LIBERTA’ ED EGUAGLIANZA NEL
DIRITTO PUBBLICO DELL’ECONOMIA
1. La nozione di mercato e di costituzione economica, per una teoria
costituzionale del diritto pubblico dell’economia. 2 . La politica ed i diritti
costituzionali nel processo d’integrazione euro pea. Il problema
definitorio e la sfida dell’ordinamento europeo . 2.1 Le regole
dell’integrazione comunitaria sul piano della tutela dei diritti, anche
sociali. 2.2 I diritti anche sociali nell’ordinamento europeo: una
comparazione normativa e giurisprudenziale. 2.3 La politica sociale
europea: rappresentanza sovrastatuale o intergovernativa? 3. La
rivoluzione francese e l o stato di diritto liberale. – 4. Il liberalismo e lo
stato di diritto. 5. Stato liberale di diritto nella Germania del
diciannovesimo secolo. 6. Stato di diritto e stato socia le di diritto in E.
Fhorstoff. – 7. La programmaticità dei diritti sociali. Il contrasto fra
libertà ed eguaglianza e le esigenze finanziarie dello Stato. La c.d. riserva
del ragionevole e del possibile. – 8. Le tecniche decisorie della Corte
costituzionale nell’attuazione dei diritti sociali. – 9. Un’esemplificazione
sul piano dei diritti “che costano”: i l diritto alle prestazioni mediche
come diritto sociale e diritto civile. D ifferenze strutturali e
contenutistiche – 10. I livelli essenziali delle prestazioni inerenti diritti
civile e sociali: l’art. 117 comma 2 lett. m) Cost. – 11. Le Autorità
amministrative indipendenti: dal principio di legalità al principio di
efficienza nell’intervento pubblico nell’economia. – 11.1 La crisi dello
Stato-imprenditore e l’erompere delle Autorità amministrative
indipendenti. – 11.2 L’esperienza statunitense e quella italiana: la genesi
delle autorità indipendenti. – 11.3 La natura delle autorità indipendenti e
la loro collocazione nell’ordinamento giuridico. – 11.4 La responsabilità
politica delle e per fatto delle autorità amministrative indipendenti.
1. La nozione di mercato e di costituzione economica, per una
teoria costituzionale del diritto pubblico dell’economia.
Il sintagma ‘Costituzione economica’ è usualmente impiegato quale
formula riassuntiva delle disposizioni costituzionali in materia
economica, ossia dettate (Parte prima, titolo terzo) in tema di proprietà
(art. 42 Cost.) specie terriera (art. 44 Cost.), impresa (ar t. 41 Cost. riserva
originaria ed espropriazione (art. 43 Cost.), cooperazione e risparmio
(artt. 45 e 47 Cost. ) e lavoro (artt. 4 e 35 -40 Cost.).
Tale nozione è stata dilatata 1 sino a ricomprendere sia la legislazione di
“rilevanza costituzionale” (si pen si alla l. 10 ottobre 1990, n. 287 od al
d.l. 11 luglio 1992, n. 333, conv. in l. 8 agosto 1992, n. 359), sia i
mutamenti della pubblica opinione posti in relazione necessaria e
biunivoca con l’evoluzione della normativa dallo Stato liberare allo Stato
sociale. Da ultimo, in un’ulteriore e più ampia accezione, la Costituzione
1
S. Cassese, La nuov a c ostituz ione ec onomic a , L aterza, Bari 2011, 3 ss.
1
economica può essere indagata anche in ordine alla prassi applicativa ed,
in particolare, quella amministrativa.
La nozione meramente descrittiva di Costituzione economica, si
accompagna ad un’altra lettura, tendente ad attribuire all’economia
autonomia e rilevanza fondante dell’intero quadro costituzionale, in tal
modo ipostatizzando il mercato quale elemento ordinatore – principale,
se non esclusivo – della stessa forma di Stato.
Entrambe tali letture delle disposizioni costituzionali in materia
economica sono state autorevolmente criticate 2 la prima siccome
lessicalmente confusoria e sostanzialmente priva di “pregio euristico”
atteso che la Costituzione è un tutto unitario; la seconda giacchè in
contraddizione con l’effettivo e reale impianto costituente, fondato su
una composizione tra libertà ed eguaglianza che reagisce direttamente
sulla disciplina costituzionale dell’economia, vincolandone la lettera –
così come l’interpretazione – all’esigenza di apprestare garanzia alle
libertà economiche nell’attuazione del principio di eguaglianza
sostanziale e, dunque, in uno alla parallela tutela dei diritti sociali.
Esclusa, correttamente, la possibilità di isolare la disciplina costituzional e
dell’economia dal residuo della Carta fondamentale, il dubbio su quale sia
la decisione politica fondamentale sul piano dei rapporti economici deve
essere necessariamente sciolto attraverso un’interpretazione sistematica
del testo costituzionale, nelle m olteplici interazioni che di esso sono
tratto essenziale, poiché “Il modello di struttura economica disegnato in
Costituzione è […] intimamente legato al sistema costituzionale dei
rapporti sociali e politici”. 3
Non sembra appagante la tesi, pur autorevol mente sostenuta 4, della
natura anfibologica dell’art. 41 Cost., asseritamente suscettibile di essere
interpretato
evolutivamente
in
opposte
direzioni,
essendone
indeterminato il nucleo politico centrale. In tal modo, infatti, il reale e
condivisibile dato della natura compromissoria della Carta costituzionale,
in specie in punto di normazione dei rapporti economici, viene letto in
chiave olistica ed eccessivamente relativistica.
La Costituzione è un compromesso in cui si giunge ad una sintesi, di
posizioni anche contrapposte, che ha piena dignità di valore e traduce in
norma una decisione politica fondamentale, della quale è lecito e
doveroso cogliere la sostanza attraverso gli stessi atti dell’Assemblea
costituente.
Assumono peculiare rilievo, a tal fine, d a un lato le sorti
dell’emendamento Montagnana, Paietta ed altri (discusso nella seduta del
9 maggio 1947) 5, teso ad introdurre nell’art. 31 del progetto di
Costituzione (attuale art. 4 Cost.) il riconoscimento del potere dello Stato
di dirigere l’attività economica privata attraverso una pianificazione tesa
2
M. L uciani, Ec onomia nel diritto c ostituz ionale , voce in Digesto delle discipline pubblicistiche , Torino,
Utet 2005, V, 373 ss.
M. L uciani, Ec onomia , op. c it., 376.
E. Cheli, Libertà e limiti dell’iniz iativ a ec onomic a priv ata nella giurisprudenza della Corte c ostituzionale e
nella dottrina , in Rassegna di diritto pubblic o , 1960, 303. In senso con forme, P.G. Jaeger, Priv atizzazioni.
I) Profili generali , in Eng. Giur. Trec c ani , XXIV, Roma, 1995, 1.
5 Atti Costituente , 9 maggio 1947.
3
4
2
a conseguire il “massimo rendimento per la collettività”; dall’altro,
l’emendamento Lombardi, (discusso nella seduta del 16 ottobre 1946) 6,
finalizzato a garantire la sola “proprietà gestita da condutto ri, lavoratori
diretti o da cooperative.”
Gli interventi dei Costituenti consentono di ricostruire occhiutamente il
sistema dell’economia “mista”, quale momento di sintesi fra le culture
cattolica, socialista e liberale.
Il tentativo di costituzionalizzazi one del dirigismo statale non giunge a
buon fine proprio perché la struttura economica recepita nella lettera
dell’art. 41 Cost. è quella liberista che, pur assoggettando l’iniziativa
economica privata alla programmazione pubblica, non ne nega la natura e
struttura di diritto di libertà. 7
Negare la possibilità di pianificare non vuol dire, però, accogliere una
nozione ultraliberistica di mercato: l’economia pianificata cui la
Costituente ha rifiutato è quella in cui “gli elementi libertà individuale e
libertà economica non trovano aiuto nello Stato come in un medico ”,
bensì quella in cui “il signor medico mi diventa l’artefice di un
meccanismo, il vivo organismo economico mi diventa un orologio, gli
operatori economici mi divengono pupazzi mossi artificiosa mente dal di
fuori, privi di quelle molle interiori che sono operose solo nella libera
economica” 8.
Per economia pianificata s’intende “non una economia con interventi non
stupidi dello Stato (perché nessuno vuole avere da fare con gli stupidi,
soprattutto quando questi stupidi hanno miliardi da incassare e da
spendere). Ma un’economia nella quale lo stato non sia un medico, ma
unico artefice, o meglio ancora una economia nella quale lo Stato non è
un artefice fra gli altri artefici ma un Podrecca che muov e le marionette
del mondo dell’economia, o che riduce gli operatori economici a meri
esecutori tecnici delle proprie decisioni”. 9
Atti Costituente , 16 ottobr e 1946, 254.
In questo senso, A. Pac e , Problematic a delle libertà c ostituzionali. Parte spec iale . II ed ., Ced am, Pad ova
1997, 457 ss., e vid e nziand o c he la gar anzia costituzionale d ella libertà d i iniziativa economica
privata, avend o e ssa ad ogge tto l’attività economica nel suo complesso, concerne sia l’atto iniziale
d i d estinazione d e i c apit ali al pr oc e sso prod uttivo che lo svolgimento d ell’impresa. Nel med esimo
senso G. Morbid e lli, voc e Iniz iativ a ec onomic a priv ata , in Enc . giur ., Ist. Enc. It., Giuffrè, Milano
1973, X VII, il quale , r ic onosc iuto c he “l’art. 41 costituisce il card ine d i un si stema d i economia
mista”, pur se or mai pr ivo d e l c ar atte r e d i d iritto fond amentale allo sviluppo d ella personalità
umana, acquisito a se guito d e lle r ivoluzioni borghesi, ritiene non possibile d istinguere tra l’atto d i
iniziativa e lo svolgime nto d e ll’attiv ità economica, stante un “preciso connubio sintattico” fra lo
svolgersi e l’intr apr e nd e r si d e ll’attività stessa ed il d ato empirico che l’imprend itore già al momento
d i intraprend ere l’attività tie ne in d e bito conto il sistema d ei limiti che ne riguard ano l’esercizio.
L a tesi d ella d iffe r e nza fr a il libe r o atto d i intrapresa economica ed il cond izionato suo
svolgimento, già soste nuta d a C. Esposito, La Costituzione italiana. S aggi. , Ced am, Pad ova 1954, 184
ss., è stata autor e volme nte sviluppata d a M. L ucian i, La produzione ec onomic a priv ata nel sistema
c ostituzionale , Ce d am, Pad ova 1983, 140, il quale ne ricava che “menhtre lo svolgimento d ell’attività
e conomica privata può e sse r e anc he oggetto d i limiti positivi, e cioè d i veri e propri obblighi d i
‘facere’ , lo stesso non può ac c ad e r e pe r l’atto d i iniziativa” (Id . Ec onomia , op. cit., 380). In senso
analogo, A. Bald assar r e , Iniz iativ a ec onomic a priv ata, in Enc . dir., XXI, Giuffrè, Milano 1971, 594.
8 C. Esposito, inte r ve nto al Conve ngo d i stud i sul tema La pianific azione ec onomic a e i diritti della
persona umana , in S c ritti giuridic i sc elti , III, D iritto c ostituzionale repubblic ano , Jovene Ed itore, Napoli
1999, 88.
9 C. Esposito, op. ult. c it., 89.
6
7
3
Escludere la pianificazione non significa, dunque, relegare le dinamiche
del mercato nell’alveo dell’irrazionale o, per dirla con Esposito, nel
mondo della stupidità.
