecclesiastico del 162255, l’oratorio
aveva pavimento alla veneziana, soffitto
di legno, una finestra tonda nella facciata
e un’altra finestra in una parete laterale, la
cappella dell’altare a pianta semicircolare cinta
da balaustra. C’erano diversi dipinti: sopra
l’altare, entro cornici di gesso, la Madonna con
Bambino e i santi Antonio e Pietro Celestino,
nella volta l’incoronazione della Madonna e i
quattro evangelisti, nella facciata, ai lati della
finestra, l’Annunciazione e i santi Antonio e
Cristoforo, quest’ultimo notoriamente patrono
dei viaggiatori. Un pilastro sull’angolo sud
della facciata reggeva una campanella.
Prima del 1625 venne costruita la sagrestia.
Dal visitatore del 1684 conosciamo le misure
dell’edificio: braccia 12x10, cioè metri 7x6;
altezza braccia 1056.
L’intero complesso, importante per la sua
funzione pubblica, compare con regolarità
nella cartografia dalla fine del Cinquecento
in poi; ben leggibile la pianta nelle mappa
catastale del 1856, con l’attigua strada
“alzaia” del Naviglio Grande. Era un corpo
ad L affacciato su un cortile delimitato da
recinzione e integrato con rustici e con un
grande portico.
10
Tutto venne spazzato via dalla piena rovinosa
del Ticino nel 1868. Il caseggiatio venne
ricostruito, la chiesa no. A fianco del portale
della Casa del Genio Civile è inciso il segno
del livello massimo raggiunto dalle acque.
Oggi la Casa è proprietà della Regione e,
cessata la funzione storica, serve come
abitazione.
Situata a 800 metri a valle dell’incile
originario del Naviglio Grande, c’è la cascina
Castellana, che prende nome dal già citato
Castellano Maggi, titolare di diritti feudali
nella pieve di Dairago dal 1538 al 1543, anno
della sua morte. Nel 1574 il mulino e l’osteria
della Castellana, di proprietà dell’illustrissimo
signore Alfonso Gonzaga di Castelgoffredo57,
abitati rispettivamente da due e da undici
persone, dipendevano dalla parrocchia di
Lonate, così come almeno altri quattro mulini
in valle, la casa del “porto” sul Ticino, la casa
della Regia Camera con unita chiesetta
allo Sperone e, sul ciglione del pianalto, la
cascina Maggia58. Da notare: uno dei due
capifamiglia abitanti nell’osteria faceva l’oste,
l’altro era conduttore di “navetto” cioè di uno
dei barconi in circolazione sul Naviglio dal
Ticino a Milano.
Come la vediamo oggi, sistemata a ristorante,
la cascina Castellana presenta qualche velleità
architettonica, conservando sulla fronte est
una loggetta e tracce di affreschi, sulla fronte
ovest in affresco uno stemma inquartato
visconteo e una meridiana settecentesca.
Lo stemma, presumibilmente del tardo
Cinquecento, riunisce le insegne dei Visconti
(il biscione), dei Modrone che erano un ramo
dei Visconti (il leone rampante) e dei Litta (i
quadretti bianchi e neri), i quali Litta avevano
nel tardo Cinquecento acquisito diritti di pesca
nel tratto lonatese del Ticino59.
Dal porticato interno di questa costruzione
è stato strappato nel 1981 l’affresco con la
Pietà che divenne pala dell’altare maggiore
nella parrocchiale di Tornavento. Raffigura la
Madonna nell’atto di reggere sulle ginocchia
il corpo di Cristo tolto dalla croce; il Calvario è
sullo sfondo, con le tre croci vuote. Ai lati della
Madonna il fariseo Nicodemo e Giuseppe
d’Arimatea, il donatore del sepolcro, che
mostrano gli strumenti della passione: corona
di spine, chiodi, martello, tenaglia. Davanti alla
Madonna, sul pavimento, un agnellino che,
rappresentato anamorficamente, si deforma
rivelando un teschio.
Due le scritte, a lettere capitali, coeve al
dipinto. In testa ad esso, Postea mori, presso
il disegno di un cranio: brutto latino che
dovrebbe significare “dopo il morire”. In calce
all’affresco, in italiano arcaico, l’invito ad
una preghiera indulgenziata: Chi 14 pater e
cinqui avimarie bona devotione dirà XII anni
per volta aguadagnarà. 1545 die X. Il dipinto,
testimonianza e stimolo di devozione popolare,
suggerisce un ripensamento della morte: dalla
deposizione del Cristo all’anamorfosi pittorica
dell’agnellino ai piedi della Pietà che richiama
un teschio. Sullo sfondo, in un cielo striato,
i colori di un tramonto sul Ticino, capace di
evocare l’ora in cui Cristo venne deposto
dalla croce60.
La Casa della Camera in una mappa tardo-settecentesca e del 1856.
Affresco araldico e affrescco devozionale della cascina Castellana
La cascina Castellana (C. Dana) nella carta del Magini del 1620,
nella mappa del 1856 e in una foto recente.
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L’affresco è interessante per la sua iconografia
inconsueta. La scena non è inserita nel verde
della natura, come solevano fare i pittori del
Cinquecento, ma in un ambiente aprospettico,
foggiato a mo’ di portico architravato, con
lesene o esili pilastri coronati da capitelli
classicheggianti, con pavimento a mattonelle
quadrangolari. Sono assenti i personaggi
che di solito affiancano la Vergine, cioè
Giovanni l’evangelista e il gruppo delle Marie.
Nonostante l’esecuzione non eccelsa, tràttasi
di pittura colta, ispirata forse da un stampa,
riflettente temi e modi cari al pittore valsesiano
Gaudenzio Ferrari e allo stuolo di seguaci e
imitatori, uno dei quali potrebbe avere sostato
alla cascina mentre andava per via d’acqua
verso Milano61.
La cascina Castellana doveva esser
importante se è segnata nell’Atlante del
Magini, benché nella grafia C. Dana, per
erronea trascrizione a partire da qualche
documento. Doveva essere bella se nel
giugno del 1636 la scelse per suo alloggio
temporaneo il maresciallo Créqui nei giorni
dell’invasione franco-sabauda del Milanese.
La Castellana figura in quasi tutte le
rappresentazioni cartografiche di media scala
dal Seicento in poi. A metà Settecento l’osteria
della Castellana era proprietà del Luogo Pio
Santa Corona di Milano62.
A metà Ottocento si effettuava il servizio
giornaliero dei passeggeri sul Naviglio nel
tratto Turbigo-Milano; ogni mattina di giorno
feriale la corriere in partenza da Turbigo
doveva prelevare preventivamente alla
cascina Castellana, quattro miglia a monte di
Turbigo, le persone provenienti da Oleggio,
Lonate, Busto e Gallarate63.
7. La battaglia del 1636
Presso l’abitato di Tornavento, sul fosso del
Panperduto, si combatté il 22 giugno 1636
una sanguinosissima ma inefficace battaglia
tra gli spagnoli signori dello Stato di Milano
e gli invasori franco-sabaudi guidati dal duca
Vittorio Amedeo I di Savoia e dal maresciallo
de Créqui64. La battaglia è un episodio della
Guerra dei Trent’Anni, il conflitto che dal 1618
al 1648 coinvolse gran parte dell’Europa
continentale, animato da aspirazioni di
12
espansione territoriale di alcuni stati ma
anche da ideologie religiose contrapposte.
Nel maggio del 1635 la Francia, che negli
anni precedenti aveva svolto una politica
essenzialmente diplomatica, decise di
dichiarare guerra alla Spagna. Il duca di
Rohan conquistò la Valtellina, il corridoio che
univa Milano al cuore dell’impero asburgico,
il maresciallo Créqui portò in Italia forze
ingenti di fanteria e cavalleria, la Francia
guadagnò come alleati i Farnese di Parma
e i Savoia. Nel campo opposto, a novembre
la Spagna mandò a governare Milano il
marchese di Leganes, uomo d’armi. Sul lato
occidentale il confine dello stato milanese era
al fiume Sesia. Nel 1636 gli alleati francosabaudi fecero una prima incursione nel
Novarese a febbraio da sud, un secondo
tentativo a giugno, penetrando da Gattinara,
raggiungendo e oltrepassando il Ticino,
accampandosi a Tornavento senza incontrare
le truppe di Spagna sino al giorno della
battaglia, che combatterono una settimana
dopo il passaggio del fiume.
Della battaglia e dell’invasione scrissero storici
antichi e moderni. Tra le fonti documentarie
una relazione del curato Comerio di Lonate
costruita su testimonianze locali da lui
raccolte.
Le fonti storiche citano il fosso del Panperduto
come baluardo e trincea dei francesi e
menzionano per quella caldissima giornata il
rinfrescarsi di alcuni combattenti spagnoli in
un corso d’acqua in cui è facile individuare
la roggia molinara. Oltrona Visconti, che più
d’ogni altro studiò questa pagina di storia,
ipotizzò che l’area del combattimento si
estendesse verosimilmente fino alla Maggia.
La battaglia non vide la partecipazione dei
sabaudi per gran parte della giornata. Nel
pomeriggio i francesi stavano cedendo
quando in loro aiuto sopraggiunsero i sabaudi
dalla sponda occidentale del Ticino, dove si
era trasferiti nei giorni precedenti.
L’ultimo a studiare questa battaglia fu il
generale Amoretti, direttore del museo delle
armi di Torino. Egli trovava sorprendente la
lacuna tattica degli Spagnoli, di non avere
difeso, con il vantaggio del terreno, ben due
ostacoli naturali, il fiume e il ciglione collinare
su cui è situato Tornavento. Analizzando
le fonti, il generale ipotizzò lo sviluppo del
La lettera A e una torre con bandiera al vento: fantasiosa indicazione di Tornavento
nel disegno seicentesco della battaglia.
La battaglia nei reperti testimoniali e nella rievocazione storica.
combattimento. I francesi, costretti alla
difensiva sull’orlo del ciglione per non essere
ributtati verso il Ticino, di certo dovettero
costruire trincee con gabbioni di fascine nello
schema dei “salienti e rientranti”, avendo
alle spalle il piccolo abitato di Tornavento,
sfruttando l’uno e l’altro lato del fosso asciutto
del Panperduto, schierando le numerose
forze parte nella brughiera, parte nel bosco.
Vasta la brughiera, di facile osservazione,
ben percorribile a piedi e a cavallo. L’armata
spagnola, costituita dalle massicce formazioni
dei tercios, proveniendo da Abbiategrasso
si avvicinò al luogo della battaglia. Essa
sviluppò dapprima attacco frontale sul centro
dello schieramento francese, impegnando per
ore picchieri e moschettieri in gran numero,
la cavalleria e i dragoni soltanto in forma
marginale. L’artiglieria francese, piazzata
sulla lieve altura di Tornavento, colpiva
crudelmente i soldati spagnoli. Quando poi
costoro passarono alle spade e ai coltellacci
per il combattimento corpo a corpo, a sfiorare
la sconfitta furono i francesi, i quali furono
salvati in extremis dalle truppe sabaude,
risalenti dallo Sperone attraverso un ponte
di barche di loro costruzione ed affluenti
sul pianalto in modo da sorprendere, con la
cavalleria, di fianco o alle spalle, gli spagnoli.
La battaglia, durata l’intera giornata, finì
senza un vincitore, forzatamente chiusa dal
buio della sera. Centinaia i morti, moltissimi i
feriti. Il più famoso dei caduti sul campo era
Gherardo Gambacorta, capitano di cavalleria
napoletana a servizio della Spagna. Si vuole
fosse sua la tomba con uno spadino e due
stiletti messa in luce nel 1900 durante uno
scavo davanti alla chiesa di Sant’Eugenio65.
Danni, incendi, violenze seminarono i francosabaudi nei paesi del vasto circondario, prima
e dopo la battaglia.
Ricordava il fatto d’armi una carta seicentesca
a stampa, oggi introvabile, ricopiata in grande
nel quadro che stava su una parete della
villa Parravicino. Il fosso del Panperduto si è
confermato come sito del conflitto, restituendo
in questi ultimi anni resti di oggetti metallici –
congegni di sparo, una punta di stendardo,
culatta e palle d’archibugio – ed una moneta
di Luigi XIII, re dei francesi proprio nel 1636.
Da quindici anni l’associazione Cavalieri del
Fiume Azzurro cura una rievocazione annuale
della battaglia nella vasta area già brughiera
ad oriente dell’abitato di Tornavento.
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8. Tornavento nella cartografia
Il primo riferimento possibile in questo campo è
ad una carta topografica manoscritta del 1550
circa, probabilmente collegata al catasto dello
Stato di Milano iniziato per ordine di Carlo V
nel 1543, andata distrutta durante la seconda
guerra mondiale: raffigurava il territorio dal
fiume Sesia alla Brianza, con indicazione di
una ventina di luoghi della pieve di Dairago:
tra essi “Tornavento, palazzo”66.
Per quanto piccolo, il villaggio di Tornavento
compare in molte carte conservate raffiguranti
l’alto Milanese. La ragione sta nella prossimità
di Tornavento rispetto a realtà e strutture
importanti quali il fiume Ticino, il Naviglio, la
roggia molinara, che erano l’oggetto diretto
della rappresentazione cartografica67.
Viene fatta risalire al tardo Cinquecento
la mappa dell’Archivio di Stato di Torino
nella quale sono disegnate rettifiche, allora
previste ma poi non realizzate, della roggia
molinara di Lonate nel tratto tra i Molinelli e
il Molinazzo; per contestualizzare la scena,
sono disegnate e denominate anche le realtà
di cascina Maggia, Tornavento e Castellana.
Egualmente interessante il disegno a mano
della pieve di Dairago predisposto intorno al
1580 per i visitatori ecclesiastici. I paesi sono
indicati simbolicamente con circoletti. Dairago
capopieve si presenta con la croce doppia di
Lorena, le chiese parrocchiali con una croce
semplice. Nel disegno figurano anche mulini,
ponti e cascine (tra le quali Tinella), e sono
indicate le distanze in miglia tra una località
e l’altra (1 miglio = 1.785 metri). Il Naviglio
circoscrive metà della carta.
La migliore delle carte del Cinquecento che
rappresentano la Lombardia sono quelle
disegnate da Giovanni Antonio Magini nel
1596, pubblicate dal figlio Fabio nel 1620
nell’Atlante d’Italia, con moltissimi toponimi,
precisione dei confini, ma con distanze tra i
luoghi molto approssimative. Vi compaiono i
nomi di Tornavento, Casa della Camera, C.
Dana (anziché Castellana), Tinella e, sotto
Tornavento, un tratto senza nome del fosso
Panperduto.
Il territorio della pieve dairaghese non trova
migliore rappresentazione nelle carte a
stampa successive fino alle carte topografiche
realizzate sulla base dei rilievi del catasto di
14
Maria Teresa. Cartografi stranieri, olandesi
prima, francesi poi, utilizzarono liberamente
le tavole di Magini; i francesi introdussero più
cura per le strade, anche in relazione all’uso
militare delle carte geografiche.
