una sintesi - Amica Sofia

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colloque "Socrate à l'agora" (Aix-en-Provence 7-8 déc. 2013)
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Le dialogue socratique, un modèle désormais dépassé ?
Livio Rossetti (Univ. Perugia)
Sintesi in italiano
Questo inizio di millennio ha conosciuto il decollo di svariate pratiche filosofiche inedite: la filosofia con i
minori, la filosofia nei caffè o in piazza (con gli adulti) e la filosofia in carcere. Per il fatto di onorare un
pensiero strutturalmente debolissimo, queste pratiche si stanno rivelando capaci di intaccare schemi
oltremodo consolidati, come la propensione di molti professionisti della filosofia a individuare i profani e i
consumatori del prodotto filosofico.
Cose importanti stanno accadendo a scuola, dove da un decennio succede sempre più spesso che
l'istituzione assicuri ai bambini (e, più di rado, ai teenagers) la possibilità di esprimersi indipendentemente
dal normale lavoro scolastico e dalle verifiche sul 'profitto', e non in maniera occasionale e quasi fortuita,
né al di fuori dell'orario scolastico, ma piuttosto come una cosa cui hanno diritto. Questa è un'autentica
scoperta dei nostri giorni, con breve periodo di incubazione a fine ventesimo secolo.
Rispetto al proclama di M. McCarty, "tutti i bambini sono filosofi", questo non è dire di voler fare, ma
fare, non proporsi di, ma riuscire a fare. Si tratta di rispondere a un'esigenza primaria: coltivare il potenziale
filosofico dei minori, quindi i loro tentativi di organizzare al meglio le proprie idee, tentativi che però si
fanno, con maggiore o minore successo, ad ogni età. Certo, ci vogliono delle circostanze favorevoli, per
esempio un contesto scolastico in cui la consueta successione di spiegazioni, esercizi, valutazioni e
classificazioni comparative riesca a conoscere periodiche interruzioni, finalizzate appunto a permettere che
gli allievi abbiano l'agio di elaborare le loro idee e di confrontarsi senza l'interferenza di spiegazioni o
valutazioni calate dall'alto.
Proprio a margine di questa innovazione registriamo l'uscita dei primi libri che raccontano in dettaglio
una serie di conversazioni filosofiche nel modo in cui esse hanno avuto luogo in certe classi della Primaria di
certi anni, dunque come elementi della vita reale di una determinata classe. Ha cominciato Sergio Viti,
maestro a Pietrasanta (LU) quando ha dato la parola ai suoi alunni (e al filosofo A.M. Iacono) in Le domande
sono ciliegie (Roma 2000) e in Per mari aperti (Roma 2003). Poi è stata la volta di due classi della scuola
elementare di Chiugiana, a un passo da Perugia, grazie agli insegnanti Anna Rita Nutarelli e Walter Pilini,
che hanno riportato le loro parole in La filosofia è una cosa pensierosa (Perugia 2005). Sono seguiti altri tre
titoli apparsi anch'essi a Perugia e un settimo titolo uscito questa estate: Carrucola-Nutarelli-Pilini, La
filosofia a/ha sei anni (2008); A. Presentini, ...O forse il tempo siamo noi (2012); D. Spadotto, I bambini che
muovono i discorsi (2013) e F. Lorenzoni, Una verità, non sicura però... (Giove TR 2013). Altri testi così ben
caratterizzati non se ne conoscono.
La particolarità di questi libri è di riportare, per ogni bambino, non sette-otto, ma svariate decine di
frasi, per cui ciascuno di loro è in grado di ritrovarsi e riconoscersi pienamente nel libro che lo riguarda (e di
ritrovarci i suoi compagni di classe), e non solo di rivivere la magia di un'epoca passata, ma anche, a volte,
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di prendere la matita e annotare: "oggi (data) scriverei piuttosto che..." oppure: "è curioso, ma a X anni di
distanza, la penso ancora a quel modo", oppure "eh, però tu hai dichiarato che... Non lo puoi negare, ho la
prova!" (etc.).
A permettere che simili testimonianze divengano significative è la quantità delle dichiarazioni, sostenuta
da una efficace evocazione del contesto nel quale questi pensieri hanno preso forma. Tutt'altra cosa,
invece, è annotare qualche loro frase decontestualizzata, come tante volte si è fatto. Questi libri sono
dunque autentici incunaboli che annunciano un flusso di altre opere del medesimo genere. Sono tanto
diversi l'uno dall'altro, non piacciono tutti allo stesso modo, ma hanno ormai aperto una strada. Se fossi un
maestro, vorrei scriverne uno pure io e farne dono ai miei alunni.
Aggiungo che questi libri stanno alla filosofia dei bambini come i dialoghi socratici sono stati alla
formazione della primissima biblioteca filosofica in lingua greca. Se gli oltre cento dialoghi socratici
pubblicati ad Atene nei decenni immediatamente successivi alla morte del filosofo hanno formato la prima
biblioteca filosofica della storia (perché l'idea del libro di filosofia nacque proprio allora), analogamente in
questo caso si deve sottolineare la differenza tra libri di filosofia per i bambini (o per i loro insegnanti) e libri
che preservano le tracce della filosofia fatta dai bambini, ogni volta in un contesto ben preciso. Ed è la
prima volta!