Significa piuttosto consentire un intervento statale, di regolamentazione
delle attività economiche, che consenta quel razionale coordinamento ed
indirizzo necessario al fine di garantire efficienza nel mercato, ma senza
far perdere alla iniziativa economica privata quella dimensione di libertà
che i limiti dell’art. 41 comma 2 Cost. non possono ridurre in chiave
meramente funzionale, mantenendo una valenza esterna rispetto alla
situazione giuridica soggettiva.
In questa ottica, è ben vero che la Costituzione economica presenta un
indiscusso rapporto con le disposizioni costituzionali che prevedono i
diritti sociali 10, in considerazione dell’efficacia del principio di
eguaglianza sostanziale ex art. 3 comma 2 Cost., ma ciò non può
spingersi sino a ritenere funzionalizzata al benessere collettivo l’attività
economica, assumendo un principio di subordinazione, sempre e
comunque, dell’interesse individuale del privato rispetto alle esigenze
sottese ai limiti di cui all’art . 41 comma 2 Cost. 11
Sarebbe, però, un peccato di superficialità ritenere che la negazione della
pianificazione in senso più strettamente socialista sia il precipitato della
sola cultura liberale (o cattolica) espressa in Assemblea costituente.
Come acutamente rilevato 12 fu proprio Palmiro Togliatti a votare in senso
contrario all’emendamento Lombardi, in ragione del fatto che la
Costituzione italiana non si risolveva – neanche nell’interpretazione
comunista – in uno strumento di lotta avverso la libertà econ omica e la
proprietà privata di rivoluzionaria memoria in quanto tali, bensì avverso
le degenerazioni monopolistiche giudicate estremamente lesive
dell’economia e della stessa politica nazionale.
In sostanza, v’era una tendenziale uniformità d’intenti, nel l’intero arco
costituzionale, nel dettare le regole della c.d. Costituzione economica:
l’esigenza diffusa era quella di formalizzare un sistema di economia mista
(pubblico e privato), assoggettata ad un’attività di regolazione, vigilanza e
In questo senso, e splic itame nte , M. L uciani, La produzio ne ec onomic a , op. cit., 131 ss. Id , Ec onomia ,
op. cit., 377 e spe c ialme nte 378, ove si legge che “l’efficienza economica non è, in sé, un valore, e
la d isciplina d e ll’e c onomia c he la Costituzione vuole sia d ettata d al legislatore ord inario, non può
e ssere ispirata solo d all’inte nto d i pe r seguire scopi immed iatamente economici (aumento d ella
prod uzione, equilibr io finanziar io, e c c .) ma d eve essere invece guid ata d alla necessità d i attivare e
favorire il proc e sso d i tr asfor mazione sociale le cui grand i linee sono tracciate d all’art. 3 comma 2”,
c he d iviene il “ve r o e pr opr io toke n c ar atterizzante d ella nostra Carta fond amentale”.
11 L a tesi è in C. Mor tati, Il lav oro nella Costituzione , in Riv . dir. lav ., 1954, 149. Osserva G.
Morbid elli, Iniz iativ a ec onomic a priv ata , op. cit., 3 che d alla tesi d ella funzionalizzazione d ella libertà
d ’iniziativa economic a pr ivata d ovr e bbe d esumersi l’inaccettabile corollario che i limiti (in
particolare l’utilità soc iale ) c ostituisc ano l’essenza d ella libertà. L ’insigne Giurist a ritiene,
c onseguenteme nte , c he il sintagma d ir itto funzionale, nel caso d ella libertà d ’iniziativa economica,
sia sempliceme nte un’e spr e ssione linguistica il cui significato d eve essere valutato avuto riguard o
alla concreta d isc iplina positiva d e ttata, s ul piano legislativo ed amministrativo, in attuazione d ei
limiti costituzionali. Solo in c onc r e to, infatti, può comprend ersi l’effettiva portata d ei vincoli
d ettati all’attività e c onomic a.
12 M. L uciani , Ec onomia , op. c it., 376 e s. e nota 18.
10
4
controllo pubblica ma nel pieno rispetto della libertà costituzionalmente
tutelata. 13
Il che consente di cogliere meglio il significato della formul a “economia
sociale di mercato”, da autorevole dottrina 14 intesa come preclusiva di
uno sviluppo attuativo ipostatizzante una soltanto delle due componenti
essenziali, quella liberista e quella socialista.
Essa esprime l’esigenza di un compromesso fra libertà ed eguaglianza, da
intendersi però non già come “mediazione tra la realtà economica e un
determinato sistema di valori mor ali” 15, bensì come “bilanciamento tra lo
sviluppo sociale, il benessere sociale ed il progresso economico; tra
l’economia di mercato e la garanzia costituzionale dei diritti sociali e
dell’intervento pubblico in economia” 16.
Certo è che il mero riferimento a d un’esigenza di bilanciamento non
chiarisce le condizioni, i termini e le modalità di tale operazione di
composizione di contrapposte esigenze: il bilanciamento è una tecnica cui
occorre porre regole rigorose, al fine di non esporre i risultati di essa al la
critica di arbitrarietà.
La genesi storica della espressione economia sociale di mercato si colloca
nel dibattito giuspubblicistico tedesco della metà del secolo scorso e
coincide con il tentativo neoliberista, posto in essere dalla scuola di
Friburgo 17, di tentare una conciliazione fra Stato sociale ed economia
Di talchè i limiti le gislativi all’attività economica non potranno mai trad ursi in d iscipline che
e liminino qualsiasi possibilità d i pr od uzione d i utili nell’esercizio d ell’attività economica, giacchè in
tal mod o sarebbe inte gr alme nte sac r ificato il profilo d ell’inte resse ind ivid uale d el titolare (G.
Morbid elli, Iniz iativ a ec onomic a priv ata , op. cit., 4 e s., il quale evid enzia la coerente posizione d ella
Corte costituzionale ), pur se c iò non imped isce al legislatore d i provved ere alla
d eeconomicizzazione d e lle attivi tà, ossia al d ivieto d i esercizio privato siccome in inevitabile
c ontrasto con l’utilità soc iale , la libe r tà o la sicurezza (A. Pace, Problematic a, op. cit., 463 e s.).
14 G. Bognetti, La c ostituz ione ec onomic a , Giuffrè, Milano 1995, il quale conseguenteme nte ritiene che
l’intervento pubblic o ne ll’e c onomic a d e bba essere mod erato e tale d a non vanificare la garanzia
c ostituzionale d e lla iniziativa e c onomic a privata. L a preminenza d el momento d ella libertà rispetto
alla tutela d i inte r e ssi pubblic i o ge ne r ali è anche in G. Guarino, Pubblic o e priv ato nell’ec onomia. La
sov ranità tra Costituz ione ed istituz ioni c omunitarie , in Quad. c ost. , 1992, 39 s. L ’insigne Giurista d ubita,
pertanto, d elle limitazioni alla sovr anità d eterminate d al rapporto con l’Unione euro pea sul piano
d el governo d e ll’e c onomia. Giustific a tali limitazioni, ritenend ole al contrario costituzionalmente
obbligatorie, E. Chiti, Il Trattato sull’Unione europea e la sua influenza sulla Costituzione italiana , in Riv .
it. dir. pubbl. c omunitario , 1993, 355.
15 In questo se nso, L . Me ngoni, F orma giuridic a e materia ec onomic a , in D iritto e v alori , Il Mulino,
Bologna 1985, 156, il quale in ve r ità chiarisce che il riferimento ai valori morali non vale ad
introd urre un e le me nto me tagiur id ic o o semplicemen te antipositivistico nel compromesso
normativo, bensì e spr ime l’e sige nza c he il d iritto positivo legislativo non sia giud icato legittimo
siccome frutto d e ll’attività d i or gani a c iò preposti, bensì in quanto non in contrasto con le norme
c ostituzionali c he tali v alori for malizzano. In particolare, d iviene imprescind ibile il riferimento agli
artt. 2 e 3 Cost., ossia a d isposizioni che hanno, second o Mengoni, una peculiare struttura
normativa, non limitand osi a c olle gar e ad un fatto d eterminati effetti giurid ici, ma ponend o d elle
finalità rispetto alle quali e spr ime r e un giud izio d i conformità d ella normazione d i esse attuativa.
16 G. Bianco, Consideraz ioni su ordine pubblic o ec onomic o, Costituzione ec onomic a e diritto c omunitario della
c onc orrenza , in Arc h . G iur. F . S erafini , 1995, 183. Id ., Costituzione ed ec onomia , Utet, Torino 1999; Id .,
voce Costituzione ec onomic a , in D igesto. D isc ipline pubblic istic he , Agg. *, 259 ss. L ’Autore precisa che
tale esigenza d i c omposizione è e spr e ssa d al sintagma ord ine pubbli co economico, assumend o che la
libertà (d ’iniziativa e c onomic a) possa d ir si garantita sino a quanto non reagisca negativamente sulle
e sigenze sottese al pr inc ipio solid ar istic o che permea la nostra Carta fond amentale.
17 L a scuola d i Fr ibur go si ispir a alla filosofia d ell’ord oliberalismo, cosid etta d al norme d ella r ivista
ordo, costituita d al Suo fond ator e Walte r Eucken d urante il nazismo. Economisti come Ropke e
giuristi come Bohm soste ne vano l’e sige nza d i una d ecisione politica costituzionale che ponesse a l
mercato un quad r o istituzionale e ntr o il quale operare, quale ord ine giurid ico. Quest’ultimo
13
5
attraverso la creazione , però, di un sistema economico autoreferenziale
rispetto alla società e su di essa prevalente.
L’intervento pubblico nell’economia che la scuola di Friburgo giunge ad
ammettere, infatti, è sempre vincolato dalla presupposta superiorità
dell’economia sulla politica e da un’ottimistica visione della tendenziale
affermazione dell’uomo come individuo attraverso gli istituti e le
tecniche dell’economia.
L’inveramento della econom ia sociale di mercato nella Costituzione
italiana, conseguentemente, appare in distonia risp etto alla epifania del
concetto.
Non già per l’affermazione della necessità costituzionale del mercato e
dell’economia capitalistica, che appare recepita nella stru ttura portante
della Carta fondamentale ; piuttosto, per il postulato della separazione fra
economia e diritto, da un lato, e la sostanza e la misura dell’intervento
pubblico nell’economia, dall’altro.
La dinamica storica, del resto, costituisce prova prova ta di tale
discrimine, atteso che, a Costituzione invariata, l’economia italiana ha
potuto vivere la stagione della riserva originaria ex art. 43 Cost., delle
nazionalizzazioni e della legislazione di pianificazione, in uno a quella
delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni. Ma ciò è accaduto non
perché le disposizioni costituzionali siano anfibologiche, nel senso già
criticato, bensì per la loro relativa elasticità, che esprime essa stessa il
significato della composizione dell’economia di mercato con il principio
dell’eguaglianza sostanziale; dei diritti di libertà con i diritti sociali.
Il postulato della separazione fra economia e politica non trova spazio
nella Costituzione italiana perché essa non recepisce il postulato del
mercato come ordine naturale, fondato su regole non giuridiche ed
autoreferenziali.
Come puntualmente chiarito dalla più attenta dottrina 18 la dinamica
economica non può essere avulsa dalla decisione politica, espressa nella
norma come strumento di ordinazione del mercato.
Lo scambio, quale categoria economica essenziale, è governato da una
molteplicità di regole che ne costituiscono sistema fondante. L’atto
economico si svolge nel quadro della decisione normativa sullo spazio e
sul tempo: luoghi, modalità, tempi, condizioni della relazione di scambio
c onsente d i d istingue r e il libe r o me r c ato d al capitalismo: l’intervento statale nell’economia non d eve
e ssere mero d ir igismo ma d e ve avve nir e nel rispetto d ell’a utonomia d elle regole d el mercato; tale
intervento è finalizzato ad e sc lud e r e che la libertà economica possa tracimare in eccesso
c apitalistico, attr ave r so la c r e azione d i monopoli o altre forme d i abuso d i posizione d ominante sia
pubblica che pr ivata. In un simile siste ma, liberismo e liberalismo si fond ono per creare, sul piano
c ostituzionale, il siste ma e c onomic o soc iale d i mercato che sarà ripreso, nella trad izione italiana,
d allo stesso Einaud i (sul r appor to fr a or d oliberalismo e d ottrina economica e g iurid ica italiana, v.