Da segnalare tra le varie carte del Naviglio
disegnate a mano una molto nitida del 1627,
conservata nella Biblioteca Ambrosiana di
Milano, che oltre a Tornavento disegna e
denomina la Casa della Regia Camera, la
Castellana e Tinella.
Tra quelle a stampa merita di essere
ricordata la carta dello Stato di Milano (parte
occidentale) del 1691 di Vincenzo Coronelli
veneziano, nella quale si leggono i nomi
Tornavento, Camera, Castelano (anziché
Castellana).
Di grandissima importanza la serie sistematica
di rilievi iniziata nel 1718 sotto l’imperatore
Carlo VI d’Austria e conclusa trent’anni dopo,
nota come catasto di Maria Teresa, operazione
che comportò la misurazione e la stima di tutti
i beni immobili, terreni e case, allo scopo di
distribuire equamente il carico fiscale in base
alla qualità e all’estensione delle proprietà. Le
mappe furono disegnate sul luogo per mezzo
della tavoletta pretoriana in scala 1:2.000,
come unità di misura si usarono il trabucco
(m 2,61) e la pertica milanese (mq 654,52).
Abbiamo la mappa di Tornavento del 1722,
in serie di fogli separata rispetto alla mappa
di Tinella. L’abitato di Tornavento risulta
composto di poche case a nord della chiesa,
Tinella sono due edifici lontani tra loro: la
cascina e il mulino68.
Dalle mappe del catasto teresiano si
derivarono per assemblaggio carte regionali
o subregionali. Tra esse la carta di Giuliano
Zuliani pubblicata a Venezia nel 1784 e
la nota carta della provincia di Varese del
1786, disegnata dal monaco olivetano Mauro
Fornara e incisa da Domenico Cagnoni, gli
stessi cui si deve la “Carta compendiata dello
Stato di Milano” del 1790, con il semplice
nome di Tornavento in tutte.
Sono di maggiore interesse per precisione e
ricchezza di dettagli la carta degli astronomi
di Brera disegnata tra il 1788 e il 1796, la
Carta topografica del Regno LombardoVeneto pubblicata nel 1833 e quella
dell’Istituto Geografico Militare stampata in
diverse edizioni dalla fine dell’Ottocento.
Carta IGM del 1883 aggiornata nel 1914: cascina e mulino di Tinella non compaiono più.
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Sempre risalenti all’Ottocento sono reperibili
carte geografiche di varia specializzazione,
derivate da quelle ufficiali. Da ricordare che
gli astronomi di Brera iniziarono le operazioni
di rilevamento per la cartografia con la
misurazione della base geodetica di Somma.
Alcune
carte
ottocentesche
meritano
citazione: la carta del Dipartimento d’Olona
del 1802 disegnata da Giuseppe Boerio, in cui
compaiono Santa Maria della Maggia, il porto
di Oleggio, Tornavento e il Molinazzo69; la
carta senza data ma del 1827 circa, intitolata
“Contorni di Milano”, e quella analoga del
1833, entrambe carte militari, attente alla
configurazione e alle colture del terreno, alle
strade e corsi d’acqua, ai centri abitati, ai
confini di provincia e di distretto: vi compaiono
da nord a sud la Maggia, il mulino di Gaggio,
il “casello”, il porto di Oleggio, la casa della
Camera, Tornavento, il mulino Nuovo, l’osteria
Castellana, il Molinazzo, la cascina e il mulino
di Tinella.
La mappa manoscritta del 1856 denomina
Regia Ricevitoria quello che era il “casello”.
La “levata” del 1883, capofila delle carte IGM,
presenta nitidamente i confini intercomunali,
le strade, il nucleo centrale di Tornavento, gli
edifici industriali in valle, la roggia con i mulini,
il Naviglio con il canale scaricatore Marinone,
la cascina Castellana e – importante novità
– diversi punti altimetrici del territorio, con
l’abitato di Tornavento a quota m 190 slm e le
case della zona Turbigaccio a m 14470.
9. Il comune di Tornavento
con Tinella
Tinella era una cascina e un mulino. La cascina
non risulta appartenente alla parrocchia
di Lonate. Al mulino, che alcuni atti notarili
collocano in territorio di Nosate, era annesso
un ospizio, cioè un’osteria.
Con atto 27 dicembre 1464 mulino e osteria
furono dati in affitto per tre anni ai fratelli
Ambrogio e Paolino de Canibus del fu
Ceschino abitanti a Lonate. Cinque erano
allora i comproprietari Della Croce: Luigi fu
Rodolfo abitante a Magnago, Marco fu Rodolfo
abitante a Lonate, Giacomo fu Francesco
abitante a Sant’Antonino, Giacomo Filippo
fu Giorgio abitante a Lonate, Zanardo fu
16
Giovanni abitante a Magnago. A ciascuno dei
proprietari spettava un quinto del canone di
affitto, che era fissato in fiorini 82 e 10 libbre
di buon pesce all’anno71. A motivo del mulino
Tinella era più importante di Tornavento.
Per il dazio dell’imbottato del vino nuovo e delle
biade Tinella era abbinato a Sant’Antonino. Il
18 novembre 1464 a Magnago, in casa del
dominus Giovanni Della Croce “anziano” della
pieve civile di Dairago, radunati i consoli dei
comuni della pieve, si concordò la divisione
del carico annuo di lire 1.100 addossato
alla pieve dall’ufficio ducale delle entrate
straordinarie: Busto Garolfo ebbe in carico
280 lire, Borsano 155, Bienate 90, Magnago
83, Dairago 75, Cuggiono 66, a Vanzago
(cioè Vanzaghello) 65, Buscate 60, Inveruno
48, Arconate 40, Sant’Antonino con Tinella
40, Furato 28, Robecchetto 20, Malvaglio
1572. Nell’atto non figura Tornavento, forse
abbinato a Lonate, che per lo stesso tributo
pagava da 800 a 1.000 lire ogni anno73.
Anche l’osteria rimase una costante per decenni
e decenni. Un hosto a Tinella è attestato
anche per l’anno 1537: era nientemeno
che un dominus, Giacomo Bombarda, capo
dell’unica famiglia ivi abitante74. Si sa che
nel 1641 gli abitanti di Tinella (homines loci
Tinelle) scelsero un Melchiorre Crespi come
loro postaro del sale75.
Come già accennato, Tinella e Tornavento
ebbero vicende feudali generalmente diverse.
L’accostamento avvenne a metà Settecento.
Nel contesto degli atti amministrativi del
governo austriaco concernenti il censimento
dei beni di prima e seconda stazione, venne
istituita l’unità fiscale “Tornavento con Tinella”,
cui fu attribuita funzione di comune. D’altronde
era in uso nelle infeudazioni dalla metà del
Seicento la combinazione di Tornavento e di
Tinella, come anticipato nella scheda n° 5.
Nel 1722 a misurare il territorio di Tornavento
venne il geometra esterno Dionigi Calahan,
non risulta chi del posto gli abbia prestato
assistenza. Misurazione separata ebbe allora
il territorio di Tinella. La fusione dei due territori
totalizzò 5.000 pertiche milanesi.
I fogli catastali evidenziano chiaramente
le pertinenze di Tornavento. Oltre al
piccolo nucleo abitato presso la chiesa di
Sant’Eugenio, sono rappresentati in territorio
di Tornavento la casa della Regia Camera
Cascina e mulino di Tinella nella mappa
del 1856. Il mulino di Tinella nel 1903,
alla vigilia della demolizione.
(mappale n. 1) e l’incile del Naviglio76, un tratto
della roggia molinara lonatese e sulla roggia il
molino Nuovo (mapp. 37 ½) di proprietà della
comunità di Lonate, una cascina Ciappetta
(mapp. 52 ½) ad est dell’abitato di Tornavento
oltre la roggia, una “terra da lino” (mapp. 45)
di 2 pertiche di proprietà del Luogo Pio Santa
Corona di Milano, la cascina Castellana
(mapp. 61) con osteria, proprietà dello stesso
Luogo Pio. Ad est, faceva da confine tra il
territorio di Tornavento e quello di Lonate una
strada rettilinea corrispondente a quella poi
chiamata del Gregge.
I fogli catastali di Tinella non presentano
particolari importanti oltre la roggia zigzagante,
sulla quale gravitavano il Molinazzo (mapp.
32), la cascina Tinella e, al defluire della
roggia nel Naviglio, l’osteria e il mulino di
Tinella (mapp. 78 e 79).
Le corrosioni del fiume Ticino, confine
occidentale delle due località fiscalmente
associate, determinarono fogli catastali
aggiuntivi, limitati alle aree delle variazioni.
La riforma del 1755 delle amministrazioni
comunali (legge di 332 articoli)77 sostituiva
alla precedente varietà delle forme di governo
locale un modello uniforme di pubblica
amministrazione, basato sul concorso di tutti
gli estimati e sul controllo dei loro atti da
parte di autorità tutorie centrali e periferiche.
Le piccole terre vennero aggregate: così a
Tornavento fu unito Tinella. In ogni comunità
doveva riunirsi due volte all’anno il convocato
generale o assemblea dei estimati, cioè
di tutti coloro che figuravano a catasto per
qualsiasi cifra come intestatari di beni fondiari
tassati. Nella seduta di gennaio dovevano
formare l’imposta per l’anno in corso; nella
seduta autunnale eleggere tre deputati
dell’estimo. Un esecutivo ristretto integrato
da un rappresentante di coloro che pagavano
l’imposta personale e da un rappresentante
dei soggetti a imposta mercimoniale nominava
un sindaco che fungeva da sostituto della
deputazione per le necessità quotidiane e un
console, qualcosa di mezzo tra il banditore e
il messo comunale. Il mandato dei deputati e
del sindaco era annuale, per un triennio era
invece l’esattore, unico per tutta la pieve o
delegazione, la quale aveva un cancelliere
con poteri di controllo sulle amministrazioni
comunali.
Un “quinternetto” dell’anno 1760 destinato
all’esattore attesta che i “carichi” del comune
di Tornavento con Tinella ammontavano
allora a lire 2.215, che l’esattore comunale
usava pagare in quattro rate il dovuto alle
magistrature ducali. Benché piccolo, il
comune di Tornavento doveva avere i suoi
rappresentanti e i suoi ufficiali. Parlando della
chiesa di Sant’Eugenio, abbiamo avuto modo
di citare il console del 1780: Marcantonio
Berto. Negli anni 1791-93 i rappresentanti
degli estimati erano Giovanni Parravicino, la
casa Caldarona, il Collegio Imperiale.
Poche le notizie raccolte. Nel 1779 il mulino
“nuovo”, del comune di Lonate, fu venduto,
con l’abitazione del molinaro e l’annessa
striscia di terra “a zerbo”, a Carlo Mazzucchelli,
17
prestanome degli Oltrona Visconti78. A fine
Settecento Tornavento contava 84 abitanti,
che disponevano localmente di un pozzo
e del forno comunale e si avvalevano dello
stesso medico di Lonate79.
Dal 1786 Tornavento insieme con gli altri
paesi della pieve civile di Dairago fece
parte della provincia austriaca di GallarateVarese; in epoca napoleonica fece parte del
Dipartimento d’Olona. Contava allora poco
più di 100 abitanti; il medico, scelto dagli
amministratori di Tornavento, era Girolamo
Mainini.
Nel 1816 Tornavento, nell’ambito della
provincia di Milano e distretto censuario XIV
di Cuggiono, fu ridotto a frazione di Lonate,
ma lo status di frazione durò poco e nel
1818 Tornavento tornò comune autonomo. I
convocati del 1817 si tenevano nello slargo
tra la villa Parravicino e la chiesa; in caso
di cattivo tempo, nella casa dell’agente
comunale. Il comune di Tornavento aveva un
suo cursore, che recapitava agli interessati
l’avviso per le riunioni.
Gli argomenti che erano oggetto di trattazione
nei convocati erano piuttosto pochi, ripetitivi di
anno in anno: i conti preventivo e consuntivo,
la nomina dei deputati e dei revisori dei
conti, la nomina e il compenso dei dipendenti
comunali; troviamo in più, sotto il 1817, la
posa di un ponte sulla roggia molinara, lo
spurgo del pozzo comunale, la sospensione e
la ripresa della scuola “normale”80. L’archivio
storico comunale di Tornavento conserva
sugli stessi argomenti i verbali dei convocati
degli anni intorno al 1830.
Dieci i fogli che nell’archivio di Stato di
Varese documentano il territorio del comune
di “Tornavento con Tinella” nel 1856,
confermando sostanzialmente la situazione
settecentesca, salvo collocare presso
la cascina Ciappetta un lungo edificio e
denominare il tutto la Cassinetta. I fogli di
rettifica del 1880 e del 1902 presentano le
modifiche relative nel primo caso all’area
della Cassinetta, nel secondo all’abitato di
Tornavento.
Carte già dell’archivio comunale di
Tornavento degli anni 1855-59 riguardano
la manutenzione della scuola e delle strade
esistenti nel pianalto e nella valle del Ticino.
Fin dal primo assetto del Regno d’Italia il
18
piccolo comune di Tornavento ebbe i suoi 15
consiglieri, quanti ne aveva Lonate. Gli elettori
di Tornavento per le elezioni amministrative
del 1861 erano 50. Sindaco di Tornavento nel
1861 era Ippolito Parravicino. Egli dispose,
nell’anno, di pagare 60 lire a suo fratello
Eugenio per il fitto della sala che si usava
come ufficio comunale; firmò mandato di
pagare lire 250 di stipendio annuo al segretario
comunale Francesco Vigevano81. Nel bilancio
preventivo del 1869 le spese distinguevano,
qui come altrove, il personale comunale in
stipendiati (medico, levatrice, maestro) e
salariati (agente, cursore, pedone).
Nel 1869, quando Tornavento fu aggregato
a Lonate, aveva una popolazione di circa
250 abitanti82. Il sindaco era sempre Ippolito
Parravicino. L’aggregazione a Lonate rifletteva
un decreto firmato il 3 marzo 1869 da Vittorio
Emanuele Il, primo re d‘Italia. Il decreto colpiva
anche Sant’Antonino. L’archivio storico di
Tornavento, al pari di quello di Sant’Antonino,
venne unito e tutt’oggi sta unito all’archivio
storico di Lonate.
Quanto alla superficie dei comuni, si sostiene
generalmente che la territorializzazione è da
ascrivere al Medioevo, che cioè l’estensione
odierna dei territori rispecchia l’importanza
che i diversi luoghi avevano all’epoca della
costituzione dei loro confini, naturalmente
con le limitazioni imposte da fattori ambientali
e naturali (corsi d’acqua, brughiera ecc.)
assieme ad altri non facilmente individuabili
oggi83. Questa tesi non risulta valida per
Tornavento, che nel medioevo non costituiva
unità amministrativa.
Quanto alle dimensioni, abbiamo a fine
Settecento per “Tornavento con Tinella”
la seguente situazione nel quadro delle
adiacenze84. Può essere utile ricordare che
una pertica milanese equivale a 654 mq.
LUOGO
PERTICATO ABITANTI
Turbigo
10.756
656
Castano
29.919
1.911
Nosate
9.037
264
Tornavento
5.082
117
Lonate P.
