Questo quaderno di poche pagine su Tornavento nasconde un lavoro assai più lungo e faticoso di quanto potessero supporre gli autori quando si accinsero ad iniziarlo. Questo ci confida il prof. Franco Bertolli, che anche stavolta ha voluto trasformare una conferenza fatta ai corsisti della Unitrè in uno studio approfondito. Bertolli ci spiega il perché delle difficoltà incontrate. Non mancano riferimenti sparsi a Tornavento nelle pubblicazioni di Lonate, del Gallaratese, del Castanese, ma tali riferimenti, generalmente di scarsa consistenza, andavano raggruppati ed integrati con nuove ricerche, estese anche alle realtà significative di Tornavento finora trascurate: ricerche non agevoli perché Tornavento fu sempre villaggio di poco conto e non ha prodotto o provocato carteggio, se si esclude la battaglia del 1636. Ma, a quaderno finito, gli autori sono soddisfatti. E noi con loro. Anche perché con questo quaderno si completa un trittico. Ricordiamo che il quaderno n° 1 riguardava le chiese minori e scomparse di Lonate, il quaderno n° 2 i conventi e monasteri lonatesi del passato. Mentre ci predisponiamo a consegnare con orgoglio il lavoro di due nostri docenti agli altri docenti e corsisti dell’anno accademico 2010-2011 che va a cominciare, pronti a distribuirlo poi a chi dimostrerà attenzione o semplice curiosità per l’attività dell’Unitrè, ringraziamo il prof. Bertolli e l’arch. Alessandro Iannello per il regalo che fanno a noi e, nostro tramite, alla comunità di Tornavento. All’arch. Iannello, in particolare, riconosciamo la bravura nell’impaginare il quaderno e nel dotarlo di una idonea copertina. Cogliamo l’occasione per ringraziare anche coloro che nell’assemblea del 10 luglio scorso, in assenza di liste e di candidati concorrenti, ci hanno riconfermato in carica per un altro anno, accordandoci la loro fiducia. Presentazione Lonate Pozzolo, 29 settembre 2010. Il consiglio Direttivo UNITRÈ Lonate Pozzolo Carla Colnago - presidente Fabrizio Iseni - vice presidente Delia Colnago - direttrice dei corsi Maria Ferrario - consigliere Rino Garatti - tesoriere Paola Ferrario - segretaria Elisa Desperati - rappresentante dei corsisti 1 1. Reperti archeologici romani e longobardi Nell’anno 1927, nel fondo Siramattina allora di proprietà Parravicino – sul lato ovest dell’attuale via De Amicis – intanto che si tracciava un filare di gelsi, sono emerse ad un metro di profondità tombe a cassa di tegoloni contenenti scheletro e lucernetta fittile, assegnabili alla tarda età romana (IIIIV secolo): materiale in parte disperso, in parte raccolto dai signori Parravicino1. Nelle relazioni giacenti presso la Soprintendenza archeologica di Milano si legge, per Tornavento, di ritrovamenti (si noti il plurale) di vasi e lucerne2. Ceramica tardo-romana, ma anche presumibilmente più antica, si è reperita in questi ultimi anni a Tornavento (via De Amicis) e alla cascina Maggia. Di età tardo-romana è anche la cisterna che rimane in località Fugazza, sul confine tra Lonate e Vizzola, nella quale si trovarono monete col nome dell’imperatore Gallieno (III secolo). Ai Romani seguirono come dominatori i Longobardi. Testimoniano la presenza longobarda, nonostante la mancanza di reperti materiali specifici, sia la tradizione orale della “città della Binda”, tradizione viva fino a pochi decenni fa tra la popolazione dei paesi del medio Ticino da Castelnovate a Nosate, sia l’esistenza di molti toponimi di matrice germanica sull’uno e sull’altro lato del fiume Ticino: la località Gaggio (“bosco riservato”) poco discosta da Tornavento3, l’oratorio di Gaggiolo a Oleggio, la “Benda” di Galliate, la “Bindella” di Conturbia, il toponimo “Sala” di Pombia, il “Guzza” (e varianti) di Oleggio e dintorni4, alterazioni in Oleggio di toponimi tipici come “arimannia” e “sortes”5. L’area di Tornavento, che sta come al centro di tutti questi siti, non poteva risultare estranea alla vita e all’attività dei longobardi. Binda significa striscia, dunque striscia di terra: ma dove in territorio di Lonate? Nella valle del Ticino o sul ciglione della valle o in entrambe le situazioni?. Alla città di Binda accennava senza avvedersene il Cantù nella Grande illustrazione del Lombardo-Veneto quando, alla voce Lonate, scriveva di avere raccolto da un “sincero patriota” l’informazione che Lonate era stata “città della circonferenza di un miglio e mezzo, giacché verso il Ticino furono, anni fa, trovate fondamenta di caseggiato, e fino là diceva che arrivava la città”6. Esagerazione incredibile, ma su un fondo di verità. Non è esclusa la commistione, sul ciglione della valle, di realtà longobarde con testimonianze tardo-romane o anche con successive realtà altomedievali. Tra gli studiosi si parla, e a ragione, anche di una strada mercatoria, sviluppata sul ciglione, lunga e importante, da Pavia a Sesto Calende: una strada che poteva essere addirittura preistorica e che era utilizzata nel medioevo. Il toponimo Somasca, presente più volte nelle pergamene duetrecentesche di Turbigo, prova l’esistenza di un tratto di questa strada che doveva sfiorare Tornavento in direzione di Somma7. 2. Cerca, Panperduto, roggia molinara a Tornavento Ceramica antica trovata in territorio di Tornavento. Nella pagina precedente: Tornavento e circondario nella carta “contorni di Milano” del 1827 circa. Cerca, in latino Circha, significa circuito, confine. Che cosa c’era da recingere nella brughiera, si chiede stupito, chiunque osservi la linea di sviluppo della Cerca così come è indicata dagli studiosi che hanno potuto considerare il territorio prima che venisse alterato nell’Otto-Novecento per lo scavo dei canali e recentemente per i lavori di 3 “Malpensa 2000”. La linea da essi tracciata negli schizzi che la rappresentano, prende inizio nella valle del Ticino sotto Somma, raggiunge il pianalto, vi si sviluppa per lungo tratto in contesto di arida brughiera, all’altezza di Tornavento si intreccia e confonde con il fosso del Panperduto, a quel punto o poco oltre si perde nel nulla come fosse un disegno lasciato incompleto in mancanza di appigli o di indizi. Nel realtà del territorio, ad oriente della Cerca c’è la brughiera o, meglio, c’era la brughiera, perché “Malpensa 2000” l’ha cancellata quasi tutta; ad occidente c’è la valle del Ticino. Le due più antiche citazioni esplicite sinora trovate del fossatum Cirche, entrambe relative al territorio di Lonate, sono in atti notarili del 1340 e del 13898. Lo stesso appezzamento di brughiera confinante con la Cerca che è descritto nell’atto del 1340 compare in un atto del 1330 come realtà confinante con il “fossato asciutto del Comune di Milano” (fossatum sichum communis Mediolani)9. Ammesso che questo sia un sinonimo cioè una denominazione parallela anch’essa esatta, la domanda diventa: perché il comune di Milano fermava il suo confine nella infruttuosa brughiera e non poteva spingersi fino alle acque del Ticino? Non troviamo una giustificazione del fosso della Cerca all’infuori dei diplomi degli imperatori tedeschi di Casa Sveva – Enrico e Federico – che premiarono i conti di Biandrate, loro fedeli alleati nelle lotte contro Milano, donando ad essi le regalie sulla riva del fiume che in precedenza avevano concesso alle “comunanze” di Lonate e di Castano. Queste sulla riva del fiume dovevano avere qualcosa Uno dei tratti della Cerca cancellati durante i lavori per Malpensa 2000. 4 di economicamente importante e questo qualcosa non poteva che essere la roggia dei mulini o, meglio, i mulini mossi dall’acqua della roggia. I mulini ad acqua, diffusisi rapidamente dopo il Mille in molte parti d’Europa e già presenti sul Ticino a Bernate nel 1064 in proprietà dei monaci di Fruttuaria10, portavano ricchezza, erano dunque appetibili e potevano costituire un premio apprezzabile. L’acqua nella concezione giuridica medievale era un bene del re, dell’imperatore; l’assegnazione e le successive conferme ai Biandrate recano le date 1140 e seguenti11; il mulino di Tinella sul tratto lonatese della roggia è ritenuto del secolo XII, anteriore allo scavo del Naviglio e alla pace di Costanza12; un mulino sul tratto castanese della roggia è citato nel 111113; i due tratti di roggia di Lonate e di Castano costituivano una roggia unica prima che il Naviglio la tagliasse in due tronchi: il primo sfociante nel Naviglio a Tinella, il secondo derivato dal Naviglio alla bocca Cicognera. La roggia di Lonate passava e passa sotto Tornavento. Sotto Tornavento passava anche il fosso del Panperduto. Gli studiosi dell’Ottocento, Melzi e Bellini, incrociavano Cerca e Panperduto a Tornavento, anzi facevano iniziare a Tornavento il Panperduto. Documenti scovati di recente negli archivi di Milano e di Torino fanno spostare l’inizio del Panperduto sotto Somma, dove, non senza motivo, da quando fu costruita porta il nome del Panperduto la diga che dà origine ai canali otto-novecenteschi Villoresi e Industriale. In valle del Ticino, nella costa sotto Castelnovate, rimangono tracce dell’antico scavo. La roggia dei mulini in territorio di Tornavento. Il fosso fu chiamato Panperduto perché la grande fatica e spesa per lo scavo non fruttò nulla in cambio. Fu dunque pane mancato! Lo scavo, di percorso simile al canale Villoresi ma fatto senza il supporto delle tecniche moderne, doveva contenere acqua a scopo o di irrigazione o di navigazione, ma il progetto non funzionò per lo spagliarsi nella brughiera dell’acqua prelevata dal Ticino e lo scavo, realizzato anche in territorio di Castano e di Buscate, fu abbandonato all’altezza di Arconate. Può considerarsi illuminante sullo scopo dello scavo la denominazione di navigium che compare in un atto notarile dell’anno 1464 con cui Ambrogio Perotti, residente a Lonate, affittava una ventina di terreni in territorio di Castano, uno dei quali sito ultra navigium panis perditi14. Il fosso del Panperduto si presenta ancor oggi ben visibile per un breve tratto in territorio di Tornavento, tra il cimitero e la strada provinciale Lonate-Oleggio (statale 527); pochi altri tratti sono visibili nella realtà odierna dei territori da Castano ad Arconate. Chiara testimonianza rimane invece nella cartografia ottocentesca limitatamente al pianalto; di meno ovvia lettura in qualche carta più antica, come nell’Atlante d’Italia del Magini del 1620 e nelle carte da esso derivate. 3. Il toponimo Tornavento in citazioni documentarie Il nome odierno del paese compare tardi, dopo il buio dell’alto medioevo, in un atto di vendita deI 1263 rogato in Lonate, che cita tra i testimoni Guglielmo Pagani e Zanolo de Lamberto15 – donde il cognome Lamperti – abitanti in loco Tornavento. Che la zona fosse abitata in secoli precedenti è dimostrato dai reperti anzidetti. Nel tardo medioevo l’abitato era ancora molto piccolo. Gli statuti milanesi delle strade del 1346 pongono la manutenzione di un breve tratto della Milano-Novara a carico degli abitanti del “locho de Tornavento pieva de Dayrago”, indizio appunto della piccolezza dell’abitato: un tratto di 19 braccia soltanto, contro le 39 di Nosate, le 77 di Induno e di Paregnano, le 116 di Castelletto, Castelnovate e Turbigo, le 153 di Ferno e Vanzaghello, le 192 di S. Antonino, le 442 di Magnago, le 517 di Dairago, e contro misure molto più alte a carico dei “borghi”: braccia 842 Busto Garolfo, 1760 Corbetta, 1912 Magenta, 1989 Lonate Pozzolo, 2601 Castano16. In un atto su pergamena del 1353 compaiono due siti in valle: il fontanile de Tornavento e il prato in Pobiedo ubicato in territorio loci de Tornavento17: una risorsa importante per gli abitanti il primo, un indicatore della vegetazione (bosco allevato) il secondo. Della capella de Tornavento citata sotto l’anno 1398 si avrà modo di trattare dopo. Il toponimo compare nell’investitura livellaria del 1433 di un mulino a Tornavento – de molandino in territorio de Tornavento – operata da un Donato Bossi di Azzate in testa di alcuni che agivano per conto del comune di Lonate, un edificio di ciottoli e mattoni, coperto di coppi, con quattro mole e con una pista per il panìco, in cui è facile riconoscere il mulino “nuovo” che era ancora proprietà Bossi negli statuti lonatesi del 1496 (art. 76) ma che nel 1538 passava da Francesco Carabelli ad una Lampugnani sposata Carcano18. Il toponimo Tornavento è suggestivo e alquanto misterioso. Gli studiosi di storia locale sono abbastanza concordi nel dare una spiegazione in linea con la collocazione dell’abitato: turris naventium, cioè torre come punto di riferimento per i barcaioli che scendevano sul Ticino in un tratto del fiume dove – prima che l’acqua diventi piatta – il pericolo delle rapide non è ancora finito. D’altronde sui margini della valle del Ticino, a partire dal lago Maggiore, si incontrano altri toponimi che hanno a che fare con torri o fortificazioni: Castello (in territorio di Castelletto Ticino), Torre di Somma (nell’Atlante del Magini) e Porto della Torre in territorio di Somma, Castelnovate, Cascina Castello in territorio di Marano, e Turbigo (da turris e vicus19). Della torre noi abbiamo trovato conferma archivistica, seppure tardiva, nel Castellazzo (castellatium) menzionato in un atto notarile del 1465, per la cui esatta comprensione bisogna notare che la desinenza da peggiorativo non indica (o non indica soltanto) una struttura mal ridotta ma una struttura antica (e magari, di conseguenza, mal ridotta). Intorno alla 5 torre o fortilizio posto sull’orlo della valle si costruirono alcune case e l’insieme divenne il locus di Tornavento20. Nel 1464 i signori Della Croce, che già dovevano possedere molto nel territorio di Tornavento, tentarono di inglobare, nella scia dell’acquisto di 225 pertiche di terra da certa Gugliemina de Porris, i vicini pascoli (1.230 pertiche, probabilmente brughiera) della comunità di Lonate; ma nella causa dibattuta davanti al podestà di Milano la sentenza non fu loro favorevole21. Il fatto che il fascicolo slavato della causa sia oggi conservato tra le carte dell’archivio storico di Tornavento, unito nell’Ottocento come vedremo all’archivio comunale di Lonate, farebbe pensare che Tornavento già fosse strutturato nel Quattrocento in forma giuridica di Comune. Ma è una carta isolata, le cui precise vicende non si conoscono. Tra i terreni affittati nel 1465 dai fratelli Antonio e Giacomo Della Croce ai fratelli Perotti (de Parrotis) di Tornavento c’era un prato ad viganum22, utilizzabile come dice il nome dalla comunità locale, certamente molto piccola. Nel 1574 Tornavento era villa cioè proprietà di Giovanni Marco Della Croce e contava 31 abitanti, raccolti in tre famiglie patriarcali23. Non abbiamo dati sulle vittime delle pestilenze del 1576 e del 1630. In un registro del 1537 compilato per il censimento spagnolo del Milanese e relativo alla pieve civile di Dairago, anche i piccolissimi abitati di Tornavento, Induno e Paregnano, che contavano soltanto 5, 4 e 3 “fuochi” o famiglie, figurano come comuni semplicemente perché in elenco insieme con i comuni della pieve, ma a differenza di essi sono senza un console che li rappresenti24. Il visitatore ecclesiastico del 1622 scrive capsina Tornaventi25. Nel 1652, quando i capifamiglia di Tornavento scelsero due procuratori per rappresentarli non si sa in qual affare o questione, il notaio rubricò l’atto come sindicatus hominum Tornaventi, non come sindicatus communis et hominum Tornaventi26. Il termine Communis de Tornavento in forma esplicita e continuativa non l’abbiamo trovato, mediante le ricerche sinora effettuate, prima del Settecento. Anche la parrocchia di Tornavento si formerà molto tardi. 