M. L uciani, Unità naz ionale e struttura ec onomic a. La prospettiva della Costituzione repubblicana ,
relazione al Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti
“Costituzionalismo e costituzione nella vicenda unitaria italiana”, Torino 27 -29 Ottobre
2011, 28 e ss. del dattiloscritto. L’insigne Giurista evidenzia l’adesione di Einaudi alla
separazione fra economia e politica, pur nella consapevolezza della necessità di un
interventismo statale finalizzato e garantire un a corretta affermazione del principio della
concorrenza, altrimenti sacrificato dalle naturali dinamiche del mercato.
18
N. Irti, L’ordine giuridic o del merc ato , L aterza, Roma -Bari 2008.
6
sono tutte improntate al rispetto di regole che ne consentono l’ordinato
svolgimento, quale presupposto della pacifica convivenza.
Il baratto, quale struttura elementare, appare paradigmatico: il rapporto
di valore fra i beni scambiat i sono frutto di una decisione politica,
convenzione umana sul valore di scambio che deriva dal rapporto storico
delle esigenze e viene codificata in una regola che ne ipostatizza la
sostanza.
Senza norma, il mercato lascia il posto al caos. Senza ordine n on vi può
essere scambio, ma solo violenta appropriazione.
L’ordine del mercato risponde, come l’intero sistema delle regole, alla
decisione politica fondamentale recepita nel testo costituzionale: ne segue
che la formula dell’economia sociale di mercato, quale compromesso fra
libertà ed eguaglianza, potrà essere svelata, nell’effettivo significato
sostanziale, solo comprendendo quale sia in effetti le tinte con cui la
Costituzione
ha
rappresentato
l’immagine
normativa
di
tale
compromesso.
L’indagine diviene ancor più complessa poiché l’architettura
costituzionale nazionale deve, oggi, essere riletta nel più ampio insieme
dell’ordinamento europeo che, a vario titolo, ne determina significativi
condizionamenti sia sul piano normativo che sul piano istituziona le.
Solo in tal modo, attraverso l’analisi del rapporto fra libertà ed
eguaglianza nel diritto interno e nell’integrazione europea, può cogliersi
l’essenza del diritto pubblico dell’economia.
2. La politica ed i diritti costituzionali nel processo d’integ razione
europea. Il problema definitorio e la sfida dell’ordinamento
europeo.
L’evoluzione dallo stato di diritto liberale-borghese e la genesi dello stato
sociale di diritto, ben lungi dall’aver trovato uno stabile equilibrio anche
nella realtà dello stato nazionale, si è sovrapposta a quella delle
istituzioni e delle fonti europee nel processo di integrazione comunitaria.
La dialettica fra libertà ed eguaglianza sostanziale, nell’ordinamento
interno, si è tradotta nella dicotomia diritti sociali – diritti di libertà e
nella conseguente tesi della natura programmatica delle disposizioni che
fondano i diritti a prestazioni positive in difetto di una interpositio
legislatoris che, comunque, sarebbe condizionata dalla riserva del
ragionevole e del possibile e dal vincolo del c.d. contenuto minimo o
essenziale.
Sin da subito si è inteso che lo scontro fra libertà ed eguaglianza
(sostanziale) fosse epocale, giacchè si confrontavano, in esso, due
opposte visioni politiche, di principio e di sistema del consorzio sociale.
Lo strenuo tentativo di individuare un momento di conciliazione fra le
(apparentemente) opposte esigenze sottese ai principi della libertà e della
eguaglianza, è stato condotto cercando di offrire una novella sintesi
ordinamentale per le strutture storicamente essenziali all’edific azione
della casa comune, appro dandosi a risultati magari ambigui, incerti e non
definitivi, ma che costituivano di per sé il sintomo di un anelito alla
realizzazione di una comunità di eguali, in cui la libertà di ciascu no non
costituisse strumento di oppressione per gli altri.
7
La continua ricerca di una decisione politica fondamentale sulla
composizione fra libertà e stato sociale si è accompagnata al consapevole
tentativo di munire di effettività la formula che fosse st ata comunque
oggetto di invenzione, all’esito o nelle more di tale affannoso tentativo.
Il processo di integrazione europea ha introdotto un elemento
dirompente e destabilizzante nel quadro d’insieme , elaborato nell’arco
temporale di oltre due secoli che, dalla rivoluzione francese , conduce
all’affermazione degli stati nazionali ed alla genes i dell’Unione Europea.
Il fallimento del mercato come fattore di aggregazione ed integrazione
(oltre che sotto altri e più drammatici profili) ha imposto con prepotenza
sia la questione della necessità di una scelta politica adottata in esercizio
di rappresentanza, sia quella della tutela dei diritti fondamentali come
viatico per l’affermazione di un nuovo ordine, in prospettiva addirittura
costituzionale.
Proprio attraverso l’esaltazione pseudo -normativa dei diritti fondamentali
l’Unione Europea ha tentato di accreditarsi quale ente originario ed a fini
generali, ma l'assetto di interessi posto tradizionalmente a fondamento
della Comunità economica europea è talvolta in contrasto con le nuove
situazioni giuridiche soggettive cui si intende accordare protezione: tale
distonia viene analizzata sotto il profilo della tutela giudiziaria e della
dialettica fra Corti, ma si tratta di un'ottica (fondamentale ma) solo
parziale.
Qui il metodo si confonde con il merito.
Se si adotta una logica sillogistico -deduttiva e non casistico giurisprudenziale, la questione di fondo deve individuarsi a monte del
controllo giudiziario e consiste nella decisione politica sulle situazioni
giuridiche soggettive: “Nello stato costituzionale di diritto (quanto meno
nella sua versione continentale […]), i giudici svolgono un'opera
essenziale di protezione dei diritti fondamentali, ma questa non può
sovrapporsi all'azione degli organi politici e tras formarsi in opera di
creazione di quei diritti” 19.
Si è altrove già osservato come tale decisione politica sia esiziale per un
stato costituzionale di diritto 20, proprio perché costituisce l’essenza del
gruppo sociale, determinandone i fini ed i valori condi visi e
condizionandone l’intricata tela istituziona le e sostanziale che si risolve
nel proprium della comunità.
La composizione degli interessi in gioco sullo scacchiere dell’Unione
Europea è in cerca di autore.
Le scelte liberistiche che hanno ab origine fondato l’esperienza
comunitaria non hanno indotto una coagulazione socio -politica né delle
comunità nazionali, né delle rispettive istituzioni statali.
Tali scelte sono state promosse nell’attivismo delle Corti e nella latitanza
del legislatore, con un approccio tipicamente di common law in cui la tutela
giurisdizionale occupa, in sostanza, il vuoto lasciato dalla politica, ossia
dalla decisione normativa (costituzionale e, in seguito, legislativa).
19M.
Luciani, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemic o, in Giur. Cost., 2006, 1663.
Sia consentito il rinvio al nostro Il processo di integrazione europea nel contrasto fra tutela
dell’ambiente e libertà di circolazione delle merci , in Diritto e società , 2011, 501 ss.
20
8
La politica, dunque, dovrebbe riprendersi i propri spaz i 21 proprio
attraverso il perseguimento della finalità di tutela dei diritti, ma questo
obbliga a ripensare le situazioni giuridiche soggettive di rango
costituzionale e, segnatamente, i diritti sociali, nel quadro
dell’integrazione europea.
Riordinare i diritti significa in primo luogo rinominarli come categoria
generale, giacchè “esistono diverse parole che esprimono il concetto di
diritti umani: diritti naturali, diritti pubblici soggettivi, libertà pubbliche,
diritti morali, diritti fondamentali, diritti individuali, diritti del cittadino,
etc. Nessuno di questi termini è espressione pura di una scelta linguistica;
al contrario, rivelano tutti connessioni culturali e significati derivati da
un determinato contesto storico, da determinati interessi, da cer te
ideologie e da certe posizioni scientifiche di fondo”. 22
Il nome esprime una scelta metodologica, che reagisce sul piano
etimologico: diritti naturali, diritti morali, d iritti pubblici soggettivi,
libertà pubbliche e diritti individuali sono concetti giuridici del tutto
disomogenei e postulano visioni del mondo e del diritto connotate da una
forte valenza assiomatica.
Proprio per questo, si è ritenuto corretto 23 prendere le mosse – nella
prospettiva di diritto interno – dal sintagma diritti costituzionali, il quale
appariva più rigoroso rispetto ad altri (diritti naturali, se si attribuisce
all’uomo ed ai suoi interessi una preminenza logica e giuridica rispetto al
diritto positivo che essi interessi formalizza e disciplina; diritti pubblici
soggettivi, se l’ambito di libertà dei privati è la risultante di
un’autolimitazione dello Stato ; diritti morali, se si ritiene che il sistema
costituzionale sia fondato su una teoria morale 24; diritti fondamentali, se si
ricostruiscono gerarchicamente le situazioni giuridiche soggettive) assai
meno scevri di implicazioni valoriali ed ancorati ad un parametro
inequivoco: l’espressa previsione nella Carta costituzionale.
La formula non è utilizzabile a livello europeo, semplicemente perché
una costituzione europea anco ra non può dirsi compiuta: l'interrogativo
sullo stato attuale di tale processo, però, è destinato ancora alla babele di
risposte, tutte contraddittorie, di un “dialogo fra sordi” 25, in specie con
riguardo alla c.d. Costituzione europea. Le contrapposte tesi di Grimm e
Habermas 26, nonché gli interventi della dottrina più autorevole (della
21Seguendo
l'invocazione di M. Luciani , op. ult. cit. , 1664: “Si riprenda la politica quel che le
è proprio, senza pretendere – è ovvio – di ridurre la giurisdizione a semplice techne e il
giudice ad automate, ma senza abdicare alla propria funzione sistemica”.
22 G. Peces-Barba Martinez, Teoria dei diritti fondamentali , a cura di V. Ferrari, trad. it. L.
Mancini, Milano, 1993, 10.
23 Se si vuole, v. il nostro I diritti costituzionali e l’assetto delle fonti dopo la riforma dell’art. 117
della Costituzione , in Giur cost., 2002, 1169 ss.
24 Il riferimento è, chiaramente, a R. Dworkin, I diritti presi sul serio , a cura di G. Rebuffa,
Bologna, 1978 nonché, con le dovute differenze, a G. Zagrelbesky, Il diritto mite , Torino,
1992.
25M. Luciani, Costituzionalismo irenico, cit. , 1659.
26V. D. Grimm, Il significato della stesura di un catalogo di diritti fondamentali nell'ottica della critica
dell'ipotesi di una Costituzione europea , in G. Zagrelbesky (a cura di) Diritti e Costituzione
nell'Unione Europea , Roma-Bari 2003, 5 ss. e J. Habermas, Perchè l'Europa ha bisogno di una
Costituzione? , ivi, 94 ss.
9
quale non è possibile dare conto in questa sede), pongono sempre
l'accento sulle questioni fondamentali, ossia il deficit democratico
dell'Unione e l'attuale assenza di un demos europeo, oltre al rilievo della
carenza di stabilità del vincolo fra stati, attesa la facoltà di recesso. 27
Del resto, se pure il sintagma diritti costituzionali si utilizzasse – in una
logica intergovernativa e non metastatuale – con riferimento alle
costituzioni nazionali degli stati membri, se ne dilaterebbe all’infinito il
relativo valore semantico, perso in una selva di inestricabili
contraddizioni.
