Il canto Letterario - Fondazione Spinola

Il canto Letterario
Quarta Edizione
Con la quarta edizione de Il Canto Letterario, la Fondazione Spinola
prosegue l’indagine del rapporto tra parola e musica, fra il ritmo dei versi
e le ragioni della notazione musicale. Dopo la Germania, la Francia e
l’Italia, l’attenzione sarà rivolta quest’anno al repertorio russo.
Nell’incontro con le ricerche di InfoMus Lab a Casa Paganini l’indagine
approfondirà l’idea di ‘gesto vocale’, nel senso di una rappresentazione
emozionale del testo nello spazio vocale della melodia. La fortunata
formula del confronto tra le stesse poesie interpretate nella versione
musicale e in quella puramente letteraria (quest’anno con l’intensa
partecipazione di Lisa Galantini), si arricchirà quindi di un dialogo tra
pubblico e interpreti, condotto da InfoMus Lab, sulla produzione e
ricezione dell’espressività affettiva del canto: come la fraseologia e
l’agogica, le direzioni e le contrazioni/espansioni intervallari, l’ambito e
l’articolazione dinamica micro e macroscopica, definiscano un movimento
espressivo, insieme astratto, per la sua essenza uditiva e non visiva, e
concreto, per l’efficacia dei suoi risultati.
ANTONIO CAMURRI
NICOLA FERRARI
InfoMus Lab - Università di Genova
Il canto Letterario
Quarta Edizione
domenica 11 novembre 2007 - ore 16.30
Susanna Rigacci soprano
Claudio Proietti pianoforte
Lisa Galantini voce recitante
Romanze su testi di Aleksandr Pus̆kin
( N. Rimskij-Korsakov, M. Glinka, S. Prokof’ev, S. Rachmaninov )
domenica 18 novembre 2007 - ore 16.30
Nadiya Petrenko mezzosoprano
Corrado Braga chitarra
Lino Binda chitarra
Lisa Galantini voce recitante
Salotto russo d’Ottocento
( M. Glinka, P.C̆ajkovskij, A. Varlamov, V. Sabinin, A. S̆is̆kin,
N. Charito, N. S̆is̆kin, L. Rz̆eckaja, B. Fomin, F. Tjutc̆ev, P. Bulachov )
domenica 25 novembre 2007 - ore 16.30
Ekaterina Gaidanskaya soprano
Tiziana Canfori pianoforte
Lisa Galantini voce recitante
Il Gruppo dei Cinque
( M. Balakirev, A. Borodin, M. Musorgskij, N. Rimskij-Korsakov )
domenica 2 dicembre 2007 - ore 16.30
Alla Gorobchenko mezzosoprano
Tatyana Kuzina pianoforte
Lisa Galantini voce recitante
Verso il Novecento
( P.C̆ajkovskij, D. S̆ostakovic̆, M. Minkov, S. Rachmaninov, R. Glier )
Giorgio De Martino direzione artistica
Caterina Maria Fiannacca traduzioni
La rassegna è stata realizzata con il contributo
della Compagnia di San Paolo
Percorsi Russi
Il canto Letterario
spunti di riflessione
Storia (breve) della musica russa di Massimo Pastorelli
“Da un compositore russo io mi aspetto molto. Mi aspetto tutto. Perché è
russo. Perché il Russo è l’uomo più musicale del mondo. Perché il Russo, come
insegna Musorgskij, la musica la sa far volare. Perché il Russo, come insegna
Stravinskij, la musica la sa far ballare, magari su un piede solo e molto spesso
sulla testa.” Siamo sinceri: se queste parole non fossero di Alberto Savinio,
ma di chiunque altro, sbufferemmo subito per la noia di trovarci di fronte al
solito luogo comune; come se, per l’ennesima volta, ci venisse detto che il
cinese è paziente, l’inglese gentleman, lo spagnolo (o l’italiano) caliente. Ma
chi conosce gli scritti di Savinio sa che la sua penna è troppo arguta e
intelligente, e se dice una banalità, dunque, è perché pensa che sia vera. E
difatti, con la fantasia antiaccademica che contraddistingue il suo stile di
recensore (musica che “vola” da una parte e che “balla sulla testa”
dall’altra), porta delle prove: due nomi magni non della storia della musica
russa, ma della storia della musica tout court. E non magni perché
semplicemente molto bravi nel loro mestiere, ma perché, ciascuno
relativamente al proprio tempo, sono stati due grandi compositori moderni:
Musorgskij (1839-1881) e Stravinskij (1882-1971) hanno mostrato a tutti
che era possibile pensare la musica in modo diverso rispetto a quanto si era
fatto fino a quel momento. È del 1949 la Filosofia della musica moderna di
Adorno, che consacra Stravinskij come uno dei due nomi chiave della musica
del Novecento (anche se in negativo), mentre ogni biografia di Debussy
riproduce la famosa foto in cui l’autore del Prélude à l’après-midi d’un faune
(altra bella ventata di novità nel mondo dei suoni), in salotto, al pianoforte,
suona il Boris Godunov per gli amici (imparando tante cose utili per il futuro
Pelléas). Presa l’affermazione di Savinio non per un luogo comune ma per
una sacrosanta verità (“il Russo è l’uomo più musicale del mondo”), le
associazioni libere si mettono in moto e non si fermano più. E non si limitano
ai compositori: Sviatoslav Richter, David Ojstrach, Mstislav Rostropovic̆. Quali
altre icone possiamo pescare, dal nostro immaginario, che incarnino meglio
l’idea che abbiamo di un essere umano “musicale”?
A questo punto, però, si potrebbe cadere in errore e pensare che “il Russo è
l’uomo più musicale del mondo” da sempre. Invece non è così. Il Russo
diventa l’uomo più musicale, o comincia semplicemente a diventare musicale,
con un po’ di ritardo rispetto all’uomo europeo, e in un momento, addirittura
Il canto Letterario
spunti di riflessione
in una data precisa. La musica popolare russa, certamente, come tutte le
musiche popolari, sarà esistita quella sì da sempre: una tradizione di canti
contadini, religiosi e suoni di strada che gli etnomusicologi dicono essere
fertile e ricchissima, non riducibile alla balalaica da cartolina passata come un
testimone famigliare e culturale alla figlia di Lara nel Dottor Z̆ivago di
Pasternak (da giovane, tra l’altro, incerto se diventare scrittore o compositore
skrjabiniano). Ma di tutte le arti, la musica è quella più sociale, e, che ci
piaccia o no, la cominciamo a raccontare davvero solo nel momento in cui c’è
qualcuno che si siede a suonarla e qualcun altro che si siede ad ascoltarla,
mentre un terzo si prende la briga di stampare delle partiture che permettono
di riprodurla nella società ristretta dei salotti o in quella allargata dei teatri
(che però, prima, vanno costruiti). Cominciamo a raccontarla, cioè, nel
momento in cui la società decide che qualcuno dei suoi membri può anche
pensare di dedicare la propria vita alla musica, per cui nascono delle strutture
in cui si insegna il suo complicato sistema di segni e le sue faticose tecniche
strumentali. E nasce, soprattutto, la figura del compositore, o, meglio ancora,
dei compositori, che discutono fra di loro, e talvolta litigano, su quale sia la
musica giusta da scrivere in quel momento. Cominciamo a parlare di musica,
ossia, quando ci sono delle classi sociali (nobili, clero o borghesi che siano)
che, riconoscendosi in un determinato linguaggio di suoni, pretendono di fare
ed ascoltare musica, agendo di conseguenza.
Per questo si può dire che l’uomo musicale russo nasce esattamente il 17
ottobre del 1672, giorno in cui lo Zar Aleksej ascolta finalmente, in un teatro di
legno fatto costruire apposta in fretta e furia fuori dalle mura del Cremino,
L’azione di Artaserse, opera in tedesco che lui stesso ha commissionato a Johann
Gottfried Gregori (un pastore luterano della colonia tedesca di Mosca) per capire
che cosa sia quel genere di spettacolo di cui i suoi ambasciatori gli hanno parlato
al ritorno dalle missioni diplomatiche in Europa.
È un imprinting: l’uomo musicale russo nasce come uomo operistico, e tale,
in un certo senso, resterà fino al Novecento. Tutti i compositori eseguiti
all’interno di questa rassegna sono stati operisti fecondi e fondamentali:
Glinka, Rimskij-Korsakov, Borodin, Musorgskij, Prokof’ev, C̆ajkovskij.
Probabilmente S̆ostakovic̆ non avrebbe scritto quindici sinfonie ma quindici
opere, se la sua seconda dopo il Naso, la Lady Macbeth del distretto di
Mcensk, non avesse fatto infuriare Stalin per l’audacia dissonante della
musica e l’immoralità della vicenda, convincendolo a rimanere per tutto il
Il canto Letterario
spunti di riflessione
resto della vita sul terreno meno compromettente della musica strumentale
(dove non ci possono essere ufficiali dell’esercito che incontrano per strada il
proprio naso in uniforme o mogli che uccidono il marito). Persino le enormi
mani pianistiche di Rachmaninov, qualche volta, si sono staccate dalla
tastiera per sfogliare libretti da mettere in musica.
Se noi occidentali non ci siamo mai resi conto fino in fondo dell’importanza
del teatro musicale russo, è solo perché opere come il Boris, il Naso o Ruslan
e Ljudmila di Glinka non hanno mai davvero trovato una collocazione stabile
nei nostri cartelloni. Non è detto che sia solo un problema di lingua (e meno
che mai oggi, che si sovratitola tutto, anche le opere in italiano). È più
probabile che ciò che ha impedito loro di entrare nel nostro repertorio sia
proprio il fattore che le rende così importanti: la loro idea di teatro musicale
totalmente alternativa a quella a cui siamo abituati noi, eterni rossiniani,
verdiani, donizettiani, wagneriani.
L’Azione di Artaserse del pastore Gregori, però, non si può ancora definire
un’opera russa: alla fine, non è che un’opera tedesca scritta all’estero. L’uomo
russo diventa l’uomo più musicale del mondo con una certa lentezza. La
prima opera veramente russa viene scritta molti anni dopo, nel 1828, da un
compositore dilettante, Aleksej Verstovskij (1799-1862): si intitola Pan
Tvardvoskij, ed è una sorta di Faust slavo. Verstovskij, ci dicono i manuali di
storia della musica più dettagliati, ha un primato non da poco: pare che sia
stato lui, nel suo secondo lavoro (La tomba di Askol’d, 1835), il primo a
citare, all’interno di un’opera, canti popolari veri e propri (cori di pescatori, di
contadini, e la canzone di uno dei protagonisti, Toropka). Se a questo si
aggiunge il fatto che la trama si basa su vicende storiche della Russia del X
secolo, ecco che il quadro comincia a farsi già più definito. Soggetto storico
e la viva voce del popolo – in nuce c’è già il Boris.
L’opera ha un successo strepitoso, al punto che da lì partirà Glinka, il primo
grande compositore russo della storia. L’uomo musicale russo è nato – e non
solo, ha tratti fisionomici inconfondibili, oltre ogni più lontana aspettativa
dello Zar Aleksej che commissiona una nuova rarità straniera che si chiama
“opera” a un pastore luterano. Quel “non so che” per cui, se accendiamo la
radio a concerto iniziato, capiamo subito se si tratta di musica russa. Sono
tratti resistenti: quasi un secolo dopo, si riconoscono ancora, nonostante tutti
i giochi di prestigio e le metamorfosi, in Stravinskij, e, per certi aspetti, persino
oggi in Alfred Schnittke (1934) e in Sofija Gubajdulina (1931).
Il canto Letterario
spunti di riflessione
La musica russa nasce dunque con una presa di posizione a favore della
musica popolare, e questa rimarrà la grande querelle in cui si dibatterà per
tutto l’Ottocento. Il precursore Verstovskij e il primo Glinka sono due figli
dell’epoca romantica, che come si sa scopre in tutto ciò che è “popolare”
l’equivalente culturale della questione nazionale. La nascita delle musiche
nazionali, ovvero, che accompagna come un inno la nascita degli StatiNazione. Ma non è solo questo. Le influenze politiche e culturali romantiche,
nella Russia dell’Ottocento, assumono uno spessore estetico ancora più
profondo. Non si tratta solo di costruirsi un’identità musicale nazionale:
questa ricerca di autocoscienza musicale va di pari passo con il porsi il
problema di quale sia la musica più adatta a rappresentare il mondo e il
proprio tempo. È questo che rende così profonda, più che altrove, la
“questione nazionale” della musica russa. E anche più accesa, come
testimoniano due emblematici scontri.
Il debutto di Glinka avviene nel 1836 con l’opera Ivan Susanin. Glinka è un
dilettante, ma avveduto: ha studiato composizione a Berlino e ha compiuto il
tradizionale viaggio di formazione in Italia, dove si è innamorato di Bellini e
Donizetti. Nella sua opera d’esordio, però, questi modelli vengono già in
parte tenuti a distanza con l’intenzione di cercare nuove strade, sganciate
dall’opera italiana e più personali. Il contatto con la musica popolare russa è
evidente. Risultato: l’alta borghesia e la nobiltà russe, che si stavano
costruendo un’identità di raffinatezza e di gusto sul repertorio colto
occidentale – naturalmente per esibirla come un privilegio – attaccano la
partitura. È il preludio a quanto accadrà un trentina di anni dopo.
Nel 1862 la “domanda” di musica in Russia è cresciuta a tal punto che il
celebre pianista Anton Rubins̆tein dà vita al Conservatorio di S. Pietroburgo.
Ma è una domanda di musica molto specifica: ancora quella dell’alta nobiltà,
che appoggia la nascita di una struttura impostata dichiaratamente secondo
i modelli dei conservatori occidentali. Questa domanda verrà presto
soddisfatta anche a livello compositivo; Rubins̆tein era un grande pianista, un
grande didatta, ma come compositore era modesto. Non sarà lui, infatti, a
comporre le musiche desiderate e sognate dalla nobiltà e dalla borghesia
russa, ma C̆ajkovskij, da sempre considerato a ragione il più occidentalizzato
dei compositori russi. Un autore che, con il suo altalenare i momenti di
esaltazione a quelli di depressione, gli accordi titanicamente ribattuti del
pianoforte all’inizio del celeberrimo Concerto n. 1 per pianoforte all’atmosfera
Il canto Letterario
spunti di riflessione
funerea e stanca del finale della Patetica, realizza in musica un ritratto della
psicologia borghese che vale ben al di là dei confini russi. Ma al progetto di
Rubins̆tein si ribella Milij Balakirev, che, proprio per opporsi a lui e ai suoi
sostenitori, nello stesso anno della fondazione del Conservatorio
pietroburghese riunisce intorno a sé il Gruppo dei Cinque e con esso fonda
un conservatorio alternativo, la Libera Scuola di Musica. Ora non si tratta più
di un singolo compositore, Glinka, che fa di pioniere, ma di cinque (oltre a
Balakirev, Kjui, Rimskij-Korsakov, Borodin e Musorgskij) che ormai hanno
maturato degli obiettivi ben precisi, così riassunti da Luigi Pestalozza: “1) il
canto contadino e quello liturgico sono il vero humus della musica colta; 2)
la fantasia deve sbrigliarsi fuori dalle inibizioni tecniche e formalistiche; 3) gli
unici artisti ai quali si guarda in Occidente sono Berlioz, Chopin, Schumann,
Liszt, l’ultimo Beethoven; 4) l’opera deve sottrarsi all’influenza stilistica
italiana; 5) la vocalità deve esprimere autentici sentimenti e l’espressione
deve essere realistica; 6) la musica, operistica o meno, deve esprimere nuove
forme: bisogna rompere sia con gli schemi tradizionali dell’opera (forme
chiuse), sia con quelli astratti della forma-sonata.” La realizzazione puntuale
e più alta di questo programma sarà il Boris Godunov.
