LIBERTA’ ED EGUAGLIANZA NEL DIRITTO PUBBLICO DELL’ECONOMIA 1. La nozione di mercato e di costituzione economica, per una teoria costituzionale del diritto pubblico dell’economia. 2 . La politica ed i diritti costituzionali nel processo d’integrazione euro pea. Il problema definitorio e la sfida dell’ordinamento europeo . 2.1 Le regole dell’integrazione comunitaria sul piano della tutela dei diritti, anche sociali. 2.2 I diritti anche sociali nell’ordinamento europeo: una comparazione normativa e giurisprudenziale. 2.3 La politica sociale europea: rappresentanza sovrastatuale o intergovernativa? 3. La rivoluzione francese e l o stato di diritto liberale. – 4. Il liberalismo e lo stato di diritto. 5. Stato liberale di diritto nella Germania del diciannovesimo secolo. 6. Stato di diritto e stato socia le di diritto in E. Fhorstoff. – 7. La programmaticità dei diritti sociali. Il contrasto fra libertà ed eguaglianza e le esigenze finanziarie dello Stato. La c.d. riserva del ragionevole e del possibile. – 8. Le tecniche decisorie della Corte costituzionale nell’attuazione dei diritti sociali. – 9. Un’esemplificazione sul piano dei diritti “che costano”: i l diritto alle prestazioni mediche come diritto sociale e diritto civile. D ifferenze strutturali e contenutistiche – 10. I livelli essenziali delle prestazioni inerenti diritti civile e sociali: l’art. 117 comma 2 lett. m) Cost. – 11. Le Autorità amministrative indipendenti: dal principio di legalità al principio di efficienza nell’intervento pubblico nell’economia. – 11.1 La crisi dello Stato-imprenditore e l’erompere delle Autorità amministrative indipendenti. – 11.2 L’esperienza statunitense e quella italiana: la genesi delle autorità indipendenti. – 11.3 La natura delle autorità indipendenti e la loro collocazione nell’ordinamento giuridico. – 11.4 La responsabilità politica delle e per fatto delle autorità amministrative indipendenti. 1. La nozione di mercato e di costituzione economica, per una teoria costituzionale del diritto pubblico dell’economia. Il sintagma ‘Costituzione economica’ è usualmente impiegato quale formula riassuntiva delle disposizioni costituzionali in materia economica, ossia dettate (Parte prima, titolo terzo) in tema di proprietà (art. 42 Cost.) specie terriera (art. 44 Cost.), impresa (ar t. 41 Cost. riserva originaria ed espropriazione (art. 43 Cost.), cooperazione e risparmio (artt. 45 e 47 Cost. ) e lavoro (artt. 4 e 35 -40 Cost.). Tale nozione è stata dilatata 1 sino a ricomprendere sia la legislazione di “rilevanza costituzionale” (si pen si alla l. 10 ottobre 1990, n. 287 od al d.l. 11 luglio 1992, n. 333, conv. in l. 8 agosto 1992, n. 359), sia i mutamenti della pubblica opinione posti in relazione necessaria e biunivoca con l’evoluzione della normativa dallo Stato liberare allo Stato sociale. Da ultimo, in un’ulteriore e più ampia accezione, la Costituzione 1 S. Cassese, La nuov a c ostituz ione ec onomic a , L aterza, Bari 2011, 3 ss. 1 economica può essere indagata anche in ordine alla prassi applicativa ed, in particolare, quella amministrativa. La nozione meramente descrittiva di Costituzione economica, si accompagna ad un’altra lettura, tendente ad attribuire all’economia autonomia e rilevanza fondante dell’intero quadro costituzionale, in tal modo ipostatizzando il mercato quale elemento ordinatore – principale, se non esclusivo – della stessa forma di Stato. Entrambe tali letture delle disposizioni costituzionali in materia economica sono state autorevolmente criticate 2 la prima siccome lessicalmente confusoria e sostanzialmente priva di “pregio euristico” atteso che la Costituzione è un tutto unitario; la seconda giacchè in contraddizione con l’effettivo e reale impianto costituente, fondato su una composizione tra libertà ed eguaglianza che reagisce direttamente sulla disciplina costituzionale dell’economia, vincolandone la lettera – così come l’interpretazione – all’esigenza di apprestare garanzia alle libertà economiche nell’attuazione del principio di eguaglianza sostanziale e, dunque, in uno alla parallela tutela dei diritti sociali. Esclusa, correttamente, la possibilità di isolare la disciplina costituzional e dell’economia dal residuo della Carta fondamentale, il dubbio su quale sia la decisione politica fondamentale sul piano dei rapporti economici deve essere necessariamente sciolto attraverso un’interpretazione sistematica del testo costituzionale, nelle m olteplici interazioni che di esso sono tratto essenziale, poiché “Il modello di struttura economica disegnato in Costituzione è […] intimamente legato al sistema costituzionale dei rapporti sociali e politici”. 3 Non sembra appagante la tesi, pur autorevol mente sostenuta 4, della natura anfibologica dell’art. 41 Cost., asseritamente suscettibile di essere interpretato evolutivamente in opposte direzioni, essendone indeterminato il nucleo politico centrale. In tal modo, infatti, il reale e condivisibile dato della natura compromissoria della Carta costituzionale, in specie in punto di normazione dei rapporti economici, viene letto in chiave olistica ed eccessivamente relativistica. La Costituzione è un compromesso in cui si giunge ad una sintesi, di posizioni anche contrapposte, che ha piena dignità di valore e traduce in norma una decisione politica fondamentale, della quale è lecito e doveroso cogliere la sostanza attraverso gli stessi atti dell’Assemblea costituente. Assumono peculiare rilievo, a tal fine, d a un lato le sorti dell’emendamento Montagnana, Paietta ed altri (discusso nella seduta del 9 maggio 1947) 5, teso ad introdurre nell’art. 31 del progetto di Costituzione (attuale art. 4 Cost.) il riconoscimento del potere dello Stato di dirigere l’attività economica privata attraverso una pianificazione tesa 2 M. L uciani, Ec onomia nel diritto c ostituz ionale , voce in Digesto delle discipline pubblicistiche , Torino, Utet 2005, V, 373 ss. M. L uciani, Ec onomia , op. c it., 376. E. Cheli, Libertà e limiti dell’iniz iativ a ec onomic a priv ata nella giurisprudenza della Corte c ostituzionale e nella dottrina , in Rassegna di diritto pubblic o , 1960, 303. In senso con forme, P.G. Jaeger, Priv atizzazioni. I) Profili generali , in Eng. Giur. Trec c ani , XXIV, Roma, 1995, 1. 5 Atti Costituente , 9 maggio 1947. 3 4 2 a conseguire il “massimo rendimento per la collettività”; dall’altro, l’emendamento Lombardi, (discusso nella seduta del 16 ottobre 1946) 6, finalizzato a garantire la sola “proprietà gestita da condutto ri, lavoratori diretti o da cooperative.” Gli interventi dei Costituenti consentono di ricostruire occhiutamente il sistema dell’economia “mista”, quale momento di sintesi fra le culture cattolica, socialista e liberale. Il tentativo di costituzionalizzazi one del dirigismo statale non giunge a buon fine proprio perché la struttura economica recepita nella lettera dell’art. 41 Cost. è quella liberista che, pur assoggettando l’iniziativa economica privata alla programmazione pubblica, non ne nega la natura e struttura di diritto di libertà. 7 Negare la possibilità di pianificare non vuol dire, però, accogliere una nozione ultraliberistica di mercato: l’economia pianificata cui la Costituente ha rifiutato è quella in cui “gli elementi libertà individuale e libertà economica non trovano aiuto nello Stato come in un medico ”, bensì quella in cui “il signor medico mi diventa l’artefice di un meccanismo, il vivo organismo economico mi diventa un orologio, gli operatori economici mi divengono pupazzi mossi artificiosa mente dal di fuori, privi di quelle molle interiori che sono operose solo nella libera economica” 8. Per economia pianificata s’intende “non una economia con interventi non stupidi dello Stato (perché nessuno vuole avere da fare con gli stupidi, soprattutto quando questi stupidi hanno miliardi da incassare e da spendere). Ma un’economia nella quale lo stato non sia un medico, ma unico artefice, o meglio ancora una economia nella quale lo Stato non è un artefice fra gli altri artefici ma un Podrecca che muov e le marionette del mondo dell’economia, o che riduce gli operatori economici a meri esecutori tecnici delle proprie decisioni”. 9 Atti Costituente , 16 ottobr e 1946, 254. In questo senso, A. Pac e , Problematic a delle libertà c ostituzionali. Parte spec iale . II ed ., Ced am, Pad ova 1997, 457 ss., e vid e nziand o c he la gar anzia costituzionale d ella libertà d i iniziativa economica privata, avend o e ssa ad ogge tto l’attività economica nel suo complesso, concerne sia l’atto iniziale d i d estinazione d e i c apit ali al pr oc e sso prod uttivo che lo svolgimento d ell’impresa. Nel med esimo senso G. Morbid e lli, voc e Iniz iativ a ec onomic a priv ata , in Enc . giur ., Ist. Enc. It., Giuffrè, Milano 1973, X VII, il quale , r ic onosc iuto c he “l’art. 41 costituisce il card ine d i un si stema d i economia mista”, pur se or mai pr ivo d e l c ar atte r e d i d iritto fond amentale allo sviluppo d ella personalità umana, acquisito a se guito d e lle r ivoluzioni borghesi, ritiene non possibile d istinguere tra l’atto d i iniziativa e lo svolgime nto d e ll’attiv ità economica, stante un “preciso connubio sintattico” fra lo svolgersi e l’intr apr e nd e r si d e ll’attività stessa ed il d ato empirico che l’imprend itore già al momento d i intraprend ere l’attività tie ne in d e bito conto il sistema d ei limiti che ne riguard ano l’esercizio. L a tesi d ella d iffe r e nza fr a il libe r o atto d i intrapresa economica ed il cond izionato suo svolgimento, già soste nuta d a C. Esposito, La Costituzione italiana. S aggi. , Ced am, Pad ova 1954, 184 ss., è stata autor e volme nte sviluppata d a M. L ucian i, La produzione ec onomic a priv ata nel sistema c ostituzionale , Ce d am, Pad ova 1983, 140, il quale ne ricava che “menhtre lo svolgimento d ell’attività e conomica privata può e sse r e anc he oggetto d i limiti positivi, e cioè d i veri e propri obblighi d i ‘facere’ , lo stesso non può ac c ad e r e pe r l’atto d i iniziativa” (Id . Ec onomia , op. cit., 380). In senso analogo, A. Bald assar r e , Iniz iativ a ec onomic a priv ata, in Enc . dir., XXI, Giuffrè, Milano 1971, 594. 8 C. Esposito, inte r ve nto al Conve ngo d i stud i sul tema La pianific azione ec onomic a e i diritti della persona umana , in S c ritti giuridic i sc elti , III, D iritto c ostituzionale repubblic ano , Jovene Ed itore, Napoli 1999, 88. 9 C. Esposito, op. ult. c it., 89. 6 7 3 Escludere la pianificazione non significa, dunque, relegare le dinamiche del mercato nell’alveo dell’irrazionale o, per dirla con Esposito, nel mondo della stupidità. Significa piuttosto consentire un intervento statale, di regolamentazione delle attività economiche, che consenta quel razionale coordinamento ed indirizzo necessario al fine di garantire efficienza nel mercato, ma senza far perdere alla iniziativa economica privata quella dimensione di libertà che i limiti dell’art. 41 comma 2 Cost. non possono ridurre in chiave meramente funzionale, mantenendo una valenza esterna rispetto alla situazione giuridica soggettiva. In questa ottica, è ben vero che la Costituzione economica presenta un indiscusso rapporto con le disposizioni costituzionali che prevedono i diritti sociali 10, in considerazione dell’efficacia del principio di eguaglianza sostanziale ex art. 3 comma 2 Cost., ma ciò non può spingersi sino a ritenere funzionalizzata al benessere collettivo l’attività economica, assumendo un principio di subordinazione, sempre e comunque, dell’interesse individuale del privato rispetto alle esigenze sottese ai limiti di cui all’art . 41 comma 2 Cost. 11 Sarebbe, però, un peccato di superficialità ritenere che la negazione della pianificazione in senso più strettamente socialista sia il precipitato della sola cultura liberale (o cattolica) espressa in Assemblea costituente. Come acutamente rilevato 12 fu proprio Palmiro Togliatti a votare in senso contrario all’emendamento Lombardi, in ragione del fatto che la Costituzione italiana non si risolveva – neanche nell’interpretazione comunista – in uno strumento di lotta avverso la libertà econ omica e la proprietà privata di rivoluzionaria memoria in quanto tali, bensì avverso le degenerazioni monopolistiche giudicate estremamente lesive dell’economia e della stessa politica nazionale. In sostanza, v’era una tendenziale uniformità d’intenti, nel l’intero arco costituzionale, nel dettare le regole della c.d. Costituzione economica: l’esigenza diffusa era quella di formalizzare un sistema di economia mista (pubblico e privato), assoggettata ad un’attività di regolazione, vigilanza e In questo senso, e splic itame nte , M. L uciani, La produzio ne ec onomic a , op. cit., 131 ss. Id , Ec onomia , op. cit., 377 e spe c ialme nte 378, ove si legge che “l’efficienza economica non è, in sé, un valore, e la d isciplina d e ll’e c onomia c he la Costituzione vuole sia d ettata d al legislatore ord inario, non può e ssere ispirata solo d all’inte nto d i pe r seguire scopi immed iatamente economici (aumento d ella prod uzione, equilibr io finanziar io, e c c .) ma d eve essere invece guid ata d alla necessità d i attivare e favorire il proc e sso d i tr asfor mazione sociale le cui grand i linee sono tracciate d all’art. 3 comma 2”, c he d iviene il “ve r o e pr opr io toke n c ar atterizzante d ella nostra Carta fond amentale”. 11 L a tesi è in C. Mor tati, Il lav oro nella Costituzione , in Riv . dir. lav ., 1954, 149. Osserva G. Morbid elli, Iniz iativ a ec onomic a priv ata , op. cit., 3 che d alla tesi d ella funzionalizzazione d ella libertà d ’iniziativa economic a pr ivata d ovr e bbe d esumersi l’inaccettabile corollario che i limiti (in particolare l’utilità soc iale ) c ostituisc ano l’essenza d ella libertà. L ’insigne Giurist a ritiene, c onseguenteme nte , c he il sintagma d ir itto funzionale, nel caso d ella libertà d ’iniziativa economica, sia sempliceme nte un’e spr e ssione linguistica il cui significato d eve essere valutato avuto riguard o alla concreta d isc iplina positiva d e ttata, s ul piano legislativo ed amministrativo, in attuazione d ei limiti costituzionali. Solo in c onc r e to, infatti, può comprend ersi l’effettiva portata d ei vincoli d ettati all’attività e c onomic a. 12 M. L uciani , Ec onomia , op. c it., 376 e s. e nota 18. 10 4 controllo pubblica ma nel pieno rispetto della libertà costituzionalmente tutelata. 13 Il che consente di cogliere meglio il significato della formul a “economia sociale di mercato”, da autorevole dottrina 14 intesa come preclusiva di uno sviluppo attuativo ipostatizzante una soltanto delle due componenti essenziali, quella liberista e quella socialista. Essa esprime l’esigenza di un compromesso fra libertà ed eguaglianza, da intendersi però non già come “mediazione tra la realtà economica e un determinato sistema di valori mor ali” 15, bensì come “bilanciamento tra lo sviluppo sociale, il benessere sociale ed il progresso economico; tra l’economia di mercato e la garanzia costituzionale dei diritti sociali e dell’intervento pubblico in economia” 16. Certo è che il mero riferimento a d un’esigenza di bilanciamento non chiarisce le condizioni, i termini e le modalità di tale operazione di composizione di contrapposte esigenze: il bilanciamento è una tecnica cui occorre porre regole rigorose, al fine di non esporre i risultati di essa al la critica di arbitrarietà. La genesi storica della espressione economia sociale di mercato si colloca nel dibattito giuspubblicistico tedesco della metà del secolo scorso e coincide con il tentativo neoliberista, posto in essere dalla scuola di Friburgo 17, di tentare una conciliazione fra Stato sociale ed economia Di talchè i limiti le gislativi all’attività economica non potranno mai trad ursi in d iscipline che e liminino qualsiasi possibilità d i pr od uzione d i utili nell’esercizio d ell’attività economica, giacchè in tal mod o sarebbe inte gr alme nte sac r ificato il profilo d ell’inte resse ind ivid uale d el titolare (G. Morbid elli, Iniz iativ a ec onomic a priv ata , op. cit., 4 e s., il quale evid enzia la coerente posizione d ella Corte costituzionale ), pur se c iò non imped isce al legislatore d i provved ere alla d eeconomicizzazione d e lle attivi tà, ossia al d ivieto d i esercizio privato siccome in inevitabile c ontrasto con l’utilità soc iale , la libe r tà o la sicurezza (A. Pace, Problematic a, op. cit., 463 e s.). 14 G. Bognetti, La c ostituz ione ec onomic a , Giuffrè, Milano 1995, il quale conseguenteme nte ritiene che l’intervento pubblic o ne ll’e c onomic a d e bba essere mod erato e tale d a non vanificare la garanzia c ostituzionale d e lla iniziativa e c onomic a privata. L a preminenza d el momento d ella libertà rispetto alla tutela d i inte r e ssi pubblic i o ge ne r ali è anche in G. Guarino, Pubblic o e priv ato nell’ec onomia. La sov ranità tra Costituz ione ed istituz ioni c omunitarie , in Quad. c ost. , 1992, 39 s. L ’insigne Giurista d ubita, pertanto, d elle limitazioni alla sovr anità d eterminate d al rapporto con l’Unione euro pea sul piano d el governo d e ll’e c onomia. Giustific a tali limitazioni, ritenend ole al contrario costituzionalmente obbligatorie, E. Chiti, Il Trattato sull’Unione europea e la sua influenza sulla Costituzione italiana , in Riv . it. dir. pubbl. c omunitario , 1993, 355. 15 In questo se nso, L . Me ngoni, F orma giuridic a e materia ec onomic a , in D iritto e v alori , Il Mulino, Bologna 1985, 156, il quale in ve r ità chiarisce che il riferimento ai valori morali non vale ad introd urre un e le me nto me tagiur id ic o o semplicemen te antipositivistico nel compromesso normativo, bensì e spr ime l’e sige nza c he il d iritto positivo legislativo non sia giud icato legittimo siccome frutto d e ll’attività d i or gani a c iò preposti, bensì in quanto non in contrasto con le norme c ostituzionali c he tali v alori for malizzano. In particolare, d iviene imprescind ibile il riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., ossia a d isposizioni che hanno, second o Mengoni, una peculiare struttura normativa, non limitand osi a c olle gar e ad un fatto d eterminati effetti giurid ici, ma ponend o d elle finalità rispetto alle quali e spr ime r e un giud izio d i conformità d ella normazione d i esse attuativa. 16 G. Bianco, Consideraz ioni su ordine pubblic o ec onomic o, Costituzione ec onomic a e diritto c omunitario della c onc orrenza , in Arc h . G iur. F . S erafini , 1995, 183. Id ., Costituzione ed ec onomia , Utet, Torino 1999; Id ., voce Costituzione ec onomic a , in D igesto. D isc ipline pubblic istic he , Agg. *, 259 ss. L ’Autore precisa che tale esigenza d i c omposizione è e spr e ssa d al sintagma ord ine pubbli co economico, assumend o che la libertà (d ’iniziativa e c onomic a) possa d ir si garantita sino a quanto non reagisca negativamente sulle e sigenze sottese al pr inc ipio solid ar istic o che permea la nostra Carta fond amentale. 17 L a scuola d i Fr ibur go si ispir a alla filosofia d ell’ord oliberalismo, cosid etta d al norme d ella r ivista ordo, costituita d al Suo fond ator e Walte r Eucken d urante il nazismo. Economisti come Ropke e giuristi come Bohm soste ne vano l’e sige nza d i una d ecisione politica costituzionale che ponesse a l mercato un quad r o istituzionale e ntr o il quale operare, quale ord ine giurid ico. Quest’ultimo 13 5 attraverso la creazione , però, di un sistema economico autoreferenziale rispetto alla società e su di essa prevalente. L’intervento pubblico nell’economia che la scuola di Friburgo giunge ad ammettere, infatti, è sempre vincolato dalla presupposta superiorità dell’economia sulla politica e da un’ottimistica visione della tendenziale affermazione dell’uomo come individuo attraverso gli istituti e le tecniche dell’economia. L’inveramento della econom ia sociale di mercato nella Costituzione italiana, conseguentemente, appare in distonia risp etto alla epifania del concetto. Non già per l’affermazione della necessità costituzionale del mercato e dell’economia capitalistica, che appare recepita nella stru ttura portante della Carta fondamentale ; piuttosto, per il postulato della separazione fra economia e diritto, da un lato, e la sostanza e la misura dell’intervento pubblico nell’economia, dall’altro. La dinamica storica, del resto, costituisce prova prova ta di tale discrimine, atteso che, a Costituzione invariata, l’economia italiana ha potuto vivere la stagione della riserva originaria ex art. 43 Cost., delle nazionalizzazioni e della legislazione di pianificazione, in uno a quella delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni. Ma ciò è accaduto non perché le disposizioni costituzionali siano anfibologiche, nel senso già criticato, bensì per la loro relativa elasticità, che esprime essa stessa il significato della composizione dell’economia di mercato con il principio dell’eguaglianza sostanziale; dei diritti di libertà con i diritti sociali. Il postulato della separazione fra economia e politica non trova spazio nella Costituzione italiana perché essa non recepisce il postulato del mercato come ordine naturale, fondato su regole non giuridiche ed autoreferenziali. Come puntualmente chiarito dalla più attenta dottrina 18 la dinamica economica non può essere avulsa dalla decisione politica, espressa nella norma come strumento di ordinazione del mercato. Lo scambio, quale categoria economica essenziale, è governato da una molteplicità di regole che ne costituiscono sistema fondante. L’atto economico si svolge nel quadro della decisione normativa sullo spazio e sul tempo: luoghi, modalità, tempi, condizioni della relazione di scambio c onsente d i d istingue r e il libe r o me r c ato d al capitalismo: l’intervento statale nell’economia non d eve e ssere mero d ir igismo ma d e ve avve nir e nel rispetto d ell’a utonomia d elle regole d el mercato; tale intervento è finalizzato ad e sc lud e r e che la libertà economica possa tracimare in eccesso c apitalistico, attr ave r so la c r e azione d i monopoli o altre forme d i abuso d i posizione d ominante sia pubblica che pr ivata. In un simile siste ma, liberismo e liberalismo si fond ono per creare, sul piano c ostituzionale, il siste ma e c onomic o soc iale d i mercato che sarà ripreso, nella trad izione italiana, d allo stesso Einaud i (sul r appor to fr a or d oliberalismo e d ottrina economica e g iurid ica italiana, v. M. L uciani, Unità naz ionale e struttura ec onomic a. La prospettiva della Costituzione repubblicana , relazione al Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti “Costituzionalismo e costituzione nella vicenda unitaria italiana”, Torino 27 -29 Ottobre 2011, 28 e ss. del dattiloscritto. L’insigne Giurista evidenzia l’adesione di Einaudi alla separazione fra economia e politica, pur nella consapevolezza della necessità di un interventismo statale finalizzato e garantire un a corretta affermazione del principio della concorrenza, altrimenti sacrificato dalle naturali dinamiche del mercato. 18 N. Irti, L’ordine giuridic o del merc ato , L aterza, Roma -Bari 2008. 6 sono tutte improntate al rispetto di regole che ne consentono l’ordinato svolgimento, quale presupposto della pacifica convivenza. Il baratto, quale struttura elementare, appare paradigmatico: il rapporto di valore fra i beni scambiat i sono frutto di una decisione politica, convenzione umana sul valore di scambio che deriva dal rapporto storico delle esigenze e viene codificata in una regola che ne ipostatizza la sostanza. Senza norma, il mercato lascia il posto al caos. Senza ordine n on vi può essere scambio, ma solo violenta appropriazione. L’ordine del mercato risponde, come l’intero sistema delle regole, alla decisione politica fondamentale recepita nel testo costituzionale: ne segue che la formula dell’economia sociale di mercato, quale compromesso fra libertà ed eguaglianza, potrà essere svelata, nell’effettivo significato sostanziale, solo comprendendo quale sia in effetti le tinte con cui la Costituzione ha rappresentato l’immagine normativa di tale compromesso. L’indagine diviene ancor più complessa poiché l’architettura costituzionale nazionale deve, oggi, essere riletta nel più ampio insieme dell’ordinamento europeo che, a vario titolo, ne determina significativi condizionamenti sia sul piano normativo che sul piano istituziona le. Solo in tal modo, attraverso l’analisi del rapporto fra libertà ed eguaglianza nel diritto interno e nell’integrazione europea, può cogliersi l’essenza del diritto pubblico dell’economia. 2. La politica ed i diritti costituzionali nel processo d’integ razione europea. Il problema definitorio e la sfida dell’ordinamento europeo. L’evoluzione dallo stato di diritto liberale-borghese e la genesi dello stato sociale di diritto, ben lungi dall’aver trovato uno stabile equilibrio anche nella realtà dello stato nazionale, si è sovrapposta a quella delle istituzioni e delle fonti europee nel processo di integrazione comunitaria. La dialettica fra libertà ed eguaglianza sostanziale, nell’ordinamento interno, si è tradotta nella dicotomia diritti sociali – diritti di libertà e nella conseguente tesi della natura programmatica delle disposizioni che fondano i diritti a prestazioni positive in difetto di una interpositio legislatoris che, comunque, sarebbe condizionata dalla riserva del ragionevole e del possibile e dal vincolo del c.d. contenuto minimo o essenziale. Sin da subito si è inteso che lo scontro fra libertà ed eguaglianza (sostanziale) fosse epocale, giacchè si confrontavano, in esso, due opposte visioni politiche, di principio e di sistema del consorzio sociale. Lo strenuo tentativo di individuare un momento di conciliazione fra le (apparentemente) opposte esigenze sottese ai principi della libertà e della eguaglianza, è stato condotto cercando di offrire una novella sintesi ordinamentale per le strutture storicamente essenziali all’edific azione della casa comune, appro dandosi a risultati magari ambigui, incerti e non definitivi, ma che costituivano di per sé il sintomo di un anelito alla realizzazione di una comunità di eguali, in cui la libertà di ciascu no non costituisse strumento di oppressione per gli altri. 7 La continua ricerca di una decisione politica fondamentale sulla composizione fra libertà e stato sociale si è accompagnata al consapevole tentativo di munire di effettività la formula che fosse st ata comunque oggetto di invenzione, all’esito o nelle more di tale affannoso tentativo. Il processo di integrazione europea ha introdotto un elemento dirompente e destabilizzante nel quadro d’insieme , elaborato nell’arco temporale di oltre due secoli che, dalla rivoluzione francese , conduce all’affermazione degli stati nazionali ed alla genes i dell’Unione Europea. Il fallimento del mercato come fattore di aggregazione ed integrazione (oltre che sotto altri e più drammatici profili) ha imposto con prepotenza sia la questione della necessità di una scelta politica adottata in esercizio di rappresentanza, sia quella della tutela dei diritti fondamentali come viatico per l’affermazione di un nuovo ordine, in prospettiva addirittura costituzionale. Proprio attraverso l’esaltazione pseudo -normativa dei diritti fondamentali l’Unione Europea ha tentato di accreditarsi quale ente originario ed a fini generali, ma l'assetto di interessi posto tradizionalmente a fondamento della Comunità economica europea è talvolta in contrasto con le nuove situazioni giuridiche soggettive cui si intende accordare protezione: tale distonia viene analizzata sotto il profilo della tutela giudiziaria e della dialettica fra Corti, ma si tratta di un'ottica (fondamentale ma) solo parziale. Qui il metodo si confonde con il merito. Se si adotta una logica sillogistico -deduttiva e non casistico giurisprudenziale, la questione di fondo deve individuarsi a monte del controllo giudiziario e consiste nella decisione politica sulle situazioni giuridiche soggettive: “Nello stato costituzionale di diritto (quanto meno nella sua versione continentale […]), i giudici svolgono un'opera essenziale di protezione dei diritti fondamentali, ma questa non può sovrapporsi all'azione degli organi politici e tras formarsi in opera di creazione di quei diritti” 19. Si è altrove già osservato come tale decisione politica sia esiziale per un stato costituzionale di diritto 20, proprio perché costituisce l’essenza del gruppo sociale, determinandone i fini ed i valori condi visi e condizionandone l’intricata tela istituziona le e sostanziale che si risolve nel proprium della comunità. La composizione degli interessi in gioco sullo scacchiere dell’Unione Europea è in cerca di autore. Le scelte liberistiche che hanno ab origine fondato l’esperienza comunitaria non hanno indotto una coagulazione socio -politica né delle comunità nazionali, né delle rispettive istituzioni statali. Tali scelte sono state promosse nell’attivismo delle Corti e nella latitanza del legislatore, con un approccio tipicamente di common law in cui la tutela giurisdizionale occupa, in sostanza, il vuoto lasciato dalla politica, ossia dalla decisione normativa (costituzionale e, in seguito, legislativa). 19M. Luciani, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemic o, in Giur. Cost., 2006, 1663. Sia consentito il rinvio al nostro Il processo di integrazione europea nel contrasto fra tutela dell’ambiente e libertà di circolazione delle merci , in Diritto e società , 2011, 501 ss. 20 8 La politica, dunque, dovrebbe riprendersi i propri spaz i 21 proprio attraverso il perseguimento della finalità di tutela dei diritti, ma questo obbliga a ripensare le situazioni giuridiche soggettive di rango costituzionale e, segnatamente, i diritti sociali, nel quadro dell’integrazione europea. Riordinare i diritti significa in primo luogo rinominarli come categoria generale, giacchè “esistono diverse parole che esprimono il concetto di diritti umani: diritti naturali, diritti pubblici soggettivi, libertà pubbliche, diritti morali, diritti fondamentali, diritti individuali, diritti del cittadino, etc. Nessuno di questi termini è espressione pura di una scelta linguistica; al contrario, rivelano tutti connessioni culturali e significati derivati da un determinato contesto storico, da determinati interessi, da cer te ideologie e da certe posizioni scientifiche di fondo”. 22 Il nome esprime una scelta metodologica, che reagisce sul piano etimologico: diritti naturali, diritti morali, d iritti pubblici soggettivi, libertà pubbliche e diritti individuali sono concetti giuridici del tutto disomogenei e postulano visioni del mondo e del diritto connotate da una forte valenza assiomatica. Proprio per questo, si è ritenuto corretto 23 prendere le mosse – nella prospettiva di diritto interno – dal sintagma diritti costituzionali, il quale appariva più rigoroso rispetto ad altri (diritti naturali, se si attribuisce all’uomo ed ai suoi interessi una preminenza logica e giuridica rispetto al diritto positivo che essi interessi formalizza e disciplina; diritti pubblici soggettivi, se l’ambito di libertà dei privati è la risultante di un’autolimitazione dello Stato ; diritti morali, se si ritiene che il sistema costituzionale sia fondato su una teoria morale 24; diritti fondamentali, se si ricostruiscono gerarchicamente le situazioni giuridiche soggettive) assai meno scevri di implicazioni valoriali ed ancorati ad un parametro inequivoco: l’espressa previsione nella Carta costituzionale. La formula non è utilizzabile a livello europeo, semplicemente perché una costituzione europea anco ra non può dirsi compiuta: l'interrogativo sullo stato attuale di tale processo, però, è destinato ancora alla babele di risposte, tutte contraddittorie, di un “dialogo fra sordi” 25, in specie con riguardo alla c.d. Costituzione europea. Le contrapposte tesi di Grimm e Habermas 26, nonché gli interventi della dottrina più autorevole (della 21Seguendo l'invocazione di M. Luciani , op. ult. cit. , 1664: “Si riprenda la politica quel che le è proprio, senza pretendere – è ovvio – di ridurre la giurisdizione a semplice techne e il giudice ad automate, ma senza abdicare alla propria funzione sistemica”. 22 G. Peces-Barba Martinez, Teoria dei diritti fondamentali , a cura di V. Ferrari, trad. it. L. Mancini, Milano, 1993, 10. 23 Se si vuole, v. il nostro I diritti costituzionali e l’assetto delle fonti dopo la riforma dell’art. 117 della Costituzione , in Giur cost., 2002, 1169 ss. 24 Il riferimento è, chiaramente, a R. Dworkin, I diritti presi sul serio , a cura di G. Rebuffa, Bologna, 1978 nonché, con le dovute differenze, a G. Zagrelbesky, Il diritto mite , Torino, 1992. 25M. Luciani, Costituzionalismo irenico, cit. , 1659. 26V. D. Grimm, Il significato della stesura di un catalogo di diritti fondamentali nell'ottica della critica dell'ipotesi di una Costituzione europea , in G. Zagrelbesky (a cura di) Diritti e Costituzione nell'Unione Europea , Roma-Bari 2003, 5 ss. e J. Habermas, Perchè l'Europa ha bisogno di una Costituzione? , ivi, 94 ss. 9 quale non è possibile dare conto in questa sede), pongono sempre l'accento sulle questioni fondamentali, ossia il deficit democratico dell'Unione e l'attuale assenza di un demos europeo, oltre al rilievo della carenza di stabilità del vincolo fra stati, attesa la facoltà di recesso. 27 Del resto, se pure il sintagma diritti costituzionali si utilizzasse – in una logica intergovernativa e non metastatuale – con riferimento alle costituzioni nazionali degli stati membri, se ne dilaterebbe all’infinito il relativo valore semantico, perso in una selva di inestricabili contraddizioni. La disciplina delle situazioni giuridiche soggettive, infatti, differisce anche sensibilmente dall’una all’altra Carta fondamentale. E’ stato autorevolmente sostenuto che “Le espressioni che sono usate nelle diverse lingue per indicare questo complesso di diritti (o “libertà”) derivano dalle rispettive tradizioni, che ovviamente non sono in tutto e per tutto identiche, ma sostanzialmente corrispondono ad una stessa nozione giuridica” 28. In realtà, proprio la diversità delle tradizioni costituzionali (a questo punto, non molto comuni 29) rende assai dubbia la presunta unitarietà 27Condivide tali obiezioni M. Luciani, Gli atti comunitari e i loro effetti sull'integrazione europea , in www.associazioneitalianacostituziona listi.it, il quale ha osservato che quella europea non è una comunità politica, poiché “una comunità politica possiede 'meccanismi integrativi auto-sufficienti', in quanto la sua esistenza in vita e le sue caratteristiche strutturali essenziali dipendono da regolazioni che le sono interne e non da processi attivati dall’esterno o dalle unità che la compongono. Nondimeno, poiché l’integrazione può essere più o meno intensa e può essere – conseguentemente – misurabile, ha perfettamente senso parlare (se non di una 'condizione') di un 'processo' di integrazione anche se questo non si è compiuto dando luogo ad una comunità specificamente politica, e anche se è possibile, se non probabile, ch’esso non si compia mai in questi termini.” L'illustre studioso ritiene , inoltre, che “la scrittura di un’autentica costituzione per l’Europa non si è ancora avuta e, se si avrà, dovrà segnare un momento di non meno autentica discontinuità ordinamentale, nella quale si manifesterà il passaggio dalla dimensione sovranazionale ad una dimensione diversa, con la formalizzazione di un vincolo propriamente politico, più probabilmente confederativo che federativo” (v. anche M. Luciani, Integrazione europea, sovranità statale e sovranità popolare , in XXI Secolo , Norme e idee , Roma, 2009, 339). A riguardo, ritiene A. Pace che “che quella adottata con il Trattato di Roma del 29 ottobre 2004 non sia ancora una costituzione, anche se è più di un normale trattato. E non lo è non solo perché manca il demos nel nome del quale (e col coinvolgi mento del quale) esso avrebbe dovuto essere proclamata, ma anche perché - a meno di ridurre la Costituzione europea ad una normativa che si limiti a rendere più efficaci i meccanismi decisionali - non si può sfuggire al rilievo, secondo il quale i destini della Costituzione europea e delle Costituzioni dei singoli Stati sono tra loro interdipendenti” (A. Pace, Costituzione europea e autonomia contrattuale. Indicazioni e appunti, in Riv. dir. Civ. , 2006, II, 2 s. ). 28 A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzion ale comune, Il Mulino, Bologna 2002, 24. 29 M. Cartabia, L’ora dei diritti fondamentali nell’unione europea , in I diritti in azione. Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee , a cura di M. Cartabia, Il Mulino, Bologna 2007, 60 e 65 si avvede di come possa accadere che “la versione ‘comunitaria’ di alcuni diritti non corrisponde dal tutto a quella di uno o più stati membri”, sicchè “se s i vuole evitare di sacrificare la pluralità delle tradizioni costituzionali esistenti, occorre che la categoria dei diritti fondamentali non sia dilatata eccessivamente” perché “Più ci si allontana dal nucleo essenziale dei diritti fondamentali, più aumentano le divergenze storiche e culturali fra i vari ordinamenti giuridici”, sicchè è meglio evit are una proliferazione dei diritti fondamentali, che può “intaccare l’equilibrio costituzionale portante dell’intera Unione”. 10 della nozione giuridica delle situazioni soggettive: è di tutta evidenza che se pure la nozione materiale ne può essere identica in tutti i paesi europei, lo statuto (anche) costituzionale dei diritti “fondamentali” differisce nelle varie e specifiche realtà ordinamentali interne, non fosse altro perché esso è il precipitato della evoluzione storica e sociale di ciascun paese. Il che non vuol dire, ovviamente, negare il costituzionalismo 30 come filosofia del diritto: significa semmai riconoscere che l’affermazione astratta della essenzialità della garanzia dei diritti fondamentali (nonché della dignità umana e sociale, dei principi di uguaglianza, laburista e personalista) è destinata ad inverarsi nel concreto della puntuale disciplina positiva, laddove finalità (valori, se si preferisce) c he possono anche dirsi condivise finiscono con l’essere attuate attraverso strutture normative del tutto differenti e spesso contrastanti. In sostanza, ammesso e non concesso che vi sia uniformità assiologia e funzionale, non è detto che ciò si traduca nell a identità dei mezzi (i.e. il diritto positivo) stimati idonei al conseguimento di detti fini. 31 Appare assai dubbio che la Carta di Nizza 32 o la Cedu possano costituire il frutto di una sintesi, in un indecifrato processo di astrazione, del L’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 recita che “ Ogni società in cui la garanzia dei dir itti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione.” Tale “norma-manifesto del costituzionalismo”, secondo la definizione di G. Ferrara, La Costituzione. Dal pensiero politico alla norma giuridica , Giuffrè, Milano, 2006, 1 03, esplicita una sovrapposizione fra la nozione di Costituzione e quella di costituzionalismo che, sul piano teorico generale, divide la più autorevole dottrina (in senso adesivo M. Luciani, L’antisovrano e la crisi delle costituzioni , in Riv. dir. cost. , 1996, 154; in senso contrario, A. Pace, L’instaurazione di una nuova costituzione. Profili di teoria costituzionale , in Potere costituente, rigidità costituzionale, auto vincoli legislativi, seconda ed. riveduta e ampliata, Cedam, Padova, 2002, 111 ss., M . Dogliani, La lotta per la Costituzione , in Dir. Pubbl., 1996, 298 e A. Barbera, Le basi filosofiche del costituzionalismo , Roma-Bari, Laterza, 2007). 31 Evidenzia acutamente la carenza, nella Carta dei diritti, di vincoli di forma e sostanza alle limitazioni dei diritti fondamentali E. Gianfrancesco, Incroci pericolosi: CEDU, Carta dei diritti fondamentali e Costituzione italiana tra Corte costituzionale, Corte di giustizia e Corte di Strasburgo , in www.associazionedeicostituzionalisti.it , n. 1 del 2011, desumendo dalla “assenza di riserve di disciplina che noi definiremmo rinforzate e, di converso, [da] una generale previsione di riserva di legge”, oltre che da una certa ampiezza del fondamento assiologico dei diritti, (che si accompagna alla debolezza prescrittiva delle relative disposizioni) una significativa “distanza del modello costituzionale italiano da quello europeo”. 32 Controversa è l’efficacia giuridica della Carta dei diritti fondamen tali dell'Unione europea – già proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e nuovamente proclamata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 – cui, pur non inserita nel Trattato , l'art. 6 TUE attribuisce la medesima efficacia giuridica del Trattato. Ciò che ha indotto l a deroga introdotta per Polonia e Regno Unito (M. C. Baruffi, Il Trattato di Lisbona tra vecchio e nuovo , in Dalla Costituzione europea al Trattato di Lisbona , a cura di M.C. Baruffi, Padova, 2008, 30 ss.). Si discute se la Carta dei diritti abbia una val enza meramente ricognitiva o abbia assunto un valore prescrittivo e vincolante, tale da porsi quale parametro di legittimità degli atti normativi comunitari ed interni (C. Pinelli, Cittadinanza europea, in Enc. Dir., Annale I, 2007, 193; G. Demuro, Costituzionalismo europeo e tutela multilivello dei diritti. Lezioni , Torino, 2009, 42 riconosce espressamente che “per evitare la frammentazione il Trattato di Lisbona fa un passo ulteriore [rispetto all'azione dei giudici, n.d.r.]: il riconoscimento dei diritti fondamentali come diritto comunitario.”). Ritiene che “nonostante la Carta sia nata come documento recante un significato politico altamente simbolico a fronte di un valore giuridico pressoché nullo, nel tempo la prassi ha mostrato come le istituzioni abb iano inteso 30 11 considerarla quale atto anche giuridicamente vincolante” C. Feliziani, La tutela dei diritti fondamentali in Europa dopo Lisbona. La Corte di giustizia prende atto della natura giuridicamente vincolante della Carta di Nizza , in www.associazionedeicostituzionalisti.it , n. 3 del 2011, p. 15, la quale aderisce all’orientamento della Corte di Giustizia, espresso nella sentenza 19 gennaio 2010 Seda Kucukdeveci c. Sweden, C -555/07, in base al quale la Carta è diritto comunitario immediatamente applicabile, sicchè il giudice comune è tenuto a disapplicare il diritto interno con essa in contrasto, ferma restando la facoltà di sollevare la pregiudiziale comunitaria. Nel caso di specie, la CGCE ha ritenuto illegittima, per violazione del principio di non discriminazione in base all’età previsto dall’art. 21 della Carta, una norma tedesca che escludeva, dalla base di computo del preavviso in caso di licenziamento, il periodo in cui il dipendente aveva reso le prestazioni lavorative non avendo ancora compiuto il venticinquesimo anno di età. La natura ricognitiva della Carta di Nizza era stata rilevata da A. Pace, A che serve la Carta dei diritti dell'Unione Europea? Appunti preliminari, in Giur. Cost., 2001, 194 ss., a giudizio del quale “La Carta assomiglia ad un testo unico, a mezza strada tra il 'compilativo' e l'innovativo', posto che anche in essa, com'è noto, sono stati fatti confluire la Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950, l a Carta sociale europea del 1961, la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, varie direttive della CE, nonché principi espressi nella giurisprudenza della Corte di Giustizia della CE. Ne consegue che […] la Carta ben pot rebbe essere immediatamente applicata almeno nella misura in cui, sul punto, sia 'ricognitiva' del disposto di una fonte giuridicamente in vigore.” L'illustre studioso, a sostegno della propria tesi, riporta – nota n. 8 – l'opinione espressa in data 8 febbraio 2001 dall'avvocato generale presso la Corte di Giustizia CE, Antonio Tizzano, in ordine alla immediata efficacia della Carta (sul rapporto fra la Corte di Giustizia e la Corte Europea dei diritti dell'uomo, v. L. Tomasi, Il dialogo tra le Corti di Lus semburgo e di Strasburgo in materia di tutela dei diritti fondamentali dopo il Trattato di Lisbona , ult. op. cit., 149 ss.). Nel senso della originaria natura ricognitiva M. Cartabia, L’ora dei diritti fondamentali, op. cit., 32, ove si legge che “Apparent emente il valore della Carta dei diritti è solo quello di mettere un po’ di ordine normativo nelle garanzie dei diritti fondamentali già presenti nel sistema comunitario e di renderle conoscibili e perciò maggiormente fruibili”, ma nella realtà essa, pur priva di una compiuta efficacia giuridica, l’ha conquistata sul campo. La scrittura, infatti, ha contribuito a dare maggiore legittimazione al testo ed a “esaltare il ruolo della Corte di giustizia come Corte costituzionale dell’Unione Europea”. L’insigne g iurista riconosce che “La Carta dei diritti sarà priva di quella esclusività tipica invece delle codificazioni ottocentesche negli ambiti degli stati nazionali dell’epoca. Essa andrà ad affiancarsi a 27 Costituzioni nazionali, alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ad un ampio spettro di principi costituzionali non scritti, elaborati da tutte le Corti supreme che si occupano di diritti fondamentali e soprattutto dalla Corte di Lussemburgo e Strasburgo” e ciò, in uno alla tecnica di legislazione “a maglie larghe”, “garantirà un’ampia discrezionalità dei giudici”, sicchè si pone il problema di non consentire alla giurisdizione di occupare gli spazi della politica. Condividono le perplessità per i rischi dell’attivismo giudiziario anche F. Sorrentino, I diritti fondamentali in Europa dopo Lisbona (considerazioni preliminari), in Corr. Giur., 2010, 146 ed E. Gianfrancesco, Incroci pericolosi, op. cit. , 3 s., il quale ritiene che costituisca un valido argine verso le “interpretazioni fantasiose in tema di diritti fondamentali” la tecnica del giudizio accentrato di costituzionalità che la Corte costituzionale ha rivendicato qualificando la CEDU norma interposta nei giudizi di legittimità costituzionale. Il nodo da sciogliere resta, inoltre, quello delle com petenze dell’Unione Europea che, in base al combinato disposto degli artt. 6 TUE e 51 Carta dei diritti, non subiscono dilatazione per effetto (del regime di efficacia) della Carta dei diritti. Ciò significa che, pur riconoscendo a quest’ultima l’immediata applicabilità alla stregua del diritto comunitario, ciò potrà portare alla disapplicazione del diritto interno – così come alla pregiudiziale comunitaria – solo ed esclusivamente nelle materie di competenza del Trattato e, del resto, in combinato disposto con la disciplina comunitaria suscettibile di applicazione al caso concreto. In questo senso si è espressa esplicitamente la Corte costituzionale nella sentenza 11 marzo 2011 n. 80 (Corte cost. 11 marzo 2011, n. 80 in Giur. cost., 2011, 1224 s.s.) afferma ndo che né la CEDU né la Carta di Nizza determinano un 12 materiale normativo desunto dalle singole realtà costi tuzionali nazionali. Il processo di efficacia di tali carte, se letto disin cantatamente, appare discendente, piuttosto che ascendente. Si tratta di testi (oggi) normativi che s’impongono al diritto interno assai surrettiziamente, proprio perché ciò avviene sul piano ermeneutico, prima ancora che nelle decisioni della Corte di Giustizia o del giudice comune. Ma occorre riflettere propri o sui rischi di questi processi se si vuole comprendere qual siano le effettive dist onie, fra ordinamento interno ed ordinamento europeo, sul piano della garanzia dei diritti costituzionali. Le direttive lungo le quali occorre svolgere l’indagine sono essenzialmente tre, consistenti la prima nell’analisi delle regole generali che, sul piano della tutela dei diritti, inverano il processo di integrazione europea; la seconda nell’esame comparato delle singole situazioni giuridiche soggettive, della relativa tecnica di formazione e dell’attuazione giurisprudenziale che le caratterizza ; la terza nella esegesi delle regole sottese alla rappresentanza politica ed alla politica sociale. 