La disciplina delle situazioni giuridiche soggettive, infatti, differisce
anche sensibilmente dall’una all’altra Carta fondamentale. E’ stato
autorevolmente sostenuto che “Le espressioni che sono usate nelle
diverse lingue per indicare questo complesso di diritti (o “libertà”)
derivano dalle rispettive tradizioni, che ovviamente non sono in tutto e
per tutto identiche, ma sostanzialmente corrispondono ad una stessa
nozione giuridica” 28.
In realtà, proprio la diversità delle tradizioni costituzionali (a questo
punto, non molto comuni 29) rende assai dubbia la presunta unitarietà
27Condivide
tali obiezioni M. Luciani, Gli atti comunitari e i loro effetti sull'integrazione europea ,
in www.associazioneitalianacostituziona listi.it, il quale ha osservato che quella europea non
è una comunità politica, poiché “una comunità politica possiede 'meccanismi integrativi
auto-sufficienti', in quanto la sua esistenza in vita e le sue caratteristiche strutturali
essenziali dipendono da regolazioni che le sono interne e non da processi attivati
dall’esterno o dalle unità che la compongono. Nondimeno, poiché l’integrazione può essere
più o meno intensa e può essere – conseguentemente – misurabile, ha perfettamente senso
parlare (se non di una 'condizione') di un 'processo' di integrazione anche se questo non si è
compiuto dando luogo ad una comunità specificamente politica, e anche se è possibile, se
non probabile, ch’esso non si compia mai in questi termini.” L'illustre studioso ritiene ,
inoltre, che “la scrittura di un’autentica costituzione per l’Europa non si è ancora avuta e,
se si avrà, dovrà segnare un momento di non meno autentica discontinuità ordinamentale,
nella quale si manifesterà il passaggio dalla dimensione sovranazionale ad una dimensione
diversa, con la formalizzazione di un vincolo propriamente politico, più probabilmente
confederativo che federativo” (v. anche M. Luciani, Integrazione europea, sovranità statale e
sovranità popolare , in XXI Secolo , Norme e idee , Roma, 2009, 339). A riguardo, ritiene A. Pace
che “che quella adottata con il Trattato di Roma del 29 ottobre 2004 non sia ancora una
costituzione, anche se è più di un normale trattato. E non lo è non solo perché manca il
demos nel nome del quale (e col coinvolgi mento del quale) esso avrebbe dovuto essere
proclamata, ma anche perché - a meno di ridurre la Costituzione europea ad una normativa
che si limiti a rendere più efficaci i meccanismi decisionali - non si può sfuggire al rilievo,
secondo il quale i destini della Costituzione europea e delle Costituzioni dei singoli Stati
sono tra loro interdipendenti” (A. Pace, Costituzione europea e autonomia contrattuale. Indicazioni
e appunti, in Riv. dir. Civ. , 2006, II, 2 s. ).
28 A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzion ale comune, Il Mulino, Bologna 2002, 24.
29 M. Cartabia, L’ora dei diritti fondamentali nell’unione europea , in I diritti in azione. Universalità e
pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee , a cura di M. Cartabia, Il Mulino, Bologna
2007, 60 e 65 si avvede di come possa accadere che “la versione ‘comunitaria’ di alcuni
diritti non corrisponde dal tutto a quella di uno o più stati membri”, sicchè “se s i vuole
evitare di sacrificare la pluralità delle tradizioni costituzionali esistenti, occorre che la
categoria dei diritti fondamentali non sia dilatata eccessivamente” perché “Più ci si
allontana dal nucleo essenziale dei diritti fondamentali, più aumentano le divergenze
storiche e culturali fra i vari ordinamenti giuridici”, sicchè è meglio evit are una
proliferazione dei diritti fondamentali, che può “intaccare l’equilibrio costituzionale
portante dell’intera Unione”.
10
della nozione giuridica delle situazioni soggettive: è di tutta evidenza che
se pure la nozione materiale ne può essere identica in tutti i paesi europei,
lo statuto (anche) costituzionale dei diritti “fondamentali” differisce nelle
varie e specifiche realtà ordinamentali interne, non fosse altro perché
esso è il precipitato della evoluzione storica e sociale di ciascun paese.
Il che non vuol dire, ovviamente, negare il costituzionalismo 30 come
filosofia del diritto: significa semmai riconoscere che l’affermazione
astratta della essenzialità della garanzia dei diritti fondamentali (nonché
della dignità umana e sociale, dei principi di uguaglianza, laburista e
personalista) è destinata ad inverarsi nel concreto della puntuale
disciplina positiva, laddove finalità (valori, se si preferisce) c he possono
anche dirsi condivise finiscono con l’essere attuate attraverso strutture
normative del tutto differenti e spesso contrastanti.
In sostanza, ammesso e non concesso che vi sia uniformità assiologia e
funzionale, non è detto che ciò si traduca nell a identità dei mezzi (i.e. il
diritto positivo) stimati idonei al conseguimento di detti fini. 31
Appare assai dubbio che la Carta di Nizza 32 o la Cedu possano costituire
il frutto di una sintesi, in un indecifrato processo di astrazione, del
L’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 recita che “ Ogni
società in cui la garanzia dei dir itti non è assicurata, né la separazione dei poteri
determinata, non ha costituzione.” Tale “norma-manifesto del costituzionalismo”, secondo
la definizione di G. Ferrara, La Costituzione. Dal pensiero politico alla norma giuridica , Giuffrè,
Milano, 2006, 1 03, esplicita una sovrapposizione fra la nozione di Costituzione e quella di
costituzionalismo che, sul piano teorico generale, divide la più autorevole dottrina (in senso
adesivo M. Luciani, L’antisovrano e la crisi delle costituzioni , in Riv. dir. cost. , 1996, 154; in
senso contrario, A. Pace, L’instaurazione di una nuova costituzione. Profili di teoria costituzionale ,
in Potere costituente, rigidità costituzionale, auto vincoli legislativi, seconda ed. riveduta e ampliata,
Cedam, Padova, 2002, 111 ss., M . Dogliani, La lotta per la Costituzione , in Dir. Pubbl., 1996,
298 e A. Barbera, Le basi filosofiche del costituzionalismo , Roma-Bari, Laterza, 2007).
31 Evidenzia acutamente la carenza, nella Carta dei diritti, di vincoli di forma e sostanza alle
limitazioni dei diritti fondamentali E. Gianfrancesco, Incroci pericolosi: CEDU, Carta dei diritti
fondamentali e Costituzione italiana tra Corte costituzionale, Corte di giustizia e Corte di Strasburgo ,
in www.associazionedeicostituzionalisti.it , n. 1 del 2011, desumendo dalla “assenza di
riserve di disciplina che noi definiremmo rinforzate e, di converso, [da] una generale
previsione di riserva di legge”, oltre che da una certa ampiezza del fondamento assiologico
dei diritti, (che si accompagna alla debolezza prescrittiva delle relative disposizioni) una
significativa “distanza del modello costituzionale italiano da quello europeo”.
32 Controversa è l’efficacia giuridica della Carta dei diritti fondamen tali dell'Unione europea
– già proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e nuovamente proclamata a Strasburgo il 12
dicembre 2007 – cui, pur non inserita nel Trattato , l'art. 6 TUE attribuisce la medesima
efficacia giuridica del Trattato.
Ciò che ha indotto l a deroga introdotta per Polonia e Regno Unito (M. C. Baruffi, Il Trattato
di Lisbona tra vecchio e nuovo , in Dalla Costituzione europea al Trattato di Lisbona , a cura di M.C.
Baruffi, Padova, 2008, 30 ss.).
Si discute se la Carta dei diritti abbia una val enza meramente ricognitiva o abbia assunto un
valore prescrittivo e vincolante, tale da porsi quale parametro di legittimità degli atti
normativi comunitari ed interni (C. Pinelli, Cittadinanza europea, in Enc. Dir., Annale I, 2007,
193; G. Demuro, Costituzionalismo europeo e tutela multilivello dei diritti. Lezioni , Torino, 2009,
42 riconosce espressamente che “per evitare la frammentazione il Trattato di Lisbona fa un
passo ulteriore [rispetto all'azione dei giudici, n.d.r.]: il riconoscimento dei diritti
fondamentali come diritto comunitario.”). Ritiene che “nonostante la Carta sia nata come
documento recante un significato politico altamente simbolico a fronte di un valore
giuridico pressoché nullo, nel tempo la prassi ha mostrato come le istituzioni abb iano inteso
30
11
considerarla quale atto anche giuridicamente vincolante” C. Feliziani, La tutela dei diritti
fondamentali in Europa dopo Lisbona. La Corte di giustizia prende atto della natura giuridicamente
vincolante della Carta di Nizza , in www.associazionedeicostituzionalisti.it , n. 3 del 2011, p. 15,
la quale aderisce all’orientamento della Corte di Giustizia, espresso nella sentenza 19
gennaio 2010 Seda Kucukdeveci c. Sweden, C -555/07, in base al quale la Carta è diritto
comunitario immediatamente applicabile, sicchè il giudice comune è tenuto a disapplicare il
diritto interno con essa in contrasto, ferma restando la facoltà di sollevare la pregiudiziale
comunitaria. Nel caso di specie, la CGCE ha ritenuto illegittima, per violazione del
principio di non discriminazione in base all’età previsto dall’art. 21 della Carta, una norma
tedesca che escludeva, dalla base di computo del preavviso in caso di licenziamento, il
periodo in cui il dipendente aveva reso le prestazioni lavorative non avendo ancora
compiuto il venticinquesimo anno di età.
La natura ricognitiva della Carta di Nizza era stata rilevata da A. Pace, A che serve la Carta dei
diritti dell'Unione Europea? Appunti preliminari, in Giur. Cost., 2001, 194 ss., a giudizio del
quale “La Carta assomiglia ad un testo unico, a mezza strada tra il 'compilativo' e
l'innovativo', posto che anche in essa, com'è noto, sono stati fatti confluire la Convenzione
europea dei diritti dell'uomo del 1950, l a Carta sociale europea del 1961, la Carta
comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, varie direttive della CE,
nonché principi espressi nella giurisprudenza della Corte di Giustizia della CE. Ne consegue
che […] la Carta ben pot rebbe essere immediatamente applicata almeno nella misura in cui,
sul punto, sia 'ricognitiva' del disposto di una fonte giuridicamente in vigore.” L'illustre
studioso, a sostegno della propria tesi, riporta – nota n. 8 – l'opinione espressa in data 8
febbraio 2001 dall'avvocato generale presso la Corte di Giustizia CE, Antonio Tizzano, in
ordine alla immediata efficacia della Carta (sul rapporto fra la Corte di Giustizia e la Corte
Europea dei diritti dell'uomo, v. L. Tomasi, Il dialogo tra le Corti di Lus semburgo e di Strasburgo
in materia di tutela dei diritti fondamentali dopo il Trattato di Lisbona , ult. op. cit., 149 ss.). Nel
senso della originaria natura ricognitiva M. Cartabia, L’ora dei diritti fondamentali, op. cit., 32,
ove si legge che “Apparent emente il valore della Carta dei diritti è solo quello di mettere un
po’ di ordine normativo nelle garanzie dei diritti fondamentali già presenti nel sistema
comunitario e di renderle conoscibili e perciò maggiormente fruibili”, ma nella realtà essa,
pur priva di una compiuta efficacia giuridica, l’ha conquistata sul campo. La scrittura,
infatti, ha contribuito a dare maggiore legittimazione al testo ed a “esaltare il ruolo della
Corte di giustizia come Corte costituzionale dell’Unione Europea”. L’insigne g iurista
riconosce che “La Carta dei diritti sarà priva di quella esclusività tipica invece delle
codificazioni ottocentesche negli ambiti degli stati nazionali dell’epoca. Essa andrà ad
affiancarsi a 27 Costituzioni nazionali, alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ad un
ampio spettro di principi costituzionali non scritti, elaborati da tutte le Corti supreme che si
occupano di diritti fondamentali e soprattutto dalla Corte di Lussemburgo e Strasburgo” e
ciò, in uno alla tecnica di legislazione “a maglie larghe”, “garantirà un’ampia discrezionalità
dei giudici”, sicchè si pone il problema di non consentire alla giurisdizione di occupare gli
spazi della politica. Condividono le perplessità per i rischi dell’attivismo giudiziario anche
F. Sorrentino, I diritti fondamentali in Europa dopo Lisbona (considerazioni preliminari), in Corr.
Giur., 2010, 146 ed E. Gianfrancesco, Incroci pericolosi, op. cit. , 3 s., il quale ritiene che
costituisca un valido argine verso le “interpretazioni fantasiose in tema di diritti
fondamentali” la tecnica del giudizio accentrato di costituzionalità che la Corte
costituzionale ha rivendicato qualificando la CEDU norma interposta nei giudizi di
legittimità costituzionale. Il nodo da sciogliere resta, inoltre, quello delle com petenze
dell’Unione Europea che, in base al combinato disposto degli artt. 6 TUE e 51 Carta dei
diritti, non subiscono dilatazione per effetto (del regime di efficacia) della Carta dei diritti.