30.775
1.584
Ferno
14.212
1.123
Vizzola
3.619
-
10. I Parravicino a Tornavento
I Parravicino avevano da tempo un ruolo
importante nella vita socio-economica della
Brianza e delle terre ad oriente di Milano85.
Nel Settecento estesero i loro interessi anche
a Tornavento e, in misura minore, a Lonate.
La chiesa di San Giovanni in Campagna
presentava nella parete di fondo una
scenografia, dipinta entro il 1722, con in testa
lo stemma Parravicino, sopra la pala d’altare
che si dice raffigurasse la Madonna degli
Appestati86.
I Parravicino si incontrano nel catasto di
Tornavento del 1751. Don Paolo Parravicino
fu Giovanni e la sorella donna Isabella Ottolini
Parravicino possedevano parecchi terreni in
Tornavento e anche in Lonate: don Paolo
soprattutto a Tornavento, donna Isabella
soprattutto a Lonate87. Donna Isabella era
proprietaria in Tornavento del mappale n° 66
di pertiche 19, comprendente la casa in parte
di sua abitazione, in parte da massaro, e lo
spiazzo a sud fino alla casa del cappellano,
mentre del fratello era il mappale n° 20, di
quasi 5 pertiche, strutturato a giardino, a nord
dell’abitazione di Isabella.
Rimane notizia di una lite tra i Parravicino
e i Della Croce negli anni 1787-88: i primi
avevano introdotto modifiche alla strada per
cascina Maggia e furono costretti a ripristinarla
com’era prima88. La lite rende incredibile il
legame di parentela tra i due ceppi asserito
da Oltrona Visconti89.
Nel 1790 parte dei beni dei soppressi
monasteri lonatesi giacenti nei territori di
Lonate e Tornavento, livellati al dottor Carlo
Facciata odierna della villa
già Parravicino, sulla piazza omonima.
Alciati, furono subaffittati ai fratelli Giovanni e
Paolo Parravicino90.
Nel 1835 i Parravicino mettevano, o forse
continuavano a mettere, a disposizione della
gendarmeria alcuni locali di loro proprietà,
da identificare nell’edificio che è denominato
“casello” nella carta militare del 1833, Regia
Ricevitoria nel 1856, cascina Parravicino dalla
fine dell’Ottocento (1896)91.
Giovanni Parravicino ebbe almeno cinque
figli dalla marchesa Bianca d’Adda92: Ippolito,
Eugenio, Gustavo, Giacomo (che morì
giovane) ed una figlia.
I fratelli Ippolito ed Eugenio Parravicino,
nobili, avevano la villa (sull’area dell’antico
castellazzo) ed estese proprietà, praticavano
la sericoltura e gestivano una “filandina” a
Tornavento, mantenevano interessi sericoli
anche in zone della Brianza.
E’ rimasto sconosciuto fino a pochissimi anni fa
un importante capitolo della vita dei due fratelli:
il capitolo dei “semai”93. Nella documentazione
della famiglia risulta che sin dal 1865 i
Parravicino impiegavano cartoni giapponesi
nell’allevamento dei bachi. Erano in rapporti di
affari con l’industriale serico milanese Alberto
Keller, a cui vendevano bozzoli e forse anche
seta greggia. E’ certamente anche per queste
esperienze che ad Ippolito Parravicino venne
affidato l’incarico di andare a Yokohama.
Nel 1867 e 1868 Ippolito Parravicino fu in
Giappone per acquistare cartoni di semebachi per conto della Società Bacologica tra
Proprietari e Coltivatori di Milano, una delle
maggiori associazioni italiane del settore.
Eugenio Parravicino era contitolare a Milano
di una società che confezionava seme-bachi
Cappella Parravicino
nel cimitero di Tornavento.
19
in Sardegna ed in Corsica. Nel 1873 furono
in Giappone sia Ippolito che Eugenio. I
Parravicino restarono in attività negli anni
successivi in collegamento con le loro
proprietà terriere, ma con investimento anche
nel settore cotoniero.
Ippolito, come già accennato, si dedicò anche
alla politica. Dopo essere stato sindaco di
Tornavento per un decennio, negli anni 187577 fu sindaco di Lonate; negli anni seguenti fu
membro del Consiglio Provinciale di Milano.
Nel 1895 era uno dei consiglieri comunali di
Lonate, il più ricco per rendita immobiliare94.
Gustavo (1837-1906) fu ufficiale superiore
nelle Guerre d’Indipendenza, ottenendo
una medaglia d’argento al valore militare: è
celebrato in un lungo testo su lastra di marmo
nella cappella di famiglia.
A Giulio, erede di Ippolito e figlio di Gustavo,
si deve il restauro nel 1901 della villa di
Tornavento95.
I corpi di fabbrica della villa si raggruppano
attorno a due cortili interni, presentandosi
esternamente come una massa chiusa e
compatta, priva di articolazioni; non mancano
tuttavia accorgimenti prospettici che rendono
interessanti le vedute, come la sistemazione
lungo un solo asse degli anditi di accesso ai
cortili di cui il primo costituisce un terrazzo
verso valle. Un disegno del 1914 indica
l’assetto dato allora alla villa96.
Giulio, oltre che ingegnere, rimaneva un
grande proprietario agricolo. Nel 1902
accolse, insieme con altri 15 grandi possidenti
di Lonate, l’alleggerimento del contratto
colonico97.
Nel 1910 era consigliere comunale di Lonate,
avendo residenza a Milano in via Borgonovo
698. Nel 1912, insieme con l’ing. Piatti, fece un
progetto, poi non realizzato, di sollevamento
delle acque del canale Villoresi in località
Maggia per formare canali secondari di
irrigazione dell’alto Milanese99.
Molteplici le opere che Ippolito e Giulio
realizzarono per il progresso agricolo e
sociale del paese100.
Al cimitero di Tornavento nella cappella
costruita nel 1903 da Giulio Parravicino, ricca
di cenni biografici incisi sulle tombe, sono
sepolti: Gustavo (1837-1900), colonnello
d’artiglieria nelle guerre d’indipendenza
italiana e “studioso instancabile”; la moglie
20
Bianca Barbiano di Belgioioso (1845-1911);
l’ing. Ippolito (1834-1900), fratello di Gustavo,
che visse “più di 8 lustri” a Tornavento,
uomo che si distinse “sul campo di battaglia,
nei viaggi, nei consigli della provincia e del
comune”; l’ing. Giulio (1867-1929), figlio di
Gustavo, che “coltivò l’idraulica, l’agricoltura”;
Ines Lossetti Mandelli (1875-1949), moglie di
Giulio.
Maria Luisa, figlia di Gustavo, sposò un
Martellini. Il loro figlio, Gustavo, ufficiale
dell’esercito, testò nel 1951 lasciando erede
– anche di oggetti già dei Parravicino – la
nipote Benedetta Pecchioli domiciliata in
Firenze, disponendo di essere sepolto a
Tornavento101.
Gli eredi Parravicino erano ormai inclini ad
abbandonare le proprietà di Tornavento. La
società immobiliare che entrò in possesso
della villa, mise in atto nel 1980 una profonda
ristrutturazione102.
Oggi la villa è frazionata in tanti appartamenti
ad uso sia uffici, sia abitazioni; gli interni sono
quasi tutti recenti.
11. La chiesa settecentesca
e le modifiche successive
Com’era la chiesa “nuova”, costruita a metà
Settecento, enunciata nella scheda n° 4?
Ce la ricordano i disegni – pianta e spaccato
– fatti nel 1841 dall’ing. Giuseppe Rossetti e
da lui presentati alla deputazione comunale
di Tornavento unitamente ai disegni – pianta
e spaccato – funzionali all’allungamento
dell’edificio, probabilmente rispondente ad
un aumento della popolazione. Tutti questi
disegni sono oggi nell’archivio comunale di
Lonate, sezione storica103.
La chiesa del Settecento aveva una finestra
su ogni parete e una finestra anche in facciata,
collocate al di sopra del cornicione di imposta
della volta, aveva la sagrestia sulla parete
meridionale, non aveva ancora il campanile.
L’aula era lunga poco più di 13 metri e larga
circa 7 metri; la cappella dell’altare doveva
essere a pianta rettangolare.
L’ampliamento previsto dall’ing. Rossetti
comportava una chiesa lunga – cappella
compresa – 18,5 metri e larga 6,5 metri,
con una sagrestia nuova sempre a sud, aula
Chiesa del Settecento e chiesa dell’Ottocento a raffronto: piante e sezioni.
divisa in cinque campi rimarcati sulle pareti
da lesene di gusto neoclassico, un soffitto
a volta in cannucciato di poco più basso
del preesistente. Sul lato nord, opposto alla
sacrestia, il campanile, successivamente
coronato di calotta sferica, secondo un
disegno del 1855.
Le modifiche ottocentesche sono da ritenersi
più pesanti di quanto i disegni lasciano
intendere; dovettero cancellare tutte le “grazie”
tipiche dell’architettura del Settecento.
Nel 1857-58 a sud della chiesa venne
edificata l’abitazione del cappellano104. Nel
contempo sopra la sacrestia si costruì un
locale, accessibile tramite scala esterna posta
dietro l’abside della chiesa; sul lato nord,
dietro il campanile, si inserì un vano ad uso
magazzino. Della chiesa così modificata ci
resta un disegno planimetrico del 1858 fatto
dall’ingegnere lonatese Luigi Giudici.
Il curato Loaldi nel 1904 scrisse che la
chiesa era stata “ricostruita” nel 1854 e
che presentava due altari, dedicati l’uno
alla Madonna del Rosario, l’altro al Sacro
Cuore105.
Non si conoscono altri lavori importanti fino
all’anno 1900, quando davanti alla chiesa fu
posto l’atrio porticato, con colonnine di granito
21
e soffitto a cassettoni, a spese della Casa
Parravicino in memoria di don Ippolito, come
ricorda l’iscrizione in lettere capitali dorate.
Nel 1906 fu installato sulla controfacciata
un organo Franzetti proveniente da Solcio
sul lago Maggiore; nel 1910 la chiesa fu
decorata, furono modificate le dediche degli
altari minori.
Tutto rimase immutato fino al 1917 quando,
per fronteggiare un ulteriore aumento della
popolazione, la chiesa venne allargata
mediante aggiunta di pseudo-navate laterali,
e venne così ad occupare a nord una
striscia della strada pubblica, che fu donata
dal Comune. Era l’ampliamento auspicato
dal cardinal Ferrari fin dal 1904. Lo si fece
a guerra in corso “per una circostanza
favorevole”, non specificata dal parroco
Riboni, su disegno di Enrico Locatelli, parroco
di Vergiate ma anche “bravissimo ingegnere”.
Il popolo – scrisse Riboni – appoggiò il lavoro
e con vero entusiasmo concorse alle spese
(lire 1.300). Fu inserito allora il battistero a
sinistra dell’ingresso, se già non era stato
allestito nel 1903 quando Tornavento diventò
parrocchia.
Seguirono negli anni Venti i cancelletti in ferro
battuto e successivamente i dipinti alle pareti,
firmati da Luigi Brusatori; del 1946 sono
invece i dipinti integrativi, firmati Garavaglia106,
pittore dell’alto Milanese come il cognome
suggerisce. Il tetto era stato riparato nel 1924,
con spesa vistosa tra quelle conteggiate dalla
fabbriceria107.
Almeno due innovazioni furono introdotte negli
anni Ottanta, quand’era parroco don Pietro
Snider: l’eliminazione degli altari laterali per
aumentare la recettività della chiesa; nel 1983
l’ambone per la proclamazione della parola di
Dio, ottenuto mediante ridimensionamento
del pulpito settecentesco, sovrapposizione di
un leggio, inserimento decorativo di angeli;
nel 1985 la collocazione, coma pala d’altare,
della Pietà cinquecentesca, proveniente
come s’è detto da un portico della Castellana.
Nel 1992 venne restaurato l’organo.
Lavori significativi sono in corso quest’anno
2010. Tolto il pavimento in marmette di
graniglia, scrostati gli intonaci, fatti scavi in
profondità per realizzare un nuovo vespaio
al fine di contrastare l’umidità di risalita
che corrodeva muri e pilastri, i lavori che si
22
compiono su progetto approvato dalla Curia
e dalla Soprintendenza ai beni architettonici
comportano la posa di un nuovo pavimento in
cotto, la collocazione sotto il nuovo pavimento
dei pannelli radianti per il moderno impianto
di riscaldamento, l’abolizione dei gradini delle
navatelle laterali e delle sagrestie. Sotto
il pavimento non si sono trovate strutture
murarie antiche: non si potevano trovare,
insistendo questa chiesa settecentesca su
un’area diversa rispetto a quella della chiesa
medievale.
Tra i lavori previsti, nel presbiterio saranno
collocati o ricollocati gli angeli sopra l’altare,
l’ambone verrà arricchito mediante recupero
di una vecchia tribunetta, sarà trasferito alla
sagrestia settentrionale (ex magazzino) il
grande armadio della sagrestia meridionale,
la Pietà sarà collocata sulla parete sud, verrà
predisposta per la statua del patrono una
nicchia sopra il battistero108.
12. La ferrovia delle barche
Nel 1858 iniziò a funzionare la “via ferrata
di rimorchio delle barche”, da Tornavento e
Sesto Calende109. L’opera riduceva moltissimo
la fatica umana.
La navigazione sul Ticino fu importante sin dai
tempi antichi. Riferendoci a tempi prossimi,
ricordiamo come si navigava tra ’700 e ’800,
e cosa si trasportava. Dal lago Maggiore
scendevano legname d’opera, legna da
ardere, pietre da costruzione, calce, ciottoli
da quarzo (per fare vetro), carbone, importanti
derrate alimentari (castagne, noci, pesce,
vino), ovini e bovini. Le merci che risalivano
il Po e il Ticino e poi il lago erano inferiori per
quantità e qualità: erano soprattutto granaglie
e sale.
La merce viaggiava su barche, lunghe fino
a 24 metri, idonee a scendere il Ticino; le
persone viaggiavano su barche-corriere,
capaci anche di 60 posti.
Superate le rapide e giunta la barca sotto
Tornavento, si infilava la Bocca di Pavia per
proseguire la navigazione del Ticino oppure
si imboccava il Naviglio allo Sperone. Qui il
“parone” della barca saltava a terra e tornava
a piedi a Sesto, un altro parone prendeva in
consegna la barca per condurla, via Naviglio,
fino a Milano.
I tempi impiegati nella navigazione erano
enormi. Per la navigazione da Sesto a Pavia
con acqua mezzana si impiegavano almeno
7 ore, viceversa da Pavia al lago Maggiore da
20 a 30 giorni con barche vuote o con piccolo
carico. Per la discesa da Sesto a Tornavento
bastavano 90 minuti, da Tornavento a Milano
sul Naviglio occorrevano 8-9 ore; al ritorno da
Milano a Tornavento, prima della costruzione
della strada alzaia lungo il Naviglio (182444), si impiegavano 15 giorni con 25 cavalli
trainanti e con altrettanti garzoni per un
convoglio di 5 o 6 barche; a seguito della
costruzione dell’alzaia bastarono 3 giorni e la
metà dei cavalli. Da Tornavento a Sesto, per
solo 18 miglia, ma con le rapide da risalire,
si impiegavano da una a due settimane,
dovendosi staccare le barche per farle
avanzare ad una ad una, spesso portando
parte dei cavalli sulla sponda opposta del
fiume, per combinare in modo opportuno la
trazione.