6 4. Chiesa antica di Sant’Eugenio e cappellania Della Croce Tornavento non compare nel Liber notitiae sanctorum Mediolani del 1300 circa, che è un repertorio di tutte le chiese della diocesi di Milano citate sotto le dediche ai rispettivi santi. Sant’Eugenio, vescovo transalpino ma difensore del rito ambrosiano al tempo e contro le opposte mire di Carlo Magno, vi gode soltanto delle dediche di 5 chiese e di 2 altari in Mediolanensi pago, cioè nel contado di Milano, ma non è specificato dove27. Anni fa, proprio partendo da questo Liber, uno studioso gallaratese ipotizzò che la chiesa di Tornavento già esistesse nel 1300: e ciò perché non gli tornavano i conti delle chiese esistenti nella pieve di Gallarate28. Ma lo studioso sbagliava a ragionare così, perché Tornavento – lo dicono tutte le citazioni più antiche – non apparteneva alla pieve di Gallarate, bensì a quella di Dairago. Infatti è nell’ambito della pieve di Dairago che incontriamo la già menzionata capella de Tornavento entro un registro diocesano di natura amministrativa del 139829. Qui cappella significa beneficio, fondato presumibilmente dalla famiglia Della Croce, atto ad assicurare agli abitanti del villaggio almeno la messa festiva, ovviamente entro una chiesa, seppure di modestissime dimensioni. E alla pieve di Dairago la chiesina di Tornavento continuò ad appartenere come appendice remota della parrocchia di San Michele di Magnago, che nel citato Liber del 1300 è indicata come Maniago in horo, parola quest’ultima che vale “orlo”, con implicito riferimento alla macroscopica estensione della parrocchia sino al ciglio della valle del Ticino. Così il 9 maggio 1491 alla morte del curato Francesco Della Croce di Magnago anche i parrocchiani di Tornavento concorsero, insieme con quelli di Magnago, Bienate, Vanzaghello e Sant’Antonino alla elezione di Giovanni Della Croce30. Alla pieve di Dairago continuò Tornavento ad appartenere anche dopo che per frantumazione della parrocchia di Magnago si formarono – rispettivamente nell’anno 1496, 1529, 1551 - le parrocchie intermedie di Sant’Antonino, Bienate e Vanzaghello. Nel 1566 il visitatore della pieve di Dairago, mons. Cermenati, venuto a Tornavento a fine novembre, ci lasciò questa descrizione della chiesa di Sant’Eugenio31. “La chiesa di Sant’Eugenio del luogo di Tornavento in pieve di Dairago è consacrata, intonacata, con qualche dipinto. Ha nel pavimento due sepolcri, ha l’acquasantiera, una campana sopra il tetto, il sacrarium su una parete laterale (per oli sacri e reliquie). La facciata della chiesa è dipinta e bella. Tutto ha fatto fare il magnifico signor Marco Della Croce. L’altare, che non è consacrato, è ben ornato, con due angeli e due candelieri. La cura è esercitata da un prete di Oleggio, in diocesi di Novara, di nome Giovanni, il quale celebra nei giorni festivi, su incarico del signor Della Croce”. Il prete di Oleggio celebrava per un legato istituito da Pompeo Della Croce. Nel 1570 l’arcivescovo Carlo Borromeo, in visita pastorale a Lonate, passò Tornavento sotto la cura di Lonate e quindi alla pieve di Gallarate, e nella stessa occasione fece togliere certe “figure profane di legno” che erano poste “fuori di chiesa”32. Nello schizzo coevo della pieve di Dairago Tornavento è indicato senza croce perché non era parrocchia. Altri Della Croce impinguarono via via il legato cinquecentesco, a partire da Ferdinando, che era arcidiacono della chiesa metropolitana di Milano. Egli col testamento 23 febbraio 1605 Tornavento e Tinella nella parte occidentale della Pieve di Dairago in un disegno del 1580 circa. (rogito Gianotto Pusterla) legava alla cappella di Sant’Eugenio mille scudi d’oro su terreni che possedeva a Magnago, nonché la casa di abitazione del futuro cappellano cui faceva obbligo di celebrare messa a Tornavento in tutti i giorni festivi e in due feriali ogni settimana. Il primo cappellano fu, probabilmente, Giovan Battista Ferrario33. Un visitatore ecclesiastico ci lascia una descrizione della chiesa come si presentava nel 1622. Aveva l’altare non entro una cappella ma collocato sotto un semplice baldacchino e recintato mediante cancellata di legno: segno che la chiesa era una semplice aula rettangolare. Un dipinto sulla parete di fondo dell’aula, attraversata da una crepa, rappresentava un crocifisso con ai lati le figure di sant’Eugenio e di santa Caterina. C’erano dipinti anche sulla parete settentrionale, ma non sulla meridionale. Nel pavimento, qua e là fessurato, si notavano due sepolcri “comuni” cioè ad uso di tutta la comunità; il soffitto era a cassettoni. Nella facciata, non preceduta da portico, erano aperte due finestre ai lati della porta d’ingresso; un’altra finestra era nella parete sud. La campana era inserita in un arco sull’angolo settentrionale della facciata. Non convincente nella descrizione la collocazione dell’ingresso della chiesa ad est, dell’altare ad ovest, contro la prassi medievale e contro successiva documentazione archivistica. Nel 1622 il cappellano era uno Scala della diocesi di Sarzana34. Nei decreti del 1625 l’arcivescovo invitava a regolarizzare la forma dei sepolcri, a intonacare le pareti previa sistemazione della parete meridionale, a costruire la sagrestia35. Con atto 4 gennaio 1644 il beneficio costituito dai Della Croce venne eretto in cappellania36. Da allora la gente di Tornavento poté avere un cappellano: quindi la messa della domenica e qualche messa durante la settimana. Il visitatore ecclesiastico del 1684 ci dice che la chiesa misurava braccia 15 x 10, cioè poco meno di metri 9 x 6, ed era alta 11 braccia cioè 6 metri; dunque non era un edificio piccolissimo; suo cappellano titolare dal 1659 era Ercole Gomez37, in documenti successivi Ercole Vincenzo Gomez Silva. La mappa del 1722 disegna la chiesa a sud dell’abitato di Tornavento su un grande spiazzo di proprietà Parravicino. Senza il chiarimento 7 Le due chiese, indicate con due croci, nella mappa del 1722. offerto dalla nota datata 1753 alla fine della tavola dei possessori di Tornavento, la doppia croce disegnata in mappa risulterebbe misteriosa. Una croce indicava la chiesa esistente nel 1722 ma vecchia nel 1753, la cui area è disegnata a delineazione continua, con abside ad est. L’altra croce, affiancata dalla lettera A, vale, come dice la nota predetta, per la “chiesa nuova sotto il titolo di S. Maria con piazza d’avanti”. La chiesa nuova, desiderata ma ancora inesistente nel 1722, si realizzò prima del 1750: infatti la descrizione del 1750 (atti di visita del card. Pozzobonelli) presenta l’altare “dentro una cappella”, che conteneva anche l’armadio della suppellettile sacra38. Nel 1739 Giacomo Francesco Bodio, “mastro di campo” cioè maresciallo, dispose per testamento un lascito di 1.000 lire per il mantenimento del vicecurato presso la “chiesa nova” di Sant’Eugenio39. Si può credere che la spesa della costruzione gravasse non sulla scarsa popolazione del luogo, contadina e povera, ma sui signori Parravicino, presenti da qualche decennio in misura forte – come vedremo – sulla scena di Tornavento. Nel 1722 chiesa vecchia e chiesa nuova, o meglio chiesa esistente e chiesa progettata, erano su aree giustapposte; la chiesa nuova era destinata ad occupare un’area più a sud e ad est rispetto alla chiesa vecchia ed a collocarsi a filo della strada proveniente da Lonate, come nella situazione attuale. Il titolo di Santa Maria dovrebbe corrispondere ad un errore dei rilevatori catastali; il visitatore ecclesiastico del 1750, card. Pozzobonelli, mantiene per la chiesa di Tornavento il titolo di Sant’Eugenio. La mappa del 1722 ci dà anche la posizione della casa del cappellano: era sul mappale n° 8 La lettera A vale per la “chiesa nuova”, come spiega il registro dei possessori. 64, a sud dello spiazzo Parravicino, cioè al centro della piazza attuale, ed aveva annesso l’orto di una pertica. Era distante diversi metri dalla chiesa vecchia. Si ignora quando la chiesa vecchia venne demolita. Era ancora in piedi nel novembre del 1780 quando un nobile Della Croce, anche lui di nome Ferdinando, ordinò al notaio Francesco Crespi di Lonate di recarsi a Tornavento per fare la descrizione di uno stemma esistente in essa “lateralmente all’altare del SS. Crocefisso, con la B. Vergine e S. Maria Maddalena pure dipinte sul muro”. Il notaio chiamò a raccolta diversi abitanti di Tornavento, “dei più vecchi”, ed anche il console Marcantonio Berto. I vecchi ignoravano quando erano state fatte le pitture, dicevano la chiesa “antichissima”, asserivano che in passato i defunti venivano sepolti nei due sepolcri interni40. Il Crespi fece la sua relazione e al termine di essa disegnò lo stemma visto nella chiesa vecchia: lo stemma Della Croce, croce rossa in campo argenteo41. Sommando le informazioni del 1622 con queste del 1780 ci rendiamo conto che il dipinto sulla parete di fondo della chiesa vecchia rappresentava il Crocifisso al centro, la Madonna e la Maddalena da un lato, sant’Eugenio e santa Caterina dall’altro. Della cappellania di Sant’Eugenio, di patronato Della Croce, si conoscono i nomi di alcuni investiti del Settecento: nel 1705, alla morte di Enrico Gomez, il sacerdote Giovan Cesare Della Croce, negli anni 171416 Andrea Pinza, nel 1725 Giovanni Giudici, negli anni 1731-39 Carlo Cardani, nel 1775 un De Cantis (o de Cantianis?) deceduto nell’anno42, nel 1780 il sacerdote Giuseppe Della Croce43. Nel 1750 i due parroci porzionari di Lonate, Giacomo Bodio (per lascito testamentario del 1739) e i maggiori possidenti di Tornavento (conte Giuseppe Croce, Isabella Ottolini Parravicino, Luogo Pio Santa Corona di Milano) si obbligarono, con una privata scrittura, a fornire, tutti insieme, una congrua al sacerdote residente in Tornavento con l’incarico di amministrare i sacramenti; i parroci di Lonate si impegnarono, specificamente, ad assegnargli ogni anno 200 messe da celebrare (150 ne comportava allora il legato Della Croce)44. 5. I Della Croce a Tornavento e i feudatari del luogo I Della Croce giustificavano il cognome da un leggendario Giovanni da Rho, banderajo dei Milanesi nella prima crociata (anni 109699), il quale per primo sarebbe entrato in Gerusalemme piantandovi la croce45. Originaria di Magnago, la famiglia Croce o Della Croce era già molto ramificata nel Quattrocento quando vantava “quindeci case” cioè nuclei nella città di Milano e 20 nel contado, ben articolata nella sua composizione: comprendeva infatti notai, burocrati, ecclesiastici46. Nel primo Quattrocento alcuni Della Croce erano titolari di beneficio a Quinzano e proprietari a Oriano e a Mercallo presso Sesto Calende, mentre altri erano proprietari a Castano, Busto Garolfo e dintorni sin dal 131747. Il ramo rimasto a Magnago faceva capo a un Rodolfino vivente negli anni 1370-142048. Sono Della Croce sette prevosti di Dairago nei secoli XIV-XVI49. Nel settembre del 1464 i fratelli Michele e Rolfino (= Rodolfino) Della Croce figli del fu dominus Giovanni – morto l’anno prima il loro fratello Gottardo, francescano dell’Osservanza – effettuavano, con l’ausilio di arbitri, la divisione dei beni paterni giacenti non solo a Magnago ma anche a Milano (in parrocchia di San Pietro sopra il Dosso intus), a Domodossola, a Cassina del Manzo (oggi San Macario), a Sant’Antonino, a Lonate Pozzolo (terreni in Pozzera, in Grasca, al mulino di Gaggio), computando nell’asse ereditario quantità notevoli di grano e di vino trafficati negli anni precedenti e gli utili derivati dalla “condotta del sale”50. Lo stemma del ramo nobile della famiglia Della Croce. Lo stesso anno, come già detto, i Della Croce acquistarono 225 pertiche di terra nel territorio di Tornavento da Guglielmina Porri. Nel 1465, ricordiamo, i fratelli Antonio e Giacomo Della Croce affittavano prati, campi e boschi di Tornavento ai fratelli Perotti di Tornavento. Pur possedendo molto in loco, i Della Croce non ebbero però subito il titolo di feudatari di Tornavento. Seguendo le vicende del feudo della pieve di Dairago, Tornavento fu di Castellano Maggi dal 1538, degli Arconati dal 157051. Nel 1574, come già detto, Tornavento era proprietà di Giovanni Marco Della Croce. La svolta fu nel 1648 quando Magnago, Sant’Antonino, Tornavento e Tinella, messi all’incanto come feudo unico dalla Regia Camera di Milano, furono acquistati dai fratelli Giacomo e Giuseppe Croce al prezzo di 4.000 lire imperiali “per ogni cento fuochi” o famiglie. Sant’Antonino insorse contro l’infeudazione e si liberò52, non così Tornavento. Nel 1695 Odoardo Croce refutò il feudo di Tornavento alla Regia Camera perché ne fosse investito Giuseppe Alessandri, dietro versamento di lire 500 al refutante e lire 9 per fuoco al fisco; Tornavento era allora un villaggio di 16 famiglie. Da allora Giuseppe Alessandri, conte di Olgiate Olona dal 1694, modificò il titolo nobiliare in conte feudatario di Olgiate e Tornavento. Gli Alessandri avevano già interessi a Tornavento dalla metà del Seicento, con proprietà e massari53. Nel 1709, finiti senza prole gli Alessandri, il titolo di conte di Olgiate e Tornavento fu concesso con diploma di re Carlo III a Carlo Antonio Prata e ai suoi discendenti maschi. I Prata non risiedettero mai né a Olgiate né a Tornavento. Conservarono però il 9 titolo comitale fino al 1796 quando, con la conquista francese del ducato di Milano, venne soppressa ogni autorità feudale54. Intanto le proprietà Della Croce in Tornavento si erano ridotte fino quasi a scomparire. Il catasto del 1751 presenta un solo Della Croce, Diomede, proprietario soltanto del mappale n° 16, orto di una pertica, adiacente alla casa del cappellano. 6. Casa della Camera e cascina Castellana La Regia Camera, cioè l’erario dei dominatori spagnoli e, in precedenza, la Camera Ducale di Milano aveva un edificio nella valle del Ticino allo Sperone, cioè all’imbocco del Naviglio, in cui risiedeva il personale addetto al controllo dell’incile e del movimento merci e passeggeri e alla riscossione della tariffa del portonatico. Presso il caseggiato venne costruito in epoca imprecisata un oratorio intitolato a sant’Antonio, con l’altare ad est. Secondo il visitatore ecclesiastico del 162255, l’oratorio aveva pavimento alla veneziana, soffitto di legno, una finestra tonda nella facciata e un’altra finestra in una parete laterale, la cappella dell’altare a pianta semicircolare cinta da balaustra. C’erano diversi dipinti: sopra l’altare, entro cornici di gesso, la Madonna con Bambino e i santi Antonio e Pietro Celestino, nella volta l’incoronazione della Madonna e i quattro evangelisti, nella facciata, ai lati della finestra, l’Annunciazione e i santi Antonio e Cristoforo, quest’ultimo notoriamente patrono dei viaggiatori. Un pilastro sull’angolo sud della facciata reggeva una campanella. Prima del 1625 venne costruita la sagrestia. Dal visitatore del 1684 conosciamo le misure dell’edificio: braccia 12x10, cioè metri 7x6; altezza braccia 1056. L’intero complesso, importante per la sua funzione pubblica, compare con regolarità nella cartografia dalla fine del Cinquecento in poi; ben leggibile la pianta nelle mappa catastale del 1856, con l’attigua strada “alzaia” del Naviglio Grande. Era un corpo ad L affacciato su un cortile delimitato da recinzione e integrato con rustici e con un grande portico. 10 Tutto venne spazzato via dalla piena rovinosa del Ticino nel 1868. Il caseggiatio venne ricostruito, la chiesa no. A fianco del portale della Casa del Genio Civile è inciso il segno del livello massimo raggiunto dalle acque. Oggi la Casa è proprietà della Regione e, cessata la funzione storica, serve come abitazione. Situata a 800 metri a valle dell’incile originario del Naviglio Grande, c’è la cascina Castellana, che prende nome dal già citato Castellano Maggi, titolare di diritti feudali nella pieve di Dairago dal 1538 al 1543, anno della sua morte. Nel 1574 il mulino e l’osteria della Castellana, di proprietà dell’illustrissimo signore Alfonso Gonzaga di Castelgoffredo57, abitati rispettivamente da due e da undici persone, dipendevano dalla parrocchia di Lonate, così come almeno altri quattro mulini in valle, la casa del “porto” sul Ticino, la casa della Regia Camera con unita chiesetta allo Sperone e, sul ciglione del pianalto, la cascina Maggia58. Da notare: uno dei due capifamiglia abitanti nell’osteria faceva l’oste, l’altro era conduttore di “navetto” cioè di uno dei barconi in circolazione sul Naviglio dal Ticino a Milano. Come la vediamo oggi, sistemata a ristorante, la cascina Castellana presenta qualche velleità architettonica, conservando sulla fronte est una loggetta e tracce di affreschi, sulla fronte ovest in affresco uno stemma inquartato visconteo e una meridiana settecentesca. Lo stemma, presumibilmente del tardo Cinquecento, riunisce le insegne dei Visconti (il biscione), dei Modrone che erano un ramo dei Visconti (il leone rampante) e dei Litta (i quadretti bianchi e neri), i quali Litta avevano nel tardo Cinquecento acquisito diritti di pesca nel tratto lonatese del Ticino59. Dal porticato interno di questa costruzione è stato strappato nel 1981 l’affresco con la Pietà che divenne pala dell’altare maggiore nella parrocchiale di Tornavento. Raffigura la Madonna nell’atto di reggere sulle ginocchia il corpo di Cristo tolto dalla croce; il Calvario è sullo sfondo, con le tre croci vuote. Ai lati della Madonna il fariseo Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea, il donatore del sepolcro, che mostrano gli strumenti della passione: corona di spine, chiodi, martello, tenaglia. Davanti alla Madonna, sul pavimento, un agnellino che, rappresentato anamorficamente, si deforma rivelando un teschio. Due le scritte, a lettere capitali, coeve al dipinto. In testa ad esso, Postea mori, presso il disegno di un cranio: brutto latino che dovrebbe significare “dopo il morire”. In calce all’affresco, in italiano arcaico, l’invito ad una preghiera indulgenziata: Chi 14 pater e cinqui avimarie bona devotione dirà XII anni per volta aguadagnarà. 1545 die X. Il dipinto, testimonianza e stimolo di devozione popolare, suggerisce un ripensamento della morte: dalla deposizione del Cristo all’anamorfosi pittorica dell’agnellino ai piedi della Pietà che richiama un teschio. Sullo sfondo, in un cielo striato, i colori di un tramonto sul Ticino, capace di evocare l’ora in cui Cristo venne deposto dalla croce60. La Casa della Camera in una mappa tardo-settecentesca e del 1856. Affresco araldico e affrescco devozionale della cascina Castellana La cascina Castellana (C. Dana) nella carta del Magini del 1620, nella mappa del 1856 e in una foto recente. 