Ciò significa che, pur riconoscendo a quest’ultima l’immediata applicabilità alla stregua del
diritto comunitario, ciò potrà portare alla disapplicazione del diritto interno – così come
alla pregiudiziale comunitaria – solo ed esclusivamente nelle materie di competenza del
Trattato e, del resto, in combinato disposto con la disciplina comunitaria suscettibile di
applicazione al caso concreto. In questo senso si è espressa esplicitamente la Corte
costituzionale nella sentenza 11 marzo 2011 n. 80 (Corte cost. 11 marzo 2011, n. 80 in Giur.
cost., 2011, 1224 s.s.) afferma ndo che né la CEDU né la Carta di Nizza determinano un
12
materiale normativo desunto dalle singole realtà costi tuzionali nazionali.
Il processo di efficacia di tali carte, se letto disin cantatamente, appare
discendente, piuttosto che ascendente.
Si tratta di testi (oggi) normativi che s’impongono al diritto interno assai
surrettiziamente, proprio perché ciò avviene sul piano ermeneutico,
prima ancora che nelle decisioni della Corte di Giustizia o del giudice
comune.
Ma occorre riflettere propri o sui rischi di questi processi se si vuole
comprendere qual siano le effettive dist onie, fra ordinamento interno ed
ordinamento europeo, sul piano della garanzia dei diritti costituzionali.
Le direttive lungo le quali occorre svolgere l’indagine sono
essenzialmente tre, consistenti la prima nell’analisi delle regole generali
che, sul piano della tutela dei diritti, inverano il processo di integrazione
europea; la seconda nell’esame comparato delle singole situazioni
giuridiche soggettive, della relativa tecnica di formazione e
dell’attuazione giurisprudenziale che le caratterizza ; la terza nella esegesi
delle regole sottese alla rappresentanza politica ed alla politica sociale.
2.1 Le regole dell’integrazione comunitaria sul piano della tutela dei
diritti, anche sociali.
L’analisi comparativa del diritto europeo e del diritto interno, pe rché sia
funzionale alla comprensione delle distonie esistenti sul piano della tutela
dei diritti sociali, deve muovere dal piano dei principi, ossia della
normazione che costituisce il sistema della c.d. tutela multilivello (in via
di prima approssimazion e analizzata solo verso l’alto, ossia nel rapporto
fra Stato e Unione europea, e successivamente anche verso il basso, ossia
in relazione alle autonomie territoriali ed alle formazioni sociali).
Gli strumenti che sono stati approntati nell’integrazione eu ropea, sul
piano della tutela dei diritti, lasciano chiaramente intendere come sia in
atto un processo di “decostituzionalizzazione” 33 e “desocializzazione” 34
ampliamento delle competenze dei Trattati, con la conseguenza che esse potranno essere
invocate dal giudice comune solo ed esclusivamente nelle materie in cui esista un diritto
dell’Unione che, secondo l’attenta lettura di A. Guazzarotti, I diritti fondamentali dopo Lisbona
e la confusione del sistema delle fonti , in www.associazionedeicostituzionalisti.it , n. 3 del 2011,
costituisce l’effe ttiva normativa che determina la disapplicazione del diritto interno, pur se
in combinato disposto con la Carta dei diritti.
33 A. Cantaro, Il secolo lungo , op. cit., 118 ss., il quale ritiene che la decostituzionalizzazione
sia una conseguenza quasi nece ssaria del neocostituzionalismo e del bilanciamento fra
valori, che appare propria del diritto comunitario. Nella Carta di Nizza, infatti,
all’affermazione dei diritti non segue una puntuale disciplina del loro contenuto e dei
relativi limiti. Le regole co ncrete sembrano lasciare spazio ai principi od ai valori; libertà,
eguaglianza, solidarietà, dignità, cittadinanza e giustizia divengono sei macroinsiemi
pariordinati rispetto ai quali la legge viene svilita in favore della decisione giudiziaria, vero
strumento normogenetico che costituisce frutto di un bilanciamento sottratto a puntuali
regole di confronto e composizione fra diritti e, conseguentemente, ad ogni controllo e
verifica democratica. Induce perplessità anche in M. Luciani, Riflessioni minime sul la Carta
europea dei diritti fondamentali , in Dir. pubb. Comp. E europeo , 2001, n. 1, 172 ss. l’idea che
l’effettività dei diritti sociali possa essere affidata soltanto ad “un giudice o ad una
procedura”.
34 A. Cantaro, Il secolo lungo , op. cit., 127 ss. p one l’accento sul processo di ipostatizzazione
dell’individualismo proprietario anche con riguardo ai diritti sociali, osservando che
13
(delle situazioni giuridiche soggettive in genere ed in particolare) dei
diritti sociali.
Il primo dato che colpisce nell’esegesi dell’art. 21 della Carta dei diritti è
la proclamazione del sol o principio di non discriminazione 35: non v’è
traccia dell’eguaglianza sostanziale riconosciuta dall’art. 3 comma 2 Cost.,
né tale ultima disposizione è paragonabi le, per rigore ed efficacia
giuridica, all’art. 3 comma 3 alinea 2 TUE od all’art. 9 TUE. L’Unione
europea, infatti “combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e
promuove la giustizia e la protezione sociale” e “rispetta, in tutte le sue
attività, il principio dell’uguaglianza dei cittadini” 36, mentre è “compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale
che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono
il pieno sviluppo della persona umana e l’e ffettiva partecipazione dei
lavoratori all’organizzazione politica, sociale o spirituale della società”.
La coralità del riferimento alla Repubblica, al principio personalista in
uno a quello laburista, nonché l ’esigenza che la partecipazione, ossia
l’essenza del consorzio sociale, sia effettiva danno la misura della distanza
dall’attività di promozione della protezione sociale che l’Unione europea
si assume, per poi esercitarla con forme che devono essere oggetto di
occhiuta indagine.
Infatti, se l’art. 3 comma 2 Cost. trova puntuale attuazione, già a livello
costituzionale, in una pluralità di disposizioni che riconoscono a
“laddove il costituzionalismo moderno e contemporaneo rinviene il fondamento dei diritti e
i suoi destinatari privilegiati in grandezze ed entità collettive – la ‘nazione’, il ‘popolo’, i
‘cittadini’ e le loro rappresentanze, i lavoratori e le loro organizzazioni, l’uomo associato, le
comunità familiari e religiose – la Carte [di Nizza, n.d.r.] si rivolge di norma a ‘uomini s enza
qualità sociale’: a individui, consumatori, utenti.”
Osserva P. Car e tti, L’eguaglianz a: da segno distintiv o dello S tato c ostituzionale a princ ipio generale
dell’ordinamento c omunitario , in Lo stato c ostituzionale. La dimensione nazionale e la prospe ttiv a
internazionale. S c ritti in onore di Enz o Ch eli , a cura d i P. Caretti e M. C. Grisolia, Il Mulino, Bologna
2010, 514 che “l’affe r mazione d e l pr inc ipio d i eguaglianza, inteso come principio generale, fonte d i
una serie d i posizioni sogge ttive tute labil i, è essenzialmente frutto d ell’attività ‘creativa’ d el giud ice
c omunitario, d e lla Cor te d i Giustizia”. I trattati, nella versione originaria, non preved evano, infatti,
la formulazione e spr e ssa d e ll’e guaglianza, pur se esistevano specifici obblighi d i non
d iscriminazione e sse nzialme nte str ume ntali all’attuazione d elle libertà economiche.
L ’elaborazione pr e tor ia d e l pr inc ipio ha d i certo conseguito fond amentali effetti sul piano d ella
tutela d ei d iritti, in spe c ie d e i lavor ator i, anche oltre il ristretto am bito d ella materia economica e
d ella cittad inanza d e ll’unione , ma non può negarsi che a livello europeo resta sempre in ombra il
profilo sostanziale d e ll’e guaglianza, pur se con significative eccezioni in tema d i azioni positive
(CGCE 1995, C -450/ 93, Kalan ke , in Rac c ., 3051). Il passaggio d alla pluralità d egli obblighi d i non
d iscriminazione all’affe r mazione d i un principio d i carattere generale (che lo stesso Caretti coglie
nell’approvazione d e l Tr attato d i L isbona, soprattutto in ragione d ella d isciplina d ella Carta d i
Nizza e d ella nove lla e ffic ac ia giur id ic a d i essa, ai sensi d ell’art. 6 TUE) è stato autorevolmente
c ollegato alla pr e visione d e lla c ittad inanza europea ed alla rottura d el nesso fra libertà d i
c ircolazione ed attività e c onomic a (F. Sorrent ino, Eguaglianza. Lezioni , raccolte d a E. Rinald i,
Giappichelli, Tor ino 2011, 248).
36 C. Pinelli, Le “ disposiz ioni relativ e ai princ ipi democ ratic i”, in Le nuov e istituzioni europee. Commento al
35
Trattato di Lisbona , a cura di F. Bassanini e G. Tiberi, Il M ulino, Bologna 2008, 135 ritiene
che il principio di eguaglianza sia enunciato dall’art. 9 TUE in modo “scarsamente
convincente”, pur se la portata del principio stesso prende maggiormente corpo nelle
ulteriori disposizioni relative ai principi democratici .
14
garantiscono i diritti sociali 37, dettandone discipline più o meno
articolate, lo stesso non può predicarsi della Carta di Nizza .
L’art. 14 della Carta dei diritti, per esemplificare, riconosce il diritto
all’istruzione ed all’accesso alla formazione continua senza ulteriori
specificazioni. La norma, se comparata con l’art. 34 Cost., mostra
immediatamente i limiti di un’articolazione ling uistica molto vaga ed
astratta e di una conseguente carenza di precettività. La Costituzione
italiana, infatti, non si limita a prescrivere l’obbligatorietà dell’istruzione
inferiore, ma si spinge sino ad accordare ai capaci ed ai meritevoli, pur se
privi di mezzi, il diritto a raggiungere i più alti livelli di istruzione,
preoccupandosi immediatamente di rendere concreta una simile politica
di attuazione del principio di eguaglianza sostanziale attraverso una
riserva di legge rinforzata, ossia disponendo che “la Repubblica rende
effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre
provvidenze”, da attribuirsi per concorso.