Carlo Cattaneo, studioso dei trasporti oltre che
personaggio politico, ebbe l’idea di realizzare
tra Tornavento e Sesto una ferrovia per il
rimorchio delle barche via terra. Le barche,
estratte dall’acqua a Tornavento e poste
su grandi carri di tipo ferroviario a 8 ruote,
sarebbero state trainate da cavalli su una via
ferrata attraverso le brughiere e reimmesse
in acqua a Sesto. Il numero delle barche da
trasportarsi fu calcolato in 6.000 all’anno; 100
i cavalli necessari e 100 gli uomini; fatturato
annuo 360.000 lire austriache. Cattaneo
costituì nel 1844 una società, via via rinfoltita
di personaggi autorevoli, di finanziatori, di
grandi proprietari, di capitalisti. Nel 1848,
dopo le Cinque Giornate, ottenne dal
Governo provvisorio di Lombardia un decreto
favorevole alla costruzione, in esclusiva,
della “strada per il rimorchio delle barche”,
riconosciuta di pubblica utilità. Meno generosa
la concessione austriaca del 1850.
La ferrovia iniziava sotto Tornavento da
una darsena di 100 x 40 metri, collegata
direttamente al Naviglio. Il fabbricato “Stazione
di Tornavento della Ferrovia delle Barche”
alloggiava 40 cavalli addetti all’attiraglio nella
prima tratta della ferrovia, altri 40 era alloggiati
alla “Stazione delle Barche” dello Strona, sotto
Somma Lombardo. Alla darsena di Tornavento
Stazione delle barche a Tornavento
in una fantasiosa litografia del 1856.
Primo tratto del percorso
della ferrovia delle barche.
le barche venivano fissate ancora in acqua ai
carri ferroviari, che avevano scartamento di
oltre 2 metri. Il viaggio fino a Sesto Calende
era lungo oltre 17 chilometri, tutto in mezzo
ai boschi. Da Sesto i carri con le barche
arrivavano su terrapieno, a 20 metri di altezza
dal pelo dell’acqua, e venivano calate con
una piattaforma-ascensore gigantesca, lunga
30 metri, munita di contrappesi e mossa da
una ruota ad acqua.
Questa speciale e costosa ferrovia funzionò
però per pochi anni, perché presto sconfitta
sul piano commerciale dalla ferrovia MilanoGallarate-Sesto
Calende,
inaugurata
nell’anno 1868.
Di essa come di opera passibile di integrazioni
migliorative, è cenno nelle memorie di
Giovanni Visconti Venosta, patriota milanese
in fuga verso il Piemonte nel febbraio del
1859110.
23
13. Le industrie in valle
L’attività prevalente della popolazione di
Tornavento era l’agricoltura. Non soltanto
l’agricoltura ma anche l’industrializzazione di
Tornavento deve molto ai Parravicino.
Una tessitura capace di 200 telai fu edificata
da Ippolito Parravicino nel 1876 in località
Cassinetta111. L’opificio si collocò alla
soppressa stazione della ferrovia delle barche.
Per funzionare utilizzò l’acqua della roggia,
su un canale derivato. Nel 1885 la tessitura
Borghi – Parravicino occupava 7 uomini, 40
donne, 20 minori di 14 anni112. Subentrò ad
essa la filatura di lana Trezzi, che nel 1900
aveva 60 addetti113.
Nel 1904 nel luogo della filatura di lana
subentrò il Tubettificio Formenti e Gorla,
che produceva tubetti, spole, rocchetti per
supporto dell’attività tessile. Dei Parravicino
era la terra ed un terzo del capitale sociale
della ditta. Per l’attività del Tubettificio, nel
quale lavoravano 150 operai, era necessario
andare, con i cavalli, alla stazione di Castano
a prendere i rotoli di carta necessari per
fabbricare bossoli e rocchetti114. Il tubettificio
era una società in accomandita semplice.
Tra gli accomandanti nel 1908 c’erano l’ing.
Giulio e il conte Gustavo Parravicino115. Nel
1918, anno di difficoltà finanziaria, il comune
di Lonate (cosa che fecero anche altri
comuni) applicò una tassa d’esercizio alle
industrie “di speciale importanza”, e tra esse
al Tubettificio116. Esso non figura tra le ditte
lonatesi che superarono la crisi del 1929117.
Per tutti questi opifici la forza delle macchine
proveniva dalla Gora Molinara.
Funzionava invece a carbone la Centrale
termoelettrica della Cassinetta, inaugurata il 16
ottobre 1901 nell’ambito del piano nazionale di
industrializzazione del 1898 che riconosceva
alle ferrovie un ruolo importante118.
Tra gli interventi in programma la linea
Milano – Varese – Porto Ceresio elettrificata
a corrente continua di bassa tensione (650
volt) con terza rotaia laterale di contatto. Per
essa era inizialmente prevista a Tornavento
una centrale idroelettrica, ma lungaggini
burocratiche fecero optare per la costruzione
di una centrale termoelettrica.
La centrale era denominata ufficialmente
Officina a Vapore. L’edificio, di pianta quadrata,
24
in mattoni, era diviso in due zone, una per le
caldaie, l’altra per la sala macchine, lunghe
ciascuna metri 42, larghe 22; era alto 15 metri,
coperto da un tetto piano con lucernari. In un
avancorpo erano il quadro di regolazione e
di trasmissione dell’energia prodotta, nonché
gli uffici ed i servizi per il personale. La torre
centrale conteneva interruttori e ammaraggi
per la linea elettrica in uscita. Sotto la sala
macchine erano un magazzino, l’officina e i
grossi condensatori delle macchine a vapore.
La ciminiera, al centro del fabbricato, alta 62
metri, aveva un diametro interno alla base di
3 metri, esterno di 6.
Otto le caldaie, costruite dalla Franco Tosi
di Legnano: erano accoppiate a formare
quattro batterie di due generatori. L’acqua
per le caldaie veniva pescata da un pozzo.
La superficie di riscaldamento di ogni caldaia
era di 290 mq. La griglia del focolaio per la
raccolta del carbone combustibile era ampia
oltre 5 mq. Era necessario un costante e
faticoso rifornimento di carbone: arrivava
mediante ferrovia dai porti liguri fino ad
Oleggio – donde in cartoline d’epoca la
didascalia Centrale di Oleggio –, carri a
trazione animale lo depositavano sul piazzale
esterno della centrale, con carriole veniva
ammucchiato davanti alle caldaie, i fuochisti
dovevano spalarlo a mano nei focolai delle
stesse. Ciascuna delle tre motrici a vapore, a
cilindri, erogava una potenza normale di 1410
Hp. Ogni macchina era collegata ad un volano
di 5 metri, pesante 36 tonnellate. Sull’albero
del volano era calettato l’alternatore trifase.
Gli alternatori fornivano una tensione di
12.000 volt. I due gruppi di dinamo eccitatrici
per gli alternatori fornivano corrente continua
a 125 volt. Nella sala di controllo c’erano i
quadri di distribuzione, muniti di amperometri,
voltometri, wattometri per regolare l’energia
erogata. Condensatori, motrici a vapore,
tubazioni ecc. erano della Franco Tosi, il
materiale elettrico della Thomson-Huston.
La centrale termoelettrica di Tornavento
funzionò fino all’autunno del 1912, in
media 18 ore al giorno, generando potenza
media di 2.000 kw. Funzionò fino al limite
delle sue possibilità, a fronte del continuo
aumento del traffico ferroviario. Nel 1910,
e presumibilmente fino al 1912, il direttore
dell’officina era Carlo Cormanni119. L’edificio
Centrale termoelettrica e Tubettificio,
alla Cassinetta, visti da sud
a inizio Novecento.
La centrale vista dalla sponda di Oleggio.
venne demolito nel 1925.
Nel 1939, in relazione al fatto che la signora
Ines Parravicino, aveva venduto la Cassinetta
alla Vizzola per la costruzione della centrale
idroelettrica di Tornavento, la famiglia
Montonati acquistò l’area della vecchia
centrale termoelettrica per impiantarvi, sulle
rimaste fondamenta, la lavanderia che ha
lavorato molto per il Campo d’aviazione di
Lonate e per diversi anni ancora dopo la
seconda guerra mondiale. Le vecchie mura
(un metro di spessore) sono servite da rifugio
antiaereo durante la guerra.
La costruzione nel 1943 della centrale
idroelettrica sul canale Industriale ha modificato
l’area cancellando ogni testimonianza
esplicita della industrializzazione di fine Ottoinizio Novecento.
14. I canali e il ponte di Oleggio
Nella valle del Ticino, sotto Tornavento,
hanno trovato collocazione diversi canali.
Il più famoso è il Naviglio Grande120,
denominato originariamente Ticinello, che
ha qui il suo punto di partenza, il suo incile.
Questo canale, inizialmente poco più che un
fosso, si ottenne con il prolungamento verso
nord nel 1257-58 dell’analogo manufatto già
scavato dai milanesi intorno al 1179 nel tratto
da Gaggiano a Milano a scopo sia difensivo
(nella lotta ancora aperta con le vicine città
lombarde) sia economico (per l’incremento
dell’artigianato mediante impiego della forza
idraulica). Il Ticinello fu reso navigabile
negli anni 1269-72 quando Napoleone della
Torre, signore di Milano, lo fece ampliare
e approfondire, fece rimuovere le chiuse,
dispose di “cominciare la cava dalla bocca
del Ticinello”, cioè da Tornavento. Questo
Naviglio, poi denominato Grande perché
il maggiore dei canali milanesi, costituì la
principale arteria commerciale di Milano fino
alla metà dell’Ottocento per il collegamento
con il lago Maggiore e il nord Europa.
Dalla piazza di Tornavento sono ben visibili
anche gli altri canali, assai più recenti,
denominati Villoresi e Industriale121. Il primo
porta il nome dell’ingegnere Eugenio Villoresi
che lo ideò. Deriva le acque, per concessione
governativa del 1868, dal fiume Ticino in
territorio di Somma, località Panperduto. Per
realizzare l’opera, iniziata nel 1882 (Villoresi era
morto nel ’79), occorsero dieci anni. Il canale
corre parallelo al fiume, se ne allontana dopo
Nosate piegando verso oriente, attraversa i
territori di Castano, Busto Garolfo ecc., dopo
83 chilometri di percorso confluisce nell’Adda
a sud di Monza, risultando funzionale alla
irrigazione dell’alto Milanese asciutto.
A fine Ottocento, sulla riva sinistra del Ticino,
il problema dell’irrigazione dell’altopiano
asciutto era ormai superato e le successive
canalizzazioni ebbero lo scopo di produrre
forza motrice. Il canale Industriale fu
realizzato, come dice il nome, per fornire
energia elettrica alla regione negli anni della
industrializzazione. E’ composto di tre tronchi,
costruiti in tempi diversi. Il primo tratto (8 km),
inaugurato nel 1900 con il nome del re Vittorio
Emanuele III, utilizza le acque del Ticino su un
dislivello di 28 metri a vantaggio della centrale
idroelettrica di Vizzola (inaugurata nel 1901)
restituendo poi le acque al fiume Ticino.
Con le varianti consentite dalla concessione
governativa, la società Lombarda costruì
negli anni 1901-03 sulla sponda sinistra del
Naviglio Grande (diventato da allora Naviglio
“vecchio” per abbandono del letto originario)
25
Ticino, canale Industriale e canale Villoresi visti da Tornavento.
il tratto di canale da Tornavento a Turbigo,
sfruttando il dislivello di 8 metri e impiantando
una centrale a Turbigo.
Il tronco intermedio, quello che passa sotto
l’abitato di Tornavento, fu realizzato per ultimo,
negli anni 1940-43. E’ dotato anch’esso di una
centrale idrolettrica sita proprio a Tornavento,
la quale, inaugurata nel 1943, non è munita
di conche, così da costituire uno sbarramento
del canale a danno della sua navigabilità.
Gli impianti di Vizzola e di Turbigo vennero
modificati e modernizzati negli anni seguenti.
Dalla piazza di Tornavento è ben visibile
anche il ponte in ferro, oggi generalmente
detto di Oleggio, in passato anche di
Tornavento122.
Solo
nell’Ottocento,
in
conseguenza soprattutto dello sviluppo delle
ferrovie, si cominciò a pensare ai ponti come
a strutture fisse in alternativa ai porti natanti
(tale era il collegamento preesistente sul
Ticino tra Lonate e Oleggio) oppure ai ponti
in legno provvisori (a travate o su barche),
costruiti per motivi contingenti, p. es. per una
campagna militare. Al ponte di Boffalora del
1809-28 realizzato in pietra, tecnica già usata
dagli antichi romani, seguirono, per limitarci
al Ticino, i ponti in ferro di Sesto Calende e di
Turbigo, realizzati rispettivamente negli anni
1981-82 e 1882-87.
Il ponte di Tornavento o di Oleggio fu progettato
dall’ing. Vincenzo Soldati, costruito dalla ditta
Fratelli Invitti di Milano, aperto al traffico
nell’agosto del 1889, inaugurato a dicembre
del 1890, con strade di raccordo predisposte
con Gallarate e con Busto (perfezionate negli
anni seguenti).
26
Realizzato con travate metalliche a graticcio,
misura m 187 di lunghezza, 6 di altezza, 7
di larghezza; con carreggiabile interna alta
m 4,40 e larga 5,30 (all’esterno, su ogni lato,
passerella per pedoni). Lo sorreggono due
pile in muratura lunghe m 2,50, larghe 10,50;
alte 6, poste su basi sagomate. E’ predisposto
in modo da accogliere al piano superiore una
linea ferroviaria: quando fu costruito era in
progetto la ferrovia Busto – Oleggio.
Oggi, per fronteggiare il traffico su gomma
in continuo aumento, è pronto il progetto
di un ponte parallelo da costruire a sud di
quello esistente, in modo da ripartire il traffico
secondo il duplice senso di marcia.
15. Parrocchia autonoma
per un secolo
Nel già proposto disegno del tardo Cinquecento
della pieve ecclesiastica di Dairago ai nomi
delle località erette in parrocchia è unita una
croce come contrassegno; i nomi di Tornavento
e di Tinella ne sono sprovvisti perché queste
due località non erano parrocchie.