11 L’affresco è interessante per la sua iconografia inconsueta. La scena non è inserita nel verde della natura, come solevano fare i pittori del Cinquecento, ma in un ambiente aprospettico, foggiato a mo’ di portico architravato, con lesene o esili pilastri coronati da capitelli classicheggianti, con pavimento a mattonelle quadrangolari. Sono assenti i personaggi che di solito affiancano la Vergine, cioè Giovanni l’evangelista e il gruppo delle Marie. Nonostante l’esecuzione non eccelsa, tràttasi di pittura colta, ispirata forse da un stampa, riflettente temi e modi cari al pittore valsesiano Gaudenzio Ferrari e allo stuolo di seguaci e imitatori, uno dei quali potrebbe avere sostato alla cascina mentre andava per via d’acqua verso Milano61. La cascina Castellana doveva esser importante se è segnata nell’Atlante del Magini, benché nella grafia C. Dana, per erronea trascrizione a partire da qualche documento. Doveva essere bella se nel giugno del 1636 la scelse per suo alloggio temporaneo il maresciallo Créqui nei giorni dell’invasione franco-sabauda del Milanese. La Castellana figura in quasi tutte le rappresentazioni cartografiche di media scala dal Seicento in poi. A metà Settecento l’osteria della Castellana era proprietà del Luogo Pio Santa Corona di Milano62. A metà Ottocento si effettuava il servizio giornaliero dei passeggeri sul Naviglio nel tratto Turbigo-Milano; ogni mattina di giorno feriale la corriere in partenza da Turbigo doveva prelevare preventivamente alla cascina Castellana, quattro miglia a monte di Turbigo, le persone provenienti da Oleggio, Lonate, Busto e Gallarate63. 7. La battaglia del 1636 Presso l’abitato di Tornavento, sul fosso del Panperduto, si combatté il 22 giugno 1636 una sanguinosissima ma inefficace battaglia tra gli spagnoli signori dello Stato di Milano e gli invasori franco-sabaudi guidati dal duca Vittorio Amedeo I di Savoia e dal maresciallo de Créqui64. La battaglia è un episodio della Guerra dei Trent’Anni, il conflitto che dal 1618 al 1648 coinvolse gran parte dell’Europa continentale, animato da aspirazioni di 12 espansione territoriale di alcuni stati ma anche da ideologie religiose contrapposte. Nel maggio del 1635 la Francia, che negli anni precedenti aveva svolto una politica essenzialmente diplomatica, decise di dichiarare guerra alla Spagna. Il duca di Rohan conquistò la Valtellina, il corridoio che univa Milano al cuore dell’impero asburgico, il maresciallo Créqui portò in Italia forze ingenti di fanteria e cavalleria, la Francia guadagnò come alleati i Farnese di Parma e i Savoia. Nel campo opposto, a novembre la Spagna mandò a governare Milano il marchese di Leganes, uomo d’armi. Sul lato occidentale il confine dello stato milanese era al fiume Sesia. Nel 1636 gli alleati francosabaudi fecero una prima incursione nel Novarese a febbraio da sud, un secondo tentativo a giugno, penetrando da Gattinara, raggiungendo e oltrepassando il Ticino, accampandosi a Tornavento senza incontrare le truppe di Spagna sino al giorno della battaglia, che combatterono una settimana dopo il passaggio del fiume. Della battaglia e dell’invasione scrissero storici antichi e moderni. Tra le fonti documentarie una relazione del curato Comerio di Lonate costruita su testimonianze locali da lui raccolte. Le fonti storiche citano il fosso del Panperduto come baluardo e trincea dei francesi e menzionano per quella caldissima giornata il rinfrescarsi di alcuni combattenti spagnoli in un corso d’acqua in cui è facile individuare la roggia molinara. Oltrona Visconti, che più d’ogni altro studiò questa pagina di storia, ipotizzò che l’area del combattimento si estendesse verosimilmente fino alla Maggia. La battaglia non vide la partecipazione dei sabaudi per gran parte della giornata. Nel pomeriggio i francesi stavano cedendo quando in loro aiuto sopraggiunsero i sabaudi dalla sponda occidentale del Ticino, dove si era trasferiti nei giorni precedenti. L’ultimo a studiare questa battaglia fu il generale Amoretti, direttore del museo delle armi di Torino. Egli trovava sorprendente la lacuna tattica degli Spagnoli, di non avere difeso, con il vantaggio del terreno, ben due ostacoli naturali, il fiume e il ciglione collinare su cui è situato Tornavento. Analizzando le fonti, il generale ipotizzò lo sviluppo del La lettera A e una torre con bandiera al vento: fantasiosa indicazione di Tornavento nel disegno seicentesco della battaglia. La battaglia nei reperti testimoniali e nella rievocazione storica. combattimento. I francesi, costretti alla difensiva sull’orlo del ciglione per non essere ributtati verso il Ticino, di certo dovettero costruire trincee con gabbioni di fascine nello schema dei “salienti e rientranti”, avendo alle spalle il piccolo abitato di Tornavento, sfruttando l’uno e l’altro lato del fosso asciutto del Panperduto, schierando le numerose forze parte nella brughiera, parte nel bosco. Vasta la brughiera, di facile osservazione, ben percorribile a piedi e a cavallo. L’armata spagnola, costituita dalle massicce formazioni dei tercios, proveniendo da Abbiategrasso si avvicinò al luogo della battaglia. Essa sviluppò dapprima attacco frontale sul centro dello schieramento francese, impegnando per ore picchieri e moschettieri in gran numero, la cavalleria e i dragoni soltanto in forma marginale. L’artiglieria francese, piazzata sulla lieve altura di Tornavento, colpiva crudelmente i soldati spagnoli. Quando poi costoro passarono alle spade e ai coltellacci per il combattimento corpo a corpo, a sfiorare la sconfitta furono i francesi, i quali furono salvati in extremis dalle truppe sabaude, risalenti dallo Sperone attraverso un ponte di barche di loro costruzione ed affluenti sul pianalto in modo da sorprendere, con la cavalleria, di fianco o alle spalle, gli spagnoli. La battaglia, durata l’intera giornata, finì senza un vincitore, forzatamente chiusa dal buio della sera. Centinaia i morti, moltissimi i feriti. Il più famoso dei caduti sul campo era Gherardo Gambacorta, capitano di cavalleria napoletana a servizio della Spagna. Si vuole fosse sua la tomba con uno spadino e due stiletti messa in luce nel 1900 durante uno scavo davanti alla chiesa di Sant’Eugenio65. Danni, incendi, violenze seminarono i francosabaudi nei paesi del vasto circondario, prima e dopo la battaglia. Ricordava il fatto d’armi una carta seicentesca a stampa, oggi introvabile, ricopiata in grande nel quadro che stava su una parete della villa Parravicino. Il fosso del Panperduto si è confermato come sito del conflitto, restituendo in questi ultimi anni resti di oggetti metallici – congegni di sparo, una punta di stendardo, culatta e palle d’archibugio – ed una moneta di Luigi XIII, re dei francesi proprio nel 1636. Da quindici anni l’associazione Cavalieri del Fiume Azzurro cura una rievocazione annuale della battaglia nella vasta area già brughiera ad oriente dell’abitato di Tornavento. 13 8. Tornavento nella cartografia Il primo riferimento possibile in questo campo è ad una carta topografica manoscritta del 1550 circa, probabilmente collegata al catasto dello Stato di Milano iniziato per ordine di Carlo V nel 1543, andata distrutta durante la seconda guerra mondiale: raffigurava il territorio dal fiume Sesia alla Brianza, con indicazione di una ventina di luoghi della pieve di Dairago: tra essi “Tornavento, palazzo”66. Per quanto piccolo, il villaggio di Tornavento compare in molte carte conservate raffiguranti l’alto Milanese. La ragione sta nella prossimità di Tornavento rispetto a realtà e strutture importanti quali il fiume Ticino, il Naviglio, la roggia molinara, che erano l’oggetto diretto della rappresentazione cartografica67. Viene fatta risalire al tardo Cinquecento la mappa dell’Archivio di Stato di Torino nella quale sono disegnate rettifiche, allora previste ma poi non realizzate, della roggia molinara di Lonate nel tratto tra i Molinelli e il Molinazzo; per contestualizzare la scena, sono disegnate e denominate anche le realtà di cascina Maggia, Tornavento e Castellana. Egualmente interessante il disegno a mano della pieve di Dairago predisposto intorno al 1580 per i visitatori ecclesiastici. I paesi sono indicati simbolicamente con circoletti. Dairago capopieve si presenta con la croce doppia di Lorena, le chiese parrocchiali con una croce semplice. Nel disegno figurano anche mulini, ponti e cascine (tra le quali Tinella), e sono indicate le distanze in miglia tra una località e l’altra (1 miglio = 1.785 metri). Il Naviglio circoscrive metà della carta. La migliore delle carte del Cinquecento che rappresentano la Lombardia sono quelle disegnate da Giovanni Antonio Magini nel 1596, pubblicate dal figlio Fabio nel 1620 nell’Atlante d’Italia, con moltissimi toponimi, precisione dei confini, ma con distanze tra i luoghi molto approssimative. Vi compaiono i nomi di Tornavento, Casa della Camera, C. Dana (anziché Castellana), Tinella e, sotto Tornavento, un tratto senza nome del fosso Panperduto. Il territorio della pieve dairaghese non trova migliore rappresentazione nelle carte a stampa successive fino alle carte topografiche realizzate sulla base dei rilievi del catasto di 14 Maria Teresa. Cartografi stranieri, olandesi prima, francesi poi, utilizzarono liberamente le tavole di Magini; i francesi introdussero più cura per le strade, anche in relazione all’uso militare delle carte geografiche. Da segnalare tra le varie carte del Naviglio disegnate a mano una molto nitida del 1627, conservata nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, che oltre a Tornavento disegna e denomina la Casa della Regia Camera, la Castellana e Tinella. Tra quelle a stampa merita di essere ricordata la carta dello Stato di Milano (parte occidentale) del 1691 di Vincenzo Coronelli veneziano, nella quale si leggono i nomi Tornavento, Camera, Castelano (anziché Castellana). Di grandissima importanza la serie sistematica di rilievi iniziata nel 1718 sotto l’imperatore Carlo VI d’Austria e conclusa trent’anni dopo, nota come catasto di Maria Teresa, operazione che comportò la misurazione e la stima di tutti i beni immobili, terreni e case, allo scopo di distribuire equamente il carico fiscale in base alla qualità e all’estensione delle proprietà. Le mappe furono disegnate sul luogo per mezzo della tavoletta pretoriana in scala 1:2.000, come unità di misura si usarono il trabucco (m 2,61) e la pertica milanese (mq 654,52). Abbiamo la mappa di Tornavento del 1722, in serie di fogli separata rispetto alla mappa di Tinella. L’abitato di Tornavento risulta composto di poche case a nord della chiesa, Tinella sono due edifici lontani tra loro: la cascina e il mulino68. Dalle mappe del catasto teresiano si derivarono per assemblaggio carte regionali o subregionali. Tra esse la carta di Giuliano Zuliani pubblicata a Venezia nel 1784 e la nota carta della provincia di Varese del 1786, disegnata dal monaco olivetano Mauro Fornara e incisa da Domenico Cagnoni, gli stessi cui si deve la “Carta compendiata dello Stato di Milano” del 1790, con il semplice nome di Tornavento in tutte. Sono di maggiore interesse per precisione e ricchezza di dettagli la carta degli astronomi di Brera disegnata tra il 1788 e il 1796, la Carta topografica del Regno LombardoVeneto pubblicata nel 1833 e quella dell’Istituto Geografico Militare stampata in diverse edizioni dalla fine dell’Ottocento. Carta IGM del 1883 aggiornata nel 1914: cascina e mulino di Tinella non compaiono più. 15 Sempre risalenti all’Ottocento sono reperibili carte geografiche di varia specializzazione, derivate da quelle ufficiali. Da ricordare che gli astronomi di Brera iniziarono le operazioni di rilevamento per la cartografia con la misurazione della base geodetica di Somma. Alcune carte ottocentesche meritano citazione: la carta del Dipartimento d’Olona del 1802 disegnata da Giuseppe Boerio, in cui compaiono Santa Maria della Maggia, il porto di Oleggio, Tornavento e il Molinazzo69; la carta senza data ma del 1827 circa, intitolata “Contorni di Milano”, e quella analoga del 1833, entrambe carte militari, attente alla configurazione e alle colture del terreno, alle strade e corsi d’acqua, ai centri abitati, ai confini di provincia e di distretto: vi compaiono da nord a sud la Maggia, il mulino di Gaggio, il “casello”, il porto di Oleggio, la casa della Camera, Tornavento, il mulino Nuovo, l’osteria Castellana, il Molinazzo, la cascina e il mulino di Tinella. La mappa manoscritta del 1856 denomina Regia Ricevitoria quello che era il “casello”. La “levata” del 1883, capofila delle carte IGM, presenta nitidamente i confini intercomunali, le strade, il nucleo centrale di Tornavento, gli edifici industriali in valle, la roggia con i mulini, il Naviglio con il canale scaricatore Marinone, la cascina Castellana e – importante novità – diversi punti altimetrici del territorio, con l’abitato di Tornavento a quota m 190 slm e le case della zona Turbigaccio a m 14470. 9. Il comune di Tornavento con Tinella Tinella era una cascina e un mulino. La cascina non risulta appartenente alla parrocchia di Lonate. Al mulino, che alcuni atti notarili collocano in territorio di Nosate, era annesso un ospizio, cioè un’osteria. Con atto 27 dicembre 1464 mulino e osteria furono dati in affitto per tre anni ai fratelli Ambrogio e Paolino de Canibus del fu Ceschino abitanti a Lonate. Cinque erano allora i comproprietari Della Croce: Luigi fu Rodolfo abitante a Magnago, Marco fu Rodolfo abitante a Lonate, Giacomo fu Francesco abitante a Sant’Antonino, Giacomo Filippo fu Giorgio abitante a Lonate, Zanardo fu 16 Giovanni abitante a Magnago. A ciascuno dei proprietari spettava un quinto del canone di affitto, che era fissato in fiorini 82 e 10 libbre di buon pesce all’anno71. A motivo del mulino Tinella era più importante di Tornavento. Per il dazio dell’imbottato del vino nuovo e delle biade Tinella era abbinato a Sant’Antonino. Il 18 novembre 1464 a Magnago, in casa del dominus Giovanni Della Croce “anziano” della pieve civile di Dairago, radunati i consoli dei comuni della pieve, si concordò la divisione del carico annuo di lire 1.100 addossato alla pieve dall’ufficio ducale delle entrate straordinarie: Busto Garolfo ebbe in carico 280 lire, Borsano 155, Bienate 90, Magnago 83, Dairago 75, Cuggiono 66, a Vanzago (cioè Vanzaghello) 65, Buscate 60, Inveruno 48, Arconate 40, Sant’Antonino con Tinella 40, Furato 28, Robecchetto 20, Malvaglio 1572. Nell’atto non figura Tornavento, forse abbinato a Lonate, che per lo stesso tributo pagava da 800 a 1.000 lire ogni anno73. Anche l’osteria rimase una costante per decenni e decenni. Un hosto a Tinella è attestato anche per l’anno 1537: era nientemeno che un dominus, Giacomo Bombarda, capo dell’unica famiglia ivi abitante74. Si sa che nel 1641 gli abitanti di Tinella (homines loci Tinelle) scelsero un Melchiorre Crespi come loro postaro del sale75. Come già accennato, Tinella e Tornavento ebbero vicende feudali generalmente diverse. L’accostamento avvenne a metà Settecento. Nel contesto degli atti amministrativi del governo austriaco concernenti il censimento dei beni di prima e seconda stazione, venne istituita l’unità fiscale “Tornavento con Tinella”, cui fu attribuita funzione di comune. D’altronde era in uso nelle infeudazioni dalla metà del Seicento la combinazione di Tornavento e di Tinella, come anticipato nella scheda n° 5. Nel 1722 a misurare il territorio di Tornavento venne il geometra esterno Dionigi Calahan, non risulta chi del posto gli abbia prestato assistenza. Misurazione separata ebbe allora il territorio di Tinella. La fusione dei due territori totalizzò 5.000 pertiche milanesi. I fogli catastali evidenziano chiaramente le pertinenze di Tornavento. Oltre al piccolo nucleo abitato presso la chiesa di Sant’Eugenio, sono rappresentati in territorio di Tornavento la casa della Regia Camera Cascina e mulino di Tinella nella mappa del 1856. Il mulino di Tinella nel 1903, alla vigilia della demolizione. (mappale n. 1) e l’incile del Naviglio76, un tratto della roggia molinara lonatese e sulla roggia il molino Nuovo (mapp. 37 ½) di proprietà della comunità di Lonate, una cascina Ciappetta (mapp. 52 ½) ad est dell’abitato di Tornavento oltre la roggia, una “terra da lino” (mapp. 45) di 2 pertiche di proprietà del Luogo Pio Santa Corona di Milano, la cascina Castellana (mapp. 61) con osteria, proprietà dello stesso Luogo Pio. Ad est, faceva da confine tra il territorio di Tornavento e quello di Lonate una strada rettilinea corrispondente a quella poi chiamata del Gregge. I fogli catastali di Tinella non presentano particolari importanti oltre la roggia zigzagante, sulla quale gravitavano il Molinazzo (mapp. 32), la cascina