È evidente che nel contrasto tra Rubins̆tein e Balakirev, tra C̆ajkovskij e
Musorgksij, tra il Conservatorio di S. Pietroburgo e la Libera Scuola della
Musica, è in gioco qualcosa di più dell’emancipazione della musica russa dai
modelli occidentali: “la vocalità deve esprimere autentici sentimenti e
l’espressione deve essere realistica”, questo è il punto. In fondo, dal
precursore Verstovskij a Musorgskij fino a Prokof’ev, al primo S̆ostakovic̆ e allo
Stravinskij del Sacre e di Petrus̆ka, la storia della musica russa non racconta
altro che il bisogno, in fondo così semplice e immediato, di una musica (e più
in generale di un’arte) che sia realistica e dica la verità, a costo, se necessario,
di andare al di là di schemi, tradizioni, convenzioni. Non c’è da sorprendersi,
del resto: parliamo di grandi romanzi e romanzieri russi (Pus̆kin, Tolstoj,
Dostevskij), di “realismo russo”, proprio perché parliamo di grandi modelli
narrativi per interpretare il mondo e la realtà. Sì, l’uomo russo è proprio
l’uomo più musicale del mondo, così come è il più letterario. Ma, attenzione,
non è un primato di bravura: lo è perché la storia ci racconta che per lui l’arte,
suono o parola, è stata un fatto principalmente e profondamente umano.
Il canto Letterario
spunti di riflessione
Terra di Russia di Caterina Maria Fiannacca
Oh, è tempo che t’innalzi, canzone russa,
Nunzia, distesa, vittoriosa,
Da città, da paesi, da campi,
D’intemperie e di sciagure avvolta,
Nel sangue, nelle lacrime battezzata e aspersa!
Oh, è tempo che t’innalzi, canzone russa!
Non da sola ti sei accordata, creata.
Dai deserti neve e pioggia ti hanno formata,
Dagli incendi ti hanno portata fumo e caligine,
Da umide tombe ti ha spazzata la tormenta...
Lasciamo che sia Lev Mej a introdurci a questa bellezza. A questa avventura
di musica e parole, spiegamento di sentimenti e natura dell’anima della terra
di Russia.
Mej, poeta infelice di metà Ottocento, “enorme tenore lirico privo di una
maniera personale”, secondo un eminente critico del suo tempo, era
affascinato dalla tradizione russa fin dall’infanzia, le sue poesie cantarono il
costume antico, si vollero “popolari” pur attingendo energia alla vitalità
interiore della più riflessa romanza.
È tempo che t’innalzi, canzone russa. Ma l’espressione originale è molto più
ariosa: è tempo di liberarti, di andare verso il libero spazio, con quella parola
volja attraversata nel suo stesso suono da tutta la sterminata vastità del
paese Russia. Canzone che si alza dalla terra, tutta tutta, città e campagne,
campi sconfinati, passata per le durezze della storia, il sangue e il pianto che
l’hanno tramata. Canzone concepita, portata in grembo dalla terra e allevata
dalle sue forze, la neve e la pioggia, la bufera e il vento, diffusa a tutto il
paese. La “canzone“, nel senso lato di poesia, di arte testimone di un
terreno, si alza dal paese, è forgiata dal paese e la sua storia e il paese canta
e proclama, riscatta e consola, al paese si spezza come pane nei suoi
molteplici cantori.
Facciamo una sortita nella prosa, e apriamo il volume di uno scrittore di tardo
Ottocento, Vladimir Korolenko, contemporaneo di C̆echov, che fu suo amico e
ammiratore.
Korolenko si china sulla terra di Russia e ne ascolta le voci. Sono le voci della
Siberia e del variegato aspro spartito di scricchiolii schiocchi cozzi che fanno
lastre e blocchi di ghiaccio sul fiume imprigionato d’inverno; quelle delle
foreste della taiga, dove l’aria cristallizza le parole che tintinnano cadute a
terra e il vento urla schiantandosi su baluardi di gelo.
Il canto Letterario
spunti di riflessione
Si china sul fiume in piena, sulla sussurrante, frusciante, rombante libera
liquidità russa, ne raccoglie il gioco di forze sonore che genera la prosa.
Un’armonia musicale che a Korolenko riconobbero in tanti, fra cui C̆echov
stesso. La sua pagina è la partitura di una sinfonia.
La poesia di Mej, cui chiediamo di intonare il canto, fa la stessa cosa: la fa e
dice di volerla fare, passaggio sostanziale per la scelta della letteratura. È
poesia e discorso sulla poesia. Nata dalla terra, articolata nelle sue voci
naturali e umane, e alzata alla sublimità dell’infinito. Alla creazione. Artistica
ma anche umana. La Russia nel canto si trova e si salva.
Non è certo un caso che la canzone, la canzone popolare, anonima, o meglio
dalle molte firme, molte voci, molte varianti, molti passaggi, e la canzone “di
scuola”, d’autore, la romanza in ultima analisi, quella che i nostri “Percorsi
russi” esplorano, accompagnino ancora oggi la vita russa, i momenti salienti,
servano a sottolineare un passaggio in un racconto, a comunicare
un’emozione in un rapporto, ad ancorare un ricordo alla memoria. Quello che
nei secoli si è elaborato, nella lingua e nella melodia, il patrimonio di
consapevolezza lirica, scritta e musicata, non perde smalto nemmeno
nell’oggi tumultuoso dei cambiamenti. O non ha ancora perso.
Stiamo parlando allora di un canto corale e polifonico assieme, di cui questa
Intonazione del 1856 si vuole prima nota. Intonazione senza tempo, perché
quando Mej concepisce la poesia, la “canzone” russa di strada ne ha già
fatta tanta...
Ha attraversato un Settecento fecondo di innovazioni, a partire dal canto di
argomento secolare dell’epoca di Pietro, attraverso l’”aria”, in cui compare
l’accompagnamento strumentale a ritmo di danza, ancora legata ad
esperienze occidentali, per arrivare alla “canzone russa”, in cui forte si
introduce l’elemento della nazionalità, canzone su un testo poetico russo, e
approdare alla “romanza” della fine del secolo, e cioè alla musica vocale.
Che si sarebbe modulata in moltissimi generi - ballate, elegie, canzoni
inneggianti alla libertà dell’epoca della rivolta decabrista, militaresche,
studentesche, la “canzone russa” essendo solo uno degli aspetti. Poi, nella
seconda metà dell’Ottocento, la virata radicale e progressista della cultura, e
la ballata si lega alla vita sociale e alle abitudini del popolo, connotata ormai
di realismo. È ora che si differenziano una “romanza professionale” creata da
compositori classici su testi di grandi poeti e una di “vita quotidiana”, opera
di musicisti e poeti “minori”, di più ampia fruizione. Fino alla romanza
“cittadina”, sul passaggio al secolo XX.
Ma, comunque, centrale resta sempre il rapporto tra compositore e poeta.
Spesso un non-rapporto, il poeta non scrive specialmente per la musica, o
non apprezza l’uso che si è fatto del suo testo, o i due artisti non sono
Il canto Letterario
spunti di riflessione
contemporanei e il musicista si rivolge a un passato di cui accoglie la
suggestione. Ma da questo misterioso crogiolo, dove le sensibilità si
struggono e comincia un colloquio intimo a due voci, nascono composizioni
bellissime, che i due poli trascendono perché quello che nasce è altra cosa.
Sui più di sessanta testi del nostro percorso nella musica vocale russa
attraverso tutto l’Ottocento, con un’incursione novecentesca, venti
appartengono a Aleksandr Sergeevic̆ Pus̆kin (1799-1837).
Le opere su soggetti pus̆kiniani entrate nel repertorio classico russo
costituiscono circa la metà di quanto scritto dai compositori. “Non è
un’esagerazione dire che la lirica di Pus̆kin si può cantare quasi tutta”,
affermano gli studiosi. Non stupisce, la figura di Pus̆kin ha avuto nella
letteratura e nella cultura russa in generale un effetto dirompente. Pus̆kin ha
incarnato il profondo rinnovamento d’inizio Ottocento, ha introdotto la
modernità, nel verso e nella prosa, ha plasmato una lingua tersa e modulata
sulla “cosa”, ha cantato con lievità e grazia l’amicizia e il vino, l’amore e la
donna, la natura e la stessa poesia, frequentando tutti i generi, creando
personaggi immortali – come Onegin e soprattutto Tatjana –, dotando i moti
del sentimento di un’agile veste classica che permette loro di avere una
risonanza universale. Comincia giovanissimo liceale, a Carskoe Selo, a
”cantare” e quasi subito la sua maniera è formata, la splendida “ragione”
argina e raccoglie il sentimento che può così comunicare il cuore caldo del
contenuto.
Tutti i più grandi poeti, in seguito, si sono rivolti a lui, alla sua misura, al suo
genio, alla sua bellezza, all’intima luce della sua poesia. Pus̆kin è un punto di
riferimento imprescindibile nella letteratura russa. Ma non solo. È un
antenato nella genealogia di tanti, di tutti, di un popolo che, nella sua parte
migliore, ancora cerca di non diventare gente, ma rimanere, appunto, popolo.
E di quel suo grande predecessore cerca le tracce nella vita contemporanea.
Senza poterlo riconoscere morto. Uno scrittore contemporaneo, Michail
Kuraev, non nasconde le lacrime davanti alla sua tomba: “Che sciocchezza,
in fin dei conti – Pus̆kin morto, sai che novità! – sciogliersi in lacrime in pieno
giorno su un terreno calpestato dai turisti. Era morto. E adesso bisognava
abituarsi all’idea”. Un’idea che contrasta con tutta la segnaletica viva dei
suoi passaggi: qui visse... qui si recava in visita... qui si sposò... si batté in
duello... morì. “Ma tutto testimoniava il fatto che c’era! c’era! c’era!”, e ora
che grazie a lui una coscienza è maturata e lui, Pus̆kin, più vivo che mai,
“proprio adesso... la sua tomba!”
Pus̆kin morto è un dolore da cui la cultura russa non si è ancora ripresa.
A testimonianza della sua presenza nel tessuto vivo dell’esistenza, anche
Il canto Letterario
spunti di riflessione
novecentesca, anche sovietica, riportiamo la bella pagina autobiografica di
un altro cantore – “bardo”, lo si definisce – scomparso solo nel 1997, Bulat
Okudz̆ava. Giovane insegnante in una scuola di campagna, cerca di
trasmettere agli allievi il gusto e la verità della cultura proprio attraverso una
delle poesie previste dal nostro programma, Vi ho amata, fra le più belle di
Pus̆kin:
”Vi ho amata. L’amore, forse, ancora Nel mio cuore... Vera, davvero non ti
piacciono questi versi?.. Ma questo non vi inquieti più... In nulla io voglio
amareggiarvi... Dille, Mas̆a Kalas̆kina, queste parole al tuo irsuto trattorista,
quando ti porterà al circolo... E l’ispirazione sul tuo volto non bello sarà più
luminosa della più preziosa corona sul capo di una brutta regina... Diventerai
snello e bellissimo, Vanja Cygankov, quando le pronuncerai, le tue ciocche
rosse sembreranno d’oro, e le lentiggini scintilleranno e le grosse labbra
diventeranno eleganti e severe. Anche nei tuoi vecchi stivali sembrerai
perfetto. ...Vi ho amata in silenzio, disperato... Un giorno lo capirete,
accidenti, che cosa significhi tutto questo”.
Il vino, a significare la sapiente leggerezza di cui ha bisogno l’arte per essere;
l’amicizia, perenne patria interiore degli affetti; l’amore, inesauribile
Ippocrene di elevazione (la donna evocata nella poesia Ricordo l’attimo
incantevole è una portatrice di deità); la bellezza, nell’accezione classica di
armonia, canone di perfezione, immagine non religiosa legata al
sovraterreno, o meglio a un cielo di cui la terra è impregnata, secondo il
giudizio di Belinskij sul poeta; il ricordo del passato, le dolci terre meridionali
dell’esilio, i boschi di Michajlovskoe, la residenza paterna, l’amata presenza
della balia. Questi i temi delle liriche... Ma il breve componimento dedicato
a Z̆ukovskij, poeta più anziano a lui molto legato, può dirci in maniera assai
più pregnante quale fosse il tono della sua stessa poesia. L’aspirazione alla
gloria, come bisogno di lasciare un’impronta, e poi un’eredità, poi la calda
riflessione a conforto del dolore, la compostezza che imbriglia le passioni, la
pensosità che dà spessore alla gioia, spiritualizzandola.
La poesia di Pus̆kin può essere occasionale, è molto spesso occasionale – e
questo è il vino, cioè il forte legame con la terra, il luogo in cui l’ispirazione
si incarna, questa è la grande “sanità” di Pus̆kin, il suo accogliere nell’alveo
dell’equilibrio di una ragione benevola la potenziale dispersività delle
passioni – ma l’occasione si stempera nell’universalità dell’esperienza. Non
solo della Russia. Pus̆kin è nelle ascendenze di chiunque ami l’arte.
E proprio l’arte vogliono celebrare due delle liriche qui presentate, La musa e
Arione. Nella prima, accanto all’immagine classica – ma radiosa – della
Il canto Letterario
spunti di riflessione
fanciulla intermediaria del divino che guida la mano del poeta sul flauto, si
disegnano anche la fatica e l’umiltà dell’apprendimento. In Arione, il
riferimento al mito ellenico del cantore salvato dalla morte in mare da un
delfino quale premio alla dolcezza del suo canto, vela la memoria e l’omaggio
ai condannati per la ribellione decabrista del 1825, moto cui Pus̆kin fu
idealmente vicino. Il moto venne represso nel sangue dall’autocrazia, ma il
poeta fu risparmiato. Gli ultimi quattro versi della poesia, Sulla riva gettato
dalla tempesta, Io gli inni come prima canto E l’umida mia veste Sotto lo
scoglio al sole asciugo, dicono la solitudine reale del poeta, nel dettaglio
della veste, unico bene materiale rimasto, e quel canto che, pur nella
desolazione, non si spegne.
Per le sue simpatie liberali, Pus̆kin era stato pochi anni prima esiliato al
Caucaso e in Crimea, la terra serena, dove tutto al cuore è caro, di Si dirada
la fuga delle nuvole, una delle poesie qui riportate, poi confinato a
Michajlovskoe. Negli ultimi anni di vita, la sua prigione fu la frastornante
mondanità della corte, dove lo zar Nicola I poteva con tutto agio controllarlo.
Sua sola libertà era stata la poesia.
Michail Lermontov (1814-1841), che pianse in versi la morte di Pus̆kin,
bollando la stoltezza di chi lo aveva ucciso in duello, della poesia rappresenta
il versante appassionato, tempestoso. Qui leggiamo (ascoltiamo!) due liriche
di cui No, non è te che amo così tanto rivela tutta la sua tormentata
introspezione. Lontano dalla chiarità pus̆kiniana, Lermontov insegue il
sentiero della pena, le ossessioni della psiche, si rivolge più a emozioni
perdute, amori morti impedimento al vivere, che alle possibilità attuali.
E l’amore negato, costretto nel limite di una lontananza, un abbandono o
una morte, è uno dei temi che attraversano questo fascio di romanze. Il no
dettato all’amore lo consegna alla letteratura, alla musica, all’arte. La
scrittura raccoglie il fantasma della cosa non vissuta e le dona vita altra. Il
tempo dell’amore allora è generalmente il passato, il modo – il condizionale,
il congiuntivo, “se...” Un congiuntivo, implicante un successivo condizionale,
è in realtà il modo della seconda lirica lermontoviana della raccolta: “Se
sentissi la tua voce, il mio cuore balzerebbe in petto... Incontrassi i tuoi occhi,
ad essi anelerebbe la mia anima”. La lirica è breve, congiuntivi e condizionali
la appesantirebbero, si è scelto un presente senza tempo, ma il “getterei”
sopravvissuto dell’ultimo verso dice l’ipotesi, il desiderio. Un amore vissuto
nella pienezza non è nel registro dell’introverso cantore del Demone.