2.1 Le regole dell’integrazione comunitaria sul piano della tutela dei diritti, anche sociali. L’analisi comparativa del diritto europeo e del diritto interno, pe rché sia funzionale alla comprensione delle distonie esistenti sul piano della tutela dei diritti sociali, deve muovere dal piano dei principi, ossia della normazione che costituisce il sistema della c.d. tutela multilivello (in via di prima approssimazion e analizzata solo verso l’alto, ossia nel rapporto fra Stato e Unione europea, e successivamente anche verso il basso, ossia in relazione alle autonomie territoriali ed alle formazioni sociali). Gli strumenti che sono stati approntati nell’integrazione eu ropea, sul piano della tutela dei diritti, lasciano chiaramente intendere come sia in atto un processo di “decostituzionalizzazione” 33 e “desocializzazione” 34 ampliamento delle competenze dei Trattati, con la conseguenza che esse potranno essere invocate dal giudice comune solo ed esclusivamente nelle materie in cui esista un diritto dell’Unione che, secondo l’attenta lettura di A. Guazzarotti, I diritti fondamentali dopo Lisbona e la confusione del sistema delle fonti , in www.associazionedeicostituzionalisti.it , n. 3 del 2011, costituisce l’effe ttiva normativa che determina la disapplicazione del diritto interno, pur se in combinato disposto con la Carta dei diritti. 33 A. Cantaro, Il secolo lungo , op. cit., 118 ss., il quale ritiene che la decostituzionalizzazione sia una conseguenza quasi nece ssaria del neocostituzionalismo e del bilanciamento fra valori, che appare propria del diritto comunitario. Nella Carta di Nizza, infatti, all’affermazione dei diritti non segue una puntuale disciplina del loro contenuto e dei relativi limiti. Le regole co ncrete sembrano lasciare spazio ai principi od ai valori; libertà, eguaglianza, solidarietà, dignità, cittadinanza e giustizia divengono sei macroinsiemi pariordinati rispetto ai quali la legge viene svilita in favore della decisione giudiziaria, vero strumento normogenetico che costituisce frutto di un bilanciamento sottratto a puntuali regole di confronto e composizione fra diritti e, conseguentemente, ad ogni controllo e verifica democratica. Induce perplessità anche in M. Luciani, Riflessioni minime sul la Carta europea dei diritti fondamentali , in Dir. pubb. Comp. E europeo , 2001, n. 1, 172 ss. l’idea che l’effettività dei diritti sociali possa essere affidata soltanto ad “un giudice o ad una procedura”. 34 A. Cantaro, Il secolo lungo , op. cit., 127 ss. p one l’accento sul processo di ipostatizzazione dell’individualismo proprietario anche con riguardo ai diritti sociali, osservando che 13 (delle situazioni giuridiche soggettive in genere ed in particolare) dei diritti sociali. Il primo dato che colpisce nell’esegesi dell’art. 21 della Carta dei diritti è la proclamazione del sol o principio di non discriminazione 35: non v’è traccia dell’eguaglianza sostanziale riconosciuta dall’art. 3 comma 2 Cost., né tale ultima disposizione è paragonabi le, per rigore ed efficacia giuridica, all’art. 3 comma 3 alinea 2 TUE od all’art. 9 TUE. L’Unione europea, infatti “combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociale” e “rispetta, in tutte le sue attività, il principio dell’uguaglianza dei cittadini” 36, mentre è “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’e ffettiva partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica, sociale o spirituale della società”. La coralità del riferimento alla Repubblica, al principio personalista in uno a quello laburista, nonché l ’esigenza che la partecipazione, ossia l’essenza del consorzio sociale, sia effettiva danno la misura della distanza dall’attività di promozione della protezione sociale che l’Unione europea si assume, per poi esercitarla con forme che devono essere oggetto di occhiuta indagine. Infatti, se l’art. 3 comma 2 Cost. trova puntuale attuazione, già a livello costituzionale, in una pluralità di disposizioni che riconoscono a “laddove il costituzionalismo moderno e contemporaneo rinviene il fondamento dei diritti e i suoi destinatari privilegiati in grandezze ed entità collettive – la ‘nazione’, il ‘popolo’, i ‘cittadini’ e le loro rappresentanze, i lavoratori e le loro organizzazioni, l’uomo associato, le comunità familiari e religiose – la Carte [di Nizza, n.d.r.] si rivolge di norma a ‘uomini s enza qualità sociale’: a individui, consumatori, utenti.” Osserva P. Car e tti, L’eguaglianz a: da segno distintiv o dello S tato c ostituzionale a princ ipio generale dell’ordinamento c omunitario , in Lo stato c ostituzionale. La dimensione nazionale e la prospe ttiv a internazionale. S c ritti in onore di Enz o Ch eli , a cura d i P. Caretti e M. C. Grisolia, Il Mulino, Bologna 2010, 514 che “l’affe r mazione d e l pr inc ipio d i eguaglianza, inteso come principio generale, fonte d i una serie d i posizioni sogge ttive tute labil i, è essenzialmente frutto d ell’attività ‘creativa’ d el giud ice c omunitario, d e lla Cor te d i Giustizia”. I trattati, nella versione originaria, non preved evano, infatti, la formulazione e spr e ssa d e ll’e guaglianza, pur se esistevano specifici obblighi d i non d iscriminazione e sse nzialme nte str ume ntali all’attuazione d elle libertà economiche. L ’elaborazione pr e tor ia d e l pr inc ipio ha d i certo conseguito fond amentali effetti sul piano d ella tutela d ei d iritti, in spe c ie d e i lavor ator i, anche oltre il ristretto am bito d ella materia economica e d ella cittad inanza d e ll’unione , ma non può negarsi che a livello europeo resta sempre in ombra il profilo sostanziale d e ll’e guaglianza, pur se con significative eccezioni in tema d i azioni positive (CGCE 1995, C -450/ 93, Kalan ke , in Rac c ., 3051). Il passaggio d alla pluralità d egli obblighi d i non d iscriminazione all’affe r mazione d i un principio d i carattere generale (che lo stesso Caretti coglie nell’approvazione d e l Tr attato d i L isbona, soprattutto in ragione d ella d isciplina d ella Carta d i Nizza e d ella nove lla e ffic ac ia giur id ic a d i essa, ai sensi d ell’art. 6 TUE) è stato autorevolmente c ollegato alla pr e visione d e lla c ittad inanza europea ed alla rottura d el nesso fra libertà d i c ircolazione ed attività e c onomic a (F. Sorrent ino, Eguaglianza. Lezioni , raccolte d a E. Rinald i, Giappichelli, Tor ino 2011, 248). 36 C. Pinelli, Le “ disposiz ioni relativ e ai princ ipi democ ratic i”, in Le nuov e istituzioni europee. Commento al 35 Trattato di Lisbona , a cura di F. Bassanini e G. Tiberi, Il M ulino, Bologna 2008, 135 ritiene che il principio di eguaglianza sia enunciato dall’art. 9 TUE in modo “scarsamente convincente”, pur se la portata del principio stesso prende maggiormente corpo nelle ulteriori disposizioni relative ai principi democratici . 14 garantiscono i diritti sociali 37, dettandone discipline più o meno articolate, lo stesso non può predicarsi della Carta di Nizza . L’art. 14 della Carta dei diritti, per esemplificare, riconosce il diritto all’istruzione ed all’accesso alla formazione continua senza ulteriori specificazioni. La norma, se comparata con l’art. 34 Cost., mostra immediatamente i limiti di un’articolazione ling uistica molto vaga ed astratta e di una conseguente carenza di precettività. La Costituzione italiana, infatti, non si limita a prescrivere l’obbligatorietà dell’istruzione inferiore, ma si spinge sino ad accordare ai capaci ed ai meritevoli, pur se privi di mezzi, il diritto a raggiungere i più alti livelli di istruzione, preoccupandosi immediatamente di rendere concreta una simile politica di attuazione del principio di eguaglianza sostanziale attraverso una riserva di legge rinforzata, ossia disponendo che “la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze”, da attribuirsi per concorso. Sul piano della puntuale disciplina di singole situazioni giuridiche soggettive – non solo di diritti sociali – si avrà modo di ritornare. Qui giova evidenziare che, sul piano generale, la disciplina dei diritti nella Carta è caratterizzata da un frequente rinvio alla “legislazione e prassi nazionale” quale clausola di chiusura della previsione normativa, nonché dalla carenza di riserve rinforzate. Il diritto dei lavoratori all’informazione ed alla consultazione nell’impresa (art. 27), il diritto di negoziazione collettiva e di sciopero (art. 28), la tutela in caso di licenziamento ingiustificato (art. 30), la sicurezza e l’assistenza sociale (art. 34), il diritto alle cure mediche (art. 35), l’accesso ai servizi di interesse economico generale (art. 36), sono riconosciuti solo ed esclusivamente “alle condizioni stabilite dalla legislazione e prassi nazionale”, di talchè la sostanza del riconoscimento a livello europeo sembrerebbe svuotata di significato e contenuto. Inoltre, la riserva di legge, ai sensi dell’art. 52 della Carta dei diritti, è articolata nel solo rispetto del contenuto essenziale dei diritti e del principio di proporzionalità, il che lascia chiaramente intendere quanto complesso potrà risultare un controllo sulla discrezionalità legislativa, già non semplice anche laddove i testi di rango costituzionale sono più puntuali e dettagliati. Lo stesso art. 52 comma 5 TUE formalizza la tesi della programmaticità dei diritti sociali (ignorando l’enorme sforzo ricostruttivo della categoria 37Il diritto al lavoro (art. 4 Cost.); il diritto dei non abbienti ai mezzi per agire e difendersi in giudizio (art. 24 comma 3); il diritto del condannato a trattamenti tendenti alla rieducazione (art. 27 comma 3), il diritto alle cure mediche (art. 32 C ost.), gratuite per gli indigenti; il diritto alle agevolazioni per la famiglia, alla protezione della maternità, dell’infanzia e della gioventù (art. 31 commi 1 e 2 Cost.); il diritto allo studio (art. 34 commi 3 e 4 Cost.), il diritto all’assistenza soci ale ed alla previdenza (art. 38 commi 1 e 2), il diritto degli inabili e dei minori all’eduzione ed all’avviamento professionale (art. 38 comma 3 Cost.); la tutela della cooperazione con carattere di mutualità e senza fini di lucro, nonché allo sviluppo de ll’artigianato (art. 45 commi 1 e 2); il diritto dei lavoratori alla collaborazione nella gestione delle imprese (art. 46); il diritto al risparmio, ed all’accesso al risparmio , alla casa d’abitazione ed alla proprietà diretta coltivatrice, nonché il dir itto all’investimento azionario (art. 47 commi 1 e 2 Cost.). La classificazione, comunque, non è pacifica in dottrina, come si avrà modo di vedere in seguito. 15 che ha caratterizzato molte delle realtà costituzionali nazionali), nel prevedere che le disposizioni di principio possa no essere attuate da atti comunitari o nazionali, nel rispetto delle rispettive competenze, ma possono essere invocate dinanzi ad un giudice “solo ai fini dell’interpretazione e del co ntrollo di legalità degli atti”, con ciò radicandosi ancor più quel proce sso di decostituzionalizzazione cui si è avuto modo di accennare. Andiamo oltre. L’art. 151 TFUE prescrive che gli obiettivi sociali (ad esempio il livello elevato di occupazione – che sostituisce il concetto di piena occupazione – la protezione ed assistenza sociale) siano perseguiti con misure che tengano conto della “necessità di mantenere la competitività dell’economia” e nella convinzione che lo sviluppo del mercato e l’armonizzazione producano tale effetto. Coerentemente, il diritto al lavoro consacra to nella Costituzione italiana, lascia il posto al diritto di lavorare o di scegliere liberamente il lavoro ed il luogo in cui esercitarlo (art. 15 Carta dei diritti) , tanto che è stato autorevolmente sostenuto che “Nell’ordinamento dell’Unione non v’è, dunque, un ‘diritto al lavoro’. Né nel significato giuridico, comune in tutti gli ordinamenti costituzionali degli Stati membri, di un diritto che dà vita a momenti precettivi e situazioni direttamente azionabili. Né nel significato ‘politico’ di un valore c ostituzionale fondamentale dal quale scaturisce un programma, un impegno, una direttiva costituzionale rivolta ai pubblici poteri in materia occupazionale”. 38 Conviene, però, posare l’attenzione su specifiche situazioni giuridiche soggettive, anche non rien tranti nell’insieme dei diritti sociali, per meglio comprendere come la disciplina e la garanzia giurisdizionale nazionale e comunitaria presentino evidenti distonie, cui non pone adeguato rimedio il sistema della tutela c.d. multilivello. 2.2 I diritti anche sociali nell’ordinamento europeo: una comparazione normativa e giurisprudenziale. I diritti europei (riconosciuti e disciplinati nel diritto comunitario o nella Cedu) non sono sovrapponibili ai diritti costituzionali (riconosciuti e disciplinati nel diritto interno) e non possono neanche farsi derivare (appunto, in moto ascendente) da questi ultimi, almeno nella loro previsione positiva. La dimostrazione di tale assunto si coglie nell’esame comparato di singole situazioni giuridiche soggettive, nell a dinamica della relativa applicazione giudiziale. Si consideri la disciplina costituzionale italiana in tema di indennizzo da riconoscere al privato in caso di esproprio. La giurisprudenza costituzionale, a riguardo, è sempre stata attenta a comporre interesse generale ed esigenze proprietarie, almeno sino a quando il parametro di legittimità costituzionale non è stato integrato ex art. 117 comma 1 Cost. con la CEDU. 38 A. Cantaro, Il secolo lungo , op. cit., 133. 16 I primi interventi della Consulta sono stati sempre caratterizzati da una lettura dell’art. 42 Cost. fondata sulla valorizzazione del profilo funzionale della situazione giuridica soggettiva, il che legittimava criteri di determinazione dell’indennizzo di esproprio “non coincidenti con il valore venale o di mercato del bene e, dunque, per de finizione, non rivolti ad una piena soddisfazione delle ragioni della proprietà ma mediati dall’esigenza di tutela di un interesse generale, sia anche esso soltanto di natura finanziaria, di contenimento della spesa pubblica” 39. Si pensi alle sentenze n. 6 1 del 1957, n. 5 del 1960 40, in cui si affermava la discrezionalità del legislatore sul piano della determinazione dei criteri di computo dell’indennizzo, nel rispetto dell’idea che non fosse possibile “che proprio la Costituzione, con tutte le finalità di progresso sociale che la ispirano, abbia inteso, relativamente all’indennizzo, arrestarsi e ritornare al criterio della effettiva corrispondenza al valore venale dell’immobile” 41. Una simile lettura, troppo mortificante del profilo individualistico della proprietà privata, veniva stemperata in successive decisioni, nelle quali si affermava con forza l’esigenza che l’indennizzo, pur non dovendo assolvere ad integrale riparazione della perdita economica subita dal privato, dovesse comunque risolversi in un equ o ristoro del proprietario (la Consulta non ha mai stabilito cosa dovesse intendersi per equo, pur se nella sentenza n. 15 del 1976 42 si è spinta a ritenere tale un indennizzo pari o superiore alla metà del valore del bene), non potendosi determinare in mis ura irrisoria o meramente simbolica. 43 L’indennizzo, in questa ottica, viene valutato proprio nell’effettiva rispondenza alla natura del bene, di talchè le stesse potenzialità edificatorie che vengono in rilievo, nell’ipotesi di esproprio di un terreno, non sono solo quelle risultanti dagli strumenti urbanistici, bensì anche quelle inerenti il materiale e concreto stato del suolo (Corte cost. n. 231 del 1984). Il che appariva più coerente con l’idea che “la proprietà privata ha, in linea di principio, la co nsistenza del diritto soggettivo assoluto”, pur se ne viene rimessa la conformazione funzionalistica al legislatore – il che esclude l’ammissibilità di provvedimenti amministrativi – che ne disciplina modi di acquisto, godimento e limiti. 44 39A. Moscarini, Proprietà privata e tradizioni costi tuzionali comuni , Giuffrè Editore, Milano 2006, 122. 40 Corte cost. n. 5 del 1960, in Giur. cost., 1960, 64 ss., con nota di G. Motzo, Ancora in tema di espropriazione e di regime delle proprietà . 41 Corte cost., 25 maggio 1957, n. 61 in questa Rivista, 1957, 695. 42 Corte cost. n. 15 del 1976, in Giur. cost., 1976, 62 ss. 43 Corte cost. 30 gennaio 1980, n.5, in Giur. cost., 1980, 21 ss. con nota di N. Lipari, A prima lettura e M. Luciani, Vecchi e nuovi principi in materia di espropriazione e indennizzo , il quale non ha mancato di rilevare che con tale pronuncia il valore di mercato del bene è stato qualificato unico parametro di riferimento per la determinazione di un indennizzo qualificabile come equo, mentre in passato tale riferimento non era “un’esigenza i n sé, ma una semplice condizione di fatto per la congruità e serietà dell’indennizzo, che serio e congruo poteva pur sempre dimostrarsi, anche se calcolato su di una diversa base di computo”. 44 A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali , parte generale, terza ed., Cedam Padova, 2003, 135 ss. 17 La composizione fra esigenze sociali e sfera giuridica del proprietario, cui la Corte costituzionale è stata obbligata, sul piano della determinazione dell’indennizzo in caso di espropriazione, in ragione dell’assenza di una indicazione costituzionale sulla misura dell’in dennizzo stesso 45 subisce una vera svolta quando il parametro di costituzionalità si arricchisce con i principi del diritto comunitario, nei quali la tutela della proprietà privata ha un’impronta assai più individualistica e mercatoria, tanto che “Se si passa in rapida rassegna la giurisprudenza della Corte dei diritti ci si avvede che essa non solo afferma, a chiare lettere, il principio del ragionevole rapporto tra indennizzo e valore del bene ma si spinge, in modo assai più marcato, a statuire criteri di determinazione dell’indennizzo che consentano la maggiore congruenza possibile con il valore di mercato del bene” . 46 L’art. 5 bis l. 359 del 1992 ed, in via consequenziale ex art. 27 l. 11 marzo 1953, n. 87, l’art. 37 d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 che ne rec epiva il contenuto, sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla Corte costituzionale, nella sentenza 22 -24 ottobre 2007, n. 348 per contrasto con l’art. 6 della CEDU, norma interposta rispetto all’art. 117 comma 1 Cost., proprio in ragione d el fatto che nel procedimento di espropriazione, tali disposizioni prevedevano un indennizzo non corrispondente al valore venale del bene. La norma, che consentiva la liquidazione di indennizzi inferiori anche alla metà del valore di mercato dei beni espr opriati, era stata assolta sino ad allora dal dubbio di illegittimità costituzionale siccome transitoria e speciale 47 ma, entrato in vigore il Testo Unico, che pedissequamente la recepiva, tale argomento non era all’uopo più seriamente utilizzabile. L’elemento realmente dirompente, però, è dato proprio dallo stratificarsi della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della novella dell’art. 117 comma 1 Cost. , atteso che la CEDU è divenuta imprescindibile parametro , quale norma interposta, nei giudizi di legittimità costituzionale. Il parametro di costituzionalità, dunque, è stato modificato dalla C EDU proprio perché la proprietà privata, per come in essa riconosciuta e garantita, presenta una evidente distonia con l’istituto previsto dalla Costituzione italiana e disciplinato dalla legge in modo da assicurane la funzione sociale. Una diversa proprietà privata, come diverso è il diritto di sciopero che la Corte di Giustizia ha mostrato di bilanciare con l’esigenza di tutel a dei lavoratori ed in una chiave manifestamente contraria all’art. 40 Cost. 48 Aspramente criticata da M. Luciani, Vecchi e nuovi principi, op cit., 45 e S. Mangiameli, Indennizzo, “serio ristoro” e Costituzione, in Dir. e soc., 1983, 315. 46 A. Moscarini, Indennità di espropriazione e va lore di mercato del bene: un passo avanti ed uno indietro della Consulta nella costruzione del patrimonio costituzionale europeo , 11 e s., in federalismi.it. 47 Corte cost. 10 giugno 1993, n. 283, in Giur. cost., 1993, con nota di D. Traina, Il “5-bis” supera indenne il primo esame di costituzionalità. Alcune riflessioni sui problemi applicativi e sulle questioni ritenute inammissibili . 48 Nel quadro di una letteratura ormai sterminata sulle note sentenze Viking, Laval e Ruffert, si veda S. Giubboni, I diritti sociali dopo il Trattato di Lisbona. Paradossi, rischi ed opportunità , 45 18 relazione al convegno Diritto civile e principi costituzionali europei e italiani , svoltosi a Perugia il 25 e 26 marzo 2011, in www.unipg.it il quale ritiene che per effetto della “arcigna impostazione proto -liberale” che caratterizza tali precedenti, in essi “il diritto di azione collettiva in situazioni rilevanti per l’ordinamento dell’Unione viene in effetti ‘ampiamente anestetizzato’ sulla base di un bilanciamento solo fittizio ed apparente […] con le contrapposte libertà di mercato, le quali vedono viceversa riaffermata una netta prevalenza nella gerarchia dei valori normativi cui la Corte si ispira”. V. altresì V. Angiolini, Laval, Viking, Ruffert e lo spettro di Le Chapelier , in Libertà economiche e diritti sociali nell’Unione europea, a cura di A. Andreoni e B. Veneziani, Roma 2009, 51 ss. e F. Angelini, L’Europa sociale affidata alla Corte di giustizia CE: “sbilanciamento giudiziale” versus “omogeneità costituzionale” , in Studi in onore di Vincenzo Atripaldi , Jovene, Napoli 2010, 1495 ss., la quale acutamente ricostruisce la disciplina europea dei lavoratori temporaneamente distaccati, mostrando come l’interpretazione della Corte di giustizia, così come quella della Commissione europea, siano state improntate ad una precipua affermazione dei valori del mercato e della concorrenza, nel pieno sacrificio – denunciato dal Parlamento europeo nella risoluzione 22 ottobre 2008 sulle sfide per gli acco rdi collettivi nell’Unione europea, con riguardo all’erronea interpretazione della direttiva 96/71/CE – delle situazioni giuridiche soggettive dei lavoratori, funzionali al radicarsi di un vero e proprio dumping sociale. Nella sentenza Sager (CGCE 25 lugli o 1991, causa C-76/90) la CGCE ha ritenuto che le norme di diritto del lavoro nazionali non possono essere applicate ai lavoratori stranieri distaccati, se ciò ostacola l’accesso di un’impresa straniera nel relativo mercato, salvo i casi di cui all’art. 52 TFUE (ordine pubblico, sicurezza pubblica e sanità), da comporsi in sede di bilanciamento, in applicazione del principio di proporzionalità. E’ di tutta evidenza che in tal modo si consente alla CGCE un controllo assai pervasivo sulla normativa nazionale, in base ad un criterio di ragionevolezza/proporzionalità in cui emerge prepotentemente il peso dei reali valori fondanti dell’Unione europea, ossia la concorrenza ed il mercato. Proprio per questo la direttiva 96/71/CE è stata interpretata – in senso contrario al tenore letterale – in chiave liberistica non già come recante uno standard di tutela minima inderogabile (ai sensi dell’art. 3 comma 1, avuto riguardo di una serie di materie – quali il diritto alle ferie, alla salute, al riposo – nelle quali comu nque non si ravvisano né le garanzie in caso di licenziamento né il diritto di sciopero), ma com e previsione normativa degli unici interessi che, sempre nel rispetto del principio di proporzionalità, possano valere quali limiti in sede di bilanciamento con gli antagonisti interessi del mercato. Tale orientamento è stato ulteriormente sviluppato in una serie di altre decisioni (CGCE 3 aprile 2008, causa C -346 del 2006, Ruffert; CGCE 19 giugno 2008, causa C -319/06, Commissione c. Granducato di Lussemburgo ) in cui la Corte di Lussemburgo ha meglio chiarito il concetto di ordine pubblico quale limite alle libertà economiche, interpretandolo in chiave internazionalistica ma escludendo che ciascun Stato membro possa concorrere alla relativa determinazione con il proprio patrimonio normativo anche costituzionalistico. Per l’esame delle decisioni ed una attenta riflessione sul concetto di ordine pubblico v. F.Angelini, L’Europa sociale , op. cit., 1501 ss. In realtà la tutela di interessi antagonisti rispetto a quel li della concorrenza e della libertà di stabilimento e circolazione, quali sono quelli sottesi alla disciplina di tutela dei lavoratori, si è sempre realizzata indirettamente, venendosi paradossalmente a fondare proprio sui valori ad essi contrapposti. Si è rilevato (F. Salmoni, Diritti sociali e Unione europea. Dall’ordinamento comunitario allo stato sociale europeo , in Scritti in onore di G. Ferrari, Giappichelli, Torino 2005, 563 ss.) che la protezione dei diritti sociali nell’Unione Europea è un effetto indiretto del principio di non discriminazione o della concorrenza, ha esemplificato l’assunto con riguardo all’annullamento delle norme che condizionano il diritto alle ferie all’aver maturato un periodo minimo di prestazione lavorativa alle dipendenze d el medesimo datore di lavoro (CGCE 26 giugno 2001, casua C -173/99, BECTU) od al divieto di licenziamento per lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, nullo perché integrante una discriminazione fondata sul sesso, incompatibile con il di ritto comunitario (CGCE 4 ottobre 2001, causa C-438/99, Jimenez Melgar). Si tratta di tracce giurisprudenziali che tradiscono l’approccio metodologico dell’Unione europea, la quale “invece di garantire e tutelare i 19 Ancora, differente è la previsione normativa e la tutela concreta dell’ambiente, nella pluralità di articolazioni in cui è scomponibi le od articolabile il prismatico universo di tutele e garanzie a d esso sottese. 49 In sostanza, a livello europeo si vanno, quindi, affermando sul piano giurisprudenziale, situazioni giuridiche soggettive diverse (i.e. diversamente disciplinate e tutelate nel concreto del processo ) da quelle che l’ordinamento interno ha , da tempo, formalizzato. Ciò accade grazie all’assenza del politico dalla scena europea, che si traduce in una normazione assai elastica ed apparentemente di scarsa efficacia precettiva, ma che si invera quotidianamente nel diritto vivente , erodendo sempre maggiori ambiti della sovranità nazionale e senza alcuna forma o strumento di controllo. 2.3 La politica sociale europea: rappresentanza sovrastatuale o intergovernativa? La politica sociale europea è lo strumento di attuazione dei valori (oggi, almeno apparentemente) fondanti l’Unione europea (ai sensi dell’art. 2 TUE, ossia la dignità, l’uguaglianza formale, la solidarietà e la parità di genere), nel rispetto del sistema delle competenze e del principio di sussidiarietà, nonché della finalità originari a della UE, ossia l’instaurazione di un mercato comune 50. diritti sociali fondamentali, si limita a riconoscerli e rispettarli”, oltre al fatto che nelle relative disposizioni sono utilizzati “concetti relazionali, tanto vaghi quanto inefficaci” e comunque svuotati dalla clausola ricorrente di rinvio al diritto comunitario ed alla legislazione nazionale (F. Salmoni, Diritti sociali , op. cit., 556 e 557, che pure valuta “positivi, ancorchè non ancora del tutto soddisfacenti” i risultati sul piano della tutela dei diritti sociali comunitari, nell’epoca antecedente all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona). Del resto, il costume di fondare sulla concorrenza anche la tutela di interessi alieni e con essa addirittura contrastanti si è rapidamente esteso dalla Corte di giustizia al giudice comune. Anche la Corte di Cassazione (Cass. 5 novembre 2010, n. 225 59, in Guida al diritto , n. 47, 27 novembre 2010, 52 ss.) ha ritenuto che l’imprenditore che si avvalga di lavoratori extracomunitari privi di permesso di soggiorno, ferma restando la nullità del relativo contratto di lavoro per contrarietà a norme imperat ive (art. 22 T.U. immigrazione), è comunque obbligato ai versamenti retributivi e contributivi perché differentemente ritenendo sarebbero “alterate le regole del mercato e della concorrenza”, consentendosi “a chi viola la legge sull’immigrazione di fruire di condizioni più vantaggiose rispetto a quelle cui è soggetto il datore di lavoro che rispetto la disciplina in tema di immigrazione”. Si tratta certo di un effetto virtuoso della tutela della concorrenza, ma l’argomentazione non convince perché omette di considerare la tutela costituzionale del lavoratore (in particolare il diritto all’equa e proporzionale retribuzione ex art. 36 Cost.) appiattendola – non senza paradosso – sulla tutela di una facoltà della libertà di iniziativa economica privata, ossia l a concorrenza. Di talchè l’effetto perverso che ne discende è che la libertà economica viene ad essere limitata non già dalle esigenze sottese alla formula dell’utilità sociale di cui all’art. 41 comma 2 Cost. – fra esse, di certo, la tutela del lavoratore – bensì dalla garanzia della concorrenza, che è elemento consustanziale alla libertà d’intrapresa economica. 49 Sia consentito in tema il rinvio a L. Principato, Il processo di integrazione europea nel contrasto fra tutela dell’ambiente e libertà di circ olazione delle merci , in Dir. soc., 2/2011, 501 ss. nonché in Scritti in onore di A. Pace , Editoriale Scientifica, Napoli 2012, III, 2799 ss . 50 L’elisione del riferimento alla concorrenza libera e non falsata, nella novella dell’art. 3 TUE, potrebbe essere ritenuta sintomo di un’evoluzione del sistema gerarchico dei valori determinati sul piano europeo (in questo senso, G. Bronzini, Il modello sociale europeo , in Le nuove istituzioni europee , op. cit., 113), ma una lettura sistematica del Trattato lascia in tendere 20 La nuova stesura dell’art. 3 TUE sembra il frutto di un equilibrismo linguistico, ai limiti dell’ossimoro. L’Unione si adopera per uno sviluppo sostenibile, fondato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, ossia su una “economia sociale di mercato”, in cui sono premiate anche la tutela dell’ambiente ed il progresso scientifico e tecnologico. La sostanza di tali formule può cogliersi nell’applicazione giurisprudenziale – che si è mostrata sopra, pur se per spunti paradigmatici di riflessione – ma anche nella predisposizione degli strumenti e delle procedure per l’attuazione politico -normativa, terreno sul quale il Trattato dei Lisbona è tutt’altro che entusiasmante. L’art. 5 TFUE precisa che l’Unione “può prendere iniziative per quanto riguarda il coordinamento delle politiche sociali”, fondando l’azione di coordinamento stessa su una libertà funzionale che mal si concilia con la doverosità che dovrebbe inferirsi dal principio di sussidiarietà 51. Soprattutto, l’art. 151 comma 1 TFUE (non riconosce e garantisce, bensì) “tiene presente” i diritti sociali fondamentali e, con un solenne richiamo della Carta sociale europea e della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori 52, stabilisce quei fini cui sono tese le misure che il successivo comma 2 pretende articolate, tenuto conto delle diversità nazionali e della “necessità di mantenere la competitività dell’economia dell’Unione”. L’unico elemento di giuridica dov erosità, seminato nei giardini delle buone intenzioni, è proprio dettato dal richiamo alla economia competitiva, ossia al principio della concorrenza. che la concorrenza resta il principio fondante dell’Unione europea, gerarchicamente sovraordinato – come lo stesso sistema della competenza rende manifesto – e pervasivo finanche della politica sociale stessa. Appare condivisibile, dunque, la lettu ra disincantata del dato normativo offerta da C. Pinelli, Il preambolo, i valori, gli obiettivi , in Le nuove istituzioni europee , op. cit., 62, il quale nega efficacia giuridica all’eliminazione del riferimento alla concorrenza, chiesto ed ottenuto dalla F rancia in sede di revisione del Trattato. 51 In questo senso, G. Bronzini , Il modello sociale , op. cit., 115, il quale denuncia una carenza di coordinamento fra politica economica e politica sociale, pur se il combinato disposto degli artt. 7 (“L’Unione ass icura la coerenza fra le varie politiche e azioni, tenendo conto dell’insieme dei suoi obiettivi e conformandosi al principio di attribuzione delle competenze”) e 10 TFUE (“nella definizione delle sue politiche ed azioni, l’Unione tiene conto delle esigenz e connesse con la promozione di un livello di occupazione elevato, la garanzia di una protezione sociale adeguata, la lotta all’esclusione sociale e un livello elevato di istruzione, formazione e tutela della salute umana”) lascia intendere una sensibilità verso una efficiente formula di compromesso fra tali opposti interessi, che troverebbe espressione in un federalismo non competitivo, ma neanche propriamente solidaristico, stante la carenza di un adeguato assetto amministrativo e di una dotazione economi ca europea per la tutela dei diritti sociali. 52 Carte fondamentali che, a differenza della Carta dei diritti di Nizza, non hanno il medesimo valore dei trattati, Ne auspica la comunitarizzazione , analogamente a quanto avvenuto per la CEDU, A. Spadaro, I diritti sociali di fronte alla crisi (necessità di un nuovo “modello sociale europeo”: più sobrio, solidale e sostenibile) , in www.associazionedeicostituzionalisti.it , 14 del dattiloscritto, os servando che la c.d. giurisprudenza del Comitato Europeo dei diritti sociali non è vincolante, potendo tale organo riferire al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, per sollecitarne l’adozione di raccomandazioni. 21 Non diversa appare la logica sottesa all’art. 153 TFUE: il comma 1 è votato all’affermazione di un’Unione che “sostiene e completa” l’azione degli Stati membri in settori sensibili di politica sociale, dalla sicurezza sul posto di lavoro, alla protezione sociale dei lavoratori anche in caso di licenziamento, passando per la lotta all’esclusione sociale ed il principio di parità di genere. Quando però si scende sul piano dell’attuazione dei principi, il comma 2 lett. b) non manca di precisare che le direttive, recanti le “prescrizioni minime applicabili progressivamente”, sempre tenuto conto delle condizioni e delle normative tecniche degli Stati membri, non devono essere tali da imporre vincoli amministrativi, finanziari e giuridici che “ostacolino la creazione e lo sviluppo delle piccole e medie imprese”. Ciò che è una scelta politica – condivisibile o non nel merito – di segno esattamente opposto rispetto a quella che caratterizza l’art. 41 Cost.: se nell’ordinamento interno la libertà d’impresa non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed all’utilità sociale, nell’ordinamento comu nitario è la tutela del “contenuto minimo” dei diritti sociali (espressamente richiamato dall’art. 52) a non poter recare danno alla libertà d’intrapresa economica. In conclusione, la lettura dei dati normativi induce il timore che nel rispetto del liberismo più ortodosso, la sovranità, a livello europeo, voglia attribuirsi (se non alle imprese, nella migliore delle ipotesi) al consumatore, anzicchè al cittadino. 53 Del resto, è lo stesso principio della democrazia rappresentativa, pur proclamato all’art. 10 comma 1 TFUE, a trovare uno scarso riscontro nella realtà istituzionale europea, anche dopo Lisbona. Il rapporto fra Parlamento e Consiglio europeo, infatti, appare articolato in forma ben lungi da quello che coniuga rappresentanza generale e territoriale nelle federazioni 54, nonché fondato su un “sistema di partecipazione che nulla ha a che fare con la democrazia rappresentativa” 55. Si legge in M. Luciani, Perché la sinistra ha smarrito la lezione della Costituzione , in L’Unità del 12 febbraio 2012, “ La retorica della sovranità dei consumatori è penetrata a fondo nella cultura del centrosinistra e ha fatto grandi guasti. Quella del consumatore è per definizione una figura apolitica o tutt’al più prepolitica. È al cittadino, al soggetto politico, che spetta la sovranità.” Il precipitato del difetto di sovranità in capo ai cittadini, a livello europeo, è rappresentato dalla autoreferenzialità della decisione (non)politi ca: osserva F. Bilancia, Statuto del consumatore ed evoluzione della società politica , in Scritti in onore di Michele Scudiero , Jovene, Napoli 2008, 178 che “Gli obiettivi dell’Unione e gli strumenti per la loro realizzazione vengono irreggimentati così ne lle ‘competenze’ declinate nel dettaglio della disciplina normativa, privando qualunque soggetto politico ed i cittadini europei in primo luogo, della possibilità giuridica di influenzarne in alcun modo la determinazione e lo sviluppo”, con conseguente “ne utralizzazione della dimensione politica […] depotenziamento della rappresentanza politica, qualificazione meramente nominalistica dei diritti politici, in una concezione della democrazia in senso soltanto formale”. 54 Pur se nella genesi dei sistemi federa li, la rappresentanza generale non costituisce un dato immediatamente radicato, bensì il risultato di un processo evolutivo, come osservato da S. Mangiameli, Il ruolo del parlamento europeo e il principio della democrazia rappresentativa , in Scritti in onore di Michele Scudiero , Jovene, Napoli 2008, 1226. 55 S. Mangiameli, ult. op. cit. , 1237. 53 22 Il sistema circolare 56 che caratterizza l’Unione europea lascia intendere come gli Stati siano sempre i signori dei trattati e l a formazione convenzionale del diritto europeo, in fondo, è l’immagine della struttura intergovernativa ancora fortemente radicata ed anzi preminente. L’effettivo rapporto fra parlamento, consiglio e commissione dovrebbe essere indagato nell’attribuzione d elle funzioni e nelle dinamiche politiche di funzionamento, per poter comprendere se dopo Lisbona la determinazione dell’indirizzo politico si sia spostata più verso l’organo rappresentativo dei cittadini che verso quello presidiato dagli Stati, ma al fine dell’indagine sui diritti sociali, la questione può essere posta anche solo dubitativamente, giacchè il profilo di maggiore interesse è un altro. Il processo di integrazione europea potrà anche risolversi nella disgregazione più o meno totalizzante degli stati nazionali: è una possibilità che non può escludersi in una fase di transizione così dinamica qual è quella attuale. Esso, però, deve divenire la nuova occasione per la sintesi di un moderno compromesso fra stato e mercato, impresa e lavoro, individua lismo e socialità. Infatti, “le procedure costituzionali della democrazia rappresentativa non precedono ma, necessariamente, seguono un'intesa fondamentale, un patto che sancisca le ragioni dell'intendersi e le sue prospettive” 57: tale patto fondamentale consiste nella scelta politica europea sui diritti civili e politici, ma anche sui diritti sociali, che non può ritenersi tacitamente concluso nel riferimento alle tradizioni costituzionali comuni 58. I. Pernice e F. Mayer, La Costituzione integrata dell’Europea , in Diritti e Costituzione nell’Unione europea , a cura di G. Zagrelbesky, Laterza Roma -Bari 2003, 43 ss ., i quali propongono l’idea di una Costituzione (ed una sovranità) integrata e di un costituzionalismo a più livelli, in cui “l’Unione europea formi un sistema costituzionale composto da un livello nazionale e di un livello sovranazionale di potere pubbli co legittimo, i quali si influenzano reciprocamente, coinvolgendo a più dimensioni i cittadini ovvero i medesimi soggetti di diritto”. 57P. Barcellona, L'Europa, l'economia globale e l'impero: la costituzione europea tra trattato internazione e patto costi tuzionale, in www.astrid-online.it.L'Autore ritiene che nel processo di formazione dell'Europa come istituzione metanazionale, possa compiersi una decisione politica di protezione sociale contro i processi di g lobalizzazione, quale fondamenta su cui edificare una nuova realtà statuale. Nel senso che il binomio libertà -eguaglianza debba ricomporsi a livello internazionale, individuando nuovi equilibri di compromesso per la massimizzazione del benessere collettivo , A. D’Aloia, Storie “costituzionali” dei diritti sociali , in Scritti in onore di Michele Scudiero , Jovene, Napoli 2008, 689 ss. 58Anche l'autorevole dottrina che propone tale tesi (A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo , Bologna 2002, 157 ss. ed in particolare 182 ss.), adotta una formula prudenziale e riconosce le difficoltà in essa implicite. Del resto, alla carenza della decisione politica fondamentale, si accompagna anche lo scardinamento del principio di corrispondenza fra potere e respon sabilità, conquista del costituzionalismo: osserva, infatti, M. Luciani, Integrazione europea, op. cit. , 344, che proprio la moltiplicazione dei livelli decisionali e la depoliticizzazione di alcuni di essi consentono al Potere di sottrarsi alla responsabi lità. Infatti, “molte delle sedi decisionali comunitarie sono tecniche e quindi, per definizione, politicamente irresponsabili”; inoltre, “il semplice spostamento verso l'altro – e cioè verso la sede sovranazionale – consente ai governi degli Stati di scar icare appunto ver so l'alto la responsabilità di scelte sgradite o impopolari”. La sovranazionalità è dubbio che possa essere predicabile di una Istituzione, quella europea, che in realtà è ancora fortemente ancorata al principio intergovernativo ed individ ua nel 56 23 Occorre, dunque, ripercorrere l’evoluzione storica dei diri tti sociali quale categoria giuridica, proprio al fine di comprendere quale sia l’attuale assetto dei c.d. diritti all’eguaglianza sostanziale nell’ordinamento europeo e quali ne siano le possibilità (o le necessità) di sviluppo. 3. La rivoluzione francese e lo stato di diritto liberale. Si è avuto modo di rilevare 59 che il dibattito sulla potenzialità o attualità egoistica del liberismo e del liberalismo è tutt’altro che sopito, visto che proprio di recente 60 sono state avanzate alcune ipotesi di revisione del possessive individualism 61 liberale, finalizzate a rivalutare la funzione sociale nel sistema ottocentesco. 62 Trattato il fondamento di un’attribuzione di competenze che non può ritenersi “stabile”, anche in ragione della facoltà di recesso espressamente riconosciuta agli Stati membri, essendo quindi carente di un predicato imprescindibile della sovranità, ossia la capacità di “autorigenerarsi in virtù della autosufficienza delle proprie fonti del diritto” (M. Raveraira, I diritti sociali dopo il trattato di Lisbona , in R.d.s.s., n. 2 del 2011, 331, la quale pur riconosce il carattere di originarietà all’ord inamento europeo in ragione della capacità di penetrazione normativa nell’ordinamento interno). Si pronuncia categoricamente in senso negativo, sulla tutela dei diritti sociali nell’Unione europea, A. Algostino, Democrazia sociale e libero mercato: Costitu zione italiana versus “costituzione europea”?, in www.costituzionalismo.it , la quale censura in particolare il “il livello verso il basso nella garanzia dei diritti, avallato dalle corti costituzionali”, chia mate ad uniformarsi agli orientamenti della CGCE, il che “nell’ipotesi di costituzioni, come quella italiana, fortemente indirizzate alla realizzazione di un’eguaglianza sostanziale” costituisce “una involuzione così significativa nella garanzia dei diritt i da poter assumere i connotati dell’incostituzionalità”. 59 Sia consentito il rinvio al nostro I diritti sociali nel quadro dei diritti fondamentali , in Giur. cost., 2001, 874 ss. 60 J.B. Brebner, Laissez faire and State Intervention in Nineteenth Century Britain, in Journal of Economic History, Supplemente VIII, 1948, 59 -73 e W. Holdsworth, A History of English Law, a cura di A.L. Goodhart e H.G. Hanbury, specie i volumi XIII, London, 1952 e XV, London, 1965. 61L’espressione di C.B. Macpherson, The Political Theory of possessive individualism , Oxford, 1962 esalta la visione proprietaria nell’affermazione dell’individualismo liberale nella seconda rivoluzione industriale. A. Baldassarre, voce Proprietà, Enc. dir., 8 ss., ha chiarito come la società liberale, intesa come “comunità di proprietari, dunque senza classi”, ipostatizza il concetto stesso di libertà ponendone a fulcro la proprietà, di talchè libertà civile è la “disposizione [...] delle capacità possedute per natura”; libertà economica è “lo scambio dei diritti di proprietà o l’ampliamento degli stessi attraverso le proprie capacità imprenditoriali”; libertà politica è la “compartecipazione al potere collettivo di regolare in modo formalmente uguale [...] la libertà - proprietà dei singoli”. Appare singolare che il “ clash sistemico” di un diritto di proprietà che, valorizzato come strumento egualitario (in senso formale), ha finito con lo scontrarsi con l’eguaglianza sostanziale inducendo la crisi del sistema liberale, non abbia stimolato la riflession e sull’attuale stato del processo di integrazione europea: la logica mercantile ha generato un nuovo scontro con le istanze sociali ed ancora una volta si è compreso che non vi può essere politeia se anche l’economia non rispetta il principio della rappres entanza. Ancora una volta dovrà passarsi dal binomio libertà - proprietà al trinomio libertà proprietà - lavoro. Dal diritto di proprietà al diritto al lavoro. Da un diritto di libertà (qual era la proprietà nel sistema liberale ottocentesco ), ad un di ritto sociale. 