Sul piano della puntuale disciplina di singole situazioni giuridiche
soggettive – non solo di diritti sociali – si avrà modo di ritornare.
Qui giova evidenziare che, sul piano generale, la disciplina dei diritti
nella Carta è caratterizzata da un frequente rinvio alla “legislazione e
prassi nazionale” quale clausola di chiusura della previsione normativa,
nonché dalla carenza di riserve rinforzate.
Il diritto dei lavoratori all’informazione ed alla consultazione
nell’impresa (art. 27), il diritto di negoziazione collettiva e di sciopero
(art. 28), la tutela in caso di licenziamento ingiustificato (art. 30), la
sicurezza e l’assistenza sociale (art. 34), il diritto alle cure mediche (art.
35), l’accesso ai servizi di interesse economico generale (art. 36), sono
riconosciuti solo ed esclusivamente “alle condizioni stabilite dalla
legislazione e prassi nazionale”, di talchè la sostanza del riconoscimento
a livello europeo sembrerebbe svuotata di significato e contenuto.
Inoltre, la riserva di legge, ai sensi dell’art. 52 della Carta dei diritti, è
articolata nel solo rispetto del contenuto essenziale dei diritti e del
principio di proporzionalità, il che lascia chiaramente intendere quanto
complesso potrà risultare un controllo sulla discrezionalità legislativa, già
non semplice anche laddove i testi di rango costituzionale sono più
puntuali e dettagliati.
Lo stesso art. 52 comma 5 TUE formalizza la tesi della programmaticità
dei diritti sociali (ignorando l’enorme sforzo ricostruttivo della categoria
37Il
diritto al lavoro (art. 4 Cost.); il diritto dei non abbienti ai mezzi per agire e difendersi
in giudizio (art. 24 comma 3); il diritto del condannato a trattamenti tendenti alla
rieducazione (art. 27 comma 3), il diritto alle cure mediche (art. 32 C ost.), gratuite per gli
indigenti; il diritto alle agevolazioni per la famiglia, alla protezione della maternità,
dell’infanzia e della gioventù (art. 31 commi 1 e 2 Cost.); il diritto allo studio (art. 34
commi 3 e 4 Cost.), il diritto all’assistenza soci ale ed alla previdenza (art. 38 commi 1 e 2),
il diritto degli inabili e dei minori all’eduzione ed all’avviamento professionale (art. 38
comma 3 Cost.); la tutela della cooperazione con carattere di mutualità e senza fini di lucro,
nonché allo sviluppo de ll’artigianato (art. 45 commi 1 e 2); il diritto dei lavoratori alla
collaborazione nella gestione delle imprese (art. 46); il diritto al risparmio, ed all’accesso al
risparmio , alla casa d’abitazione ed alla proprietà diretta coltivatrice, nonché il dir itto
all’investimento azionario (art. 47 commi 1 e 2 Cost.). La classificazione, comunque, non è
pacifica in dottrina, come si avrà modo di vedere in seguito.
15
che ha caratterizzato molte delle realtà costituzionali nazionali), nel
prevedere che le disposizioni di principio possa no essere attuate da atti
comunitari o nazionali, nel rispetto delle rispettive competenze, ma
possono essere invocate dinanzi ad un giudice “solo ai fini
dell’interpretazione e del co ntrollo di legalità degli atti”, con ciò
radicandosi ancor più quel proce sso di decostituzionalizzazione cui si è
avuto modo di accennare.
Andiamo oltre.
L’art. 151 TFUE prescrive che gli obiettivi sociali (ad esempio il livello
elevato di occupazione – che sostituisce il concetto di piena occupazione
– la protezione ed assistenza sociale) siano perseguiti con misure che
tengano conto della “necessità di mantenere la competitività
dell’economia” e nella convinzione che lo sviluppo del mercato e
l’armonizzazione producano tale effetto.
Coerentemente, il diritto al lavoro consacra to nella Costituzione italiana,
lascia il posto al diritto di lavorare o di scegliere liberamente il lavoro ed
il luogo in cui esercitarlo (art. 15 Carta dei diritti) , tanto che è stato
autorevolmente sostenuto che “Nell’ordinamento dell’Unione non v’è,
dunque, un ‘diritto al lavoro’. Né nel significato giuridico, comune in
tutti gli ordinamenti costituzionali degli Stati membri, di un diritto che dà
vita a momenti precettivi e situazioni direttamente azionabili. Né nel
significato ‘politico’ di un valore c ostituzionale fondamentale dal quale
scaturisce un programma, un impegno, una direttiva costituzionale rivolta
ai pubblici poteri in materia occupazionale”. 38
Conviene, però, posare l’attenzione su specifiche situazioni giuridiche
soggettive, anche non rien tranti nell’insieme dei diritti sociali, per meglio
comprendere come la disciplina e la garanzia giurisdizionale nazionale e
comunitaria presentino evidenti distonie, cui non pone adeguato rimedio
il sistema della tutela c.d. multilivello.
2.2 I diritti anche sociali nell’ordinamento europeo: una
comparazione normativa e giurisprudenziale.
I diritti europei (riconosciuti e disciplinati nel diritto comunitario o nella
Cedu) non sono sovrapponibili ai diritti costituzionali (riconosciuti e
disciplinati nel diritto interno) e non possono neanche farsi derivare
(appunto, in moto ascendente) da questi ultimi, almeno nella loro
previsione positiva.
La dimostrazione di tale assunto si coglie nell’esame comparato di singole
situazioni giuridiche soggettive, nell a dinamica della relativa applicazione
giudiziale.
Si consideri la disciplina costituzionale italiana in tema di indennizzo da
riconoscere al privato in caso di esproprio.
La giurisprudenza costituzionale, a riguardo, è sempre stata attenta a
comporre interesse generale ed esigenze proprietarie, almeno sino a
quando il parametro di legittimità costituzionale non è stato integrato ex
art. 117 comma 1 Cost. con la CEDU.
38
A. Cantaro, Il secolo lungo , op. cit., 133.
16
I primi interventi della Consulta sono stati sempre caratterizzati da una
lettura dell’art. 42 Cost. fondata sulla valorizzazione del profilo
funzionale della situazione giuridica soggettiva, il che legittimava criteri
di determinazione dell’indennizzo di esproprio “non coincidenti con il
valore venale o di mercato del bene e, dunque, per de finizione, non
rivolti ad una piena soddisfazione delle ragioni della proprietà ma mediati
dall’esigenza di tutela di un interesse generale, sia anche esso soltanto di
natura finanziaria, di contenimento della spesa pubblica” 39.
Si pensi alle sentenze n. 6 1 del 1957, n. 5 del 1960 40, in cui si affermava
la discrezionalità del legislatore sul piano della determinazione dei criteri
di computo dell’indennizzo, nel rispetto dell’idea che non fosse possibile
“che proprio la Costituzione, con tutte le finalità di progresso sociale che
la ispirano, abbia inteso, relativamente all’indennizzo, arrestarsi e
ritornare al criterio della effettiva corrispondenza al valore venale
dell’immobile” 41. Una simile lettura, troppo mortificante del profilo
individualistico della proprietà privata, veniva stemperata in successive
decisioni, nelle quali si affermava con forza l’esigenza che l’indennizzo,
pur non dovendo assolvere ad integrale riparazione della perdita
economica subita dal privato, dovesse comunque risolversi in un equ o
ristoro del proprietario (la Consulta non ha mai stabilito cosa dovesse
intendersi per equo, pur se nella sentenza n. 15 del 1976 42 si è spinta a
ritenere tale un indennizzo pari o superiore alla metà del valore del
bene), non potendosi determinare in mis ura irrisoria o meramente
simbolica. 43
L’indennizzo, in questa ottica, viene valutato proprio nell’effettiva
rispondenza alla natura del bene, di talchè le stesse potenzialità
edificatorie che vengono in rilievo, nell’ipotesi di esproprio di un
terreno, non sono solo quelle risultanti dagli strumenti urbanistici, bensì
anche quelle inerenti il materiale e concreto stato del suolo (Corte cost.
n. 231 del 1984). Il che appariva più coerente con l’idea che “la proprietà
privata ha, in linea di principio, la co nsistenza del diritto soggettivo
assoluto”, pur se ne viene rimessa la conformazione funzionalistica al
legislatore – il che esclude l’ammissibilità di provvedimenti
amministrativi – che ne disciplina modi di acquisto, godimento e limiti. 44
39A.
Moscarini, Proprietà privata e tradizioni costi tuzionali comuni , Giuffrè Editore, Milano 2006,
122.
40 Corte cost. n. 5 del 1960, in Giur. cost., 1960, 64 ss., con nota di G. Motzo, Ancora in tema
di espropriazione e di regime delle proprietà .
41 Corte cost., 25 maggio 1957, n. 61 in questa Rivista, 1957, 695.
42 Corte cost. n. 15 del 1976, in Giur. cost., 1976, 62 ss.
43 Corte cost. 30 gennaio 1980, n.5, in Giur. cost., 1980, 21 ss. con nota di N. Lipari, A prima
lettura e M. Luciani, Vecchi e nuovi principi in materia di espropriazione e indennizzo , il quale non
ha mancato di rilevare che con tale pronuncia il valore di mercato del bene è stato
qualificato unico parametro di riferimento per la determinazione di un indennizzo
qualificabile come equo, mentre in passato tale riferimento non era “un’esigenza i n sé, ma
una semplice condizione di fatto per la congruità e serietà dell’indennizzo, che serio e
congruo poteva pur sempre dimostrarsi, anche se calcolato su di una diversa base di
computo”.
44 A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali , parte generale, terza ed., Cedam Padova,
2003, 135 ss.
17
La composizione fra esigenze sociali e sfera giuridica del proprietario, cui
la Corte costituzionale è stata obbligata, sul piano della determinazione
dell’indennizzo in caso di espropriazione, in ragione dell’assenza di una
indicazione costituzionale sulla misura dell’in dennizzo stesso 45 subisce
una vera svolta quando il parametro di costituzionalità si arricchisce con
i principi del diritto comunitario, nei quali la tutela della proprietà
privata ha un’impronta assai più individualistica e mercatoria, tanto che
“Se si passa in rapida rassegna la giurisprudenza della Corte dei diritti ci
si avvede che essa non solo afferma, a chiare lettere, il principio del
ragionevole rapporto tra indennizzo e valore del bene ma si spinge, in
modo assai più marcato, a statuire criteri di determinazione
dell’indennizzo che consentano la maggiore congruenza possibile con il
valore di mercato del bene” . 46
L’art. 5 bis l. 359 del 1992 ed, in via consequenziale ex art. 27 l. 11 marzo
1953, n. 87, l’art. 37 d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 che ne rec epiva il
contenuto, sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla Corte
costituzionale, nella sentenza 22 -24 ottobre 2007, n. 348 per contrasto
con l’art. 6 della CEDU, norma interposta rispetto all’art. 117 comma 1
Cost., proprio in ragione d el fatto che nel procedimento di
espropriazione, tali disposizioni prevedevano un indennizzo non
corrispondente al valore venale del bene.
La norma, che consentiva la liquidazione di indennizzi inferiori anche
alla metà del valore di mercato dei beni espr opriati, era stata assolta sino
ad allora dal dubbio di illegittimità costituzionale siccome transitoria e
speciale 47 ma, entrato in vigore il Testo Unico, che pedissequamente la
recepiva, tale argomento non era all’uopo più seriamente utilizzabile.
L’elemento realmente dirompente, però, è dato proprio dallo stratificarsi
della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della
novella dell’art. 117 comma 1 Cost. , atteso che la CEDU è divenuta
imprescindibile parametro , quale norma interposta, nei giudizi di
legittimità costituzionale.