Questo non è solo ricordo, Questa è la vita che parla di nuovo. I versi, tratti
da Vi ho incontrata, sono di Fëdor Tjutc̆ev (1803-1873), stupendo poeta, una
Il canto Letterario
spunti di riflessione
lunga vita e una fama che lo raggiunse solo a metà di essa, anche se l’entrata
in letteratura era avvenuta molto prima, negli anni 1836-38, sulle pagine del
“Sovremennik”, Il contemporaneo, la rivista fondata da Pus̆kin.
Il ricordo è un altro tema forte di questo itinerario musicale. La vita trascorsa,
perduta per sempre o solo assopita. Qualcosa di perduto e assieme qualcosa
di ritrovato, altrimenti il ricordo non si darebbe e la poesia non sarebbe.
L’incontro con la donna un tempo amata rinnova... no, non solo il sentimento,
qualcosa di più: richiama la vita. Si parla di sonno, in questa poesia di Tjutc̆ev,
di coltre della dimenticanza, suoni affievoliti ma non morti. Com’era già
avvenuto in Pus̆kin, con l’incontro dell’attimo incantevole, la comparsa della
donna è vivificante, salvifica, trascende la stessa contingenza. È questa una
vita tumultuosa, irruente, poi catturata dalla poesia e sottratta al
decadimento delle cose, affidata all’eterno.
Il tema del ricordo che ritorna, come l’acqua – sono anzi primigenie “Acque”
primaverili – nei ruscelli a primavera, è contemplato dall’altra poesia qui
presente di Tjutc̆ev. Il sopore dell’inverno, la vita che si gela in Russia e così
tanto somiglia la morte, poi il miracolo del sole che riappare, e l’acqua della
neve disciolta che scorre, ripida e chiacchierina. Quanta acqua nei fiumi della
Russia, un’acqua-vita, una primavera-vita, una donna-vita che veicola col suo
solo apparire il prodigio della rinascita. Spirituale, emotiva e carnale.
È liquido, l’universo di Tjutc̆ev, fluido, e perciò precario, instabile, com’è della
vita stessa, la sua bellezza essendo inscindibile dal pericolo che la insidia.
L’unico riscatto è la poesia, talismano prezioso dell’essere in perpetuo
viaggio, rivestito dei suoni di una lingua “altra”: Tjutc̆ev è diplomatico, parla
e scrive in francese, ma la poesia è lingua russa, una parola segreta, estranea
allo scambio sociale e familiare invece alle regioni fonde del sentimento e
dell’affetto...
L’attesa di un amato che non verrà. Già Pus̆kin in Nella tua stanza, amica cara
evocava (in negativo: “non aspettarmi”) l’immagine di una donna che
attende qualcuno al lume delle candele. Il soggetto (e il simbolo, un’altra
situazione di amore negato) ritorna ora in una tenerissima poesia di
Aleksandr Fet (1820-1892), Non svegliarla all’alba: una fanciulla finalmente
dorme, sfinita dall’attesa e dalla delusione. La luce dell’alba indugia sui suoi
lineamenti, assieme allo sguardo del suo cantore scivola sulle guance e le
loro recondite pieghe, sul seno dove il respiro del mattino è tutt’uno con
quello del poeta, e l’ardore della prima luce diventa l’ardore di quel sonno,
della giovinezza femminile addormentata, quasi nel sonno le venisse
restituito (ed è così! la poesia glielo restituisce) un piacere negato. Parlo di
piacere, perché la sensualità dell’immagine e del dettato lo consente, e mi
Il canto Letterario
spunti di riflessione
permetto la gioia di ripristinare una strofe, la seconda, che il testo musicato
non comprende, forse perché nella sua intensità, nell’evidenza anche
pittorica, con quel tocco di colore nero delle trecce, il testo avrebbe finito per
bastare a se stesso, non permettendo alla musica di entrare e trasfigurare:
E il cuscino di lei arde,
Come arde il suo sonno spossante,
Sulle spalle, nere, cadono le trecce,
Come nastri da entrambe le parti.
E allora capiamo perché a proposito di Fet si parli di passione, rattenuta in
vita e espressa invece dalla poesia. I verbi in cui si palesa la luce del mattino
sono forti, adatti al fuoco vivo, e quel cuscino non solo è di lei perché le
appartiene, ma di lei brucia, di quel sonno sconvolto dove si uniscono
spossatezza di dolore e di sensualità... davvero inappagata? Non basta il
sonno che il poeta contempla e dipinge per appagarla?
Le poesia di Fet aveva già conquistato una sua perfezione attorno al 1863.
Ma il tempo della cura per l’arte del poetare nella cultura russa era trascorso,
morto con Pus̆kin, nel ’37, e già prima della stessa morte di Lermontov, nel
’41. L’aria in Russia era radicalmente cambiata. Le idee dei nuovi intellettuali,
critici, giornalisti, letterati nuovi, non più appartenenti alla nobiltà ma
raznoc̆incy, di varia, cioè, e spesso bassa estrazione sociale, indicavano una
poesia che si volgesse alla realtà contemporanea, si animasse di forti
sentimenti civici, progressisti. La situazione, politica e sociale, non consentiva
fughe o evasioni nella poesia assoluta, in quella che si definì l’arte per l’arte.
La poesia doveva trasformarsi, innovare, essere utile alla diffusione di un
radicale progresso, scientifico e sociale. L’”io” poetico cominciava a diventare
un pericoloso ostacolo sulla strada del “noi” sociale. Si giunse alla
sconsacrazione di Pus̆kin, perché Pus̆kin era la poesia. Fet, allora, con le sue
motivazioni interiori, la sua grande emozione affettiva, non trovò più il
pubblico nobile e aristocratico che aveva sostenuto la fioritura della prima
metà d’Ottocento, l’epoca d’oro, e si zittì per vent’anni.
Ma, naturalmente, la poesia in Russia non morì. Sopraffatta dal romanzo (e
quale! Gogol’, Gonc̆arov, e poi Turgenev, Tolstoj!, Dostoevskij!, tutto quello
che fa ancora oggi la gloria della Russia in Russia e nel mondo), sarebbe
riapparsa sul crinale dei due secoli, con il grandissimo avvento del simbolismo,
non per caso. C’era chi l’aveva comunque coltivata, nell’imperfezione tecnica
forse, certo nell’intimo di un’espressione non più largamente condivisa
(“Sono un poeta per pochi”, disse Jakov Polonskij) per consegnarla salva
nelle mani dei grandi della rinascita dei primi del XX secolo (età d’argento
Il canto Letterario
spunti di riflessione
della poesia, la chiamiamo, ma c’è da chiedersi se non sia in realtà questa la
vera età dell’oro, per il numero e la statura dei suoi protagonisti e le sue
officine). Aleksandr Blok ricordava le onde musicali della poesia di Polonskij,
udite nell’infanzia, e sappiamo quanto la musica, non solo quella dei suoi
versi rarefatti, ma la musica in sé, intesa in senso filosofico come magma
vitalistico all’origine delle cose, quanto la musica fosse importante per lui.
Dunque, voce solitaria e anche smarrita tra le due opzioni, la pura lirica e
l’utile radicale, Polonskij (1819-1898) seguì l’inclinazione per il tema
soggettivo e cantò l’amore, l’emozione, la leggerezza, la natura.
Nell’espressione favorita della notte. Come testimonia la bella lirica, Notte,
appunto, inserita nel nostro testo.
Quanta notte in questo bagaglio poetico, non si contano i sostantivi del suo
arredo, luna, stelle, oscurità, sera, tenebra, sonno, sogno, e gli aggettivi che
li connotano. La notte è il tempo altro, che si schiude a tutto quanto il giorno
nega. Di notte si ama e si danza con l’amata o la si cerca, si ricorda il sogno
passato e perduto, ci si nasconde a sguardi estranei alla passione. Di notte si
scrivono i versi, come fa Pus̆kin, I versi miei composti e sussurranti Scorrono,
ruscelli d’amore, scorrono, pieni di te. Si colloquia con se stessi, si ascolta la
solitudine, tutto ciò che nel buio è più acceso e più nel silenzio si sente, scrive
Polonskij. Di notte si scrivono i versi che parlano della notte, Io stesso non
so perché t’amo, notte, Forse perché la mia pace è lontana!
È l’inquietudine, molto più che l’appagamento, a permettere la poesia.
Un solo, autentico sole, si contrappone a tanta notte, e per di più esclamato,
luce del sole! Lo invoca Aleksej Tolstoj (1817-1875) in Era un’acerba
primavera. Poeta, come Polonskij, in un’epoca che non ama la poesia,
gentiluomo di origine e di spirito, Tolstoj trova nel canto la ragioni più
autentiche del vivere. Frequenta la corte dello zar Alessandro II, di cui è un
funzionario, ma la vita mondana e il suo ballo sociale, il gioco di maschere,
sono lontani dalla sua natura. Si ritirò nella poesia, prima ancora che nella
proprietà di Krasnyj Rog in Ucraina, per attingervi l’assoluto, l’eterno, ciò che
fa l’uomo al di là dell’alternarsi delle stagioni storiche. L’amore è per lui un
veicolo verso queste contrade d’infinito, cui ricongiungersi al di là dei margini
scomposti delle fratture che feriscono l’anima sulla terra, e il sole invocato è
quello della primavera, come già s’è visto altro grande tema-simbolo
musicato nelle romanze. La primavera è l’aprirsi della vita molto più che
l’infanzia inconsapevole. La primavera sa di essere tale e sa delle sue attese.
E si attende tutto, l’indefinitezza del desiderio è il suo tesoro. Niente è ancora
sperimentato, tutto è fantasticato, Era un’acerba primavera, tu sorridevi
dinanzi a me, scrive Tolstoj. La donna è lì e incarna la promessa e il mistero.
La vita non farà che offendere le attese; deludendole, eludendole, devasterà
Il canto Letterario
spunti di riflessione
l’anima che, allora, nel ciclico ritornare del maggio, nel rinascere delle forze e
delle pulsioni cercherà il sapore della stagione prima dell’esistenza.
La primavera tende, secondo Tolstoj, delle corde fra il cielo e la terra: sono
musicali, le corde della lira su cui il verso trova ancora e ancora la via
dell’infinito
Risuonano, in Tolstoj, le stesse acque primaverili di Tjutc̆ev, la poesia è un
continuo colloquio tra i poeti, prima che tra questi e il lettore o l’ascoltatore.
L’arte è un fenomeno complesso e un crocevia fitto di dialoghi. C’è anche,
allora, il colloquio poeta-traduttore. Quando il traduttore sia a sua volta
poeta. Ne abbiamo qui qualche esempio, Mej che traduce Mickiewicz e
Goethe, Kozlov che traduce Byron. Ma vogliamo fermarci un momento sulla
relazione Federico Garcia Lorca-Marina Cvetaeva.
Non lo nascondiamo, è un omaggio all’amatissima Marina (1892-1941),
tormentata poetessa novecentesca, personalità forte e fragile come spesso
accade agli artisti, spirito libero e tragicamente ribelle, cantatrice della
solitudine e dell’impossibilità della non-solitudine, dell’amore intransitivo, o
meglio totalmente consumato dentro le fiamme della poesia. Un omaggio
all’autrice, e non alla traduttrice: Cvetaeva fa sua qualunque istanza
s’imbatta nella sua vita e nella sua penna, non è un divorare, piuttosto il
contrario, donare vita nell’unica maniera di cui si riconoscesse capace.
L’incontro con le poesie di Garcia Lorca, quell’incontro d’amore che è il
tradurre, dal 19 al 26-27 giugno del 1941, esalta l’austera tragicità del poeta
andaluso facendola passare al vaglio dello strumento poetico della
“traduttrice”. Due, qui, sono le poesie musicate, Paesaggio e La chitarra.
Il paesaggio di Lorca è un livido imbrunire. Lividi olivi illuminati dalla livida
pioggia di astri gelidi. Un canale, oscurità, vento grigio. Su tutto, anche non
dichiarato, il livore verde degli alberi, fitti di grida di uccelli prigionieri, le cui
lunghissime code si muovono nel buio.
Marina Cvetaeva è al termine della sua esistenza (s’impiccherà a Elabuga il
31 agosto di quello stesso ‘41), vissuta dentro la livida pioggia dell’avvento
sovietico, dell’esilio e del terrore che ghermisce la sua famiglia. Quegli alberi
affollati di grida dovettero parerle la Russia. Per di più, “uccello” è termine
femminile in russo, e i prigionieri nel suo testo sono allora delle prigioniere.
Tanto più forte dovette suonarle l’assimilazione della sua femminilità
aprioristicamente prigioniera (di se stessa, del proprio interiore divieto, delle
maglie metalliche chiamate URSS) a quella degli uccelli di Garcia Lorca.
Una sfumatura cvetaeviana, assente in Garcia Lorca: con le code degli uccelli
la tenebra nottura gioca. E’ lo spossessamento completo, da parte del destino
e della storia.
Ora gli uccelli-prigioniere non cantano più, gridano. Quella traduzione è il
Il canto Letterario
spunti di riflessione
grido prigioniero di Marina Cvetaeva, ormai. Che nel farsi poesia ritorna ad
essere canto. Il suo canto di poeta e donna libera.
Raramente in poesia un paesaggio è neutrale, lo sfondo di una storia, un
cartone, una scenografia. La natura: è questo l’ultimo importante simbolo di
molte fra queste poesie. Dalla stella della sera pus̆kiniana alle tante stelle
delle Canzoni spagnole musicate da S̆ostakovic̆; dal mare e le cime di Crimea,
sempre di Pus̆kin, alle onde di Borodin e la chiara campagna primaverile
russa di Tolstoj; dal giardino dei crisantemi sfioriti di S̆umskij al notturno
lunare sul fiume di Jazykov, dai fiori secchi della ghirlanda di Ratgauz al fiore
altrettanto vizzo trovato in un libro da Pus̆kin, col suo segreto carico di vita
esalata, la natura nelle varie e benedette differenze di risoluzione poetica, è
l’interlocutore del sentimento o dell’emozione del poeta che la contempla.
Vive della sua sensibilità e si carica di attesa, malinconia, disperazione,
nostalgia, struggimento, allegria, sensualità secondo la gamma che lo ispira.
D’altronde, lo si diceva all’inizio, la terra di Russia origina le sue canzoni, i
suoi poeti aggiustano l’orecchio al fruscio delle sue betulle, il mormorio dei
fiumi, fragore di correnti. E portano questa musica nei testi che diventano
storie di abbandono e di separazione, di attesa e godimento. Le storie della
distesa russa. Anche quando si camuffino di Spagna e il fiume sia il
Guadalquivir.
Da tempo mi accompagna il pensiero che l’anima russa, così sfuggente per
noi occidentali da rischiare di diventare il fantasma di un luogo comune, sia
connessa alla distesa e alla natura, dolcissima e potente, sconfinata, del
paese. Distesa che in russo è prostor, qualcosa come “vastità” e assieme
“libertà”, in cui le tante storie, anche contraddittorie, trovano posto. Prostor,
come volja, bellissima, quasi intraducibile parola russa.
Il canto Letterario
domenica 11 novembre 2007
Susanna Rigacci soprano
Claudio Proietti pianoforte
Lisa Galantini voce recitante
Romanze su testi di Aleksandr Pus̆kin
( N. Rimskij-Korsakov, M. Glinka, S. Prokof’ev, S. Rachmaninov )
N. Rimskij-Korsakov (1844-1908)
Medlitel’no vlekutsja dni moi, op.51, n.1 (1897)
Lenti si trascinano i giorni
Ne poj, krasavica, pri mne, op.51, n.2 (1897)
Non cantare più mia bella
Cvetok zasochs̆ij, bezuchannyj, op.51, n.3
Un fiore secco, senza odore
Krasavica, op.51, n.4
La bella donna
Redeet oblakov, op.42, n.3
Si dirada la fuga delle nuvole
M. Glinka (1786-1880)
Ja zdes’, Inezil’ja (1834)
Sono qui, Inesilla
Ja pomnju c˘udnoe mgnoven’e (1840)
Ricordo l’attimo incantevole
Noc̆noj zefir (1837)
Uno zefiro notturno
Ne poj, krasavica, pri mne (1828)
Non cantare più mia bella
Zazdravnyj kubok (1848-9)
Il calice augurale
S. Prokof’ev (1891-1953)
3 Romanze op.73 (1936)
Sosny
I pini
Rumjanoj zareju pokrylsja vostok
Di rossa aurora si tinge l’oriente
V tvoju svetlicu
Nella tua stanza
S. Rachmaninov (1873-1943)
Ne poj, krasavica! op.4, n.4 (1890?)