62E’ il caso del Roberts, il quale si è prodigato in una mirabile ricostruzione storica e giuridica al fine di dimostrare l’esistenza di radici del moderno Welfare State addirittura nella Inghilterra vittoriana. Cfr. D. Roberts, Victorian Ori gins of the British Welfare State , New Haven, 1960, 95. Più aderente alla realtà, però, appare l’analisi di R.M. Hartwell, La 24 Si può sostenere che “l’individualismo non nega la realtà primordiale del ‘sociale’ come non nega la necessità dell’organizzazione sociale” 63 ovvero ipotizzare che “nessuno dei cosiddetti diritti dell’uomo va al di là dell’uomo egoistico, dell’uomo in quanto membro della società borghese, ossia chiuso in sé, nel proprio interesse privato e nel proprio privato arbitrio” 64, ma certo non può revocarsi in dubbio che la società liberale, frutto della Dichiarazione francese del 1789, sia governata dall’idea dell’uomo lockeano, ossia “L’uomo soggetto di bisogni in grado di organizzare razionalmente la soddisfazione tramite la libertà e la proprietà del corpo, delle azioni e delle cose” 65. La società liberale, però, deve essere occhiutamente indagata in rapporto alle strutture giuridiche liberali, al fine di cogliere la sostanza della dialettica libertà-uguaglianza a cavaliere fra il diciottesimo ed il diciannovesimo secolo. Il primo passo è di certo quello storico: comprendere le radici della rivoluzione francese vuole dire, infatti, compre ndere la genesi del liberalismo, attraverso la cronaca degli avvenimenti. Una crisi senza precedenti si trascinava dall’inizio degli anni ottanta del secolo decimottavo e viene aggravata dal pessimo raccolto del 1788: il piano di ristrutturazione finanziaria del ministro di Luigi XVI Calonne, fondato da un lato su un’imposta proporzionale sul reddito che colpisca tutte le terre e, dall’altro, sulla liberalizzazione del commercio dei cereali e l’eliminazione delle dogane interne, viene affidato all’approvazione di un’assemblea di notabili all’uopo designata, poiché si teme che i tredici Parlamenti dell’Ancien Regime non accettino 66 la nuova forma impositiva, rivoluzione industriale inglese , tr. it. di V. Zamagni, Bari, 1973, 238 ss.: l’azione legislativa è stata necessaria, in quel dete rminato periodo storico, proprio per favorire i principi del laissez faire, dovendosi fronteggiare l’esigenza di eliminare dal tessuto normativo di rango legislativo i privilegi ed i vincoli ereditati dal sistema feudale e mercantilistico, di chiaro ostacolo alla libertà di iniziativa economica ed al valore fondamentale della concorrenza. 63 A. Laurent, Storia dell’individualismo , tr. It., Il Mulino, Bologna, 1994, 18, il quale cita F. Bastiat, Armonie economiche , Utet, Torino 1946, secondo il quale propri o nel momento di massima esaltazione egoistica gli uomini ricercano i propri simili, al fine di associarsi per “rendersi reciproci servizi”. 64 K. Marx, Il problema ebraico , in Id., Scritti politici giovanili , Einaudi, Torino 1950, 379. 65 A. Cantaro, Il secolo lungo. Lavoro e diritti sociali nella storia europea , Ediesse, Roma 2006, 145, il quale pure non manca di evidenziare che già la Costituzione giacobina del 1793 pone, in uno alla libertà, la felicità comune come scopo della società (art. 1), valoriz zando il suffragio universale, il lavoro, l’assistenza e l’istruzione come momento essenziale della questione sociale. 66 Qualsiasi ordinanza o editto regio deve essere registrato dai Parlamenti locali, i quali non possono rifiutare la registrazione, ma pos sono presentare una protesta al re: se questi ordina la registrazione in una seduta straordinaria ( lit de justice ), i Parlamenti sono obbligati ad eseguirla, almeno fino alla prima metà del secolo XVIII. Successivamente, infatti, le aspirazioni politiche d i tali Assemblee diverranno molto più concrete ed esplicite, invalendosi nella prassi e nella pubblica opinione l’idea che “i diritti dei parlamenti procedono addirittura dalle origini della storia monarchica, ossia dalle assemblee franche e successivament e dalla curia regis medievale, e che pertanto non sono delle semplici corti di giustizia, ma un unico corpo depositario delle leggi fondamentali del regno, con potere legislativo; il rifiuto di registrazione una legge equivarrebbe a bocciatura della legge stessa” (F. Furet, La rivoluzione francese , Mondadori, Milano, 2010, 46). 25 siccome assai penalizzante proprio per le principali componenti in essi rappresentate 67 (il clero e la nobiltà, anche di toga). I notabili, allarmati dalla denuncia del deficit statale, non approvano la riforma, chiedendo ed ottenendo la destituzione del ministro e l’attribuzione della relativa carica ad uno dei suoi principali oppositori, il prelato illuminista Lomenie de Brienne. Questi, in realtà, non fa altro che riproporre il progetto del suo predecessore, ma l’Assemble a dei notabili lo rigetta proprio dichiarandosi priva del potere di approvarlo e chiedendo la convocazione degli Stati Generali che, però, Luigi XVI rifiuta categoricamente. Lo scontro si acutizza in Parigi, per poi diffondersi in tutte le province: il Re pretende di provvedere alla registrazione di alcuni provvedimenti tributari senza la preventiva approvazione del Parlamento di Parigi e ne deriva un conflitto assai aspro, che culmina con la disfatta regia, giacchè l’8 agosto 1788 vengono convocati gli St ati generali per il 1 maggio 1789. La logica ed il regolamento per l’elezione dei rappresentanti seguono ancora il modello dell’ultima convocazione, avvenuta nel 1614: gli Stati generali sono divisi in tre ordini – clero, nobiltà e Terzo stato – ciascuno dei quali elegge trecento rappresentanti, ma le votazioni non avvengono per teste, bensì per ordine, sicchè il Terzo stato è sempre posto in minoranza dai rappresentanti dell’ Ancien Regime. In sostanza, in seno agli Stati Generali si provvede alla rappresen tazione degli interessi di ciascuna classe, pur se non può negarsi che all’indomani del 24 gennaio 1789, quando vengono rese pubbliche le lettere di convocazione ed il regolamento elettorale, si assiste alla pubblicazione di una moltitudine di appelli nei quali l’interesse di parte prende a cedere il passo ad un nuovo interesse generale, partorito dalla filosofia dei lumi 68. Tra la prima riunione degli Stati Generali, tenutasi il 5 maggio 1789, e la costituzione dell’Assemblea nazionale, il 17 giugno del med esimo anno, si compie il primo atto della Rivoluzione: il Terzo Stato ha innescato la miccia ribattezzandosi come assemblea dei “deputati dei comuni”; Sieyes Si legge, infatti, in F. Furet, La rivoluzione francese , op. cit., 46 che “i parlamentari sono proprietari delle loro cariche e pertanto relativamente indipendenti nei confronti del potere e imbevuti di un forte spirito di corpo […] Le cariche parlamentari non solo sono care, ma per giunta nobilitano e, pagando una tassa, diventano trasferibili di padre in figlio.” In sostanza, nei Parlamenti si è andata radicando la presenza di q uanti – siano plebei arricchiti con i commerci, avvocati o piccolo borghesi – vengono a costituire quella nobiltà di toga, parte essenziale della nazione illuminata che si scaglierà contro l’ Ancien Regime , per la quale “il reddito essenziale delle sue cari che consiste nell’aumento della sua importanza politica”. 68 E’ il caso del celeberrimo “ Qu'est-ce que le Tiers Etat” in cui l’abate Sieyès si scaglia contro la nobiltà in difesa del Terzo stato, ma al fine di fondare un nuovo regime politico, donde la considerazione “Che cos'è il Terzo Stato? Tutto. Che cos'è stato finora nell'ordinamento politico? Nulla. Che cosa desidera? Diventare qualcosa”. Ancora, il pamphlet “À la Nation artésienne, sur la nécessité de réformer les États d'Artois” , nel quale l’avvoca to Maximillien de Robespierre critica il sistema elettorale in vigore, che non garantisce un'equa rappresentanza dei cittadini, sbilanciata a favore della classe nobiliare. La posizione di tali temi di interesse generale, però, non deve essere enfatizzata: è proprio il medesimo Robespierre, infatti, il 25 marzo 1789 a redigere il cahier de doleances della corporazione dei ciabattini, la più povera e numerosa della provincia: rappresentanza d’interessi, dunque, pur se dietro di essa và formandosi una coscien za più ampia e radicale della sovranità popolare. In tema v. anche G. Salvemini, La Rivoluzione francese , Feltrinelli, Milano, 1964. 67 26 dà fuoco alle polveri sollecitando la convocazione di “tutti i rappresentanti della Nazione” e pro muovendo l’Assemblea Nazionale, prontamente osteggiata dagli altri ordini e dal Re. Luigi XVI convoca una seduta reale per il 23 giugno 1789. I rappresentanti del Terzo Stato, ormai Assemblea Nazionale, cui è precluso l’utilizzo dell’Hotel des Menus Paris , trovano rifugio nella sala della Pallacorda, ove il 20 giugno viene data lettura del celebre giuramento. Vi si legge che “L’Assemblea nazionale” è “chiamata a stabilire la Costituzione del regno, ad operare la rigenerazione dell’ordine pubblico”, sicchè i rappresentanti eletti si riuniranno “dovunque le circostanze lo richiedano, finchè la Costituzione del regno non sarà stabilita e poggiata su solide fondamenta”. 69 Il ruolo dei rappresentanti, in forza dell’apporto del Terzo Stato, tende a modificarsi sensibilmente: essi non costituiscono più il veicolo delle semplici esigenze corporative e specifiche raccolte nei cahiers. Divengono il motore di una rivoluzione politica e sociale che – pur rispettando ancora l’istituzione Monarchica – trascende l’atto di preposizione che ne fonda i poteri ed il mandato conferito dagli ‘elettori’, ponendosi quale strumento d’attuazione di un diverso e superiore interesse generale. Nella seduta del 23 giugno 1789, Luigi XVI accoglie alcune rivendicazioni borghesi, riconosc endo la libertà individuale e di stampa e concedendo che siano gli Stati Generali a deliberare le imposte; per il resto, attua una politica autoritaria, non recependo le richieste di voto per teste, pretendendo l’annullamento delle deliberazioni sino ad al lora assunte dall’Assemblea e contestando quest’ultima nella sostanza, imponendo che gli ordini si riuniscano e deliberino separatamente. Del resto, nella prima fase della rivoluzione, la monarchia è ben lungi dall’essere osteggiata: l’assolutismo di Luigi XVI cade sotto la scure delle rivendicazioni del Terzo Stato, ma la Costituzione del 1791 recepirà comunque un’ambigua forma di governo duale, caratterizzata dall’Assemblea e dal Re, entrambi promanazione della Nazione 70. Siffatta sovranità assembleare sem brerebbe apparentemente neutrale sotto il profilo sostanziale: il Re pretende di sfruttarla per mantenere e consolidare i privilegi dell’ Ancien Regime ed il sistema monarchico, mentre i rappresentanti riuniti nella sala della Pallacorda la invocano quale strumento di affermazione dei nuovi ideali del nascente astro borghese. Solo il tempo ha reso giustizia di una simile ambiguità. La formazione dell’Assemblea Nazionale può essere considerata, alla luce dei successivi sviluppi, il primo passo dell’espressio ne di un potere costituente che nel celebre giuramento si dichiara lapidariamente: i rappresentanti non siedono più, nell’assemblea, per rappresentare gli In F. Furet, La rivoluzione francese , cit. 76, in uno al vibrante resoconto degli eventi narrati, anche uno stralcio del giuramento. 70 N. Zanon, Il libero mandato parlamentare , cit., 71 ritiene che “la stessa teoria della sovranità nazionale, che ricopre il complessivo assetto dei poteri scaturito dalla costituzione del 1971, aveva essenzialmente una funzione negativa e uno scopo dilatorio. Essa serviva a non indicare con precisione a quale dei due soggetti, re o assemblea, spettasse davvero la sovranità”. 69 27 specifici interessi di questa o quella corporazione. La necessità ne ha plasmato il ruolo e la funzio ne, esaltando la situazione rappresentativa ed (almeno in apparenza) svilendone l’originario rapporto con i rappresentati. Per questo i nobili possono decidere di sedere con il Terzo Stato in assemblea unitaria, in piena autonomia e addirittura in manifest o contrasto con le imperative istruzioni del proprio ordine. Per la medesima ragione, Robespierre può tralasciare le rivendicazioni fiscali della corporazione dei ciabattini – in palese ma solo apparente violazione del relativo cahier – decidendo che la migliore cura della Nazione richieda l’approvazione di una nuova Costituzione che mini alle fondamenta l’assolutismo dell’Ancien Regime. La teoria di Sieyes ha preso vita concreta: il potere costituente si è affermato in fatto 71, quale manifestazione di una volontà tesa all’adozione di una nuova Carta fondamentale e tale processo costituente ha travolto la funzione rappresentativa originariamente fondata sui cahiers ma anche quella, che ne costituisce evoluzione, che al contrario veniva a riposare sulla loro nullità o inefficacia verso l’Assemblea 72. Questa trasformazione dell’Assemblea, da sovrana in costituente, rende più difficoltoso astrarre dalla specifica esperienza stori ca per trarne principi generali, validi al fine di una discoperta della effettiva Naz ione oggetto di rappresentanza politica. Nell’Assemblea Nazionale del 1789 la percezione di un superiore interesse generale era chiara ed evidente, proprio perché esso ruotava intorno all’instaurazione di una nuova costituzione, ossia alla lotta contro l’assolutismo regio, in corrispondenza biunivoca con la pluralità ed unità degli interessi. 73 Sul potere costituente quale potere di fatto, si rinvia ad A. Pace, L’instaurazione di una nuova costituzione, op. cit. , 99 ss. ed in particolare, quanto al pensiero di Sieyes 121 e 130, rispettivamente note 43 ed 80. L’abate rivoluzionario, infatti, riteneva che il potere costituente appartenesse alla Nazione, mostrando di far coincidere tale nozione con quella di popolo, nell’affermare che essa coincidesse con le “quarantamila parrocchie che abbracciano tutto il territorio, tutti gli abitanti e tutti i contribuenti della cosa pubblica”. In senso contrario, Pace ritiene che il titolare del potere costituente possa individu arsi solo ex post, analizzando in concreto il processo scaturito dall’esercizio del potere di fatto. 72 Si legge in N. Zanon, Il libero mandato parlamentare , cit., 68 s., che “il divieto di mandato imperativo non deriva dalla sua [dell’Assemblea] natura di corpo rappresentativo dell’intera nazione, piuttosto quest’ultima qualità servì a giustificare i poteri e le competenze che l’assemblea si era attribuita, a partire dalla sua trasformazione in assemblea costituente. L’abolizione del sistema dei mandati imp erativi, da questo punto di vista, è stato il primo ed il più importante provvedimento operativo adottato da un collegio che intendeva far uso del potere costituente, del potere di dare una costituzione alla Francia.” 73 D. Nocilla e D. Ciaurro, Rappresentanza politica, cit., 556 nota 74, osservano che “I costituenti del 1789, nel tentativo di battere definitivamente l’assolutismo, vollero togliere al monarca la qualità di interprete esclusivo dell’interesse collettivo (o nazionale) e tentarono di attribuire la rappresentazione dell’unità all’assemblea elettiva, onde l’attribuzione ai singoli parlamentari del compito di farsi portatori dell’interesse generale e la loro sottrazione ad ogni vincolo verso gli elettori. Tutto ciò ben si conciliava con la progressiva sostituzione della persona fisica del monarca con la persona giuridica dello Stato, alla quale spettava ormai il compito di simboleggiare il momento dell’unità: a tutti gli 71 28 Quando il potere costituente si esaurirà, si solleverà il velo posto sul volto della Nazione e diverrà manifesta la lotta per il potere, che è lotta politica in senso proprio, ossia finalizzata all’affermazione di una peculiare visione della società. La fine del regime monarchico, simbolicamente rappresentata dalla ghigliottina, è l’epilogo di un percorso che passa attraverso il fallimento dei foglianti di La Fayette e l’affermazione della rivoluzione borghese della Gironda, culminata nella giornata del 10 agosto 1792, quando il Re viene destituito e sostituito da un comitato esecutivo, mentre si pongono le fondamenta della creazione della Comune. La costituzione monarchica del 1791 recepisce la “decisione antropologica di porre al centro dell’ordine socio -politico e dell’ordinamento giuridico l’uomo appropriativo e possessivo, ‘libero’ da qualsiasi legame con altri uomini che non sia quello contrattuale” 74: già nel preambolo della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 si legge che i Rappresentanti del popolo francese riuniti nell’Assemblea nazionale in essa “hanno deciso di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sa cri dell’uomo”, diritti naturali che si sostanziano nella libertà e nella proprietà, sacra ed inviolabile. Proprio il dogma del diritto soggettivo è recepito nella prima costituzione rivoluzionaria ed il fine primario dell’avversione dell’ Ancien regime postula l’affermazione di una libertà assoluta pur se non incondizionata, che lascia in ombra quei principi (istruzione pubblica e soccorso pubblico per i minori e gli indigenti) che costituiscono embrionali segni dell’avvento di una giustizia sociale. Fino al “Primo Terrore” ed ai massacri sanculotti del settembre del 1792, con il Re agli arresti la rappresentanza politica è contesa tra Assemblea nazionale e Comune, ma gli eventi rendono evidente quanto incontenibile ed imprevedibile sia la manifestazione di un potere costituente: la minaccia di una reazione fogliante – vera o presunta – porta il popolo e la borghesia in piazza ed alimenta la strategia del terrore di cui sarà vittima la famiglia reale, l’ Ancien Regime ma anche la Gironda ed un parte sensibile dello spirito rivoluzionario di Robespierre. In ogni caso, la Costituzione montagnarda del 1793 innalzerà l’eguaglianza sul piano dei principi naturali ed essenziali, traducendola in strumenti di effettivo perseguimento dello scopo della società, individuato nella “felicità comune”: istruzione, soccorso pubblico e tutela del lavoro si affermano nella Carta costituzionale e si accompagnano al suffragio universale ed alla possibilità di limitare il diritto di proprietà privata. Ma si tratta di una epifania assai breve. Il Terrore pone sotto assedio l’organo assembleare rappresentativo ed apre le porte alla stagione di violenze ed incertezza che preparerà il terreno alla reazione Termidoriana ed alla caduta dei montagnardi. organi di tale persona giuridica era attribuito in teoria il compito di persegu ire la soddisfazione dell’interesse generale, considerato al di sopra dei vari interessi particolari.” 74 A. Cantaro, Il secolo lungo, cit., 146. 29 Il 9 termidoro segna la fine di R obespierre e l’affermazione della Pianura, palese nella Costituzione del 1795, ma è possibile individuare una linea d i continuità ed al contempo uno sviluppo dell’idea di rappresentanza, nel passaggio dal 1789 al 1795. La continuità è data dall’esigenza di rappresentazione di nuovi interessi (borghesi, popolari o reazionari) in seno all’Assemblea, che si traduce in una lotta politica (foglianti, girondini, sanculotti, termidoriani), precipitato dell’esercizio incompiuto di un potere costituente, ancora non esaurito. La riaffermazione del suffragio per censo, della sacralità della proprietà e dei diritti di libertà contribuisce a meglio tratteggiare l’essenza della Nazione che residua dal furore rivoluzionario . Nell’esperienza liberale la Nazione 75 si identifica soggettivamente con la borghesia, il motore della rivoluzione e della crisi dell’ Ancien regime, ossia con una classe assai articolata ma portatrice di interessi sufficientemente omogenei e, soprattutto, accomunata dal fine di osteggiare l’assolutismo regio ma, ancor più, i privilegi della nobiltà e del clero. Proprio l’omogeneità della società borghese rivoluzionaria – va da sé, quella (parte) titolare dei diritti politici – consentirà egualmente un dissolvimento degli interessi particolari (di classe) nelle esigenze della La concezione moderna della Nazione sembra nascere proprio con le rivoluzioni borghesi: nelle città-stato greche o nell’esperienza romana (anche imperiale, cfr. G.F. Ferrari, Nazione, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1 ss.) la nozione può essere ricostruita piuttosto sotto il profilo etnico o culturale, ma l’accezione post rivoluzionaria e, segnatamente, romantica, la quale è improntata ad una tendenziale coincidenza tra nazione culturale e nazione territoriale dotata di una struttura politica autonoma, è di più difficile applicazione a tali esperienze (C. De Fiores, Nazione e Costituzione , Napoli, Giappichelli, 200 5, 15 s. in specie nota 57, richiamando Aristotele, Politica, VII, H, 7, 1327 b aderisce alla tesi secondo la quale proprio il perseguimento dell’unità costituzionale contribuisce “a fare del popolo greco una nazione, in senso politico e non soltanto etnic o”). Certo è che dopo il 1789 i fattori oggettivi (etnico, religioso, linguistico ed istituzionale) si sommano a quello volontaristico soggettivo (G.F. Ferrari, Nazione, cit. 4) e nelle rivoluzioni borghesi si ricostruisce intorno all’idea di Nazione propr io la forma della sovranità (non già popolare, né ancora statale, bensì) appunto nazionale. Non è questa la sede per una compiuta ed esaustiva esegesi del concetto di Nazione, ma rileva che il concetto sia da sempre sotteso da una connotazione fortemente individualistica (v. F. Chabod, L’idea di Nazione , Roma-Bari, Editori Laterza, 1961, il quale principia il saggio proprio con la lapidaria affermazione “Dire senso di nazionalità significa dire senso di individualità storica”. Osserva P. Carrozza, Nazione, in Digesto delle discipline pubblicistiche , Torino, Utet 2004, X, 132 ss. che per i “grandi teorici liberali nazione è uno dei principali elementi costitutivi dello stato, è la giustificazione […] dell’unità politica, ciò che differenzia e giustifica la fo rmazione di un gruppo organizzato come comunità indipendente”, richiamando conseguentemente l’idea di Sieyes, secondo il quale “La Nazione è preesistente a tutto, è l’origine di tutto”) ed è teleologicamente orientato a costituire solida base sulla quale r icostruire un sistema di sovranità contrario a quello assolutistico, aristocratico e clericale. In questa ottica, si comprende come V. Crisafulli – D. Nocilla, Nazione, in Enc. dir., XXII, Milano, Giuffrè, 806 ritengano che costituisca prova della continu ità dello Stato italiano – secondo la nota visione Crisafulliana – il fatto che nella Costituzione i concetti di Nazione e Stato -comunità siano talora sovrapponibili ed in altri casi non coincidenti, ciò che “troverebbe a sua volta spiegazione nella circos tanza che, per quanto trasformato ne sia sotto molti aspetti l’ordinamento (e per quante modificazioni abbia in precedenza subite), Lo Stato italiano è la prosecuzione dello Stato italiano risorgimentale, venuto formandosi sul tronco dell’antico Regno di S ardegna, in nome – appunto – del principio di nazionalità: tardiva conquista dell’unità politica da parte di una preesistente nazione culturale”. 75 30 Nazione, pur se il rapporto unità -molteplicità rimarrà sopito sotto le ceneri, nel corso della storia, per poi riemergere prepotentemente nel secolo XX. Tale omogeneità è garantita dall’essere, questi tutti, fondati su un concetto di eguaglianza (formale) dell’uomo dinanzi alla legge e, simmetricamente, da una nozione di legge come atto generale ed astratto, che garantisce un intervento dello Stato nella società improntato alla medesima eguaglianza formale. Soprattutto, lo stato di diri tto liberale si fonda su un concetto di diritto soggettivo quale strumento per l’affermazione della libertà naturale dell’individuo. Per dirla con Duguit 76, la nota fondamentale di tale ordinamento è la contrapposizione tra imperium e dominium, sovereignity e property, Herrschaft e Eigentum-Freiheit; come il sovrano ha potere sulla collettività per le azioni socialmente rilevanti, in esercizio della propria sovranità, così l’individuo è signore della sfera di azioni a lui imputata dall’ordinamento obiettivo alla stregua di uno “spazio vitale”. 77 L’individuo, dunque, non può vantare una situazione giuridica soggettiva di natura pretensiva verso lo Stato, poiché ciò implicherebbe una incisione nella sfera della sovranità pubblica e, parallelamente, una ingerenza “su istanza di parte” del soggetto pubblico nei rapporti privati, mentre il principio informatore dell’ordinamento liberale è proprio quello, opposto, del laissez faire. Correlata al più elevato indice di espansione della libertà del singolo, dunque, si pone una concezione minima dello Stato, mero “gendarme” delle attività dei cittadini 78. Stato minimo, ma non inesistente: sotto il profilo delle prestazioni sociali, pur se nel sistema si riscontra una preminenza privata sul piano della organizzazione e d ella erogazione, si ravvisano i segni di una forma istituzionale pubblica di assistenza ma, come accennato, non è giuridicamente corretto ritenerla oggetto di un diritto soggettivo (sociale) del cittadino 79, giacchè si tratta di forme assistenziali di natur a privatistica – pur se imposte ex lege – cui è ancora sottesa una logica individualistica. Il rilievo del valore fondamentale della libertà trova un riscontro concettuale nell’idea dell’uomo come essere egoista, ma razionale: la razionalità liberal-borghese è, infatti, la vera chiave di volta di un sistema 76L. Duguit, Il diritto sociale, il diritto individuale e la trasformazione dello Stato (1922), trad. it., Firenze, 1950, 49 ss. 77Coerentemente, A. Baldassarre, voce Diritti sociali , cit., 1 ritiene sussistente un vero e proprio “monopolio pubblico delle azioni politicamente/socialmente rilevanti”. 78L’analisi, però, potrebbe apparire fuorviante rispetto al rilievo da attribuire al soggetto pubblico: dire Stato come mero gendarme, infatti, non equivale a dire Stato debole. Semmai il contrario: quanta forza ed autorità deve riconoscersi in un apparato pubblico che, “senza intervenire” (nel senso tecnico che si è accol to nel testo), riesce comunque a garantire il rispetto delle regole del mercato, tutelando il principio della concorrenza perfetta ed i suoi corollari. 79A. Baldassarre, voce Diritti sociali , Enc. giur. Treccani, XII, Roma, 1989, 2, osserva come si tratti, infatti, del frutto di una “scelta politica unilaterale dei governanti pro tempore ”. 31 caratterizzato da illimitato progresso della civiltà e benessere economico. 80 Il pendant di questa sublimazione delle capacità individuali è ravvisabile nella profonda sfiducia nello Stato ed in eventu ali politiche di redistribuzione del reddito: le condizioni ideali macroeconomiche, come la piena occupazione e la stabilità monetaria, e microeconomiche, come la massimizzazione dei profitti ed il contestuale abbattimento dei costi, si ritengono conseguenza necessaria delle libere fluttuazioni dei valori di mercato. 81 Non sembra, però, affatto esaustiva del contesto culturale e giuridico liberale la tesi della disomogeneità dei diritti sociali rispetto alla struttura del Rechstaat, se la si fonda unicamente sulla concezioni minima dello Stato. V’è di più. V’è il problema della uguaglianza , sopra accennato a proposito dei tratti salienti della cultura liberale e borghese . Sia sul piano sociale, sia sul piano economico, il soggetto pubblico deve limitarsi a garantire il rispetto delle regole del gioco, ma perché questo possa essere libero, tale libertà deve essere di tutti. “Il diritto uguale ed il senso dell’ingiustizia del privilegio sono i tratti salienti più noti del pensiero liberale”. 82 In termini di teoria generale del diritto, questo si traduce, come si è avuto modo di vedere, nella esaltazione (almeno apparente) della legge generale ed astratta e nel ripudio della legge -provvedimento, fonte di discriminazioni. 80In merito cfr. A. Schumpeter, Capitalismo, socialismo e democrazia , Etas-Kompass, Milano, 1967, in specie 117 ss. V. anche l’analisi di J. Habermas, La crisi della razion alità nel capitalismo maturo , Roma-Bari, 1979, 68 ss. 81Per comprendere come un sentimento di sfiducia verso lo Stato interventista sia stato anche caratteristico della genesi della Costituzione italiana del 1948, è proficua l’analisi dell’emendamento prese ntato dall’on. Montagnana dinanzi al plenum dell’Assemblea costituente, nella seduta di Venerdì 9 maggio 1947. Vi si legge: “Allo scopo di garantire il diritto al lavoro di tutti i cittadini, lo Stato interverrà per coordinare e dirigere l’attività produttiva, secondo un piano che dia il massimo di rendimento per la collettività”. Immediate le reazioni dell’Assemblea: a giudizio dell’on. Einaudi “ i piani imposti dall’alto sono sempre stati, nei secoli scorsi, antesignani di servitù politica e di schiavitù economica “; per l’on. Taviani un’economia integralmente pianificata da un lato “lascia troppo facilmente la possibilità di cedere alla tentazione di indirizzarla ad altri scopi [ulteriori rispetto al benessere collettivo], come egemonie imperialistich e o privilegio di ristrette cerchie classistiche o ideologiche”, dall’altro “sacrifica di necessità altri diritti della persona, altrettanto naturali ed originari come il diritto al lavoro”. Una analoga posizione di sfiducia è assunta dall’on. Giannini, il quale giunge a chiedersi: “come potremmo affidare a questo povero Stato nientemeno che tutta la direzione della vita pubblica italiana ?”. Ed ancora: “Noi non vorremmo che lo Statoci vendesse nemmeno le sigarette ed il tabacco, poiché li troviamo a miglio prezzo ed a migliori condizioni nella borsa nera che almeno, per quanto riguarda i tabacchi, è una cosa più seria dei monopoli di Stato”. Per ulteriori riferimenti v. Atti dell’assemblea costituente , nella edizione della Camera dei Deputati, La Costituzio ne della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente , Roma, 1971. 82M. Libertini, Il mercato: i modelli di organizzazione , in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, CEDAM, Padova, 1979, v ol. III, 354. 32 L’eguaglianza liberale, però, non presenta a lcuna affinità con il parallelo concetto che contraddistingue le costituzioni democratiche del ventesimo secolo 83: nel sistema liberale la diseguaglianza fondata sulla diversità delle capacità personali è indispensabile al progresso economico e culturale, poiché ravviva costantemente la propensione alla concorrenza, positiva dialettica conflittuale. 84 Le differenze sociali sono avversate solo ove, fondandosi sulla nascita o sul sistema di privilegi caratteristico dell’epoca medioevale, rappresentano un ostaco lo al libero dispiegarsi delle forze del mercato. Ben si comprende, allora, come in un siffatto sistema, non trovino spazio alcuno i diritti sociali, intesi come condizione “indispensabile a liberare i non abbienti dalla schiavitù del bisogno, e a metterli in condizione di potersi avvalere, anche di fatto, di quelle libertà politiche che di diritto sono proclamate come eguali per tutti” 85; nel contesto del liberalismo storico, infatti, non è ipotizzabile un intervento positivo dello Stato (poiché contrario al laissez faire) finalizzato a garantire un eguale godimento dei diritti politici (che per definizione sono funzione del diritto di proprietà). 4. Il liberalismo e lo stato di diritto. A latere della filosofia politica liberale vi sono le strutture giuri diche che con essa si affermano, nel processo evolutivo dell’istituzione statuale, sottese alla formula dello stato di diritto, sul significato della quale occorre preliminarmente intendersi. Ora, pur non mancando chi, con Kelsen 86, ritiene che il Rechstaat non costituisca una forma autonoma di stato, ma le includa tutte a partire dallo Stato di polizia, pare preferibile accordare allo stato di diritto una autonomia concettuale, ritenendolo contraddistinto da alcuni tratti essenziali: il principio della divi sione dei poteri, non interpretato come semplice ripartizione delle competenze, alla stregua degli stati di polizia, ma analizzato nelle sue implicazioni sulla struttura dell’ordinamento 87; il principio di legalità dell’amministrazione, che, formatosi già a l tempo 83In proposito, estremamente chiara la posizione di N. Bobbio, Eguaglianza ed egualitarismo , in Riv. int. fil. dir., 1976, 321 ss. 84In questo senso, espressamente F. A. von Hayek, La società libera , Firenze, 1969, 62. 85P. Calamandrei, L’avvenire dei diritti di libertà, in Opere giuridiche, vol. III, Napoli, Morano, 1968, 200. 86H. Kelsen, La dottrina pura del diritto , Giulio Einaudi Editore, Torino, terza edizione, 1975, 351: “[...] il tentativo di legittimare lo stato come stato di diritto è assolutamente inadeguato, per il fatto che [...] ogni stato deve essere uno stato di diritto, nel senso che ogni stato è un ordinamento giuridico”. Osserva, però, L. Paladin, Diritto Costituzionale , CEDAM, Padova, Cedam, 1995, 41, che così ragionando si disc onosce “il senso ed il valore della lotta per lo stato di diritto, che contraddistingue la storia istituzionale europea dalla fine del XVIII secolo in poi. Né si considera che un tale tipo di stato, per quanto equivoco possa essere il termine con il quale si suole designarlo, si pone come il frutto di uno sforzo di superamento degli intrinseci difetti dello stato di polizia, assumendo strutture e contenuti politici che stanno in polemica antitesi con quelli dell’ ancien regime ”. 87Alla tripartizione delle fun zioni, cioè, deve corrispondere una tripartizione dell’apparato statale, in Parlamento, cui spetta il potere legislativo, Capo dello Stato o Governo (cui spetta il potere esecutivo) e magistratura (cui spetta il potere giudiziario). 33 degli stati di polizia e del primo sviluppo di un embrionale apparato amministrativo, nel modello in esame raggiunge un più elevando indice di effettività e concretezza; la giustizia amministrativa, come conseguenza diretta del principio di legalit à, poiché finalizzata a garantire il rispetto delle leggi da parte dell’esecutivo; le libertà individuali garantite dalla legge o dalla Costituzione. 5. Stato liberale di diritto nella Germania del diciannovesimo secolo. Il contesto culturale tedesco, so speso fra liberalismo ed autoritarismo, richiede un più approfondito esame. Fatta salva la breve parentesi della Costituzione di Weimar, la forma di Stato dominante nell’area tedesca è quella monarchica: da Guglielmo I, re di Prussia nel 1861 ed imperatore di Germania dopo dieci anni, grazie alla politica delle alleanze del Cancelliere Bismak ed alla sconfitta di Napoleone III, fino alla rivoluzione delle camice brune ed all’ascesa al potere di Hitler, attraverso l’incertezza politica di Guglielmo II ed il primo conflitto mondiale. Hobbes ha rivoluzionato la tradizione medioevale del rapporto di subordinazione dei cittadini rispetto al Sovrano ( omnis potestas ab deo), concependo lo Stato come persona giuridica, costruzione artificiale che sostituisce una volontà unica (voluntas omnium) a quelle dei singoli individui 88, cui non rimane che il diritto alla legalità nell’esercizio dei poteri dei governanti. Il Leviatano fonda la propria sovranità sulla esigenza di comporre e limitare l’egoismo e la ferocia natural e dell’uomo, pur se la creazione del vincolo sociale postula – non dissimilmente da quanto accade in Locke – un momento volontaristico di consapevole rinuncia al perseguimento degli interessi particolari in favore della esigenza di salvezza del gruppo e, in esso, di ciascun partecipante al consorzio sociale. 89 88L’aspetto originale e profondamente innovativo è che la voluntas omnium non è la somma delle singole volontà dei sudditi, ma una entità sostanzialmente differente ed unitaria. Non v’è, dunque, una mera differenza quantitativa (volere di alcuni, volere di tutti), ma una più radicale differenza qualitativa. Si legge in T. Hobbes, De cive (1642), in Opere Politiche , trad. it., Torino, 1959, cap. V, par. 6, 149: “Poiché la convergenza di molte volontà verso un solo scopo non basta per conservare ed istituire una stabile difesa, si r ichiede che la volontà di tutti sia, nella scelta di quel che è necessario per il mantenimento della pace e della difesa, una sola”. 89 Per una rilettura contrattualistica della teoria politica di Hobbes v. M. Luciani, Costituzionalismo irenico e costituzio nalismo polemico , in Giur. cost., 2006, 1644 ss. il quale parla espressamente di “frattura hobbesiana nella storia del costituzionalismo” (1646) atteso che “mentre […] nella dottrina medioevale e rinascimentale la legittimazione del potere sovrano si radicava nella virtù, nella tradizione o nella volontà divina, Hobbes avverte la necessità che addirittura il potere del sovrano assoluto trovi il proprio radicamento nel diritto, nel vincolo contrattuale stretto tra i sudditi (ovvero, in certi passaggi forse m eno sorvegliati, fra i sudditi ed il sovrano)”. Resta inteso che la proprietà privata, mentre in Hobbes non costituisce limite per il Leviatano, che in tal senso è solutus legisbus , in Locke deve essere tutelata anche verso il sovrano, ciò che nell’interp retazione di M. Luciani, Unità nazionale , op. cit., 12 del dattiloscritto è da imputarsi al fatto che nell’intervallo di tempo che separa i due studiosi, “il capitalismo si era ormai saldamente affermato in Inghilterra, sicchè, al di là delle 34 L’assoggettamento del suddito al potere sovrano, che pure si fonda su una contingente e storica necessità imprescindibile – altrimenti essendo impossibile la pacifica convivenza – ma anche su un atto v olontaristico ancorchè inesorabile, finisce con il risolversi in un annichilimento dell’individuo nello Stato che troverà una compiuta esaltazione nella tradizione romantico-idealistica, in cui ne saranno accentuati i toni autoritari. L’unità di volere dello Stato implica di necessità l’annichilimento della intera società civile, intesa come pluralità di individualità, tanto che viene guardata con diffidenza la stessa posizione hegeliana 90, nella quale la dicotomia società-stato viene riconosciuta, pur se d estinata ad una evoluzione dialettica nel segno della assimilazione concettuale. Il pericolo è quello del riconoscimento di diritti individuali ai singoli, che valgano a relazionarli allo Stato non più nell’ottica dell’autorità, ma in quella della libertà: dovendosi tutelare il fondamentale Herrschaftsrecht del soggetto pubblico, nasce la categoria dei diritti pubblici soggettivi, non implicanti, come i diritti soggettivi dei privati, facoltà liberamente disponibili (agere licere), bensì esercitabili solo “ secondo la destinazione e la ragione oggettiva (ratio) per cui sono riconosciuti” 91. Questa visione assolutistica dello Stato, collocato in una sfera superiore e fondante quella dei privati, attraverso la “filosofia della Rivelazione” di Schelling 92 e l’interpretazione giuridica di questa data da Sthal 93, giunge fino ai Reflexwirkungen di Gerber. 94 Per quest’ultimo, se il potere statale è Herrschaftsmacht, “unità di volere indivisibile e superiore ad ogni altra” 95, esso costituisce la fonte di ogni intenzioni so ggettive dei due studiosi, non v’era più bisogno di riconoscere al potere politico una summa di poteri così estesa che gli consentisse di rompere i vincoli feudali contrastanti il nuovo modo di produzione e, anzi, occorreva erigere barriere soprattutto nei suo confronti”. 90 G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di G. Marini, Laterza, Roma -Bari 2005, 195 s. osserva in fatti che “Se lo Stato viene confuso con la società civile e la destinazione di esso vien posta nella sicurezza e nella protezione della proprietà e della libertà personale, allora l’interesse degli individui come tali è lo scopo ultimo per il quale essi sono uniti, e ne segue parimenti che essere membro dello stato è qualcosa che dipende dal proprio piacimento. Ma lo stat o ha un rapporto del tutto diverso con l’individuo; giacchè lo stato è spirito oggettivo, l’individuo stesso ha oggettività, verità ed eticità soltanto in quanto è un membro del medesimo. L’unione come tale è essa stessa il verace contenuto e fine la dest inazione degli individui e di condurre una vita universale; l’ulteriore loro particolare appagamento, attività, modo del comportamento ha per suo punto di partenza e risultato questo elemento sostanziale e universalmente valido. La razionalità consiste, considerata astrattamente, in genere nella compenetrantesi unità dell’universalità e della singolarità […]”. Vede in Hegel la dissoluzione dell’individuo nello “Stato etico” A. Barbera, Le basi filosofiche del costituzionalismo , Laterza, Roma -Bari 2007, 29 ss., assumendone l’incompatibilità con la filosofia del costituzionalismo. 91A. Baldassarre, voce Diritti pubblici soggettivi , Enciclopedia giuridica Treccani, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1989, 3. 92F. W. Schelling, Filosofia della Rivelaz ione (1841), trad. it. Bologna, 1972. 93F. J. Sthal, Die Philosophie des Rechts, II, Rechts und Staatslehre auf der Grundlage christlicher Weltanschauung , V ed., Tubingen -Leipzig, 1878. 94C. F. Gerber, Diritto Pubblico , trad. it., Milano, 1971. 95A. Baldassar re, voce Diritti pubblici soggettivi, cit., 3, il quale muove dal presupposto che lo Stato, nel sistema liberale ottocentesco, inglobava anche la società civile. In senso 35 fenomeno giuridico, compresi i “cosiddetti diritti civili” 96. In quanto effetti riflessi, questi non possono risolversi in una pretesa dell’individuo verso lo Stato, poiché ciò implicherebbe una supremazia, pur se relativa o specifica, del primo sul secondo che, di cont ro, è postulato come supremo ed originario. Le singole tessere prendono a dar vita al mosaico del contesto giuridico – culturale della Germania fra il primo ed il terzo Reich, fra Bismark ed Hitler: da un lato la tradizione monarchica e del cancellierato “ forte”, alimentata da un fervido desiderio di unificazione sotto l’egida del regno di Prussia; dall’altra una concezione autoritaria dello Stato che si collega ad una preminenza del ceto della grande aristocrazia terriera sulla nascente classe borghese, in antitesi rispetto alle ulteriori realtà europee ed in specie a quella francese rivoluzionaria. La commistione di questi elementi ha portato ad uno sviluppo peculiare dell’assetto sociale e politico, rispetto a realtà, come la Gran Bretagna e l’America, prive di un ancien regime e governate da una borghesia commerciale forte ed intraprendente. In quest’ultimo contesto la filosofia liberale ebbe a radicarsi con prepotenza e decisione, determinando una decisa affermazione dei diritti individuali rispetto alla potestà pubblica: nell’esperienza americana ciò si tradusse nello scontro delle colonie con la madrepatria, mentre in Inghilterra il contrasto si generò fra la Corona ed il Parlamento. Realtà come la Francia, l’Italia e la Germania conobbero ben altra sor te: il potere dei ceti nobiliari era ancora notevole anche dopo la rivoluzione industriale e la comparsa sull a scena sociale della borghesia. Lo sviluppo della tecnica e della produzione, però, determinò anche una crescita esponenziale delle masse operaie e dei problemi legati alle condizioni di sfruttamento in cui queste versavano, sicché divenne fisiologico un clima di contrasto sociale. Nel quadro della politica di Bismark 97, può agevolmente comprendersi il perché di un annichilimento dell’individuo e de lla esaltazione di concetti contrario, per la separazione fra Stato e società v. A. Pace, Problematica delle libe rtà costituzionali, Parte generale, CEDAM, Padova, 2003, 17 ss. specie nota 27. 96C.F. Gerber, Diritto Pubblico , cit., 67. La qualificazione giuridica dei diritti civili nel pensiero di Geber è, comunque, notevolmente ambigua. A. Baldassarre, voce Diritti pubblici soggettivi, cit., 3 osserva che l’insigne giurista tedesco considera tali situazioni giuridiche ora come effetti riflessi del un potere statale, dal quale solo traggono legittimazione, ora come “veri e propri diritti”, pur se senza alcun chiariment o in ordine a natura e contenuto (Gerber si limiterebbe, infatti, ha “qualificarli come espressioni secondarie rispetto al generale rapporto di sudditanza dei singoli rispetto allo Stato”; v. C.F. Geber, op. cit., 203 ss.). 97L’analisi storica e culturale è funzionale a meglio intendere la posizione di chiusura e di svalutazione di parte della dottrina, del tempo ed anche successiva, nei confronti dei diritti sociali. Interessa, dunque, intendere il clima culturale ed ideologico, mentre appare di rilievo secondario il fatto che, nella legislazione, siano ravvisabili i prodromi dello Stato sociale. E’ vero, in altri termini, che l’assicurazione per tutti i lavoratori dell’industria e per gli invalidi e gli anziani venne realizzata proprio dal conservatore Bis mark, con due atti legislativi del 1884 e del 1889, ma da ciò non può desumersi l’organicità della categoria dei diritti sociali (con le implicazioni di principio che ad essa si collegano, relative alla necessaria struttura democratica dello Stato) rispett o ad un sistema sospeso fra autoritarismo e liberalismo. Ciò 36 come la Patria e la Nazione: ordine e sicurezza assumevano carattere preminente rispetto alla tutela dei cittadini, in un processo di unificazione ed ipostatizzazione dell’ente sovrano rispetto alla società civile. Liberismo e liberalismo giungono in Germania, dunque, filtrati da questo schermo culturale e politico fondato sull’autoritarismo 98: ben si comprende, allora l’imbarazzo e l’ambiguità di una teorizzazione, qual è quella di Jellinek, sospesa fra una concezione forte dello Stato 99 e le nuove istanze liberali, che conduce ad una rilettura della tesi dei diritti come “effetti riflessi”: “Per il fatto di appartenere allo Stato, di essere membro di esso, l’individuo è qualificato sotto diversi aspetti. I possibili rapporti nei quali può trovarsi con lo Stato lo mettono in una serie di condizioni giuridicamente rilevanti. Le pretese giuridiche che risultano da siffatte condizioni, sono ciò che si designa col nome di diritti pubblici soggettivi. I diritti pubblici soggettivi consis tono [...] esclusivamente in pretese giuridiche (Anspruche) che risultano direttamente da condizioni giuridiche (Zustande)”. 