Tinella e, al defluire della roggia nel Naviglio, l’osteria e il mulino di Tinella (mapp. 78 e 79). Le corrosioni del fiume Ticino, confine occidentale delle due località fiscalmente associate, determinarono fogli catastali aggiuntivi, limitati alle aree delle variazioni. La riforma del 1755 delle amministrazioni comunali (legge di 332 articoli)77 sostituiva alla precedente varietà delle forme di governo locale un modello uniforme di pubblica amministrazione, basato sul concorso di tutti gli estimati e sul controllo dei loro atti da parte di autorità tutorie centrali e periferiche. Le piccole terre vennero aggregate: così a Tornavento fu unito Tinella. In ogni comunità doveva riunirsi due volte all’anno il convocato generale o assemblea dei estimati, cioè di tutti coloro che figuravano a catasto per qualsiasi cifra come intestatari di beni fondiari tassati. Nella seduta di gennaio dovevano formare l’imposta per l’anno in corso; nella seduta autunnale eleggere tre deputati dell’estimo. Un esecutivo ristretto integrato da un rappresentante di coloro che pagavano l’imposta personale e da un rappresentante dei soggetti a imposta mercimoniale nominava un sindaco che fungeva da sostituto della deputazione per le necessità quotidiane e un console, qualcosa di mezzo tra il banditore e il messo comunale. Il mandato dei deputati e del sindaco era annuale, per un triennio era invece l’esattore, unico per tutta la pieve o delegazione, la quale aveva un cancelliere con poteri di controllo sulle amministrazioni comunali. Un “quinternetto” dell’anno 1760 destinato all’esattore attesta che i “carichi” del comune di Tornavento con Tinella ammontavano allora a lire 2.215, che l’esattore comunale usava pagare in quattro rate il dovuto alle magistrature ducali. Benché piccolo, il comune di Tornavento doveva avere i suoi rappresentanti e i suoi ufficiali. Parlando della chiesa di Sant’Eugenio, abbiamo avuto modo di citare il console del 1780: Marcantonio Berto. Negli anni 1791-93 i rappresentanti degli estimati erano Giovanni Parravicino, la casa Caldarona, il Collegio Imperiale. Poche le notizie raccolte. Nel 1779 il mulino “nuovo”, del comune di Lonate, fu venduto, con l’abitazione del molinaro e l’annessa striscia di terra “a zerbo”, a Carlo Mazzucchelli, 17 prestanome degli Oltrona Visconti78. A fine Settecento Tornavento contava 84 abitanti, che disponevano localmente di un pozzo e del forno comunale e si avvalevano dello stesso medico di Lonate79. Dal 1786 Tornavento insieme con gli altri paesi della pieve civile di Dairago fece parte della provincia austriaca di GallarateVarese; in epoca napoleonica fece parte del Dipartimento d’Olona. Contava allora poco più di 100 abitanti; il medico, scelto dagli amministratori di Tornavento, era Girolamo Mainini. Nel 1816 Tornavento, nell’ambito della provincia di Milano e distretto censuario XIV di Cuggiono, fu ridotto a frazione di Lonate, ma lo status di frazione durò poco e nel 1818 Tornavento tornò comune autonomo. I convocati del 1817 si tenevano nello slargo tra la villa Parravicino e la chiesa; in caso di cattivo tempo, nella casa dell’agente comunale. Il comune di Tornavento aveva un suo cursore, che recapitava agli interessati l’avviso per le riunioni. Gli argomenti che erano oggetto di trattazione nei convocati erano piuttosto pochi, ripetitivi di anno in anno: i conti preventivo e consuntivo, la nomina dei deputati e dei revisori dei conti, la nomina e il compenso dei dipendenti comunali; troviamo in più, sotto il 1817, la posa di un ponte sulla roggia molinara, lo spurgo del pozzo comunale, la sospensione e la ripresa della scuola “normale”80. L’archivio storico comunale di Tornavento conserva sugli stessi argomenti i verbali dei convocati degli anni intorno al 1830. Dieci i fogli che nell’archivio di Stato di Varese documentano il territorio del comune di “Tornavento con Tinella” nel 1856, confermando sostanzialmente la situazione settecentesca, salvo collocare presso la cascina Ciappetta un lungo edificio e denominare il tutto la Cassinetta. I fogli di rettifica del 1880 e del 1902 presentano le modifiche relative nel primo caso all’area della Cassinetta, nel secondo all’abitato di Tornavento. Carte già dell’archivio comunale di Tornavento degli anni 1855-59 riguardano la manutenzione della scuola e delle strade esistenti nel pianalto e nella valle del Ticino. Fin dal primo assetto del Regno d’Italia il 18 piccolo comune di Tornavento ebbe i suoi 15 consiglieri, quanti ne aveva Lonate. Gli elettori di Tornavento per le elezioni amministrative del 1861 erano 50. Sindaco di Tornavento nel 1861 era Ippolito Parravicino. Egli dispose, nell’anno, di pagare 60 lire a suo fratello Eugenio per il fitto della sala che si usava come ufficio comunale; firmò mandato di pagare lire 250 di stipendio annuo al segretario comunale Francesco Vigevano81. Nel bilancio preventivo del 1869 le spese distinguevano, qui come altrove, il personale comunale in stipendiati (medico, levatrice, maestro) e salariati (agente, cursore, pedone). Nel 1869, quando Tornavento fu aggregato a Lonate, aveva una popolazione di circa 250 abitanti82. Il sindaco era sempre Ippolito Parravicino. L’aggregazione a Lonate rifletteva un decreto firmato il 3 marzo 1869 da Vittorio Emanuele Il, primo re d‘Italia. Il decreto colpiva anche Sant’Antonino. L’archivio storico di Tornavento, al pari di quello di Sant’Antonino, venne unito e tutt’oggi sta unito all’archivio storico di Lonate. Quanto alla superficie dei comuni, si sostiene generalmente che la territorializzazione è da ascrivere al Medioevo, che cioè l’estensione odierna dei territori rispecchia l’importanza che i diversi luoghi avevano all’epoca della costituzione dei loro confini, naturalmente con le limitazioni imposte da fattori ambientali e naturali (corsi d’acqua, brughiera ecc.) assieme ad altri non facilmente individuabili oggi83. Questa tesi non risulta valida per Tornavento, che nel medioevo non costituiva unità amministrativa. Quanto alle dimensioni, abbiamo a fine Settecento per “Tornavento con Tinella” la seguente situazione nel quadro delle adiacenze84. Può essere utile ricordare che una pertica milanese equivale a 654 mq. LUOGO PERTICATO ABITANTI Turbigo 10.756 656 Castano 29.919 1.911 Nosate 9.037 264 Tornavento 5.082 117 Lonate P. 30.775 1.584 Ferno 14.212 1.123 Vizzola 3.619 - 10. I Parravicino a Tornavento I Parravicino avevano da tempo un ruolo importante nella vita socio-economica della Brianza e delle terre ad oriente di Milano85. Nel Settecento estesero i loro interessi anche a Tornavento e, in misura minore, a Lonate. La chiesa di San Giovanni in Campagna presentava nella parete di fondo una scenografia, dipinta entro il 1722, con in testa lo stemma Parravicino, sopra la pala d’altare che si dice raffigurasse la Madonna degli Appestati86. I Parravicino si incontrano nel catasto di Tornavento del 1751. Don Paolo Parravicino fu Giovanni e la sorella donna Isabella Ottolini Parravicino possedevano parecchi terreni in Tornavento e anche in Lonate: don Paolo soprattutto a Tornavento, donna Isabella soprattutto a Lonate87. Donna Isabella era proprietaria in Tornavento del mappale n° 66 di pertiche 19, comprendente la casa in parte di sua abitazione, in parte da massaro, e lo spiazzo a sud fino alla casa del cappellano, mentre del fratello era il mappale n° 20, di quasi 5 pertiche, strutturato a giardino, a nord dell’abitazione di Isabella. Rimane notizia di una lite tra i Parravicino e i Della Croce negli anni 1787-88: i primi avevano introdotto modifiche alla strada per cascina Maggia e furono costretti a ripristinarla com’era prima88. La lite rende incredibile il legame di parentela tra i due ceppi asserito da Oltrona Visconti89. Nel 1790 parte dei beni dei soppressi monasteri lonatesi giacenti nei territori di Lonate e Tornavento, livellati al dottor Carlo Facciata odierna della villa già Parravicino, sulla piazza omonima. Alciati, furono subaffittati ai fratelli Giovanni e Paolo Parravicino90. Nel 1835 i Parravicino mettevano, o forse continuavano a mettere, a disposizione della gendarmeria alcuni locali di loro proprietà, da identificare nell’edificio che è denominato “casello” nella carta militare del 1833, Regia Ricevitoria nel 1856, cascina Parravicino dalla fine dell’Ottocento (1896)91. Giovanni Parravicino ebbe almeno cinque figli dalla marchesa Bianca d’Adda92: Ippolito, Eugenio, Gustavo, Giacomo (che morì giovane) ed una figlia. I fratelli Ippolito ed Eugenio Parravicino, nobili, avevano la villa (sull’area dell’antico castellazzo) ed estese proprietà, praticavano la sericoltura e gestivano una “filandina” a Tornavento, mantenevano interessi sericoli anche in zone della Brianza. E’ rimasto sconosciuto fino a pochissimi anni fa un importante capitolo della vita dei due fratelli: il capitolo dei “semai”93. Nella documentazione della famiglia risulta che sin dal 1865 i Parravicino impiegavano cartoni giapponesi nell’allevamento dei bachi. Erano in rapporti di affari con l’industriale serico milanese Alberto Keller, a cui vendevano bozzoli e forse anche seta greggia. E’ certamente anche per queste esperienze che ad Ippolito Parravicino venne affidato l’incarico di andare a Yokohama. Nel 1867 e 1868 Ippolito Parravicino fu in Giappone per acquistare cartoni di semebachi per conto della Società Bacologica tra Proprietari e Coltivatori di Milano, una delle maggiori associazioni italiane del settore. Eugenio Parravicino era contitolare a Milano di una società che confezionava seme-bachi Cappella Parravicino nel cimitero di Tornavento. 19 in Sardegna ed in Corsica. Nel 1873 furono in Giappone sia Ippolito che Eugenio. I Parravicino restarono in attività negli anni successivi in collegamento con le loro proprietà terriere, ma con investimento anche nel settore cotoniero. Ippolito, come già accennato, si dedicò anche alla politica. Dopo essere stato sindaco di Tornavento per un decennio, negli anni 187577 fu sindaco di Lonate; negli anni seguenti fu membro del Consiglio Provinciale di Milano. Nel 1895 era uno dei consiglieri comunali di Lonate, il più ricco per rendita immobiliare94. Gustavo (1837-1906) fu ufficiale superiore nelle Guerre d’Indipendenza, ottenendo una medaglia d’argento al valore militare: è celebrato in un lungo testo su lastra di marmo nella cappella di famiglia. A Giulio, erede di Ippolito e figlio di Gustavo, si deve il restauro nel 1901 della villa di Tornavento95. I corpi di fabbrica della villa si raggruppano attorno a due cortili interni, presentandosi esternamente come una massa chiusa e compatta, priva di articolazioni; non mancano tuttavia accorgimenti prospettici che rendono interessanti le vedute, come la sistemazione lungo un solo asse degli anditi di accesso ai cortili di cui il primo costituisce un terrazzo verso valle. Un disegno del 1914 indica l’assetto dato allora alla villa96. Giulio, oltre che ingegnere, rimaneva un grande proprietario agricolo. Nel 1902 accolse, insieme con altri 15 grandi possidenti di Lonate, l’alleggerimento del contratto colonico97. Nel 1910 era consigliere comunale di Lonate, avendo residenza a Milano in via Borgonovo 698. Nel 1912, insieme con l’ing. Piatti, fece un progetto, poi non realizzato, di sollevamento delle acque del canale Villoresi in località Maggia per formare canali secondari di irrigazione dell’alto Milanese99. Molteplici le opere che Ippolito e Giulio realizzarono per il progresso agricolo e sociale del paese100. Al cimitero di Tornavento nella cappella costruita nel 1903 da Giulio Parravicino, ricca di cenni biografici incisi sulle tombe, sono sepolti: Gustavo (1837-1900), colonnello d’artiglieria nelle guerre d’indipendenza italiana e “studioso instancabile”; la moglie 20 Bianca Barbiano di Belgioioso (1845-1911); l’ing. Ippolito (1834-1900), fratello di Gustavo, che visse “più di 8 lustri” a Tornavento, uomo che si distinse “sul campo di battaglia, nei viaggi, nei consigli della provincia e del comune”; l’ing. Giulio (1867-1929), figlio di Gustavo, che “coltivò l’idraulica, l’agricoltura”; Ines Lossetti Mandelli (1875-1949), moglie di Giulio. Maria Luisa, figlia di Gustavo, sposò un Martellini. Il loro figlio, Gustavo, ufficiale dell’esercito, testò nel 1951 lasciando erede – anche di oggetti già dei Parravicino – la nipote Benedetta Pecchioli domiciliata in Firenze, disponendo di essere sepolto a Tornavento101. Gli eredi Parravicino erano ormai inclini ad abbandonare le proprietà di Tornavento. La società immobiliare che entrò in possesso della villa, mise in atto nel 1980 una profonda ristrutturazione102. Oggi la villa è frazionata in tanti appartamenti ad uso sia uffici, sia abitazioni; gli interni sono quasi tutti recenti. 11. La chiesa settecentesca e le modifiche successive Com’era la chiesa “nuova”, costruita a metà Settecento, enunciata nella scheda n° 4? Ce la ricordano i disegni – pianta e spaccato – fatti nel 1841 dall’ing. Giuseppe Rossetti e da lui presentati alla deputazione comunale di Tornavento unitamente ai disegni – pianta e spaccato – funzionali all’allungamento dell’edificio, probabilmente rispondente ad un aumento della popolazione. Tutti questi disegni sono oggi nell’archivio comunale di Lonate, sezione storica103. La chiesa del Settecento aveva una finestra su ogni parete e una finestra anche in facciata, collocate al di sopra del cornicione di imposta della volta, aveva la sagrestia sulla parete meridionale, non aveva ancora il campanile. L’aula era lunga poco più di 13 metri e larga circa 7 metri; la cappella dell’altare doveva essere a pianta rettangolare. L’ampliamento previsto dall’ing. Rossetti comportava una chiesa lunga – cappella compresa – 18,5 metri e larga 6,5 metri, con una sagrestia nuova sempre a sud, aula Chiesa del Settecento e chiesa dell’Ottocento a raffronto: piante e sezioni. divisa in cinque campi rimarcati sulle pareti da lesene di gusto neoclassico, un soffitto a volta in cannucciato di poco più basso del preesistente. Sul lato nord, opposto alla sacrestia, il campanile, successivamente coronato di calotta sferica, secondo un disegno del 1855. Le modifiche ottocentesche sono da ritenersi più pesanti di quanto i disegni lasciano intendere; dovettero cancellare tutte le “grazie” tipiche dell’architettura del Settecento. Nel 1857-58 a sud della chiesa venne edificata l’abitazione del cappellano104. Nel contempo sopra la sacrestia si costruì un locale, accessibile tramite scala esterna posta dietro l’abside della chiesa; sul lato nord, dietro il campanile, si inserì un vano ad uso magazzino. Della chiesa così modificata ci resta un disegno planimetrico del 1858 fatto dall’ingegnere lonatese Luigi Giudici. Il curato Loaldi nel 1904 scrisse che la chiesa era stata “ricostruita” nel 1854 e che presentava due altari, dedicati l’uno alla Madonna del Rosario, l’altro al Sacro Cuore105. Non si conoscono altri lavori importanti fino all’anno 1900, quando davanti alla chiesa fu posto l’atrio porticato, con colonnine di granito 21 e soffitto a cassettoni, a spese della Casa Parravicino in memoria di don Ippolito, come ricorda l’iscrizione in lettere capitali dorate. Nel 1906 fu installato sulla controfacciata un organo Franzetti proveniente da Solcio sul lago Maggiore; nel 1910 la chiesa fu decorata, furono modificate le dediche degli altari minori. Tutto rimase immutato fino al 1917 quando, per fronteggiare un ulteriore aumento della popolazione, la chiesa venne allargata mediante aggiunta di pseudo-navate laterali, e venne così ad occupare a nord una striscia della strada pubblica, che fu donata dal Comune. Era l’ampliamento auspicato dal cardinal Ferrari fin dal 1904. Lo si fece a guerra in corso “per una circostanza favorevole”, non specificata dal parroco Riboni, su disegno di Enrico Locatelli, parroco di Vergiate ma anche “bravissimo ingegnere”. Il popolo – scrisse Riboni – appoggiò il lavoro e con vero entusiasmo concorse alle spese (lire 1.300). Fu inserito allora il battistero a sinistra dell’ingresso, se già non era stato allestito nel 1903 quando Tornavento diventò parrocchia. Seguirono negli anni Venti i cancelletti in ferro battuto e successivamente i dipinti alle pareti, firmati da Luigi Brusatori; del 1946 sono invece i dipinti integrativi, firmati Garavaglia106, pittore dell’alto Milanese come il cognome suggerisce. Il tetto era stato riparato nel 1924, con spesa vistosa tra quelle conteggiate dalla fabbriceria107. Almeno due innovazioni furono introdotte negli anni Ottanta, quand’era parroco don Pietro Snider: l’eliminazione degli altari laterali per aumentare la recettività della chiesa; nel 1983 l’ambone per la proclamazione della parola di Dio, ottenuto mediante ridimensionamento del pulpito settecentesco, sovrapposizione di un leggio, inserimento decorativo di angeli; nel 1985 la collocazione, coma pala d’altare, della Pietà cinquecentesca, proveniente come s’è detto da un portico della Castellana. Nel 1992 venne restaurato l’organo. Lavori significativi sono in corso quest’anno 2010. Tolto il pavimento in marmette di graniglia, scrostati gli intonaci, fatti scavi in profondità per realizzare un nuovo vespaio al fine di contrastare l’umidità di risalita che corrodeva muri e pilastri, i lavori che si 22 compiono su progetto approvato dalla Curia e dalla Soprintendenza ai beni architettonici comportano la posa di un nuovo pavimento in cotto, la collocazione sotto il nuovo pavimento dei pannelli radianti per il moderno impianto di riscaldamento, l’abolizione dei gradini delle navatelle laterali e delle sagrestie. Sotto il pavimento non si sono trovate strutture murarie antiche: non si potevano trovare, insistendo questa chiesa settecentesca su un’area diversa rispetto a quella della chiesa medievale. Tra i lavori previsti, nel presbiterio saranno collocati o ricollocati gli angeli sopra l’altare, l’ambone verrà arricchito mediante recupero di una vecchia tribunetta, sarà trasferito alla sagrestia settentrionale (ex magazzino) il grande armadio della sagrestia meridionale, la Pietà sarà collocata sulla parete sud, verrà predisposta per la statua del patrono una nicchia sopra il battistero108. 