Non cantare più mia bella
Muza, op.34, n.1 (1912)
La musa
Burja, op.34 n.3 (1912)
Tempesta
Arion, op.34 n.5 (1912)
Arione
Il canto Letterario
A. Pus̆kin
LENTI SI TRASCINANO I GIORNI
(DESIDERIO)
Lenti si trascinano i giorni,
E ogni istante nel cuore mesto accresce
Le amarezze d’un amore infelice
E squieta fantasie di follia.
Ma taccio, non ha suono il mio
sussurro.
E piango. Sono un balsamo, le lacrime;
L’anima mia, serrata dall’angoscia,
Nelle lacrime trova un piacere amaro.
Ora della vita! vola via, non ti
rimpiango,
Scompari nella tenebra, fantasma
vuoto.
M’è caro il tormento del mio amore,
Ch’io muoia pure: morirò amando!
NON CANTARE PIÙ, MIA BELLA
Non cantare più, mia bella,
Le canzoni della Georgia triste:
Mi ricordano
Un’altra vita e una sponda remota.
Mi ricordano, ahimè,
Le tue melodie crudeli,
La steppa, la notte, e alla luna
I tratti di una povera fanciulla
lontana!..
Quel fantasma amato, fatale,
Nel vederti, dimentico;
Ma tu canti, e davanti a me
Ricompare.
Non cantare più, mia bella,
Le canzoni della Georgia triste:
Mi ricordano
Un’altra vita e una sponda remota.
UN FIORE SECCO, SENZA ODORE
(IL FIORE)
Un fiore secco, senza odore,
Trovo, dimenticato in un libro;
Ed ecco, d’una strana fantasia
L’anima mia è invasa:
Dov’è fiorito? quando? in quale
primavera?
E fu fiorito a lungo? e chi lo colse,
Una mano estranea, familiare?
E messo qui, perché?
Ricordo d’un affettuoso incontro,
O d’un addio fatale,
O d’un vagabondare solitario
Nella quiete dei campi, la quiete dei
boschi?
E lui, è ancora vivo, e vive ancora, lei?
E ora dove stanno?
O sono già avvizziti,
Come questo fiore misterioso?
LA BELLA DONNA
Tutto in lei è armonia, tutto è
meraviglia,
Tutto supera il mondo e le passioni:
Riposa con pudore
Nella solenne sua bellezza.
Si guarda attorno:
Non ha rivali, e non amiche;
Delle bellezze nostre la povera cerchia
Nel suo fulgore, scompare.
Ovunque tu stia ora correndo,
Fosse pure a un incontro amoroso,
Qualunque tu in cuore nutra
Recondito sognare,
Nell’incontrarla, turbato,
T’arresti, d’improvviso,
Devoto e venerante,
Davanti all’icona di bellezza.
Il canto Letterario
SI DIRADA LA FUGA DELLE NUVOLE
Si dirada la fuga delle nuvole.
Stella malinconica, stella della sera!
Il tuo raggio inargenta le pianure
appassite,
Il golfo assonnato, le cime di rocce
nere.
Amo la tua fioca luce nell’alto del cielo,
Risveglia in me pensieri, addormentati
ormai:
Ricordo il tuo sorgere, astro familiare,
Sulla terra serena, dove tutto al cuore è
caro,
Dove snelli i pioppi si alzano alle valli,
E dorme tenero il mirto e il cipresso
cupo,
E dolci sussurrano le onde a meridione.
A volte là nei monti, colmo di caldi
affetti,
Sul mare trascinavo l’ozio mio pensoso.
Quando sui tuguri cadeva della notte
l’ombra,
E una giovane nel buio ti cercava,
Col proprio nome, alle amiche,
t’indicava.
SONO QUI, INESILLA
Sono qui, Inesilla,
Qui, sotto la finestra.
Si ammanta Siviglia
Di tenebra e sonno.
Son pieno d’audacia,
Avvolto nel manto,
Con spada e chitarra
Qui, sotto la finestra.
Dormi? Con la chitarra
Ti ridesto.
Se il vecchio si sveglia,
Lo stendo col ferro.
Le corde di seta
Ho appeso alla finestra...
Ché indugi?.. C’è qui
Per caso un rivale?..
Sono qui, Inesilla,
Qui, sotto la finestra.
Si ammanta Siviglia
Di tenebra e sonno.
RICORDO L’ATTIMO INCANTEVOLE
(A...)
Ricordo l’attimo incantevole:
Di fronte a me apparisti tu,
Come visione fuggevole,
Genio di bellezza pura.
Nella pena di tristezze disperate,
Nell’ansie di fragorose vanità,
A lungo suonò in me la voce tenera,
Mi visitarono in sogno i dolci
lineamenti.
Passarono gli anni. L’impeto furioso di
tempeste
Fugò le prime fantasie,
Dimenticai la voce tenera
I tuoi lineamenti celesti.
Nel mio angolo sperduto, nel buio
dell’esilio
Scorrevano spenti i miei giorni
Senza deità, né ispirazione,
Senza lacrime, vita, senz’amore.
Ma è giunto all’anima il risveglio:
E di nuovo sei apparsa tu,
Come visione fuggevole,
Genio di bellezza pura.
E batte il cuore ora inebriato,
E per lui risorgono ancora
E deità e ispirazione,
E vita e lacrime e amore.
Il canto Letterario
UNO ZEFIRO NOTTURNO
Uno zefiro notturno
Muove l’etere.
Sussurra
E scorre
Il Guadalquivir.
S’è levata la luna, dorata,
Piano... shht... una chitarra suona...
Una giovane spagnola
S’appoggia al balcone.
Uno zefiro notturno
Muove l’etere.
Sussurra
E scorre
Il Guadalquivir.
Togli la mantiglia, angelo mio,
E mostrati quale giorno luminoso!
Attraverso la ringhiera
Tendi lo splendido piede!
Uno zefiro notturno
Muove l’etere.
Sussurra
E scorre
Il Guadalquivir.
IL CALICE AUGURALE
Quest’allegria
Allegria non concede,
La sbornia amicale
Fugge il fragore.
Abitanti del cielo,
Sacerdoti di Febo!
In onore di Febo
Bevete, cantori!
Di una vispa camena
La blandizie è sciagura;
I flutti di Ippocrene,
Acqua soltanto.
Bevete alla gioia
Del giovane amore
Se ne va la gioventù,
Amici miei...
Il calice ambrato
È colmo da tempo.
Io, grato,
Al vino berrò.
I PINI
(...SONO TORNATO ANCORA)
...Sono tornato ancora
All’angolo di terra, dove ho trascorso
Esule due anni inavvertiti.
Dieci anni d’allora son passati e molto
È cambiato per me, nella mia vita,
E io stesso, come tutti al mondo,
Io stesso son cambiato, ma qui ancora
Il passato mi allaccia forte,
E, pare, solo ieri ancora vagavo
In questi boschi.
Il calice ambrato
È colmo da tempo,
Di spuma inebriante
Scintilla il vino.
Della luce,
Al cuore più caro.
Ma per chi
Berrò questo vino?
DI ROSSA AURORA SI TINGE L’ORIENTE
(IL CILIEGIO)
Alla gloria, forse,
Berrò?
Di piaceri guerreschi
Amici non siamo!
Di rossa aurora
Si tinge l’oriente,
Al villaggio oltre il fiume
S’è spenta una luce.
Il canto Letterario
Asperge la rugiada
I fiori sui campi,
Le mandrie si destano
Sui soffici prati.
E nebbie canute
Si levano alle nubi,
Le giovani pastorelle
Corrono ai pastori.
Gorgoglia e trascorre
La fonte fra i monti,
S’indora nel buio, lontano,
L’azzurra pineta.
La pastorella
Già corre al mercato,
Canticchia e lontano
Osserva con zelo.
Scherza il rossore
Sulle sue guance piene,
L’innocenza risplende
Nei timidi occhi.
Una mano esperta
Ha raccolto la treccia,
E la gamba ben fatta
Attira lo sguardo.
Arriva la pastorella
Tra i fitti ciliegi
E abbondanza di frutti
Scorge avanti a sé.
La vista assai bella
Attrae la graziosa,
Ma arrivarci è insidioso,
La meschina ha paura.
Ci pensa e decide
Di mangiar le ciliegie,
A un ramo s’afferra
E s’arrampica in alto.
Ed ecco conquista
L’ambito suo premio
Poi cauta procede
Col piede fra i rami.
Se il frutto raggiungi,
È tua la ciliegia!
Ma che ti succede,
Mia pastorella?
Lontano, lei vede,
Già corre un pastore;
Il piede vacilla,
La scarpa le sfugge
La povera pastorella
Piano stacca dal ramo
E il petto appassionato
Già stringe alla bella.
Il sangue ribolle
Nei due cuori ardenti,
L’amore è arrivato
Su ali veloci.
NELLA TUA STANZA, AMICA CARA
Nella tua stanza, amica cara,
Vengo per l’ultima volta.
D’amore felice, sereno
Con te divido l’ultima ora.
D’ora in poi, in languida speranza,
Non aspettarmi più nella notte buia,
Fino alle prime luci del mattino
Non tenere accese le candele.
LA MUSA
Fin dall’infanzia lei mi amava
E il flauto a sette canne mi affidò.
Mi ascoltava sorridendo e un poco,
Sui vibranti cavi del giunco,
Ormai suonavo con deboli dita
Inni solenni, ispirati dagli dei,
E canti pacifici di pastori frigi.
Da mattino a sera, all’ombra muta
delle querce
Ascoltavo la lezione dell’arcana
fanciulla.
Dilettandomi con premio inaspettato,
Scostati i ricci dalla sua dolce fronte,
Lei stessa dalle mani la fistola
prendeva:
Il giunco si animava del soffio suo
divino
E il cuore ricolmava di venerato
incanto.
Il canto Letterario
TEMPESTA
Hai visto la fanciulla sullo scoglio
In abito bianco sopra l’onde,
Quando, infuriando nel buio
tempestoso,
Giocava il mare con la riva,
Quando il raggio dei fulmini,
incessante
La illuminava d’un bagliore scarlatto
E il vento batteva e volava
Col suo volubile velo?
Magnifico il mare nel buio tempestoso
E il cielo nei lampi senza azzurro.
Ma, credi: la fanciulla sullo scoglio
Più bella è delle onde, dei cieli e la
tempesta.
ARIONE
Eravamo molti sulla barca;
Chi tendeva la vela,
Chi in accordo puntava
Al fondo i possenti remi.
Nella calma,
Chino sul timone, accorto il nostro
timoniere
In silenzio governava la barca
appesantita;
E io, di spensierata fede colmo,
Ai marinai cantavo...
A un tratto, il grembo delle onde
D’impeto increspò un vortice
assordante...
Perisce il timoniere e il marinaio!
Solo io, misterioso cantore,
Sulla riva gettato dalla tempesta,
Io gli inni come prima canto
E l’umida mia veste
Sotto lo scoglio al sole asciugo.
Il canto Letterario
domenica 18 novembre 2007
Nadiya Petrenko mezzosoprano
Corrado Braga e Lino Binda chitarre
Lisa Galantini voce recitante
Salotto russo d’Ottocento
( M. Glinka, P. Căjkovskij, A. Varlamov, V. Sabinin, A. S̆is̆kin,
N. Charito, N. S̆is̆kin, L. Rz̆eckaja, B. Formin, F. Tjutc̆ev, P. Bulachov )
M. Glinka
A. Pus̆kin
I. Kozlov
N. Kukol’nik
Ja zdes’, Inezil’ja
Sono qui, Inesilla
Venecianskaja noc̆’ (Fantazija)
Notte Veneziana (Fantasia)
Bolero
Bolero
P. C̆ajkovskij (1840-1893)
Canzone fiorentina
Pimpinella op.38, n.6
(versione russa di autore sconosciuto [P. C̆ajkovskij])
A. Varlamov (1801-1848)
Krasnyj sarafan (strumentale)
L’abito da sposa
V. Sabinin (1885-1930) (arrangiamento)
V. C̆uevskij
Gori, gori, moja zvezda
Ardi, ardi, mia stella
A. S̆is̆kin (arrangiamento di A. Mytkin)
M. Lermontov
Net, ne tebja tak pylko ja ljublju
No, non è te che amo così tanto
N. Charito (1886-1918)
V. S̆umskij
Otcveli chrizantemy
Sono sfioriti i crisantemi
N. S̆is̆kin (arrangiamento di V. Podol’skaja)
N. Jazykov
Noc̆’ svetla
Notte chiara
L. Rz̆eckaja (1899-1977)
Oc̆i c̆ëmye (strumentale)
Occhi neri
A. Varlamov
A. Fet
Na zare ty eë ne budi
Non svegliarla all’aurora
segue
Il canto Letterario
domenica 18 novembre 2007 [continua]
B. Fomin (1840-1893)
P. German
Autore sconosciuto
F. Tjutc̆ev (redazione
di I. Kozlovskij)
Tol’ko raz
Solo una volta
Ja vstretil vas
Vi ho incontrata
P. Bulachov (1822-1885)
Autore sconosciuto
I net v mire oc̆ej
Occhi non sono al mondo
Il canto Letterario
I. Kozlov
NOTTE VENEZIANA
La notte di primavera respirava
Luminosa meridionale bellezza,
Quieto, il Brenta scorreva,
Argentato di luna.
Riflette l’onda fiammeggiante
Il bagliore delle nuvole diafane,
E si leva un vapore profumato
Dalle rive verdi.
La volta azzurra, il languido mormorio
L’onde rotte appena,
Il sussurro dei melaranci, i mirti
E l’amorosa luce della luna,
La voluttà dell’aroma
Di fiori e d’erbe fresche,
E lontano la melodia delle ottave
Armoniose di Torquato.
Il bacio dura senza parole.
Bevo l’estasi del tuo amore
In una quiete imperturbabile.
Ma se mi tradisci...
Oh, povera mia fanciulla!
Selvaggio e cupo diverrò,
E tempeste di morte solleverò
A te e il tuo amante!
Fuma il sangue, si alza il grido,
E io, alle tue labbra stretto,
Io alla parola strappo l’ultimo suono,
L’ultimo sguardo agli occhi.
I sogni alati dell’amore,
Le attese, la felicità, tutto perdona;
Vi ho visti in sogno perfido,
Ma no, tu non tradirai.
PIMPINELLA
Tutto effonde arcana gioia,
Un mondo stupendo pei sensi,
Il cuore batte, s’affretta la giovinezza
Al banchetto primaverile dell’amore.
Scivolano sull’acque le gondole,
Spruzzano i remi scintille,
I suoni di una dolce barcarola
Spirano come piccola brezza.
N. Kukol’nik
Canzone fiorentina
(versione russa di Autore sconosciuto [P. C̆ajkovskij])
Se vuoi sapere, mia amata,
Quel che nascondo in cuore,
Una strana gelosia
Strazia la mia anima!
T’imploro: con sguardi e sorrisi
Fa’ felice me solo, solo me,
T’imploro: con sguardi e sorrisi
Fa’ felice me solo, solo me!
BOLERO
Oh, splendida mia fanciulla,
Il tuo amore mi fa felice!
La fronte sul mio petto,
In muto fervore ti sciogli.
Che fiamma hai negli occhi!
Che languore sul labbro!
Palpita il seno, e tu tremi tutta.
Senza parlare mi doni giuramento.
Gli incanti che Dio t’ha dati
Prodiga a me soltanto,
E a profferte inattese
Irata, rispondi, mio amore!
Hai occhi così luminosi, così belli,
Non c’è viso più leggiadro,
La tua parola ammalia, è fatale,
Di ogni cuore sei la rovina!