Il beneficio costituito dai signori Della Croce
durò oltre due secoli. Una svolta avvenne nel
1868 quando, avvalendosi di nuova normativa
del Regno d’Italia, i Della Croce avviarono la
procedura per liberarsi dai loro obblighi di
patronato sulla cappellania di Sant’Eugenio,
pervenendo nel 1872 ad una transazione con
il comune di Lonate come rappresentante
degli interessi degli abitanti della frazione,
con pagamento di lire 5.000 e devoluzione
di diritti livellari123. Testimone del passaggio
dalla vecchia alla nuova situazione giuridica
fu don Carlo Colli, ultimo cappellano in senso
proprio, attivo a Tornavento dal 1864 al 1882
dopo essere stato coadiutore a Schianno: un
personaggio da ricordare sia per l’assistenza
coraggiosamente prestata nel 1848 ai feriti
e ai morenti nello scontro di Morazzone tra
garibaldini e austriaci, sia perché, passati
altri quindici anni a Madonna in Campagna di
Gallarate, volle essere sepolto a Tornavento
(morì nel 1903)124. Dalla nota che don Colli
pose all’inizio del primo registro delle sepolture
in Tornavento, registro attivato nel 1871, si
apprende che nel 1870, dopo l’ispezione di
mons. arcivescovo Calabiana alla chiesa
di Tornavento e alla casa intenzionalmente
ceduta dal Comune, erano iniziate le pratiche
per l’erezione di Tornavento in parrocchia, ma
che esse, quando erano “già a buon termine”,
fallirono, avendo i Della Croce “redento” il
beneficio di loro patronato.
Per il sostentamento del “vicecurato” di
Tornavento rimase la sola congrua formata
negli anni 1750-51 (scheda n° 4), ma era un
sussidio insufficiente. Nel 1876 la fabbriceria
di Lonate chiese all’Amministrazione del
Fondo per il Culto (gestione delle rendite dei
benefici soppressi) un assegno continuativo
a favore del prete di Tornavento, frazione di
400 anime, “perché non muoia di fame”125.
Qualche sostegno sarà stato adottato, ma di
esso non abbiamo notizia.
Quando nel 1897 il cardinal arcivescovo
Ferrari fece la prima delle sue quattro visite
pastorali a Lonate, la Giunta Municipale di
Lonate si fece rappresentare davanti all’illustre
visitatore da un assessore qualificato, il nobile
Ippolito Parravicino126. Presumiamo che in
quell’occasione l’arcivescovo abbia visitato la
comunità di Tornavento, orientandosi verso la
concessione dell’autonomia parrocchiale.
Con decreto arcivescovile 23 settembre 1900
e regio decreto 11 agosto 1902 la comunità
di Tornavento venne eretta in parrocchia.
Primo parroco di Tornavento fu nominato
Luigi Genoni, nativo di Sant’Antonino, già
cappellano a Tornavento e dal 1897 delegato
arcivescovile, il quale però morì prima di fare
il festoso ingresso ufficiale in veste di parroco.
Dalla Cronistoria parrocchiale iniziata dal
successore don Loaldi127 veniamo a sapere
che il capitale della nuova parrocchia fu
formato con offerte di don Giulio Parravicino,
del card. Ferrari, dello stesso Genoni, nonché
con cartelle del Debito Pubblico già esistenti.
Nel 1904 fu don Antonio Loaldi, in quanto
parroco di Tornavento, a compilare prima della
visita pastorale i moduli rituali, separatamente
da Lonate. La parrocchia di Tornavento si era
formata nel frattempo. Nella Cronistoria della
parrocchia, richiamati i decreti istitutivi, don
Loaldi scrive: “La parrocchia di Tornavento
deve la sua esistenza alla ferma volontà
del compianto nobile Ippolito Parravicino
che, presso la Curia ed il Comune lottando
per parecchi anni contro infinite difficoltà
finanziarie, riusciva finalmente ad appianarle
tutte.”
Loaldi fu parroco zelante e si adoperò
assai a vantaggio della chiesa malgrado la
scarsezza di mezzi. Nel 1904 la parrocchia
contava 545 persone domiciliate, un quarto
delle quali disperse nelle circostanti cascine
Maggia, Parravicino, Semprevento, Sperone
e Castellana. Il parroco Loaldi dà notizie non
soltanto delle chiese di Tornavento e della
Maggia, ma anche della casa parrocchiale,
la dice ampia e in ottimo stato, osservatorio
invidiabile sulla valle del Ticino. Dice la gente
di buoni costumi e attaccata alla religione; dice
presenti in parrocchia la confraternita del SS.
Sacramento e la pia associazione della Sacra
Famiglia128. Nell’ultimo quinquennio – scrive
ancora – la popolazione era cresciuta di 100
unità “causa la centrale” della Cassinetta, ove
si praticava anche lavoro notturno e festivo;
ricorda che c’erano a Tornavento altri tre
stabilimenti industriali, ma che l’agricoltura
restava l’attività prevalente della popolazione:
Parravicino, Vigevano, Cormani, Gadda,
Magnaghi, Gagliardi erano i principali
possidenti. Fatta la visita, l’arcivescovo
raccomandò di ampliare la chiesa e di fare un
po’ di oratorio festivo per i figliuoli.
Fu don Edoardo Riboni ad aggiornare le
informazioni richieste dalle successive visite
pastorali. Nel 1911 Tornavento contava
406 abitanti, metà ormai operai; molti gli
emigranti. Nuclei staccati erano la Maggia,
Sant’Anna, Cascinetta, Molinazzo e Molinelli.
Bassa la frequenza alla “dottrina” per gli
adulti, istruzione religiosa ogni giovedì per
i fanciulli, a scuola insegnava catechismo
27
Don Colli, don Genoni e don Gornati nelle foto delle rispettive lapidi cimiteriali.
la maestra, mancando l’oratorio festivo lui
ospitava i ragazzi nel suo giardino, mentre le
ragazze erano sorvegliate nella stanza sopra
la sagrestia dalla “direttrice delle Figlie di
Maria”. Predicazione particolare per gli adulti
in avvento, quaresima, quarant’ore, mese di
maggio. Esposizione eucaristica ogni terza
domenica del mese.
Nel 1918, ultima visita del card. Ferrari,
Tornavento contava 548 parrocchiani, 250
emigrati in America. Gli era assegnato un
secondo sacerdote, Salvatore Pianelli,
cappellano nel contempo nel vicino
campo di aviazione di Lonate Pozzolo. Le
comunioni erano salite a 30-40 al giorno. Si
predicava anche nella novena dei morti. Di
nuova formazione i gruppi dei Luigini, dei
Terziari Francescani, delle Madri Cristiane,
l’Unione Giovani; ed anche la cooperativa
Sant’Eugenio e il circolo cattolico con 70 soci.
L’arcivescovo riconobbe al parroco “il bene
fatto… specialmente alla gioventù”.
Per i decenni seguenti fino all’ultimo del
secolo XX non abbiamo alcuna cronaca da cui
selezionare notizie sulla gestione pastorale e
sulle vicende della parrocchia. Torna comodo
presumere che la parrocchia sviluppasse
continuità rispetto alla pastorale praticata nel
primo Novecento, in adeguamento comunque
per linee essenziali agli indirizzi del magistero
ecclesiastico e in sintonia con le più importanti
vicende della Chiesa.
Tornavento rimase parrocchia autonoma
fino al 1996 quando fu di nuovo unita alla
parrocchia lonatese di Sant’Ambrogio a
costituire una sola unità pastorale.
28
Ecco l’elenco dei parroci di Sant’Eugenio,
costruito sulla base dei registri anagrafici:
Luigi Genoni (1902-1903), Antonio Loaldi
(1903-1910), Giuseppe Riboni (1910-1919,
poi parroco di Turbigo); Vito Baroni (1920-31),
Mauro Rampinini (1932, vicario spirituale),
Abbondio Rocca (1933-1941), Angelo Gornati
(1941-1974), Pietro Snider (1974-1985, poi
parroco di Casale Litta e Villadosia), Giovanni
Grulli (1986-87), Oliviero Bruscagin (19881996, poi parroco di Golasecca a tutt’oggi)129.
16. La cascina
e la chiesetta della Maggia
Prima che a Tornavento, per decenni e
decenni gli abitanti della cascina Maggia
furono soggetti a Lonate, cui appartenevano
come “comunisti” e come parrocchiani130.
La cascina fu aggregata a Tornavento in
spiritualibus quando Tornavento divenne
parrocchia, nel 1902.
La cascina Maggia131 prende nome dalla
famiglia milanese dei Maggi. Di Castellano si
è già detto parlando della cascina Castellana
e, prima ancora, dei feudatari di Dairago.
Morendo nel 1543, Castellano lasciò suo
erede il nipote Cesare, la cui figlia, Ippolita,
sposerà un Gonzaga. Nel 1574 la cascina, di
proprietà Gonzaga, era abitata da 5 famiglie
per totali 26 persone.
Una mappa tardocinquecentesca dell’Archivio
di Stato di Torino disegna la cascina Maggia
chiusa in una curiosa cinta esagonale sulla
strada da Tornavento a Vizzola lungo il ciglio
della valle del Ticino poco sopra l’antico fosso
del Panperduto, contraddistinta da una croce
che farebbe pensare alla presenza, se non di
una chiesa, almeno di un sacello.
Nel Settecento la cascina fu proprietà di
Visconti parenti dei feudatari di Lonate.
Nella mappa del 1722 e in quella del 1856
la cascina, di pianta quadrilatera, figura
raggiunta dalla strada di Ticino proveniente
da Lonate e sfiorata ad occidente dalla
Tornavento-Vizzola.
Presso la Maggia nel 1772 avvenne un episodio
nel cui racconto, presentato all’autorità
pubblica, potrebbe trovarsi la giustificazione
dell’appellativo popolare di “strada del gregge”
passato nella toponomastica odierna alla
strada, oggi provinciale, che collega Nosate a
Somma. Allora la zona era, infatti, frequentata
e sfruttata per la pastorizia, sia stanziale
che di transumanza. Il bustese Giovanni
Battista Tosi aveva avviato da pochi anni un
grosso allevamento di pecore presso cascina
Malpensa, da lui costruita, e assoldava
pastori per pascolarle e custodirle. Il 25 aprile
1772 due suoi pastori furono aggrediti “con
pistolese” e fieramente bastonati dal servitore
di un pecoraio, che in quei giorni stanziava a
Vizzola ma proveniva presumibilmente dalle
valli bresciane132.
Nel 1840 il podere della Maggia, forte di
595 pertiche, venne acquistato dai Finati.
Nel 1863 passò per acquisto a don Gustavo
Parravicino. La cascina Maggia venne
ampliata nel 1912-14 su disegno dell’ing.
Giulio, figlio di Gustavo: allora la abitavano
una cinquantina di persone133.
Nel secondo dopoguerra alla cascina è stata
affiancata una cava di ghiaia, rimasta in
attività molti anni. Il caseggiato, via via sfoltito
di locali abitativi, infine ceduto dagli eredi
Parravicino ad una società di capitale italoolandese, è stato di recente tutto demolito,
tranne la chiesa. Dal recupero della cava e
del sito del caseggiato si è ottenuto un ampio
complesso di logistica (capannoni, uffici,
parcheggio) in parte connesso con l’aeroporto
di Malpensa134.
La chiesa135 nella mappa del 1722 è disegnata
a nord-ovest della cascina. Fu benedetta il
20 agosto 1740 dal sacerdote Gian Battista
Repossi, delegato arcivescovile. Abbiamo
una breve descrizione del 1750: era allora di
Il portico della chiesa della Maggia.
patronato Visconti ed i signori Visconti si erano
obbligati a farvi celebrare almeno 12 messe
all’anno; era dotata di sagrestia a ridosso
dell’altare e di armadi per la suppellettile
sacra. Al beneficio che era contraddistinto con
il titolo di Beata Vergine della Consolazione
apparteneva il vicino campo di una pertica
milanese, o poco meno. Settecenteschi sono
il grazioso portico, la torricella delle campane,
nonché l’affresco interno sopra l’altare che
propone una Madonna con bambino seduta
su un seggio tra finti tendaggi aperti.
Sulle pareti che fiancheggiano l’altare sono
dipinti, uno per lato, gli emblemi e i motti dei
Parravicino e dei Lossetti: furono dipinti nel
1898 quando l’ing. Giulio sposò Ines Lossetti
Mandelli, erede dei signori di Dairago.
Nel 1904, secondo il curato Loaldi, la chiesa
della Maggia, di proprietà Parravicino, era in
disordine e pochissimo usata136. Nel 1910,
sempre di proprietà privata, era denominata
La Consolata137. La chiesa ha fruito di lavori
di restauro nel 1988. Oggi è proprietà della
predetta società italo-olandese, ma la
parrocchia di Lonate ne può fruire a richiesta
per funzioni religiose.
17. La gente di Tornavento:
cognomi e mestieri
Ai nomi di Guglielmo Pagani e Zanolo
Lamperti che abitavano a Tornavento nel 1263
(v. scheda 3) segue, nella carte d’archivio
finora esplorate, fatta eccezione per i già
menzionati fratelli Perotti del 1465 (scheda
29
n. 5), un silenzio di secoli prima di incontrare
nomi e cognomi di altri abitanti del villaggio.
Per trovarne bisogna arrivare agli stati delle
anime e ai registri anagrafici della parrocchia
di Lonate, di cui Tornavento era “membro”.
Battesimi, matrimoni, sepolture degli abitanti
di Tornavento avvenivano a Lonate, come già
detto.
Nel 1574, secondo lo stato delle anime, a
Tornavento vivevano 3 famiglie patriarcali (31
persone in tutto) con i cognomi Giudici, Quaglia
(da Cardano), Romeo; alla Maggia vivevano 5
famiglie (26 persone) con i cognomi Malvestiti,
Praderio (Pardera), Bollazzi, Stefanoni
(Stevenoni), Gabrio; alla Castellana vivevano
con i loro parenti il molinaro Masera, l’oste
Cesanti, il conduttore di “navetto” Cesati; al
mulino Nuovo operava Michele da Bussero,
al Molinazzo un Clerici138.
Dai registri lonatesi delle sepolture, consultati
senza continuità, affiorano cognomi di defunti
di Tornavento: Gorlini nel 1656, Milani e
Brusatori nel 1657, Torretta nel 1733 e nel
1754, Canziani nel 1748-49, Zaro nel 1764,
Croci nel 1810; cognomi della Maggia:
Bellora nel 1748, Bottini nel 1787; cognomi di
molinari: Maino nel 1659, Mariani nel 1734.
Lo stato delle anime di Lonate del 1824
aggiunge a quelli già segnalati i cognomi
Caletti e Galletti per la Maggia; dà per
Tornavento 15 nuclei rispondenti ai cognomi,
in gran parte lonatesi, Bottarini, Canziani,
Chierichetti, Croci, Milani, Regalia, Tacchi,
Torno, Zaro.
L’elenco del 1864 dà viventi alla Maggia le
famiglie Bottini, Caletti, Canziani, Cerutti,
Gambaro; alla Casa della Camera Varini,
Vigevano, Milani; Lombardi e Ramponi al
molino Nuovo, Magnaghi al Molinazzo,
Torno al Colombirolo; una trentina di famiglie
a Tornavento, con i cognomi Bertinotti,
Bonalanza, Bonini, Bottarini, Canziani,
Cattaneo, Clementi, Colombo, Croci, Genoni,
Lattuada, Mazzoleni, Moro, Parravicini,
Regalia, Torno, Valli oltre al nobile Parravicino
e al suo fattore Cesana.