12. La ferrovia delle barche Nel 1858 iniziò a funzionare la “via ferrata di rimorchio delle barche”, da Tornavento e Sesto Calende109. L’opera riduceva moltissimo la fatica umana. La navigazione sul Ticino fu importante sin dai tempi antichi. Riferendoci a tempi prossimi, ricordiamo come si navigava tra ’700 e ’800, e cosa si trasportava. Dal lago Maggiore scendevano legname d’opera, legna da ardere, pietre da costruzione, calce, ciottoli da quarzo (per fare vetro), carbone, importanti derrate alimentari (castagne, noci, pesce, vino), ovini e bovini. Le merci che risalivano il Po e il Ticino e poi il lago erano inferiori per quantità e qualità: erano soprattutto granaglie e sale. La merce viaggiava su barche, lunghe fino a 24 metri, idonee a scendere il Ticino; le persone viaggiavano su barche-corriere, capaci anche di 60 posti. Superate le rapide e giunta la barca sotto Tornavento, si infilava la Bocca di Pavia per proseguire la navigazione del Ticino oppure si imboccava il Naviglio allo Sperone. Qui il “parone” della barca saltava a terra e tornava a piedi a Sesto, un altro parone prendeva in consegna la barca per condurla, via Naviglio, fino a Milano. I tempi impiegati nella navigazione erano enormi. Per la navigazione da Sesto a Pavia con acqua mezzana si impiegavano almeno 7 ore, viceversa da Pavia al lago Maggiore da 20 a 30 giorni con barche vuote o con piccolo carico. Per la discesa da Sesto a Tornavento bastavano 90 minuti, da Tornavento a Milano sul Naviglio occorrevano 8-9 ore; al ritorno da Milano a Tornavento, prima della costruzione della strada alzaia lungo il Naviglio (182444), si impiegavano 15 giorni con 25 cavalli trainanti e con altrettanti garzoni per un convoglio di 5 o 6 barche; a seguito della costruzione dell’alzaia bastarono 3 giorni e la metà dei cavalli. Da Tornavento a Sesto, per solo 18 miglia, ma con le rapide da risalire, si impiegavano da una a due settimane, dovendosi staccare le barche per farle avanzare ad una ad una, spesso portando parte dei cavalli sulla sponda opposta del fiume, per combinare in modo opportuno la trazione. Carlo Cattaneo, studioso dei trasporti oltre che personaggio politico, ebbe l’idea di realizzare tra Tornavento e Sesto una ferrovia per il rimorchio delle barche via terra. Le barche, estratte dall’acqua a Tornavento e poste su grandi carri di tipo ferroviario a 8 ruote, sarebbero state trainate da cavalli su una via ferrata attraverso le brughiere e reimmesse in acqua a Sesto. Il numero delle barche da trasportarsi fu calcolato in 6.000 all’anno; 100 i cavalli necessari e 100 gli uomini; fatturato annuo 360.000 lire austriache. Cattaneo costituì nel 1844 una società, via via rinfoltita di personaggi autorevoli, di finanziatori, di grandi proprietari, di capitalisti. Nel 1848, dopo le Cinque Giornate, ottenne dal Governo provvisorio di Lombardia un decreto favorevole alla costruzione, in esclusiva, della “strada per il rimorchio delle barche”, riconosciuta di pubblica utilità. Meno generosa la concessione austriaca del 1850. La ferrovia iniziava sotto Tornavento da una darsena di 100 x 40 metri, collegata direttamente al Naviglio. Il fabbricato “Stazione di Tornavento della Ferrovia delle Barche” alloggiava 40 cavalli addetti all’attiraglio nella prima tratta della ferrovia, altri 40 era alloggiati alla “Stazione delle Barche” dello Strona, sotto Somma Lombardo. Alla darsena di Tornavento Stazione delle barche a Tornavento in una fantasiosa litografia del 1856. Primo tratto del percorso della ferrovia delle barche. le barche venivano fissate ancora in acqua ai carri ferroviari, che avevano scartamento di oltre 2 metri. Il viaggio fino a Sesto Calende era lungo oltre 17 chilometri, tutto in mezzo ai boschi. Da Sesto i carri con le barche arrivavano su terrapieno, a 20 metri di altezza dal pelo dell’acqua, e venivano calate con una piattaforma-ascensore gigantesca, lunga 30 metri, munita di contrappesi e mossa da una ruota ad acqua. Questa speciale e costosa ferrovia funzionò però per pochi anni, perché presto sconfitta sul piano commerciale dalla ferrovia MilanoGallarate-Sesto Calende, inaugurata nell’anno 1868. Di essa come di opera passibile di integrazioni migliorative, è cenno nelle memorie di Giovanni Visconti Venosta, patriota milanese in fuga verso il Piemonte nel febbraio del 1859110. 23 13. Le industrie in valle L’attività prevalente della popolazione di Tornavento era l’agricoltura. Non soltanto l’agricoltura ma anche l’industrializzazione di Tornavento deve molto ai Parravicino. Una tessitura capace di 200 telai fu edificata da Ippolito Parravicino nel 1876 in località Cassinetta111. L’opificio si collocò alla soppressa stazione della ferrovia delle barche. Per funzionare utilizzò l’acqua della roggia, su un canale derivato. Nel 1885 la tessitura Borghi – Parravicino occupava 7 uomini, 40 donne, 20 minori di 14 anni112. Subentrò ad essa la filatura di lana Trezzi, che nel 1900 aveva 60 addetti113. Nel 1904 nel luogo della filatura di lana subentrò il Tubettificio Formenti e Gorla, che produceva tubetti, spole, rocchetti per supporto dell’attività tessile. Dei Parravicino era la terra ed un terzo del capitale sociale della ditta. Per l’attività del Tubettificio, nel quale lavoravano 150 operai, era necessario andare, con i cavalli, alla stazione di Castano a prendere i rotoli di carta necessari per fabbricare bossoli e rocchetti114. Il tubettificio era una società in accomandita semplice. Tra gli accomandanti nel 1908 c’erano l’ing. Giulio e il conte Gustavo Parravicino115. Nel 1918, anno di difficoltà finanziaria, il comune di Lonate (cosa che fecero anche altri comuni) applicò una tassa d’esercizio alle industrie “di speciale importanza”, e tra esse al Tubettificio116. Esso non figura tra le ditte lonatesi che superarono la crisi del 1929117. Per tutti questi opifici la forza delle macchine proveniva dalla Gora Molinara. Funzionava invece a carbone la Centrale termoelettrica della Cassinetta, inaugurata il 16 ottobre 1901 nell’ambito del piano nazionale di industrializzazione del 1898 che riconosceva alle ferrovie un ruolo importante118. Tra gli interventi in programma la linea Milano – Varese – Porto Ceresio elettrificata a corrente continua di bassa tensione (650 volt) con terza rotaia laterale di contatto. Per essa era inizialmente prevista a Tornavento una centrale idroelettrica, ma lungaggini burocratiche fecero optare per la costruzione di una centrale termoelettrica. La centrale era denominata ufficialmente Officina a Vapore. L’edificio, di pianta quadrata, 24 in mattoni, era diviso in due zone, una per le caldaie, l’altra per la sala macchine, lunghe ciascuna metri 42, larghe 22; era alto 15 metri, coperto da un tetto piano con lucernari. In un avancorpo erano il quadro di regolazione e di trasmissione dell’energia prodotta, nonché gli uffici ed i servizi per il personale. La torre centrale conteneva interruttori e ammaraggi per la linea elettrica in uscita. Sotto la sala macchine erano un magazzino, l’officina e i grossi condensatori delle macchine a vapore. La ciminiera, al centro del fabbricato, alta 62 metri, aveva un diametro interno alla base di 3 metri, esterno di 6. Otto le caldaie, costruite dalla Franco Tosi di Legnano: erano accoppiate a formare quattro batterie di due generatori. L’acqua per le caldaie veniva pescata da un pozzo. La superficie di riscaldamento di ogni caldaia era di 290 mq. La griglia del focolaio per la raccolta del carbone combustibile era ampia oltre 5 mq. Era necessario un costante e faticoso rifornimento di carbone: arrivava mediante ferrovia dai porti liguri fino ad Oleggio – donde in cartoline d’epoca la didascalia Centrale di Oleggio –, carri a trazione animale lo depositavano sul piazzale esterno della centrale, con carriole veniva ammucchiato davanti alle caldaie, i fuochisti dovevano spalarlo a mano nei focolai delle stesse. Ciascuna delle tre motrici a vapore, a cilindri, erogava una potenza normale di 1410 Hp. Ogni macchina era collegata ad un volano di 5 metri, pesante 36 tonnellate. Sull’albero del volano era calettato l’alternatore trifase. Gli alternatori fornivano una tensione di 12.000 volt. I due gruppi di dinamo eccitatrici per gli alternatori fornivano corrente continua a 125 volt. Nella sala di controllo c’erano i quadri di distribuzione, muniti di amperometri, voltometri, wattometri per regolare l’energia erogata. Condensatori, motrici a vapore, tubazioni ecc. erano della Franco Tosi, il materiale elettrico della Thomson-Huston. La centrale termoelettrica di Tornavento funzionò fino all’autunno del 1912, in media 18 ore al giorno, generando potenza media di 2.000 kw. Funzionò fino al limite delle sue possibilità, a fronte del continuo aumento del traffico ferroviario. Nel 1910, e presumibilmente fino al 1912, il direttore dell’officina era Carlo Cormanni119. L’edificio Centrale termoelettrica e Tubettificio, alla Cassinetta, visti da sud a inizio Novecento. La centrale vista dalla sponda di Oleggio. venne demolito nel 1925. Nel 1939, in relazione al fatto che la signora Ines Parravicino, aveva venduto la Cassinetta alla Vizzola per la costruzione della centrale idroelettrica di Tornavento, la famiglia Montonati acquistò l’area della vecchia centrale termoelettrica per impiantarvi, sulle rimaste fondamenta, la lavanderia che ha lavorato molto per il Campo d’aviazione di Lonate e per diversi anni ancora dopo la seconda guerra mondiale. Le vecchie mura (un metro di spessore) sono servite da rifugio antiaereo durante la guerra. La costruzione nel 1943 della centrale idroelettrica sul canale Industriale ha modificato l’area cancellando ogni testimonianza esplicita della industrializzazione di fine Ottoinizio Novecento. 14. I canali e il ponte di Oleggio Nella valle del Ticino, sotto Tornavento, hanno trovato collocazione diversi canali. Il più famoso è il Naviglio Grande120, denominato originariamente Ticinello, che ha qui il suo punto di partenza, il suo incile. Questo canale, inizialmente poco più che un fosso, si ottenne con il prolungamento verso nord nel 1257-58 dell’analogo manufatto già scavato dai milanesi intorno al 1179 nel tratto da Gaggiano a Milano a scopo sia difensivo (nella lotta ancora aperta con le vicine città lombarde) sia economico (per l’incremento dell’artigianato mediante impiego della forza idraulica). Il Ticinello fu reso navigabile negli anni 1269-72 quando Napoleone della Torre, signore di Milano, lo fece ampliare e approfondire, fece rimuovere le chiuse, dispose di “cominciare la cava dalla bocca del Ticinello”, cioè da Tornavento. Questo Naviglio, poi denominato Grande perché il maggiore dei canali milanesi, costituì la principale arteria commerciale di Milano fino alla metà dell’Ottocento per il collegamento con il lago Maggiore e il nord Europa. Dalla piazza di Tornavento sono ben visibili anche gli altri canali, assai più recenti, denominati Villoresi e Industriale121. Il primo porta il nome dell’ingegnere Eugenio Villoresi che lo ideò. Deriva le acque, per concessione governativa del 1868, dal fiume Ticino in territorio di Somma, località Panperduto. Per realizzare l’opera, iniziata nel 1882 (Villoresi era morto nel ’79), occorsero dieci anni. Il canale corre parallelo al fiume, se ne allontana dopo Nosate piegando verso oriente, attraversa i territori di Castano, Busto Garolfo ecc., dopo 83 chilometri di percorso confluisce nell’Adda a sud di Monza, risultando funzionale alla irrigazione dell’alto Milanese asciutto. A fine Ottocento, sulla riva sinistra del Ticino, il problema dell’irrigazione dell’altopiano asciutto era ormai superato e le successive canalizzazioni ebbero lo scopo di produrre forza motrice. Il canale Industriale fu realizzato, come dice il nome, per fornire energia elettrica alla regione negli anni della industrializzazione. E’ composto di tre tronchi, costruiti in tempi diversi. Il primo tratto (8 km), inaugurato nel 1900 con il nome del re Vittorio Emanuele III, utilizza le acque del Ticino su un dislivello di 28 metri a vantaggio della centrale idroelettrica di Vizzola (inaugurata nel 1901) restituendo poi le acque al fiume Ticino. Con le varianti consentite dalla concessione governativa, la società Lombarda costruì negli anni 1901-03 sulla sponda sinistra del Naviglio Grande (diventato da allora Naviglio “vecchio” per abbandono del letto originario) 25 Ticino, canale Industriale e canale Villoresi visti da Tornavento. il tratto di canale da Tornavento a Turbigo, sfruttando il dislivello di 8 metri e impiantando una centrale a Turbigo. Il tronco intermedio, quello che passa sotto l’abitato di Tornavento, fu realizzato per ultimo, negli anni 1940-43. E’ dotato anch’esso di una centrale idrolettrica sita proprio a Tornavento, la quale, inaugurata nel 1943, non è munita di conche, così da costituire uno sbarramento del canale a danno della sua navigabilità. Gli impianti di Vizzola e di Turbigo vennero modificati e modernizzati negli anni seguenti. Dalla piazza di Tornavento è ben visibile anche il ponte in ferro, oggi generalmente detto di Oleggio, in passato anche di Tornavento122. Solo nell’Ottocento, in conseguenza soprattutto dello sviluppo delle ferrovie, si cominciò a pensare ai ponti come a strutture fisse in alternativa ai porti natanti (tale era il collegamento preesistente sul Ticino tra Lonate e Oleggio) oppure ai ponti in legno provvisori (a travate o su barche), costruiti per motivi contingenti, p. es. per una campagna militare. Al ponte di Boffalora del 1809-28 realizzato in pietra, tecnica già usata dagli antichi romani, seguirono, per limitarci al Ticino, i ponti in ferro di Sesto Calende e di Turbigo, realizzati rispettivamente negli anni 1981-82 e 1882-87. Il ponte di Tornavento o di Oleggio fu progettato dall’ing. Vincenzo Soldati, costruito dalla ditta Fratelli Invitti di Milano, aperto al traffico nell’agosto del 1889, inaugurato a dicembre del 1890, con strade di raccordo predisposte con Gallarate e con Busto (perfezionate negli anni seguenti). 26 Realizzato con travate metalliche a graticcio, misura m 187 di lunghezza, 6 di altezza, 7 di larghezza; con carreggiabile interna alta m 4,40 e larga 5,30 (all’esterno, su ogni lato, passerella per pedoni). Lo sorreggono due pile in muratura lunghe m 2,50, larghe 10,50; alte 6, poste su basi sagomate. E’ predisposto in modo da accogliere al piano superiore una linea ferroviaria: quando fu costruito era in progetto la ferrovia Busto – Oleggio. Oggi, per fronteggiare il traffico su gomma in continuo aumento, è pronto il progetto di un ponte parallelo da costruire a sud di quello esistente, in modo da ripartire il traffico secondo il duplice senso di marcia. 