T’imploro: con sguardi e sorrisi
Il canto Letterario
Fa’ felice me solo, solo me,
T’imploro: con sguardi e sorrisi
Fa’ felice me solo, solo me!
M. Lermontov
Sii contenta, mia amata,
D’un solo cuore devoto,
Non farmi soffrir senza posa,
Sii inaccessibile ad altri!
No, non è te che amo così tanto,
Non per me risplendono le tue grazie:
Amo in te la passata sofferenza
E la mia gioventù perita.
T’imploro: con sguardi e sorrisi
Fa’ felice me solo, solo me,
T’imploro: con sguardi e sorrisi
Fa’ felice me solo, solo me!
Quando ti guardo a volte,
Gli occhi tuoi a lungo scrutando,
Da un segreto colloquio sono preso,
Ma non è a te che parla il mio cuore.
V. C̆uevskij
ARDI, ARDI, MIA STELLA
Ardi, ardi, mia stella.
Dolce stella d’amore!
Tu sei per me la più cara,
Un’altra mai ci sarà.
Tu sei per me la più cara,
Un’altra mai ci sarà.
Dalla luce celeste dei tuoi raggi
Tutta la vita mia è illuminata.
Se muoio, sulla mia tomba
Ardi, risplendi, mia stella!
Se muoio, sulla mia tomba
Ardi, risplendi, mia stella!
Stella d’amore fatata,
Stella dei più bei giorni passati!
Sarai in eterno inobliata
Nell’anima mia tormentata,
Sarai in eterno inobliata
Nell’anima mia tormentata!
Dalla luce celeste dei tuoi raggi
Tutta la vita mia è illuminata.
Se muoio, sulla mia tomba
Ardi, risplendi, mia stella!
Se muoio, sulla mia tomba
Ardi, risplendi, mia stella!
NO, NON È TE CHE AMO COSÌ TANTO
Con l’amica di dolci giorni io parlo,
Cerco nel tuo un altro volto,
Sul vivo labbro, un labbro già muto,
Negli occhi tuoi la luce d’occhi ormai
spenti.
V. S̆umskij
SONO SFIORITI I CRISANTEMI
Nel giardino, dove ci siamo incontrati,
Il cespo di crisantemi a Voi caro è
sfiorito,
E nel mio seno è sfiorito allora
Il sentimento vivo dell’amore più
tenero...
Son sfioriti da tempo i crisantemi in
giardino,
Ma l’amore ancor vive nel mio cuore
ammalato...
È deserto il nostro giardino, Voi più non
ci siete,
E passeggio, tormentato, io solo,
E spontaneo sgorga il mio pianto
Davanti al cespo di crisantemi
appassito...
Son sfioriti da tempo i crisantemi in
giardino,
Il canto Letterario
Ma l’amore ancor vive nel mio cuore
ammalato...
A lungo è rimasta seduta, a lungo
A seguire sulle nuvole il gioco,
Che, danzando, faceva la luna.
N. Jazykov
E più viva giocava la luna,
Più sonoro l’usignolo fischiava,
Più pallida lei si faceva,
Più dolente il suo cuore batteva.
NOTTE CHIARA
Notte chiara, sul fiume quieta splende
la luna,
E barbaglia d’argento l’onda azzurra.
Bosco scuro... Nel silenzio di smeraldo
dei rami
L’usignolo non canta le sue trillanti
canzoni.
E per questo sul giovane seno,
Sulle guance, così brilla il mattino.
Non svegliarla, tu, non svegliarla...
All’aurora il suo sonno è più dolce.
P. German
Amica mia, cara amica, con amore
immutato
Questa notte, alla luna, ti ricordo.
Questa notte, alla luna, in un luogo
straniero,
Amica mia, cara amica, ricordati di me.
Sono appassiti sotto la luna i fiori
azzurri,
L’azzurro dei miei sogni nel cuore.
Il tuo nome ripeto, volo a te col
pensiero,
Alla luna, nel silenzio, sono triste coi
fiori.
Notte chiara, sul fiume quieta splende
la luna,
E barbaglia d’argento l’onda azzurra.
A. Fet
NON SVEGLIARLA ALL’AURORA
Non svegliarla all’aurora,
All’aurora il suo sonno è più dolce;
Il mattino le respira sul seno,
Vivido arde sulle fossette delle guance.
Ieri, accanto alla finestra, la sera
SOLO UNA VOLTA ACCADONO NELLA VITA GLI
INCONTRI
Giorno e notte sfugge al cuore una
carezza,
Giorno e notte vortica la testa,
Giorno e notte come favola turbata
Suonano in me le tue parole.
Solo una volta accadono nella vita gli
incontri,
Solo una volta il destino strappa il filo,
Solo una volta, una fredda e cupa sera,
Ho così tanta voglia di amare!
Si strugge il raggio d’un tramonto di
porpora,
Si ammantano i fiori di blu.
Dove sei, un tempo tanto amata,
Dove, tu, che risvegliavi i sogni?
Solo una volta accadono nella vita gli
incontri,
Solo una volta il destino strappa il filo,
Solo una volta, una fredda e cupa sera,
Ho così tanta voglia di amare!
Il canto Letterario
F. Tjutc̆ev (redazione di I. Kozlovskij)
VI HO INCONTRATA
(K. B.)1
Sempre, sempre.
Potrei smettere di amarlo?
Dimenticarlo io potrei?
Mai, mai!
Vi ho incontrata, e tutto il passato
Nel cuore spento s’è riacceso.
Ho ricordato la stagione d’oro
E il cuore s’è così illanguidito...
Come al tempo tardo d’autunno
Ci sono giorni, c’è un’ora,
Che a un tratto spira primavera
E qualcosa palpita improvviso noi.
Come dopo un secolare distacco,
Vi guardo come fosse in sogno,
Ed ecco, più forte avverto i suoni,
Mai taciuti dentro me...
Questo non è solo ricordo,
Questa è la vita che parla di nuovo,
E quello stesso incanto in voi,
E quello stesso amore in me!..
Autore sconosciuto
OCCHI NON SONO AL MONDO
Occhi non sono al mondo
Più neri e più cari,
Dei suoi, dei suoi.
E parole affettuose
Più belle e melodiose
Non ci sono, non ci sono.
Ti guarda, e il cuore arde,
Ti parla, e l’anima colpisce,
Come freccia, come freccia.
Giorno e notte, solo lui
Contemplato avrei, lui solo,
E vissuto avrei di lui.
1
E lo avrei accarezzato,
E baciato, io lo avrei,
Klotilde Botmer, sorella della prima
moglie di Fëdor Tjutc̆ev, a cui la poesia
è molto probabilmente dedicata
Il canto Letterario
domenica 25 novembre 2007
Ekaterina Gaidanskaya soprano
Tiziana Canfori pianoforte
Lisa Galantini voce recitante
Il Gruppo dei Cinque
( M. Balakirev, A. Borodin, M. Musorgskij, C. Kjui, N. Rimskij-Korsakov )
M. Balakiriev (1837-1910)
A. Golovinskij
M. Michajlov
A. Kol’cov
M. Jacevic̆
M. Lermontov
L. Mej
Ty plenitel’noj negi polna
Sei colma di languore affascinante
Ispanskaja pesnja
Canzone spagnola
Obojmi, poceluj
Abbracciami, baciami
Vzos̆ël na nebo mesjac jasnyj
Si leva in cielo limpida la luna
Slys̆u li golos tvoj
Sento la tua voce
Zapevka
Intonazione
A. Borodin (1833-1887)
H. Heine (versione russa
di A. Borodin)
A. Borodin
Otravoj polny moi pesni
Colme di veleno le mie canzoni
Fal’s̆ivaja nota (romans)
Una nota falsa (romanza)
More (ballada)
Il mare (ballata)
M. Musorgskij (1839-1881)
Autore sconosciuto
V. Kuroc̆kin
A. Pus̆kin
Gde ty zvëzdoc̆ka?
Dove sei, mia stella?
No esli by s toboju ja vstretit’sja mogla (romans)
Ma se potessi incontrarti (romanza)
Noc̆’ (romans-fantazija)
Notte (romanza-fantasia) Prima redazione
C. Kjui (1835-1918) (arrangiamento)
A. Pus̆kin
K portretu Z̆ukovskogo, op.27, n.6
Per un ritratto di Z̆ukovskij
Ja vas ljubil, op.33, n.3
Vi ho amata
Soz̆z̆ënnoe pis’mo, op.33, n.4
La lettera bruciata
Ty i vy, op.57, n.11
Il “tu” e il “voi”
segue
Il canto Letterario
domenica 25 novembre 2007 [continua]
N. Rimskij-Korsakov
A. Kol’cov
A. Mickiewicz (versione
russa di L. Mej)
G. Byron
A. Tolstoj
Plenivs̆is’ rozoj solovej (vostoc̆nyj romans), op.2, n.2
Incantato da una rosa, un usignolo (romanza orientale)
Moja balovnica, op.42, n.4
La mia monella
V poryve nez̆nosti serdec̆noj, op.26, n.1
Nell’impeto d’amorosa tenerezza
Zvonc̆e z̆avoronka pen’e, op.43, n.1
Più alto il canto dell’allodola
Ne veter, veja s vysoty, op.43, n.2
Non il vento che soffia dall’alto
Drobitsja i ples̆c̆et, i bryzz̆et volna, op.46, n.1
Si frange sonora e spruzza l’onda
Il canto Letterario
A. Golovinskij
SEI COLMA DI LANGUORE AFFASCINANTE
Sei colma di languore affascinante,
Sei snella, sontuosa, magnifica,
La malizia degli occhi, delle spalle il
candore,
Lo sguardo incantevole e dolce,
La bellezza del gesto, soavità di parole,
Tutto attrae in te.
Sei colma di languore affascinante,
Non si può non guardarti,
E sempre ascoltarti parlare vorrebbe
Chi la tua voce abbia udito una volta.
M. Michajlov
CANZONE SPAGNOLA
Mi senti, mia fanciulla?
Apri svelta la porta!
Giunta è l’ora tanto attesa,
Possiamo fuggire adesso.
Se non hai calzato il piede
Della tua scarpetta in seta,
Non importa, il nostro viaggio
Attraversa la fiumana.
Oltre i flutti del Guadalquivir
Ce ne andremo, amica cara.
Giunta è l’ora tanto attesa,
Tu sei mia, adesso. Io, tuo.
A. Kol’cov
ABBRACCIAMI, BACIAMI
(L’ULTIMO BACIO)
Abbracciami, baciami,
Accarezzami, vezzeggiami,
Ancora una volta, presto,
Baciami più forte.
Perché mi guardi addolorata?
Cosa nascondi in cuore?
Non essere triste, non soffrire,
Non versare lacrime dagli occhi;
Non le voglio, le lacrime,
Non la voglio, l’angoscia...
Strazia la mia anima
Il tuo abito di dolore,
Perché ti sei
Abbigliata così?
Agghindati: adornati
Del tuo abito azzurro
E sulle spalle getta
Lo scialle col bordo rabescato.
Quanto mi è grato adesso
Contemplarti!
Come primavera sei bella,
Mia sposa!
Ma abbracciami, baciami,
Accarezzami, vezzeggiami,
Ancora una volta, presto,
Baciami più forte!
M. Jacevic̆
SI LEVA IN CIELO LIMPIDA LA LUNA
Si leva in cielo limpida la luna,
Le nebbie si stendono sul campo,
Ti aspetto, amica mia meravigliosa,
Al mio richiamo amorevole rispondi.
Scendi qui sulla riva buia,
Ci nasconde l’oscurità azzurra,
Non noterà sguardo indiscreto
Il mio colloquio, qui, con te.
Oh! Tu vedrai quanto ti amo,
Ai sentimenti d’amore non son date
parole,
Li dice la dolcezza del bacio,
L’ardore degli abbracci, la fiamma degli
occhi.
Il canto Letterario
Si leva in cielo limpida la luna,
Le nebbie si stendono sul campo,
Ti aspetto, amica mia meravigliosa,
Al mio richiamo amorevole rispondi.
M. Lermontov
H. Heine (versione russa di A. Borodin)
COLME DI VELENO LE MIE CANZONI
Colme di veleno le mie canzoni,
E potrebbe non essere così?
Tu, cara, con tossico fatale
Hai saputo avvelenarmi la vita.
SENTO LA TUA VOCE
Sento la tua voce
Sonora e amorosa,
E come uccello in gabbia
Il cuore balza.
Incontro gli occhi tuoi
Azzurri e fondi,
E ad essi l’anima mia
Dal profondo anela.
Colme di veleno le mie canzoni,
E potrebbe non essere così?
Non poche serpi in cuore io reco,
E devo nel cuore portarti!
A. Borodin
UNA NOTA FALSA
Ed è l’allegria
E la voglia di piangere,
E al tuo collo,
Come mi getterei.
Mi assicurava sempre del suo amore,
Ma io no, non le credevo.
Una nota falsa risuonava
Nelle parole e nel suo cuore,
E lei, lei lo capiva.
L. Mej
IL MARE
INTONAZIONE
Romba in tempesta il mare,
Rotola le onde canute.
Un navigante va per il mare,
Giovane è, ardito,
Porta con sé una merce
Costosa, inestimabile.
Ma il vento e le ondate gli corrono
incontro,
Di gelida spuma lo investono.
Oh, è tempo che t’innalzi, canzone
russa,
Nunzia, distesa, vittoriosa,
Da città, da paesi, da campi,
D’intemperie e di sciagure avvolta,
Nel sangue, nelle lacrime battezzata e
aspersa!
Oh, è tempo che t’innalzi, canzone
russa!
Non da sola ti sei accordata, creata.
Dai deserti neve e pioggia ti hanno
formata,
Dagli incendi ti hanno portata fumo e
caligine,
Da umide tombe ti ha spazzata la
tormenta...
Torna e porta un ricco bottino:
Pietre preziose, broccato sfarzoso,
Grosse le perle, d’oro un tesoro,
E una giovane moglie.
Tocca all’audace una sorte invidiata,
Ricco bottino, libera volontà
E il tenero affetto d’una giovane
Il canto Letterario
moglie.
Romba in tempesta il mare,
Rotola le onde canute.
Lotta col mare il navigante intrepido,
Senza timore.
E pare domare l’onda furiosa,
E avere la meglio.
Ma il vento e le ondate gli corrono
incontro,
Via dalla riva sospingono la barca.
Raddoppia il vigore, fa forza sui remi,
Ma il mare ostinato non può superare.
Sempre più lontana è la barca,
L’onda la porta nel mare con sé.
Là, dove prima la barca viaggiava,
Il vento ora impazza, e l’onda canuta.
Autore sconosciuto
DOVE SEI MIA STELLA?
Dove sei mia stella?
Dove sei, luminosa?
O t’ha offuscato una nube nera,
Nube nera, minacciosa?
Dove sei, fanciulla,
Dove, mia bella?
O hai abbandonato il tuo amato?
Il tuo amato, adorato?
Una nube nera ha nascosto la stella,
La terra fredda s’è presa la fanciulla.
V. Kuroc̆kin
MA SE POTESSI INCONTRARTI
(L’ADDIO)
Ci siamo separati con orgoglio: non
una parola, una lacrima,
Di tristezza cenni non ti ho dato.
Ci siamo divisi per sempre...
Ma se potessi incontrarti!
Senza lacrime, né lamenti mi sono
piegata al destino.
E non so: m’hai fatto così male nella
vita,
Mi hai mai amata?..
Ma se potessi incontrarti!
A. Pus̆kin
NOTTE
La mia voce per te è tenera e languida,
Turba il silenzio, tardo, della notte
oscura.
Accanto al mio letto, triste, una
candela
Arde. I versi miei composti e
sussurranti,
Scorrono, ruscelli d’amore, scorrono,
pieni di te.
Scintillano i tuoi occhi, nel buio, innanzi
a me,
Mi sorridono, e odo risuonare:
Mio caro, amore mio... ti amo... sono
tua...