Il registro delle sepolture, inaugurato nel
1871 quando si aprì il cimitero in Tornavento,
aggiunge ai cognomi già noti i cognomi
seguenti negli anni 1871-90 (donne escluse):
Cattò, Crespi, Dellina, Dettoni, Gadda,
Montonati, Parini, Pozzi, Salmoiraghi. Tra la
30
prima e la seconda guerra mondiale il registro
aggiunge Allievi, Bagattini, Bianchi, Cattaneo,
Franetti, Gattoni, Gibogini, Rizzotto, Vismara,
Volante. Dopo la seconda guerra mondiale
(fino al 1965) Algeri, Ardizzoia, Bonora, Doné,
Fabbris, Frati, Maiani, Morini, Nicoli, Reggiani,
Rescaldani, Rigotto, Scalco, Sella, Tagliarin,
Tilotto, Voroni…
Per campare, che cosa faceva questa gente?
Non potevano che essere contadini, anzi
– salva sempre qualche eccezione – erano
generalmente braccianti perché la terra era
di altri: dei nobili, dei professionisti, degli
enti. Scorrere l’elenco dei possessori di metà
Settecento vuol dire incontrare molte e molte
volte i Parravicino, i monasteri di Lonate,
i benefici ecclesiastici, il Luogo pio Santa
Corona di Milano.
Nel secondo Ottocento invalse il contratto
a colonia mista: il padrone dava in affitto al
colono la casa e un certo numero di pertiche
di terreno coltivabile e l’affittuario pagava
in denaro la pigione della casa e del prato
adacquatorio e consegnava una determinata
quantità di cereali e di uva, e la metà dei
bozzoli dei bachi da seta allevati139.
L’industrializzazione della valle attrasse,
finché
durò,
manodopera
soprattutto
femminile e minorile, mentre la costruzione
della ferrovia delle barche e dei canali
distolse braccia maschili dall’agricoltura, la
quale tornò dopo il 1910 ad essere risorsa
nettamente prevalente in loco, essendo
costretto ad uscire dal paesino chi faceva
lavoro in fabbrica. In questo contesto socioeconomico si inserirono tra i contadini di
Tornavento famiglie di bergamaschi dopo
la prima guerra mondiale, di veneti dopo la
seconda. Dagli anni Settanta, con la diffusione
dei mezzi di trasporto privati, il lavoro fuori
sede è generalizzato e pochissimi sono dediti
all’agricoltura.
18. Le strade e la piazza
La cartografia ricordata nella scheda n° 8
ci fornisce una serie di suggerimenti sulla
viabilità principale di Tornavento.
Scontato il raccordo dell’abitato di Tornavento
con le località del circondario: Maggia,
Vizzola, Lonate, Castano, Nosate. Facile e
anche intrigante il confronto, che lasciamo ai
lettori, tra le carte del 1827 e quella del 1914
qui riprodotte.
Non imperniate sull’abitato di Tornavento ma
certamente utili anche per la sua economia le
strade che ne attraversavano marginalmente
o ne sfioravano il territorio: la strada detta del
porto, proveniente da Castano, sviluppata
attraverso le brughiere fino alla cascina
Parravicino e da lì declinante nella valle del
Ticino; la strada “mornera” che portava a
Tinella, unica nel tratto terminale ma ramificata
nei precedenti in modo di agganciare le località
di Lonate, Sant’Antonino, Vanzaghello; la
strada di Somma, detta nell’Ottocento “del
barchetto” (quand’era usata per raggiungere
da Somma il Naviglio) e poi “del gregge”
(perché frequentata da ovini sostanti o
transeunti).
Dal cuore dell’abitato di Tornavento si dipartiva
la strada della Camera, come indicato nella
mappa del 1856, che dà il nome di “comunale”
alla strada per Lonate.
Carte degli anni 1855-59 già dell’archivio
comunale di Tornavento riguardano la
manutenzione delle strade, sul pianalto
e nella valle del Ticino. La successiva
industrializzazione comportò attenzioni e
migliorie sui percorsi di raccordo con la
Cassinetta, seguirono modifiche notevoli in
occasione dello scavo del Villoresi e della
costruzione della strada provinciale recante
al ponte in ferro sul Ticino.
Le strade erano in terra battuta, su
fondo di ghiaietto; selciate solamente nel
cuore dell’abitato. Queste ultime ebbero
illuminazione notturna elettrica nel 1912,
sostitutiva delle vecchie lampade a petrolio140.
Le strade di approccio a Tornavento furono
asfaltate non prima del 1970. Il parcheggio
per auto a lato della strada per Lonate fu
sistemato nel 2004141.
La piazza merita attenzione particolare. Nel
Settecento non esisteva una piazza vera e
propria, c’era uno spiazzo tra la casa o villa
dei Parravicino e la casa del cappellano.
La costruzione della chiesa nuova di
Sant’Eugenio con un piccolo piazzale davanti,
la demolizione della chiesa vecchia e della
casa del cappellano furono le premesse per
la formazione della piazza di Tornavento
come la vediamo oggi.
Nel 1856 sopravviveva ancora tra la chiesa e
la valle un caseggiato di proprietà Parravicino
che era sfiorato – al pari della chiesa –
dalla strada comunale della Camera che
scendeva in valle. Quest’edificio d’intralcio
all’estensione della piazza della chiesa verso
ovest dev’essere stato eliminato dopo la
costruzione della nuova casa del cappellano
a sud della chiesa, avvenuta nel 1857-58.
Dopo lo scavo del canale Villoresi che
lambisce l’abitato si rese necessaria una
balconata protettiva di mattoni, una serie
di platani concorreva a caratterizzare lo
spiazzo che, pur frequentabile dal pubblico,
rimaneva pur sempre di proprietà privata. A
fine Ottocento, se non all’inizio Novecento,
risale la cascina dei Parravicino che sta a sud
della casa parrocchiale sul ciglio della valle,
trasformata in abitazione dai nuovi proprietari
intorno al 1970.
Il fondo dello spiazzo era in terra battuta.
Nel 1976, su iniziativa di alcuni abitanti, la
piazzetta è stata coperta di frantumato, misto
a ghiaia, e si è restaurata la balconata in attesa
di miglior sistemazione a cura del Comune142.
Era appena avvenuto il passaggio di proprietà
della villa Parravicino alla società immobiliare
che la detiene tutt’oggi. Nel contesto di un
restauro della villa, annunciato o già avviato,
la nuova proprietà aveva espresso l’intenzione
di cedere lo spiazzo al Comune.
La piazzetta di Tornavento è un meraviglioso
punto di osservazione sulla valle del Ticino;
nelle giornate limpide si ammira oltre
l’immediato paesaggio novarese la catena
delle Alpi dominata dal massiccio del Rosa,
mentre sotto la balconata in mattoni si leggono
in sequenza diversi corsi d’acqua: il canale
Villoresi, l’Industriale, la Gora Molinara, l’inizio
del Naviglio Grande, il fiume.
La riqualificazione della piazza avvenne nel
1995 su progetto dell’architetto Luigi Ferrario,
il quale ebbe poi modo di sintetizzare il
risultato con le seguenti parole143.
“Il progetto si inserisce nell’ambiente storico
e naturale, recuperando i materiali della
tradizione del luogo e sottolineando l’unità
del percorso che lega il borgo alla valle. La
pavimentazione della piazza si apre a ventaglio
verso valle con campiture di acciottolati di
differenti colorazioni, mentre un anfiteatro a
gradoni di ciottoli bianchi e neri costituisce
31
Lo spiazzo al centro di Tornavento nelle mappe del 1722 e in una copia aggiornata della
mappa del 1856, che già rappresenta la casa del cappellano, costruita nel 1857-58.
La piazza di Tornavento oggi.
La strada comunale per Tornavento che si diparte da via Gaggio.
il primo tratto della discesa dalla piazza al
pendio. La qualificazione e valorizzazione
degli spazi, dei percorsi e delle architetture
si manifestano attraverso gli effetti visivi
scenografici creati dall’illuminazione. Elementi
forti rispetto al contesto del paesaggio
circostante sono le panchine semicircolari a
doppia concavità, componibili o girevoli...”
19. Altre strutture
di pubblica utilità
Ogni comunità, anche se piccola, ha bisogno
di certe strutture che assicurino alle persone
acqua, pane, mobilità, assistenza, espressioni
di culto, istruzione, svago, … sepoltura dei
morti.
Delle chiese, delle strade e della piazza si
è già detto. Del pozzo e del forno comunali
trattano carte dell’archivio di Tornavento del
tardo Settecento e del primo Ottocento, ma
pozzo e forno devono ritenersi strutture più
antiche. Entro il 1890 il pozzo pubblico fu
munito di pompa idraulica a mano, il forno fu
32
riparato nel 1907144. Il pozzo stava nello slargo
che oggi rimane tra le vie Goldoni e Verga,
il forno in una casa adiacente. L’acquedotto
a serbatoio aereo è del 1950 circa e fruì di
migliorie pochi anni dopo145.
Intanto il panettiere, trasferito il negozio sul
lato nord di via Goldoni, vendette anche
generi alimentari. Parallelamente, in piazza,
già negli anni Quaranta operava un altro
negozio, ad un tempo circolo, cartoleria e
rivendita di alimentari. L’ufficio postale, oggi
in piazza, era allora in uno degli edifici sul lato
nord della via della chiesa, poi modificati.
Dirimpetto al pozzo, all’angolo della via De
Amicis, stava nel 1910 l’osteria di Carlo
Lattuada146, allora o poco dopo denominata
Trattoria dell’Altipiano, edificio già esistente
nel 1856. La trattoria era un punto di sosta
per i carrettieri per rifocillarsi.
Il cimitero a Tornavento fu aperto soltanto nel
1871, benedetto il 4 settembre dal prevosto
Villoresi di Gallarate147. Servì anche per i
defunti di cascina Maggia. Prima i defunti di
Tornavento venivano sepolti a Lonate. Anche
il cimitero è un archivio: le lapidi murate
nella recinzione meridionale, con date di fine
Ottocento, portano cognomi Salmoiraghi,
Valli, Montonati. Tombe e loculi ripetono i
cognomi dei registri anagrafici parrocchiali. Il
cimitero fu ampliato nel 1920. Nel 1956-61 fu
dotato di loculi e ossari148.
Alla scuola pubblica in Tornavento fanno
riferimento deliberazioni comunali dal 1817
in poi. Era la scuola “normale”, lunga non
più di due anni, a sospensione estiva e
ripresa autunnale. Carte degli anni 1855-59
riguardano la manutenzione dell’edificio usato
per la scuola149.
Un nuovo edificio per la scuola elementare
(progetto ing. Seves) fu costruito nel 1902
dal nobile Giulio Parravicino, con al piano
superiore 3 camere per abitazione della
maestra; veniva affittato al comune. Una
sola maestra teneva al mattino in una classe
unica gli alunni del secondo e terzo corso; al
pomeriggio la prima classe150.
La Guida Taglioretti ci dà il nome della maestra
del 1910: Bonini Carmela. Quest’edificio, sito
su via De Amicis, dirimpetto alla trattoria,
era già di proprietà comunale nel 1950
quando il Comune ne curò la manutenzione
straordinaria. Ebbe una nuova sistemazione
negli anni Ottanta151. Oggi è sede della Fanfara
Tramonti-Crosta e dell’associazione Cavalieri
del Fiume Azzurro. Gli alunni di Tornavento
frequentano la scuola elementare e la scuola
media negli edifici del capoluogo.
L’oratorio festivo per la gioventù, desiderato
fin dagli anni di don Riboni, esiste con edificio
specifico in via Verga, inaugurato nel 1963
dal card. Montini, costruito su un terreno
già dei Parravicino, a lato dell’asilo infantile:
è costituito da un salone con palcoscenico
e da uno ampio spazio erboso per i giochi
all’aperto. Oggi è frequentato anche dalle
ragazze, le quali nei decenni lontani erano
invece ospitate nei giorni festivi dalle suore
presso l’asilo infantile.
L’asilo infantile venne avviato dall’ing. Giulio
Parravicino, morto nel 1929, e mantenuto poi
finché visse dalla consorte donna Ines. Lo
costruirono i signori Parravicino su terreno
di loro proprietà allo scopo di dare gratuita
assistenza e istruzione ai figli dei loro coloni.
Affidarono la gestione alle Suore Minime
di Nostra Signora del Suffragio. Nel 1950
il capitano Gustavo Martellini, erede dei
Interno del cimitero.
Trattoria dell’altipiano a inizio Novecento.
Progetto Seves del 1902
per le scuole elementari.
L’asilo infantile oggi.
33
Parravicino, donò l’edificio all’Istituto delle
Suore Minime con sede centrale in Torino, il
quale istituì una retta mensile per i frequentanti
esterni. Nel 1950 i bambini erano 35; l’asilo
disponeva di salone, refettorio, cucina. Nel
1990, aggiunta un’aula, la capienza salì a 45
posti, in risposta a crescenti richieste esterne
di frequenza152. Un ampliamento ulteriore si è
realizzato nel 2008, insieme con rinnovo dei
locali, creazione di un salone polifunzionale,
adeguamento alle normative in vigore153.
Vi operano attualmente tre suore, coadiuvate
da personale laico.
20. Tra il Parco del Ticino
e l’hub di Malpensa
La mappa del 1856 ci consegna Tornavento
come un piccolo nucleo di cortili tutto raccolto
tra la villa Parravicino, la chiesa e la via
oggi denominata De Amicis, con una strada
contorta che da questa via penetrava nel
nucleo abitato. Non c’era ancora nessun
edificio lungo il canale Villoresi a sud della
chiesa: non la cascina dei Parravicino
(trasformata dopo il 1970 in abitazione dai
nuovi proprietari), né la costruzione a tre
piani detta “La sentinella” lungo la via oggi
denominata Verga.
Negli ultimi decenni Tornavento è venuto
via via aggiungendo nuove abitazioni. Se la
presenza ingombrante del canale Villoresi
che scorre immediatamente sotto il ciglio
della valle del Ticino ha impedito lo sviluppo
dell’abitato verso ponente, lo sviluppo si è
realizzato a levante, lungo via Goldoni e, oltre
la Strada del Gregge, lungo via Sant’Anna. Si
sono costruiti anche alberghi, tenuto conto del
vicino aeroporto di Malpensa. Ora a insidiare
il quartiere Sant’Anna è proprio l’aeroporto,
che è in continua espansione.
D’altro canto, Tornavento, per la sua posizione,
aveva ed ha pieno diritto di essere inserito nel
Parco del Ticino. Per conseguire l’obiettivo
della protezione e della pianificazione
territoriale, nel 1974, la Regione Lombardia
ha promulgato la legge istitutiva del Parco
Lombardo della valle del Ticino, e la stessa
cosa ha fatto la Regione Piemonte. I due
parchi rappresentano la volontà politica di
promuovere programmi e interventi per
34
tutelare le caratteristiche storiche, ambientali,
naturalistiche dell’area in funzione dell’uso
sociale e dei suoi valori.
Il Parco Lombardo è strutturato in un consorzio
comprendente il territorio di 46 comuni
(90.000 ettari), ed è dislocato nelle province
di Varese, Milano e Pavia, lungo l’asta del
fiume che si allunga per oltre 100 chilometri.
Il Parco Lombardo è tra i più grandi d’Europa
ed è fortemente antropizzato con presenza di
450.000 abitanti operanti in centri industriali,
centri residenziali, zone con agricoltura
intensiva e con allevamento di bestiame.