15. Parrocchia autonoma per un secolo Nel già proposto disegno del tardo Cinquecento della pieve ecclesiastica di Dairago ai nomi delle località erette in parrocchia è unita una croce come contrassegno; i nomi di Tornavento e di Tinella ne sono sprovvisti perché queste due località non erano parrocchie. Il beneficio costituito dai signori Della Croce durò oltre due secoli. Una svolta avvenne nel 1868 quando, avvalendosi di nuova normativa del Regno d’Italia, i Della Croce avviarono la procedura per liberarsi dai loro obblighi di patronato sulla cappellania di Sant’Eugenio, pervenendo nel 1872 ad una transazione con il comune di Lonate come rappresentante degli interessi degli abitanti della frazione, con pagamento di lire 5.000 e devoluzione di diritti livellari123. Testimone del passaggio dalla vecchia alla nuova situazione giuridica fu don Carlo Colli, ultimo cappellano in senso proprio, attivo a Tornavento dal 1864 al 1882 dopo essere stato coadiutore a Schianno: un personaggio da ricordare sia per l’assistenza coraggiosamente prestata nel 1848 ai feriti e ai morenti nello scontro di Morazzone tra garibaldini e austriaci, sia perché, passati altri quindici anni a Madonna in Campagna di Gallarate, volle essere sepolto a Tornavento (morì nel 1903)124. Dalla nota che don Colli pose all’inizio del primo registro delle sepolture in Tornavento, registro attivato nel 1871, si apprende che nel 1870, dopo l’ispezione di mons. arcivescovo Calabiana alla chiesa di Tornavento e alla casa intenzionalmente ceduta dal Comune, erano iniziate le pratiche per l’erezione di Tornavento in parrocchia, ma che esse, quando erano “già a buon termine”, fallirono, avendo i Della Croce “redento” il beneficio di loro patronato. Per il sostentamento del “vicecurato” di Tornavento rimase la sola congrua formata negli anni 1750-51 (scheda n° 4), ma era un sussidio insufficiente. Nel 1876 la fabbriceria di Lonate chiese all’Amministrazione del Fondo per il Culto (gestione delle rendite dei benefici soppressi) un assegno continuativo a favore del prete di Tornavento, frazione di 400 anime, “perché non muoia di fame”125. Qualche sostegno sarà stato adottato, ma di esso non abbiamo notizia. Quando nel 1897 il cardinal arcivescovo Ferrari fece la prima delle sue quattro visite pastorali a Lonate, la Giunta Municipale di Lonate si fece rappresentare davanti all’illustre visitatore da un assessore qualificato, il nobile Ippolito Parravicino126. Presumiamo che in quell’occasione l’arcivescovo abbia visitato la comunità di Tornavento, orientandosi verso la concessione dell’autonomia parrocchiale. Con decreto arcivescovile 23 settembre 1900 e regio decreto 11 agosto 1902 la comunità di Tornavento venne eretta in parrocchia. Primo parroco di Tornavento fu nominato Luigi Genoni, nativo di Sant’Antonino, già cappellano a Tornavento e dal 1897 delegato arcivescovile, il quale però morì prima di fare il festoso ingresso ufficiale in veste di parroco. Dalla Cronistoria parrocchiale iniziata dal successore don Loaldi127 veniamo a sapere che il capitale della nuova parrocchia fu formato con offerte di don Giulio Parravicino, del card. Ferrari, dello stesso Genoni, nonché con cartelle del Debito Pubblico già esistenti. Nel 1904 fu don Antonio Loaldi, in quanto parroco di Tornavento, a compilare prima della visita pastorale i moduli rituali, separatamente da Lonate. La parrocchia di Tornavento si era formata nel frattempo. Nella Cronistoria della parrocchia, richiamati i decreti istitutivi, don Loaldi scrive: “La parrocchia di Tornavento deve la sua esistenza alla ferma volontà del compianto nobile Ippolito Parravicino che, presso la Curia ed il Comune lottando per parecchi anni contro infinite difficoltà finanziarie, riusciva finalmente ad appianarle tutte.” Loaldi fu parroco zelante e si adoperò assai a vantaggio della chiesa malgrado la scarsezza di mezzi. Nel 1904 la parrocchia contava 545 persone domiciliate, un quarto delle quali disperse nelle circostanti cascine Maggia, Parravicino, Semprevento, Sperone e Castellana. Il parroco Loaldi dà notizie non soltanto delle chiese di Tornavento e della Maggia, ma anche della casa parrocchiale, la dice ampia e in ottimo stato, osservatorio invidiabile sulla valle del Ticino. Dice la gente di buoni costumi e attaccata alla religione; dice presenti in parrocchia la confraternita del SS. Sacramento e la pia associazione della Sacra Famiglia128. Nell’ultimo quinquennio – scrive ancora – la popolazione era cresciuta di 100 unità “causa la centrale” della Cassinetta, ove si praticava anche lavoro notturno e festivo; ricorda che c’erano a Tornavento altri tre stabilimenti industriali, ma che l’agricoltura restava l’attività prevalente della popolazione: Parravicino, Vigevano, Cormani, Gadda, Magnaghi, Gagliardi erano i principali possidenti. Fatta la visita, l’arcivescovo raccomandò di ampliare la chiesa e di fare un po’ di oratorio festivo per i figliuoli. Fu don Edoardo Riboni ad aggiornare le informazioni richieste dalle successive visite pastorali. Nel 1911 Tornavento contava 406 abitanti, metà ormai operai; molti gli emigranti. Nuclei staccati erano la Maggia, Sant’Anna, Cascinetta, Molinazzo e Molinelli. Bassa la frequenza alla “dottrina” per gli adulti, istruzione religiosa ogni giovedì per i fanciulli, a scuola insegnava catechismo 27 Don Colli, don Genoni e don Gornati nelle foto delle rispettive lapidi cimiteriali. la maestra, mancando l’oratorio festivo lui ospitava i ragazzi nel suo giardino, mentre le ragazze erano sorvegliate nella stanza sopra la sagrestia dalla “direttrice delle Figlie di Maria”. Predicazione particolare per gli adulti in avvento, quaresima, quarant’ore, mese di maggio. Esposizione eucaristica ogni terza domenica del mese. Nel 1918, ultima visita del card. Ferrari, Tornavento contava 548 parrocchiani, 250 emigrati in America. Gli era assegnato un secondo sacerdote, Salvatore Pianelli, cappellano nel contempo nel vicino campo di aviazione di Lonate Pozzolo. Le comunioni erano salite a 30-40 al giorno. Si predicava anche nella novena dei morti. Di nuova formazione i gruppi dei Luigini, dei Terziari Francescani, delle Madri Cristiane, l’Unione Giovani; ed anche la cooperativa Sant’Eugenio e il circolo cattolico con 70 soci. L’arcivescovo riconobbe al parroco “il bene fatto… specialmente alla gioventù”. Per i decenni seguenti fino all’ultimo del secolo XX non abbiamo alcuna cronaca da cui selezionare notizie sulla gestione pastorale e sulle vicende della parrocchia. Torna comodo presumere che la parrocchia sviluppasse continuità rispetto alla pastorale praticata nel primo Novecento, in adeguamento comunque per linee essenziali agli indirizzi del magistero ecclesiastico e in sintonia con le più importanti vicende della Chiesa. Tornavento rimase parrocchia autonoma fino al 1996 quando fu di nuovo unita alla parrocchia lonatese di Sant’Ambrogio a costituire una sola unità pastorale. 28 Ecco l’elenco dei parroci di Sant’Eugenio, costruito sulla base dei registri anagrafici: Luigi Genoni (1902-1903), Antonio Loaldi (1903-1910), Giuseppe Riboni (1910-1919, poi parroco di Turbigo); Vito Baroni (1920-31), Mauro Rampinini (1932, vicario spirituale), Abbondio Rocca (1933-1941), Angelo Gornati (1941-1974), Pietro Snider (1974-1985, poi parroco di Casale Litta e Villadosia), Giovanni Grulli (1986-87), Oliviero Bruscagin (19881996, poi parroco di Golasecca a tutt’oggi)129. 16. La cascina e la chiesetta della Maggia Prima che a Tornavento, per decenni e decenni gli abitanti della cascina Maggia furono soggetti a Lonate, cui appartenevano come “comunisti” e come parrocchiani130. La cascina fu aggregata a Tornavento in spiritualibus quando Tornavento divenne parrocchia, nel 1902. La cascina Maggia131 prende nome dalla famiglia milanese dei Maggi. Di Castellano si è già detto parlando della cascina Castellana e, prima ancora, dei feudatari di Dairago. Morendo nel 1543, Castellano lasciò suo erede il nipote Cesare, la cui figlia, Ippolita, sposerà un Gonzaga. Nel 1574 la cascina, di proprietà Gonzaga, era abitata da 5 famiglie per totali 26 persone. Una mappa tardocinquecentesca dell’Archivio di Stato di Torino disegna la cascina Maggia chiusa in una curiosa cinta esagonale sulla strada da Tornavento a Vizzola lungo il ciglio della valle del Ticino poco sopra l’antico fosso del Panperduto, contraddistinta da una croce che farebbe pensare alla presenza, se non di una chiesa, almeno di un sacello. Nel Settecento la cascina fu proprietà di Visconti parenti dei feudatari di Lonate. Nella mappa del 1722 e in quella del 1856 la cascina, di pianta quadrilatera, figura raggiunta dalla strada di Ticino proveniente da Lonate e sfiorata ad occidente dalla Tornavento-Vizzola. Presso la Maggia nel 1772 avvenne un episodio nel cui racconto, presentato all’autorità pubblica, potrebbe trovarsi la giustificazione dell’appellativo popolare di “strada del gregge” passato nella toponomastica odierna alla strada, oggi provinciale, che collega Nosate a Somma. Allora la zona era, infatti, frequentata e sfruttata per la pastorizia, sia stanziale che di transumanza. Il bustese Giovanni Battista Tosi aveva avviato da pochi anni un grosso allevamento di pecore presso cascina Malpensa, da lui costruita, e assoldava pastori per pascolarle e custodirle. Il 25 aprile 1772 due suoi pastori furono aggrediti “con pistolese” e fieramente bastonati dal servitore di un pecoraio, che in quei giorni stanziava a Vizzola ma proveniva presumibilmente dalle valli bresciane132. Nel 1840 il podere della Maggia, forte di 595 pertiche, venne acquistato dai Finati. Nel 1863 passò per acquisto a don Gustavo Parravicino. La cascina Maggia venne ampliata nel 1912-14 su disegno dell’ing. Giulio, figlio di Gustavo: allora la abitavano una cinquantina di persone133. Nel secondo dopoguerra alla cascina è stata affiancata una cava di ghiaia, rimasta in attività molti anni. Il caseggiato, via via sfoltito di locali abitativi, infine ceduto dagli eredi Parravicino ad una società di capitale italoolandese, è stato di recente tutto demolito, tranne la chiesa. Dal recupero della cava e del sito del caseggiato si è ottenuto un ampio complesso di logistica (capannoni, uffici, parcheggio) in parte connesso con l’aeroporto di Malpensa134. La chiesa135 nella mappa del 1722 è disegnata a nord-ovest della cascina. Fu benedetta il 20 agosto 1740 dal sacerdote Gian Battista Repossi, delegato arcivescovile. Abbiamo una breve descrizione del 1750: era allora di Il portico della chiesa della Maggia. patronato Visconti ed i signori Visconti si erano obbligati a farvi celebrare almeno 12 messe all’anno; era dotata di sagrestia a ridosso dell’altare e di armadi per la suppellettile sacra. Al beneficio che era contraddistinto con il titolo di Beata Vergine della Consolazione apparteneva il vicino campo di una pertica milanese, o poco meno. Settecenteschi sono il grazioso portico, la torricella delle campane, nonché l’affresco interno sopra l’altare che propone una Madonna con bambino seduta su un seggio tra finti tendaggi aperti. Sulle pareti che fiancheggiano l’altare sono dipinti, uno per lato, gli emblemi e i motti dei Parravicino e dei Lossetti: furono dipinti nel 1898 quando l’ing. Giulio sposò Ines Lossetti Mandelli, erede dei signori di Dairago. Nel 1904, secondo il curato Loaldi, la chiesa della Maggia, di proprietà Parravicino, era in disordine e pochissimo usata136. Nel 1910, sempre di proprietà privata, era denominata La Consolata137. La chiesa ha fruito di lavori di restauro nel 1988. Oggi è proprietà della predetta società italo-olandese, ma la parrocchia di Lonate ne può fruire a richiesta per funzioni religiose. 17. La gente di Tornavento: cognomi e mestieri Ai nomi di Guglielmo Pagani e Zanolo Lamperti che abitavano a Tornavento nel 1263 (v. scheda 3) segue, nella carte d’archivio finora esplorate, fatta eccezione per i già menzionati fratelli Perotti del 1465 (scheda 29 n. 5), un silenzio di secoli prima di incontrare nomi e cognomi di altri abitanti del villaggio. Per trovarne bisogna arrivare agli stati delle anime e ai registri anagrafici della parrocchia di Lonate, di cui Tornavento era “membro”. Battesimi, matrimoni, sepolture degli abitanti di Tornavento avvenivano a Lonate, come già detto. Nel 1574, secondo lo stato delle anime, a Tornavento vivevano 3 famiglie patriarcali (31 persone in tutto) con i cognomi Giudici, Quaglia (da Cardano), Romeo; alla Maggia vivevano 5 famiglie (26 persone) con i cognomi Malvestiti, Praderio (Pardera), Bollazzi, Stefanoni (Stevenoni), Gabrio; alla Castellana vivevano con i loro parenti il molinaro Masera, l’oste Cesanti, il conduttore di “navetto” Cesati; al mulino Nuovo operava Michele da Bussero, al Molinazzo un Clerici138. Dai registri lonatesi delle sepolture, consultati senza continuità, affiorano cognomi di defunti di Tornavento: Gorlini nel 1656, Milani e Brusatori nel 1657, Torretta nel 1733 e nel 1754, Canziani nel 1748-49, Zaro nel 1764, Croci nel 1810; cognomi della Maggia: Bellora nel 1748, Bottini nel 1787; cognomi di molinari: Maino nel 1659, Mariani nel 1734. Lo stato delle anime di Lonate del 1824 aggiunge a quelli già segnalati i cognomi Caletti e Galletti per la Maggia; dà per Tornavento 15 nuclei rispondenti ai cognomi, in gran parte lonatesi, Bottarini, Canziani, Chierichetti, Croci, Milani, Regalia, Tacchi, Torno, Zaro. L’elenco del 1864 dà viventi alla Maggia le famiglie Bottini, Caletti, Canziani, Cerutti, Gambaro; alla Casa della Camera Varini, Vigevano, Milani; Lombardi e Ramponi al molino Nuovo, Magnaghi al Molinazzo, Torno al Colombirolo; una trentina di famiglie a Tornavento, con i cognomi Bertinotti, Bonalanza, Bonini, Bottarini, Canziani, Cattaneo, Clementi, Colombo, Croci, Genoni, Lattuada, Mazzoleni, Moro, Parravicini, Regalia, Torno, Valli oltre al nobile Parravicino e al suo fattore Cesana. Il registro delle sepolture, inaugurato nel 1871 quando si aprì il cimitero in Tornavento, aggiunge ai cognomi già noti i cognomi seguenti negli anni 1871-90 (donne escluse): Cattò, Crespi, Dellina, Dettoni, Gadda, Montonati, Parini, Pozzi, Salmoiraghi. Tra la 30 prima e la seconda guerra mondiale il registro aggiunge Allievi, Bagattini, Bianchi, Cattaneo, Franetti, Gattoni, Gibogini, Rizzotto, Vismara, Volante. Dopo la seconda guerra mondiale (fino al 1965) Algeri, Ardizzoia, Bonora, Doné, Fabbris, Frati, Maiani, Morini, Nicoli, Reggiani, Rescaldani, Rigotto, Scalco, Sella, Tagliarin, Tilotto, Voroni… Per campare, che cosa faceva questa gente? Non potevano che essere contadini, anzi – salva sempre qualche eccezione – erano generalmente braccianti perché la terra era di altri: dei nobili, dei professionisti, degli enti. Scorrere l’elenco dei possessori di metà Settecento vuol dire incontrare molte e molte volte i Parravicino, i monasteri di Lonate, i benefici ecclesiastici, il Luogo pio Santa Corona di Milano. Nel secondo Ottocento invalse il contratto a colonia mista: il padrone dava in affitto al colono la casa e un certo numero di pertiche di terreno coltivabile e l’affittuario pagava in denaro la pigione della casa e del prato adacquatorio e consegnava una determinata quantità di cereali e di uva, e la metà dei bozzoli dei bachi da seta allevati139. L’industrializzazione della valle attrasse, finché durò, manodopera soprattutto femminile e minorile, mentre la costruzione della ferrovia delle barche e dei canali distolse braccia maschili dall’agricoltura, la quale tornò dopo il 1910 ad essere risorsa nettamente prevalente in loco, essendo costretto ad uscire dal paesino chi faceva lavoro in fabbrica. In questo contesto socioeconomico si inserirono tra i contadini di Tornavento famiglie di bergamaschi dopo la prima guerra mondiale, di veneti dopo la seconda. Dagli anni Settanta, con la diffusione dei mezzi di trasporto privati, il lavoro fuori sede è generalizzato e pochissimi sono dediti all’agricoltura. 