PER UN RITRATTO DI Z̆UKOVSKIJ
La dolcezza ammaliante dei suoi versi
Trapasserà lo spazio invidioso dei
secoli,
E, ascoltandoli, aspirerà alla gloria la
gioventù,
Si consolerà il dolore muto,
La gioia brillante si farà pensosa.
VI HO AMATA
Vi ho amata. L’amore, forse, ancora
Nel mio cuore non si è del tutto
spento.
Ma questo non vi inquieti più:
In nulla io voglio amareggiarvi.
Il canto Letterario
Vi ho amata in silenzio, disperato,
Ora da ritrosia, da gelosia straziato;
Vi ho amata in tenerezza e così sincero,
Come vi conceda Dio che vi ami un
altro.
Ma penso: quanto ti amo!
A. Kol’cov
Incantato da una rosa, un usignolo
(L’usignolo. Imitazione di Pus̆kin)
LA LETTERA BRUCIATA
Addio, lettera d’amore, addio! Lei m’ha
ordinato...
A lungo ho indugiato, a lungo non
voleva
La mano dare al fuoco le mie gioie!..
Ma basta, è giunta l’ora: brucia, lettera
d’amore.
Sono pronto, l’anima mia più nulla
sente.
Avida già la fiamma i tuoi fogli
accoglie...
Un minuto!.. si accendono! bruciano...
un lieve fumo
S’avvita e sperde con la mia preghiera.
Smarrita già l’impronta fidata
dell’anello,
Ribolle sciolta la cera... Oh,
provvidenza!
È fatto! Si arricciano i fogli anneriti.
Sulla cenere leggera i loro tratti amati
Biancheggiano... Il petto mi si stringe.
Cenere cara,
Povero conforto nel mio destino triste,
Resta in eterno con me sul doloroso
petto...
IL “TU” E IL “VOI”
Il vacuo voi con l’affettuoso tu
Nel parlare, lei, per sbaglio ha
sostituito,
Ogni sogno di felicità
Svegliando nel mio cuore innamorato.
Pensoso, sto a lei di fronte,
E di volgere lo sguardo non ho forza.
Le dico: come siete cara!
Incantato da una rosa, un usignolo
Giorno e notte canta su di lei;
Ma la rosa ascolta le canzoni e tace,
Avvolta in un sogno d’innocenza...
Sulla lira, così, un altro cantore
Canta per una giovane fanciulla,
Brucia di passione ardente,
Ma la cara fanciulla non sa,
A chi lui stia cantando, né perché
Tanto tristi siano le sue canzoni...
A. Mickiewicz (versione russa di L. Mej)
LA MIA MONELLA
La mia monella, quand’è allegra,
Come un uccello trilla argentina,
Come un uccello cinguetta e mormora,
Mormora e cinguetta così graziosa
Che temo col respiro di guastare
L’armonia dolce delle parole pure,
E interi giorni e la vita intera son
pronto
La bella ad ascoltare, ascoltare,
ascoltare!
Se il discorso è vivace e le accende gli
occhi
E le guance ancor più si fanno rosse,
Se nel sorriso, tra labbra scarlatte,
Come perle in corallo, scintillano i
denti...
Oh, in quei momenti, audace la guardo
Di nuovo negli occhi e aspetto un suo
bacio,
E più ascoltarla non voglio,
Ma solo baciarla, baciarla, baciarla!
Il canto Letterario
G. Byron (versione russa di I. Kozlov)
NELL’IMPETO D’AMOROSA TENEREZZA
(IMITAZIONE PORTOGHESE)
Nell’impeto d’amorosa tenerezza
Hai chiamato vita l’amato:
Un nome inestimabile, se in eterno
Fiorisse la viva gioventù.
Alla tomba tutto vola come freccia,
E tu, fra le carezze, ancora,
Non chiamarmi vita, ma anima,
Immortale, come l’amore per te.
A. Tolstoj
PIÙ ALTO IL CANTO DELL’ALLODOLA
Più alto il canto dell’allodola,
Più vividi i fiori in primavera,
Il cuore è pieno d’ispirazione,
Il cielo pieno di bellezza.
Strappate le catene dell’angoscia,
Rotti i ceppi della meschinità,
Affluisce di vita nuova
Una corrente gaudiosa.
E risuona, fresco e giovane,
Di nuove forze un ordine possente,
Come corde che si tendono
Fra il cielo e la terra.
NON IL VENTO CHE SOFFIA DALL’ALTO
Non il vento che soffia dall’alto,
Sfiora le foglie nella notte di luna,
L’anima mia l’hai sfiorata tu:
Come le foglie è trepida,
Ha, come la gusla, molte corde!
Il turbine della vita l’ha straziata
E nell’assalto rovinoso,
Tra fischi e ululati, ha strappato le
corde
E l’ha ricoperta di gelida neve.
La tua parola è carezza all’udito,
Lieve è il tuo tocco:
Peluria di fiori,
Alito di notte di maggio.
SI FRANGE SONORA E SPRUZZA L’ONDA
Si frange sonora e spruzza l’onda
Nei miei occhi un umido di sale;
Immobile siedo sullo scoglio,
L’anima colma d’istintivo ardire.
Onda dopo onda, s’avvicenda la
risacca,
E ricopre la schiuma le creste,
Oh mare, chi sfidare in battaglia,
Per provare le forze risorte?
Intuisce il cuore com’è bella la vita.
Voi, onde, disperdeste la pena,
Il rombo e lo scroscio destano l’anima,
Col mare frusciante d’una stessa
natura!
Il canto Letterario
domenica 2 dicembre 2007
Alla Gorobchenko mezzosoprano
Tatyana Kuzina pianoforte
Lisa Galantini voce recitante
Verso il Novecento
( P. C̆ajkovskij, D. S̆ostakovic̆, M. Minkov, S. Rachmaninov, R. Glier )
P. C̆ajkovskij
A. Ples̆c̆eev
D. Ratgauz
Ja. Polonskij
A. Tolstoj
J.W. Goethe (versione
russa di L. Mej)
(versione russa di A. Strugovs̆c̆ikov)
Nam zvëzdy krotkie sijali
Le stelle rilucevano miti
Noc̆’
Notte
Noc̆’
Notte
Sred’ s˘umnogo bala, sluc̆ajno
Nella folla del ballo, per caso
To bylo ranneju vesnoj
Era un’acerba primavera
Net, tol’ko tot kto znal, op.6 n.6
No, solo chi sa
Ne spras̆ivaj
Non domandarmi
D. S̆ostakovic̆ (1906-1975)
(versione russa di S. Bolotin
e T. Sikorskaja)
Ispanskie pesni, op.100
Canzoni spagnole
Pros̆c̆aj, Grenada!
Addio, Granada!
Zvëzdoc̆ki
Le stelle
Pervaja vstrec̆a
Primo incontro
Ronda
La ronda
C̆emookaja
Fanciulla dagli occhi neri
Son (barkarola)
Sogno (barcarola)
M. Minkov (1944)
F. Garcia Lorca (versione
russa di M. Cvetaeva)
Pejzaz̆
Paesaggio
Gitara
La chitarra
segue
Il canto Letterario
domenica 2 dicembre 2007 [continua]
P. Glier (1875-1956)
D. Ratgauz
O, ne vpletaj cvetov
Oh, non intrecciare fiori
S. Rachmaninov
F. Tjutc̆ev
M. Davidova
Vesennie vodi, op.14, n.11
Acque primaverili
Ja z̆du tebja, op.14, n.1
Ti aspetto
Il canto Letterario
A. Ples̆c̆eev
Ja. Polonskij
LE STELLE RILUCEVANO MITI
(PAROLE PER MUSICA)
NOTTE
Le stelle rilucevano miti,
Spirava piano un lieve vento,
Profumo di fiori attorno a noi,
E le onde, dolci mormoranti
Ai nostri piedi.
Giovani, amavamo,
E lontano guardavamo confidenti;
Vivevano in noi sogni leggiadri,
Incuranti di tempeste
Nel canuto inverno!
Dov’è di quelle notti lo splendore,
La loro bellezza profumata,
Delle onde il segreto mormorio?
Di speranze e entusiaste fantasie
Lo sciame luminoso, dov’è?
Sono spente le stelle, malinconici e
Chini e scoloriti i fiori...
E quando, cuore, ciò ch’è stato
Ciò che a noi la primavera donava,
Oblierai?
D. Ratgauz
NOTTE
Si spegne, fioca, la luce della candela...
Una tenebra triste ondeggia...
Mi stringe il petto la malinconia,
Con forza inusitata...
Sui miei occhi afflitti,
Piano, il sonno scende...
E col passato, in questo istante,
L’anima comincia il suo colloquio.
Un profondo dolore
L’ha sfinita...
Apparimi, almeno in sogno,
Amica mia lontana!..
Perché t’amo tanto, notte chiara,
Tanto t’amo che soffrendo ti
contemplo?
Perché mai t’amo, notte quieta?
Non a me, ad altri mandi pace!..
Che m’importa di stelle, luna, cielo,
nuvole,
Questa luce scivolata sul freddo
granito,
Che trasforma in diamante la rugiada
d’un fiore,
Che, dorato cammino, corre sul mare?
Notte! Perché amare la tua luce
d’argento!
Addolcisce la pena di lacrime celate,
Al cuore assetato darà l’agognata
risposta,
Risolverà del dubbio la spinosa
questione?
Che m’importa dell’oscurità dei poggi,
il palpito di foglie addormentate,
Del mare scuro e l’eterna risacca il
sussurro
La voce degli insetti nel buio dei
giardini
Il mormorio armonioso dell’acqua
sorgiva?
Notte! perché devo amare il tuo
segreto brusio!
Darà refrigerio al bruciante abisso
dell’anima,
Soffocherà la ribelle tempesta dei
pensieri,
Tutto ciò che nel buio è più acceso e
più nel silenzio si sente?
Io stesso non so, perché t’amo, notte,
Tanto t’amo che soffrendo ti
contemplo!
Io stesso non so, perché t’amo, notte,
Il canto Letterario
Forse perché la mia pace è lontana!
Fu all’ombra delle betulle,
Dinanzi a me, tu, sorridente,
Chinasti gli occhi.
A. Tolstoj
NELLA FOLLA DEL BALLO, PER CASO
Nella folla del ballo, per caso,
Nella concitata mondana vanità,
Ti vidi, ma il mistero
Velava i tuoi tratti.
Solo gli occhi guardavano mesti,
La voce suonava meravigliosa:
Melodia di flauto lontano,
Un’onda giocosa di mare.
Mi piacque la snella figura
La tua aria pensosa,
E il riso, triste e argentino,
Risuona d’allora nel cuore.
Nelle ore solitarie della notte
Mi piace, stanco, coricarmi:
Vedo gli occhi mesti,
Sento le gaie parole;
E mi assopisco triste,
E dormo in sogni arcani...
Se t’amo, non so,
Ma d’amarti mi pare!
In risposta al mio amore, allora,
Chinasti le palpebre...
Oh, vita! bosco! luce del sole!
Giovinezza! speranze!
E piansi dinanzi a te,
Guardando il caro volto,
Era un’acerba primavera,
Fu all’ombra delle betulle!
Era il mattino dei nostri anni,
Oh felicità! lacrime!
Bosco! vita! luce del sole!
Fresco alito di betulla!
J. W. Goethe
NO, SOLO CHI SA (versione russa di L. Mej)
No, solo chi sa
Il desiderio d’un incontro,
Può capire quanto ho sofferto
E quanto soffro.
ERA UN’ACERBA PRIMAVERA
Guardo lontano... la forza mi vien
meno,
Mi si annebbia la vista...
Ah, chi mi amava
E conosceva è lontano!
Era un’acerba primavera,
L’erba spuntava appena,
Scorrevano i ruscelli, mite la calura,
E il verde dei boschetti, trasparente.
No, solo chi sa
Il desiderio d’un incontro,
Può capire quanto ho sofferto
E quanto soffro.
Il corno dei pastori, la mattina,
Ancora non squillava,
E, nei viluppi del fossato,
Esile ancora la felce.
Il petto è in fiamme... Chi sa
Il desiderio d’un incontro,
Capirà quanto ho sofferto
E quanto soffro.
Era un’acerba primavera,
Il canto Letterario
NON DOMANDARMI
(versione russa di A. Strugovs̆c̆ikov)
luminosa.
Non domandarmi nulla, non farmi
confessare!
Del silenzio su di me sta il sigillo;
Dire tutto è l’unico mio desiderio,
Ma in segreto son condannata a
soffrire!
Là, il ghiaccio eterno ricopre le vette,
Sui campi, qui, si adagia l’ombra
notturna,
A primavera la fonte ritrova il suo
zampillo,
All’alba di nuovo spunta il sole,
All’alba di nuovo spunta il sole.
E a tutti, a tutti conforto è dato nel
dolore:
L’amico, che il cuore alleggerisce.
A me col giuramento sulle labbra
Solo è data la pazienza,
E soltanto Dio, Dio solo le può
schiudere!
LE STELLE
(versione russa di T. Sikorskaja)
CANZONI SPAGNOLE
ADDIO, GRANADA
(versione russa di S. Bolotin)
Addio Granada, Granada mia,
Da te per sempre devo separarmi!
Addio, amato paese, delizia agli occhi,
Addio per sempre! Ah!
Il ricordo di te sarà il mio unico conforto,
Mio amato, mio nativo paese!
Per sempre il cuore
La nostalgia ha trafitto,
Tutto è perduto, quel che in vita era
caro,
Il mio amore se n’è andato
Nella tenebra della tomba,
E la vita se n’è andata!
Tutto adesso mi è odioso,
Di vivere, come prima, non ho forza,
Là, dove la giovinezza fu tanto
Sotto i vecchi cipressi s’argenta
Lungo la costa il mare.
Vado dall’amata con la chitarra,
Per insegnarle le canzoni.
Ma d’insegnare gratis non ho voglia:
Le prenderò un bacio per nota.
Strano, al mattino lei sa
Tutto, tranne le note!
Peccato sia tardi per ricominciare!
Peccato sia l’aria già chiara!
Peccato che anche di giorno
Non tremino sul golfo trepide le stelle...
Il cielo infinito è stellato,
Fitta di stelle, la torrida mezzanotte.
Alla mia amata indico i nomi
Di tutte le innumeri stelle.
Ho caro il mio sapere,
E le prenderò un bacio per nome.
Strano, la lezione le pare semplice:
Tutto, tranne le stelle!
Peccato sia tardi per ricominciare!
Peccato sia l’aria già chiara!
Peccato che anche di giorno
Non tremino sul golfo trepide le stelle...
PRIMO INCONTRO
(versione russa di S. Bolotin)
Presso un ruscello una volta
Tu mi desti dell’acqua,
Acqua fresca, gelida,
Come neve di gole di monti azzurri.
Più scuro della notte il tuo sguardo,
Nelle trecce l’aroma di petali
Di menta selvatica...
Il canto Letterario
Vedi, vortica ancora il girotondo,
Romba, tintinna, canta il tamburello.
Ogni ballerino guida la sua dama,
E li guarda ammirata, la gente.
Suona, mio tamburello, suona,
Romba come tuono!
Io e la mia amata danziamo in coppia.
Più azzurro dei cieli il tuo nastro!
Suona, mio tamburello, suona!
Suona, tamburello! Tamburello, suona!
Mai dimenticherò
Quel primo incontro,
Le parole amorevoli e la mano bruna,
E il bagliore degli occhi neri...
Ho capito in quest’ora
Che t’amo e
Sempre t’amerò!
Vedi, vortica ancora il girotondo,
Romba, tintinna, canta il tamburello.
Ogni ballerino guida la sua dama,
E li guarda ammirata, la gente.
Suona, mio tamburello, suona,
Romba come tuono!
Io e la mia amata danziamo in coppia.
Più azzurro dei cieli il tuo nastro!
Suona, mio tamburello, suona!
Suona, tamburello! Tamburello, suona!
LA RONDA
(versione russa di T. Sikorskaja)
Rimbomba il girotondo alle nostre
porte,
E’ tempo d’allegria.