A questo ricco e variegato patrimonio si
contrappone un equilibrio ecologico fragile
e precario. Il rapporto tra uomo e ambiente
è facilmente alterato per insensibilità,
ignoranza ed egoistico interesse di parecchi
individui, che si esprimono in tagli abusivi di
boschi, escavazioni di rapina, bracconaggio,
inquinamento idrico e atmosferico, discariche
abusive. Regione province e comuni si sono
vincolati ad un piano di coordinamento che
disciplina il processo di pianificazione territoriale
con l’obiettivo di tutelare e valorizzare i beni
ambientali e naturalistici assicurando anche
la valorizzazione economica degli interventi,
tutelare cioè l’attività produttiva nel rispetto
dell’esigenza protettiva dei patrimoni e dei
valori insiti nel territorio stesso154.
Il Parco lombardo del Ticino, con sede
direzionale a Pontevecchio di Magenta, ha
acquistato nel 1997 l’edificio del Casello o
Dogana austro-ungarica presso Tornavento e
lo ha ristrutturato rendendolo uno dei “centri
Parco”.
Ed ecco il nemico di Tornavento, l’aeroporto.
Inaugurato nell’ottobre del 1948 come
aeroporto di Busto Arsizio, diventò nel 1955
aeroporto della SEA (Società per azioni
Esercizi Aeroportuali) quando il comune di
Milano divenne il maggiore azionista; la SEA
gestiva e gestisce anche Linate. Nel 1959
Malpensa ebbe la seconda pista, dal 1966
venne deputata ad accogliere il traffico aereo
internazionale e intercontinentale. Sono del
1972 i progetti per la “Grande Malpensa” che
prevedevano la costruzione di una terza pista,
estesa fino a lambire l’abitato di Tornavento,
con un interasse rispetto alla pista 1 e alla
pista 2 rispettivamente di 2.000 e di 1.200
metri. Nel 1986 la Regione Lombardia
Cartello illustrativo del Parco del Ticino.
Foto aerea di Tornavento.
Progetto della Terza pista e del previsto sviluppo aeroportuale di Malpensa.
approvò il piano regolatore aeroportuale
denominato “Malpensa 2000”, impegnando
nel contempo la SEA a predisporre studi di
impatto ambientale e a realizzare opere di
abbattimento dei disagi nei comuni limitrofi.
Il piano prevedeva per Malpensa il ruolo di
aeroporto hub, polo di attrazione di un traffico
originato altrove e di smistamento verso le
destinazioni finali. La prima pietra della nuova
stazione venne posta nel 1990; il nuovo scalo,
articolato su due terminal, diventò operativo
nell’ottobre del 1998155. Dal 1999 funziona il
collegamento ferroviario con la città di Milano
(ma la stazione Ferno-Lonate Pozzolo fu
aperta soltanto nel 2009), dal 2008 funziona
la superstrada per il collegamento con la
Milano-Torino. Non tutti i problemi sono risolti.
In particolare rimane aperto il conflitto tra la
difesa di un habitat come quello della valle del
Ticino e la realizzazione della megastruttura
aeroportuale. La terza pista, se realizzata,
si porterà via un’ampia fetta di quella che è
stata chiamata l’“ultima brughiera”. Secondo
l’ultimo progetto SEA la terza pista correrà
parallela alla superstrada ex statale 336
partendo da sud dell’attuale Cargo City fino
a lambire le case del quartiere Sant’Anna di
Tornavento156.
35
Note
ACLP
APLP
APT
ASDMi
ASMi
“CN”
Archivio comunale di Lonate Pozzolo
Archivio parrocchiale di Lonate Pozzolo
Archivio parrocchiale di Tornavento
Archivio storico diocesano, Milano
Archivio di Stato, Milano
“Contrade Nostre”, rivista quadrimestrale
di storia locale, Turbigo
“CV”
“Comunità viva”, periodico
dell’Amministrazione Comunale
di Lonate Pozzolo
GRSD Gruppo di Ricerca Storica - Dairago
“LNC”
“La Nona Campana”, notiziario dell’unità
pastorale tra le parrocchie di S. Ambrogio
in Lonate Pozzolo e di S. Eugenio
in Tornavento
“RGSA” “Rassegna Gallaratese di Storia e d’Arte”
VP Visite Pastorali, pieve di M. Bertolone, Scoperte archeologiche nell’agro
gallaratese, in “Rivista archeologica dell’antica
provincia e diocesi di Como”, 1931, p. 27.
2
E. Banzi, E. Mariani, Archeologia nel Parco del
Ticino, Musumeci ed., Quart 1995, p. 83-84; i reperti
di Tornavento sono conservati a Gallarate nel Museo
della Società di Studi Patri e a Legnano nel Museo “G.
Sutermeister”.
3
Banzi, Mariani, Archeologia..., p. 84.
4
G. Balosso, L. Galli, Sala longobarda, curtis e
substrato romano nella toponomastica pombiese, in
“Bollettino Storico per la Provincia di Novara”, 1973,
fasc. 2, pp. 26-27.
5
G. Balosso, L. Galli, Olegium qui dicitur Scarulfi, in
“Bollettino Storico per la Provincia di Novara”, 1976,
fasc. 2, pp. 79, 86-90.
6
C. Cantù, Grande illustrazione del LombardoVeneto…, vol. I, 1858, p. 589.
7
Il toponimo Som-asca, con desinenza ligure, si incontra
più volte nelle pergamene di Turbigo conservate
nell’archivio di Stato di Udine.
8
Antiche pergamene dei soppressi monasteri di Lonate
Pozzolo (1254-1576), a cura di F. Bertolli e F. Lincio,
ed. Nomos, Busto Arsizio 2002, pp. 148, 165.
9
Ibidem, p. 107; F. Bertolli, Fossato della Cerca fossato
dei misteri, in Il Ticino, strutture storia e società nel
territorio tra Oleggio e Lonate Pozzolo, Nicolini ed.,
Gavirate 1989, pp. 116-117.
10
C. Manaresi, C. Santoro, Gli atti privati milanesi e
comaschi del sec. XI, Milano 1965, pp. 196-198.
11
Bertolli, Fossato della Cerca…, p. 121, n. 28 (da C.
G. Mor, Carte valsesiane fino al sec. XV, Torino 1933).
12
R. Garatti, La roggia molinara di Lonate Pozzolo, in Il
1
36
Ticino, strutture…, p. 95.
13
G. D. Oltrona Visconti, Storia di Castano Primo,
in “CN” 1979, n° 2, p. 53; n° 3, p. 84; V. Martinoni,
Storia di Castano Primo, riveduta da A. Miramonti e A.
Paratico, 1985, pp. 18, 152; G. Leoni, Castano Primo
da borgo a città, 2007, p. 56.
14
ASMi, Notarile, cart. 2173 (Stefanino Cane), atto 8
dicembre 1464.
15
Antiche pergamene dei soppressi monasteri…, p.
44.
16
Statuti delle strade ed acque del contado di Milano
fatti nel 1346, editi da G. Porro Lambertenghi, in
Miscellanea di Storia Italiana edita per cura della R.
Deputazione di Storia Patria, t. VII, Torino, Stamperia
Reale, 1869, pp. 349-353.
17
F. Bertolli, Pergamene dell’Archivio comunale di
Lonate Pozzolo, in “RGSA” 1969, n° 3, doc. II.
18
G. D. Oltrona Visconti, Storia di Lonate Pozzolo,
1969, pp. 27, 54, 67, 194; Idem, Quando il molino nuovo
venne venduto all’asta, in “CV” 1997, n° 17, p. 8.
19
G. Leoni, Turbigo, 1995 omette ogni tentativo di
spiegare il nome del paese, ma a p. 7, ripetendo M.
Bertolone (Lombardia romana, 1939, p. 39), scrive di
Turbigo che “era vico romano”.
20
ASMi, Notarile, cart. 2173 (Stefanino Cane), atto
12 marzo 1465 per affitto di vari terreni in Tornavento
dai fratelli Della Croce ai fratelli Perotti. Cf. GRSD,
L’incastellamento nei paesi della pieve di Dairago, in
“CN” 1993, n° 39, p. 53.
21
ACLP, sez. storica,Tornavento, cart. 1, fasc. 1.
22
ASMi, Notarile, cart. 2173, atto 12 marzo 1465.
23
ASDMi, Duplicati e Status animarum, vol. 161, q. 16
(abitanti fuori borgo).
24
GRSD, La pieve di Dairago nel trapasso dal Medioevo
all’epoca moderna, in “CN” 1985, n° 16, pp. 128-129.
25
ASDMi, VP - Gallarate, vol. 20 (anno 1622), f. 389r:
“De oratorio Sancti Eugenii sito in capsina Tornaventi”.
26
ASMi, Rubriche dei notai, vol. 4069 (notaio Giovanni
Repossi), atto 15 aprile 1652.
27
Liber notitiae sanctorum Mediolani, manoscritto della
Biblioteca Capitolare di Milano, ed. da M. Magistretti e
U. Monneret de Villard, Milano 1917, coll. 122-123.
28
C. M. Rota, Le memorie della pieve di Gallarate
anteriori al Mille, in “RGSA” 1931, n° 2. pp. 12-13.
29
Notitia cleri Mediolanensis de anno 1398 circa ipsius
immunitatem, edito da M. Magistretti, in “Archivio
Storico Lombardo”, vol. XIV, 1900, p. 49.
30
G. Moretti, L’Archivio Plebano di Dairago, 1986, p.
73.
31
ASDMi, VP - Dairago, vol. 25 (anno 1566), p. 60.
32
ASDMi, VP - Dairago, vol. 41 (1570), p. 16.
33
ASDMi, VP - Gallarate, vol. 17 (1596), ff. 244-
245r: nome del cappellano nella successiva nota di
aggiornamento.
34
ASDMi, VP - Gallarate, vol. 20 (1622), ff. 389r-390v.
35
ASDMi, VP - Gallarate, vol. 5 (1625), ff. 66v-67r.
36
Oltrona Visconti, Storia di Lonate…, p. 139.
37
ASDMi, VP - Gallarate, vol. 46 (1684), q. 17.
38
ASDMi, VP - Gallarate, vol. 49 (1750), p. 679.
39
Testamento Bodio (rogito Giuseppe Calamati
27.4.1739) in APLP, Legati.
40
Ma nei registri delle sepolture della parrocchia
Sant’Ambrogio si incontrano con tutta regolarità morti
di Tornavento (esempi negli anni 1656-57, 1749, 1754,
1810).
41
In G. D. Oltrona Visconti, Sui Della Croce di
Tornavento, in “CN” , 1980, n° 6, pp. 194-198 (sunto
della relazione Crespi presente nell’archivio della
famiglia Oltrona Visconti di Sant’Antonino).
42
ASMi, F. Culto, cart. 379 (benefici): da Gomez a Della
Croce; per i successori cfr. Moretti, L’Archivio Plebano
di Dairago, p. 80; Lonate Pozzolo, storia..., p. 137.
43
Oltrona Visconti, Sui Della Croce…, p. 196;
44
APT (recentemente riordinato e aggregato a APLP),
cart. 1, fasc. 2.
45
GRSD, La pieve di Dairago nel trapasso dal Medioevo
all’età moderna, in “CN” 1985, n° 16, p. 131.
46
C. Belloni, Tra Milano e il Seprio nel basso Medioevo:
i Della Croce, nel vol. Cairati, Castiglioni, Martignoni
ed altri casati locali nel Medioevo (Atti del convegno di
studio, monastero di Cairate, maggio 1996, a c. di C.
Tallone), Varese 1998, pp. 121-22.
47
Oltrona Visconti, Sui Della Croce..., p. 198, n. 5; G.
Gaggiotti, Notizie ed appunti storici riguardanti Busto
Garolfo, il suo territorio e le sue famiglie feudali, Busto
Arsizio 1952, p. 16.
48
Belloni, Tra Milano e il Seprio nel basso Medioevo: i
Della Croce…, p. 123.
49
G. Moretti, L’Archivio Plebano..., p. 16.
50
ASMi, Notarile, cart. 2173 (Stefanino Cane), atti 3 e
13 settembre 1464.
51
Nell’archivio plebano di Dairago (Moretti, L’Archivio
Plebano…, p. 130) rimangono 79 documenti degli anni
1455-1895 relativi alla decima goduta dagli Arconati
nella pieve di Dairago.
52
Oltrona Visconti, Storia di Lonate…, pp. 92-94;
Bertolli, Sant’Antonino Ticino. 1496-1996. Cinque
secoli di storia di una Comunità, ed. Nicolini, Gavirate
1996, pp. 31-32.
53
Con atto 5 aprile 1660 dominus Carlo Alessandri
curò la ricognizione delle sue proprietà in Tornavento
coinvolgendo nell’operazione massari e pigionanti
(ASMi, Rubriche dei notai, vol. 4069 di Giovanni
Repossi).
Per i passaggi del titolo feudale di Tornavento cf.
Oltrona Visconti, Storia di Lonate… p. 91; GRSD, La
successione feudale della pieve di Dairago, in “CN”
1983, n° 10, pp. 117-120; E. Cazzani, Olgiate Olona e
la sua pieve, 1985, pp. 305-309.
55
ASDMi, VP - Gallarate, vol. 20 (anno 1622), ff. 390v392v.
56
ASDMi, VP - Gallarate, vol. 46 (1684), q. 17.
57
Notizie su Alfonso Gonzaga si leggono in GRSD,
La successione feudale..., p. 132, n. 8: Alfonso fu al
servizio della Spagna nelle guerre di Fiandra contro
la Francia, partecipò alla battaglia di San Quintino del
1557, tornò in Italia paralizzato agli arti, fu ucciso da
sicari nel 1592 nella sua villa di Gamberedolo presso
Castelgoffredo (Mantova).
58
ASDMi, Duplicati e status animarum, vol. 161, q. 16.
59
G. D. Oltrona Visconti, F. Bertolli, Cronologia
essenziale delle situazioni lonatesi, in Lonate Pozzolo,
storia..., pp. 34-35.
60
P. Snider, L’affresco Postea mori alla Castellana, in
“CN”, 1983, n° 11, p. 174.
61
G. Pacciarotti, Tracce di devozione popolare nelle
terre di Lonate Pozzolo, in Il Ticino, strutture…, pp.
250-52.
62
Catasto teresiano di Tornavento, tavola dei
possessori, mappale n° 61.
63
M. Comincini, Il Naviglio Grande, ed. Banca Popolare
di Abbiategrasso, 1981, pp. 66-69.
64
Sull’invasione franco-sabauda e sulla battaglia del
1636 è utile leggere: G. D. Oltrona Visconti, Storia di
Lonate..., pp. 81-85; Idem, La battaglia di Tornavento
nelle fonti spagnole, in “RGSA” 1-3/1970, pp. 31-49,
121-136; F. Bertolli, L’invasione franco-sabauda del
1636 nel Novarese e nel Milanese, nel vol. Il Ticino,
strutture…, pp. 51-70; G. Amoretti, Strategia e tattica,
ibidem, pp. 82-90.
65
Oltrona Visconti, Sui Della Croce…, p. 198, n. 4.