18. Le strade e la piazza La cartografia ricordata nella scheda n° 8 ci fornisce una serie di suggerimenti sulla viabilità principale di Tornavento. Scontato il raccordo dell’abitato di Tornavento con le località del circondario: Maggia, Vizzola, Lonate, Castano, Nosate. Facile e anche intrigante il confronto, che lasciamo ai lettori, tra le carte del 1827 e quella del 1914 qui riprodotte. Non imperniate sull’abitato di Tornavento ma certamente utili anche per la sua economia le strade che ne attraversavano marginalmente o ne sfioravano il territorio: la strada detta del porto, proveniente da Castano, sviluppata attraverso le brughiere fino alla cascina Parravicino e da lì declinante nella valle del Ticino; la strada “mornera” che portava a Tinella, unica nel tratto terminale ma ramificata nei precedenti in modo di agganciare le località di Lonate, Sant’Antonino, Vanzaghello; la strada di Somma, detta nell’Ottocento “del barchetto” (quand’era usata per raggiungere da Somma il Naviglio) e poi “del gregge” (perché frequentata da ovini sostanti o transeunti). Dal cuore dell’abitato di Tornavento si dipartiva la strada della Camera, come indicato nella mappa del 1856, che dà il nome di “comunale” alla strada per Lonate. Carte degli anni 1855-59 già dell’archivio comunale di Tornavento riguardano la manutenzione delle strade, sul pianalto e nella valle del Ticino. La successiva industrializzazione comportò attenzioni e migliorie sui percorsi di raccordo con la Cassinetta, seguirono modifiche notevoli in occasione dello scavo del Villoresi e della costruzione della strada provinciale recante al ponte in ferro sul Ticino. Le strade erano in terra battuta, su fondo di ghiaietto; selciate solamente nel cuore dell’abitato. Queste ultime ebbero illuminazione notturna elettrica nel 1912, sostitutiva delle vecchie lampade a petrolio140. Le strade di approccio a Tornavento furono asfaltate non prima del 1970. Il parcheggio per auto a lato della strada per Lonate fu sistemato nel 2004141. La piazza merita attenzione particolare. Nel Settecento non esisteva una piazza vera e propria, c’era uno spiazzo tra la casa o villa dei Parravicino e la casa del cappellano. La costruzione della chiesa nuova di Sant’Eugenio con un piccolo piazzale davanti, la demolizione della chiesa vecchia e della casa del cappellano furono le premesse per la formazione della piazza di Tornavento come la vediamo oggi. Nel 1856 sopravviveva ancora tra la chiesa e la valle un caseggiato di proprietà Parravicino che era sfiorato – al pari della chiesa – dalla strada comunale della Camera che scendeva in valle. Quest’edificio d’intralcio all’estensione della piazza della chiesa verso ovest dev’essere stato eliminato dopo la costruzione della nuova casa del cappellano a sud della chiesa, avvenuta nel 1857-58. Dopo lo scavo del canale Villoresi che lambisce l’abitato si rese necessaria una balconata protettiva di mattoni, una serie di platani concorreva a caratterizzare lo spiazzo che, pur frequentabile dal pubblico, rimaneva pur sempre di proprietà privata. A fine Ottocento, se non all’inizio Novecento, risale la cascina dei Parravicino che sta a sud della casa parrocchiale sul ciglio della valle, trasformata in abitazione dai nuovi proprietari intorno al 1970. Il fondo dello spiazzo era in terra battuta. Nel 1976, su iniziativa di alcuni abitanti, la piazzetta è stata coperta di frantumato, misto a ghiaia, e si è restaurata la balconata in attesa di miglior sistemazione a cura del Comune142. Era appena avvenuto il passaggio di proprietà della villa Parravicino alla società immobiliare che la detiene tutt’oggi. Nel contesto di un restauro della villa, annunciato o già avviato, la nuova proprietà aveva espresso l’intenzione di cedere lo spiazzo al Comune. La piazzetta di Tornavento è un meraviglioso punto di osservazione sulla valle del Ticino; nelle giornate limpide si ammira oltre l’immediato paesaggio novarese la catena delle Alpi dominata dal massiccio del Rosa, mentre sotto la balconata in mattoni si leggono in sequenza diversi corsi d’acqua: il canale Villoresi, l’Industriale, la Gora Molinara, l’inizio del Naviglio Grande, il fiume. La riqualificazione della piazza avvenne nel 1995 su progetto dell’architetto Luigi Ferrario, il quale ebbe poi modo di sintetizzare il risultato con le seguenti parole143. “Il progetto si inserisce nell’ambiente storico e naturale, recuperando i materiali della tradizione del luogo e sottolineando l’unità del percorso che lega il borgo alla valle. La pavimentazione della piazza si apre a ventaglio verso valle con campiture di acciottolati di differenti colorazioni, mentre un anfiteatro a gradoni di ciottoli bianchi e neri costituisce 31 Lo spiazzo al centro di Tornavento nelle mappe del 1722 e in una copia aggiornata della mappa del 1856, che già rappresenta la casa del cappellano, costruita nel 1857-58. La piazza di Tornavento oggi. La strada comunale per Tornavento che si diparte da via Gaggio. il primo tratto della discesa dalla piazza al pendio. La qualificazione e valorizzazione degli spazi, dei percorsi e delle architetture si manifestano attraverso gli effetti visivi scenografici creati dall’illuminazione. Elementi forti rispetto al contesto del paesaggio circostante sono le panchine semicircolari a doppia concavità, componibili o girevoli...” 19. Altre strutture di pubblica utilità Ogni comunità, anche se piccola, ha bisogno di certe strutture che assicurino alle persone acqua, pane, mobilità, assistenza, espressioni di culto, istruzione, svago, … sepoltura dei morti. Delle chiese, delle strade e della piazza si è già detto. Del pozzo e del forno comunali trattano carte dell’archivio di Tornavento del tardo Settecento e del primo Ottocento, ma pozzo e forno devono ritenersi strutture più antiche. Entro il 1890 il pozzo pubblico fu munito di pompa idraulica a mano, il forno fu 32 riparato nel 1907144. Il pozzo stava nello slargo che oggi rimane tra le vie Goldoni e Verga, il forno in una casa adiacente. L’acquedotto a serbatoio aereo è del 1950 circa e fruì di migliorie pochi anni dopo145. Intanto il panettiere, trasferito il negozio sul lato nord di via Goldoni, vendette anche generi alimentari. Parallelamente, in piazza, già negli anni Quaranta operava un altro negozio, ad un tempo circolo, cartoleria e rivendita di alimentari. L’ufficio postale, oggi in piazza, era allora in uno degli edifici sul lato nord della via della chiesa, poi modificati. Dirimpetto al pozzo, all’angolo della via De Amicis, stava nel 1910 l’osteria di Carlo Lattuada146, allora o poco dopo denominata Trattoria dell’Altipiano, edificio già esistente nel 1856. La trattoria era un punto di sosta per i carrettieri per rifocillarsi. Il cimitero a Tornavento fu aperto soltanto nel 1871, benedetto il 4 settembre dal prevosto Villoresi di Gallarate147. Servì anche per i defunti di cascina Maggia. Prima i defunti di Tornavento venivano sepolti a Lonate. Anche il cimitero è un archivio: le lapidi murate nella recinzione meridionale, con date di fine Ottocento, portano cognomi Salmoiraghi, Valli, Montonati. Tombe e loculi ripetono i cognomi dei registri anagrafici parrocchiali. Il cimitero fu ampliato nel 1920. Nel 1956-61 fu dotato di loculi e ossari148. Alla scuola pubblica in Tornavento fanno riferimento deliberazioni comunali dal 1817 in poi. Era la scuola “normale”, lunga non più di due anni, a sospensione estiva e ripresa autunnale. Carte degli anni 1855-59 riguardano la manutenzione dell’edificio usato per la scuola149. Un nuovo edificio per la scuola elementare (progetto ing. Seves) fu costruito nel 1902 dal nobile Giulio Parravicino, con al piano superiore 3 camere per abitazione della maestra; veniva affittato al comune. Una sola maestra teneva al mattino in una classe unica gli alunni del secondo e terzo corso; al pomeriggio la prima classe150. La Guida Taglioretti ci dà il nome della maestra del 1910: Bonini Carmela. Quest’edificio, sito su via De Amicis, dirimpetto alla trattoria, era già di proprietà comunale nel 1950 quando il Comune ne curò la manutenzione straordinaria. Ebbe una nuova sistemazione negli anni Ottanta151. Oggi è sede della Fanfara Tramonti-Crosta e dell’associazione Cavalieri del Fiume Azzurro. Gli alunni di Tornavento frequentano la scuola elementare e la scuola media negli edifici del capoluogo. L’oratorio festivo per la gioventù, desiderato fin dagli anni di don Riboni, esiste con edificio specifico in via Verga, inaugurato nel 1963 dal card. Montini, costruito su un terreno già dei Parravicino, a lato dell’asilo infantile: è costituito da un salone con palcoscenico e da uno ampio spazio erboso per i giochi all’aperto. Oggi è frequentato anche dalle ragazze, le quali nei decenni lontani erano invece ospitate nei giorni festivi dalle suore presso l’asilo infantile. L’asilo infantile venne avviato dall’ing. Giulio Parravicino, morto nel 1929, e mantenuto poi finché visse dalla consorte donna Ines. Lo costruirono i signori Parravicino su terreno di loro proprietà allo scopo di dare gratuita assistenza e istruzione ai figli dei loro coloni. Affidarono la gestione alle Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio. Nel 1950 il capitano Gustavo Martellini, erede dei Interno del cimitero. Trattoria dell’altipiano a inizio Novecento. Progetto Seves del 1902 per le scuole elementari. L’asilo infantile oggi. 33 Parravicino, donò l’edificio all’Istituto delle Suore Minime con sede centrale in Torino, il quale istituì una retta mensile per i frequentanti esterni. Nel 1950 i bambini erano 35; l’asilo disponeva di salone, refettorio, cucina. Nel 1990, aggiunta un’aula, la capienza salì a 45 posti, in risposta a crescenti richieste esterne di frequenza152. Un ampliamento ulteriore si è realizzato nel 2008, insieme con rinnovo dei locali, creazione di un salone polifunzionale, adeguamento alle normative in vigore153. Vi operano attualmente tre suore, coadiuvate da personale laico. 20. Tra il Parco del Ticino e l’hub di Malpensa La mappa del 1856 ci consegna Tornavento come un piccolo nucleo di cortili tutto raccolto tra la villa Parravicino, la chiesa e la via oggi denominata De Amicis, con una strada contorta che da questa via penetrava nel nucleo abitato. Non c’era ancora nessun edificio lungo il canale Villoresi a sud della chiesa: non la cascina dei Parravicino (trasformata dopo il 1970 in abitazione dai nuovi proprietari), né la costruzione a tre piani detta “La sentinella” lungo la via oggi denominata Verga. Negli ultimi decenni Tornavento è venuto via via aggiungendo nuove abitazioni. Se la presenza ingombrante del canale Villoresi che scorre immediatamente sotto il ciglio della valle del Ticino ha impedito lo sviluppo dell’abitato verso ponente, lo sviluppo si è realizzato a levante, lungo via Goldoni e, oltre la Strada del Gregge, lungo via Sant’Anna. Si sono costruiti anche alberghi, tenuto conto del vicino aeroporto di Malpensa. Ora a insidiare il quartiere Sant’Anna è proprio l’aeroporto, che è in continua espansione. D’altro canto, Tornavento, per la sua posizione, aveva ed ha pieno diritto di essere inserito nel Parco del Ticino. Per conseguire l’obiettivo della protezione e della pianificazione territoriale, nel 1974, la Regione Lombardia ha promulgato la legge istitutiva del Parco Lombardo della valle del Ticino, e la stessa cosa ha fatto la Regione Piemonte. I due parchi rappresentano la volontà politica di promuovere programmi e interventi per 34 tutelare le caratteristiche storiche, ambientali, naturalistiche dell’area in funzione dell’uso sociale e dei suoi valori. Il Parco Lombardo è strutturato in un consorzio comprendente il territorio di 46 comuni (90.000 ettari), ed è dislocato nelle province di Varese, Milano e Pavia, lungo l’asta del fiume che si allunga per oltre 100 chilometri. Il Parco Lombardo è tra i più grandi d’Europa ed è fortemente antropizzato con presenza di 450.000 abitanti operanti in centri industriali, centri residenziali, zone con agricoltura intensiva e con allevamento di bestiame. A questo ricco e variegato patrimonio si contrappone un equilibrio ecologico fragile e precario. Il rapporto tra uomo e ambiente è facilmente alterato per insensibilità, ignoranza ed egoistico interesse di parecchi individui, che si esprimono in tagli abusivi di boschi, escavazioni di rapina, bracconaggio, inquinamento idrico e atmosferico, discariche abusive. Regione province e comuni si sono vincolati ad un piano di coordinamento che disciplina il processo di pianificazione territoriale con l’obiettivo di tutelare e valorizzare i beni ambientali e naturalistici assicurando anche la valorizzazione economica degli interventi, tutelare cioè l’attività produttiva nel rispetto dell’esigenza protettiva dei patrimoni e dei valori insiti nel territorio stesso154. Il Parco lombardo del Ticino, con sede direzionale a Pontevecchio di Magenta, ha acquistato nel 1997 l’edificio del Casello o Dogana austro-ungarica presso Tornavento e lo ha ristrutturato rendendolo uno dei “centri Parco”. Ed ecco il nemico di Tornavento, l’aeroporto. Inaugurato nell’ottobre del 1948 come aeroporto di Busto Arsizio, diventò nel 1955 aeroporto della SEA (Società per azioni Esercizi Aeroportuali) quando il comune di Milano divenne il maggiore azionista; la SEA gestiva e gestisce anche Linate. Nel 1959 Malpensa ebbe la seconda pista, dal 1966 venne deputata ad accogliere il traffico aereo internazionale e intercontinentale. Sono del 1972 i progetti per la “Grande Malpensa” che prevedevano la costruzione di una terza pista, estesa fino a lambire l’abitato di Tornavento, con un interasse rispetto alla pista 1 e alla pista 2 rispettivamente di 2.000 e di 1.200 metri. Nel 1986 la Regione Lombardia Cartello illustrativo del Parco del Ticino. Foto aerea di Tornavento. Progetto della Terza pista e del previsto sviluppo aeroportuale di Malpensa. approvò il piano regolatore aeroportuale denominato “Malpensa 2000”, impegnando nel contempo la SEA a predisporre studi di impatto ambientale e a realizzare opere di abbattimento dei disagi nei comuni limitrofi. Il piano prevedeva per Malpensa il ruolo di aeroporto hub, polo di attrazione di un traffico originato altrove e di smistamento verso le destinazioni finali. La prima pietra della nuova stazione venne posta nel 1990; il nuovo scalo, articolato su due terminal, diventò operativo nell’ottobre del 1998155. Dal 1999 funziona il collegamento ferroviario con la città di Milano (ma la stazione Ferno-Lonate Pozzolo fu aperta soltanto nel 2009), dal 2008 funziona la superstrada per il collegamento con la Milano-Torino. Non tutti i problemi sono risolti. In particolare rimane aperto il conflitto tra la difesa di un habitat come quello della valle del Ticino e la realizzazione della megastruttura aeroportuale. La terza pista, se realizzata, si porterà via un’ampia fetta di quella che è stata chiamata l’“ultima brughiera”. Secondo l’ultimo progetto SEA la terza pista correrà parallela alla superstrada ex statale 336 partendo da sud dell’attuale Cargo City fino a lambire le case del quartiere Sant’Anna di Tornavento156. 35 Note ACLP APLP APT ASDMi ASMi “CN” Archivio comunale di Lonate Pozzolo Archivio parrocchiale di Lonate Pozzolo Archivio parrocchiale di Tornavento Archivio storico diocesano, Milano Archivio di Stato, Milano “Contrade Nostre”, rivista quadrimestrale di storia locale, Turbigo “CV” “Comunità viva”, periodico dell’Amministrazione Comunale di Lonate Pozzolo GRSD Gruppo di Ricerca Storica - Dairago “LNC” “La Nona Campana”, notiziario dell’unità pastorale tra le parrocchie di S. Ambrogio in Lonate Pozzolo e di S. Eugenio in Tornavento “RGSA” “Rassegna Gallaratese di Storia e d’Arte” VP Visite Pastorali, pieve di M. Bertolone, Scoperte archeologiche nell’agro gallaratese, in “Rivista archeologica dell’antica provincia e diocesi di Como”, 1931, p. 27. 2 E. Banzi, E. Mariani, Archeologia nel Parco del Ticino, Musumeci ed., Quart 1995, p. 83-84; i reperti di Tornavento sono conservati a Gallarate nel Museo della Società di Studi Patri e a Legnano nel Museo “G. Sutermeister”. 3 Banzi, Mariani, Archeologia..., p. 84. 4 G. Balosso, L. Galli, Sala longobarda, curtis e substrato romano nella toponomastica pombiese, in “Bollettino Storico per la Provincia di Novara”, 1973, fasc. 2, pp. 26-27. 5 G. Balosso, L. Galli, Olegium qui dicitur Scarulfi, in “Bollettino Storico per la Provincia di Novara”, 1976, fasc. 2, pp. 79, 86-90. 6 C. Cantù, Grande illustrazione del LombardoVeneto…, vol. I, 1858, p. 589. 7 Il toponimo Som-asca, con desinenza ligure, si incontra più volte nelle pergamene di Turbigo conservate nell’archivio di Stato di Udine. 8 Antiche pergamene dei soppressi monasteri di Lonate Pozzolo (1254-1576), a cura di F. Bertolli e F. Lincio, ed. Nomos, Busto Arsizio 2002, pp. 148, 165. 9 Ibidem, p. 107; F. Bertolli, Fossato della Cerca fossato dei misteri, in Il Ticino, strutture storia e società nel territorio tra Oleggio e Lonate Pozzolo, Nicolini ed., Gavirate 1989, pp. 116-117. 10 C. Manaresi, C. Santoro, Gli atti privati milanesi e comaschi del sec. XI, Milano 1965, pp. 196-198. 11 Bertolli, Fossato della Cerca…, p. 121, n. 28 (da C. G. Mor, Carte valsesiane fino al sec. XV, Torino 1933). 12 R. Garatti, La roggia molinara di Lonate Pozzolo, in Il 1 36 Ticino, strutture…, p. 95. 13 G. D. Oltrona Visconti, Storia di Castano Primo, in “CN” 1979, n° 2, p. 53; n° 3, p. 84; V. Martinoni, Storia di Castano Primo, riveduta da A. Miramonti e A. Paratico, 1985, pp. 18, 152; G. Leoni, Castano Primo da borgo a città, 2007, p. 56. 14 ASMi, Notarile, cart. 2173 (Stefanino Cane), atto 8 dicembre 1464. 15 Antiche pergamene dei soppressi monasteri…, p. 44. 16 Statuti delle strade ed acque del contado di Milano fatti nel 1346, editi da G. Porro Lambertenghi, in Miscellanea di Storia Italiana edita per cura della R. Deputazione di Storia Patria, t. VII, Torino, Stamperia Reale, 1869, pp. 349-353. 17 F. Bertolli, Pergamene dell’Archivio comunale di Lonate Pozzolo, in “RGSA” 1969, n° 3, doc. II. 18 G. D. Oltrona Visconti, Storia di Lonate Pozzolo, 1969, pp. 27, 54, 67, 194; Idem, Quando il molino nuovo venne venduto all’asta, in “CV” 1997, n° 17, p. 8. 19 G. Leoni, Turbigo, 1995 omette ogni tentativo di spiegare il nome del paese, ma a p. 7, ripetendo M. Bertolone (Lombardia romana, 1939, p. 39), scrive di Turbigo che “era vico romano”. 20 ASMi, Notarile, cart. 2173 (Stefanino Cane), atto 12 marzo 1465 per affitto di vari terreni in Tornavento dai fratelli Della Croce ai fratelli Perotti. Cf. GRSD, L’incastellamento nei paesi della pieve di Dairago, in “CN” 1993, n° 39, p. 53. 21 ACLP, sez. storica,Tornavento, cart. 1, fasc. 1. 22 ASMi, Notarile, cart. 2173, atto 12 marzo 1465. 23 ASDMi, Duplicati e Status animarum, vol. 161, q. 16 (abitanti fuori borgo). 24 GRSD, La pieve di Dairago nel trapasso dal Medioevo all’epoca moderna, in “CN” 1985, n° 16, pp. 128-129. 25 ASDMi, VP - Gallarate, vol. 20 (anno 1622), f. 389r: “De oratorio Sancti Eugenii sito in capsina Tornaventi”. 