Vieni, presto, a ballare con me,
Fiore di garofano scarlatto!
Nella quiete di luna si ode il suono del
ruscello...
Dammi la mano, mia fanciulla,
Fiore di garofano scarlatto!
La via è un vivido giardino.
Risuonano i lazzi, scintillano gli occhi.
Vortica la ronda e canta,
Risplende d’argento di stelle il cielo,
Guizzano allegre le coppie...
È la festa gioiosa dei primi fiori,
È la festa del nostro amore!
Giocano nel raggio di luna,
Sulla finestra, le ombre dei mandorli...
Quando verrai qui da me,
Mio tenero fiore di primavera?
Un ramo di mandorlo dall’albero
strappa,
Dammelo in segno del tuo amore,
Mio tenero fiore di primavera!
La via è un vivido giardino.
Risuonano i lazzi, scintillano gli occhi.
Vortica la ronda e canta,
Risplende d’argento di stelle il cielo,
Guizzano allegre le coppie...
È la festa gioiosa dei primi fiori,
È la festa del nostro amore!
FANCIULLA DAGLI OCCHI NERI
(versione russa di T. Sikorskaja)
Tua madre t’ha dato occhi di stella,
Il tenero colore delle guance brune,
Mia amata!
Col dolore in cuore, a tarda notte,
Vago, senza te, solo,
Mia amata!
Ah, perché mi ha punito il destino?
Ah, perché ti ho incontrata?
Morirò di questo amore folle,
Se tu non mi amerai,
Mia amata!
Tua madre ti ha dato corpo alto,
Il lampo nero dei ricci ribelli,
Mia amata!
Maledico il destino avverso,
Le pene e i tormenti dell’anima mia,
Mia amata!
Il canto Letterario
Oh, perché ha saputo darti tua madre
Così tanta bellezza, per mio danno?
Morirò di questo amore folle,
Se tu non mi amerai,
Mia amata!
Di angosciose grida d’uccelli.
Oh, stormo di poveri prigionieri!
Gioca la tenebra notturna
Con le loro lunghe code.
LA CHITARRA (versione russa di M. Cvetaeva)
SOGNO
(versione russa di S. Bolotin e T. Sikorskaja)
Che cosa voglia dire non so...
Ho fatto un sogno meraviglioso,
In una barca di pescatori
Navigavo su onde tempestose.
Non aveva remi, la navicella,
Li avevo gettati via...
Le onde schiumano, s’infuriano
E affondano la barca,
Ma coraggiosamente io mi lancio
In mezzo alle scure, enormi ondate
Perché in questa barca di pescatori,
Sull’indocile fondo marino,
Anche tu, mia orgogliosa,
Nelle onde ti lanci assieme a me
E sembri amarmi anche tu!
O mia cara! Guarda, come corre
Nella sua fragile barchetta, sul mare,
Questo povero giovane, che tanto ti
ama!
Comincia
Il pianto della chitarra.
Si rompe la coppa del mattino.
Comincia il pianto della chitarra.
Oh, non attenderti da lei
Il silenzio,
Non chiedere a lei
Il silenzio!
La chitarra piange,
Come acqua giù dai pendii, piange,
Come venti sulle nevi, piange,
Non pregarla
Del silenzio!
Così piange il tramonto l’aurora,
Così piange la freccia senza meta,
Così la sabbia arroventata piange
La fresca bellezza delle camelie,
Così si congeda dalla vita l’uccello
Minacciato dalla lingua della serpe.
Oh, chitarra,
Povera vittima
Di cinque svelti pugnali!
F. Garcia Lorca
D. Ratgauz
PAESAGGIO (versione russa di M. Cvetaeva)
OH, NON INTRECCIARE FIORI PROFUMATI
La pianura d’olivi
Spiega il suo ventaglio.
Sui rampolli d’olivo
Si china basso il cielo,
E si effondono, scura pioggia,
Astri gelidi.
Al canale, sulla riva,
Trema il giunco e l’oscurità,
E – terzo – un vento grigio.
Sono folti gli olivi
Oh, non intrecciare fiori profumati
Alla mia corona mezzo appassita!
Dei miei sogni più puri, da tempo
S’è spenta l’ultima fiammella.
Non ripetere con quel sorriso chiaro
Che ti ha spinta a me l’amore.
Mia cara amica, meravigliosa amica,
Io non voglio amarti.
Scaccia al più presto i tuoi desideri,
E lasciami alla mia quiete.
Il canto Letterario
Che posson dare a te le sofferenze
D’un’anima estenuata?
F. Tjutc̆ev
ACQUE PRIMAVERILI
Nei campi ancora biancheggia la neve,
E già gorgogliano in primavera le
acque,
Corrono e svegliano la riva
addormentata,
Corrono, scintillano, e dicono così...
Dicono così ai quattro venti:
“Arriva primavera, arriva primavera,
Siamo i giovani nunzi di primavera,
Siamo mandati avanti da lei!
Arriva primavera, arriva primavera,
E dei quieti, caldi giorni di maggio
Il roseo, chiaro girotondo
Si affolla allegro dietro a lei!..”
M. Davidova
TI ASPETTO
Ti aspetto! Il tramonto s’è spento,
E gli scuri veli della notte
Stanno per calare sulla terra
E nasconderci.
Ti aspetto! Di tenebra odorosa
La notte ha inebriato il mondo assopito
E s’è separato il giorno trascorso
Per sempre dalla terra.
Ti aspetto! Straziandomi e amando,
Conto ogni attimo,
Colma di nostalgia e impazienza.
Ti aspetto!
Il canto Letterario
SUSANNA RIGACCI
soprano lirico coloratura
È nata in Svezia da famiglia di musicisti ed ha compiuto gli studi musicali presso il Conservatorio
“L. Cherubini” di Firenze. Successivamente si è perfezionata con Gina Cigna ed Iris Adami
Corradetti, sotto la cui guida si afferma ai Concorsi Internazionali “Maria Callas” (Concorso RAI),
e “Sängerförderungspreis” al Mozarteum di Salzburg, dove consegue il primo premio assoluto.
Debutta in Rosina nel Barbiere di Siviglia come vincitrice del Concorso Battistini. Da allora ha
cantato nei maggiori teatri ed enti lirici italiani (La Scala di Milano, Maggio Musicale Fiorentino,
La Fenice di Venezia, Opera di Roma, Filarmonico di Verona, Massimo di Palermo, Regio di Parma,
Bellini di Catania, Comunale di Bologna) e all’estero (Carnegie Hall a New York, Opéra Comique
e Théatre Châtelet a Paris, Salle Molière a Lyon, Filarmonica a Praga, Barbican, Queen Elizabeth
Hall e Royal Albert Hall a London, ecc.).
Susanna Rigacci canta in sei lingue, ha un ampio repertorio operistico che comprende sia opere
barocche (Pergolesi, Vivaldi, Cimarosa, Stradella, Scarlatti, Händel), che ruoli di coloratura
nell’opera mozartiana (Flauto Magico, Ratto dal Serraglio, Re Pastore), nonché belcanto italiano
e repertorio rossiniano. E’ interprete: nel repertorio francese di Racconti di Hoffmann, Lakmè,
Mignon, Hamlet, Dinorah; in quello tedesco Der Freischutz e Ariadne auf Naxos.
Si dedica sempre più frequentemente al repertorio contemporaneo, invitata da prestigiosi Enti
nonché ensembles strumentali (come: Recherche Ensemble, Ensemble Nuovo Contrappunto,
Contemporart-Ensemble con i quali ha effettuato incisioni discografiche, tra cui “Aspern” di S.
Sciarrino).
Dal 2001 è voce solista di Ennio Morricone, nei concerti in Italia e nel mondo. E’ stata interprete
di prime esecuzioni assolute di Francesco Pennisi (Tristan, Le esequie della luna, L’ape iblea), di
Matteo D’Amico, Carlo Galante, Alessandro Sbordoni ed è stata la protagonista della prima
esecuzione italiana di: The English Cat di Henze al Comunale di Bologna e L’Uomo che scambiò
la moglie per un cappello (Michael Nyman).
Ha cantato sotto la direzione di: Giuseppe Sinopoli, Luciano Berio, Lü Jia, Gianluigi Gelmetti,
Bruno Bartoletti, Ennio Morricone, Marcello Panni, Gustav Kuhn, George Fisher, Arnold Östman,
Carlo Franci, Alberto Zedda, Gabriele Ferro, Bruno Campanella. Ha lavorato sotto la regia di: Luca
Ronconi, Pierluigi Pizzi, Silvano Bussotti, Ljubimov, Gabriele Salvatores, Carlo Maestrini, Mikael
Hampe, Filippo Crivelli.
Ha inciso per Erato, Philips, Bongiovanni, Ricordi e Dynamic, fra cui spiccano: produzioni barocche
con I solisti veneti, esecuzioni cameristiche e operistiche del belcanto italiano, nonché prime
esecuzioni di opere contemporanee.
CLAUDIO PROIETTI
pianista
È nato a Roma e vive a Pisa. Si è formato con Luciano Cerroni e Bruno Canino, per il pianoforte,
con Mauro Bortolotti, per la composizione, con Nino Pirrotta e Fedele D’Amico per la musicologia.
Ha suonato in tutta Italia e all’estero collaborando con orchestre, direttori, strumentisti e cantanti
di grande prestigio. Particolarmente significativa è l’attività svolta con E.CO. Ensemble per
l’Esperienza Contemporanea, da lui fondato nel 1989, con il quale ha partecipato ai più
importanti festival e stagioni in Italia, Europa e Sud America. Ha registrato per la RAI e inciso vari
dischi fra cui alcuni monografici con composizioni di Liszt, Bartók, Schoenberg.
E’ docente di pianoforte al Conservatorio “Paganini” di Genova dal 1982. Ha tenuto numerosi
seminari strumentali e corsi per teatri, enti e istituti universitari. Si occupa anche di progettare e
organizzare attività didattiche e formative indirizzate tanto ai giovani artisti (cantanti, maestri
collaboratori, operatori teatrali) quanto al pubblico. In tale veste dal 1997 è responsabile di
Il canto Letterario
questo settore nella Fondazione Teatro di Pisa e dal 2001 coordinatore del progetto Opera Studio
dei teatri di Livorno, Lucca e Pisa. E’ stato direttore artistico di CittàLirica Orchestra e Coro dal
2002 al 2004.
Per molti anni ha svolto attività di critico musicale con vari giornali e riviste. Come musicologo
ha pubblicato numerosi testi, in massima parte dedicati alla musica del Novecento, fra cui una
monografia pubblicata dall’IRCAM di Parigi e dedicata al compositore Ivan Fedele e, per le
Edizioni ETS nel 2007, il volume “Il Mikrokosmos di Béla Bartók – Analisi, interpretazioni,
indicazioni didattiche ed esecuzione integrale” contente in due cd allegati la sua registrazione
integrale dell’opera.
NADIYA PETRENKO
Mezzosoprano
Nata a Leopoli (Ucraina) si è diplomata in canto all’Accademia Musicale di Leopoli. Ha quindi
seguito corsi di perfezionamento all’Accademia Musicale di Mosca e all’Università di Princeton
(USA), corsi di alto perfezionamento tenuti da Katia Ricciarelli (Italia), ha studiato canto con il M°
Angelo Bertacchi e con il M° Gioacchino Gitto (Italia).
Ha lavorato pressoché stabilmente nel suo paese natale per il Teatro dell’Opera di Leopoli dove
ha interpretato i ruoli di Azucena (Verdi, Trovatore), Amneris (Aida), Fenena (Nabucco), Eboli (Don
Carlo), Santuzza (Mascagni, Cavalleria Rusticana), Polina (Chaikowsky, La Dama di Picche), Olga
(Eugenio Onegin), Suzuchi (Puccini, Madama Batterfly).
Fino al 1996 è stata Prima Solista alla Filarmonica di Crimea (Yalta), fino al 2000 Prima Solista
alla Radio Statale dell’Ucraina (Kiev) e Prima Solista alla Sala Nazionale dei concerti di Kiev ove
si è fra l’altro esibita con Vladimir Spivakov e la famosa orchestra d’archi I Virtuosi di Mosca
eseguendo il Gloria di Vivaldi. Dal 1998 al 2000 ha lavorato anche al Teatro d’opera sperimentale
di Kiev dove ha cantato opere di Bortnianskij, Cimarosa, Mozart, Offenbach ecc. Nel 1997 ha
cantato nella famosa Sala di Chaikowsky di Mosca eseguendo un programma di musiche di
compositori russi. Ha contemporaneamente tenuto tournée negli USA, Canada, Inghilterra,
Germania, Spagna, Polonia, Ungheria, Taiwan e Italia. Nella fonoteca statale della Radio di Kiev
si trovano numerose sue registrazioni del repertorio classico-operistico, di musica da camera e di
musica sacra. Le sono stati assegnati numerosi premi e riconoscimenti fra cui il più prestigioso
quello di Artista meritevole dell’Ucraina da parte del Ministero della Cultura dell’Ucraina.
Trasferitasi in Italia nel 2000 ha approfondito ulteriormente lo studio del repertorio italiano. Nel
2000 ha vinto il primo premio assoluto al X Concorso Riviera della Versilia. Nel 2001 il terzo
premio al Concorso Internazionale Lirico Rolando Nicolosi, il terzo premio al Concorso
Internazionale di Arenzano e il primo premio al Concorso Internazionale Lirico Nino Carta a
Moncalieri, nel 2002 il terzo premio al Concorso Internazionale Città di Minerbio. Ha svolto
attività concertistica a Torino, Palermo, Piacenza, Cremona, Crema, Parma, Busseto, Milano ecc.
Ha partecipato a numerosi festival quali: Belcanto sotto le stelle, 4° Festival Europeo Duchi di
Acquaviva, Festival di musica antica di Tremosine Felice Luscia, L’incanto del barocco di Gardone
Val Trompia, Armonie fra Musica e Architettura a Vitriola.
Ha interpretato i ruoli di Madlon da Andrea Chénier (Lecce, Brescia, Bergamo, Como, Pavia e
Cremona nel 2004), Santuzza da Cavalleria Rusticana di Mascagni (Cremona, 2004), Fenena dal
Nabucco di Verdi (Bassano del Grappa e Jesolo, 2004), Amneris dall’Aida di Verdi (Reggio
Calabria, 2005) e cantato nel Requiem di Verdi per l’Operafestival di Fiesole nel 2005.
Nel 2006 ha cantato nel Requiem di Mozart al Teatro Comunale di Fano; Otello a Rovigo, Bolzano,
Rimini, Ravenna, Adriana Lecouvreur a Neustrelitz - Germania, La morte di Cleopatra a Narni. Fra
gli impegni del 2007, Rigoletto all’Opera di Narni, La forza del destino a Malta. Macbeth a
Cremona e Brescia.
Il canto Letterario
LINO BINDA
chitarra
Intraprende giovanissimo gli studi musicali presso la Scuola “U. Sterzati” di Cremona sotto la
guida del M.° G. Molinari e successivamente del M.° P. Manfredini. Prosegue gli studi al
Conservatorio “A. Boito” di Parma dove si diploma con il massimo dei voti sotto la guida del M.°
Enrico Tagliavini. Ha frequentato Master Class con Maurizio Colonna, Manuel Barrueco ed
attualmente si sta perfezionando con il M.° Giampaolo Bandini, docente di chitarra presso
l’Accademia di Alto Perfezionamento del Teatro Cinghio di Parma. L’intensa attività concertistica
lo ha portato ad esibirsi per importanti istituzioni, festival chitarristici e teatri, tra i quali: il Teatro
“Le Vigne” di Lodi, il Teatro “Cinghio” di Parma, Palazzo Zoboli di Reggio Emilia, il Teatro “G.