100 In Jellinek, dunque, il rapporto fra cittadino e Stato diviene fondamentale, poiché la giuridicità di quest’ultimo non si fonda pi ù, come in passato, sulla forza o sulla potenza che ad esso si accompagna, ma proprio sulla relazione tra ciascun soggetto di diritto e l’ordinamento giuridico 101. In ciò è agevole cogliere una traccia della filosofia liberale e della valorizzazione dell’uom o che a quella si accompagna, ma lo scontro con il momento dell’autorità è inevitabile: nella classificazione della varietà delle pretese derivanti dalle diverse condizioni giuridiche in cui l’individuo può trovarsi nei confronti dello Stato, addirittura J ellinek contempla, accanto allo status libertatis (diritti di libertà), allo status civitatis (i diritti civili), allo status activae civitatis (diritti politici), uno status subiectionis, nell’ambito del quale all’uomo non resta che sottostare in senso assoluto alla superiore volontà dello Stato. Francamente troppo, per tentare una conciliazione con il liberalismo. 102 che manca, per ritenere fondate affermazioni di questo genere, è un maturo concetto di eguaglianza sostanziale. 98In tema, cfr. R. Dahrendorf, Sociologia della Germania contemporanea , trad. it., M ilano, 1958. 99Lo Stato-persona è sempre una entità superiore rispetto ad ogni altra, come in tutti i predecessori del giurista tedesco, fino ad arrivare ad Hobbes. Cfr. G. Jellinek, Dottrina generale dello Stato , trad. it., Milano, 1921, 671. 100G. Jellinek, Sistema dei Diritti pubblici soggettivi (trad. it. G. Vitagliano), S.E.L., Milano, 1912, 92 ss., 105 ss. 101G. Jellinek, Sistema, cit., 256. 102In questo senso, A. Baldassarre, voce Diritti pubblici soggettivi , cit., 5. Una ricostruzione storica nella quale s i compongono istanze liberali e statalismo, inteso come concezione giuridica dello Stato quale termine dialettico rispetto alla società civile, è stata elaborata da M. Fioravanti, Appunti di storia delle Costituzioni moderne. I. Le libertà: presupposti cul turali e modelli storici , G. Giappichelli Editore, Torino, 1991, 101 ss. L’Autore prende le mosse da una considerazione preliminare: il liberalismo ripudia sia la costituzione – indirizzo dei rivoluzionari francesi, la quale minaccia “l’autonomia della soc ietà civile e la stabilità dei poteri pubblici, traducendosi [...] in dirigismo statualistico”, sia la costituzione – garanzia dei rivoluzionari americani, poiché, pur accogliendo una concezione minima dello Stato, essa implica “una continua instabilità de i poteri costituiti , perennemente minacciati nella loro stessa legittimazione dalla presenza di un potere costituente teoricamente capace di mutare ad ogni momento l’indirizzo fondamentale della costituzione”. Posto ciò, non può però 37 L’ambiguità suddetta si riversa, poi, sul piano degli stessi diritti pubblici soggettivi, i quali non sono più dei meri effetti riflessi, ma non possono neanche essere assimilati ai diritti soggettivi dei privati, fondati sull’ agere licere: essi, infatti, necessitano di un “riconoscimento o autorizzazione dello Stato-persona e, perciò, sono qualificabili come agere posse” 103. La problematicità della relazione fra i diritti sociali ed una struttura liberale della società si è già evidenziata , ma nel contesto giuridico tedesco l’autoritarismo ancor di più esclude che l’individuo-suddito possa esercitare un diritto proprio contro la fonte della propr ia giuridicità, ottenendone “d’autorità” una prestazione positiva. Nell’ottica dei diritti pubblici soggettivi la pretesa è esercitabile solo nei limiti in cui espressamente autorizzata dallo Stato, sicché non può parlarsi di diritti sociali nel senso odie rno, ovvero quali strumenti di tutela dell’uomo contro le discriminazioni. Il che, va da sé, non esclude che alle problematiche sociali che si accompagnano alla rivoluzione industriale venga comunque articolata una risposta attraverso una forma – prima privata e poi pubblica – di assistenza e previdenza, essenzialmente di natura assicurativa contributiva. Il prototipo fu quello delle Trade Unions, ovvero di forme associative , portatrici di interessi normalmente imputabili a lla collettività dei lavoratori, favorite dallo Stato liberale. Le società di mutuo soccorso, però, si scontrarono presto con il problema dell’eguaglianza, poiché solo i lavoratori ricchi potevano accedere a questo sistema di solidarietà , comunque fondato sullo status e ben distante dall’improntare il rapporto fra il privato ed il pubblico potere in un’ottica di doverosità. ignorarsi che “Essere liberali, nell’Europa post -rivoluzionaria, significa impegnarsi in entrambe le direzioni, nel restituire sicurezza ed autonomia alla società civile, ma anche nel restituire autorevolezza e stabilità ai poteri costituiti”. In sostanza, se il dirigismo viene contrastato attraverso il riconoscimento delle libertà negative, l’esigenza di stabilità e sicurezza induce Fioravanti ad affermare che “il liberalismo europeo ha bisogno di un suo statualismo, che si esprime nella formula europeo -continentale dello stato di diritto ”. Proprio in questo, dunque, potremmo ravvisare un anello di congiunzione fra l’autoritarismo tedesco, concretizzato nell’idea forte di Stato, ed il liberalismo europeo: lo Stato di diritto, in definitiva, potrebbe considerarsi come la sovrastr uttura giuridica attraverso la quale da un lato si è fatto fronte alla necessità di un soggetto pubblico tanto autoritario da poter fronteggiare la situazione di crisi successiva alla rivoluzione industriale; dall’altro si è concretizzata la tutela dei dir itti dell’uomo attraverso il principio di legalità, la separazione dei poteri, l’indipendenza dei giudici e la garanzia giurisdizionale dei diritti. In questa ottica, però, quello relativo ai diritti fondamentali diviene un problema di actio, ovvero di “rimedi giurisdizionali che si possono invocare nel caso in cui qualcuno leda un diritto individuale fondato sulla legge”. Il fondamento dei diritti, infatti, viene da Fioravanti individuato nella legge, non già nella Costituzione. Ciò sempre per le medesime esigenze di stabilità, poiché la Costituzione è in balia delle mutevoli decisioni politiche, mentre il diritto civile (in tal senso, la legge), risulta connotato da un ben più elevato indice di certezza. Dunque i diritti sono solo quelli riconosciuti dalla legge, ovvero dallo Stato, con ciò riaprendosi la tematica dei diritti pubblici soggettivi. In sostanza, nella ricostruzione di Fioravanti la Costituzione, nel contesto dello Stato di diritto, subisce una forte svalutazione sul piano della precettività, proprio perché si teme che attraverso essa la mutevolezza caratteristica della sfera politica faccia ingresso anche nel sistema giuridico, in particolare dei diritti fondamentali. 103A. Baldassarre, ult. cit. 38 Il mutamento qualitativo nell’a tteggiamento pubblico venne dunque maturando proprio nella consapevolezza della incapacità della mutualità privatistica e dell’esigenza d i un sistema pubblico ed obbligatorio di protezione sociale, per rispondere alle esigenze indotte dalla rivoluzione industriale. In Italia il primo intervento normativo di rilievo, pur se sempre in una ottica privatistica, fu la legge 17 marzo 1898, n. 80 , con la quale si obbligarono i datori di lavoro ad assicurarsi contro gli infortuni sul lavoro, rendendoli responsabili non solo nell’ipotesi di dolo o colpa, ma anche ove l’infortunio fosse derivato da caso fortuito, forza maggiore o colpa non grave del lavoratore (in ciò la dimensione sociale della legge, che si discostava dallo schema assicurativo tradizionale in materia di responsabilità per danni) 104. Anche nelle altre esperienze nazionali europee la creazione di uno “stato amministrativo” 105 diviene funzionale proprio al superamento del rigido individualismo borghese ed all’affermazione di una pregnante esigenza di socialità, Si è detto dei primi interventi normativi – sempre di carattere assicurativo – che nella seconda metà del diciannovesimo secolo caratterizzano l’esperienza inglese, ma analoghe forme di interventismo si riscontrano anche in Francia ed in Germania. 106 Si tratta, però, di una logica cui non è estranea una nuova impronta sociale, ma che si muove sempre nell’alveo dell’individualismo razionalista liberale e borghese. 107 Il superamento di tale logica, per amore di paradosso, si vedrà esplicitato nel l’opera di un liberale, chiamato nel 1941 ad elaborare una riforma del sistema assicurativo dal governo di unità nazionale guidato da W. Churchill: W. Beveridge rivoluzionerà il sistema di protezione sociale ereditato dalla fine del secolo diciannovesimo, pur senza alcuna velleità rivoluzionaria, ossia muovendosi dall’interno delle istituzioni esistenti. Il Piano Beveridge si fonda su principi di soli darietà e redistribuzione, cui consegue la Per l’ulteriore sviluppo della previdenza soci ale, v. M. Persiani, Diritto della previdenza sociale, Cedam, Padova 1989, 8 ss. In relazione al “sistema sociale” nello stato liberale, R. Rose, Il ruolo dello Stato nel Welfare Mix, in A. Baldassarre (a cura di), I limiti della democrazia , Bari-Roma, 1985, 143 ss, ha parlato di un “mix a dominanza privata”, poiché la maggior parte dei servizi sociali veniva erogata da istituzioni intermedie fra Stato ed individuo, come la famiglia od organizzazione private di beneficenza. 105 A. Cantaro, Il secolo lungo , op. cit., 154 ss. 106 Come si desume anche dalla posizione della dottrina ed in particolare in L. Duguit , il diritto sociale , op. cit. e L. von Stein, Opere scelte, I: Stato e società , tr. It., Giuffrè, Milano 1986, riletti da A. Cantaro, Il secolo lungo , op. cit., il quale assume che, in specie in Duguit, all’idea giusnaturalistica dell’individuo si contrapponga “una diversa antropologia centrata sull’uomo sociale, sul diritto oggettivo prodotto dall’uomo socialmente determinato: l’uomo membro della società e nei suoi legami coesivi con altri uomini”. 107 A. Cantaro, Il secolo lungo , op. cit., 160 e s. osserva che “I governi europei, quello di Bismarck in primo luogo, vedevano infatti, nei programmi assicurativi uno strumento che permetteva di contemperare le esi genze di protezione sociale della popolazione con la logica di mercato”. 104 39 promozione di un sistema previdenziale e di sanità pubblica, nonché di una politica di piena occupazione. 108 In Beveridge si radica la consapevolezza della necessità di una politica di redistribuzione del reddito che inveri il principio dell’eguaglianza sostanziale, ma il processo attraverso il quale prenderà forma una simile coscienza, assai complesso, ruota intorno alla contrastata affermazione dell’idea di Stato sociale. 6. Stato di diritto e stato sociale di diritto in E. Fhorstoff. “Lo Stato sociale è la risposta politico -costituzionale alla crescente ed obiettiva insicurezza sociale, che costituisce il sottoprodotto, a quanto sembra difficilmente eludibile, sia degli squilibri di potere comportati dal libero gioco delle forze sociali e dell’incertezza insita nei meccanismi spontanei del mercato [...], sia dell’instabilità dei valori insita nelle accelerate dinamiche culturali [...] proprie di società, come quelle rette da regimi politici democratici e da sist emi economici capitalistici, che sono caratterizzate da una crescente apertura reciproca (con ampio interscambio di valori etici) e da ritmi di sviluppo delle condizioni di vita straordinariamente veloci.” 109 Proprio in ragione di ciò, può convenirsi che “la formula Stato sociale, in concreto, nacque senza pretese scientifiche, ma con intenti chiaramente polemici, e perciò partitici o, al massimo, politici: all’accusa, che i movimenti delle sinistre europee lanciavano ai partiti di ideologia fascista, di essere asserviti al grande capitale, si volle contrapporre che invece nelle normazioni degli stati in cui questi partiti erano al potere il grande capitale tout court, era astretto ad osservare norme che attribuivano ai lavoratori situazioni tutelate nel setto re sociale” 110. Anche secondo Forsthoff “La formula dello stato sociale di diritto non è un concetto giuridico [...] Da questa sola formula non possono essere ricavati né diritti né doveri, né possono essere derivate istituzioni.” 111 L’allievo di Schmitt pren de le mosse da un presupposto storicamente coerente ma, con ogni probabilità, oggi non riproponibile: “Lo stato di diritto è legato allo status quo economico e sociale, e chi non vuole rinunziare ai valori ed alle garanzie dei valori potrà ritenersi appaga to dalla constatazione che lo stato di diritto protegge il sistema dei valori che traspare da questo status quo. Non si possono avere contemporaneamente entrambe le cose: proteggere ciascuno nei suoi W. Beveridge, La libertà solidale. Scritti 1942 -1945, a cura di M. Colucci, Donzelli Editore, Roma 2010. 109A. Baldassarre, voce Diritti sociali , cit., 3. Poco prima (2), l’Autore sot tolinea come la nascita dello Stato sociale sia stato il prodotto dell’azione di una pluralità di forze (datori di lavoro, lavoratori, sindacati, burocrazia statale ecc.). Conseguentemente, non può condividersi la tesi di una unica matrice di natura social ista. Per una più approfondita analisi del concetto di Stato sociale e delle sue implicazioni, nel quadro di una bibliografia per altro sterminata, v. A. Baldassarre - A.A. Cervati, Critica dello Stato sociale , Bari, 1982 e C. Colapietro, La giurisprudenza costituzionale nella crisi dello Stato sociale , Cedam, Padova, 1996. 110M.S. Giannini, Stato sociale , cit., 143. 111E. Forsthoff, Stato di diritto in trasformazione , a cura di C. Amirante, Giuffrè, Milano, 1973, 57. 108 40 diritti e nello stesso tempo consentire, mediante la ste ssa costituzione, i capovolgimenti sociali che sono realizzabili sempre e solo in favore di uno e a danno di altro”. 112 Corollario di questo postulato è l’impossibilità di una “fusione completa degli elementi dello stato di diritto e degli elementi dello sta to sociale”, poiché “un mezzo stato di diritto ed un mezzo stato sociale non fanno uno stato sociale di diritto.” 113 Diritti di libertà e diritti sociali, in altri termini, operano su piani differenti: costituzionale, i primi, concorrendo alla determinazion e della forma di Stato; amministrativo, i secondi, poiché proprio attraverso “l’amministrazione lo stato sociale ha trovato accesso alla scienza del diritto pubblico”. 114 Questa coerente costruzione logica incontra, però, una consistente difficoltà di diritto positivo: la Costituzione di Weimar, infatti, prevedeva espressamente un sistema di garanzie sociali, sicché l’interprete del diritto, dinanzi a siffatta conclusione, avrebbe dovuto negare la natura di Stato di diritto del Reich di Weimar, ovvero riconos cere la compatibilità fra libertà ed eguaglianza a livello costituzionale. Forsthoff, insieme con Grewe 115, trova una soluzione differente: poiché relegati nel preambolo della Carta fondamentale, i diritti sociali hanno un carattere meramente programmatico. Vincolano, cioè, il legislatore e l’amministrazione a tradurre in norma positiva i principi che se ne possono desumere. “A differenza dei diritti di libertà, i diritti di partecipazione non hanno una dimensione fissa, regolabile a priori. Essi hanno biso gno della graduazione e differenziazione, perché hanno un significato ragionevole solo nei limiti di ciò che, nel caso singolo, è adeguato, necessario e possibile. La determinazione di questi limiti deve essere riservata alla legislazione ed all’amministra zione che esegue la legge. Perciò diritti sociali come il diritto al lavoro, all’assistenza, all’istruzione, alla formazione professionale ed all’insegnamento, alla tutela della famiglia, della maternità e della gioventù non possono essere contenuti in una norma astratta e pronta per l’esecuzione.” 116 Una tecnica analoga viene poi adottata da Forsthoff per aggirare il problema dato dagli artt. 20 comma 1 e 28 comma 1 GG, nei quali si riscontra la nota formula dello “Stato sociale di diritto”. Pur non negando, infatti, che la Legge fondamentale della Repubblica federale presenta una carattere innovativo rispetto alla Costituzione di Weimar, 112Op. ult. cit., 7. ult. cit., 39 e 40. 114Op. ult. cit., 37 ss. L’Autore distingue fra costituzione ed amministrazione, evidenziando i tratti salienti della evoluzione di quest’ultima, che da una visione “negativa” è stata tradotta in un ambito di positivo “interventismo”. In particolare, sul pi ano sub – costituzionale dell’amministrazione, lo stato sociale rileverebbe in termini di “stato fiscale”, in tal modo assolvendo alla propria naturale funzione di “dividere, distribuire ed attribuire”. 115Il quale afferma che quella di Stato sociale è “una formula in bianco priva di contenuto”, da cui, aggiunge Forsthoff, non è possibile trarre conseguenze giuridiche. V. op. ult. cit., 51. 116E. Forsthoff, Stato di diritto , cit., 47. 113Op. 41 poiché mentre “quest’ultima conteneva i suoi principi programmatici nelle garanzie sociali della seconda parte, [...] il r iconoscimento dello stato di diritto o dello stato federale sociale nell’art. 20 rientra nel nucleo essenziale immutabile della Legge fondamentale e inoltre nell’art. 28 quale parte di una norma costituzionale, alla quale senza dubbio viene riconosciuta una immediata vincolatività giuridica.” 117, il giurista giunge sempre alla medesima conclusione: “La legge Fondamentale non ha uno specifico contenuto sociale. La parola sociale va dunque al di là della Legge Fondamentale e potrebbe ricevere un contenuto speci fico solo da settori che si trovano al di fuori del diritto costituzionale.” 118 In sostanza, quelli sopra evidenziati sono alcuni fra i più salienti presupposti culturali e giuridici della programmaticità dei diritti sociali 119, la quale era essenzialmente fun zionale a salvaguardare lo stato liberale di diritto, autoritario e fondato sull’eguaglianza formale. A questo punto si rompe irrimediabilmente la coerenza logica fra istituzioni giuridiche e dinamica storica. Illuminante l’analisi di Forst hoff: “Il mondo occidentale ha salvaguardato lo stato di diritto che, per sua origine, era uno stato borghese ed era legato alla società borghese del secolo XIX, nell’attuale realtà che è divenuta per molti aspetti profondamente diversa e lo ha riedificato laddove esso era distrutto. Ciò fu possibile solo perché si rilevò che le istituzioni dello stato di diritto potevano essere separate di fatto dalla realtà sociale originaria alla quale esse erano subordinate.” 120 117E. Forsthoff, Stato di diritto , cit., 52. senso contrario, W. Schmidt, I diritti sociali nella Costituzione della Repubblica federale tedesca, in Riv. trim. dir. pub., 1975, 785 ss. La posizione della dottrina tedesca, comunque, appare più articolata: se da un lato C. Schmitt, Grundrechte und grundpflichten (1932), ora in Verfassungsrechtliche Aufsatze , Berlin, 1958, 212 ss. guarda ai diritti sociali come a Programmsatze , direttive che il legislatore, in piena discrezionalità, è chiamato a tradurre in precetti normativi, una serie di altri autori (raccolti in H.C. Nipperdey (a cura di), Die Grundrechte und Grundpflichten der Reichsverfassung , I, Berlin, 1930) li considera vincolanti per lo stesso legislatore, il quale è dunque obbligato ad esercitare la suddetta funzione d’attuazione. Comunque, la summa di queste posizioni più o meno articolate è in G. Leibholz, Der Strukturwandel del modernen Demokratie (1952), ora in Strukturprobleme der modernen Demokratie, III edizione, Karlsruhe, 1967, 88 ss.: i diritti di libertà ed i diritti sociali sono incompatibili, poiché fondati su p rincipi a loro volta inconciliabili, ovvero la libertà e l’eguaglianza. Pertanto, devono considerarsi alla stregua di Programmsatze , che impongono al legislatore una loro graduazione. 119 Naturalmente tale tesi non era (e non è) universalmente condivisa. J. Habermas, Morale, diritto, politica, Torino, 1992, 90, contro la degenerazione dello Stato sociale in stato amministrativo proposta da Forsthoff critica “i tentativi di recupero interno del dualismo politico-giuridico, che si basano sulla separazione tra d iritti fondamentali e diritti sociali, sulla subordinazione dello Stato sociale allo Stato di diritto e sulla difesa dello status quo”, ritenendo che il primo altro non sia se non l’evoluzione giuridica del secondo, dunque una vera e propria forma di Stato . Che la garanzia dello Stato sociale sia funzionale al miglioramento “del destino materiale degli individui”, i quali “devono essere messi in grado di esercitare effettivamente i diritti di libertà”, è altresì opinione di P. Haberle, Le libertà fondamentali nello Stato costituzionale , a cura di P. Ridola, Roma, 1993, 149 ss. L’Autore, infatti, ritiene che se si introduce nello Stato di diritto la “clausola dello Stato sociale, ciò avviene con l’obiettivo di garantire il significato istituzionale delle libe rtà”. 120E. Forsthoff, Stato di diritto , cit., 62. 118In 42 Quando si dice che, attraverso la “tecnicizzazione delle is tituzioni” 121 è stato possibile rendere autonoma la forma di stato rispetto alla situazione storica e culturale che l’aveva prodotta, si coglie certamente nel segno, poiché proprio tali istituzioni (separazione dei poteri, giustizia amministrativa, diritti i ndividuali ecc.) hanno resistito al mutamento dei costumi e della realtà sociale. Ma il corollario che se ne vuol trarre appare una forzatura del sistema: non è, infatti, rispetto a tali istituzioni che si delinea il contrasto con i diritti sociali e quanto essi rappresentano (l’eguaglianza sostanziale), bensì rispetto ai principi organici a quel retroterra socio -culturale che si assume per superato. In contrasto con il principio di eguaglianza sostanziale sono sicuramente il liberalismo ottocentesco e la s truttura sociale monoclasse, ma altrettanto non può dirsi della separazione dei poteri o del principio di legalità. Quando Forsthoff lamenta lo sviluppo delle espropriazioni legali sostenuto dal Reichsgericht 122, cerca disperatamente di difendere la tradizionale struttura dello stato liberale di diritto, in nome di una eguaglianza formale (la quale presuppone l’utilizzo della legge generale ed astratta o, per disciplinare un caso di specie, dello strumento amministrativo) che però, nella realtà sociale, è già stata (o sta per essere) scalzata dalla eguaglianza sostanziale. Di fatto, opera in nome di un sistema monoclasse dalle cui ceneri è già sorto il pluralismo sociale. L’insigne giurista tedesco, dunque, è assai lucido nell’affermare che lo “stato sociale” non è compatibile, sul piano costituzionale, con lo stato liberale di diritto; ancora, nel rendere manifesto il processo attraverso il quale le strutture tecniche di questa forma di Stato si sono affrancate dalla schiavitù del tempo, per sopravvivere al l oro artigiano. Ciò che inevitabilmente sfugge ad un’analisi tanto lucida è che lo stato liberale di diritto non esiste più: non tanto perché “all’individuo, cioè al singolo, preso nell’esclusiva considerazione di se stesso, espressione dell’individualismo, si sostituisce la persona, cioè l’uomo quale componente della società” 123, vista l’ambiguità di un concetto pregiuridico qual è quello di persona, quanto piuttosto perché all’eguaglianza formale si è sostituita quella sostanziale, alla libertà negativa la libertà, senza ulteriori specificazioni. Gli itinerari attraverso i quali l’iniziale logica liberale viene messa in discussione sono sostanzialmente due: il primo è quello della ristrutturazione dell’organizzazione statuale intorno ad un sistema di valori fondanti. Il secondo è quello della destrutturazione delle libertà 121E. Forsthoff, Stato di diritto , ult. cit. Forsthoff, Stato di diritto , cit., 69. 123In tal senso G. Cicala, Diritti sociali e crisi del diritto soggettivo nel sistema costituzionale italiano , Napoli, 1965 , 32; v. anche A. Baldassarre, voce Diritti inviolabili , Enc. giur. Treccani, 15 ss. Per una differenziazione dei due concetti v. A. Amorth, La Costituzione italiana, Milano, 1948, 26 ss. 122E. 43 borghesi e della svalutazione del diritto soggettivo (di proprietà privata) da presupposto a conseguenza non necessaria del diritto oggettivo. 124 In entrambi i casi il risultato cui si pervie ne è la crisi dello stato monoclasse liberale borghese derivato dall’epoca rivoluzionaria, cui segue il legittimo interrogativo in ordine alla validità del modello ermeneutico che relega i diritti sociali nel pregiuridico o, al massimo, nel livello amministrativo dell’ordinamento, escludendone una rilevanza costituzionale e, ancor più, una immediata precettività sia fra privati che verso il pubblico potere. Con il che l’indagine si sposta dal profilo storico a quello strutturale, essenziale per comprendere come il modello dello Stato sociale di diritto sia inverato nella concreta realtà ordinamentale italiana, fra lo Statuto albertino e la Costituzione democratica. 7. La programmaticità dei diritti sociali. Il contrasto fra libertà ed eguaglianza e le esige nze finanziarie dello Stato. La c.d. riserva del ragionevole e del possibile. Anche in Italia la dottrina prevalente si è espressa nel senso della natura “oppositiva” dei diritti sociali rispetto allo stato di diritto, fondato sulla libertà. Conseguentemente, si è ritenuto 125 che la situazione giuridica derivante da ciascun diritto sociale sarebbe quella di “interesse costituzionalmente protetto”, non già di diritto soggettivo; altri 126 hanno parlato di “situazioni meramente raccomandate” al legislatore, invest ito della funzione di renderne attuale la potenziale precettività. 127 124La lettura di H. Kelsen, Lo stato come integrazione , a cura di M.A. Cabiddu, Giuffrè, Milano 2001, consente di cogliere il senso di tale dicotomia. L’insigne Autore contesta puntualmente la teoria smendiana dello Stato come integrazione fondato su una logica identitaria, in ciò distinto dall’ordinamento giuridico, esponen do la teoria normativistica secondo la quale “Lo stato non può essere concepito come una realtà naturale, come una realtà vitale e dunque come unità di accadimenti psicofisici, secondo le leggi di natura; perché la specifica struttura unitaria che noi chia miamo Stato può essere compresa solo come unità di un sistema di norme.” Kelsen guarda all’ordinamento giuridico senza condizionamenti teleologici, ammettendo che la struttura giuridica possa essere indirizzata alla realizzazione dei valori ritenuti essenz iali sulla base di una scelta politica, non già di una originaria e naturale vocazione. La norma non ha in sé una connotazione assiologica, che risponde a scelte giuridicamente non vincolate. In tal modo, il Giurista praghese mina alle fondamenta il sistem a giusnaturalista posto a fondamento della filosofia liberale, ammettendo che essa sia solo una delle opzioni valoriali possibili in un determinato momento storico. In questo senso, A. Cantaro, Il secolo lungo , op. cit., 163 ss. 125V. Crisafulli, La Costituzione e le sue disposizioni di principio , Milano, 1952, 75 ss. e C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico , II, Padova, 1976, 1138. In Crisafulli, per altro, è ravvisabile un tentativo di non svilire i diritti sociali in termini assoluti, considerandoli mere proclamazioni di principio. La soluzione cui l’Autore giunge, però, non può considerarsi soddisfacente, poiché consiste nella equiparazione di queste situazioni giuridiche soggettive agli interessi legittimi, pur se nel riconoscimento della loro valenz a quale parametro nei giudizi di legittimità costituzionale. 126C. Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico , Torino, 1985, 390 ss.; P. Biscaretti di Ruffia, Diritto costituzionale , Napoli, 1989, 872 ss. 127Peculiare l’analisi di G. Corso, I diritti sociali nel la Costituzione italiana , Riv. trim. dir. pub., 1975, 755 ss. A giudizio dell’Autore, “Nella costruzione tradizionale dei diritti sociali, destinatario immediato è lo Stato, e in prima linea lo Stato -legislatore. Di conseguenza, la prestazione amministrati va del servizio [...] richiede un momento preliminare di 44 Preliminarmente il piano dei principi. L’eguaglianza sostanziale è in contrasto con i tratti liberali dello stato monoclasse borghese ma non anche con caratteri dello stato di diritto o con il principio di libertà, non essendo condivisibili “[…] tutte quelle tesi le quali presentano lo Stato sociale come una integrazione dello Stato di diritto, sia nel senso che esso costituirebbe un completamento di una esperienza che, aperta con lo Stato di diritto, sarebbe rimasta incompiuta e raggiungerebbe, invece, compiutezza con lo Stato sociale, sia nel senso che esso costituirebbe una esperienza nuova rispetto a quella dello Stato di diritto, ma le due esperienze insieme invererebbero una figura superiore, più progredita, brevemente la figura più perfetta di Stato del nostro tempo. [...]”, poiché “fondate sulla confusione fra Stato di diritto e Stato liberale, nel senso più in particolare, di Stato monoclasse, anche nella sua specie di Stato ad organ izzazione pluralistica; assumendo come termine di riferimento lo Stato monoclasse, lo Stato pluriclasse ad organizzazione pluralistica che costituisce il modello dei paesi oggi più significativi dal punto di vista costituzionale, si presenta come una esperienza [...] enormemente più ricca di caratteristiche strutturali e funzionali. Quello che non è accettabile è dire il primo Stato di diritto, il secondo Stato sociale, perché con queste espressioni si immiserisce tutto: come si è visto, lo Stato monoclasse non si individua solo per l’essere di diritto, ma richiede molte altre connotazioni; ancor più ciò vale per lo Stato pluriclasse”. 128 I diritti di libertà sono compatibili con i diritti sociali ed, anzi, la relazione simbiotica fra tali insiemi è ormai dett ata da criteri di necessità: “Da tempo si è rilevato come le libertà tradizionali, volte a creare spazi intangibili di autonomia privata o di poteri politici , si rivelino, da sole, insufficienti a garantire la piena realizzazione della persona umana, mentre in molti casi risultano evidenti le connessioni fra i diritti di libertà intesi in senso tradizionale [...] e i diritti sociali. [...] i diritti organizzazione del servizio, corrispondente ad una determinazione legislativa: in rapporto a questo momento organizzativo (e pregiudizialmente legislativo) il privato non dispone di un diritto o di altra situazione giuridica tutelabile.” La conseguenza giuridica è che “La tutela dei diritti sociali che si concretano in pretese a prestazioni dei pubblici poteri ed ai quali viene negata consistenza di diritti soggettivi è, quindi, affidata al giudice am ministrativo. In relazione alla struttura del giudizio, la domanda non ha per oggetto la prestazione negata [...] ma l’annullamento dell’atto di diniego.” Le difficoltà implicate da un approccio di questo genere sono bene evidenziate da Baldassarre, voce Diritti Sociali , cit., 5: in primo luogo si determina uno svilimento dei diritti sociali ad interessi legittimi, ricostruendo - ciò che appare inammissibile allo stesso Baldassarre - il rapporto fra costituzione e legislatore alla stregua di quello esistent e fra quest’ultimo e l’amministrazione. Inoltre, non si tiene conto del principio di libertà del legislatore, il quale può discrezionalmente valutare le situazioni concrete al fine di stabilire se e come realizzare il proprio intervento, senza alcuna possi bilità di coazione. 128 M.S. Giannini, Stato Sociale , cit., 5. Sul significato del sintagma Stato pluriclasse in Giannini v. G. Ferrara, Lo “Stato pluriclasse”: un protagonista del “secolo breve” , in AA.VV. Dallo stato monoclasse alla globalizzazione , a cura di S. Cassese e G. Guarino, Giuffrè, Milano 2000, 73 ss. 45 sociali mirano a creare le condizioni effettive per realizzare l’ eguale libertà dei cittadini.” 129 L’inesistenza di un contrasto non esclude, però, che sotto il p rofilo strutturale “I diritti sociali si distinguono nettamente dai tradizionali diritti di libertà, perché mentre questi mirano a determinare una sfera entro cui l’individuo deve poter operare liberamente , quelli mirano invece ad ottenere l’intervento dell’autorità pubblica per soddisfare a talune esigenze essenziali dei cittadini” 130 Ne consegue che “Fra le due categorie di diritti esiste [...] una implicazione reciproca: la garanzia dei diritti di libertà è condizione perché le prestazioni sociali dello Stato possano essere oggetto di diritti individuali; la garanzia dei diritti sociali è condizione per il buon funzionamento della democrazia, quindi per un effettivo godimento delle libertà civili e politiche.” 131 Sul piano dei principi, pertanto, potrebbe sostenersi l’impossibilità di riproporre la contrapposizione eguaglianza - libertà caratteristica dei sistemi liberali 132, ma nel concreto giuridico, però, s’impongono al cuni chiarimenti. In primo luogo, affermare la compatibilità dei diritti sociali e dei diritti di libertà nello Stato di diritto e cercare di valutare la immediata precettività dei primi alla luce dell’analisi storica e culturale che si è avuto modo di condurre, non significa certo sostenere l a coincidenza strutturale fra le due categorie. Sotto il profilo strutturale, infatti, è innegabile che i primi, ai fini dell’esercizio da parte del titolare, necessitano di un intervento esterno – tanto che si definiscono “diritti a prestazioni positive d a parte E. Cheli, Classificazione e protezione dei diritti economici e sociali nella Costituzione italiana , in Scritti in onore di Luigi Mengoni , Giuffrè, Milano, 1995, 1774. Nel medesimo senso, ivi citat i, P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali , Bologna, 1984, 14; L. Paladin, Diritto costituzionale , cit. 659; M. Mazziotti, Diritti sociali , in Enc. Dir., Milano, 1964, XII, 805; A. Baldassarre, Diritti sociali , cit., 12. 130 M. Mazziotti, Diritti sociali, op. cit. 805. Si legge in L. Elia, voce Stato democratico , Digesto disc. Pubb., XV, Utet, Torino 1999, 71 che “Il diritto individuale difende l’uomo contro il potere, il diritto sociale costituisce il riconoscimento del bisogno da parte dell’ordi namento giuridico, che tende con interventi positivi di varia natura a soddisfare il bisogno stesso”. 131 Appare rilevante, a tale proposito, l’interrogativo posto da T. Martines, Introduzione al diritto costituzionale , Torino, 1994, 51: “cosa importa al cit tadino barbone che dorme sotto un ponte o su un marciapiede sapere di essere titolare dei diritti di libertà che la Costituzione gli attribuisce e gli garantisce? Cosa gli importa dell’eguaglianza formale o di quella sostanziale, la quale, benchè proclamat a in modo solenne, non lo raggiunge. E cosa ne è della sua dignità?”. Lo stesso Mazziotti richiama l’immagine, proposta dall’on. Moro durante i lavori dell’Assemblea costituente, della “piramide rovesciata”, alla cui base veniva a porsi la persona umana. O ra, se si supera la già evidenziata ambiguità del riferimento alla persona umana, concetto giuridicamente indefinito, è agevole individuare nel valore di una eguaglianza dignitosa o di una dignità eguale il fondamento sia dei diritti sociali che dei diritti di libertà. Per una valutazione del pensiero dell’on. Moro cfr. I precedenti storici della Costituzione , a cura del Comitato per la celebrazione del primo decennale della promulgazione della Costituzione, Milano, 1958, 138 ss. 132 M. Luciani, Il diritto c ostituzionale alla salute , in Dir. Soc., 1980, 772 riconosce espressamente che l’eguaglianza “consente il concreto ed effettivo godimento [...] delle libertà costituzionali”, specie se si guarda non all’individuo in astratto ma all’ homme situè , secondo la nota formula di G. Burdeau, Traitè de science politique , Paris, 1956, VI, 361 e 374. 129 46 dello Stato o di enti pubblici” 133 – che di contro i secondi, specie se consistono in attività materiali (il parlare, il muoversi e via dicendo), non richiedono. Tale differenza strutturale è tutt’altro che pacifica: di essa può ben predicarsi che sia funzione della dinamica storica 134, ma è assai più discutibile negarne la sostanza, solo assumendo che “I diritti delle nuove ‘generazioni’ si trovano oggi accomunati dalla maggiore o minore dipendenza dalle risorse disponibili” 135. Infatti, è di palmare evi denza che anche per l’esercizio dei diritti di libertà necessitano strutture e servizi che si pongono quali presupposti oggettivi (le infrastrutture per la libertà di circolazione; i mezzi di diffusione per la libertà di manifestazione del pensiero; una efficiente amministrazione giudiziaria per qualsiasi situazione giuridica soggettiva), ma ciò non reagisce sul profilo oggettivo che differenzia le due classi di diritti, ossia il fatto che per i diritti sociali l’esercizio si traduce in pretese azionande ve rso il pubblico potere. Si tratta, per altro, di una realtà non già da sfumare, bensì da riaffermare con decisione, poiché essa esprime il proprium dei diritti a prestazione positiva, ossia la nuova qualificazione del rapporto cittadino -Stato, ricostruito alla luce del principio di eguaglianza sostanziale. Di talchè l’indagine deve tradursi sul profilo della precettività delle relative disposizioni costituzionali, su cui si avrà modo di ritornare tra breve. In secondo luogo, sostenere una “compatibilità” fr a diritti di libertà e diritti sociali ha il preciso significato storico e giuridico di formalizzare un processo evolutivo in ragione del quale le situazioni giuridiche soggettive di natura attuativa del principio di eguaglianza – che siano state oggetto di un espresso riconoscimento nella Costituzione del 1948 – non possono più essere relegate nell’ambito del pregiuridico o, comunque, in un sistema di rango subordinato a quello costituzionale, ossia sul piano meramente legislativo o, addirittura, amministr ativo e fiscale. I diritti sociali sono diritti costituzionali, poiché in costituzione formalizzati ed espressi. Ciò che induce alcune pre cise conseguenze giuridiche, a) quanto alla loro valenza quale parametro nei giudizi di legittimità costituzionale del le leggi o degli atti aventi forza di legge; b) quanto all’impossibilità di risolvere eventuali conflitti con altre disposizioni costituzionali in ragione del principio gerarchico, assumendone una subordinazione rispetto ai diritti di libertà; c) in ordine A. Pace, Problematica, op. cit., 141. In questo senso, M. Luciani, Sui diritti sociali , in Studi in onore di M. Mazziotti di Celso , Cedam, Padova 1995, 125. 135 C. Salazar, Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali. Orientamenti e tecniche decisorie della Corte costituzionale a confronto , Giappichelli, Torino 2000, 13. Anche F. Modugno, Inuovi diritti nella giurisprudenza costituzionale , Giappichelli, Torino 1 995, 41 ritiene “superate le classiche, tradizionali classificazioni dei diritti” ed “estremamente problematico, se non impossibile, dare significato alla distinzione tra diritti individuali e personali da un lato, e diritti sociali, dall’altro”. 133 134 47 all’obbligo risarcitorio che deve necessariamente seguire qualsiasi loro violazione che rechi nocumento al titolare. 136 Da ultimo, dall’equivalenza gerarchica dei diritti di libertà e dei diritti sociali deve altresì desumersi un imprescindibile corollari o. 136La giurisprudenza ha tempo ipotizzato un tertium genus di danno, accanto a quello patrimoniale e non patrimoniale, denominato danno esistenziale e collegato alla violazione di diritti costituzionali. Inizialmente (Cass. 7 giugno 2000, n. 7713, in Giur. cost., 2001, 4167 con nota – se si vuole – di L. Principato, Risarcimento, responsabilità aquiliana e lesione dei diritti costituzionali ), pur dubitandosi della autonomia della nuova categoria di danno, essa veniva ricondotta alla generale responsabilità patrimoniale , pur se il regime dell’art. 2043 c.c. veniva stemperato nel senso di accordare tutela alla lesione di una situazione giuridica soggettiva attraverso una misura risarcitoria che addirittura prescinda va dalla prova (e dall’effettivo prodursi) del c.d. danno -conseguenza per il titolare, a ciò essendo sufficiente la lesione in sé, qualificata come danno -evento (in senso conforme, cfr. Cass. 7 giugno 2000, n. 7713, in Foro it., I, 187, con osservazione di Alessandro D’Adda). Tale orientamento, già opinabile so tto il profilo dell’interpretazione dell’art. 2043 c.c. – norma che richiede (logicamente ancor prima che giuridicamente) la prova di un danno perché possa disporsi un risarcimento e per la quale, con altrettante probabilità, la natura costituzionale del d iritto leso dovrebbe essere pressocchè irrilevante – è stato successivamente modificato, riconducendo il danno esistenziale alla fattispecie del danno non patrimoniale (Cass. 31 maggio 2003, n. 8827, in Foro Amm., CDA, 2003, 1542, che recepisce la tesi già sostenuta da G. B. Ferri, Oggetto del diritto della personalità e danno non patrimoniale , in Persona e formalismo giuridico , Rimini, 1987, 376). L’art. 2059 c.c. è stato interpretato in senso conforme a Costituzione, ritenendosi che la limitazione del risarcimento del danno non patrimoniale ai casi previsti dalla legge, ossia ai casi in cui il fatto lesivo sia previsto altresì come reato ex art. 185 c.p., non debba operare nei casi in cui la fattispecie penale non possa dirsi integrata per la carenza di pr ova in ordine al criterio di imputazione soggettivo. La stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 233 del 2003 (Corte cost., 11 luglio 2003, n. 233, in Giur. cost., 2003, 1981 ss., con nota adesiva di G. B. Ferri, Le temps retrouvè dell’art. 2059 ), ha avallato tale lettura dell’art. 2059 c.c., rigettando la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. proprio perché il limite della risarcibilità del danno nei “casi determinati dalla legge” deve essere inteso come non operante laddove il fatto rilevi in astratto come reato, ma non possa dirsi integrata la relativa fattispecie a cagione della carenza del criterio di imputazione soggettivo, ossia dolo o colpa. Ciò, in omaggio alla evoluzione che ha esteso l’alla rme destato dalla gravità sociale delle fattispecie di reato anche alle ipotesi di lesioni dei diritti della persona. Una simile lettura del danno esistenziale, pur condivisibile nella sostanza, appariva non convincente sul piano processuale, quanto alla p resunta inapplicabilità del principio dell’onere della prova nei casi di lesione di diritti costituzionali. La relevatio ab onus probandi appariva piuttosto connessa, infatti, alla peculiare natura giuridica dell’interesse concretamente leso: trattandosi, infatti, di diritti della persona, le conseguenze dannose della loro violazione non sono suscettibili di valutazione economica, con la conseguenza che il danno deve essere liquidato in via equitativa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1226 e 2056 c.c. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. S.U. 11 novembre 2008, n. 26972, in Corriere Giur., 2009, 1, 48) hanno riordinato la materia – pur se attraverso un poco condivisibile richiamo all’art. 2 Cost. quale norma a fattispecie aperta, in gr ado di offrire copertura costituzionale a “nuovi interessi emersi nella realtà sociale”, secondo una ricostruzione criticata dalla migliore dottrina (A. Pace, Problematica, op. cit., 20 ss.) recependo tale assunto e confermando la risarcibilità dei danni derivanti da lesione di diritti costituzionali, nei limiti in cui di esso si sia raggiunta la prova, anche per presunzioni. Ben si comprende, dunque, che l’esclusione dei diritti sociali dal quadro costituzionale, alla luce del suddetto orientamento giuris prudenziale, determinerebbe l’aberrante conseguenza della non risarcibilità delle relative violazioni. 48 La composizione fra “anelito” alla libertà ed istanze sociali non è operabile aprioristicamente, attraverso la costruzione di un modello costituzionale o legislativo unico ed immodificabile. La scelta politica fondamentale compiuta nella Carta fondamenta le necessita, infatti, di un continuo adeguamento attuativo, in ragione della evoluzione dei tempi e della dinamica socio -economica, pur costituendo un limite ed un parametro di legittimità della discrezionalità legislativa, condizionata nel fine ed anche – pur se più limitatamente – nelle tecniche di attuazione dei precetti fondamentali. Ciò induce l’esigenza che l a immediata azionabilità dei diritti sociali sia “accertata caso per caso [...] senza confondere ciò che è possibile in virtù della sola efficacia normativa della Costituzione con ciò che è storicamente possibile (in conseguenza di leggi e di regolamenti che, bene o male, abbiano dato una certa disciplina alla materia)”. 137 Tale presupposto appare condivisibile e lo stesso deve predicarsi del fatto che, riconosciuti i diritti sociali a livello costituzionale, “il vero problema politico […] è quello di predisporre i mezzi pratici per soddisfarli e per evitare che rimangano come vuota formula teorica scritta sulla carta, ma non traducibile nella realtà ” 138, ma l’interrogativo da porre, nel mutato contesto della democrazia pluralistica, è proprio quello che riposa sulla convincente affermazione di Calamandrei, secondo il quale i diritti sociali “pongono allo Stato, per la loro soddisfazione, una serie di e sigenze pratiche che non possono essere soddisfatte se non disponendo di mezzi adeguati, conseguibili soltanto a prezzo di profonde trasformazioni dei rapporti sociali basati sull’economia liberale” 139. Occorre chiedersi se sia il tempo di tali trasformazion i, visto che il retaggio del sistema liberale ottocentesco è ormai superato nelle moderne democrazie pluraliste e la crisi dei principi del liberismo che sono sopravvissuti a tale evoluzione è dinanzi agli occhi di tutti, così come da tempo lo è quella del sistema di protezione sociale riassunto nella formula del Welfare State. Sostenere, infatti, che l’art. 4 Cost. sia immediatamente azionabile contro i pubblici poteri, equivale a ritenere che il cittadino involontariamente A. Pace, Problematica, cit., 156. L’insigne giurista riconosce, peraltro, una notevole differenza fra i diritti a prestazioni positive che abbiano un “ particolare contenuto”, da quelli che ne siano privi, concludendo, per i primi, nel senso della immediata azionabilità (si pensi, ad esempio, al diritto alla retribuzione proporzionata e sufficiente sancito dall’art. 36 Cost.). A conclusioni analoghe, pur se prendendo le mosse da presupposti assolutamente antitetici, sembra giungere A. Baldassarre, voce Diritti sociali , cit., 10. Questi, infatti, distingue, nell’ambito dei diritti sociali, i c.d. “diritti sociali di libertà”, caratterizzati dal risolversi in un agere licere e, pertanto, self executing : ciò non pare condivisibile, però, perchè i diritti a prestazioni positive non si risolvono in una attività materiale o giuridica, bensì in una pretesa che instaura un rapporto obbligatorio con lo Stato. Divers o è, poi, il problema se tale rapporto sia o meno condizionato dalla necessità di una preventiva interpositio legislatoris . 