26 ASMi, Rubriche dei notai, vol. 4069 (notaio Giovanni Repossi), atto 15 aprile 1652. 27 Liber notitiae sanctorum Mediolani, manoscritto della Biblioteca Capitolare di Milano, ed. da M. Magistretti e U. Monneret de Villard, Milano 1917, coll. 122-123. 28 C. M. Rota, Le memorie della pieve di Gallarate anteriori al Mille, in “RGSA” 1931, n° 2. pp. 12-13. 29 Notitia cleri Mediolanensis de anno 1398 circa ipsius immunitatem, edito da M. Magistretti, in “Archivio Storico Lombardo”, vol. XIV, 1900, p. 49. 30 G. Moretti, L’Archivio Plebano di Dairago, 1986, p. 73. 31 ASDMi, VP - Dairago, vol. 25 (anno 1566), p. 60. 32 ASDMi, VP - Dairago, vol. 41 (1570), p. 16. 33 ASDMi, VP - Gallarate, vol. 17 (1596), ff. 244- 245r: nome del cappellano nella successiva nota di aggiornamento. 34 ASDMi, VP - Gallarate, vol. 20 (1622), ff. 389r-390v. 35 ASDMi, VP - Gallarate, vol. 5 (1625), ff. 66v-67r. 36 Oltrona Visconti, Storia di Lonate…, p. 139. 37 ASDMi, VP - Gallarate, vol. 46 (1684), q. 17. 38 ASDMi, VP - Gallarate, vol. 49 (1750), p. 679. 39 Testamento Bodio (rogito Giuseppe Calamati 27.4.1739) in APLP, Legati. 40 Ma nei registri delle sepolture della parrocchia Sant’Ambrogio si incontrano con tutta regolarità morti di Tornavento (esempi negli anni 1656-57, 1749, 1754, 1810). 41 In G. D. Oltrona Visconti, Sui Della Croce di Tornavento, in “CN” , 1980, n° 6, pp. 194-198 (sunto della relazione Crespi presente nell’archivio della famiglia Oltrona Visconti di Sant’Antonino). 42 ASMi, F. Culto, cart. 379 (benefici): da Gomez a Della Croce; per i successori cfr. Moretti, L’Archivio Plebano di Dairago, p. 80; Lonate Pozzolo, storia..., p. 137. 43 Oltrona Visconti, Sui Della Croce…, p. 196; 44 APT (recentemente riordinato e aggregato a APLP), cart. 1, fasc. 2. 45 GRSD, La pieve di Dairago nel trapasso dal Medioevo all’età moderna, in “CN” 1985, n° 16, p. 131. 46 C. Belloni, Tra Milano e il Seprio nel basso Medioevo: i Della Croce, nel vol. Cairati, Castiglioni, Martignoni ed altri casati locali nel Medioevo (Atti del convegno di studio, monastero di Cairate, maggio 1996, a c. di C. Tallone), Varese 1998, pp. 121-22. 47 Oltrona Visconti, Sui Della Croce..., p. 198, n. 5; G. Gaggiotti, Notizie ed appunti storici riguardanti Busto Garolfo, il suo territorio e le sue famiglie feudali, Busto Arsizio 1952, p. 16. 48 Belloni, Tra Milano e il Seprio nel basso Medioevo: i Della Croce…, p. 123. 49 G. Moretti, L’Archivio Plebano..., p. 16. 50 ASMi, Notarile, cart. 2173 (Stefanino Cane), atti 3 e 13 settembre 1464. 51 Nell’archivio plebano di Dairago (Moretti, L’Archivio Plebano…, p. 130) rimangono 79 documenti degli anni 1455-1895 relativi alla decima goduta dagli Arconati nella pieve di Dairago. 52 Oltrona Visconti, Storia di Lonate…, pp. 92-94; Bertolli, Sant’Antonino Ticino. 1496-1996. Cinque secoli di storia di una Comunità, ed. Nicolini, Gavirate 1996, pp. 31-32. 53 Con atto 5 aprile 1660 dominus Carlo Alessandri curò la ricognizione delle sue proprietà in Tornavento coinvolgendo nell’operazione massari e pigionanti (ASMi, Rubriche dei notai, vol. 4069 di Giovanni Repossi). Per i passaggi del titolo feudale di Tornavento cf. Oltrona Visconti, Storia di Lonate… p. 91; GRSD, La successione feudale della pieve di Dairago, in “CN” 1983, n° 10, pp. 117-120; E. Cazzani, Olgiate Olona e la sua pieve, 1985, pp. 305-309. 55 ASDMi, VP - Gallarate, vol. 20 (anno 1622), ff. 390v392v. 56 ASDMi, VP - Gallarate, vol. 46 (1684), q. 17. 57 Notizie su Alfonso Gonzaga si leggono in GRSD, La successione feudale..., p. 132, n. 8: Alfonso fu al servizio della Spagna nelle guerre di Fiandra contro la Francia, partecipò alla battaglia di San Quintino del 1557, tornò in Italia paralizzato agli arti, fu ucciso da sicari nel 1592 nella sua villa di Gamberedolo presso Castelgoffredo (Mantova). 58 ASDMi, Duplicati e status animarum, vol. 161, q. 16. 59 G. D. Oltrona Visconti, F. Bertolli, Cronologia essenziale delle situazioni lonatesi, in Lonate Pozzolo, storia..., pp. 34-35. 60 P. Snider, L’affresco Postea mori alla Castellana, in “CN”, 1983, n° 11, p. 174. 61 G. Pacciarotti, Tracce di devozione popolare nelle terre di Lonate Pozzolo, in Il Ticino, strutture…, pp. 250-52. 62 Catasto teresiano di Tornavento, tavola dei possessori, mappale n° 61. 63 M. Comincini, Il Naviglio Grande, ed. Banca Popolare di Abbiategrasso, 1981, pp. 66-69. 64 Sull’invasione franco-sabauda e sulla battaglia del 1636 è utile leggere: G. D. Oltrona Visconti, Storia di Lonate..., pp. 81-85; Idem, La battaglia di Tornavento nelle fonti spagnole, in “RGSA” 1-3/1970, pp. 31-49, 121-136; F. Bertolli, L’invasione franco-sabauda del 1636 nel Novarese e nel Milanese, nel vol. Il Ticino, strutture…, pp. 51-70; G. Amoretti, Strategia e tattica, ibidem, pp. 82-90. 65 Oltrona Visconti, Sui Della Croce…, p. 198, n. 4. 66 GRSD, La Lombardia nelle sue prime rappresentazioni cartografiche, in “CN” 1983, n° 12, p. 208. 67 Le informazioni sulla cartografia sono tratte da: Legnano nelle antiche rappresentazioni cartografiche, catalogo a cura di D. Rondanini della mostra al Museo Sutermeister, 1988; Chorographica descriptio. Carte geografiche di Lombardia e mappe dell’Abbiatense, Società Storica Abbiatense, 1990. Le più importanti delle carte citate nella scheda sono riprodotte nei volumi Lonate Pozzolo, storia..., pp. 54-55. 57, 61, 63, 311; Il Ticino, strutture…, pp. 107-108. 68 Nel foglio di mappa del 1722 il mulino è erroneamente denominato Cassina di Tinella. 69 Carta del 1802 in Legnano nelle antiche rappresentazioni..., pp. 18-19; e in “CN” 1987, n° 23, 54 37 pp. 172-173. 70 Nella ricognizione IGM del 1914 mancano cascina e mulino di Tinella perché abbattuti nel 1904. 71 ASMi, Notarile, cart, 2173 (Stefanino Cane), atto 27 dic. 1464; ma riguardano il mulino di Tinella anche gli atti 17 dic. 1464, l’ospizio l’atto 3 luglio 1495 (cf. ASMi, Rubriche dei notai, vol. 1141 di Giovanni Antonio Cane). 72 ASMi, Notarile, cart, 2173 (Stefanino Cane), atto 18 novembre 1464. 73 Oltrona Visconti, Bertolli, Cronologia essenziale…, p. 28. 74 GRSD, La pieve di Dairago..., pp. 130, 138. 75 ASMi, Rubriche dei notai, vol. 4069 di Giovanni Repossi, atto 11 settembre 1641. 76 Da ciò si può arguire che il Naviglio, che non ha inizio nel territorio del borgo di Lonate, fu scavato dopo la territorializzazione delle comunità medievali e che la piccola comunità di Tornavento preesiste allo scavo del primo tratto del Naviglio (Sulla territorializzazione cf. GRSD, La pieve di Dairago..., p. 133, nota). 77 Sulla riforma del 1755 cf. F. Capra, Il Settecento, in D. Sella, C. Capra, Il Ducato di Milano dal 1535 al 1796, Utet, 1984, pp. 323-324. 78 Oltrona Visconti, Quando il molino nuovo venne venduto..., in “CV” 1997, n° 17, p. 8. 79 ACLP, sez. storica,Tornavento, cart. 1, fasc. 2. 80 ACLP, sez. storica, Tornavento, cart. 2. 81 ACLP, sez. storica: Tornavento, cart. 1. 82 Tanti già erano gli abitanti nel 1861 (Moretti, L’archivio plebano…, p. 13). 83 GRSD, La pieve di Dairago…, p. 133, nota. 84 M. Gioia, Discussione economica sul Dipartimento d’Olona, Milano 1803, pp. 271 ss; GRSD, La pieve di Dairago…, p. 135. La tavola dei possessori del 1751 dà per Tornavento 2982 pertiche di beni di prima stazione (terreni), pertiche 22 di beni di seconda stazione (case). 85 Lonate Pozzolo, storia..., p. 253 86 Lonate Pozzolo, storia..., p. 130. 87 Donna Isabella, in particolare, possedeva a Lonate 428 pertiche di terra, di cui 171 a brughiera. 88 ACLP, sez. storica, Tornavento, cart. 1, fasc. 2. 89 Oltrona Visconti, Sui Della Croce…, p. 197 asserisce che Ippolito Parravicino era “discendente” di Ferdinando Della Croce. 90 Oltrona Visconti, Storia di Lonate..., p. 166. 91 Lonate Pozzolo, storia …, p. 55 (casello); pp. 63, 74 (cascina Parravicino); Il Ticino, strutture…, p. 25 (R. Ricevitoria, 1861), pp. 177-79; F. Bertolli, Lonate Pozzolo: il comune e il suo stemma, ed. Comune, 2009, p. 103 (durante il fascismo); e carte IGM. 38 Si noti che il marchese Carlo d’Adda era tra i sottoscrittori, nel 1863, della prima Società di Enrico Andreossi per acquistare seme-bachi in Giappone. Tra i promotori il marchese Giacomo Brivio-Sforza, fornitore di cartoni giapponesi ai Parravicino negli anni 1865 e 1866 (C. Zanier, Semai. Setaioli italiani in Giappone (1861-1880), Cleup, Padova, 2006, p. 368, note). 93 Capitolo svelato da Zanier, Semai..., pp. 368-369. 94 Lonate Pozzolo, storia..., p. 42 95 Oltrona Visconti, Sui Della Croce…, p. 198. 96 Descrizione e disegni della villa Parravicino in Lonate Pozzolo, storia..., pp. 253-254. 97 Lonate Pozzolo, storia..., 385. 98 Guida Taglioretti per l’Alto Milanese. Circondario di Gallarate, anno 1910-11, p. 373. 99 Lonate Pozzolo, storia..., p. 47. 100 Oltrona Visconti, Storia di Lonate..., p. 92. 101 Il testamento di Gustavo Martellini fu pubblicato il 22 dic. 1951 dal dott. Mario Matraja notaio in Camaiore e registrato a Viareggio il 24 dic. 1951. Il nome Gustavo ricorre nel parentado Parravicino con frequenza tale da creare confusione di persone. Nel 1908, tra gli accomandanti della società denominata Tubettificio Formenti, Gorla e C., c’erano, oltre all’ing. Giulio Parravicino fu Gustavo, il nobile Gustavo Parravicino fu Giovanni ed il conte Gustavo figlio di Gustavo (cf. Guida Taglioretti…, p. 378). 102 G. D. Oltrona Visconti, Sui Della Croce…, p. 198, n. 3. 103 ACLP, sez. storica, Tornavento, cart. 5, fasc. 8. 104 ACLP, sez. storica, Tornavento, cart. 4, fasc. 1. 105 Bertolli, Lonate Pozzolo e il beato cardinal Ferrari, 2004, p. 34. 106 Sono notizie tolte dal volume Lonate Pozzolo, storia…, p. 139. 107 APT, cartella 4. 108 Sono i lavori annunciati da C. Valentini, l’architetto incaricato dei lavori di risistemazione della chiesa (cf. “LNC” 2010, n° 6-7, pp. 23-24. 109 Un’ampia trattazione dell’argomento è fornita da G. Candiani, La via Ferrata per il trasporto delle barche da Tornavento a Sesto Calende. Tempo, vicende, vestigia, nel vol. Il Ticino, strutture…, pp. 26-43; 110 G. Visconti Venosta, Ricordi di gioventù, ed. Treves, Milano 1904, cap. XXVI. 111 In precedenza vi sorgeva la cascina Ciappetta (cf. scheda n° 9). 112 L. Zaro, 1850-1914. Aspetti di vita economica e sociale, nel vol. Lonate Pozzolo, storia…, pp. 349, 353. Concessione e disegno relativi allo stabilimento Parravicino alla Cassinetta sono nell’archivio lonatese della Gora Molinara. 92 L. Zaro, Lonate Pozzolo tra ferrovia e canali, nel vol. Il Ticino, strutture…, p. 226. 114 Zaro, 1850-1914. Aspetti di vita..., p. 355; 115 Guida Taglioretti…, p. 378. 116 Bertolli, Lonate Pozzolo: il Comune…, p. 119. 117 Lonate Pozzolo, storia…, p. 47. 118 S. Albé, La centrale termoelettrica di Tornavento (1901-1912), in “CN” 1984, n. 13, pp. 49-54. 119 Guida Taglioretti…, p. 374. 120 L’incile del Naviglio è in territorio non di Lonate, ma di Tornavento (cf. mappa del catasto settecentesco). Il tratto iniziale del canale fu probabilmente modificato più volte (del “Ticinellus mortuus” si legge in atti notarili del 1466). Da vedere: M. Comincini, Il Naviglio Grande, 1981, Banca Popolare di Abbiategrasso; F. Bertolli, L’Arno nel Ticino. Un’ipotesi provata attraverso carte d’archivio, in Studi in memoria di Carlo Mastorgio, a cura di P. Baj, Nicolini ed., 2002, p. 183; G. Leoni, Nosate. La storia millenaria di un piccolo paese della riva sinistra del Ticino, 2004, pp. 20-21. 121 Sui canali Villoresi e Industriale cf. G. Leoni, L’utilizzazione delle forze idrauliche dell’Alto Ticino, nel vol. Il Ticino, strutture..., pp. 136-37, 142-49. 122 Sul ponte sono da vedere due studi nel volume Il Ticino, strutture…: di M. G. Porzio, Storia del ponte; di A. Spada, Il ponte di Oleggio: aspetti strutturali e formali. 123 APT, cart. 1, fasc. 4 e 5. La transazione fu rogata da Nicola Zerbi in data 11 luglio1872. 124 F. Bertolli, Don Carlo Colli, “patriota e scrittore”, in “LNC” 2010, n° 4, pp. 16-17. 125 APLP, Fabbriceria, carteggi sciolti. 126 Notizie più minute su Tornavento sino all’anno 1918 si possono leggere in F. Bertolli, Lonate Pozzolo e il beato cardinal Ferrari, “LNC” 2004, n° 5, pp. 33-36. 127 Oggi conservata, come tutto l’archivio parrocchiale già di Tornavento, nell’archivio parrocchiale di Lonate. 128 Carte d’archivio (APT, cart. 1, fasc. 9 e 10) danno come esistenti dal 1871 la Scuola femminile della Dottrina Cristiana, dal 1894 la Compagnia della morte, dal 1897 la confraternita del SS.mo Sacramento. 129 L’elenco fornito da G. D. Oltrona Visconti, Sui Della Croce… p. 198, n. 4, è stato controllato e aggiornato sui registri anagrafici parrocchiali di Tornavento. 130 Nel 1622 tra i luoghi soggetti alla parrocchia di Lonate la “capsinam appellatam la Maggia milliaribus duobus”, a due miglia (ASDMi, VP - Gallarate, vol. 20, f. 378r). 131 Oltrona Visconti, Storia di Lonate…, p. 91-92; GRSD, La cascina Maggia di Lonate Pozzolo, “CN” 1990, n° 113 32, pp. 53-58. F. Bertolli, Settecento bustese: storie di pecore e capre, con un Tosi alla ribalta, in “Almanacco della Famiglia Bustocca per l’anno 2009”, pp. 37-40. 133 Lonate Pozzolo, storia..., pp. 147, 256. 134 F. Bertolli, L. Turrici, L. Zaro, Via Gaggio. Natura e storia nella brughiera tra il Ticino e Malpensa, Areté ed., Briosco 2007, p. 52. Non si sono a tutt’oggi realizzati i previsti centro di compostaggio e raccordo stradale con i Molinelli. 135 Il brano sulla chiesa echeggia quanto scritto nel quaderno n° 1 della Unitrè, p. 22. 136 Bertolli, Lonate Pozzolo e il beato cardinal Ferrari…, p. 34. 137 Guida Taglioretti…, p. 376. 138 ASDMi, Duplicati e Status animarum, vol. 161, q. 16. 139 Zaro, 1850-1914. Aspetti di vita…, pp. 347-348. 140 Bertolli, Lonate Pozzolo: il Comune…, p. 117. 141 Ibidem, p. 130. 142 La piazzetta di Tornavento, in “LNC”, 1976, n° 10, p. 2. 143 S. Casciani, Luigi Ferrario. Mies and Me. Un racconto, Skira, Ginevra-Milano 1999, p. 162. Per una presentazione più dettagliata: L. Ferrario, Il progetto di sistemazione della piazza di Tornavento, in “CV” 1997, n° 16, pp. 4-5. 144 Bertolli, Lonate Pozzolo: il Comune…, pp. 89, 96, 116. 145 Idem, pp. 122, 124. 146 Guida Taglioretti…, p. 380. 147 APT, registro n. 1 dei Morti, nota di don Colli in apertura del registro. 148 Bertolli, Lonate Pozzolo: il Comune…, pp. 102, 124. 149 Idem, p. 89. 150 (R. Garatti), Lonate, 1900-1920, in “LNC” 2001, n° 11, p.19. 151 Bertolli, Lonate Pozzolo: il Comune..., pp. 122, 125. 152 F. Bertolli, I cent’anni della scuola materna “Carlo Sormani” in Lonate Pozzolo, ed. “Pro Loco”, 1990, pp. 85-87. 153 Una domenica di festa e di gioia a Tornavento, in “LNC” 2008, n° 10-11, pp. 12-13. 154 S. M. Rozza, Il Parco Lombardo del Ticino, nel vol. Il Ticino, strutture..., pp.304-305. 155 A. Pizzi, Malpensa 2000, ed G. Mondadori, Milano 2000. 156 Bertolli, Turrici, Zaro, Via Gaggio..., pp.109-115, 195. 132 39 Indice Presentazione.............................................. p. Referenze fotografiche: a pp. 22, 333 foto di Laura Bertoni; a p. 3 foto di Rino Garatti; a pp. 20, 28, 29, 322, 331, 334, 351 foto di Alessandro Iannello; a pp. 82, 111, 112, 116, 15, 171, 231, 321, 353 riproduzioni dall’archivio privato di Franco Bertolli; tutte le altre foto sono tratte da pubblicazioni lonatesi citate. Gli autori ringraziano per i suggerimenti forniti: Abramo Allievi, Andrea Bagattini, Rino Garatti, Walter Longhin, Ambrogio Milani, Laura e Pierino Volante. 1. Reperti archeologici romani e longobardi...................................... p. 2. Cerca, Panperduto, roggia molinara a Tornavento....................... p. 3. Il toponimo Tornavento in citazioni documentarie.............................. p. 4. Chiesa antica di Sant’Eugenio e cappellania Della Croce.............................p. 5. I Della Croce a Tornavento e i feudatari del luogo................................... p. 6. Casa della Camera e cascina Castellana.................................... p. 7. La battaglia del 1636................................... p. 8. Tornavento nella cartografia........................ p. 9. Il comune di Tornavento con Tinella............ p. 10. I Parravicino a Tornavento........................... p. 11. La chiesa settecentesca e le modifiche successive............................ p. 12. La ferrovia delle barche............................... p. 13. Le industrie in valle...................................... p. 14. I canali e il ponte di Oleggio........................ p. 15. Parrocchia autonoma per un secolo............ p. 16. La cascina e la chiesetta della Maggia........ p. 17. La gente di Tornavento: cognomi e mestieri...................................... p. 18. Le strade e la piazza................................... p. 19. Altre strutture di pubblica utilità.................... p. 20. Tra il Parco del Ticino e l’hub di Malpensa.. p. 3 3 5 6 9 10 12 14 16 17 20 22 24 25 26 28 29 30 32 34 Note.............................................................. p. 36 stampato nel mese di ottobre 2010 da Printart s.n.c., Lonate Pozzolo (VA) 40 1