Il parametro di costituzionalità, dunque, è stato modificato dalla C EDU
proprio perché la proprietà privata, per come in essa riconosciuta e
garantita, presenta una evidente distonia con l’istituto previsto dalla
Costituzione italiana e disciplinato dalla legge in modo da assicurane la
funzione sociale.
Una diversa proprietà privata, come diverso è il diritto di sciopero che la
Corte di Giustizia ha mostrato di bilanciare con l’esigenza di tutel a dei
lavoratori ed in una chiave manifestamente contraria all’art. 40 Cost. 48
Aspramente criticata da M. Luciani, Vecchi e nuovi principi, op cit., 45 e S. Mangiameli,
Indennizzo, “serio ristoro” e Costituzione, in Dir. e soc., 1983, 315.
46 A. Moscarini, Indennità di espropriazione e va lore di mercato del bene: un passo avanti ed uno
indietro della Consulta nella costruzione del patrimonio costituzionale europeo , 11 e s., in
federalismi.it.
47 Corte cost. 10 giugno 1993, n. 283, in Giur. cost., 1993, con nota di D. Traina, Il “5-bis”
supera indenne il primo esame di costituzionalità. Alcune riflessioni sui problemi applicativi e sulle
questioni ritenute inammissibili .
48 Nel quadro di una letteratura ormai sterminata sulle note sentenze Viking, Laval e Ruffert,
si veda S. Giubboni, I diritti sociali dopo il Trattato di Lisbona. Paradossi, rischi ed opportunità ,
45
18
relazione al convegno Diritto civile e principi costituzionali europei e italiani , svoltosi a Perugia il
25 e 26 marzo 2011, in www.unipg.it il quale ritiene che per effetto della “arcigna
impostazione proto -liberale” che caratterizza tali precedenti, in essi “il diritto di azione
collettiva in situazioni rilevanti per l’ordinamento dell’Unione viene in effetti ‘ampiamente
anestetizzato’
sulla base di un bilanciamento solo fittizio ed apparente […] con le
contrapposte libertà di mercato, le quali vedono viceversa riaffermata una netta prevalenza
nella gerarchia dei valori normativi cui la Corte si ispira”. V. altresì V. Angiolini, Laval,
Viking, Ruffert e lo spettro di Le Chapelier , in Libertà economiche e diritti sociali nell’Unione europea,
a cura di A. Andreoni e B. Veneziani, Roma 2009, 51 ss. e F. Angelini, L’Europa sociale
affidata alla Corte di giustizia CE: “sbilanciamento giudiziale” versus “omogeneità costituzionale” , in
Studi in onore di Vincenzo Atripaldi , Jovene, Napoli 2010, 1495 ss., la quale acutamente
ricostruisce la disciplina europea dei lavoratori temporaneamente distaccati, mostrando
come l’interpretazione della Corte di giustizia, così come quella della Commissione europea,
siano state improntate ad una precipua affermazione dei valori del mercato e della
concorrenza, nel pieno sacrificio – denunciato dal Parlamento europeo nella risoluzione 22
ottobre 2008 sulle sfide per gli acco rdi collettivi nell’Unione europea, con riguardo
all’erronea interpretazione della direttiva 96/71/CE – delle situazioni giuridiche soggettive
dei lavoratori, funzionali al radicarsi di un vero e proprio dumping sociale.
Nella sentenza Sager (CGCE 25 lugli o 1991, causa C-76/90) la CGCE ha ritenuto che le
norme di diritto del lavoro nazionali non possono essere applicate ai lavoratori stranieri
distaccati, se ciò ostacola l’accesso di un’impresa straniera nel relativo mercato, salvo i casi
di cui all’art. 52 TFUE (ordine pubblico, sicurezza pubblica e sanità), da comporsi in sede di
bilanciamento, in applicazione del principio di proporzionalità. E’ di tutta evidenza che in
tal modo si consente alla CGCE un controllo assai pervasivo sulla normativa nazionale, in
base ad un criterio di ragionevolezza/proporzionalità in cui emerge prepotentemente il peso
dei reali valori fondanti dell’Unione europea, ossia la concorrenza ed il mercato. Proprio
per questo la direttiva 96/71/CE è stata interpretata – in senso contrario al tenore letterale
– in chiave liberistica non già come recante uno standard di tutela minima inderogabile (ai
sensi dell’art. 3 comma 1, avuto riguardo di una serie di materie – quali il diritto alle ferie,
alla salute, al riposo – nelle quali comu nque non si ravvisano né le garanzie in caso di
licenziamento né il diritto di sciopero), ma com e previsione normativa degli unici interessi
che, sempre nel rispetto del principio di proporzionalità, possano valere quali limiti in sede
di bilanciamento con gli antagonisti interessi del mercato. Tale orientamento è stato
ulteriormente sviluppato in una serie di altre decisioni (CGCE 3 aprile 2008, causa C -346
del 2006, Ruffert; CGCE 19 giugno 2008, causa C -319/06, Commissione c. Granducato di
Lussemburgo ) in cui la Corte di Lussemburgo ha meglio chiarito il concetto di ordine
pubblico quale limite alle libertà economiche, interpretandolo in chiave internazionalistica
ma escludendo che ciascun Stato membro possa concorrere alla relativa determinazione con
il proprio patrimonio normativo anche costituzionalistico. Per l’esame delle decisioni ed una
attenta riflessione sul concetto di ordine pubblico v. F.Angelini, L’Europa sociale , op. cit.,
1501 ss.
In realtà la tutela di interessi antagonisti rispetto a quel li della concorrenza e della libertà di
stabilimento e circolazione, quali sono quelli sottesi alla disciplina di tutela dei lavoratori, si
è sempre realizzata indirettamente, venendosi paradossalmente a fondare proprio sui valori
ad essi contrapposti.
Si è rilevato (F. Salmoni, Diritti sociali e Unione europea. Dall’ordinamento comunitario allo stato
sociale europeo , in Scritti in onore di G. Ferrari, Giappichelli, Torino 2005, 563 ss.) che la
protezione dei diritti sociali nell’Unione Europea è un effetto indiretto del principio di non
discriminazione o della concorrenza, ha esemplificato l’assunto con riguardo
all’annullamento delle norme che condizionano il diritto alle ferie all’aver maturato un
periodo minimo di prestazione lavorativa alle dipendenze d el medesimo datore di lavoro
(CGCE 26 giugno 2001, casua C -173/99, BECTU) od al divieto di licenziamento per
lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, nullo perché integrante una
discriminazione fondata sul sesso, incompatibile con il di ritto comunitario (CGCE 4 ottobre
2001, causa C-438/99, Jimenez Melgar). Si tratta di tracce giurisprudenziali che tradiscono
l’approccio metodologico dell’Unione europea, la quale “invece di garantire e tutelare i
19
Ancora, differente è la previsione normativa e la tutela concreta
dell’ambiente, nella pluralità di articolazioni in cui è scomponibi le od
articolabile il prismatico universo di tutele e garanzie a d esso sottese. 49
In sostanza, a livello europeo si vanno, quindi, affermando sul piano
giurisprudenziale,
situazioni
giuridiche
soggettive
diverse
(i.e.
diversamente disciplinate e tutelate nel concreto del processo ) da quelle
che l’ordinamento interno ha , da tempo, formalizzato. Ciò accade grazie
all’assenza del politico dalla scena europea, che si traduce in una
normazione assai elastica ed apparentemente di scarsa efficacia
precettiva, ma che si invera quotidianamente nel diritto vivente ,
erodendo sempre maggiori ambiti della sovranità nazionale e senza alcuna
forma o strumento di controllo.
2.3 La politica sociale europea: rappresentanza sovrastatuale o
intergovernativa?
La politica sociale europea è lo strumento di attuazione dei valori (oggi,
almeno apparentemente) fondanti l’Unione europea (ai sensi dell’art. 2
TUE, ossia la dignità, l’uguaglianza formale, la solidarietà e la parità di
genere), nel rispetto del sistema delle competenze e del principio di
sussidiarietà, nonché della finalità originari a della UE, ossia
l’instaurazione di un mercato comune 50.
diritti sociali fondamentali, si limita a riconoscerli e rispettarli”, oltre al fatto che nelle
relative disposizioni sono utilizzati “concetti relazionali, tanto vaghi quanto inefficaci” e
comunque svuotati dalla clausola ricorrente di rinvio al diritto comunitario ed alla
legislazione nazionale (F. Salmoni, Diritti sociali , op. cit., 556 e 557, che pure valuta
“positivi, ancorchè non ancora del tutto soddisfacenti” i risultati sul piano della tutela dei
diritti sociali comunitari, nell’epoca antecedente all’entrata in vigore del Trattato di
Lisbona).
Del resto, il costume di fondare sulla concorrenza anche la tutela di interessi alieni e con
essa addirittura contrastanti si è rapidamente esteso dalla Corte di giustizia al giudice
comune. Anche la Corte di Cassazione (Cass. 5 novembre 2010, n. 225 59, in Guida al diritto ,
n. 47, 27 novembre 2010, 52 ss.) ha ritenuto che l’imprenditore che si avvalga di lavoratori
extracomunitari privi di permesso di soggiorno, ferma restando la nullità del relativo
contratto di lavoro per contrarietà a norme imperat ive (art. 22 T.U. immigrazione), è
comunque obbligato ai versamenti retributivi e contributivi perché differentemente
ritenendo sarebbero “alterate le regole del mercato e della concorrenza”, consentendosi “a
chi viola la legge sull’immigrazione di fruire di condizioni più vantaggiose rispetto a quelle
cui è soggetto il datore di lavoro che rispetto la disciplina in tema di immigrazione”.
Si tratta certo di un effetto virtuoso della tutela della concorrenza, ma l’argomentazione non
convince perché omette di considerare la tutela costituzionale del lavoratore (in particolare
il diritto all’equa e proporzionale retribuzione ex art. 36 Cost.) appiattendola – non senza
paradosso – sulla tutela di una facoltà della libertà di iniziativa economica privata, ossia l a
concorrenza. Di talchè l’effetto perverso che ne discende è che la libertà economica viene
ad essere limitata non già dalle esigenze sottese alla formula dell’utilità sociale di cui all’art.
41 comma 2 Cost. – fra esse, di certo, la tutela del lavoratore – bensì dalla garanzia della
concorrenza, che è elemento consustanziale alla libertà d’intrapresa economica.
49 Sia consentito in tema il rinvio a L. Principato, Il processo di integrazione europea nel contrasto
fra tutela dell’ambiente e libertà di circ olazione delle merci , in Dir. soc., 2/2011, 501 ss. nonché in
Scritti in onore di A. Pace , Editoriale Scientifica, Napoli 2012, III, 2799 ss .
50 L’elisione del riferimento alla concorrenza libera e non falsata, nella novella dell’art. 3
TUE, potrebbe essere ritenuta sintomo di un’evoluzione del sistema gerarchico dei valori
determinati sul piano europeo (in questo senso, G. Bronzini, Il modello sociale europeo , in Le
nuove istituzioni europee , op. cit., 113), ma una lettura sistematica del Trattato lascia in tendere
20
La nuova stesura dell’art. 3 TUE sembra il frutto di un equilibrismo
linguistico, ai limiti dell’ossimoro.
L’Unione si adopera per uno sviluppo sostenibile, fondato su una crescita
economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, ossia su una “economia
sociale di mercato”, in cui sono premiate anche la tutela dell’ambiente ed
il progresso scientifico e tecnologico.
La sostanza di tali formule può cogliersi nell’applicazione
giurisprudenziale – che si è mostrata sopra, pur se per spunti
paradigmatici di riflessione – ma anche nella predisposizione degli
strumenti e delle procedure per l’attuazione politico -normativa, terreno
sul quale il Trattato dei Lisbona è tutt’altro che entusiasmante.