138P. Calamandrei, L’avvenire dei diritti di libertà (1946), in Opere giuridiche , vol III, Morano, Napoli 1968, 200 s., 139P. Calamandr ei, L’avvenire, op. cit. (nostro il corsivo nel testo). 137 49 disoccupato possa convenire in g iudizio lo Stato per ottenerne una condanna all’assunzione, da eseguire in forma specifica o per equivalente. Questo, in via di prima approssimazione (e salvo quanto in seguito meglio chiarito) non sembra ammissibile non tanto perché la Pubblica Amministrazione non possa essere condannata ad un facere in forza dell’art. 4 l. 20 marzo 1865, n. 2248. all. E (si potrebbe, infatti, diffidare l’Amministrazione ad operare e, a fronte del provvedimento di diniego, agire deducendo la carenza di potere del medesimo, non essendo rimessa alla discrezionalità di quella la possibilità di alterare il rapporto libertà autorità quale delineato nel diritto positivo 140), ma piuttosto per il vincolo posto dall’art. 81 Cost., ossia per la necessità di rispettare le esigenze finanziarie dello Stato. La nuova ratio della programmaticità è tutta nella c.d. la riserva del “ragionevole e del possibile” 141: il legislatore deve attuare la previsione costituzionale relativa ai diritti di prestazione in rapporto agli altri interessi primari del medesimo rango ed alle esigenze di bilancio. In tal modo, se da un lato si è valorizzato il “potere” del legislatore, vincolato all’attuazione della Carta fondamentale, dall’altro lo si è imbrigliato nelle maglie della razionalità, aprendo le porte a d un necessario e problematico sindacato da parte della Corte costituzionale 142. In particolare, “L’utilità del principio ricordato può giustificarsi [...] innanzitutto perché esso individua correttamente il problema dei diritti 140Alla medesima soluzione, in situazione analoga, è giunto il Pretore di Roma, Ordinanza 4 giugno 1980, in Giust. Civ., p. 1990, con nota di A. Pace, Diritti degli hadicappati e inadempienze della pubblica amministrazione , con la quale è stata imposta al Comune di Roma, in via cautelare, l’istituzione di un servizio di trasporto di superficie alternativo alla metropolitana, in attesa di un adeguamento di quest’ultima alle esigenze dei portatori di handicap. In tema sia consentito un rinvio a L. Principato, Diritti degli Handicappati: Amministrazione fra arbitrio e discrezionalità , in Giur. cost., 1997, 2754. 141 Cfr. BverfGe, 3, 330 ss. Comunque, “poiché in Germania pochissimi diritti sociali hanno un diretto riconoscimento nel Grundgesetz e poiché nel caso si trattava di un diritto basato su una legge ordinaria, ancorché posto sotto la copertura del principio generale dello Stato sociale, di cui agli artt. 2, comma 1 e 20 comma 1 del Grundgesetz, der Vorbehalt des Moglichen oder des Vernunftigen si estende ovviamente, non solo al come ed al quando della garanzia, ma anche al se ed al quid”, mentre nel nostro ordinamento an e quid della garanzia dei diritti sociali hanno natura costituzionale, ove il diritt o abbia espressa previsione nella Carta fondamentale. Cfr. A. Baldassarre, voce Diritti sociali , cit., 31. Sulla riserva del ragionevole e del possibile e sui relativi criteri di attuazione dei diritti sociali v. anche F. Modugno, I nuovi diritti nella Giu risprudenza costituzionale , Giappichelli Editore, Torino, 1995, 72. 142 Anche se non può negarsi che “in nome di una gradualità dipendente dal condizionamento finanziario si sono troppo spesso giustificate discrezionali delimitazioni dei diritti a prestazion e”. In altri termini, “La Corte appare del tutto passiva rispetto alle scelte del legislatore, al punto di accreditare una presunzione di legittimità basata sull’ipotesi che tali scelte hanno presumibilmente tenuto conto delle effettive disponibilità finanziarie”. Cfr. rispettivamente R. Bin, Diritti ed argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Giuffrè, Milano, 1992, 111 e Corte cost. n. 31 del 1986, in Giur. cost., 1986, I, 164 ss. Riscontra una “atrofia d el giudizio di legittimità sulla legislazione attuativa dei diritti sociali, in ragione dell’esclusiva attribuzione al legislatore dell’allocazione delle risorse disponibili, fatta salva l’eventualità dello scrutinio nel merito laddove venga inciso il ‘con tenuto minimo/essenziale’ degli stessi” C. Salazar, Dal riconoscimento, op. cit., 127. 50 sociali condizionati come un problema di necessaria gradualità della loro attuazione [...]; in secondo luogo perché, permettendo alla Corte costituzionale di valutare la ragionevolezza della ponderazione degli interessi che abbiano condotto il legislatore ad attuazioni parziali dei diritti sociali fondamentali, conferisce ad essa la possibilità di affermare in concreto il primato della Costituzione in relazione ad irragionevoli inerzie o ritardi del legislatore.” 143 Nella sentenza n. 180 del 1992 144 la Corte costituzionale ha fatto propri tali principi di gradualità e ragionevolezza. Vi si legge che “Rientra nella discrezionalità del legislatore ordinario la determinazione dell’ammontare delle prestazioni sociali e delle variazioni delle stesse sulla base di un razionale contemperamento del le esigenze di vita dei lavoratori che ne sono beneficiari e della soddisfazione di altri diritti pur costituzionalmente garantiti da un lato e delle disponibilità finanziarie dall’altro [...] Discrezionalità che questa Corte, che è priva dei necessari poteri istruttori, non può sindacare se non quando emerga la manifesta irrazionalità dei risultati attint i nelle disposizioni impugnate” . Nella sentenza n. 374 del 1988 145 la Corte ha ulteriormente chiarito che la gradualità si presenta, proprio per le difficol tà finanziarie da superare, come un modo di essere necessario ed interamente coerente con il fenomeno visto nel suo pratico atteggiarsi e appare come caratteristica, del pari necessaria e, comunque, compatibile, del fenomeno stesso nella sua rilevanza costituzionale.” Addirittura, a proposito della estensione dell’assistenza scolastica, la Corte 146 è giunta ad affermare che la graduazione delle prestazioni sociali è subordinata anche a valutazioni di politica generale, ciò “che è perfettamente legittimo se si tratta di graduare gli impegni finanziari dello Stato, quanto sarebbe assolutamente aberrante se si ammettesse che di un simile margine di discrezionalità politica il legislatore possa usufruire nel determinare i contenuti dei diritti costituzionali.” 147 In uno al principio di gradualità , la giurisprudenza costituzionale ha elaborato – mutuandola dalla tradizione tedesca – la nozione di contenuto minimo o essenziale dei diritti (non solo sociali). Si tratta di due tecniche argomentative correlate 148: il livello di attuazione dei diritti sociali può essere il frutto dell’unico ragionevole bilanciamento A. Baldassarre, voce Diritti sociali, cit., 31.. Corte cost. n. 180 del 1992, in Giur. cost., 1982, I, 2010. Il rilievo acquisito dalla problematica dei costi dei d iritti sociali si evince dal fatto che la Corte costituzionale si è addirittura dotata di un Ufficio per la documentazione e la quantificazione finanziaria dell’incidenza delle proprie decisioni. In tema, T. Groppi, La quantificazione degli oneri finanziar i derivanti dalle decisioni della Corte costituzionale: profili organizzativi e conseguenze sul processo costituzionale , in AA. VV. L’organizzazione ed il funzionamento , op. cit., 269 ss. 145 Corte cost. n. 374 del 1988. In Giur. cost., 1988, I, 1658. 146 Corte cost. n. 7 del 1967, in Giur. cost., 1967, 69. 147 R. Bin, op. ult. cit., 110. 148 C. Salazar, Dal riconoscimento, op. cit., 129 s. ritiene che la gradualità sia invocata “per escludere la parzialità, inadeguatezza, incompletezza, etc. della disciplina scru tinata”, mentre il contenuto minimo “per ‘dimostrare’ l’incostituzionalità delle norme che incidano su tale ‘nucleo’ ma anche per escluderla, perché esso non è intaccato dalla normativa impugnata”. 143 144 51 (ineguale 149) con le esigenze finanziarie dello stato, superando in parte qua lo scrutinio di costituzionalità, ma potrebbe al contempo essere illegittimo siccome incidente su un nucleo intangibile per il quale la stessa riserva del ragionevole e del possibile diviene inoperante. 8. Le tecniche decisorie della Corte costituzionale nell’attuazione dei diritti sociali. Anche muovendosi nell’ottica della programmaticit à dei diritti sociali e della conseguente necessità di una interpositio legislatoris, l’ordinamento giuridico non sembra ben tollerare una inadeguata o (addirittura) mancata attuazione delle disposizioni costituzionali programmatiche, tanto che la stessa Corte costituzionale ha finito con l’elaborare una tecnica decisoria eccentrica rispetto alla tradizionale dicotomia accoglimento -rigetto della questione di legittimità costituzionale: le sentenze additive di prestazione o anche solo di principio. 150 La natura additiva della decisione, atteso che la disposizione viene dichiarata incostituzionale nella parte in cui difetta della previsione di un precetto normativo (che fondi il diritto alla prestazione) o di un principio, potrebbe svelarsi idonea al superamento della programmaticità dei diritti sociali. Essa, però, incontra due difficoltà. La prima consiste nella compiuta determinazione delle funzioni della Corte costituzionale, giacchè la linea di demarcazione fra il controllo di costituzionalità e l’attività n ormogenetica diviene assai labile, pur recependosi la tesi crisafulliana delle rime obbligate 151. M. Luciani, Sui diritti sociali , op. cit., 102. letteratura sulle tecniche decisorie della Corte costituzionale è sterminata. AA.VV. Le sentenze della Corte costituzionale e l’art. 81, u.c., della Costituzione , Milano, 1993; G. Parodi, La sentenza additiva a dispositivo generico , Torino, 1966; A. Anzon, Nuove tecniche decisorie della Corte costituzionale , in Giur. cost. 1992, 3199 ss.; C. Colapietro, La giurisprudenza, op. cit.; F. Politi, Gli effetti nel tempo delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, Cedam, Padova 1997; R. Pinardi, La Corte, i giudici ed il legislatore. Il problema degli effetti temporali delle sentenze di incostituzionalità , Giuffrè, Milano 1993; AA.VV. L’organizzazione ed il funzionamento della Corte costituzionale , a cura di P. Costanzo, Utet, Torino 1996; AA.VV. Corte costituzionale e processo costituzionale nell’esperienza della rivista ‘Giurisprudenza costituzionale’ per il cinquantesimo anniversario , a cura di A. Pace, Giuffrè, Milano 2006;A. Cerri, Corso di giustizia costituzionale , Giuffrè, Milano 2008, 260 ss.; M. Luciani Le decisioni processuali e la logica del giudizio incidentale , Cedam, Padova 1984. L’elaborazione delle sentenze manipolative deriva essenzialmente dalla presa di coscienza della inidoneità delle decisioni interpretative di rigetto a garantire com piutamente le esigenze di certezza del diritto, stante la loro efficacia vincolante nel solo giudizio a quo. 151 V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale , II, Cedam, Padova 1984, 98 e 407; Id. La Corte costituzionale ha vent’anni , in Giur. cost. 1976, il quale ritiene che l’addizione sia possibile solo ed esclusivamente laddove la norma, la cui esistenza esclude il dubbio di legittimità costituzionale, sussista già nella disposizione oggetto di giudizio e sia l’unica che possa essere ricavata interpre tativamente da essa (osserva C. Salazar, Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali , op. cit., 140 e s. che “La Corte perciò prende le mosse da una norma ‘ideale’ conforme a Costituzione, non formulata espressamente in alcuna parte dell’ordinanen to ma da essa stessa prefigurata e, ribaltando questa nel suo contrario, ‘arriva’ ad una norma negativa implicita, anch’essa non positivizzata, che dichiara incostituzionale”); in caso di pluralità di opzioni ermeneutiche, non sussistendo le rime obbligate , la decisione deve essere d’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, non potendosi 149 150La 52 In effetti, se si ritiene che la sentenza additiva sani una lacuna ordinamentale, diviene assai complesso negarne l’effetto di produzione normativa. Se, al contrario, si aderisce alla tesi della rimozione della norma negativa implicita, la Consulta torna a muoversi nell’ambito della funzione di legittimità costituzionale, pur se in base ad una fictio iuris che ha il sapore della forzatura. Sulla soluzione del quesito, reagisce la problematica determinazione dell’oggetto del giudizio di costituzionalità: se esso è la disposizione, assumerne l’illegittimità in funzione di ciò che essa non dice, attribuendo carattere normativo (implicito) al silenzio legislativo, equ ivale a sostenere che l’attività normogenetica può anche avvenire senza il rispetto delle relative norme sulla produzione, atteso che non porre una data norma si risolve nella volontà di creare la rispettiva e contraria norma negativa. Se, al contrario, l’oggetto coincide con la norma, allora l’attività ermeneutica ne risulta premiata e ben potrà dichiararsi l’incostituzionalità di una disposizione in ragione della regola che essa non pone. La necessità che oggetto del dubbio di costituzionalità sia la disp osizione sembra, però, potersi desumere da una serie di elementi: in primo luogo, l’art. 134 Cost., nel chiarire che la Consulta giudica della legittimità delle leggi e degli atti aventi forza di legge (dello Stato e delle Regioni), esclude che oggetto di sindacato possano essere le norme derivanti da fonti-fatto, con ciò riconoscendo implicitamente che un enunciato testuale (qualificato, siccome con forza di legge) è caratteristica necessaria, pur se non sufficiente, dell’oggetto della questione di legittimità costituzionale. 152 In secondo luogo, l’accoglimento della questione determina l’annullamento della disposizione e la conseguente impossibilità che da essa si tragga qualsiasi enunciato normativo, non soltanto la norma asseritamente posta ad oggetto dell a questione stessa. Infatti, anche i più attenti, fra la dottrina che non guarda alla disposizione come oggetto di giudizio, hanno avvertito l’esigenza di qualificare l’oggetto stesso come “situazione normativa”, con ciò intendendosi “il complesso dei mate riali, normativi e fattuali, considerati nelle loro reciproche interconnessioni ed idonei a variamente comporre la ‘questione’ ed a confluire nel giudizio di costituzionalità”. 153 altrimenti ledere la discrezionalità del Parlamento. E’ stato autorevolmente sostenuto (A. PIzzorusso, La Corte costituzionale , in AA.VV., Poteri, poteri emergenti e loro vicissitudini nell’esperienza giuridica italiana , a cura di G. Piva, Cedam, Padova 1986, 364 ss.), secondo l’insegnamento kelseniano, che le sentenze additive hanno carattere normativo, giacchè determinano una modificazione dell’ordina mento giuridico, pur se di segno negativo. Anche L. Elia, Il potere creativo delle Corte costituzionali, in AA.VV. Le sentenze in Europa – Metodo, tecnica e stile , Cedam, Padova 1988, 217 ha parlato in merito di “creatività strumentale”, dovendosi ricondur re la suddetta modificazione al controllo di legittimità costituzionale. La fragilità del criterio delle rime obbligate è denunciata da A. Baldassarre, Il problema del metodo nel diritto costituzionale , in AA.VV., Il metodo nella scienza del diritto costit uzionale. Seminario di studio (Messina 23 febbraio 1996) , Cedam, Padova 1997, 101. Sul problematic o r appor to fr a d isposizione e norma, ai fini d el giud izio d i legittimità c ostituzionale, v. A. Ce r r i, Corso di giustizia c ostituzionale , Giuffrè, Milano 20 08, 116 ss., il quale d istingue i casi in c ui la d isposizione sia cond izione necessaria e sufficiente, o solo necessaria o solo sufficiente d e gli e nunc iati nor mativi che d a essa possono ricavarsi. 153 A. Ruggeri e A. Spad ar o, Lineamenti di giustizia c ostituz ionale, Giappichelli, Torino 2004, 89. Ritiene che l’ogge tto d e l giud izio d i c ostituzionalità sia il diritto v iv ente , ossia il significato d ella 152 53 La seconda difficoltà è data dall’art. 81 Cost., se ritenuto applicabile anche alla decisione di incostituzionalità in quanto strumento, pur diverso dalla legge di bilancio, per la determinazione di oneri a carico dello Stato. 154 Del resto, non meno problematica risulta l’addizione del principio, in luogo del precetto quale immediata fonte di obblighi: in questo caso, la tesi dell’annullamento della norma negativa implicita si scontra con l’esigenza di rapportare l’immediata applicabilità del principio con il limite della discrezionalità legislativa. E’ il caso delle c.d. additive di meccanismo, cui la Corte costituzionale ha fatto ricorso ad esempio in caos di mancato adeguamento legislativo di metodi di computo di prestazioni sociali, divenuti incongrui nella dinamica socio -economica: in esse l’aggravante è costituita dal fatto che n on esistono le rime obbligate, poiché sono molteplici i criteri di computo potenzialmente idonei a soddisfare un requisito minimo di ragionevolezza e, conseguentemente, la logica della norma negativa cade dinanzi all’esistenza di una pluralità di opzioni astrattamente idonee a soddisfare l’interesse alla prestazione sociale da attualizzare. Donde l’esigenza di un successivo intervento legislativo, avente ad oggetto la determinazione del quantum della prestazione eroganda. Anche nel caso delle c.d. additive di principio di garanzia, l’elemento rilevante è la carenza di rime obbligate: di esse può predicarsi la natura vincolante per il legislatore – che una disciplina che non si uniformi al sancito principio sarebbe incostituzionale, pur se il sindacato sullo ius superveniens dovrebbe svolgersi a maglie larghe ed essere limitato al profilo della manifesta infondatezza 155 – ma ciò non consente di superare le problematiche dell’inerzia legislativa 156 e, pertanto, dovrebbe ritenersi d isposizione rad ic ato ne lla pr assi giur isprud enziale, A. Pugiotto, Un rapporto non c onflittuale tra la Corte e i giudic i: il diritto v iv ente applic ato alle sentenze additiv e , in AA.VV. La Corte c ostituzionale e gli altri poteri dello S tato, a c ur a d i A. Anzon, B. Caravita, M. L uciani, M. Volpi, Giappichelli, Torino 1993, 161 ss., pur c onsape vole d e l fatto c he il d i ritto vivente, per lacune d isposizioni, può essere semplicemente in fieri . 154 V. Caianiello, Corte c ostituz ionale e finanza pubblic a , in Giur. it. , 1984, 273 ss. ritiene c he le d ecisioni d ella Consulta non possano d e terminare maggiori oneri per il bilancio d ello Stato, mentre e sclud e che l’ar t. 81 c omma 4 Cost. sia limita all’attività d i controllo d i legittimità costituzionale C. Mortati, Appunti per uno studio sui rimedi giurisdizionali c ontro i c omportamenti omissiv i del legislatore , in Rac c olte di sc ritti , III, Giuffr è , Milano 1972, 964. 155 C. Salazar, D al ric onosc imento alla garanz ia dei diritti soc iali , op. cit., 138. 156 Il rapporto fr a Cor te c ostituzionale e legislatore è esemplificabile attraverso l’esame d elle c.d . sentenze monito, ovve r o d i inc ostituz i onalità prov v isoria o ancora d ’ inc ostituzionalità ac c ertata ma non dic hiarata , nelle quali – talvolta pr opr io per le conseguenze economiche, tal’altra per quelle politiche, d erivanti d all’e ve ntuale ac c oglimento d ella questione d i legittimità costituzionale – la Consulta sollec ita il le gislator e a sanare lacune normative o ad abrogare d iscipline altrimenti c ontrarie a Costituzione . Il c he ge ne r a una d ialettica fra giud ice e creatore d elle leggi, nella quale i r apporti d i for za sono se mpr e mute voli ed eteroge nei: il monito sollevita l’intervento d el legislatore, l’ine r zia d e l quale d ivie ne prelud io d ella d eclaratoria d ’incostituzionalità, magari con ad d itiva d i princ ipio. Il c ir c uito d e lla le gittimità costituzionale, in tal mod o, si arricchisce d i una c omponen te d i e lastic ità politic a, c ui par tecipa anche il giud ice comune, sia sollevand o la questione d i legittimità c ostituzionale e d and o c osì luogo (all’accertamento d ell’incostituzionalità ed ) alla e laborazione d e l monito, sia ite r and ola in caso d i inezia legi slativa, ind ucend o così la d ichiarazione d ella incostituzionalità sino ad allor a al più solo accertata. Quanto al rappor to c on il le gislator e , d all’art. 136 Cost. può d esumersi un vincolo negativo, ossia un d ivieto d i r e intr od uzione d e lla nor mativa d ichiar ata incostituzionale, mentre è assai più ard uo attribuire al giud ic ato c ostituzionale una valenza positiva, ossia d i obbligo d i intervento per il 54 che il vincolo sussista anche per i l giudice comune, chiamato ad elaborare la regola del caso concreto, nel giudizio a quo, in applicazione del principio enunciato dalla Corte costituzionale, almeno fino a quando l’emanazione della nuova disciplina non elimini la necessità di ricorre ad un’interpretazione analogica o sistematica. 157 In sostanza, l’effettività dei diritti sociali è sospesa su un’armoniosa collaborazione fra l’attivismo del giudice comune, fondato su una lettura precettiva delle relative disposizioni, e la Corte costituzionale c he, nella dialettica del giudizio di legittimità, si determinerà al rigetto od alla declaratoria di inammissibilità della relativa questione (a seconda che essa sia fondata o invasiva della discrezionalità legislativa), oppure alla addizione della prestazi one o del principio, in ragione dell’esistenza o non delle rime obbligate. Una collaborazione che, ovviamente, trova espressione compiuta nelle molteplici tecniche decisorie affermatesi nella prassi, che conferiscono al giudizio di costituzionalità un’elas ticità al contempo proficua e problematica. Il legislatore sarà, per parte sua, gravato da un obbligo politico, ma anche giuridicamente rilevante, di disciplinare la materia oggetto di declaratoria d’incostituzionalità ma, sino al momento dell’esercizio de lla funzione normativa, la regola od il principio resi applicabili per effetto dell’addizione di prestazione o di principio saranno suscettibili di diretta applicazione da parte dei giudici comuni, investiti di una funzione di legislatore. In r e altà, c he l’ac c oglime nto d ella questione si trad uca in un vincolo giurid ico per l’esercizio d ell’attività d i nor mazione è anche argomentabile, mente d i tale vincolo è ben più c omplesso pred ic ar e la giustiziabilità. Ma è convincente l’id ea che “l’impossibilità d i coartare il legislatore all’ad e mpime nto non e sc lud e che si possa parlare d i ‘vincolo’ giurid ico: se la sussistenza d i questo fosse ammissibile solo ove sia possibile la coercibilità d ei d estinatari, nessuna d ecisione d ella Corte potr e bbe e sse r e inte sa c ome giurid icamente vincolante” (C. Salazar, D al ric onosc imento alla garanzia dei diritti soc iali , op. c it., 152 s. e nota 41). In questo senso, espressamente, Corte cost. 26 giugno 1991, n. 295, in Giur. cost. 1991, III, 2319, recepita da Cass. sez. lav. 18 giugno 1992, n. 7506, in Foro it., 1993, 1157 ss. Ancora, Corte cost. 22 novembre 1991, n. 421, in Giur. cost. 1991, III, 3597 e Corte cost. 9 marzo 1992, n. 88, in Giur. cost., 1992, III, n. 2374, con nota di E. Grosso, La sent. n.88 del 1992: un’alternativa alle “additive di prestazione” . Per l’immediata applicabilità delle decision i in esame v. anche G. Persico, Sentenza additiva di funzione legislativa della Corte costituzionale ? , in Quaderni regionali 1991, 19 ss.; C. Salazar, Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali , op. cit., 137 ss.; M. Ruotolo, La tutela dei dirit ti del detenuto tra incostituzionalità per omissione e discrezionalità del legislatore , in Giur. cost., 1999, 221 ss. In senso analogo R. Granata, La giustizia costituzionale nel 1997 , in Giur. cost., 1998, 2923, il quale ha osservato che per effetto di un’additiva di principio “sorge un potere interinale per i giudici di ripianare all’omissione nel caso concreto ed un dovere costituzionale per il legislatore di intervenire nella materia, nonché la possibilità per la Corte di controllare l’adempimento una v olta che questo sia intervenuto”. In senso contrario, però, v. Corte cost. 12 giugno 1991, n. 277, in Giur. cost., 1991, III, 2191, nella quale si stabilì che, pur dichiarata incostituzionale la disposizione sottoposta al vaglio della Corte, i giudici comu ni avrebbero dovuto continuare ad applicarla fino all’entrata in vigore della nuova disciplina. In concreto, però, la giurisprudenza successiva mostrò di ritenere non più vigente ex art. 136 Cost. la disciplina dichiarata incostituzionale, come evidenziato da A. Anzon, A proposito dei controversi effetti di un’addittiva di principio “anomala”, in Giur. cost., 1994, 458 ss. In questo senso V. Caianello, Corte costituzionale e finanza pubblica , op. cit. (redattore della menzionata pronuncia). 157 55 immediata attuazione della Co stituzione ed, in particolare, del principio di eguaglianza sostanziale. Il giudice comune, laddove non ritenga di poter provvedere all’immediata applicazione, potrebbe sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale nell’ipotesi di carenza di seguito, ma la Corte costituzionale, ben lungi dal protendere per l’accoglimento, ha mostrato in questi casi di determinarsi nel senso dell’inammissibilità, con ciò fornendo implicita conferma alla tesi della natura vincolante del principio anche verso il giudice. 158 In ogni caso è assai complesso individuare i limiti di utilizzo della tecnica decisoria in esame: la Corte costituzionale mostra di impiegarla in modo assai prudente proprio in materia di diritti sociali per le note esigenze di bilancio, così come nei casi in cui non vi sia alcuna normazione sulla quale intervenire in chiave additiva. 159 Al difetto di attuazione legislativa dei diritti sociali non sembra possa offrirsi soluzione per il tramite dell’interpretazione adeguatrice. Il giudice comune, infatti, non può sanare la lacuna normativa sul piano meramente ermeneutico, pur nella vigenza della disposizione costituzionale che, riconoscendo e garantendo il diritto sociale, ben dovrebbe orientarne l’interpretazione. Sul piano logico, per la evident e ragione che ciò che non esiste non può essere oggetto di elaborazione ermeneutica; sul conseguente piano giuridico, giacchè manca la disposizione da cui desumere la norma. E’ il presupposto stesso della carenza attuativa ad escludere che l’interprete pos sa porvi rimedio, facendo leva esclusivamente sulle potenzialità normogenetiche della Costituzione. Del resto, l’interpretazione adeguatrice – il cui tentativo è ormai assurto a condizione di ammissibilità della questione di legittimità costituzionale – determina di per sé un notevole rischio di inaridimento del giudizio In tema, anc he pe r l’e same d e lla giurisprud enza, C. Salazar, D al ric onosc imento alla garanzia dei diritti soc iali , op. c it., 157 ss., la quale pone in relazione lo sviluppo d elle sentenze ad d itive d i principio con la te c nic a d e l bilanc iame nto fra valori costituzionali, nel senso che l’articolazione d el principio conse ntir e bbe d i por r e r ime d io ad una previsione normativa priva d ella elasticità necessaria a conse ntir e al giud ic e c omune d i ad eguare il precetto al caso concreto. In realtà, l’effetto che s’inte nd e r e bbe c onse g uir e per il tramite d el bilanciamento fra valori è una conseguenza necessaria d ella c ostr uzione d e lla fattispe cie: l’etimologia già suggerisce, infatti, che l’interprete sia c hiamato ad una valutazione d e l fatto, prima ancora d i operare il giud izio d i suss unzione nella fattispecie astr atta, d i talc hè l’inve r amento d ell’ord inamento nel concreto d el giud izio passa inevitabilmente pr opr io attr ave r so un fattore d inamico, costituito d all’esame d egli elementi d i fatto integrativi d ella fattispe c ie , c he c onse ntono d i conseguire analogo risultato d i elasticità, pur se e ntro le maglie insupe r abili d e l vinc olo e r meneutico posto d all’enunciato testuale. Tale approccio me tod ologic o c onse nte d i non pervenire a quella “trasformazione d ello stato c ostituzionale in stato gi ur isd izionale ” cui cond urrebbe la (non cond ivisibile, a giud izio d i chi scrive) “consape vole zza c he non d i un buon legislatore ha bisogno l’ord inamento, ma d i buoni giud ici, capaci d i ope r ar e , gr azie ad una ‘d elega a maglie larghe’ il bilanciamento d ei val ori in gioco” (in questo senso, C. Salazar , D al ric onosc imento alla garanzia dei diritti soc iali , op. cit., 160). 159 E’ il caso d e lla fe c ond azione assistita. Per una esame d ella problematica, anche con riferimento all’ipotesi d i mate r ia non anc or a ogge tto d i legislazione, C. Salazar, D al ric onosc imento alla garanzia dei diritti soc iali , op. c it., 1162 ss., la quale ind ivid ua un limite generale, all’utilizzo d elle sentenze ad d itive d i princ ipio, ne l fatto c he que st’ultimo d ebba “essere giustificato in ragione d i una ev idente (o, almeno, ricostr uita c ome tale in motivazione) incisione sulla d ignità d ella persona”. Il parametro d ella d ignità d e lla pe r sona, pe r ò, appare assai complesso d a sostanziare in chiave d i limite all’utilizzo d i una te c nic a d e c isionale . 158 56 incidentale di legittimità costituzionale 160; è facile intuire, quindi, quale potrebbe essere l’effetto dell’abuso di un simile strumento, da parte del giudice comune, anche laddove non si po nga tanto un problema di individuazione della lettura di una disposizione più coerente con la Carta fondamentale, quanto quello della inesistenza del giudizio ipotetico che colleghi ad un fatto effetti giuridici determinati. 9. Un’esemplificazione sul p iano dei diritti “che costano”: i l diritto alle prestazioni mediche come d iritto sociale e diritto civile. Differenze strutturali e contenutistiche. L’iniziale assunto secondo il quale la qualificazione di una situazione giuridica soggettiva in termini di diritto sociale ne escluda precettività e giustiziabilità in difetto di interpositio legislatoris, può e deve essere revocato in dubbio prendendo le mosse dall’analisi del diritto alla salute, riconosciuto e garantito dall’art. 32 Cost. ed interpretato ora in termini di mero interesse legittimo 161, ora di diritto soggettivo perfetto 162, ora di diritto sociale. 163 M. Luciani, Le funzioni sistemiche della Corte costituzionale, oggi, e l’interpretazione conforme a” , in www.giustamm.it , fasc. 5/2007. Sul difficile rapporto fra certezza del diritto e collaborazione fra Corte costit uzionale e giudice comune, A. Pace, I limiti dell’interpretazione adeguatrice , in Giur. cost., 1963, 1066 ss., il quale conclude per l’obbligo della declaratoria di illegittimità costituzionale in tutti i casi in cui la disposizione genera dubbi ermeneutic i. V. altresì Id., Sul dovere della Corte costituzionale di adottare sentenza di accoglimento (se del caso ‘interpretative’ o ‘additive’) quando l’incostituzionalità sita nella ‘lettera’ della disposizione , in Giur. cost., 2006, 3428 ss. In argomento, M. R uotolo, Interpretazione conforme a Costituzione e tecniche decisorie della Corte costituzionale , in www.gruppodipisa.it e AA.VV., Scritti in onore di A. Pace, cit., 2469ss. In tema, I. Ciolli, Brevi note in tema d i interpretazione conforme a Costituzione , ult. op. cit., 2013 ss. 161 A. Cariola, Diritti fondamentali e riparto di giurisdizione, in Dir. proc. amm. , 1991, 200 ss. Del medesimo avviso F. Piga, Diritti soggettivi, interessi legittimi, interessi diffusi e t utela giurisdizionale , in Giust. civ., 1980, I, 704. 162 M. Bianca, Il diritto alla salute , in Studi in onore di C. Sanfilippo , Giuffrè, Milano, 1983. L’Autore, più specificamente, riconosce nell’art. 32 Cost. una situazione giuridica complessa, nella quale rientrano sia il diritto alla integrità psico -fisica che il diritto alla assistenza sanitaria. Entrambe queste situazioni giuridiche rilevano come diritti soggettivi perfetti: “Il diritto alla salute tutela un bene essenziale della persona ed è pertanto u n diritto fondamentale. Questo diritto si atteggia come diritto i rispetto della salute della persona e come diritto di solidarietà, cioè come diritto a ricevere l’assistenza sanitaria. Il diritto a ricevere l’assistenza sanitaria si struttura come diritto soggettivo verso l’Amministrazione pubblica ed è azionabile alla pari degli altri diritti soggettivi.” Sempre nell’ottica del diritto soggettivo si colloca anche G. Alpa, Salute ( diritto alla ) , in Nss. D. I., Appendice, VI, Torino, 1986, 913 ss.; Id., Diritto alla salute e tutela del consumatore , in Riv. trim. dir. pub., 1975, 1515; Id. Danno “biologico” e diritto alla salute. Una ipotesi di applicazione diretta della Costituzione , in Giur. It., 1976, I, 443, il quale contesta aspramente una visione m eramente programmatica dell’art. 32 Cost., affermandone la precettività anche verso i privati. Abbracciano la tesi della precettività anche M. Bessone - E. Roppo, Diritto soggettivo alla salute, applicabilità diretta dell’art. 32 ed evoluzione della giuris prudenza, in Pol. dir., 1974, 767, pur ritenendo necessaria una valutazione specifica “caso per caso”. 163 C. Cereti, Diritto costituzionale italiano , Torino, 1966, 211. Pongono altresì l’accento sul carattere esclusivamente pubblicistico ed oggettivo dell a salute M. Pasquini - D. Pasquini Peruzzi, Il servizio sanitario nazionale , Napoli, 1979, 44. Ritiene l’art. 32 Cost. “norma generale, in buona parte programmatica e [ che ], comunque, certamente abbisogna di ulteriori disposizioni che la traducano in r ealtà” anche G. Roehrssen, Salute e sanità nella 160 57 Sembra ragionevole aderire alla tesi della polivalenza strutturale del diritto alla salute 164, nel senso che l’art. 32 Cost. tutela sia il diritto soggettivo all’integrità psico-fisica che il diritto sociale alle prestazioni mediche. Deve, però, riconoscersi che nel caso di necessità ed urgenza, ossia quando il trattamento medico è essenziale per la tutela della stessa integrità psico-fisica del soggetto, le due situazioni giuridiche soggettive tendono a confondersi in un unico diritto di natura civile ed avente struttura di diritto soggettivo, come tale immediatamente azionabile anche in via d’urgenza dinanzi al giudice ordinario. Più specificamente, tale diritto soggettivo alle prestazioni sanitarie da parte delle pubbliche strutture si converte, se il titolare è indigente e lo Costituzione italiana , in Nuova Rass., 1983, I, 825, con la conseguenza che, in caso di lesione della relativa situazione giuridica, la competenza non spetterebbe sempre al giudice ordinario. Sempre nell’ott ica tradizionale dei diritti sociali, intesi come diritti a prestazioni positive, si colloca anche G. Corso, I diritti sociali nella Costituzione italiana , in Riv. trim. dir. pub., 1981, 755. L’Autore, infatti, ritiene che “la prestazione amministrativa d el servizio [...] richiede un momento preliminare di organizzazione del servizio, corrispondente ad una determinazione legislativa: in rapporto a questo momento organizzativo (e pregiudizialmente legislativo) il privato non dispone di un diritto o di altra situazione giuridica tutelabile”. Secondo Corso “Scuola e sanità sono esempi tipici. Il diritto all’istruzione presuppone l’apertura della scuola prima dell’ammissione dello studente. Il diritto soggettivo [...] sorgerebbe nella seconda fase, e cioè in or dine al singolo provvedimento di ammissione ad una determinata scuola, già concretamente esistente e funzionante; rispetto al se ed al quando il servizio debba essere reso, il privato non avrebbe che un interesse”. Premesso che, come si è avuto modo di acc ennare, una siffatta discrezionalità del legislatore, sul piano dell’ an e del quando dell’attuazione del diritto sociale è esclusa, nell’interpretazione della Corte costituzionale, dalla stessa esistenza dell’art. 32 Cost., ovvero della garanzia costituzio nale - semmai tale discrezionalità residuando per il come ed il quanto -, il ragionamento dell’insigne giurista, coerente da un punto di vista generale, non regge sul piano concreto del diritto alla salute. L’inesistenza di una struttura pubblica o, meglio , l’incapacità del soggetto pubblico di fornire una prestazione sanitaria, infatti, non lascia il privato senza difese, né lo trova senza diritti: è, infatti, possibile il ricorso alla struttura privata, con la conseguente interversione del diritto alla sa lute nel diritto al rimborso delle spese sostenute per la tutela dell’integrità psico - fisica. Sul punto, comunque, v. oltre nel testo. Di “semplice situazione raccomandata all’introduzione legislativa di provvidenze a tutela della salute [...] con la con seguenza di trasformare detta situazione in altrettante situazioni garantite ove le provvidenze siano effettivamente legiferate” parla anche C. Lavagna, Basi per uno studio delle figure giuridiche soggettive contenute nella Costituzione italiana ., in Studi Univ. Cagliari, Padova, 1953, 18. 164 Per tutti, A. Pace, Problematica, cit., 43 ss.; B. Pezzini, Il diritto alla salute: profili costituzionali , in Dir. soc., I, 1983, 31 ss. Contra, L. Montuschi, Articolo 32 Cost. , in Commentario Branca , Bologna - Roma, 1976, 146 ss. Non nega la molteplicità strutturale del diritto alla salute neanche M. Luciani, Il diritto costituzionale alla salute , cit., pur se tende ad un’assimilazione concettuale del diritto all’integrità psico - fisica con il diritto all’assistenza sanitaria, nel quadro di un tentativo di conciliazione fra eguaglianza e libertà, dunque fra diritti sociali e diritti di libertà. Afferma, infatti, l’Autore che “in entrambi i casi sono presenti sia un momento individualistico (di diritto soggettivo), che un momento pubblicistico (di fattore d’integrazione), anche se negli uni [ diritti di libertà ] è prevalente il primo, e negli altri [ diritti sociali ] il secondo”. Una distinzione più marcata viene elaborata dal medesimo Autore nella voce Salute, I) Diri tto alla salute - Dir. cost., Enc. Giur. Treccani, 5, ove si legge: “l’espressione diritto alla salute deve considerarsi formula sintetica con la quale si esprime la garanzia di una pluralità di situazioni soggettive assai differenziate fra loro”. 58 Stato non è in grado di erogare il trattamento, in un diritto al rimborso delle spese sostenute presso la struttura ospedaliera pr ivata. In questo senso, del resto, si era espressa anche la Corte costituzionale nella sentenza 27 ottobre 1988, n. 992 165, con cui era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 32 Cost., dell’art. 32 comma 4 l. 27 dicembre 19 83, n. 730 e dell’art. 15 l. 22 dicembre 1984, n. 887, a norma dei quali le prestazioni di diagnostica sperimentale ad alto costo effettuate presso strutture private non convenzionate non sono assunte a carico del servizio sanitario nazionale neppure quand o le strutture private siano le uniche detentrici delle relative apparecchiature e gli accertamenti diagnostici risultino indispensabili. Il principio secondo il quale il diritto sociale ai trattamenti sanitari, in caso di necessità ed urgenza, rileva come diritto soggettivo perfetto e, se del caso, si converte nel diritto al rimborso delle spese mediche è stato di recente ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza 16 luglio 1999 n. 309 166, declaratoria della illegittimità costituzionale degli artt. 3 7 l. 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale) e 1 e 2 del d.P.R. 31 luglio 1980, n. 618 (Assistenza sanitaria ai cittadini italiani all’estero) nella parte in cui, a favore dei cittadini italiani che si trovano temporaneamente all’estero, non appartengono alle categorie indicate dall’art. 2 del medesimo decreto e versano in disagiate condizioni economiche, non prevedono forme di assistenza sanitaria gratuita da stabilirsi dal legislatore. In particolare, la Consulta ha espress amente riconosciuto che il confine fra il diritto alla cura immediata e il diritto all’integrità della persona può risultare in concreto assai labile, e il contenuto di un diritto può Corte cost. 27 ottobre 1988, n. 992, in Le Regioni, a. XVII, n. 6, dicembre 1989, con nota di E. Ferrari, Il diritto alla salute è diritto a qualunque prestazione ritenuta “indispensabile”? . Non si ignora, per altro che tale orientamento è stato successivamente rivisitato dalla Consulta la quale, nella sentenza 16 ottobre 1990, n. 455, in Giur. cost. 1990, I, 718 ed in Le Regioni, a XIX, n. 5, ottobre 1991, 1513, con nota di E. Ferrari, Diritto alla salute e prestazioni sanitarie fra bilanciamento e gradualità – rigettando la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1 e 2, l. p. Trento 15 marzo 1983, n. 6, sollevata in riferimento agli artt. 3 comma 1, 32 comma 1 e 116 Cost., nonché agli artt. 5 e 9, n. 10, Statuto Trentino - Alto Adige, in connessione con gli artt. 1, 3 comma 2 e 19 l. 23 dicembre 1978, n. 833 – ha ritenuto “il profilo del diritto a trattamenti sanitari”, soggetto “alle determinazioni del legislatore” e configurato come “diritto finanziariamente condizionato all’attuazione che il legislatore ne dà attraverso il bilanciamento con gli altri interessi costituzionalmente protetti, fra i quali è compresa la considerazione delle risorse organizzative e finanziarie disponibili”. 166 Corte cost. 16 luglio 1999, n. 309, in Giur. cost., 1999, 2508, con nota di L. Principato, Il diritto costituzionale alla salute: molteplici facoltà più o meno disponibili da parte del legislatore o differenti situazioni giuridiche soggettive ? In sostanza, sul piano strutturale il diritto alla salute si pone, s ulla base della semplice previsione costituzionale, quale diritto soggettivo perfetto nel caso della tutela della integrità psicofisica, nel diritto alle gratuità delle cure per gli indigenti e del diritto ai trattamenti medici indifferibili ed urgenti. An cora, ma solo a seguito di previsione legislativa che espanda la tutela costituzionale, laddove sia espressamente prevista la gratuità di prestazioni mediche anche a prescindere dal ricorrere del requisito della indigenza. 165 59 confondersi, in casi estremi, col contenuto dell’altro fino anche a risolversi nel diritto alla vita. 167 Conforme, rispetto a tale orientamento, risulta anche la più recente giurisprudenza di legittimità: nella sentenza 19 febbraio 1999, n. 85, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario in relazione a controversie aventi ad oggetto il “diritto soggettivo al rimborso delle spese ospedaliere sostenute dall’assistito all’estero […] per un ricovero reso necessario da motivi di urgenza, costituiti da una situazione di pericol o di vita o di aggravamento della malattia o di non adeguata guarigione”. 168 Ciò significa che il nucleo essenziale del diritto sociale alla salute è rappresentato da un diritto civile o, per utilizzare un’espressione matematica, che il limite del diritto so ciale, laddove le condizioni del titolare tendano ad uno stato di necessità improcrastinabile, è dato dal diritto all’integrità psico -fisica. Ad una conclusione a questa analoga sotto il profilo degli effetti giuridici pratici, ma ben differente da un punt o di vista di teoria generale, può giungersi anche riflettendo sul corretto interagire delle situazioni giuridiche soggettive e dell’ordinamento giuridico complessivamente considerato. Andiamo con ordine. L’esistenza di un diritto alle prestazioni sanitari e discende dal fatto che il legislatore – già quello costituente – ha operato una valutazione positiva dell’interesse del cittadino ad ottenere le cure mediche da una sistema pubblico di erogazione. Dalla formalizzazione positiva di tale interesse è disce so che il ricorrere della esigenza delle cure mediche come strumento di tutela della integrità psico-fisica del soggetto rende integrata la fattispecie di cui all’art. 32 Cost. (in combinato disposto con la disciplina di rango subordinato); laddove, poi, ricorra anche l’indigenza dell’avente diritto, sempre ai sensi dell’art. 32 Cost. ed in base all’applicanda normativa d’attuazione, sussisterà anche la gratuità dell’erogazione delle prestazioni mediche. La Tale orientamento ha trovato ul teriore conferma nella sentenza 13 novembre 2000, n. 509, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 comma 2 della legge della Regione Lombardia 15 gennaio 1975, n. 5 (Disciplina dell’assistenza ospedaliera) e dell’art. 2 comma 3 della legge della Regione Lombardia 5 novembre 1993, n. 36 (Provvedimenti in materia di assistenza in regime di ricovero in forma indiretta presso case di cura private non convenzionate e per specialità non convenzionate con il servizio sanitario nazionale, nonché in materia di rimborsi per spese di trasporto ai soggetti sottoposti a trattamenti di dialisi), promossi con ordinanze emesse il 3 novembre 1998 ed il 15 giugno 1999 dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, Sez. I (iscritte ai numeri 77 e 589 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella G.U. della Repubblica nn. 8 e 43, prima serie speciale dell’anno 1999, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione. Ciò proprio perché l’annullata disciplina non prevedev a la possibilità di conseguire il rimborso delle spese mediche sostenute presso strutture private in difetto della preventiva autorizzazione amministrativa (e senza possibilità di autorizzazione successiva) anche laddove ricorressero specifiche e comprovat e condizioni di necessità ed urgenza, in tal modo violando il “nucleo irriducibile del diritto alla salute tutelato dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana”. 