66
GRSD, La Lombardia nelle sue prime rappresentazioni
cartografiche, in “CN” 1983, n° 12, p. 208.
67
Le informazioni sulla cartografia sono tratte da:
Legnano nelle antiche rappresentazioni cartografiche,
catalogo a cura di D. Rondanini della mostra al Museo
Sutermeister, 1988; Chorographica descriptio. Carte
geografiche di Lombardia e mappe dell’Abbiatense,
Società Storica Abbiatense, 1990. Le più importanti
delle carte citate nella scheda sono riprodotte nei
volumi Lonate Pozzolo, storia..., pp. 54-55. 57, 61, 63,
311; Il Ticino, strutture…, pp. 107-108.
68
Nel foglio di mappa del 1722 il mulino è erroneamente
denominato Cassina di Tinella.
69
Carta del 1802 in Legnano nelle antiche
rappresentazioni..., pp. 18-19; e in “CN” 1987, n° 23,
54
37
pp. 172-173.
70
Nella ricognizione IGM del 1914 mancano cascina e
mulino di Tinella perché abbattuti nel 1904.
71
ASMi, Notarile, cart, 2173 (Stefanino Cane), atto
27 dic. 1464; ma riguardano il mulino di Tinella anche
gli atti 17 dic. 1464, l’ospizio l’atto 3 luglio 1495 (cf.
ASMi, Rubriche dei notai, vol. 1141 di Giovanni Antonio
Cane).
72
ASMi, Notarile, cart, 2173 (Stefanino Cane), atto 18
novembre 1464.
73
Oltrona Visconti, Bertolli, Cronologia essenziale…,
p. 28.
74
GRSD, La pieve di Dairago..., pp. 130, 138.
75
ASMi, Rubriche dei notai, vol. 4069 di Giovanni
Repossi, atto 11 settembre 1641.
76
Da ciò si può arguire che il Naviglio, che non ha inizio
nel territorio del borgo di Lonate, fu scavato dopo la
territorializzazione delle comunità medievali e che la
piccola comunità di Tornavento preesiste allo scavo del
primo tratto del Naviglio (Sulla territorializzazione cf.
GRSD, La pieve di Dairago..., p. 133, nota).
77
Sulla riforma del 1755 cf. F. Capra, Il Settecento,
in D. Sella, C. Capra, Il Ducato di Milano dal 1535 al
1796, Utet, 1984, pp. 323-324.
78
Oltrona Visconti, Quando il molino nuovo venne
venduto..., in “CV” 1997, n° 17, p. 8.
79
ACLP, sez. storica,Tornavento, cart. 1, fasc. 2.
80
ACLP, sez. storica, Tornavento, cart. 2.
81
ACLP, sez. storica: Tornavento, cart. 1.
82
Tanti già erano gli abitanti nel 1861 (Moretti, L’archivio
plebano…, p. 13).
83
GRSD, La pieve di Dairago…, p. 133, nota.
84
M. Gioia, Discussione economica sul Dipartimento
d’Olona, Milano 1803, pp. 271 ss; GRSD, La pieve di
Dairago…, p. 135. La tavola dei possessori del 1751 dà
per Tornavento 2982 pertiche di beni di prima stazione
(terreni), pertiche 22 di beni di seconda stazione
(case).
85
Lonate Pozzolo, storia..., p. 253
86
Lonate Pozzolo, storia..., p. 130.
87
Donna Isabella, in particolare, possedeva a Lonate
428 pertiche di terra, di cui 171 a brughiera.
88
ACLP, sez. storica, Tornavento, cart. 1, fasc. 2.
89
Oltrona Visconti, Sui Della Croce…, p. 197 asserisce
che Ippolito Parravicino era “discendente” di Ferdinando
Della Croce.
90
Oltrona Visconti, Storia di Lonate..., p. 166.
91
Lonate Pozzolo, storia …, p. 55 (casello); pp. 63,
74 (cascina Parravicino); Il Ticino, strutture…, p. 25
(R. Ricevitoria, 1861), pp. 177-79; F. Bertolli, Lonate
Pozzolo: il comune e il suo stemma, ed. Comune,
2009, p. 103 (durante il fascismo); e carte IGM.
38
Si noti che il marchese Carlo d’Adda era tra i
sottoscrittori, nel 1863, della prima Società di Enrico
Andreossi per acquistare seme-bachi in Giappone. Tra
i promotori il marchese Giacomo Brivio-Sforza, fornitore
di cartoni giapponesi ai Parravicino negli anni 1865 e
1866 (C. Zanier, Semai. Setaioli italiani in Giappone
(1861-1880), Cleup, Padova, 2006, p. 368, note).
93
Capitolo svelato da Zanier, Semai..., pp. 368-369.
94
Lonate Pozzolo, storia..., p. 42
95
Oltrona Visconti, Sui Della Croce…, p. 198.
96
Descrizione e disegni della villa Parravicino in
Lonate Pozzolo, storia..., pp. 253-254.
97
Lonate Pozzolo, storia..., 385.
98
Guida Taglioretti per l’Alto Milanese. Circondario di
Gallarate, anno 1910-11, p. 373.
99
Lonate Pozzolo, storia..., p. 47.
100
Oltrona Visconti, Storia di Lonate..., p. 92.
101
Il testamento di Gustavo Martellini fu pubblicato il 22
dic. 1951 dal dott. Mario Matraja notaio in Camaiore e
registrato a Viareggio il 24 dic. 1951. Il nome Gustavo
ricorre nel parentado Parravicino con frequenza tale
da creare confusione di persone. Nel 1908, tra gli
accomandanti della società denominata Tubettificio
Formenti, Gorla e C., c’erano, oltre all’ing. Giulio
Parravicino fu Gustavo, il nobile Gustavo Parravicino
fu Giovanni ed il conte Gustavo figlio di Gustavo (cf.
Guida Taglioretti…, p. 378).
102
G. D. Oltrona Visconti, Sui Della Croce…, p. 198,
n. 3.
103
ACLP, sez. storica, Tornavento, cart. 5, fasc. 8.
104
ACLP, sez. storica, Tornavento, cart. 4, fasc. 1.
105
Bertolli, Lonate Pozzolo e il beato cardinal Ferrari,
2004, p. 34.
106
Sono notizie tolte dal volume Lonate Pozzolo,
storia…, p. 139.
107
APT, cartella 4.
108
Sono i lavori annunciati da C. Valentini, l’architetto
incaricato dei lavori di risistemazione della chiesa (cf.
“LNC” 2010, n° 6-7, pp. 23-24.
109
Un’ampia trattazione dell’argomento è fornita da G.
Candiani, La via Ferrata per il trasporto delle barche da
Tornavento a Sesto Calende. Tempo, vicende, vestigia,
nel vol. Il Ticino, strutture…, pp. 26-43;
110
G. Visconti Venosta, Ricordi di gioventù, ed. Treves,
Milano 1904, cap. XXVI.
111
In precedenza vi sorgeva la cascina Ciappetta (cf.
scheda n° 9).
112
L. Zaro, 1850-1914. Aspetti di vita economica e
sociale, nel vol. Lonate Pozzolo, storia…, pp. 349,
353. Concessione e disegno relativi allo stabilimento
Parravicino alla Cassinetta sono nell’archivio lonatese
della Gora Molinara.
92
L. Zaro, Lonate Pozzolo tra ferrovia e canali, nel vol.
Il Ticino, strutture…, p. 226.
114
Zaro, 1850-1914. Aspetti di vita..., p. 355;
115
Guida Taglioretti…, p. 378.
116
Bertolli, Lonate Pozzolo: il Comune…, p. 119.
117
Lonate Pozzolo, storia…, p. 47.
118
S. Albé, La centrale termoelettrica di Tornavento
(1901-1912), in “CN” 1984, n. 13, pp. 49-54.
119
Guida Taglioretti…, p. 374.
120
L’incile del Naviglio è in territorio non di Lonate, ma
di Tornavento (cf. mappa del catasto settecentesco).
Il tratto iniziale del canale fu probabilmente modificato
più volte (del “Ticinellus mortuus” si legge in atti notarili
del 1466). Da vedere: M. Comincini, Il Naviglio Grande,
1981, Banca Popolare di Abbiategrasso; F. Bertolli,
L’Arno nel Ticino. Un’ipotesi provata attraverso carte
d’archivio, in Studi in memoria di Carlo Mastorgio, a
cura di P. Baj, Nicolini ed., 2002, p. 183; G. Leoni,
Nosate. La storia millenaria di un piccolo paese della
riva sinistra del Ticino, 2004, pp. 20-21.
121
Sui canali Villoresi e Industriale cf. G. Leoni,
L’utilizzazione delle forze idrauliche dell’Alto Ticino, nel
vol. Il Ticino, strutture..., pp. 136-37, 142-49.
122
Sul ponte sono da vedere due studi nel volume Il
Ticino, strutture…: di M. G. Porzio, Storia del ponte;
di A. Spada, Il ponte di Oleggio: aspetti strutturali e
formali.
123
APT, cart. 1, fasc. 4 e 5. La transazione fu rogata da
Nicola Zerbi in data 11 luglio1872.
124
F. Bertolli, Don Carlo Colli, “patriota e scrittore”, in
“LNC” 2010, n° 4, pp. 16-17.
125
APLP, Fabbriceria, carteggi sciolti.
126
Notizie più minute su Tornavento sino all’anno 1918
si possono leggere in F. Bertolli, Lonate Pozzolo e il
beato cardinal Ferrari, “LNC” 2004, n° 5, pp. 33-36.
127
Oggi conservata, come tutto l’archivio parrocchiale
già di Tornavento, nell’archivio parrocchiale di Lonate.
128
Carte d’archivio (APT, cart. 1, fasc. 9 e 10) danno
come esistenti dal 1871 la Scuola femminile della
Dottrina Cristiana, dal 1894 la Compagnia della morte,
dal 1897 la confraternita del SS.mo Sacramento.
129
L’elenco fornito da G. D. Oltrona Visconti, Sui Della
Croce… p. 198, n. 4, è stato controllato e aggiornato
sui registri anagrafici parrocchiali di Tornavento.
130
Nel 1622 tra i luoghi soggetti alla parrocchia di
Lonate la “capsinam appellatam la Maggia milliaribus
duobus”, a due miglia (ASDMi, VP - Gallarate, vol. 20,
f. 378r).
131
Oltrona Visconti, Storia di Lonate…, p. 91-92; GRSD,
La cascina Maggia di Lonate Pozzolo, “CN” 1990, n°
113
32, pp. 53-58.
F. Bertolli, Settecento bustese: storie di pecore e
capre, con un Tosi alla ribalta, in “Almanacco della
Famiglia Bustocca per l’anno 2009”, pp. 37-40.
133
Lonate Pozzolo, storia..., pp. 147, 256.
134
F. Bertolli, L. Turrici, L. Zaro, Via Gaggio. Natura e
storia nella brughiera tra il Ticino e Malpensa, Areté ed.,
Briosco 2007, p. 52. Non si sono a tutt’oggi realizzati i
previsti centro di compostaggio e raccordo stradale con
i Molinelli.
135
Il brano sulla chiesa echeggia quanto scritto nel
quaderno n° 1 della Unitrè, p. 22.
136
Bertolli, Lonate Pozzolo e il beato cardinal Ferrari…,
p. 34.
137
Guida Taglioretti…, p. 376.
138
ASDMi, Duplicati e Status animarum, vol. 161, q.
16.
139
Zaro, 1850-1914. Aspetti di vita…, pp. 347-348.
140
Bertolli, Lonate Pozzolo: il Comune…, p. 117.
141
Ibidem, p. 130.
142
La piazzetta di Tornavento, in “LNC”, 1976, n° 10,
p. 2.
143
S. Casciani, Luigi Ferrario. Mies and Me. Un
racconto, Skira, Ginevra-Milano 1999, p. 162. Per una
presentazione più dettagliata: L. Ferrario, Il progetto di
sistemazione della piazza di Tornavento, in “CV” 1997,
n° 16, pp. 4-5.
144
Bertolli, Lonate Pozzolo: il Comune…, pp. 89, 96,
116.
145
Idem, pp. 122, 124.
146
Guida Taglioretti…, p. 380.
147
APT, registro n. 1 dei Morti, nota di don Colli in
apertura del registro.
148
Bertolli, Lonate Pozzolo: il Comune…, pp. 102,
124.
149
Idem, p. 89.
150
(R. Garatti), Lonate, 1900-1920, in “LNC” 2001, n°
11, p.19.
151
Bertolli, Lonate Pozzolo: il Comune..., pp. 122, 125.
152
F. Bertolli, I cent’anni della scuola materna “Carlo
Sormani” in Lonate Pozzolo, ed. “Pro Loco”, 1990, pp.
85-87.
153
Una domenica di festa e di gioia a Tornavento, in
“LNC” 2008, n° 10-11, pp. 12-13.
154
S. M. Rozza, Il Parco Lombardo del Ticino, nel vol. Il
Ticino, strutture..., pp.304-305.
155
A. Pizzi, Malpensa 2000, ed G. Mondadori, Milano
2000.
156
Bertolli, Turrici, Zaro, Via Gaggio..., pp.109-115,
195.
132
39
Indice
Presentazione.............................................. p.
Referenze fotografiche:
a pp. 22, 333 foto di Laura Bertoni;
a p. 3 foto di Rino Garatti;
a pp. 20, 28, 29, 322, 331, 334, 351
foto di Alessandro Iannello;
a pp. 82, 111, 112, 116, 15, 171, 231, 321,
353 riproduzioni dall’archivio privato di
Franco Bertolli;
tutte le altre foto sono tratte
da pubblicazioni lonatesi citate.
Gli autori ringraziano
per i suggerimenti forniti:
Abramo Allievi, Andrea Bagattini,
Rino Garatti, Walter Longhin,
Ambrogio Milani, Laura e Pierino Volante.
1. Reperti archeologici
romani e longobardi...................................... p.
2. Cerca, Panperduto,
roggia molinara a Tornavento....................... p.
3. Il toponimo Tornavento
in citazioni documentarie.............................. p.
4. Chiesa antica di Sant’Eugenio
e cappellania Della Croce.............................p.
5. I Della Croce a Tornavento
e i feudatari del luogo................................... p.
6. Casa della Camera
e cascina Castellana.................................... p.
7. La battaglia del 1636................................... p.
8. Tornavento nella cartografia........................ p.
9. Il comune di Tornavento con Tinella............ p.
10. I Parravicino a Tornavento........................... p.
11. La chiesa settecentesca
e le modifiche successive............................ p.
12. La ferrovia delle barche............................... p.
13. Le industrie in valle...................................... p.
14. I canali e il ponte di Oleggio........................ p.
15. Parrocchia autonoma per un secolo............ p.
16. La cascina e la chiesetta della Maggia........ p.
17. La gente di Tornavento:
cognomi e mestieri...................................... p.
18. Le strade e la piazza................................... p.
19. Altre strutture di pubblica utilità.................... p.
20. Tra il Parco del Ticino e l’hub di Malpensa.. p.
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Note.............................................................. p. 36
stampato nel mese di ottobre 2010
da Printart s.n.c., Lonate Pozzolo (VA)
40
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