Ciò che sta prendendo forma è dunque un nuovo genere letterario il cui valore non concerne solamente
i giovani protagonisti di questi libri, ma la stessa filosofia nata in Grecia, perché mai il mondo ha conosciuto
da vicino il pensiero dei bambini, ed ha senso chiedersi dove ciò possa condurci. Per di più siamo di fronte a
qualcosa di eminentemente socratico, la cui freschezza non è inferiore a quella dei dialoghi di un'altra
epoca.
Perché considerarli libri di filosofia? Perché dentro ci sono dei minori che pensano e provano a
manifestare, condividere, confrontare quel che pensano in un contesto in cui, per una volta, chi
normalmente ha l'autorità di approvare o disapprovare non si riserva l'ultima parola e non dà dei voti.
Dunque opportunità di ragionare con la propria testa e confrontarsi, di pensare insieme l'insieme, il tutto
(dunque fare filosofia) e di intuire che tutto ciò ha un valore – e di fare questo a scuola.
Poi ci sono, come sappiamo, le esperienze comparabili nel campo degli adulti: il caffè filosofico esiste da
una ventina d'anni (quello di Perugia, 165 incontri finora, è partito nel 2003) e i festival della filosofia da
una dozzina (quello di Modena, si sa, ha preso il via nel 2001). Grazie a caffè e festival, anche a molti adulti
ora accade di ritrovarsi per riflettere, ragionare, farsi delle idee, manifestarle e confrontarle sulla scia di
qualche parola introduttiva. Certo, il pensiero adulto è molto meno duttile, molto più strutturato e
protetto, ma il fatto di partecipare ci parla pur sempre di apertura mentale e propensione a ritornare su
certi punti, il che non è poco.
Anche le esperienze di filosofia con i detenuti sono significative. Si sa che l'opinione del detenuto è
condannata all'assenza più totale di ascolto (tutt'al più uno si fa raccontare qualche frammento del loro
passato, o del loro malessere, e ci si ferma lì). Perciò organizzarsi per offrire periodicamente uno spazio
ragionevole in cui essi possano elaborare e manifestare il loro punto di vista su argomenti concordati in
precedenza ha un valore civile di prim'ordine. Del resto, tra le novità del settore si inscrive a pieno titolo
anche questo colloquio di Aix-en-Provence, ed è lecito attendersi che i nostri lavori facciano affiorare altre
esperienze che non conosco.
E c'è il feedback sul versante della filosofia dei filosofi. Queste pratiche filosofiche stanno facendo uscire
la filosofia da quelle aule dove è stata tenuta chiusa per secoli. Infatti, da quando la filosofia è diventata
Filosofia – una cosa da insegnare e, rispettivamente, studiare, e un oggetto di competenza professionale
certificabile – si è subito costituita, di riflesso, la categoria dei profani (e, a seguire, quella dei consumatori
del prodotto filosofico). E per i filosofi dei nostri giorni è sempre stato normale pensare che philosophein
significhi una sola cosa: ‘studiare’, farsi delle competenze, trovare qualche cosa di significativo e soprattutto
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impeccabile da proporre, essere competitivi con i colleghi (e andava a finire che uno si vantasse di essere
husserliano o heideggeriano, o tubinghese, o oxoniense, come se essere epigoni fosse un valore!).
Approccio non solo molto artificiale, ma anche segnato dalla spiacevole attitudine a smarcarsi da chi
'rimane' semplice lettore, uditore, spettatore. Fino al punto di non pensare che la filosofia, in quanto
orientamento globale, sia anzitutto una riflessione da fare e sviluppare, un'azione del pensiero che non può
dipendere più di tanto da libri e lezioni.
Perciò la filosofia che si fa può ben pretendere a un grado di autenticità perfino superiore alla filosofia
dei libri e dei corsi universitari, anche se al prezzo di una prevedibile precarietà. Ma che importa? La
modalità non professionalizzata del filosofare sta rivendicando il suo spazio. Ed è grazie a queste modalità
'non' che ora 'Socrate' si ritrova in una 'agora' chiamata, a seconda dei casi, la classe, il caffè, la piazza o,
magari, la "saletta di filosofia" all'interno del penitenziario e (perché no) anche Twitter, visti i caffè filosofici
che nascono sui social.
Ma sarà poi vero che questi minori pensano? Non si tratta di dire che "mio figlio è intelligentissimo"
("ma il tuo un po' meno, almeno per ora") né di sentirsi spiegare dai neuroscienziati che la mente dei bimbi
lavora moltissimo, ma di fare una considerazione elementare: ad ogni età accade di fare del proprio meglio
per riflettere su ciò di cui si fa esperienza e di cui si prende coscienza, così come per non parlare a vanvera.
E, proprio come accade nei dialoghi platonici, sempre si comincia con ciò che abbiamo sentito dire da altri.
Resta da vedere quanto grande e vario sia questo repertorio, se il processo di affinamento delle idee
decolla, se poco a poco le idee si personalizzano. E soprattutto: se, in età precoce, questo potenziale viene
coltivato, se gli adulti lo valorizzano, o se invece fanno gli infastiditi e non ne vogliono sapere pensando, per
esempio, solo a ciò che loro sanno di sapere e vogliono che i piccini imparino. Sembra ormai evidente che
l'insegnamento non deve somigliare a un rullo compressore (riduzione del bambino ad alunno diligente) ma
alternare l'offerta di sapere a fasi di ascolto in cui quel medesimo adulto si interessa alle acerbe opinioni dei
più piccoli senza nessuna impazienza di rimodularle. Come accade egregiamente in alcuni di questi libri.
3 dic. 013
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