168 Cass. S. U. 19 febbraio 1999, n. 85, in Foro It., 1999, 2832. Cfr. anche Cass. 16 luglio 1999, n. 7537, ivi. 167 60 caratteristica di questa fattispecie astratta è co stituita dal fatto che il diritto alle cure sanitarie sussiste nella misura ed in ragione delle modalità stabilite dal legislatore in sede di attuazione del principio stabilito dall’art. 32 Cost. In ciò la sostanza di diritto sociale. L’ammalato, infatti, sarà vincolato e condizionato dal livello organizzativo del sistema sanitario nazionale, dovendo da un lato rispettarne i tempi e dall’altro accettarne lo standard qualitativo. L’alternativa resterebbe quella del ricorso alle strutture private, ma con ogni onere a carico dell’interessato, poiché si tratterebbe di una scelta volontaria del cittadino, le conseguenze della quale lo Stato non è in alcun modo tenuto ad accollarsi. Consideriamo, ora, un insieme di presupposti di fatto solo parzialmente coincidente con quello sopra illustrato: ossia un soggetto che abbia esigenza di prestazioni mediche per tutelare la propria integrità psico fisica, ma per il quale tale esigenza sia talmente assorbente che, laddove non soddisfatta, ne deriverebbe un pregiudizio gr ave ed irreparabile. Questo, dunque, l’elemento dirompente: la necessità ed urgenza di provvedere all’erogazione della prestazione sanitaria, infatti, incide sugli elementi fattuali della fattispecie, la qu ale non può che modificarsi. L a situazione giuridica soggettiva deve individuarsi in relazione ad un interesse materiale che non è più quello – generico – di tutelare la propria integrità psico -fisica, bensì quello – assai più specifico – di evitare un irreparabile nocumento per la propria salute. Ed allora: diversi presupposti, diversa considerazione da parte del legislatore, diversa situazione giuridica soggettiva. Questo differente approccio al problema, in termini di teoria generale consente di tenere strutturalmente ben distinti il diritto sociale al le cure mediche dal diritto civile alla necessaria, urgente ed imprescindibile tutela dell’integrità psico -fisica; in termini pratici, conduce ad analoghi effetti, poiché l’integrazione della seconda fattispecie descritta consentirà al soggetto interessato di agire per conseguire una condanna della Pubblica Amministrazione all’erogazione del servizio sanitario o, laddove ciò non sia possibile per una deficienza del sistema sanitario nazionale, ad un risarcimento per equivalente, dato dal rimborso delle spes e sostenute dal cittadino presso una struttura privata. Del tutto condivisibile, dunque, appare la sentenza 22 luglio 2010, n. 269 169 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 comm a 2 l. 9 giugno 2009, n. 29 della regione Toscana ed infondata quella dell’artt. 2 comma 4 e 6 commi 11, 35, 43, 51, 55 lett. d) della medesima legge, sollevate in via principale con riferimento all’art. 117 comma 2 lett. a) e b) e comma 9 Cost. Per quanto qui interessa, la legge regionale estendeva anche agli stranieri privi di permesso di soggiorno il diritto a trattamenti medici urgenti ed indifferibili: la Consulta ha ritenuto che tale previsione non fosse lesiva del riparto di competenze fra Stato e re gione, proprio perché i trattamenti medici indifferibili sono parte del “nucleo irriducibile del 169 Corte cost. 22 luglio 2010, n. 269 in Giur. c ost. , 2010, ….. ss. 61 diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana”. Per quanto ambigui sia il riferimento alla dignità umana, di certo il giudice delle leggi ha inteso preservare una condizione minima dell’appartenenza stessa al consorzio sociale, ossia il fine di preservare la vita degli stessi consociati, anche oltre gli angusti limiti del tradizionale concetto di cittadinanza. Se la conclusione sopra illustrata può quanto meno argomentarsi in riferimento al diritto alle prestazioni mediche, è molto più dubbio che il medesimo schema logico-giuridico possa utilizzarsi anche per gli altri diritti sociali. Ad esempio, se possa sostener si che il diritto sociale alla casa d’abitazione, nel caso di un soggetto indigente che versi in condizioni di necessità improcrastinabile, si risolva in un diritto soggettivo di natura civile, con la conseguente legittimazione del titolare ad agire in giu dizio per ottenere la condanna del Pubblico Potere alla prestazione del relativo servizio o – per equivalente – al rimborso dei costi di locazione di una casa d’abitazione. La questione è particolarmente delicata in tema di diritto al lavoro. Nella ricostruzione che qui si propone, il disoccupato involontario avrebbe, infatti, il diritto di ottenere dallo Stato l’assegnazione di un posto di lavoro o, in caso di impossibilità, un indennizzo che rappresenti una forma di ristoro per equivalente. 170 Ciò, ovviamente, nell’esercizio del diritto costituzionale al lavoro, giusta applicazione dell’art. 4 della Costituzione, norma immediatamente precettiva. Non si ignora, però, che questa interpretazione estensiva delle conclusioni cui è legittimo giungere sul piano del diritto alla salute si fonda su un assunto opinabile. Lo stato di necessità ed urgenza, infatti, nel caso del diritto a trattamenti sanitari indispensabili è rappresentato da un pericolo attuale e concreto per l’integrità psico-fisica del titolare. Nel caso del diritto alla casa d’abitazione o del diritto al l avoro, deve ritenersi o che analogo stato sussista laddove la mancanza di una proiezione spaziale della personalità dell’uomo o di un impiego possano produrre un effetto pregiudizievole sulla medesima integrità, oppure che a tal fine sia idonea la possibilità di un nocumento anche nei confronti della dignità umana. Tesi, quest’ultima, che se da un lato trova indiretta conferma nella tutela della personalità dell’uomo sancita dall’art. 2 Cost. e, soprat tutto, nella garanzia della dignità formalizzata nel principio di eguaglianza, dall’altro induce una notevole incertezza giuridica, facendo leva su un concetto c.d. valvola che, per definizione, è suscettibile di polivalenti interpretazioni e, conseguentemente, suscita notevoli perplessità in ordine alla possibilità di collegarvi conseguenze precettive di siffatta ampiezza. 10. I livelli essenziali delle prestazioni inerenti i diritti civili e sociali: l’art. 117 comma 2 lett. m) Cost. In questo senso, espressamente, C. Mortati, Il diritto al lavoro nella Costituzione della Repubblica, Milano, Giuffrè, 1972 , 161 ss. 170 62 La tutela dei diritti civili e dei diritti sociali è ormai divenuta “multilivello” sia verso l’alto che verso il basso: lo Stato, infatti, è chiamato ad interagire con la normativa internazionale e comunitaria, ma anche con quella regionale, in omaggio al principio del decent ramento previsto dall’art. 5 Cost. Il nuovo riparto di competenze, prescritto dal novellato art. 117 Cost., attribuisce un ruolo significativo alle regioni, chiamate a relazionarsi con lo Stato nelle materie di competenza concorrente , ma anche in quelle di competenza esclusivamente statale, che pure costituiscono occasione di costante confronto e frequente contestazione sul piano della legalità costituzionale. E’ il caso della tutela della concorrenza, dell’ambiente e, per definizione, delle prestazioni oggetto di diritti civili e sociali che, ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. m) cost., devono essere garantite, quanto all’uniformità di sostanza, su tutto il territorio nazionale. Si tratta di materie c.d. trasversali 171 che dovrebbero costituisce strumento di riequilibrio di un sistema premiante delle autonomie locali, teso ad evitare eccessive torsioni del principio di eguaglianza e degenerazioni del foedus da virtuoso in perverso o competitivo. La compiuta interpretazione dell’ambito sostanziale di competen za tratteggiato dall’art. 117 comma 2 lett. m) è resa difficoltosa proprio dalla esplicita previsione normativa di categorie generali, quali quelle dei diritti civili e sociali, sino ad oggi relegate nella riflessione dottrinaria e, pertanto, di dubbia cla ssificazione. 172 I diritti (ed i doveri) costituzionali, sono disciplinati nella parte prima della Costituzione del 1948 (art. 13 -54 Cost.), la quale è suddivisa in quattro titoli: rapporti civili, rapporti etico -sociali, rapporti economici e rapporti politici. Con una corrispondenza non proprio perfetta, i diritti costituzionali sono stati suddivisi, sin dal dibattito in Assemblea Costituente, in civili, politici e ( c.d.) sociali. 173 Escludendo i diritti politici (ossia l’elettorato attivo e passivo, il diri tto di petizione, il diritto di accedere agli uffici pubblici, il diritto di iniziativa legislativa e quello di richiedere e partecipare a referendum) tutte le altre situazioni giuridiche soggettive costituzionalmente previste dovrebbero ricondursi ad una delle due categorie residue. Così, dunque, dovrebbero essere diritti civili i diritti di libertà (artt. 13 21, 33 e 41 Cost.), il diritto alla capacità giuridica, alla cittadinanza ed al Evid enzia la pr o gr e ssiva pe r d ita d i consistenza, nella giurisprud enza costituzionale, d ella e nucleazione d e lle mate r ie quale c r ite r io d i riparto d ella competenza legislativa F. Benelli, La “ smaterializzazione” delle materie, Giuffr è , Milano 2006. 172 L ’enigmaticità d e ll’ar t . 117 c omma 2 lett. m) è stigmatizzata d a A. D’Aloia, S torie “c ostituzionali” dei diritti soc iali , op. c it., 737 e c ond ivisa, nell’esame d ella giurisprud enza attuativa, d a C. Panzera, I liv elli essenziali delle prestaz ioni sec ondo i giudic i c omuni , in Giur. c ost. , 2011, 3371 ss.; Id . I liv elli essenziali delle prestaz ioni fra giurisprudenz a c ostituzionale e giurisprudenza amministrativ a , in F ed. F isc . , 2009, 133 ss. 173 I costituenti, me ntr e pote vano d ir si c onsapevoli che i d iritti civili e politici erano “qu ei d iritti d i libertà ed eguaglianza c he il fasc ismo aveva soprattutto mortificato e conculcato” (P. Calamand rei, La Costituzione e le leggi per attuarla , Milano, 2000, 49), maggiore incertezza avevano nella qualificazione d e i d ir itti soc iali, infatti apos trofati d allo stesso Calamand rei con la notazione “c osiddetti” , seguita d al r ife r ime nto bibliografico a G. Gurvitch, La dic hiarazione dei diritti soc iali , trad . it., Milano, 1949. 171 63 nome (art. 22 Cost.), il diritto di agire e difendersi in giudizio (a rt. 24 commi 1 e 2 Cost.), il diritto al giudice naturale precostituito per legge (art. 25 comma 1 Cost.), il diritto dei figli al mantenimento, all’istruzione ed all’educazione da parte dei genitori (art. 30 comma 1 Cost.), il diritto all’integrità psico-fisica, il diritto alle cure mediche indispensabili alla tutela di essa integrità e quello degli indigenti alle prestazioni sanitarie gratuite (art. 32 Cost.); il diritto del lavoratore alla retribuzione proporzionata e sufficiente (art. 36 Cost.); il diri tto al riposo settimanale ed alle ferie annuali retribuite (art. 36 comma 3 Cost.) e via enucleando. Dovrebbero, invece, essere diritti sociali, il diritto alle cure mediche fuori dalle ipotesi suddette (art. 32 Cost.), il diritto all’istruzione (artt. 33 e 34 Cost.), il diritto all’assistenza ed alla previdenza (art. 38 comma 1 Cost.) e via dicendo. Tralasciando i problemi di classificazione delle singole situazioni giuridiche soggettive, se si accoglie la suddetta nozione ‘ residuale’ ed omnicomprensiva di ‘diritti civili e sociali’, ne segue che ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. m) Cost. lo Stato manterrebbe potestà legislativa esclusiva con riguardo alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti” q uesto ancora indistinto grov iglio di diritti di libertà, diritti della personalità, diritti a prestazione positiva dal pubblico potere, diritti di autotutela (lo sciopero, art. 40 Cost.) 174, diritti della persona (si pensi alle situazioni giuridiche soggettive caratteristiche dell’istituzione familiare, a contenuto non patrimoniale ma non aventi la struttura dei diritti di libertà – non risolvendosi in un agere licere – né dei diritti assoluti della personalità) ed altri ancora. E’ necessario comprendere il senso e le giuridiche conseguenze della previsione di una simile competenza legislativa. Per le libertà civili, si potrebbe sostenere che la determinazione dei livelli essenziali attenga ai loro presupposti oggettivi o mezzi strumentali 175 (ossia, per esemplificare, i mezzi di diffusion e per la libera manifestazione del pensiero, le infrastrutture per le libertà di circolazione e di riunione) ma l’ipotesi non pare adeguatamente argomentabile. Ed infatti a) si creerebbe una evidente discrasia sul piano strutturale delle situazioni giuridiche soggettive: per il diritto sociale (es. alle cure mediche) la prestazione essenziale costituirebbe l’oggetto dell’obbligazione ex latere debitoris, attraverso il quale si tutela il bene della vita (es. la salute) a sua volta oggetto della disposizione, mentre per i diritti di libertà quella stessa prestazione essenziale dovrebbe costituire una sorta di condicio sine qua non dell’esercizio della situazione giuridica, in difetto della quale il diritto pur se esistente in astratto non è in concreto esercitabile per una sorta di impossibilità oggettiva; b) l’esistenza di Salvo ad esc lud e r e il d ir itto d i sc iope ro d alla categoria d ei d iritti civ ili (giacchè d i certo non è d iritto sociale ne l se nso d i d ir itto a pr estazione positiva d allo Stato o d agli enti locali), con la c onseguenza che , non e sse nd o e spr e ssamente previsto né d al comma 2 né d al comma 3 d ell’art. 117 Cost., lo stesso d ovr e bbe r ite n e r si r imesso alla potestà esclusiva d elle regioni. Ne d ovremmo d esumere la possibilità d i una d iffe r e nte d isciplina d el d iritto d i sciopero fra le d iverse regioni d ’Italia, ciò che c on ogni e vid e nza è inac cettabile con riferimento agli artt. 3 e 5 Cost., s alvo a voler sostenere (ma fr anc ame nte non se ne r ie sce ad intuire neanche una argomentazione) che le esigenze d ei lavoratori sotte se a que sto fond ame ntale strumento d i autotutela sono funzione d el territorio. 175 Cfr. A. Pace, Problematic a delle libertà c o stituzionali , Parte Generale, Pad ova, 2003, 326 ss. 174 64 quest’ultima condizione necessaria non è sostenibile per tutti i diritti di libertà: se, infatti, la manifestazione del pensiero pone (in taluni casi) un problema di accesso ai mezzi di diff usione, la libertà personale non presuppone alcuna prestazione essenziale all’autodeterminazione del titolare in relazione alla propria sfera fisica, così come la libertà di domicilio non presuppone alcunchè per l’esercizio dello ius admittendi e dello ius excludendi, né la comunicazione riservata implica specifici interventi dello Stato perché la stessa avvenga fra due soggetti determinati. Ancora, e con riferimento ai diritti di libertà, la formula potrebbe apparentemente acquisire un significato se rifer ita alla predisposizione di un apparato di pubblica sicurezza e giudiziario idoneo ad approntare una tutela concreta in caso di violazione, ma si tratterebbe in realtà di un evidente olismo, oltre al fatto che si verrebbe così a determinare uno stridente contrasto con l’art. 117 comma 2 lett. d), f), g), h) ed l), ove dette materie (sicurezza dello Stato, organi ed ordinamento amministrativo dello Stato, ordine pubblico e sicurezza, giurisdizione e norme processuali) sono rimesse alla potestà esclusiva dell o Stato integralmente, non già con riguardo alle sole prestazioni essenziali. Il paradosso dell’art. 117 comma 2 lett. m) Cost. diviene ancor più evidente con riguardo agli altri diritti civili, diversi dai diritti di libertà: non si comprende, infatti, quale senso potrebbe avere una legislazione “minima essenziale” in tema di diritto al nome o alla cittadinanza 176, od ancora in tema di diritto del minore all’educazione, all’istruzione ed al mantenimento o vieppiù con riguardo al diritto di agire e resistere in giudizio, od al riposo settimanale ed alle ferie retribuite . In sostanza, così interpretata, la disposizione in esame diviene priva di qualsiasi senso giuridico e determina delle insanabili antinomie già al proprio interno, nell’ambito delle materie ogg etto di potestà esclusiva dello Stato. Ancora, si presta ad una applicazione pregiudizievole nei confronti dei cittadini, poiché legittima il pubblico potere ad abbassare indiscriminatamente la soglia di tutela delle situazioni giuridiche soggettive attive, determinando non solo (come già accade) il quantum ragionevole e possibile di prestazioni sociali erogande in ragione delle risorse disponibili, ma addirittura la quantità di manifestazione del pensiero, di associazione, di riunione, di fede religiosa ch e deve comunque essere garantita a livello nazionale, lasciando il residuo alla possibile (ma non obbligatoria) disciplina da parte degli enti locali. Il riferimento ai diritti civili e sociali, pertanto, sconta oggi il grado di approssimazione ed ambiguità concettuale denunciato sin dall’Assemblea Costituente ed impone un nuovo sforzo ermeneutico di “sistemazione” dei diritti costituzionali. La connessione fra prestazioni essenziali a carico dello Stato apparato e diritti civili può avere un senso se quest ’ultimo sintagma si legge alla luce non già della tradizione giuridica europea, bensì di quella americana, Per altro anc he tali mate r ie r ie ntr ano nella potestà esclusiva d ello Stato ai sensi d ell’art. 117 c omma 2 lett. i, se nza alc una d istinzione (che infatti non avrebbe senso) fra livelli essenziali e non e ssenziali. 176 65 nella quale i civil rights altro non sono se non i diritti al pari trattamento. 177 In questa più restrittiva accezione, l’intervento pubblico (sia legislativo ex art. 117 Cost. che amministrativo) acquista un senso evidente, giacchè diviene attuativo del principio di eguaglianza sostanziale per come espresso nell’art. 3 comma 2 Cost. e – con ogni conseguente perplessità di ordine sistematico – nel novellato art. 117 comma 7 Cost. In sostanza, assoggettare la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili alla potestà legislativa esclusiva dello Stato equivarrebbe a riconoscere la necessità di una normazione, uniforme a livello nazionale, di garanzia delle pari opportunità e, dunque, del principio di eguaglianza formale. Il che, però, offre all’interprete un ulteriore problema di coordinamento: se questo è il significato del riferimento ai diritti civili, ne deriva che in una disposizione che organizza un riparto di competenze per materie 178 esiste in realtà una norma trasversale, che esse materie tutte considera dal punto di vista degli “interessi essenziali”: ciò perché il pari trattamento può operare con riguardo alle cariche elettive, all’accesso ai pubblici uffici, all’urbanistica, al governo del territorio, al lavoro ed alle professioni e via discorrendo. Ciascuna di queste materie, però, è autonomamente considerata nell’ambito dell’art. 117 Cost. e resa oggetto di potestà esclusiva dello Stato ex comma 2 o delle Regioni ex comma 4, od ancora di potestà concorrente ex comma 3. Il quadro normativo è, dunque, molto complesso ed infatti ha dato vita ad un vivace contenzioso di costituzionalità, indotto da così stridenti antinomie. 179 Non minori i problemi determinati dal riferimento alla categoria dei diritti sociali che attraverso la nuova lettera dell’art. 117 Cost. assume piena e positiva dignità costituzionale. 180 Il che impone all’interprete di inferire contenuti dal nuo vo sintagma espressamente formalizzato , poiché la natura di diritto sociale appare rilevante ai fini del riparto di competenza nell’esercizio della funzione legislativa. In tema, per una d isamina d e lle pr onunce d ella Suprema Corte d egli Stati Uniti sul Civ il Rights Ac t d el 1875, sin d ai pr imi c asi d e l 1883 (nei quali era stata oggetto d i valutazione la c ostituzionalità d e l me d e simo Civ il Right Ac t con riguard o al tred icesimo ed al quattord icesimo e mend amento, in c asi d i d isc r iminazione razziale nell’accesso ad hotels e teatri), v. J. E. Nowak e R. D. Rotund a, Costitutional law , St. Paul (Minn.), 1991, 918 ss. In tema, se si vuole, L . Principato, I diritti c osti tuzionali e l’assetto delle fonti dopo la riforma dell’art. 117 della Costituzione , in Giur. c ost. , 2002, 1169 ss. 178 Per questo e le me nto d i r igid ità, d e te r minato d al privilegiare un riparto per materie rispetto ad uno fond ato sugli inte r e ssi d e i c ittad ini, la novella è stata oggetto d i vivaci critiche, per le quali si r invia ad A. Rugge r i e P. Nic osia, V erso quale regionalismo? ( Note sparse al progetto di rev isione c ostituzionale approv ato, in prima lettura, dalle Camere nei mesi di settembre - ottobre 2000) , in Rass. parl. , 2001, 98 ss. 177 179 Fino ad oggi la Costituzione , pur fac e nd o riferimento a concetti come la d ignità sociale o le pari c ond izioni sociali (ar t. 3 Cost.) o l’utilità sociale (artt. 41 e 42 Cost.), non preved eva espressamente la categoria d ei d ir itti soc iali, d i inc e r ta e laborazione in d ottrina. 180 66 Ciò posto, se si confrontano le classificazioni operate da Giannini 181, Astuti e Mortati in sede costituente – da un lato – e la posizione assunta da una parte della dottrina successiva 182 – dall’altro ed a titolo meramente esemplificativo – si scopre inesorabilmente che i medesimi diritti ora vengono qualificati come sociali, ora come civili, ora con ulteriori e differenti formulazioni. Lo stesso diritto alla salute, sub specie di diritto all’integrità psico -fisica, ed addirittura il diritto d’azione e di difesa vengono talvolta qualificati come diritti sociali 183, con la conseguenza che non è d ato comprendere come debba concretamente operare il riparto di competenza di cui all’art. 117 Cost. Ancora, se il diritto alla retribuzione sufficiente e proporzionata è diritto sociale incondizionato 184, occorre chiedersi se, in quanto tale, verrà qualificato e disciplinato a) nel suo contenuto essenziale da una legge statale approvata ex art. 117 comma 2 lett. m Cost. la quale abbia dunque contenuto di dettaglio (dovendo in specie indicare il quantum di retribuzione minima comunque garantita) 185, oppure b) attraverso una normativa generale di principio (che magari faccia riferimento in subiecta materia ai contratti collettivi di lavoro) e da una disciplina regionale subordinata (sempre salvo il principio di sussidiarietà orizzontale), essendo la materia della tutela del lavoro rimessa alla potestà legislativa concorrente. Di certo non è questa la sede per una compiuta ed esaustiva classificazione delle singole situazioni giuridiche soggettive con riguardo alla categoria dei diritti sociali, la quale rischia p er altro di scontrarsi con una oggettiva impossibilità di determinazione di un insieme unitario, connotato da caratteristiche universalmente valide. 186 L’individuazione di un elemento discriminante diviene però essenziale sul piano concreto, per comprendere quando possano dirsi integrati i presupposti d’applicabilità dell’art. 117 comma 2 lett. m) Cost. Tale elemento discretivo può e deve cogliersi sotto il profilo strutturale: in tanto ha senso parlare di livelli essenziali di prestazioni da parte dello Il quale per altr o, ne lla pr opr ia r e lazione, non omise d i evid enziare come la qualificazione “soc iale ” d i alc uni d ir itti c ostituzionali fosse inc ongrua ed artific iosa . Sul tema, v. B. Pezzini, La dec i sione sui diritti soc iali. Indagine sulla struttura c ostituzionale dei diritti soc iali , Milano, 2001, 97 ss. 182 Si confronti, ad e se mpio, la r e lazione introd uttiva ai lavori d ella I sottocommissione d i Giannini, d al titolo “ I rapporti fra S tato e c ittadini attinenti all’eguaglianza ed alla solidarietà soc iale ”, con quanto teorizzato d a G. Cor so, I diritti soc iali nella Costituzione italiana , in Riv . trim. dir. pubbl. , 1981, 755; M. L uciani, S ui diritti soc iali , in La tutela dei diritti fondamentali dav anti a lle Corti c ostituzionali , a cura d i R. Romboli. Torino, 1994, 79 ss.; A. Bald assarre, D iritti soc iali , in Enc . giur. , XI, Roma, 1989; M. Mazziotti Di Ce lso, D iritti soc iali , in Enc . dir. , XII, Milano, 1964; A. Pace, Problematic a , cit.; P. Caretti, I diritt i fondamentali. Libertà e diritti soc iali , Torino, 2002, 371 ss. Nell’analisi comparativa si scoprirà agevolme nte c he le me d e sime situazioni giurid iche soggettive solo d a alcuni vengono qualificate come d ir itti soc iali e solo in taluni casi sono inc ondizio nate. 183 In questo senso B. Pe zzini, La dec isione sui diritti soc iali , cit., 126. 184 A. Bald assarr e , D iritti soc iali , op. c it. 185 Con ogni intuibile pr oble ma d i c oor d inamento giud iziale con i contratti collettivi d i lavoro, per c ome attualmente e siste nti. 186 L ’esistenza d i “insupe r abili d iffic oltà classificatorie” con riguard o ai d iritti sociali è riconosciuta d a A. Pace, Problematic a , c it., 160 nota 191. Nel senso d ella impossibilità d i argomentare una c ategoria unitar ia C. Salazar , D al ric onosc imento alla gar anzia dei diritti soc iali. Orientamenti e tec nic he dec isorie della Corte c ostituz ionale a c onfronto , Torino, 2000, 15 ss. 181 67 Stato (o di enti pubblici) in quanto la situazione giuridica del cittadino da un lato abbia carattere relativo e veda nel pubblico apparato il soggetto debitore (genericamente) di solidarietà sociale 187; dall’altro possa (rectius, a questo punto, debba) essere graduata distinguendone un contenuto essenziale ed un contenuto, per così dire, facoltativo. Saranno, dunque, diritti sociali ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. m) Cost. i diritti a prestazione positiva da parte dello Stato o degli enti pubblici i quali, (forse anche in passato, ma di certo) per effetto della intervenuta modifica della Costituzione, devono oggi differenziarsi sotto il profilo strutturale: quanto ad un nucleo essenziale, l’art. 117 introduce un elemento di doverosità (“devono essere garant iti su tutto il territorio nazionale”) il quale lascia intendere che, pur nel decentramento (pseudo)federale dello Stato unitario, quest’ultimo non può rinunciare a garantire ai cittadini condizioni minime essenziali per il dignitoso sviluppo della persona lità; quanto ad una ulteriore quota parte, ossia ad ulteriori facoltà e poteri del medesimo diritto, la Costituzione lascia ampia discrezionalità ora allo Stato (art. 117 comma 2 lett. o), previdenza sociale), ora alle regioni (art. 117 comma 3, sicurezza del lavoro, istruzione, professioni, salute) in esercizio di potestà concorrente (ed in entrambi i casi fermo restando il principio della sussidiarietà verticale) di approntare la disciplina ritenuta più idonea, compatibilmente con le risorse disponibili, a garantire un più evoluto grado di tutela della persona, anche oltre i bisogni essenziali. Ciò, ovviamente, sempre con riserva di controllo della ragionevolezza ( rectius, razionalità) delle scelte compiute. Va da sé che una siffatta dicotomia postula una costruzione a gradi dei diritti a prestazione positiva, l’attuazione dei quali diviene indice e funzione del livello di sviluppo (di ciascuna regione e, dunque) dello Stato. L’interprete, però, non deve in alcun modo cedere alle lusinghe del “contenuto minimo” dei diritti: la formalizzazione positiva di un diritto (quale ne sia la struttura o la fonte di cognizione) determina una legittimazione all’esercizio in capo al titolare, un obbligo di protezione per la Repubblica ed una o più obbligazioni (di conten uto più o meno dettagliato) in capo ad uno o più destinatari (anche indeterminati, ciò che dipende dalla struttura in concreto della situazione giuridica medesima). Sostenere che alcune facoltà o poteri sono assolutamente imprescindibili per la giuridica esistenza ed il concreto esercizio di una situazione soggettiva deve servire ad ulteriormente garantire il diritto medesimo, stigmatizzando i casi di più evidente violazione per rendere più immediata ed energica la sanzione dell’ordinamento. Non già ad Ciò d eve soste ne r si c on r ise r va d i inte rpretare la formula d ella d overosa ed uniforme garanzia sul territorio nazionale d e i live lli e sse nziali d i prestazioni concernenti i d iritti sociali alla luc e d el principio d i sussid iar ie tà or izzontale e d ella immed iata efficacia fra privati d elle d isposizioni c ostituzionali. Potr e bbe , infatti, soste ne r si che se le prestazioni in oggetto d evono es sere erogate d allo Stato, d alle Re gioni, d agli altr i e nti locali o d ai privati in base al principio d i sussid iarietà, i primi d estinatar i d e lla d isc iplina ad ottata ex art. 117 comma 2 lett. m) Cost. sono proprio i cittad ini e , solo lad d ove que sti in e se r c i zio d i autonomia non riescano a far fronte alla d omand a d i solid arietà, gli e nti te r r itor iali minor i o lo Stato, in applicazione d ei principi d i d ecentramento e leale cooperazione . 187 68 individuare la soglia oltre la quale il pubblico potere è collocato in un’area di irresponsabilità. Con questa precisazione, in tema di diritti sociali l’art. 117 comma 2 lett. m) Cost. lascia intendere che la mancata attuazione della Costituzione, ossia la c.d. omissione legislativa, incide diversamente sulla sfera giuridica del cittadino a seconda che sia relativa alla determinazione (ed erogazione) dei livelli essenziali di protezione sociale o di quelli ulteriori (ma necessariamente superiori) che le regioni siano in grado di prevedere. Infatti, se l’essenzialità s’intende nel senso che la mancanza di essi si traduce in una condizione di pregiudizio grave ed irreparabile per la persona, allora la proposizione normativa potrebbe avere il senso di costituire uno specifico obbligo a carico dello Stato ed avente ad oggetto la determinazione (e l’erogazione, come si vedrà tra breve) di quelle prestazioni assolutamente necessarie per la tutela stessa dell’integrità psico-fisica (rectius, del libero e dignitoso svol gimento della personalità umana) dei soggetti creditori di solidarietà sociale, i quali dovrebbero ritenersi titolari di un diritto soggettivo perfetto ed immediatamente azionabile contro lo Stato medesimo, pur se in difetto di qualsiasi interpositio legislatoris. 188 In ogni caso, la carenza dell’attuazione legislativa lascerebbe aperta la possibilità sia di un intervento addit ivo della Corte costituzionale, anche solo di principio, sia di una compiuta riflessione sulla responsabilità giuridica dello Stato per mancata attuazione dei diritti sociali. Certo che la Corte costituzionale, già oltre dieci anni prima della l. cost. 3 del 2001, non aveva mancato di affermare che qualsiasi diritto della persona fosse “stringente ed infrazionabile”, da garantire unifor memente su tutto il territorio nazionale, con partecipazione collaborativa del le Regioni e degli enti minori . In particolare, nella sentenza n. 406 del 1992 189 un modello di regionalismo (più che federalismo) cooperativo veniva stimato utile e funzionale all a tutela degli interessi tutti sottesi alla condizione giuridica dei portatori di handicap. Il che si traduceva, sul piano giuridico, in un processo logico di determinazione della situazione giuridica soggettiva garantita, d’individuazione dei più idonei s trumenti di tutela e di concretamento di essa protezione. Sia consentito un ulte r ior e r invio al nostro I diritti soc iali nel quadr o dei diritti fondamentali , in Giur. c ost. , 2001, 873 ss. Ce r to, non si ignor a che alla tesi esposta nel testo sarebbe agevole obiettar e che se il legislatore non d isc iplina la spe c ifica materia (ad es., le cure med iche o l’istruzione), non è possibile co mpr e nd e r e quali siano le pr e stazioni essenziali per la tutela d ella salute psico -fisica d el soggetto, sicchè l’ipote tic o r appor to giur id ico fra il cittad ino e lo Stato sarebbe incompleto, poiché la postulata pre te sa c r e d itor ia, pur e sse nd one d eterminati i soggetti, avrebbe oggetto ind eterminato e pertanto sare bbe inazionabile . Inve r o, una simile obiezione è però d estinata a cad ere sul più c oncreto piano d e lla tute la giur isd izionale, lad d ove necessariamente la questione d eve trovare una soluzione d i or d ine p r obator io: infatti, la d ed uzione d ella necessità (e magari d ell’urgenza, se l’azione d ovesse ave r e natur a c aute lar e ) d i una d eterminata prestazione al fine d i preservare la sud d etta integr ità fisic a d ovr à ac quisir e evid enza processuale attraverso un compiu to ad empimento d ell’onere probator io, c on r iguar d o sia al tipo ed alla misura d ella invocata prestazione, sia al nesso funzionale con la pr ospe ttata e sige nza d i tutela. Ed allora è proprio la sed e processuale che d a un lato consente e d all’altr o pr e te nd e q ue lla specificazione d ell’oggetto d ell’obbligazione d i solid arietà sociale che si è assunta ne c e ssar ia pe r la perfezione d ella situazione giurid ica soggettiva. 189 In Giur. c ost. , 1992, 3491. 188 69 Quando si introduce in questo schema l’infelice nozione di livelli essenziali, alla qualificazione della situazione soggettiva si corre il rischio che segua l’individuazione del suo nucleo di facolt à e poteri più rilevante, con la conseguenza che la concreta tutela un tempo invocabile e conseguibile per uno specifico diritto, protetto in tutte le sue più varie articolazioni contenutistiche, venga ad essere limitata soltanto ad uno specifico contenuto. Il che significa, senza troppi equivoci, postulare come principio la necessità di provvedere ad una compressione o riduzione delle situazioni giuridiche soggettive per come di contro oggi esistenti. In ogni caso, la Corte costituzionale ha mostrato di ad erire ad una lettura precettiva dell’art. 117 comma 2 lett. m) Cost., attraendo nell’area della competenza legislativa statale non solo la astratta determinazione normativa delle prestazioni essenziali concernenti i diritti civili e sociali, ma anche la loro concreta erogazione in favore dei cittadini. Nella sentenza 15 gennaio 2010, n. 10 190 la Consulta – per quanto qui interessa – ha rigettato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 81 commi 29, 30, 32-38 d. l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. con modifiche nella l. 6 agosto 2008, n. 133, sollevata con riferimento agli artt. 117 commi 4 e 6, 118 commi 1 e 2 e 119 Cost. La legge istitutiva del servizio della c.d. social card, ossia di un fondo teso a tutelare le esigenze alimentari, energetiche e sa nitarie dei cittadini meno abbienti, viene assolta dal dubbio di legittimità costituzionale, prospettato con riguardo alla violazione della competenza regionale in tema di servizi sociali ed assistenza. La Corte costituzionale non nega che la previsione normativa di un fondo teso a tutelare i cittadini in condizioni di estremo bisogno sia rimessa alla competenza residuale regionale, ma afferma altresì che le straordinarie condizioni economiche sussistenti al tempo dell’approvazione della disciplina sottopos ta allo scrutinio di costituzionalità legittimano l’attrazione alla competenza statale non solo della determinazione dei livelli essenziali, ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. m) Cost., ma anche della concreta erogazione delle prestazioni in favore dei d estinatari. 191 Corte cost. 15 ge nnaio 2010, n. 10 in Giur. c ost. , 2010, 135 ss. con note d i A. Anzon Demmig , Potestà legislativ a residuale e liv elli essenz iali delle prestazioni , la quale ritiene che la formula d ei livelli e ssenziali venga pie gata ad un uso pretestuoso sia d a parte d el legislatore che d ella Consulta, volto e sclusivam ente a r e str inge r e gli ambiti d i competenza regionale; E. L ongo, I diritti soc iali al tempo della c risi. La Consulta salv a la soc ial c ar d e ne ric av a un nuov o titolo di c ompetenza ; F. Saitto, Quando l’esigenza di tutela della dignità fonda, nell’emergenza ec onomic a, la c ompetenza statale . Critica la d ecisione C. Panzera, I liv elli essenz iali , op. c it., 3378 s., osservand o che le ind icazioni costituzionali sono nel senso d i riconosc e r e titolato all’e r ogazione il livello d i governo più vicino ai cittad ini ex art. 118 Cost. e d i negar e la possibilità d i vinc oli d i d estinazione al finanziamento d ei livelli essenziali d elle prestazioni ex ar t. 119 c omma 4 Cost. 191 Ciò, nonostante il te nor e le tte r ale d e lla d isposizione, nel riferimento all’attività d i determinazio ne, lasciasse chiarame nte inte nd e r e c he un intervento statale sul piano d ella concreta erogazione d ei servizi fosse possibile solo in c hiave sostitutiva ex art. 120 Cost. o, second o una autorevole r icostruzione, attr ave r so l’istituto d e lla c hiamata in sus sid iarietà, second o la traccia d ella sentenza n. 313 d el 2003 d e lla Cor te c ostituzionale (in questo senso, A. Anzon Demming, Potestà legislativ a , op. cit., 162 s., pur se pr oble matic ame nte ). 190 70 La Consulta tratteggia, dunque, un confine assai duttile sul piano delle competenze, accordando primario rilievo al profilo della tutela concreta dei diritti, rispetto a quello dei rapporti fra fondi del diritto. V’è continuità rispetto all’or ientamento descritto in tema di garanzia della salute, giacchè il concorrere di straordinarie circostanze, tali da costituire potenziale pericolo di grave ed irreparabile danno per la persona, reagisce sulla concreta costruzione della fattispecie normativa , sia essa attinente al sistema delle fonti od al catalogo dei diritti (non solo) costituzionali. L’esigenza cautelare legittima una visione dinamica e reattiva dell’ordinamento, in cui il bene primario meritevole di tutela diviene la garanzia dello stesso diritto alla vita dei consociati. In questo approccio estremamente pragmatico la Corte costituzionale non nasconde le problematiche implicazioni sul piano dei rapporti istituzionali non solo normativi, bensì anche amministrativi: la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni operata a livello statuale, infatti, produce immediato effetto sul piano della finanza locale, atteso che gli oneri relativi gravano sul bilancio regionale, in un momento in cui l’attuazione del novellato art. 119 Cost. è ancora avvolta in una nebbia di ambiguità. La Consulta ha infatti riconosciuto che “la fissazione da parte dello Stato dei livelli essenziali […] non è in ogni caso priva di conseguenze sulla finanza regionale, giacchè l’obbligo di dare attuazione alle prescrizioni normative statali sui livelli minimi implica la necessità che le singole Regioni provvedano a stanziare le somme necessarie, traendo risorse dai propri bilanci, subendo così le conseguenze di scelte unilaterali dello Stato”. 192 In tal modo, il giudice delle leggi ha mostrato di risolvere l’annoso conflitto fra “costituzione dei diritti” e “costituzione dei poteri” 193, senza offrire una gerarchia predeterminata ed immodificabile dei beni costituzionali versati in potenziale con trasto. La decisione politica sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (il determinare normativo), l’esecuzione amministrativa di essa decisione (il concreto erogare), nonchè l’individuazione delle risorse da Corte cost. 26 mar zo 2010 n. 121 , in Giur. c ost. , 2010, 1358 ss ., nella quale – per quanto qui interessa – viene r ige ttata la que stione d i legittimità costituzionale d i una norma statale istitutiva d i un fond o d a d e stinar si all’e r ogazione d e l cred ito per l’acquisto d ella prima casa in favore d i coppie giovani e famigl ie monoge nitor iali c on figli minori, sollevata con riferimento alla lesione d ella c ompetenza legislativa r e gionale . L a Consulta si avved e d ella esigenza d i comporre in equilibrio la tutela d ell’autonomia r e gionale d a un lato e la protezione d ei d iritti cos tituzionali d all’altro, giungend o alla c onc lusione c he la le gislazione statale, pur se in materia d i competenza regionale, non contrasta c on l’ar t. 117 Cost. poiché preved e “una proced ura d i cogestione d el Fond o e salvaguard a le politic he abitative r e giona li”, anche se tale bilanciamento “è il portato temporaneo d ella perd urante inattuazione d e ll’ar t. 119 Cost. e d i imperiose necessità sociali, ind otte anche d alla attuale grave c r isi e c onomic a nazionale ed internazionale”, ossia d i circostanze che giustific ano hic et nunc le leggi statali d i tute la d e i d ir itti limitative d ella competenza regionale. 193 Second o la for mula pr oposta d a M. L uciani, La “c ostituzione dei diritti” e “la c ostituzione dei poteri”. Noterelle brev i su un metodo interpretativ o ric orre nte, in S c ritti in onore di V ezio Crisafulli , Ced am, Pad ova 1985, II, 497 ss. L o sc ontr o istituzionale fra Stato e Regioni, infatti, si pone sia sul piano legislativo, in punto d i d e te r minazione d ei livelli essenziali d elle prestazioni, sia su quello organizzativo d e ll’e r ogazione d e lla pr e stazione, lad d ove più ampia è la potestà d ell’ente locale. 192 71 destinare al perseguimento dei fini così stabili ti e perseguiti, costituiscono i diversi livelli che occorre combinare in punto di competenza e che comunque vengono a comporsi con la c.d. riserva del ragionevole e del possibile, il cui pratico operare è reso ancor più intricato dalla combinazione di str uttura economica e finanziaria statale e regionale. La garanzia dei livelli essenziali si valuta alla luce delle risorse disponibili, allocate nel bilancio statale e regionale : l’evoluzione giurisprudenziale ha complicato un sistema in apparenza binario, consentendo allo Stato di intervenire in astratto (previsione normativa) ed in concreto (erogazione) anche in materia di competenza regionale e, dunque, con oneri a carico degli enti locali ma senza scienza alcuna dell’effettiva loro consistenza finanziaria . Il che rende ancor più imprescindibile una compiuta attuazione del federalismo fiscale, secondo le linee già tracciate nella l. 5 maggio 2009, n. 42. 11. Dal principio di legalità al principio di efficienza nell’intervento pubblico nell’economia. L’ erompere delle Autorità amministrative indipendenti. Il rapporto fra Stato e mercato ha vissuto differenti stagioni, a far data dall’unità d’Italia sino ai nostri giorni. E’ stato autorevolmente sostenuto 194 che in tale complessa evoluzione dell’equilibrio fra d iritto ed economia possa individuarsi una soluzione di continuità negli anni ‘80 del ventesimo secolo, in coincidenza con l’affermazione della globalizzazione dell’economia e della crisi finanziaria dello Stato. Nel vigore di quella che è stata definita la “vecchia” Costituzione economica, sarebbero altresì individuabili quattro differenti stagioni: a) quella dello Stato liberista, dal 1861 sino alla fini del secolo; b) quella della prima industrializzazione, sino agli ’20 del ventesimo secolo; c) quella dello Stato imprenditore e pianificatore, sino alla metà del secolo XX e d) quella dello Stato sociale, sino alla fine degli anni ’70. Si sono già espresse notevoli riserve sull’effettiva rilevanza giuridica del sintagma “Costituzione economica” ed, in effetti, la stessa distinzione fra una vecchia ed una nuova Costituzione economica, vieppiù a Costituzione invariata, assume piuttosto un rilievo descrittivo di un processo che, nella sostanza, ha tradotto in formule assai variegate la relazione fra Stato ed impresa o, più genericamente, fra Stato ed economia. Il periodo liberista, successivo alla creazione dello Stato unitario, è stato caratterizzato dalla formazione di un mercato unico, realizzata attraverso le grandi opere di codificazione del 1865 anche se a discapito delle profonde differenze sin da allora esistenti fra l’Italia dei Savoia, lo Stato pontificio ed il Regno delle due Sicilie. Il mercato nazionale, protetto verso l’esterno attraverso la previsione di dazi doganali, viene sviluppato attraverso l e privatizzazioni, ossia l’alienazione di beni demaniali e del c.d. Asse ecclesiastico; l’assenza di 194 S. Cassese, La nuov a Costituz ione ec onomic a , L aterza, Bari 2011, 7 ss. 72 un compiuto governo dell’economia e, soprattutto, l’idea della piena autonomia dell’attività economica rispetto allo Stato , coerente con i principi del liberismo. L’inizio del ventesimo secolo è segnato da un progressivo sfaldamento della originaria rigidità liberale, nonché dell’impostazione unitaria sul piano delle legislazione, che traeva origine dalla strumentalità del principio di eguaglianza formale ri spetto alla costruzione sistematica del pensiero politico postrivoluzionario. Insieme ai primi interventi normativi, dettati dall’esigenza di fronteggiare situazioni di peculiare gravità (è il caso della legge speciale per il risanamento della città di Nap oli), si ha la creazione delle Ferrovie dello Stato, azienda pubblica per la gestione del servizio di trasporto ferroviario, nonché i connessi ed ingenti investimenti pubblici tesi alla realizzazione della relativa rete infrastrutturale. Del resto, nella realtà italiana a cavaliere fra il diciannovesimo ed il ventesimo secolo, la stessa realizzazione dello Stato unitario non poteva prescindere da ingenti investimenti pubblici miranti a consentire l’evoluzione dell’economia essenzialmente agricola in senso c oerente con la rivoluzione industriale in atto. L’istituzione, sempre in epoca giolittiana, dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni e della Banca Nazionale del lavoro, è esemplificativa di un sempre crescente interventismo statale nell’economia: prende ad affermarsi un’idea di Stato imprenditore, nella convenzione che la sostituzione del soggetto pubblico alla pluralità dei soggetti privati sino ad allora esercenti l’attività d’impresa, potesse garantire da un lato maggiore efficienza e, dall’altro, una migliore cura dell’interesse pubblico sotteso ai relativi settori dell’economia. Del resto, come si è avuto modo di evidenziare, è proprio agli inizi del secolo scorso che prende avvio la realizzazione di un sistema di sicurezza sociale, nel passaggio dal principio della mutualità a quello solidaristico, passando attraverso l’esperienza delle assicurazioni obbligatorie. La logica evoluzione di tale processo è caratterizzata dallo sviluppo dell’istituto della riserva originaria di cui all’art. 43 Cost.: il trasporto marittimo, quello aereo ed il servizio di telefonia vengono acquisiti alla mano pubblica ed, al contempo, si sviluppa l’utilizzo dell’autorizzazione per l’esercizio di attività in settori particolarmente sensibili (assicurativo, creditizio), al fine di consentire un più penetrante controllo pubblico sull’attività privata. Soprattutto, si afferma un’impronta dirigistica dello Stato nella legislazione vincolistica: la legge urbanistica del 17 agosto 1942, n. 1150 così come l’ordinamento sezionale de l credito del 1936. Lo Stato non assume, per altro, solo la veste di regolatore bensì anche quella di esercente l’attività economica anche attraverso la costituzione di numerosi enti pubblici – in capo ai quali spesso si sommavano i poteri di regolazione in uno a quelli di esercizio diretto dell’attività – e di società per azioni a partecipazione pubblica, che hanno una larga diffusione a seguito della costituzione dell’Istituto per la Ricostruzione industriale (IRI). Esso viene istituito per prestare solu zione alle imprese in crisi ma, avendo rilevato dalle principale banche italiane (Banca commerciale 73 italiana, Credito italiano e Banca di Roma) i pacchetti di controllo di alcune fra le maggiori industrie del Paese (si pensi all’industria siderurgica od al trasporto marittimo), l’IRI diviene in concreto lo strumento attraverso il quale lo Stato partecipa le strutture societarie delle imprese nazionali, al contempo sostenendole finanziariamente e condizionandone a vario titolo l’operato economico. Anche nel periodo dello Stato sociale la pubblicizzazione dell’attività economica ha ulteriore e significativo impulso: viene costituito l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) e si prende progressivamente coscienza che la massiccia presenza pubblica nell’attività econom ica implica al creazione di strutture gestorie e direzionali che assicurino efficienza e garantiscano il rispetto del principio di responsabilità. Con la l. 22 dicembre 1956 n. 1589 viene dunque istituito il Ministero delle partecipazioni pubbliche e, conseguentemente, il sistema viene costruito attribuendo allo Stato (per il tramite del Ministero) il controllo sugli enti di gestione (IRI, ENI ed altri) ed a questi ultimi la titolarità delle partecipazioni nelle società esercenti l’attività imprenditoriale. Ulteriori settori economici, inoltre, ve ngono acquisiti alla mano pubblica siccome ritenuti strategici: è il caso dell’industria elettrica, che div iene oggetto di proprietà e gestione pubblica attraverso l’espropriazione delle imprese elettriche private – eseguita dietro corresponsione di indennizzo – e la costituzione di un apposito Ente pubblico economico, l’ENEL, cui viene riservato ex art. 43 Cost. l’esercizio della relativa attività economica. L’intervento pubblico nell’economia viene altresì realizz ato sotto due differenti profili: da un alto attraverso il finanziamento dell’attività privata, operato con interventi a fondo perduto, con agevolazioni nella determinazione di tassi di interesse di vantaggio o attraverso la prestazione di garanzie per l’o ttenimento di finanziamenti; dall’altro si accentua l’attività di pianificazione economica, ai sensi dell’art. 41 comma 3 Cost., anche attraverso l’istituzione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) e l’attribuzione delle competenze di indirizzo e coordinamento al Ministero del bilancio e della programmazione economica. Da ultimo, si assiste all’attuazione del principio di eguaglianza sostanziale ex art. 3 comma 2 Cost., attraverso lo sviluppo delle istituzioni c.d. del welfare: l’istruzione obbligatoria, il sistema sanitario nazionale, la previdenza sociale (non più connessa alla contribuzione ed a sostegno anche dei cittadini non lavoratori e privi di reddito) sono le strutture portanti dello Stato sociale di diritto che, com e si è avuto modo di vedere, si afferma a partire dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. In conclusione, l’intervento dello Stato nell’economia può realizzarsi attraverso l’esercizio dell’attività d’impresa, operato direttamente da un organo dello Stato, ovvero da un ente pubblico che può esercitare direttamente l’attività (ente pubblico economico) ovvero detenere partecipazioni in soggetti privati di esercizio (ente pubblico di gestione); ancora da società a partecipazione pubblica, necess aria (le partecipazioni 74 non possono essere liberamente cedute sul mercato) o facoltativa, totalitaria o mista (in uno al capitale privato). L’intervento può altresì esplicitarsi in atti di regolazione dei settori economici, che si sostanziano in norme vinc olanti (autorizzazioni, divieti, atti di indirizzo) oppure meramente incentivanti o disincentivanti (si pensi alla normativa fiscale). 