Verdi” di Castelsangiovanni (Piacenza), il Teatro “A. Ponchielli” di Cremona, Palazzo “Fodri” di
Cremona nell’ambito della Triennale degli strumenti ad arco, Palazzo “Cattaneo” di Cremona per
il Lyceum International, Palazzo Tè di Mantova, Rocca di Sala Baganza (Parma), Teatro di Buscoldo
(Mantova), Corte Melone di Mariana Mantovana per l’Associazione Postumia, Palazzo “Orlandi”
di Busseto (Parma) per il circolo lirico verdiano Falstaff, Palazzo della Pilotta (Parma). Ha inoltre
partecipato ad importanti rassegne, quali: “Piediluco in musica”, “Bel canto sotto le stelle” e
“Musica nei borghi storici” organizzati dall’Amministrazione Provinciale di Cremona, “Castelli in
musica” promosso dall’Accademia Musicale Padana. Dal 2000 collabora stabilmente con la
“Camerata Ducale di Parma” con la quale ha inciso il CD “Sonar con Arco e Pizzico” per
Mediterraneo con musiche di N. Paganini. Nello stesso anno, è stato invitato al Festival
Internazionale della chitarra classica “Niccolò Paganini”, dove ha presentato in prima esecuzione
“Suite per Ele”, scritta dal compositore Federico Mantovani. Nel 2001, insieme al chitarrista
Corrado Braga, ha costituito il duo chitarristico Corrado Braga – Lino Binda. Con la nuova
formazione ha inciso due lavori discografici: il primo intitolato “L’Arte della Trascrizione”, mentre
il secondo intitolato “Il Vivace Contrattempo” con la partecipazione del tenore Luca Bodini.
CORRADO BRAGA
chitarra
Ha iniziato gli studi musicali presso la Scuola di Chitarra Classica “Umberto Sterzati” di Cremona.
Successivamente prosegue il suo cammino didattico nella prestigiosa classe del maestro Ruggero
Chiesa presso il Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano. Conseguito il diploma frequenta
importanti corsi di perfezionamento con autorevoli esponenti del mondo chitarristico. Negli ultimi
anni ha intrapreso una profonda ricerca metodologica sui fondamenti di tecnica strumentale
nonché sull’interpretazione musicale con il Maestro Giampaolo Bandini, docente di chitarra
presso l’Accademia del Teatro Cinghio di Parma . Attualmente è docente della cattedra di chitarra
classica presso la Scuola Media Statale ad indirizzo musicale “M.G. Vida” e presso la Scuola di
Musica Pontesound di Cremona . Si dedica da tempo alla ricerca nel campo della didattica
chitarristica e in particolar modo a quella rivolta agli studenti della Scuola media ad indirizzo
musicale.L’intensa attività concertistica lo ha portato ad esibirsi per importanti istituzioni, festival
chitarristici e teatri, tra i quali il Teatro Cinghio di Parma, il Teatro Regio di Torino, Palazzo
“Orlandi” di Reggio Emilia, Teatro “Amilcare Ponchielli “ di Cremona, Teatro “Giuseppe Verdi “ di
Castelsangiovanni (Piacenza), Palazzo Tè di Mantova, Palazzo “Fodri” di Cremona nell’ambito di
una manifestazione organizzata dall’ente Triennale degli strumenti ad arco, Festival
Internazionale della chitarra classica “Niccolò Paganini”, ecc.Sul versante cameristico suona
stabilmente in duo con il chitarrista Lino Binda con il quale ha fondato il duo chitarristico
“Corrado Braga – Lino Binda” ed ha inciso due lavori discografici : “ L’Arte della Trascrizione “
e “ Il Vivace Contrattempo “ riscuotendo notevoli consensi di pubblico e di critica .
Il canto Letterario
EKATERINA GAIDANSKAYA
Soprano
Nasce a Mosca. Inizia a studiare canto nella sua città con Rusana Lisizian, figlia del celebre
baritono Pavel Lisizian. Nel 1999 si trasferisce in Italia per perfezionarsi nell’opera italiana presso
il Conservatorio “N. Paganini” di Genova, dove si è diplomata nel 2004 con il massimo dei voti
sotto la guida di Carmen Vilalta.
Nel marzo 2002, al Teatro Gustavo Modena di Genova, ha partecipato a uno spettacolo-concerto
dedicato a musiche di Astor Piazzola sotto la direzione di Massimiliano Damerini. Nel maggio
2002, sempre al Teatro Modena, ha debuttato il ruolo di Arminda nella Finta Giardiniera di
Mozart.
Nel maggio 2005 ha vinto il Primo Premio al Concorso Città di Assisi. Nel 2004 ha debuttato il
ruolo di Elisetta nel Matrimonio segreto di Cimarosa al Teatro Gustavo Modena di Genova. Nel
novembre dello stesso anno, insieme al Maestro Massimiliano Damerini, ha eseguito, nella Sala
del Conservatorio “N. Paganini” di Genova, in presenza dell’autore, Cancion di Luis De Pablo, per
soprano clarinetto e pianoforte.
Ha vinto un premio speciale all’undicesima edizione del Concorso Internazionale “Giambattista
Velluti” di Dolo (Venezia). Nel dicembre 2006 ha eseguito in prima assoluta, alla Casa di Paganini
di Genova, Nodi di Massimo Pastorelli, per soprano flauto e pianoforte, su testi scritti
appositamente da Edoardo Sanguineti. Nel febbraio 2007 ha debuttato nel Didone e Enea di
Purcell e nel Satyricon di Maderna nei teatri di Livorno, Lucca, Pisa, sotto la direzione Luca Pfaff.
Nel maggio 2007 ha vinto il “Premio Riccardo Zandonai” a Riva del Garda e il Secondo Premio
al “Concorso Internazionale dei Duchi d’Acquaviva” ad Atri.
Nel giugno 2007, per la Fondazione Arena di Verona, ha debuttato in Alfred, Alfred di Franco
Donatoni, ancora diretta dal M° Luca Pfaff.
Attualmente fa parte dell’Accademia di Alto Perfezionamento del Teatro alla Scala di Milano.
TIZIANA CANFORI
Pianista
Diplomata in pianoforte e clavicembalo, è stata allieva a Parigi di Huguette Dreyfus e Kenneth
Gilbert, con cui ha conseguito il diploma di perfezionamento in clavicembalo presso la Staatliche
Hochschule für Musik und Darstellende Kunst di Stoccarda. Successivamente ha ottenuto il
Diploma di Merito dell’Accademia Chigiana di Siena e il Premio Respighi presso la Fondazione
Cini di Venezia. Come clavicembalista esegue un repertorio che va dalle origini della letteratura
cembalistica al Novecento, mentre al pianoforte si è dedicata particolarmente al repertorio
vocale, stringendo collaborazioni con diversi cantanti con i quali esegue di preferenza il repertorio
della grande liederistica tedesca e della mélodie francese, mettendo volentieri l’accento anche sul
meno conosciuto repertorio da camera italiano.
Laureata in Lettere presso l’Università di Genova con una tesi di Letteratura Teatrale Italiana, ha
collaborato come musicista con il Teatro Stabile di Genova e con il Teatro dell’Archivolto. Ha
prodotto inoltre diversi spettacoli curandone l’aspetto musicale e quello della scena. Dal 1984 è
docente di conservatorio e dal 2004 insegna “Pratica dell’accompagnamento vocale al
pianoforte e al clavicembalo” nel Biennio sperimentale del Conservatorio Paganini di Genova.
Nell’ambito di un’intensa collaborazione alle attività culturali del Comune di Bonassaola (SP), è
direttore artistico degli “Incontri Musicali a Sant’Erasmo” .
Nel 2005 ha pubblicato il volume Benedetto Marcello, un “dilettante di contrappunto” nella
Venezia del Settecento presso l’editore San Marco dei Giustiniani di Genova.
Il canto Letterario
ALLA GOROBCENKO
Mezzosoprano
Nata a Kiev (Ukraina). Diplomata in pianoforte, inizia gli studi di canto presso l’Accademia
musicale di Kiev sotto la direzione della maestra L. Krijanovskaya, laureandosi in canto lirico e da
camera. Inizia la sua carriera come solista presso il Coro Nazionale Kapella Nazionale “Dumka”
partecipando a svariate tournée in tutta Europa. Nel frattempo si esibisce in diversi concerti
presso la Filarmonica e l’Opera di Kiev, ottenendo riconoscimenti a livello governativo quale
artista nazionale meritevole. Inoltre, si esibisce come solista in diversi paesi europei (tra cui
Francia e Olanda) e nei paesi dell’ex-Unione Sovietica, presentando un vasto repertorio lirico,
cameristico e soprattutto sinfonico (Stabat Mater di Rossini e di Pergolesi, la Messa n. 2 di
Bruckner, la Messa dell’Incoronazione e la Messa in do min. di Mozart, la Messa Solennelle di
Beethoven, il Gloria e lo Stabat Mater di Vivaldi, la Passione Secondo Matteo di Bach, ecc.). Per
la Radio Nazionale Ucraina ha registrato lo Stabat Mater di Pergolesi. Partecipa intensamente
come protagonista alle prime esecuzioni delle più importanti composizioni degli autori
contemporanei ucraini. Nell’anno 2000 si trasferisce in Italia dove si perfeziona dapprima sotto
la guida del tenore Ugo Benelli e poi del basso Giorgio Giuseppini. Partecipa a numerosi concorsi
lirici dove risulta sempre tra le vincitrici. Degne di nota tre tournée in Canada per le recite di
Traviata (Flora), Rigoletto (Maddalena), Aida (Amneris). In Olanda, presso il Concertgebow di
Amsterdam, canta la Messa di Requiem di G. Verdi e il Requiem di Mozart, la Carmen di Bizet e
Kindertotenlieder di G. Mahler. In Germania e in Danimarca canta come solista nella Nona
Sinfonia di Beethoven e nella Seconda Sinfonia di G. Mahler.. Nel giugno 2001 canta in Canada
(Opera Mississauga) la parte di Maddalena nel Rigoletto di G. Verdi diretto dal M° Stefano
Mastrangelo. Nel 2002 trionfa in Canada nell’Aida (Amneris), diretta dal M° Dwight Bennet.
Nell’estate del 2002 Partecipa ai Corsi di Perfezionamento del M°Luisa Maragliano, ottenendo
una borsa di studio. Nel gennaio 2003 ha partecipato al Concerto di Capodanno organizzato
dall’Associazione A.Co.Mus. di Sarzana (La Spezia), con l’Orchestra Camerata di Kiev diretta dal
M° Valery Matiuhin. Nel novembre 2004 è tra gli interpreti di Cavalleria rusticana a Lisbona. Nel
2005 si esibisce in Belgio in vari concerti di musica lirica. Tra i prossimi impegni si segnalano una
tournée in Germania, Danimarca e Olanda durante la quale canterà in Das Lied von der Erde di
Mahler, nel Requiem di Verdi e di Mozart.
TATIANA KUZINA
Pianista
Ha svolto attività concertistica in Italia(Firenze, Bologna, Carrara, Roma etc..)e all’estero,
svolgendo assieme alla attività concertistica, ha lavorato con artisti di fama internazionale, oggi
in carriera nei più grandi teatri del mondo. In Italia, ha tenuto un Master Class di canto assieme
al basso Giorgio Giuseppini; svolge attività concertistica come pianista accompagnatore cantanti.
E’ stata docente di pianoforte accompagnatore cantanti presso il Conservatorio
“P.Tchaikowsky”di Kiev, collaborando per 4 anni con il tenore Misha Didik; ha collaborato con
l’Orchestra Nazionale di Stato dell’Ucraina, con il Teatro dell’Opera di Kiev, e con il l’Orchestra
Sinfonica di Kiev; ha tenuto nel 2001 un Concerto di gala presso la Ambasciata Russa, e nello
stesso anno un Concerto in Vaticano davanti alla presenza di sua Santità Papa Paolo Giovanni II.
Ha suonato per molte reti televisive di stato. Nel 2003 ha svolto una “Cavalleria Rusticana” (5
recite) in Lisbona (Portogallo), ed una serie di concerti a Charleroi (Belgio). Ha collaborato con il
mezzosoprano Laura Bulian, ed ha svolto come pianista collaboratrice, alcuni Concorsi
Internazionali in Italia (Vercelli, Genova, etc..) con il mezzosoprano Alla Gorobchenko. Ha
lavorato con i seguenti artisti : i tenori Aldo Bertolo, Enrico Nenci, Nicola Lemanni Rossi, il
baritono Massimiliano Fichera, il soprano Gianna Queni. Nel 2004 è stata pianista collaboratore
Il canto Letterario
al Festival di Torre del lago Puccini e lo stesso anno ha svolto dei concerti in Kiev (Ucraina) con
i soprani Tatiana Harauzova, Katerina Strashenko ed il tenore Jury Lukianenko. Nel 2005 ha
organizzato scambi culturali tra artisti italiani in Ucraina e viceversa, nell’ambito della Lirica,
Strumentale e Danza e nello stesso anno ha inciso un Cd con il mezzosoprano Alla Gorobchenko.
E’ stata pianista collaboratore nell’opera “Madama Butterfly” a Santa Margherita Ligure. Ha
ultimamente partecipato alla IV°Edizione del Festival Lirico di Carrara assieme al mezzosoprano
Alla Gorobchenko, eseguendo un programma su S. Rachmaninov e D.Sostakovich. Ha in
preparazione i Vier Letzte Lieder (Four Songs) con il soprano tedesco Sylvia Koncza (Zoagli-GE-).
Ha ultimamente svolto delle audizioni con dei cantanti, dal M° Bruno De Simone.
LISA GALANTINI
Attrice
Nasce a Pisa, studia danza e si diploma alla scuola del Teatro Stabile di Genova, approfondendo
i suoi studi in corsi e seminari condotti da S. Berk, M. Grande, E. Sanguineti e M. Fabbri.
Recita per il Teatro Stabile di Genova, il Teatro di Piazza e d’Occasione, la Goldoniana Giovani e
per il Teatro della Tosse.
Tra i film cui ha partecipato possiamo ricordare Il più lungo giorno, regia R. Riviello, produzione
Avati, 1997; Branchie 1998; Come se fosse amore dei Cavalli Marci, Ti inseguo e non mi prendi,
regia S.Gardini; Mirko, rosso come il cielo, regia di C.Bortone, Giorni e Nuvole, regia di Silvio
Soldini
Tra i cortometraggi di cui è protagonista ricordiamo Grazie al cielo di Andrea Jublin ( Per il quale
riceve cinque premi come miglior interprete), La bumba di Alessandro Dominici e Radiopanico di
Gigi Piola.
Lavora per la rete satellitare Mediolanum Channel (2003) dove conduce il programma televisivo
Radio- My di Duccio Forzano, e per Radio 105 dove conduce in quartetto comico la trasmissione
Buona Domenicona (2005-2006).
Tra le sue interpretazioni teatrali più recenti, la ricordiamo come Irina ne L’omosessuale o la
difficoltà di esprimersi di Copi, 1999-2002, Dioniso ne Le Baccanti di Euripide, 2000, Ulisse
nell’Inferno di Dante, per la regia di Tonino Conte, in Io sono il maestro, 2003; Io mi chiamo
Isbjorg, io sono un leone, 2005 per la regia di Sergio Maifredi. A New York, nell’estate 2003,
nell’ambito della mostra di Emanuele Luzzati “Viaggio nel mondo ebraico” è ospite del Centre of
Jewish History con la messa in scena In viaggio con un lez, di cui è autrice e protagonista. Nel
dicembre 2003 partecipa alla esibizione della Fura del Baus, in occasione dei festeggiamenti per
Genova 2004 capitale europea della cultura. Nel 2006 debutta ne La Chiusa di C.McPherson con
la regia di V.Binasco,e nel 2007 in SVET di L. Tolstoj con la regia di M. Sciaccaluga per il Teatro
Stabile di Genova. Per ITC 2000 è una dei tre interpreti dello spettacolo comico Happy Birthday
Mr President, di M. Papeschi e A. Begnini. Nel 2007 recita in Notte Araba di R. Schimmelpfenning
per la regia di S. Maifredi.
Alterna l’attività di attrice a quella di insegnante.
Art: Fabrizio Cecchet
Stampa: Algraphy-Genova