11.1 La crisi dello Stato-imprenditore e l’erompere delle Autorità amministrative indipendenti. L’interventismo statale nell’economia, sotto forma sia di esercizio diretto o mediato di attività d’impresa che di programmazione politica del mercato, ha sortito risultati deludenti. Le aziende esercitate dalla mano pubblica non hanno conseguito, infatti, gli auspicati risultati di efficienza. La stessa idea di ricondurre nell’alveo dell’indirizzo politico anche le decisioni fondamentali in materia economica si è scontrata con una realtà, quella del mercato, governata da regole aliene rispetto a quelle sottese alla determinazione normativa della pacifica convivenza sociale. Si è progressivamente radicata la convinzione che nel mercato non vi fosse spazio per una composizione fra l’interesse pubblico e gli interessi dei privati (imprese, consumatori, collettività), con la conseguen za che non potesse aver luogo l’esercizio dell’attività discrezionale caratteristica dell’agire della Pubblica Amministrazione. Ve di più. Lo Stato pluriclasse vive la crisi della frammentazione ideologica e sostanziale del demos e dell’idea di nazione. La destrutturazione della rappresentanza politica è cartina al tornasole di tale situazione, proprio perché in essa interagiscono gli attori principali della crisi stessa: gli elettori, gli eletti ed i partiti. La “crisi del rappresentato” è data da “la perd ita delle identità collettive e (addirittura) individuali; lo smarrimento del senso del legame sociale; la volatilità dei ruoli sociali” 195. La “società liquida” 196 è indeterminabile nei bisogni essenziali e nei valori fondanti, tanto da rendere incerto il nuc leo essenziale delle regole della convivenza, che costituisce il cuore fondante del consorzio sociale. Tale relativismo si riversa nella struttura e nel ruolo dei partiti politici “sempre meno portatori di identità collettive e sempre più ‘pragmatici’ disposti a rendere relativi i propri valori costitutivi, negoziando ogni cosa, M L uciani, Il paradigma della rappresentanza di fronte alla c risi del rappresentato , in Perc orsi e v ic ende attuali della rappresentanz a e della responsabilità politic a, Atti d el Convegno Milano, 16 -17 marzo 2000, a c ura d i N. Zanon e F. Biond i, Milano, Giuffrè, 2001, 117. 196 Z. Bauman, Modernità liquida , Roma – Bari, L aterza, 2003, il quale ind ivid ua proprio nel concetto d i liquidità l’inaffe r r abile inc onsiste nza d ei nostri tempi, che costituisce la logica evoluzione d el passaggio d all’assolute zza d e l r omantic ismo al relativismo d ecad entista d el secolo ventesimo. L a stessa evoluzione d e lle sc ie nze te stimonia tale passaggio d alla geometria euclid ea al principio d i ind eterminazione d i He ise nbe r g, e spr imend o l’incapacità gnoseologica che sostituisce al sistema sillogistico -d ed uttivo ar istote lic o, la logica d el ragionevole e d el possibile. 195 75 ma rendendo in tal modo indeterminato il legame di rappresentanza che ne legittima l’azione politica e parlamentare in particolare”. 197 Da ultimo, esso è proprio del rappresentante, q uasi sempre privo di autonoma autorevolezza e referenzialità proprio per effetto del passaggio attraverso l’epoca dello Stato dei partiti, siccome da questi fagocitato. Sia il premio di maggioranza che le liste bloccate, ovviamente, hanno reagito negativamente sugli eletti, assimilandoli sempre più e kelsenianamente a meri funzionari di partito, “non più ‘eletti’ bensì solo ‘nominati’ dalle rispettive segreterie dei partiti di appartenenza”, ed imponendo di individuare nuovi “luoghi di composizione” per una “rappresentanza dispersa”. 198 La crisi della rappresentanza si traduce, intuitivamente, nella crisi delle istituzioni rappresentative: il Parlamento è divenuto un organo meramente consultivo, nella esaltazione della normazione primaria del governo ed anche delle istituzioni sovranazionali, in particolare comunitarie. I luoghi del compromesso politico, della decisione politica stessa, sono ormai altri dalla sede della rappresentanza. Il precipitato della crisi della rappresentanza si coglie sia sul piano dell e fonti del diritto che su quello istituzionale. La legge generale ed astratta, strumento liberale di attuazione del principio di eguaglianza formale, diviene atto normativo obsoleto e ridondante, incapace di dare corpo e struttura ad una società contraddistinta da una profonda disarticolazione sociale e normativa. La delegificazione si afferma, come prassi normativa, proprio per sostituire alla legge il regolamento, sul presupposto che esso rechi una disciplina più snella e duttile, idonea ad adeguarsi all e rapide dinamiche sociali. L’asse dell’indirizzo politico si sposta, sotto il profilo decisionale, verso il Governo, fortemente rafforzato nella determinazione delle scelte di fondo. G. Azzariti, Cittadini, partiti e gruppi parlamentari: esiste anc ora il div ieto di mandato imperativ o? , in Costituzionalistmo.it , 18. 198 Op. ult. cit. Del resto, la cr isi d e lla r appr e se ntanza si è accompagnata alla crisi d elle categorie d el politico, sui si è cercato ripar o ne lla ne utr alizzazione o tecnicizzazione d elle scelte. E’ il caso d elle autorità amministrative ind ipe nd e nti, spe sso le gittimate (anche) in consid erazione d ella incapacità d ella politica d i ind ivid uar e str ume nti e me tod i d i tutela d elle es igenze d ei cittad ini. In tema, nel quad ro d i una letteratur a ste r minata, A. Pr e d ie r i, L’erompere delle autorità amministrativ e indipendenti , Firenze Antella, 1997; AA.VV., I garanti delle regole , a cura d i S. Cassese e C. Franchini, Il Mulino, Bologna, 1996;AA. VV., Merc ati e amministraz ioni indipendenti , a cura d i F. Bassi e F. Merusi, Giuffrè, Milano 1993; P. L azzar a, Aurtorità indipendenti e disc rezionalità , Ced am, Pad ova 2001; M. Manetti, Poteri neutrali e Costituz ione , Giuffr è , Milano 1994 e Id ., voce Autorità indipendenti ( dir. c ost.) , in Enc . Giur .,IV, Roma 1997 ; S. Nic c olai, I poteri garanti nella c ostituzione e le autorità indipendenti , Ed izioni ETS1996; AA.VV. Le autorità amministrativ e indipendenti , a cura d i G. P. Cirillo e R. Chieppa, in Trattat o di diritto amministrativ o , d ir e tto d a G. Santaniello, Ced am, Pad ova 2010 e, se si vuole, L . Principato, La responsabilità politic a per fatto delle autorità amministrativ e indipendenti , in Giur. c ost. , 2004, 1393 ss. 197 76 La crisi della legge è crisi de l principio stesso di legalità, che si tr aduce in deleghe legislative spesso prive di determinazione di principi e criteri direttivi o comunque rilasciate in bianco in favore dell’esecutivo; nell’esercizio di potere regolamentare anche in difetto di autorizzazione legislativa o, comunque, di disc iplina legale della materia. Ancora, se ne ricava il convincimento che non sia la politica la sede delle scelte fondamentali, in specie in materia economica: in un sistema fondato sulla economia di mercato, lo Stato produttore di beni e servizi cede il passo allo Stato regolatore, garante, controllore del rispetto delle regole del gioco ed, attraverso esse, del principio della parità delle armi. 199 Pur nella crisi della rappresentanza e del principio dell’interventismo statale, resta ferma l’esigenza di prote ggere gli interessi generali coinvolti nell’esercizio dell’attività economica dalle degenerazioni che possono derivare da un mercato privo di un governo che, però, si avverte che non possa più essere politico, alla luce del fallimento della categoria stess a della politica. “Nel mercato inteso come sineddoche di sistema economico nel suo complesso, l’eterocorrezione agisce quando il mercato non è in grado di correggersi per mantenere la sua funzione essenziale. Non sempre possiamo dire che, nella mescolanz a di eterocorrezione ed eterocompensazione, la correzione migliore è opera del mercato, che è sempre più preparato di qualsiasi giudice, come qualcuno asserisce. Anzi, lo dobbiamo negare, ad esempio, se ci poniamo del punto di vista della protezione del consumatore, che è fondamento della tutela del mercato. Se l’eterocorrezione non lo protegge, il mercato non lo salverà dal cibo avariato, dal metanolo nel vino, dalla vendita di azioni di società decotte, dal sottoscrivere contratti capestro per l’acquisto di improbabili libri.” 200 Lo Stato diviene, dunque, il garante delle regole, sospese fra il principio cardine della concorrenza e l’esigenza di tutela dei soggetti deboli nei confronti dei c.d. poteri privati. La tutela dell’eguaglianza sostanziale impone al pubblico potere di intervenire sul c.d. “antisovrano” 201, per evitare che alcuni soggetti abbiano ad abusare della dipendenza economica o di fatto che ad essi leghi altri soggetti, in considerazione delle dimensioni e della qualità dell’attività imprenditor iale esercitata. Superflua, per esemplificare, l’immagine del consumatore dinanzi alla società multinazionale produttrice di beni o servizi. La parità delle armi, intesa come “p ari possibilità di contendere, data a soggetti economici in uno spazio operativo chiamato mercato”, è divenuta l’immagine prima del principio di eguaglianza. V. F. Merusi, Democrazia e autorità indipendenti. Un romanzo “quasi” giallo, Il Mulino, Bologna 20 00, 11. 200 A. Predieri, L’erompere delle autorità amministrative indipendenti , Passigli, Firenze -Antella 1997, 17 s. 201 L’immagine, lucida ed efficace, del mercato quale “antisovrano”, in opposizione allo Stato, è di M. Luciani, L’antisovrano e la crisi dell e Costituzioni , in Riv. dir. cost. , 1996, 124 ss. 199 77 Ma se “negli ordinamenti sezionali l’organo preposto al settore era un organo governativo idoneo a trasmettere al s ettore l’indirizzo politico, o politico-economico, governativo, nel caso dei mercati concorrenziali l’organo statale deve essere autoreferenziale, cioè vincolato soltanto alla logica delle cose della concorrenzialità in quel determinato mercato. Se così non fosse, si altererebbe la ‘costituzionalizzazione’ del modello introducendovi fattori di commistione fra concorrenza ed eterodirezione” 202. Nell’ordinamento italiano, improntato ad una formale tripartizione dei poteri ed al rapporto fiduciario fra camere e governo, non è affatto agevole rinvenire un soggetto pubblico “autoreferenziale” che, estraneo al potere di indirizzo politico, possa svolgere la suddetta funzione di controllo in una chiave meramente “tecnica”. Gli interpreti si sono, allora, affannati a dissociare l’attività di direzione della politica generale del governo e la connessa responsabilità per l’unità dell’indirizzo politico, di cui all’art. 95 Cost., dall’amministrazione imparziale di cui la Costituzione garantirebbe il buon andamento, ai sensi dell’art. 97 Cost., al fine di individuare un fondamento costituzionale ad un’amministrazione pubblica sottratta al potere di indirizzo dei vertici dell’esecutivo. 203 F. Merusi, Democrazia, cit., 23, il quale non manca di rilevare ( op. cit., 21 e s.) che il radicarsi del modello europeo di mercato nell’ordinamento italiano si pone in contrasto con l’art. 41 comma 3 Cos t. e con il diverso modello di “costituzione federata dirigista” di cui tale disposizione era espressione. Invero, la diversità strutturale fra programmazione e pianificazione, nonché la sorte, in assemblea costituente, dell’emendamento Montagnana – finalizzato a radicare nell’ordinamento italiano il principio dell’economia pianificata – inducono a diverse e contrarie conclusioni sul punto. V. A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali. Parte speciale , II ed., Cedam, Padova 1992, 457 ss.; M. Luciani , La produzione economica priva nel sistema costituzionale , Cedam, Padova 1983; G. Morbidelli, voce Iniziativa economica privata , in Enc. Giur., vol. XVII, Istituto Enciclopedico Italiano, Roma 1988. 203 Già M. Nigro, La pubblica amministrazione fra Costituz ione formale e costituzione materiale , in Studi in memoria di V. Bachelet , II, Milano 1987, 385 ss. aveva chiarito che il principio di imparzialità dell’azione amministrativa è idoneo a fondare casi di scissione tra amministrazione e potere politico, a con dizione che detta separazione sia funzionale ad una più puntuale attuazione del principio medesimo. In senso analogo appare orientata la teoria dei poteri neutrali, già formulata da A.M. Sandulli, Funzioni pubbliche neutrali , in Studi in onore di A. Segni, IV, Milano 1966, 241 ss., al fine di evidenziare che la miglior cura di determinati interessi pubblici, talvolta, può conseguirsi solo attraverso l’attività di organi amministrativi in posizione di relativa indipendenza (autonomia?) rispetto all’indirizzo politico. Con ogni probabilità, però, il concetto di neutralità non esprime compiutamente il senso logico e giuridico di tale separazione fra politica ed amministrazione, giacchè quest’ultima, ben lungi dall’astenersi dall’intervento nei settori di propri a competenza (ossia dall’essere propriamente neutrale), pone piuttosto in essere un comportamento attivo ma autoreferenziale rispetto alle direttive dei vertici dell’esecutivo. Sulla inesattezza della formula, v. G. Morbidelli, Sul regime amministrativo de lle autorità indipendenti , in Le autorità indipendenti nei sistemi istituzionali ed economici , a cura di A. Predieri, Passigli, Firenze -Antella 1997, 166. Comunque, appare opportuna una precisazione. All’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione i taliana, la memoria dell’esperienza fascista indusse a contenere notevolmente i poteri dell’esecutivo, attraverso una serrata critica al principio di maggioranza, finalizzata a comprimerne il potere dispositivo in ordine a quanto costituisca oggetto di dis posizioni costituzionali o sia comunque fonte della posizione giuridica della maggioranza, da questa per definizione indisponibile (G. Guarino, Il Presidente della Repubblica italiana , in Riv. trim. 202 78 Alla ricerca del fondamento costituzionale di questo elevato grado di autonomia dal Governo, delle authorities ha acquisito rilievo la natura giurisdizionale o quasi, connessa all’attività di imparziale applicazione delle regole 204; l’elevato tecnicismo e la complessità delle materie di dir. pubbl., 1951, 934 ss.). Ancora, P. Barile, La Corte costituzionale organo sovrano: implicazioni pratiche, in Giur. cost., 1957, 911 ss. ha chiarito che lo stesso indirizzo politico non è attività libera nel fine, non potendosi porre in contrasto con i fini già determinati in Costituzione ed oggetto di obbli gatoria attuazione, così elaborando la teoria dell’indirizzo politico costituzionale. Per ulteriori riferimenti si rinvia a P. Ciarlo, Art. 95, in Commentario della Costituzione , fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, Zanichelli – Il foro Italiano, Bologna – Roma 1994, 363 ss. nonché, per la concezione del Governo nell’epoca fascista, nel (formale) vigore dello Statuto Albertino, a C. Mortati, L’ordinamento del Governo nel nuovo diritto pubblico italiano , Giuffrè, Milano 2000. Preme, qui, evide nziare che altro è individuare centri d’imputazione dell’indirizzo politico – specie nel sistema maggioritario – diversi dal Governo, altro è scindere l’attività amministrativa da quella governativa, al fine di assimilare la pubblica amministrazione ad essi centri d’imputazione. Infatti, se è vero (v. A.M. Sandulli, L’attività normativa della pubblica amministrazione , Jovene, Napoli 1970) che l’idea ottocentesca di accentramento burocratico del potere esecutivo, che vedeva nei ministeri gli esclusivi moment i di determinazione e sintesi del potere d’indirizzo politico, ha lasciato il posto ad una forma di esercizio delle funzioni esecutive improntata al pluralismo organizzativo e strutturale ed al decentramento (cfr. E. Cheli, La sovranità, la funzione di gov erno, l’indirizzo politico , in Manuale di diritto pubblico , a cura di G. Amato e A. Barbera, Il Mulino, Bologna1984, 305 ss.) – anche in attuazione dell’art. 5 Cost.: si pensi alla recente riforma del titolo V della Costituzione – non è men vero che ciò nu lla svela intorno al rapporto fra esecutivo e pubblica amministrazione, ancora tutto da comprende. In particolare, la caratterizzazione pluralistica del nostro ordinamento può semmai indurre a riflettere su come l’indirizzo politico si formi, in concreto, nel rapporto fra Parlamento e Governo, nonché fra centro e periferia (per intendersi, fra Consiglio dei Ministri ed organi esecutivi regionali), ma non (automaticamente) a concludere nel senso che esistono materie o funzioni riservate all’amministrazione p ubblica, in posizione di indipendenza dal potere politico. In merito, l’art. 2 l. 23 agosto 1988, n. 400 ha ribadito la responsabilità del Governo per l’unità e la coerenza dell’azione amministrativa, nonché la relativa competenza a determinarne “l’indiri zzo generale”; parallelamente, non si può ignorare che la stessa Carta fondamentale offre una tutela espressa alla imparzialità della Pubblica Amministrazione, rendendo evidente “una certa duplicità di posizioni […] espressione di una tensione che, nelle s ocietà moderne, si manifesta nell’organizzazione dei pubblici poteri, fra due spinte antagoniste le quali sono entrambe, paradossalmente, correlative ai bisogni di esse società: i) la spinta verso la semplificazione e l’accentramento delle strutture e la l oro rispondenza a ragioni di efficienza; ii) la spinta verso una sempre più complessa e autosufficiente articolazione organizzativa e la soddisfazione dell’esigenza di garantire, attraverso tale articolazione, la libertà e la personalità dei cittadini.” (M . Nigro, con aggiornamento di E. Cardi, Lineamenti generali , in Manuale di diritto pubblico , cit., 704). Forse, il segno di questa duplicità è dato proprio dalla discrezionalità amministrativa, ossia dalla particolare posizione di libertà e di vincolo che caratterizza l’attività amministrativa proprio nella composizione degli interessi nel caso concreto, necessariamente improntata alla tutela dell’interesse pubblico. 204 S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo , Garzanti, Torino 1995, 191, ove si chiari sce che esse autorità “svolgono funzioni quasi contenziose e debbono applicare procedure quasi giudiziali”. Ancora, per un riferimento alla nozione di procedimento “quasi giurisdizionale” v. Id., Le autorità indipendenti: origini storiche e problemi odiern i, in I garanti delle regole , a cura di S. Cassese e C. Franchini, Bologna 1996, 222. La funzione arbitrale, latamente giurisdizionale, della autorità indipendenti è altresì sostenuta da M. Clarich, Per uno studio sui poteri dell’autorità garante della con correnza e del mercato , in Mercati e amministrazioni indipendenti , a cura di F. Bassi e F. Merusi, Giuffrè, Milano 1993, 120 ss. V. anche G. Amato, Le Autorità 79 rispettiva competenza, tali da rendere tecnica la naturale discrezionalità, conseguentemente sottratta al sindacato giurisdizionale 205; il potere del legislatore, in difetto di fondamento costituzionale espresso ed in regime di costituzione rigida, di modificarne i poteri o di eliminarle in toto 206; la mera funzione di esecuzione della legge, la quale non implicherebbe la responsabilità politica 207; il rapporto diretto con l’Unione Europea, della quale le autorità amministrative indipendenti sarebbero enti autarchici che spezzano “l’organizzazione dello Stato federato , sia sul versante del potere esecutivo, sia sul versante del potere legislativo”. 208 In ogni caso, l’esigenza resta sempre quella di sottrarre il mercato al potere pubblico d’indirizzo politico, nel tentativo di proteggere le indipendenti nella costituzione economica , in Regolazione e garanzia del pluralismo , Giuffrè, Milano 1997, 378. 205 Per una puntuale e lucida ricostruzione di questa tesi, nella diverse articolazioni, nonché per una serrata critica si rinvia a P. Lazzara, Autorità indipendenti e discrezionalità , Cedam, Padova 2001, 107 ss., il quale osserva che “la com plessità della valutazione amministrativa non implica, di per sé, l’attribuzione di un potere riservato alla pubblica amministrazione, né in tal senso possono spingere le particolari prerogative della p.a.” ( op. cit., 243). Infatti, “l’intensità del sindac ato giurisdizionale non può dipendere dalla complessità della valutazione amministrativa o dalla particolare preparazione specialistica degli organi amministrativi. Al contrario, il riconoscimento costituzionale immediato e diretto di un diritto fondamenta le impone un sindacato giurisdizionale pieno sulle valutazioni della pubblica amministrazione”. 206 Per una critica a questa visione eccessivamente dinamica, v. M. Manetti, voce Autorità indipendenti (dir. cost.) , in Enc. Giur., vol. IV, Istituto Enciclopedi co Italiano, Roma 1997, 9, la quale – anche con riferimento all’esperienza francese ed all’analoga posizione assunta dal Conseil costitutionnel – osserva che tale presunto potere del legislatore sarebbe comunque soggetto a controllo di ragionevolezza, non potendosi accettare che la nascita e la morte delle autorità indipendenti siano legate ad un mero capriccio delle Camere. In tema di autovincoli legislativi, v. A. Pace, Leggi di incentivazione e vincoli sul futuro legislatore , in Potere costituente, rigid ità costituzionale ed autovincoli legislativi , Cedam, Padova 2002, 165 ss., il quale ritiene che, ai fini del sindacato di costituzionalità sulla legge posteriore, l’analisi del contenuto delle norme che si assumono in contrasto deve essere preminente risp etto a quella della loro forma ( op. cit., 176 s.). Certo è che se le autorità amministrative indipendenti, in considerazione delle funzioni che hanno ad esercitare, integrano una violazione della riserva di legge, non è certo la possibilità dell’innovazion e legislativa ad escludere tale illegittimità od a renderla non sanzionabile. 207 V. le suggestive notazioni di G. Amato, Intervento al Convegno promosso dalla Fondazione Cesifin e dalla Cassa di Risparmio di Firenze s.p.a., svoltosi a Firenze il 16 febbraio 1996, in Le autorità indipendenti nei sistemi istitutzionali ed economici , a cura di A. Predieri, Passigli, Firenze -Antella 1997, 303 ss. ed in particolare 309, ove si legge: “Forse noi stiamo arrivando ad attuare questa concezione della democrazia plural ista hamiltoniana, che ha fondamento nel fatto che le regole le stabilisce il legislatore democraticamente eletto, poi ne affida l’attuazione a soggetti diversi, ai quali non chiede di essere tutti responsabili politicamente, poiché ciò sarebbe maledettame nte giacobino. Perché si può non essere politicamente responsabili, ma essere invece trasparenti, ottemperare al principio del contraddittorio, essere sottoposti a revisione giudiziale.” L’Autore, comunque, muove dalla premessa che le autorità indipendenti , pur appartenendo al diritto pubblico, non sarebbero riconducibili al diritto amministrativo, sicchè sarebbero sottratte al relativo regime giuridico generale. In senso contrario, v. M. D’Alberti, voce Autorità indipendenti (dir. amm.) , in Eng. Giur. vol. IV, Istituto Enciclopedico Italiano, Roma 1995, 7, nonché la puntuale analisi di G. Morbidelli, Procedimenti amministrativi , op. cit., 168 ss., cui aderisce anche P. Lazzara, op. cit., 99 ss. 208 F. Merusi, Democrazia, op. cit., 75 s. 80 dinamiche economiche dalla corr uzione e dalla degenerazione della politica. Ciò, però, avviene in un sistema in cui il principio di legalità lascia il posto ad un diverso principio di efficienza: “la correttezza di un’azione di tipo tecnico si misura sul raggiungimento del risultato, e non sulla conformità alla norma” 209. In sostanza, “il perno della spiegazione della funzione delle autorità indipendenti è che esse anzicchè dirigerli (politicamente) promuovono nel loro svolgersi regolato gli interessi economici cui sono preposte”. 210 Tale attività di promozione avverrebbe, inoltre, attraverso norme non finalistiche, bensì condizionali: norme concordate direttamente con gli operatori del mercato e strutturare in funzione delle esigenze, del tutto particolari, che il mercato pone quali strument ali al perseguimento degli interessi degli stessi soggetti in esso impegnati. La natura tecnica o giurisdizionale delle pubbliche istituzioni è, dunque, lo strumento di neutralizzazione della funzione esercitata, che cessa di essere connotata da un retrost ante indirizzo politico è viene improntata esclusivamente a criteri oggettivi. Come già autorevolmente evidenziato 211, però, questo schema logico trova scarso riscontro nella realtà: l’impossibilità di neutralizzare i conflitti politici implica la natura pol itica degli organi appartenenti ai presunti poteri neutrali. 212 Infatti, “quando si prende una decisione di tipo tecnico, ci si basa su regole che non sono poste dall’ordinamento giuridico, ma, se la norma che attribuisce il potere di compiere la valutazione tecnica è giuridica, ecco che il fondamento del potere non è autonomo rispetto all’ordinamento.” 213 Vicende analoghe si sono avute nel contesto culturale statunitense, che ha fornito il modello (rectius, uno dei modelli, insieme a quello francese dell’intervento nei settori c.d. sensibili, finalizzato all’imparziale applicazione della legge, anzicchè all’attuazione dell’indirizzo politico) di riferimento per l’ordinamento giuridico italiano. 214 11.2. L’esperienza statunitense e quella italiana: la genesi dell e autorità indipendenti. All’inizio del secolo, i miti della libertà d’iniziativa economica e della concorrenza perfetta anche nel sistema liberale statunitense devono fare i conti con l’esigenza pressante di un controllo pubblico sull’effettività del principio della parità delle armi, funzionale alla rimozione degli ostacoli e 209 S. Niccolai, I poter i garanti , op. c it., 140. Op. ult. cit., 139. 210210 C. Schmitt, Il custode della Costituzione , trad. it., Milano, 1980, 149 ss. Nel medesimo senso, con riferimento all’attuale situazione italiana, v. M. Manetti, Poteri neutrali e Costituzione , Giuffrè, Mi lano 1994, in specie 30 ss., ove viene mossa una stretta critica alla rinuncia alla sovranità in materia economica, operata in Italia attraverso la sostituzione delle regole tecniche alle scelte politiche. 211 212 213 S. Niccolai, I poteri garanti , op. c it., 141. Devono, però, condividersi le giuste perplessità manifestate da M. Manetti, Poteri neutrali , cit., 54 ss., in ordine alla perfetta sovrapponibilità dei due sistemi giuridici, europeo e statunitense, in ragione delle caratteristiche istituzionali di quest’u ltimo, nel quale le autorità indipendenti sono sospese e contese fra Congresso e Presidente. 214 81 delle distorsioni del sistema, che si oppongono al libero dispiegarsi dell’autonomia privata. Per altro, esisteva allora già la consolidata tradizione delle corporations, ossia soggetti privati di organizzazione economica cui la migliore dottrina statunitense non ha mancato di collegare l’esercizio diretto di autorità pubblica, legittimandolo sulla base non già del principio di rappresentatività, bensì di quello di utilità, ossia per il rilevante contributo dato al mondo socio -economico. 215 Tale momento funzionale aveva una diretta corrispondenza nel procedimento di approvazione dei relativi statuti, caratterizzato da un’analisi dei vantaggi che la corporation si proponeva di recare al la collettività e che ne costituivano “criterio guida per la legittimità costituzionale”. 216 Una linea di evidente continuità, rispetto al fenomeno delle corporations, può cogliersi nella istituzione della Interstate Commerce Commission , dapprima alle dipendenze del Dipartimento dell’Interno ed, a far data dal 1889, dotata di effettiva indipendenza. La I.C.C., infatti, venne istituita 217 sotto le pressanti richieste di protezione da pratiche monopolistiche nel trasporto ferroviario, avanzate da agricoltori e piccoli commercianti. La tutela, dunque, si appuntava su un interesse collettivo o corporativo, ciò che ebbe di fatto a ripetersi anche con l’istituzione della Federal Trade Commission, chiamata ad attuare lo Sherman Act, disciplina della concorrenza e del mercato. In questo senso, M. Calise, Le corporations come autorità indipendenti. Alle origini della regolazione economica in America , in Le autorità indipendenti , cit., 91 ss. il quale guarda a queste forme private di esercizio di libertà di associazione, dunque di contratti associativi con comunione di scopo, quale prodromo delle successive Indipendent regulatory agencies . 216 M. Calise, op. cit., 102 s. L’Autore riconosce, comunque, le difficoltà di applicare una simile lettura “privatistica” delle autorità indipendenti al contesto culturale europeo, atteso che “L’approccio continentale europeo allo studio delle autorità indipendenti è inevitabilmente – e forse inguaribilme nte – statocentrico. Può interpretare la centralità dello Stato in forme più critiche e flessibili, allargare le frontiere della legittimità per includervi soggetti sempre più eterodossi, differenziare il potere pubblico alla luce dei settori di intervento. Ma si porta comunque dentro un senso di inadempienza e di perdita, una sorta di complesso edipico nei confronti della sovranità violata.” Il vero è, forse più semplicemente, che la dottrina italiana (in genere, europea) è strettamente legata alle categor ie giuridiche tradizionali, pur se ne lamenta una notevole crisi. Ciò posto, è chiaro che la stessa dicotomia pubblico – privato osta ad un’assimilazione delle corporations alle autorità indipendenti, sia sotto il profilo soggettivo, le prime essendo soggetti giuridici di diritto privato, mentre le seconde di diritto pubblico, sia sotto il profilo oggettivo, poiché l’utilità “sociale” delle compagnie americane – apprezzata in termini di sviluppo del sistema economico – è solo una conseguenza indiretta del p erseguimento di una ben differente utilità individuale o, al più, collettiva, la quale non sembra assurgere al rango di interesse pubblico o generale. Piuttosto, l’assimilazione è assai proficua poiché rende palese, proprio in tale componente oggettiva, l’ effettiva problematicità delle autorità indipendenti, con riguardo all’interesse tutelato attraverso le diverse forme di attività esercitata. Rinviando ad infra sub 4 la risposta, occorre qui porre il quesito: si tratta di un interesse pubblico o di un int eresse collettivo? 217 V. M. D’Alberti, Autorità indipendenti , cit., 1 s., a giudizio del quale la regolazione pubblica dell’economia fu tesa a far fronte agli “effetti di un’industrializzazione assai rapida, di avanzamenti tecnologici significativi, di una urbanizzazione massiccia”. 215 82 Va da sé che l’attività di regolazione pubblica del mercato, pur mossa da questo iniziale e particolare interesse, veniva poi ad attuare un ben differente interesse pubblico, sotteso rispettivamente al servizio pubblico ferroviario od alla materia antitrust. Non a caso, le forze che maggiormente avversavano tali authorities, nei loro primi passi, erano non di natura pubblica, bensì riconducibili alle imprese cui la regolamentazione recava nocumento, incidendo negativamente sui profitti. Solo dopo la crisi del ’29 le autorità indipendenti ebbero a scontrarsi con il pubblico potere, essendo poste nel mezzo della contesa fra esecutivo e legislativo per la primazia istituzionale e, conseguentemente, oggetto dei tentativi di assoggettamento al controllo dell’uno o dell’altro organo, a seconda del particolare momento storico e del peso politico relativo di Presidente e Congresso. Negli Stati Uniti, come nell’ordinamento giuridico italiano, venne presto in discussione la legittimità costituzionale delle ist ituite Indipendent Regulatory Agencies, con riguardo al principio di separazione dei poteri 218, nonché il problema della loro collocazione nel sistema istituzionale. Infatti, gli artt. 2, sec. 1 ed 1 sec. 8 della Costituzione degli Stati Uniti pongono rispettivamente i principi del “take care clause” e del “necessary and proper clause”: il Presidente ha il dovere di garantire l’esatta esecuzione delle leggi, mentre il Congresso può delegare la disciplina d’attuazione di specifiche leggi a Department od a Officers. Le authorities, pertanto, si collocano a metà fra esecutivo e legislativo, con entrambi i suddetti organi che tentano di estendervi il proprio controllo, ora rendendole delegatarie di funzioni normative, ora riconducendole nella compagine governativa . Il Congresso ha storicamente tentato di avocare a sé le autorità indipendenti attraverso l’esercizio di un vero e proprio diritto di veto, ossia di annullamento di atti esecutivi contrastanti con le indicazioni da esso dettate. Tale potere, però, è stat o dichiarato incostituzionale con la sentenza Immigration and Naturalization Service vs. Chadha 219, con la conseguenza che l’unico strumento attraverso il quale esercitare una indiretta influenza sulla agencies e sul rapporto di esse con l’esecutivo è rimasto il power of the purse di cui all’art. 1, sec. 9 della Costituzione statunitense, ossia il potere di stanziare fondi per la dotazione finanziaria delle agenzie stesse. E’ agevole intuire, dunque, che assai più penetrante è il potere esercitato sulle agencies dal Presidente, atteso che a questi è riconosciuta la facoltà di nomina e revoca dei relativi membri. La stessa Corte Suprema, nella Per nutriti riferimenti alla dottrina statunitense in tema di illegittimità costituzionale delle autorità indipendenti, si rinvia a M. De Benedetto, L’Autorità garante della concorrenza e del mercato , Il Mulino, Bologna 2000, 2 7 ss. 219 462 U.S. 919, 1983. Nel caso di specie, il Presidente del Subcomitato per l’immigrazione del Congresso aveva ottenuto una risoluzione che poneva il veto su sei persone, cui era stata riconosciuta la residenza negli USA. Fra essi vi era il sig. Chad ha, il quale venne conseguentemente espulso dal territorio statunitense. 218 83 sentenza Myers vs. United States 220 ebbe a fortificare tale rapporto di dipendenza, sancendo l’illegittimità costituziona le del preventivo assenso del Senato alla revoca. A distanza di soli sei anni, però, nella sentenza Humphrey’s Executor vs. United States 221, tale potere venne notevolmente compresso, condizionandosi al ricorrere di una delle causa previste nella legge istitutiva. Ciò proprio in considerazione del fatto che i membri delle autorità indipendenti, a differenza dei funzionari esecutivi, sarebbero posti in posizione di indipendenza rispetto al Presidente, in quanto esercenti potestà “quasi giudiziali e quasi legi slative”. 222 Le autorità indipendenti, in sostanza, tendevano a porsi come fourth branch of Government. Anche nella realtà italiana, con l’affermazione dei principi della concorrenza e dell’economia di mercato connessi allo sviluppo dell’Unione Europea, l’esistenza di una conclamata crisi delle istituzioni e della rappresentanza politica da un lato, nonché la sfiducia e la disaffezione della società civile verso lo Stato -apparato e la politica, dall’altro, hanno contribuito allo sviluppo esponenziale delle au torità amministrative indipendenti, ossia ad un modello un modello fondato sul mito del controllo tecnico e neutrale, senza il minimo tratto d’indirizzo politico. Le autorità amministrative indipendenti, dunque, anche nell’ordinamento italiano avrebbero dovuto soddisfare “una esigenza di regolazione dei settori sensibili della vita sociale ed economica della comunità non secondo criteri di ispirazione politica prevalenti dell’esecutivo, ma secondo canoni che, oltre ad essere improntati a criteri di tecnicis mo e di specializzazione, siano aderenti ai principi di garanzia e neutralità” 223. In tal modo (ossia svilendo il potere di indirizzo politico) la formula organizzativa delle autorità indipendenti ha contribuito altresì al radicarsi di un modello istituziona le che riduce fortemente il ruolo dello Stato, in favore dell’Unione Europea. 272 U.S. 52 135, 1926. La Corte si oppose a F.D. Roosevelt, dichiarando l’illiceità della revoca di uno dei commissari della Federal Trade Commission poiché fondata su motivi politi ci e non già sulle causa previste dalla legge istitutiva. 221 295 U.S. 602, 1935. 222 L’utilizzo delle formule “quasi giudiziale” o “quasi legislativo” – indice dell’analoga incertezza ravvisabile nella dottrina italiana – è stata oggetto di notevoli critiche da parte della dottrina statunitense, condotte tutte con riguardo alla violazione del principio di tripartizione dei poteri. Deve, comunque, rilevarsi che nella successiva sentenza Buckley vs. Valeo (424 U.S. 1, 1976) l’orientamento della Suprema Corte è s embrato vacillare, affermandosi l’ammissibilità del potere di revoca presidenziale nei confronti di tutti gli officers degli Stati Uniti, categoria apparentemente inclusiva anche dei membri delle authorities . Il punto centrale, comunque, è proprio quello d ella individuazione dei caratteri discriminanti delle executive agencies rispetto alle indipendent agencies , ciò che postula l’analisi dell’attività concretamente posta in essere e della struttura dell’autorità, al fine di qualificarne l’effettivo grado di discrezionalità e d’indipendenza. Una problematica, in sostanza, del tutto analoga a quella italiana. 223 F. Longo, Ragioni e modalità dell’istituzione delle autorità indipendenti , in I garanti delle regole , cit., 15. 220 84 Con un siffatto modello – in cui le decisioni politiche sono prese a livello comunitario, rinnovate nella legislazione interna ed eseguite (senza potere d’indirizzo politico) dal l’apparato burocratico di ciascuno stato – appare evidentemente coerente sia una legislazione nazionale lacunosa o addirittura scevra di principi fondamentali, criteri direttivi e quant’altro sia idoneo a limitare l’azione amministrativa 224 (a garanzia del rispetto del principio di legalità) sia la creazione di un’amministrazione indipendente, sganciata dal Governo e sottratta al potere di indirizzo politico, in fatto ed in diritto radicalmente escluso. Per altro verso, il modello delle autorità amministrativ e indipendenti ha incontrato anche il favore delle imprese e dei cittadini: le prime, desiderose di sottrarsi al controllo della politica; i secondi, ormai privi di qualsiasi fiducia nei confronti di tale forma di controllo. Le applicazioni concrete di un simile schema rendono evidente come l’azione dell’autorità amministrativa indipendente riesca contestualmente a realizzare l’interesse dell’Unione Europea 225, delle grandi imprese e, talvolta, anche dei consumatori. Per esemplificare, l’Autorità Garante dell a Concorrenza e del Mercato, con il provvedimento n. 2662 del 1995, riteneva integrato l’abuso di posizione dominante, in applicazione della disciplina comunitaria e previa disapplicazione della disciplina interna con quella in contrasto, nel caso della Telecom, monopolista legale della gestione della rete pubblica di telecomunicazioni, che aveva rifiutato alla Telesystem l’affitto di linee, al fine di mantenere il monopolio sul mercato dei servizi di telefonia per G.c.u. L’Antitrust intervenne proprio per ché lo Stato non aveva il potere di “trasferire, costituire o comunque mantenere a favore di un’impresa La latitanza del legislatore naziona le – nonché la natura recessiva nei confronti di quello comunitario – ha indotto un’autorevole dottrina (A. Predieri, L’erompere, cit., 91) a ritenere che ormai “i compiti dello Stato vanno riportati alle dimensioni proprie di un rango di fonti sottostanti, anche nelle decisioni che sono fondamentali sull’equilibrio, sulla stabilità, che s’inquadrano nei valori e nelle norme del metastato: la legge che fu emblema della sovranità parlamentare è oggi fonte subprimaria, in quanto sottordinata ad ogni atto norm ativo o anche giurisdizionale comunitario.” In senso analogo, P. Lazzara, Autorità indipendenti , cit., 47 ritiene che “la legge nazionale non svolge più il compito ‘primario’ di soluzione politica dei conflitti d’interesse, né può determinare la valenza de lle situazioni giuridiche soggettive dei privati rispetto alle prerogative decisionali dell’amministrazione”. La fonte delle situazioni giuridiche soggettive dei privati, in sostanza, prima ancora che nella Costituzione italiana e nella legislazione intern a, deve individuarsi nella normativa comunitaria, come evidenziato da N. Irti, L’ordine giuridico del mercato , Roma-Bari 1998, 21 ss. 225 Nel senso che “Le autorità si troverebbero […] in un rapporto diretto con le stesse istituzioni comunitarie, dalle quali discenderebbe la normativa di riferimento” v. G. Abagnale, Autorità indipendenti e Trattato di Maastricht , in Le autorità indipendenti nei sistemi istituzionali ed economici , cit., 134. Di una vera e propria “funzionalizzazione dell’attività delle amministrazione degli stati membri all’interesse comunitario” parla C. Franchini, Nuovi modelli di azione comunitaria e tutela giurisdizionale , in Dir. amm., 2000, 82 e s. D’altro canto, la tesi trova puntuale riscontro nel diritto positivo, atteso che – per esemplificare – l’art. 1 comma 4 l. 287 del 1990, istitutiva dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, dispone che “L’interpretazione delle norme contenute nel presente titolo è effettuato in base ai principi dell’ordinamento delle Comunità europe e in materia di disciplina della concorrenza”. 224 85 concessionaria un diritto più ampio di quello che l’ordinamento comunitario ammette per lo Stato stesso”. Donde la disapplicazione del provvedimento di concessione, per la parte eccedente la disponibile (volendo usare il lessico del diritto delle successioni). 226 L’autorità indipendente, in buona sostanza, disapplica la legge italiana – che pure, a rigore, ne costituisce la fonte di legittimazione, almeno quanto alla legge istitutiva – in favore dell’applicazione del diritto comunitario, alla stregua della autorità giudiziaria. Una simile evoluzione, però, ha finito con il creare notevoli distonie rispetto al tradizionale sistema fondato sulla tripartizione dei poteri, inducendo notevoli dubbi sulla natura giuridica delle Autorità indipendenti e sul loro fondamento costituzionale. 11.3 La natura delle autorità indipendenti e la loro collocazione nell’ordinamento giuridico. Nell’ordinamento giuridico italiano è assai frequente la tendenza ad esaltare il requisito della indipendenza per attribuire alle Autorità amministrative indipendenti l’esercizio di un’attività paragiurisdizionale o, comunque, per espungerle dall’insieme degli organi della pubblica amministrazione. Si tratterebbe, infatti, di autorità che non pongono in essere un giudizio di percezione degli interessi coinvolti nel caso concreto e di conseguente valutazione di quell’assetto che ad essi debba essere conferito e che sia il più funzionale rispetto alla migliore protezione dell’interesse pubblico che sono chiamate ad attuare. 227 Piuttosto, eserciterebbero soltanto un’attività di mera applicazione od esecuzione di legge, senza alcun margine di discrezionalità e con quella autonomia 228 che garantisce una posizione di terzietà rispetto agli Per una più attenta disamina delle fattispecie, decise dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nei provvedimenti n. 412 del 1992 e n. 2662 del 1995 ed in ulteriori casi, nonché per un’acuta riflessione sul tema della disapplicazione di norme interne e la declaratoria di illegittimità di provvedimenti amministrativi, in contrasto con la disciplina comunitaria, si rinvia a R. Niro, Disapplicazione di norme e declaratoria di illegittimità di provvedimento , in I garanti delle regole , cit., 193 ss. 227 Secondo la prevalente dottrina, infatti, la discrezionalità amministrativa sarebbe espressa proprio dal fatto che le scelte dell’amministrazione sono manifestazioni di volontà rimesse esclusivamente al l’autorità, pur se compiute a seguito di un processo di cognizione degli interessi coinvolti in concreto e vincolate, sul piano funzionale, dalla necessità di perseguire la migliore realizzazione del fine pubblico, dato dalla mediazione del conflitto fra i nteresse amministrativo primario ed interessi secondari (v. M.S. Giannini, L’interpretazione dell’atto amministrativo , Giuffrè, Milano 1939, specie 275 ss.). L’impostazione gianniniana è contestata da C. Mortati, voce Discrezionalità, in Nss. D.I., V, Torino 1960, il quale ritiene assai labile il confine fra legittimità e merito amministrativo, affermando la sindacabilità di quest’ultimo sulla base di norme non scritte e regole d’esperienza, cui implicitamente rinvierebbe l’attribuzione del potere. Per un’a nalisi delle distinte posizioni, riferita espressamente al tema delle autorità indipendenti, si rinvia a P. Lazzara, Autorità indipendenti , cit., 130 ss. 228 Sul significato del termine autonomia, in rapporto a quello d’indipendenza, v. C. Franchini, Le autorità indipendenti come figure organizzative nuove , in I garanti delle regole , cit., 74 ss., ove si afferma che “il principio di indipendenza si dimostra diverso da quello di autonomia, perché si pone ad un livello di astrazione superiore.” Infatti, “il pri ncipio di 226 86 interessi individuali che divengono oggetto dell’esercizio delle relative funzioni. In particolare, come già rilevato le autorità indipendenti sarebbero chiamate ad applicare norme c.d. condizionali e non già funzion ali, con riguardo alle quali l’analisi degli effetti dei comportamenti diviene irrilevante, essendo idoneo alla soddisfazione dell’interesse pubblico il mero rispetto dei criteri di esso comportamento. 229 Appare necessario un chiarimento. Nello stato di diritto liberale ottocentesco, come è stato sopra evidenziato, non essendo possibile “proteggere ciascuno nei suoi diritti e nello stesso tempo consentire, mediante la stessa costituzione, i capovolgimenti sociali che sono realizzabili sempre e solo in favore di uno e a danno di altro” 230 si giunge alla conclusione che libertà civili e diritti sociali operino su piani differenti: costituzionale, i primi, concorrendo alla determinazione della forma di Stato; amministrativo, i secondi, poiché proprio l’amministrazione ne è tradizionale strumento di attuazione. La pubblica amministrazione, dunque, costituisce tradizionalmente il momento di produzione e (re)distribuzione di ricchezza e servizi c.d. sociali. Uno dei segni della crisi di questo Stato imprenditore – che è per altri versi crisi dello Stato sociale – è dato dal processo delle privatizzazioni, attraverso il quale l’erogazione di una serie di servizi pubblici è stata attratta nell’ambito dei rapporti privatistici. Donde l’esigenza di una regulation dei relativi mercati, che – non potendosi tornare al modello dello Stato interventista – è stata realizzata attraverso l’istituzione di autorità indipendenti e terze. Si pensi alla l. 14 novembre 1995, n. 481, con cui si è data disciplina alle Autorità per i servizi di pubblica utilità: la caratteristica peculiare sarebbe data dal fatto che un’amministrazione neutrale – nel ristretto senso di essere priva di rapporti diretti con i soggetti e gli interessi privati coinvolti nel mercato di riferimento – garantisce il rispetto delle regole del gioco, ossia il principio della parità delle armi, componendo la libertà autonomia può trovare attuazione solamente tra soggetti posti in posizione di equiordinazione, al fine di regolarne i rapporti, con portata diversa a seconda della qualificazione che di volta in volta può essergli riconosciuta. Esso, dunque, pres uppone l’esistenza di un rapporto […] tra soggetti differenti, rapporto che, in qualche misura, si vuole delimitare. Diversamente, sembra che il principio di indipendenza debba essere utilizzato in tutte quelle ipotesi nelle quali sia necessario evitare ch e si possano sviluppare relazioni tali da incidere sull’esercizio della funzione di un soggetto, in qualche modo condizionandola.” Donde l’Autore trae il corollario della funzione servente dell’autonomia rispetto all’indipendenza, della quale costituisce c ondizione necessaria, anche se non sufficiente. D’altro canto, l’immagine prima della (mera) autonomia dell’amministrazione pubblica è sempre stata la discrezionalità, ossia la possibilità di risolvere in concreto i conflitti d’interesse in modo confacente all’interesse pubblico e nel rispetto dei limiti legali. Cfr. Santi Romano, Autonomia, in Frammenti di un dizionario giuridico (ristampa inalterata), Giuffrè, Milano 1983, 14 ss. e Alberto Romano, voce Autonomia nel diritto pubblico , in Dig. disc. pubb., II, Torino 1987, 40 ss. V. anche P. Lazzara, Autorità indipendenti , cit., 111 ss. 229 Di “regolazione condizionale” parla L. Torchia, Gli interessi affidati alla cura delle autorità indipendenti , in I garanti delle regole , cit., 58, riprendendo la nota teo ria di Luhmann. 230E. Forsthoff, Stato di diritto in trasformazione , op. cit., 7. 87 d’iniziativa economica ed i diritti degli utenti ad un’efficiente erogazione del servizio. Si pensi, ancora, all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mer cato, la quale in attuazione del principio fondamentale della concorrenza, compone la libertà d’iniziativa economica con i diritti dei consumatori. 231 La funzione di neutrale garanzia e controllo del rispetto delle regole verrebbe esercitata a tutela dei dir itti fondamentali dei destinatari dei servizi, altrimenti nella disponibilità di poteri privati, verso i quali non esisterebbero diversi strumenti di difesa. La tesi secondo la quale le autorità indipendenti svolgerebbero una funzione meramente esecutiva -attuativa della legge, a garanzia dei diritti costituzionali, incontra però alcune difficoltà. Intanto, l’esame delle leggi istitutive delle authorities induce a ritenere che alla funzione di garanzia si accompagni, sempre o comunque spesso, una differente funzione di regolazione diretta dei relativi mercati – si pensi ai poteri autorizzatori e tariffari – sicchè viene a perdersi il presunto ruolo di terzo e neutrale garante delle regole. 232 In questi casi le autorità non solo non rispondono al modello origina rio che, scevro da qualsiasi composizione autoritativa d’interessi, si postulava valido ad escluderne la natura amministrativa ed idoneo a collocarle in una sorta di limbo giuridico, sospeso fra potere legislativo e giudiziario; addirittura, oltrepassano anche i limiti del modello ‘fisiologico’ d’amministrazione, giacchè individuano (arbitrariamente, in difetto di una compiuta disciplina legislativa) l’interesse pubblico cui improntare la propria azione e, di quest’ultima, stabiliscono principi, criteri e m odalità pratiche. Il che significa che le autorità scendono dall’iperuranio della neutralità e tornano amministrative, ma ciò accade in violazione del principio di legalità e, spesso, della riserva stessa di legge. In secondo luogo, desta notevoli perpless ità il fatto che le autorità amministrative dispongano in ordine a situazioni giuridiche soggettive private, anche di rango costituzionale, in difetto di una legislazione di riferimento. Si muove dal presupposto (erroneo) che il fine della garanzia dei di ritti costituzionali valga come una sorta di patente di legittimità dell’agire pubblico: in difesa della libertà di comunicazione, della libertà d’impresa, La realtà è chiaramente molto più complessa di come sintetizzata nel testo. Osserva M. Clarich, L’attività delle autorità indipendenti in forme semicontenziose , in I garanti delle regole , cit., 149 ss., che le autorità indipendenti esercitano le proprie funzioni talvolta nell’ambito di rapporti bilaterali con il soggetto regolato, cui impongono l’osservanza della legge (si pensi al potere sanzionatorio attribuito alla Consob); in altri casi il rapporto coinvolge anche un terzo soggetto, ora posto in posizione di disparità (si pensi all’intervento dell’ISVAP, su reclamo dell’utente, contro un’impresa assicurativa), ora posto in posizione di parità rispetto al controllato (si pen si alle competenze dell’ Antitrust in tema di pubblicità ingannevole). 232 Cfr. M. Manetti, Autorità indipendenti , cit., 7. Comunque, nella seduta del 26 maggio 1995, lo stesso Consiglio dei Ministri, su iniziativa del Dipartimento della funzione pubblica, ha elaborato un documento nel quale si propone una tripartizione delle autorità indipendenti, fondata sulle funzioni esercitate: autorità di garanzia, di regolazione e, da ultimo, di indirizzo, coordinamento e vigilanza. Cfr. F. Patroni Griffi, Tipi di autor ità indipendenti , in I garanti delle regole , cit., 29. 231 88 della concorrenza (e via dicendo) l’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, l’Autorità Gar ante della Concorrenza e del Mercato o la Consob possono intervenire. Così è deciso. L’assunto, però, si scontra con un dato obiettivo: piaccia o non, la disciplina costituzionale dei diritti fondamentali – che non mi risulta ancora abrogata – è assai più dettagliata e pretende il rispetto, almeno, dei principi di legalità, della riserva di legge e di giurisdizione, pur se diversamente graduati a seconda delle diverse situazioni giuridiche soggettive. Ne segue che, se si è tanto dibattuto sulla ammissibili tà, in presenza di riserva di legge relativa, di atti normativi di rango sub legislativo – per i quali sono comunque previsti meccanismi di tutela giurisdizionale ed amministrativa – nonché sulla possibilità che la misura restrittiva adottata dalla magistr atura inquirente – ossia da un magistrato comunque indipendente e che ha avuto accesso alla carica tramite concorso – sia atta a soddisfare la riserva di giurisdizione, diviene assai improbabile che i medesimi principi possano dirsi rispettati laddove una limitazione o conformazione di una situazione giuridica di rango costituzionale avvenga per il tramite di un provvedimento del quale si disconosce addirittura la natura amministrativa, da taluni proponendosi di escludere conseguentemente il controllo giuri sdizionale. D’altro canto, il fatto che la conformazione dei diritti costituzionali avvenga con legge trova la propria ragion d’essere anche nella possibilità di sindacato da parte della Corte costituzionale, nel giudizio di legittimità, il quale è di certo escluso nei confronti dei provvedimenti delle autorità indipendenti. 233 Sul piano dell’opportunità, inoltre, la realtà dimostra che la tutela dei diritti costituzionali non necessariamente è più intensa se attribuita alle autorità indipendenti: si pensi al la manifesta violazione degli artt. 21 e 41 comma 2 Cost. integrata dalla mancata determinazione, da parte dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, della data scaduta la quale le emittenti televisive senza concessione avrebbero dovuto trasmettere solo via satellite. In sostanza, le tesi della natura non amministrativa delle autorità indipendenti sono contraddette in diritto positivo dall’attribuzione di una serie di funzioni – si pensi già solo al potere regolamentare 234 – che, Salvo a sostenere l’ammissibilità di un sindacato diffuso di costituzionalità. Comunque, poiché gli atti amministrativi soggetti alla disciplina generale (v. infra nel testo), detti provvedimenti son o annullabili dal giudice amministrativo e disapplicabili dal giudice ordinario. 234 La legittimità del potere regolamentare delle autorità indipendenti è assai controversa. Intanto, è assai dubbio che la legge possa attribuire ad autorità non politiche, que lla potestà normativa sub -primaria che è una prerogativa del Governo, connessa alla legittimazione politico-rappresentativa. Pur optando per la soluzione positiva, poiché nella “natura delle cose” (F. Merusi, Considerazioni generali sulle amministrazioni i ndipendenti, relazione al Convegno dell’Accademia dei Lincei in Roma, 30 giugno – 2 luglio 1993, Milano, 1993, 389) o perché i regolamenti sono fonti secondarie (E. Cheli, Potere regolamentare e struttura costituzionale , Milano, 1967, 444), resta il fatto che la mancata determinazione dei principi e criteri direttivi entro i quali esercitare il medesimo potere regolamentare non può che renderlo illegittimo, attesa la violazione del principio di legalità. Senza considerare, poi, che 233 89 andando oltre la mera e neutrale garanzia, impediscono di ricondurre ad esse autorità una mera attività di applicazione della legge (a tutela dei diritti). Ma anche laddove si ponga l’attenzione sui soli poteri c.d. di garanzia, postulandone la natura (para)giurisdizionale 235, non pare superabile il divieto di istituzione di giudici speciali di cui all’art. 102 comma 2 Cost. 236, con la conseguenza che si tratterà sempre di giudici senza sentenze, poiché i relativi provvedimenti non potranno mai avere forza di giudicato. 237 Né l’alienità delle autorità indipendenti rispetto alla pubblica amministrazione può sostenersi facendo leva sulla natura delle funzioni esercitate, che sarebbero connotate non già da poteri autoritativi di valutazione degli interessi in gioco, bensì da una mera discrezionalità tecnica. 238 Il carattere tecnico o specialistico delle scelte compiute, infatti, non vale ad escludere né la natura amministrativa dell’organo, né la sindacabilità giurisdizionale delle relative manifestazioni di volontà. E’ vero che il carattere tecnico sposta la discrezionalità verso la mera applicazione di legge – secondo la tesi di Mortati – svilendone la natura (sostenuta da Giannini) 239 di manifestazione di volontà. Non è men vero, però, che il procedimento che porta all’adozione dell’att o si compone detto esercizio avviene s ovente in materia coperta da riserva di legge. V. G. Morbidelli, Sul regime amministrativo , cit., 160 ss. Per una attenta analisi del potere regolamentare delle autorità indipendenti si rinvia a F. Politi, voce Regolamenti delle autorità amministrative indipendenti, in Enc. giur., Istituto Enciclopedico Italiano, Roma 1995, ove si esaminano puntualmente alcuni poteri regolamentari evidentemente incidenti sull’indirizzo politico (si pensi, ad esempio, al potere dell’ISVAP con proprio provvedimento, di dettar e disposizioni in ordine a tariffe, tasso d’interesse tecnico e riserve, nonché ai livelli massimi di investimento in determinati attivi ed alla natura stessa di essi investimenti e delle riserve). 235 V. supra sub nota 8. 236 In questo senso, per tutti, A. P ace, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale , terza edizione in corso di stampa, Cedam, Padova 2003, 261. 237 Il fatto che l’ampliamento delle garanzie nel procedimento dinanzi alle autorità indipendenti – diritto al contraddittorio, partec ipazione, trasparenza – non consente di attribuire ad esse natura quasi o para giurisdizionale è stato espressamente riconosciuto da Cons. St., sez. VI, 12 febbraio 2001, n. 652, citato in P. Lazzara, Autorità indipendenti , cit., 103, nota 55. 238 In questo senso, ex multis , G. Vesperini, La Consob e l’informazione del mercato mobiliare. Contributo allo studio della funzione regolativa , Cedam, Padova, 1993, 279; A. Massera, “Autonomia” e “Indipendenza” nell’amministrazione dello Stato , in Scritti in onore di M.S. Giannini , III, Giuffrè, Milano, 1988, 480. A giudizio di V. Cerulli Irelli, Note in tema di discrezionalità amministrativa, in Dir. proc. amm. , 1984, 480 ss., la discrezionalità tecnica delle autorità indipendenti si sostanzierebbe nella irripetibilit à processuale della relativa valutazione, con la conseguenza che le scelte di esse amministrazioni non sarebbero giurisdizionalmente sindacabili. In realtà, sembra più coerente con i diritti costituzionali di difesa (art. 24 Cost.) e di tutela giurisdizion ale contro gli atti della pubblica amministrazione (art. 113 Cost.) ritenere che “la complessità o istantaneità dell’azione pubblica non può ‘degradare’ le situazioni giuridiche soggettive” e che “il carattere riservato di una valutazione amministrativa no n può ricavarsi dalla mancanza di strumenti istruttori in grado di fornire piena conoscenza processuale della situazione di fatto” (P. Lazzara, Autorità indipendenti , cit., 178 s.). Ciò a fortiori alla luce dell’ampliamento dei poteri del giudice amministr ativo, determinato dall’ammissibilità della consulenza tecnica d’ufficio prevista prima dal d. lgs. 80 del 1998 e poi dall’art. 16 l. 205 del 2000. 239 V. nota 38. 90 sempre di un momento di sussunzione dei fatti nella fattispecie legale e di un momento valutativo, pur se talvolta ridotto, nel quale si determinano gli effetti che si producono nel caso concreto. Solo laddove gli effetti discendessero esclusi vamente ed automaticamente dalla legge si potrebbe sostenere che l’atto abbia natura meramente dichiarativa, sicchè mancherebbe in effetti qualsiasi composizione autoritativa di interessi, anche perché non sarebbe rimesso alla cura dell’organo alcun intere sse pubblico. 240 Ma ciò non è quanto accade nel caso delle autorità indipendenti. Intanto, perché non esiste quasi mai il parametro legislativo predeterminato e vincolante l’azione amministrativa – il che costituisce un aspetto dell’indipendenza, che opera v erso il potere legislativo – atteso che le leggi istitutive si risolverebbero in mere deleghe in bianco di poteri regolamentari, di garanzia e di vigilanza. Inoltre, perché non sembra corretto ritenere che alle autorità indipendenti non sia affidata la cur a di un interesse pubblico, ma soltanto il ruolo di arbitro fra interessi privati: infatti, la tutela della concorrenza, l’efficienza nella erogazione dei servizi pubblici, l’equilibrio nel mercato assicurativo e della comunicazione e via discorrendo sono fini che superano sia la dimensione individuale sia quella collettiva, giungendo a qualificare il ruolo dello Stato nel mutato contesto culturale e giuridico. Il vero è, dunque, che proprio l’ampiezza dei poteri e delle funzioni attribuite alle autorità in dipendenti vale a qualificare il relativo operato in termini autoritativo-provvedimentali, confermando la natura amministrativa di esse autorità e determinando (tra l’altro) la sindacabilità giurisdizionale delle relative scelte, in modo coerente con i pri ncipi costituzionali (artt. 24 e 113 Cost.). Va da sé, comunque, che l’assunto deve essere verificato in concreto, tramite una puntuale valutazione delle diverse funzioni delle varie authorities, al fine di comprendere quale sia in effetti, con riguardo ai singoli poteri esercitati, il rapporto con il parametro legislativo (o comunitario) e la relativa ampiezza della capacità valutativa che residua in capo all’amministrazione. La tesi secondo la quale la riserva di competenza in favore dell’autorità indipendenti sarebbe fondata sulla difficoltà tecnica dell’esercizio dei compiti loro propri, desta ulteriori perplessità ove si rifletta sul fatto che analoga ragione da sempre costituisce la giustificazione logica e giuridica, ad esempio, per la delega al Gove rno dei testi unici di mera compilazione od innovativi, alla cui disciplina diretta il Parlamento rinuncia proprio perché privo delle necessarie competenze specialistiche, pur mantenendo la potestà di dettare principi e criteri direttivi all’azione dell’es ecutivo. 241 In altrimenti, il relativo bilanciamento sarebbe già effettuato a livello legislativo, sicc hè all’amministrazione non resterebbe che interpretare ed applicare il dato normativo, senza alcun autonomo potere valutativo. 241 Né può accettarsi il principio che il Governo, perfettamente in grado di creare dal nulla o riorganizzare l’ordinamento proces suale e sostanziale, civile e penale, divenga improvvisamente incapace di intendere e di volere con riguardo ad alcune materie che, in fondo, non costituiscono altro che una species dell’oggetto della suddetta disciplina. 240 91 Eguaglianza e razionalità (o, se proprio vi si deve fare ricorso, ragionevolezza) imporrebbero, allora, che se, con riferimento ai testi unici, la legge di delegazione priva di principi e criteri direttivi è incostituzionale, parimenti incostituz ionale debba ritenersi, con riguardo alle autorità indipendenti, la legge istitutiva, laddove non individui analoghi – ed assai più dettagliati – principi e criteri direttivi dell’azione amministrativa. Ciò ancor più per il fatto che nel secondo caso, il d ifetto di una normativa legislativa generale determina la violazione del principio di legalità, della riserva di legge, (talvolta) della riserva di giurisdizione, della responsabilità politica ex art. 95 Cost. e via dicendo. D’altro canto, la critica mossa da un’autorevole dottrina alla presunta neutralità delle authorities 242, che eserciterebbero invero attività politica, lascia chiaramente intendere che le funzioni delle autorità indipendenti vanno addirittura oltre la discrezionalità amministrativa, poiché l’assenza della legislazione di principio rischia di non consentire in concreto un sindacato di legittimità. 243 Si pensi – per esemplificare laddove, invero, l’esemplificazione è assai rischiosa – ai poteri attribuiti dall’art. 3 lett. c) l. 216 del 1974 al la Consob in tema di vigilanza sull’emissione dei valori mobiliari, con specifico riguardo al controllo su completezza e veridicità dei prospetti informativi. L’esegesi dell’art. 18 della legge istitutiva mostra che i parametri della completezza e veridici tà devono essere valutati con riferimento alle disposizioni adottate dalla medesima Consob. Ma tali disposizioni non saranno altro che il frutto di una valutazione discrezionale, attraverso la quale l’autorità indipendente individua le informazioni da esternare al pubblico, nonché le relative modalità di espressione, che siano tali da garantire massima protezione al risparmio, intereresse pubblico sotteso all’art. 47 Cost. 244 Ancora, l’art. 4 l. 287 del 1990 conferisce all’ Antitrust il potere di autorizzare, temporaneamente, deroghe al divieto di concentrazione se ne deriva un beneficio per i consumatori, fatto salvo il potere di revoca in caso di abuso. Anche in questo caso, la scelta dell’amministrazione è strumento di (discrezionale) composizione degli inte ressi concreti sottesi M. Manetti, Poteri neutrali , cit., 91 e 157 ss. Si potrebbe sostenere che la violazione del principio di legalità sia esclusa dal fatto che la disciplina comunitaria assolva alle funzione sottratta alla legislazione interna, determinando principi e criteri direttivi dell’agire delle au torità. L’obiezione, però, da un lato peccherebbe di ottimismo, poiché non in tutte le materie di competenza delle diverse autorità indipendenti esiste una normativa comunitaria immediatamente applicabile; dall’altro, dovrebbe comunque tenere presente che la norma comunitaria in contrasto con principi fondamentali e diritti inviolabili è incostituzionale, sicchè l’atto dell’autorità indipendente su essa fondato diviene illegittimo. 244 La disciplina ha dato luogo alla nota sentenza 3 marzo 2001 n. 3132, con la quale la Corte di Cassazione ha condannato la Consob al risarcimento dei danni per violazione dell’obbligo di controllo in esame. Può leggersi il prescedente in Giur. cost., 2001, 3021, con nota di M. Mengozzi, Un caso di responsabilità civile della Con sob, la quale acutamente osserva che “la determinazione di quali elementi dell’operazione debbano essere resi noti nel prospetto […] non potrà non implicare un bilanciamento rispetto all’esigenza di riservatezza dell’impresa ed alla libertà d’iniziativa ec onomica garantita dall’art. 41 Cost.” ( op. cit., 3041). 242 243 92 alla ipotesi di concentrazione con il superiore interesse della concorrenza. Il vero è che l’assunto per il quale “i poteri delle autorità di regulation evadono completamente dal modello dei poteri amministrativi, per configurarsi come poteri di decisione politica” 245 impone una scelta di metodo. Se si guarda alla disciplina positiva delle singole autorità, può anche condividersi la conclusione che le stesse siano investite di un’attività di scelta in ordine al bilanciamento fra interes si, con un labile rapporto con il potere legislativo e senza alcuna relazione con il potere esecutivo. In questo modo, dovrebbe escludersene la natura amministrativa, atteso che i relativi limiti di legittimità sono ampiamente violati. Se, invece, si parte dal presupposto che “è attività amministrativa tutto ciò che non è di competenza né dei giudici né delle Camere” 246 e che “l’attuazione del valore della imparzialità ex art. 97 Cost. non è in grado di assicurare alle autorità indipendenti un regime derogato rio rispetto a quello applicabile alla p.a., che su tale valore intieramente si fonda” 247, allora l’analisi del diritto positivo deve essere finalizzata ad individuare il regime giuridico complessivamente applicabile, nonché i poteri e le funzioni illegittimi in quanto non compatibili con la natura, appunto, amministrativa dell’istituzione. In sostanza, delle due, l’una: o si afferma la natura politica delle autorità indipendenti, con ogni conseguenza sul piano della legittimità costituzionale delle relative leggi istitutive, oppure se ne postula la natura di organi amministrativi, rileggendone la disciplina positiva al fine di costringerla entro lo schema costituzionale. La giurisprudenza più recente è orientata nel senso di riconoscere la natura amministrativa delle autorità indipendenti 248. Ne discende, secondo la più autorevole dottrina 249, l’applicabilità della disciplina generale che governa l’agire della pubblica amministrazione, per come stratificata nei molteplici e spesso disorganici interventi legislativ i, nonché da questi desunta in via interpretativa. 250 M. Manetti, Autorità indipendenti , cit., 9. G. Morbidelli, Sul regime amministrativo delle autorità indipendenti , in Le autorità indipendenti nei sistemi istituzionali ed economici , cit., 150. 247 M. Manetti, Autorità indipendenti: tre significati per una costituzionalizzazione , in Studi in onore di Leopoldo Elia , Giuffrè, Milano 1999, II, 896. 248 Cfr. Cons. St., sez. IV, 14 marzo 2000, n. 1348; Cons. St., Commissione Consultiva Speciale, 29 maggio 19 98, n. 988, in Cons. St., I, 1998, 1483; Cons. St., sez. IV, 30 settembre 1994, n. 1467; Tar Lazio, 15 aprile 1999, n. 873, in I Tar, 1999, I, 1623. 249 M. D’Alberti, Autorità indipendenti , cit., per il quale, poiché “le autorità indipendenti sono pur sempre riconducibili alla categoria delle pubbliche amministrazioni, è da ritenersi che valgano i principi sull’organizzazione e sull’azione amministrativa, ed anche le regole generali in materia, ma solo in via d’integrazione rispetto alla normativa speciale”; G. Morbidelli, Sul regime amministrativo , cit., 168 ss., a giudizio del quale “la natura amministrativa consente di ritenere applicabile alle autorità indipendenti tutto quel corpus di principi che caratterizzano il ‘regime amministrativo’, salvo espressa deroga disposta o autorizzata con legge”. In senso adesivo, P. Lazzara, Autorità indipendenti , cit., 100 ss. 250 Il che, per altro, risolve in nuce il problema della procedimentalizzazione delle autorità amministrative – analogo a quello che, nel contesto s tatunitense, portò all’approvazione del Administrave Procedure Act – atteso che la l. 241 del 1990 deve ritenersi applicabile ad esse 245 246 93 11.4 La responsabilità politica delle e per fatto delle autorità amministrative indipendenti. Le authorities sono organi amministrativi 251, pertanto in rapporto con il Governo ai sensi dell’art. 95 Cost.; ma sono anche indipendenti, ossia sottratte al potere di direzione e di indirizzo esercitato sulla pubblica amministrazione, ai sensi della medesima disposizione costituzionale. Lo sganciamento delle autorità indipendenti dal circuito democratico rappresentativo può tradursi in un duplice ordine di problemi. Se si sostiene che si tratti di istituzioni formalmente neutrali ma sostanzialmente politiche, allora sarà necessario interrogarsi in ordine agli strumenti attraverso i quali esercitare su esse una form a di controllo o di razionalizzazione 252 e, se del caso, farne valere la relativa responsabilità politica. Se, di contro, si muove dal riconoscimento della organicità rispetto alla pubblica amministrazione, escludendo altresì che esse possano costituire un nuovo potere dello Stato 253, allora sarà necessario posare l’attenzione autorità, in quanto disciplina generale dell’attività amministrativa, pur se con l’esclusione di cui al capo III della med esima legge (atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione). In merito, v. G. Morbidelli, Sul regime amministrativo , cit., 216 ss. 251 Ma non “a statuto speciale”, ossia sganciate dalla politica per la particolare connessione con i diritti costituzionali od i settori sensibili. V., per una critica a questa tesi, M. Manetti, Autorità indipendenti , cit., 9. 252 In questa ottica, M. Manetti, Poteri neutrali , cit., 226 s. pone l’accento sulle tecniche di organizzazione e di funziona mento, ritenendo determinanti i momenti dell’investitura, “che deve avere una funzione (non di neutralizzazione ma) di integrazione tra i soggetti istituzionali e/o le forze politiche” e l’apertura alla società, “che deve essere massima, attraverso il rico rso ad un tipo di procedimento (non tanto garantistico quanto) partecipativo.” 253 Le Autorità amministrative indipendenti sono certamente un complesso di organi che esercitano specifiche funzioni pubbliche, ma è assai controverso che possa ad esse attribuir si la qualifica di (nuovo) potere dello Stato (in senso contrario, v. A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale , Cedam, Padova 2003, 262 s.). Ove si accedesse ad una lettura evolutiva della originaria teoria della tripartizione dei poteri dello Stato, riconoscendo che quello (presunto) ‘neutrale’ delle Authorities ne costituisca una nuova ed ulteriore forma, sul piano degli strumenti di controllo sugli atti della Autorità indipendenti si avrebbe la immediata (ed imprescindibile cons eguenza) della ammissibilità del conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale. In questa sede, comunque, non è possibile che assumere come un postulato il fatto che le Autorità indipendenti non siano un potere dello Stato, riservando ad altr a sede un più approfondito esame della tematica. La Corte costituzionale, comunque, si è espressa in questo senso già nella ord. n. 226 del 1995, in Giur. cost. 1995, …., dichiarando inammissibile il conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato solleva to dai promotori dei referendum presentati in materia di commercio, di elezioni comunali e di contributi sindacali (ammessi dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 3, 4, 10 e 13 del 1995), con riferimento all’allora Autorità per la radiodiffusione e l’editoria (nonché del Governo), atteso che “le attribuzioni del Garante, disciplinate dalla legge ordinaria […] non assumono uno specifico rilievo costituzionale né sono tali da giustificare, nonostante la particolare posizione di indipendenza riservata all’organo nell’ordinamento – il riferimento all’organo stesso della competenza a dichiarare in via definitiva la volontà di uno dei poteri dello Stato”. Una siffatta interpretazione è stata ribadita nella ord. n. 137 del 2000, in Giur. cost., 2000, 560, o ve la Corte costituzionale ha nuovamente affermato che l’Autorità per le 94 sul ruolo del Governo e sulla connessa responsabilità per le autorità indipendenti. Si tratta, in questo caso, di un tentativo di determinazione di un difficile equilibrio fra esigenze di indipendenza e responsabilità per l’unità d’indirizzo politico ed amministrativo. Il presupposto dal quale si deve muovere, però, è che la crisi delle istituzioni ed il crollo della fiducia del cittadino nella politica è un fenomeno transeunte (così come lo è stato nell’esperienza statunitense) che avrà a ripetersi – ammesso che questa fase non sia già in atto – anche nei confronti delle authorities stesse. Ne segue che, prima di inventare dal nulla una rivoluzione forse non necessaria, non può rinunciarsi a tentare una rilettura “classica” dei rapporti fra autorità, Governo e Parlamento (nonché Unione Europea), pur correndo in tal modo il rischio di essere tacciati di restaurazione. Prendiamo le mosse dai criteri di nomina dei commissari delle autorità indipendenti che, previsti nelle relative leggi istitutive, dovrebbero garantirne l’indipendenza. 254 In tali criteri non v’è alcuna uniformità, pur se possono distinguersi a seconda che il Governo abbia o non un ruolo (più o meno rilevante) nel procedimento. Al primo gruppo appartengono: l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nominata dai presidenti delle Camere (art. 10 l. 287 del 1990); la Commissione di Garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, nominata con d.P.R., su designazione dei presidenti delle Camere (art. 12 l. 146 del 1990); il Garante per la tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, i cui commissari sono nominati due dalla Camera e due dal Senato, ed eleggono essi stessi un presidente (art. 30 comma 3 l. 675 del 1996). Al secondo gruppo appartengono: la Commissione nazionale Società e Borsa, nominata con d.P.R. su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio de i Ministri e con facoltà delle Commissioni parlamentari competenti di procedere all’audizione delle persone designate (art. 1 l. 281 del 1985); l’Istituto di Vigilanza per le assicurazioni, il cui presidente è nominato con d.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’industria (artt. 10 -12 l. 576 del 1982); l’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, i cui commissari vengono eletti metà (quattro) dalla Camera e metà dal Senato, con voto limitato, mentre il P residente è nominato con d.P.R., su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, d’intesa con il Ministro delle comunicazioni, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti; l’Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità nei set tori dell’energia elettrica e del gas, della quale il presidente ed i due membri sono nominati con d.P.R., previa garanzie nelle comunicazioni esercita attribuzioni “disciplinate dalla legge ordinaria” e pertanto prive “di uno specifico rilievo costituzionale, quindi non idonee a fondare la competenza della medesima a dichiarare definitivamente la volontà di uno dei poteri dello Stato”. 254 Notevoli dubbi di legittimità costituzionali sono stati sollevati, in ordine ai criteri di nomina delle authorities, da G. Morbidelli, Sul regime amministrativo , cit., 182 ss. 95 deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro competente e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari (art. 2 l. 481 del 1995). L’esame di tali discipline induce notevoli perplessità, poiché pare evidente che in tutti i casi di nomina con decreto del Presidente della Repubblica, tale atto è sostanzialmente governativo, pur se talvolta temperato dal preventivo pa rere – per altro non vincolante – delle Commissioni parlamentari. Se a ciò si aggiunge che il passaggio dal sistema proporzionale a quello maggioritario, determina inevitabilmente una notevole attenuazione della neutralità e terzietà dei presidenti delle C amere, ne discende – in uno alla inutilità della dicotomia sopra recepita – che l’indipendenza delle autorità in esame è assai poco garantita nel concreto della disciplina positiva. 255 Sarebbe allora opportuno – proprio per mantenere quella neutralità che larga parte della dottrina difende a spada tratta – che la nomina avvenisse con atto sostanzialmente presidenziale e, conseguentemente, fosse sottratta all’influenza dell’esecutivo, la stessa genesi delle authorities. 256 In tal modo avremo organi indipendenti nelle proprie deliberazioni, ma che in quanto amministrativi non possono porre in essere atti di indirizzo politico. Più precisamente, non possono tenere un contegno che presenti una distonia rispetto all’indirizzo politico governativo. Laddove ciò accada il Governo, pur difettando di una legittimazione in punto di nomina dei componenti, sarà chiamato a garantire l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, non attenuandosi in alcun modo la relativa responsabilità ex art. 95 Cost. Cfr. M. Manetti, Poteri neutrali , cit., 4 s. Anche A. D’Atena, Costituzione ed autorità indipendenti: il caso della Commissione di garanzia nell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali , in Le autorità indipend enti nei sistemi istituzionali ed economici , cit., 276, ritiene che “una riconsiderazione complessiva dell’intera normativa [inerente la nomina dell’autorità] è imposta dalle trasformazioni intervenute nel quadro della rappresentanza e, in particolare, dal l’avvento della nuova legislazione elettorale. In tale nuovo contesto, infatti, si riduce sensibilmente la garanzia che la congiunta designazione dei componenti ad opera dei Presidenti delle Camere mantenga il carattere bipartisan che in precedenza le si poteva riconoscere.” Per avere la corretta misura degli effetti sostanziali che discendono dal criterio di nomina del Presidente e dei membri delle autorità indipendenti, si pensi al Testo approvato definitivamente il 13 luglio 2004 dalla Camera dei Deputat i, recante norme in materia di risoluzione dei conflitti d’interesse. Quivi, sancita l’incompatibilità (art. 2) fra carica di governo ed uffici pubblici o privati, nonché attività di gestione di imprese pubbliche o private, viene accordato all’Autorità Gar ante della Concorrenza e del Mercato (art. 6) ed alla Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni (art. 7) una funzione di vigilanza volta a reprimere eventuali abusi. Premesso che tale funzione potrà essere esercitatile solo decorsi trenta giorni dall’ad ozione delle procedure istruttorie e dei criteri di accertamento che ciascuna Authorities è chiamata a darsi, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge (artt. 7 comma 5 e 10 comma 2; donde il rischio di un atteggiamente dilatorio nell’eserciz io di tale attività), appare quanto meno singolare che, in specie per l’Autorità per le garanzie nelle comunicazione, proprio un organismo presieduto da un soggetto designato dal Presidente del Consiglio sia chiamato ad accertare se un’impresa che agisca nell’ambito della comunicazione abbia o non fornito un “sostegno privilegiato al titolare di cariche di governo” (per esemplificare, il Presidente del Consiglio). 256 In questo senso, A. Pace, Problematica, cit., 265 s. 255 96 Ma quali gli strumenti nella disponibilità dell’esecutivo, funzionali all’esercizio di tale compito? Non esiste più il potere generale d’annullamento degli atti amministrativi illegittimi, previsto dall’art. 6 T.U. l. com. prov. n. 383 del 1934, poiché abrogato (salvo l’art. 19 , oggetto di una peculiare sorte) dall’art. 274 d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, forse proprio perché si trattava di una misura tipica “di un’amministrazione accentrata che non c’è più, e quindi sia da ritenersi in distonia con l’amministrazione policentric a”. 257 Resta, però, il generico potere d’annullamento previsto dall’art. 3 lett. p) l. 23 agosto 1988, n. 400, a mente del quale “Sono sottoposti alla deliberazione del Consiglio dei ministri: […] p) le determinazioni concernenti l'annullamento straordinario, a tutela dell’unità dell'ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi, previo parere del Consiglio di Stato e, nei soli casi di annullamento di atti amministrativi delle regioni e delle province autonome, anche della Commissione parlamentare per le questioni regionali”. La Corte costituzionale, dichiarando l’incostituzionalità di tale disposizione nella parte in cui estendeva il potere di annullamento anche agli atti delle regioni e delle provincie autonome 258, ha riconosciuto che “Il potere in questione si presenta […] incostituzionale ove venga esercitato nei confronti delle Regioni, ordinarie e speciali, e delle province autonome, in quanto incompatibile con la natura stessa della loro autonomia, così come definita nel disegno del titolo V della par te seconda della Costituzione”. Ma se è proprio il fondamento costituzionale dell’autonomia ad escludere un così generale ed incondizionato potere d’intervento governativo, ciò significa che il medesimo principio non è applicabile nei confronti delle Autorità amministrative indipendenti, l’autonomia delle quali non trova un espresso riconoscimento costituzionale. Laddove, poi, la nomina delle Autorità stesse avvenga con il determinante concorso del Governo, inoltre, esso mantiene la facoltà di revoca delle autorità indipendenti, non già per ragioni di opportunità politica (chè altrimenti ne sarebbe vanificata l’indipendenza), bensì quale misura sanzionatoria di comportamenti illegittimi. 259 Possono poi darsi casi in cui le modalità di esercizio delle relative attribuzioni da parte della autorità indipendenti, oltre a presentare una significativa distonia rispetto all’indirizzo politico del Governo, finiscano con l’indurre per quest’ultimo una condizione di grave ed irreparabile danno , per utilizzare una termin ologia processualistica. Ricorrendo i presupposti della necessità ed urgenza, il Governo potrà allora intervenire con decreto legge al fine di garantire l’unità di indirizzo politico ed amministrativo. Anzi, se è vero che l’adozione del decreto legge avviene, da parte dell’esecutivo, “sotto la propria responsabilità”, non vi sono ragioni per escludere che detta responsabilità ancor più si G. Morbidelli, Sul regime amministra tivo, cit., 178, il quale si era espresso per l’applicabilità al caso di specie. Si notino le affinità rispetto al potere di veto del Congresso nel sistema statunitense, pur sorretto da una diversa ratio. 258 Corte cost., 21 aprile 1989 n. 229, in Giur. cost. 1989, …. 259 In questo senso, G. Morbidelli, Sul regime amministrativo , cit., 189 ss. 257 97 generi in ragione di un contegno omissivo, ossia per la mancata adozione del provvedimento con forza di legge. Si pensi all’ipotesi in cui il mancato esercizio del potere di regolazione tariffaria da parte dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni – o di quello di sanzione di intese restrittive della concorrenza, da parte dell’Antitrust – determini un innalzamento dei prezzi nel rispettivo mercato di riferimento, con grave lesione per la libertà d’impresa dei concorrenti e per i diritti degli utenti stessi. Più concretamente, si pensi a quanto avvenuto per effetto della mancata determinazione, da parte dell’Autor ità per le garanzie nelle comunicazioni, della data decorsa la quale le emittente televisive che operavano senza concessione sarebbero state obbligate a trasmettere solo via satellite. Tale contegno, infatti, ha segnato profondamente l’indirizzo politico in materia di radiotelevisione – per lo meno quello formalmente desumibile dai provvedimenti in subiecta materia – con grave responsabilità politica del Governo verso il Parlamento, a cagione della mancata adozione di un decreto legge determinativo della su ddetta data. Ove, di contro, non ricorrano i presupposti di necessità ed urgenza, v’è sempre la possibilità di intervenire, contro atti od omissioni delle autorità indipendenti lesive dell’indirizzo politico, tramite la proposizione di un disegno di legge di riforma della relativa disciplina, pur se con tutti i limiti evidentemente connessi a tale più lunga e farraginosa soluzione. 260 Si tratta, invero, di una serie di strumenti giuridici di per sé forse difficili da impiegarsi e nel complesso poco rilevanti, ma cui è connesso un significativo rilievo politico, che riposa su un principio cardine: responsabilizzare il Governo per l’operato delle autorità indipendenti, salvando l’art. 95 Cost. e costringendo tutti gli organi costituzionali coinvolti – Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, Consiglio dei Ministri, Presidenti delle Camere e Camere stesse – ad un’intensa attività di mediazione politica, tesa a determinare precisi argini di opportunità nelle modalità di esercizio delle funzioni di gar anzia, regolazione e controllo. Principio, questo, che a sua volta trova fondamento su un postulato fideistico: la fiducia nel ruolo della politica, momento di libera sintesi degli interessi della comunità, da esplicarsi entro i parametri dettati dalla Costituzione. Una fiducia che forse non è ancora il momento di perdere. Nel senso che come “ estrema ratio”, fra gli strumenti disponibili dal Governo per contrastare l’azione delle autorità indipendenti, senza con ciò lederne l’indipendenz a stessa, dovrebbe annoverarsi il rimedio del decreto legge, v. G. Morbidelli, Sul regime amministrativo , cit., 199, in specie con un esemplificativo riferimento a “iniziative indispensabili per dare seguito a impegni internazionali, o per indilazionabili esigenze di finanza pubblica”. 260 98