L’art. 5 TFUE precisa che l’Unione “può prendere iniziative per quanto
riguarda il coordinamento delle politiche sociali”, fondando l’azione di
coordinamento stessa su una libertà funzionale che mal si concilia con la
doverosità che dovrebbe inferirsi dal principio di sussidiarietà 51.
Soprattutto, l’art. 151 comma 1 TFUE (non riconosce e garantisce, bensì)
“tiene presente” i diritti sociali fondamentali e, con un solenne richiamo
della Carta sociale europea e della Carta comunitaria dei diritti sociali
fondamentali dei lavoratori 52, stabilisce quei fini cui sono tese le misure
che il successivo comma 2 pretende articolate, tenuto conto delle
diversità nazionali e della “necessità di mantenere la competitività
dell’economia dell’Unione”.
L’unico elemento di giuridica dov erosità, seminato nei giardini delle
buone intenzioni, è proprio dettato dal richiamo alla economia
competitiva, ossia al principio della concorrenza.
che la concorrenza resta il principio fondante dell’Unione europea, gerarchicamente
sovraordinato – come lo stesso sistema della competenza rende manifesto – e pervasivo
finanche della politica sociale stessa. Appare condivisibile, dunque, la lettu ra disincantata
del dato normativo offerta da C. Pinelli, Il preambolo, i valori, gli obiettivi , in Le nuove
istituzioni europee , op. cit., 62, il quale nega efficacia giuridica all’eliminazione del riferimento
alla concorrenza, chiesto ed ottenuto dalla F rancia in sede di revisione del Trattato.
51 In questo senso, G. Bronzini , Il modello sociale , op. cit., 115, il quale denuncia una carenza
di coordinamento fra politica economica e politica sociale, pur se il combinato disposto
degli artt. 7 (“L’Unione ass icura la coerenza fra le varie politiche e azioni, tenendo conto
dell’insieme dei suoi obiettivi e conformandosi al principio di attribuzione delle
competenze”) e 10 TFUE (“nella definizione delle sue politiche ed azioni, l’Unione tiene
conto delle esigenz e connesse con la promozione di un livello di occupazione elevato, la
garanzia di una protezione sociale adeguata, la lotta all’esclusione sociale e un livello elevato
di istruzione, formazione e tutela della salute umana”) lascia intendere una sensibilità verso
una efficiente formula di compromesso fra tali opposti interessi, che troverebbe espressione
in un federalismo non competitivo, ma neanche propriamente solidaristico, stante la carenza
di un adeguato assetto amministrativo e di una dotazione economi ca europea per la tutela
dei diritti sociali.
52 Carte fondamentali che, a differenza della Carta dei diritti di Nizza, non hanno il
medesimo valore dei trattati, Ne auspica la comunitarizzazione , analogamente a quanto
avvenuto per la CEDU, A. Spadaro, I diritti sociali di fronte alla crisi (necessità di un nuovo
“modello
sociale
europeo”:
più
sobrio,
solidale
e
sostenibile) ,
in
www.associazionedeicostituzionalisti.it , 14 del dattiloscritto, os servando che la c.d.
giurisprudenza del Comitato Europeo dei diritti sociali non è vincolante, potendo tale
organo riferire al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, per sollecitarne l’adozione
di raccomandazioni.
21
Non diversa appare la logica sottesa all’art. 153 TFUE: il comma 1 è
votato all’affermazione di un’Unione che “sostiene e completa” l’azione
degli Stati membri in settori sensibili di politica sociale, dalla sicurezza
sul posto di lavoro, alla protezione sociale dei lavoratori anche in caso di
licenziamento, passando per la lotta all’esclusione sociale ed il principio
di parità di genere. Quando però si scende sul piano dell’attuazione dei
principi, il comma 2 lett. b) non manca di precisare che le direttive,
recanti le “prescrizioni minime applicabili progressivamente”, sempre
tenuto conto delle condizioni e delle normative tecniche degli Stati
membri, non devono essere tali da imporre vincoli amministrativi,
finanziari e giuridici che “ostacolino la creazione e lo sviluppo delle
piccole e medie imprese”. Ciò che è una scelta politica – condivisibile o
non nel merito – di segno esattamente opposto rispetto a quella che
caratterizza l’art. 41 Cost.: se nell’ordinamento interno la libertà
d’impresa non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla
libertà ed all’utilità sociale, nell’ordinamento comu nitario è la tutela del
“contenuto minimo” dei diritti sociali (espressamente richiamato dall’art.
52) a non poter recare danno alla libertà d’intrapresa economica.
In conclusione, la lettura dei dati normativi induce il timore che nel
rispetto del liberismo più ortodosso, la sovranità, a livello europeo,
voglia attribuirsi (se non alle imprese, nella migliore delle ipotesi) al
consumatore, anzicchè al cittadino. 53
Del resto, è lo stesso principio della democrazia rappresentativa, pur
proclamato all’art. 10 comma 1 TFUE, a trovare uno scarso riscontro
nella realtà istituzionale europea, anche dopo Lisbona.
Il rapporto fra Parlamento e Consiglio europeo, infatti, appare articolato
in forma ben lungi da quello che coniuga rappresentanza generale e
territoriale nelle federazioni 54, nonché fondato su un “sistema di
partecipazione che nulla ha a che fare con la democrazia
rappresentativa” 55.
Si legge in M. Luciani, Perché la sinistra ha smarrito la lezione della Costituzione , in L’Unità del
12 febbraio 2012, “ La retorica della sovranità dei consumatori è penetrata a fondo nella
cultura del centrosinistra e ha fatto grandi guasti. Quella del consumatore è per definizione
una figura apolitica o tutt’al più prepolitica. È al cittadino, al soggetto politico, che spetta la
sovranità.” Il precipitato del difetto di sovranità in capo ai cittadini, a livello europeo, è
rappresentato dalla autoreferenzialità della decisione (non)politi ca: osserva F. Bilancia,
Statuto del consumatore ed evoluzione della società politica , in Scritti in onore di Michele Scudiero ,
Jovene, Napoli 2008, 178 che “Gli obiettivi dell’Unione e gli strumenti per la loro
realizzazione vengono irreggimentati così ne lle ‘competenze’ declinate nel dettaglio della
disciplina normativa, privando qualunque soggetto politico ed i cittadini europei in primo
luogo, della possibilità giuridica di influenzarne in alcun modo la determinazione e lo
sviluppo”,
con
conseguente
“ne utralizzazione
della
dimensione
politica
[…]
depotenziamento della rappresentanza politica, qualificazione meramente nominalistica dei
diritti politici, in una concezione della democrazia in senso soltanto formale”.
54 Pur se nella genesi dei sistemi federa li, la rappresentanza generale non costituisce un dato
immediatamente radicato, bensì il risultato di un processo evolutivo, come osservato da S.
Mangiameli, Il ruolo del parlamento europeo e il principio della democrazia rappresentativa , in Scritti
in onore di Michele Scudiero , Jovene, Napoli 2008, 1226.
55 S. Mangiameli, ult. op. cit. , 1237.
53
22
Il sistema circolare 56 che caratterizza l’Unione europea lascia intendere
come gli Stati siano sempre i signori dei trattati e l a formazione
convenzionale del diritto europeo, in fondo, è l’immagine della struttura
intergovernativa ancora fortemente radicata ed anzi preminente.
L’effettivo rapporto fra parlamento, consiglio e commissione dovrebbe
essere indagato nell’attribuzione d elle funzioni e nelle dinamiche
politiche di funzionamento, per poter comprendere se dopo Lisbona la
determinazione dell’indirizzo politico si sia spostata più verso l’organo
rappresentativo dei cittadini che verso quello presidiato dagli Stati, ma al
fine dell’indagine sui diritti sociali, la questione può essere posta anche
solo dubitativamente, giacchè il profilo di maggiore interesse è un altro.
Il processo di integrazione europea potrà anche risolversi nella
disgregazione più o meno totalizzante degli stati nazionali: è una
possibilità che non può escludersi in una fase di transizione così
dinamica qual è quella attuale.
Esso, però, deve divenire la nuova occasione per la sintesi di un moderno
compromesso fra stato e mercato, impresa e lavoro, individua lismo e
socialità.
Infatti, “le procedure costituzionali della democrazia rappresentativa non
precedono ma, necessariamente, seguono un'intesa fondamentale, un
patto che sancisca le ragioni dell'intendersi e le sue prospettive” 57: tale
patto fondamentale consiste nella scelta politica europea sui diritti civili e
politici, ma anche sui diritti sociali, che non può ritenersi tacitamente
concluso nel riferimento alle tradizioni costituzionali comuni 58.
I. Pernice e F. Mayer, La Costituzione integrata dell’Europea , in Diritti e Costituzione
nell’Unione europea , a cura di G. Zagrelbesky, Laterza Roma -Bari 2003, 43 ss ., i quali
propongono l’idea di una Costituzione (ed una sovranità) integrata e di un costituzionalismo
a più livelli, in cui “l’Unione europea formi un sistema costituzionale composto da un
livello nazionale e di un livello sovranazionale di potere pubbli co legittimo, i quali si
influenzano reciprocamente, coinvolgendo a più dimensioni i cittadini ovvero i medesimi
soggetti di diritto”.
57P. Barcellona, L'Europa, l'economia globale e l'impero: la costituzione europea tra trattato
internazione e patto costi tuzionale, in www.astrid-online.it.L'Autore ritiene che nel processo di
formazione dell'Europa come istituzione metanazionale, possa compiersi una decisione
politica di protezione sociale contro i processi di g lobalizzazione, quale fondamenta su cui
edificare una nuova realtà statuale. Nel senso che il binomio libertà -eguaglianza debba
ricomporsi a livello internazionale, individuando nuovi equilibri di compromesso per la
massimizzazione del benessere collettivo , A. D’Aloia, Storie “costituzionali” dei diritti sociali ,
in Scritti in onore di Michele Scudiero , Jovene, Napoli 2008, 689 ss.
58Anche l'autorevole dottrina che propone tale tesi (A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale
europeo , Bologna 2002, 157 ss. ed in particolare 182 ss.), adotta una formula prudenziale e
riconosce le difficoltà in essa implicite. Del resto, alla carenza della decisione politica
fondamentale, si accompagna anche lo scardinamento del principio di corrispondenza fra
potere e respon sabilità, conquista del costituzionalismo: osserva, infatti, M. Luciani,
Integrazione europea, op. cit. , 344, che proprio la moltiplicazione dei livelli decisionali e la
depoliticizzazione di alcuni di essi consentono al Potere di sottrarsi alla responsabi lità.
Infatti, “molte delle sedi decisionali comunitarie sono tecniche e quindi, per definizione,
politicamente irresponsabili”; inoltre, “il semplice spostamento verso l'altro – e cioè verso
la sede sovranazionale – consente ai governi degli Stati di scar icare appunto ver so l'alto la
responsabilità di scelte sgradite o impopolari”.
La sovranazionalità è dubbio che possa essere predicabile di una Istituzione, quella europea,
che in realtà è ancora fortemente ancorata al principio intergovernativo ed individ ua nel
56
23
Occorre, dunque, ripercorrere l’evoluzione storica dei diri tti sociali quale
categoria giuridica, proprio al fine di comprendere quale sia l’attuale
assetto dei c.d. diritti all’eguaglianza sostanziale nell’ordinamento
europeo e quali ne siano le possibilità (o le necessità) di sviluppo.
3. La rivoluzione francese e lo stato di diritto liberale.
Si è avuto modo di rilevare 59 che il dibattito sulla potenzialità o attualità
egoistica del liberismo e del liberalismo è tutt’altro che sopito, visto che
proprio di recente 60 sono state avanzate alcune ipotesi di revisione del
possessive individualism 61 liberale, finalizzate a rivalutare la funzione sociale
nel sistema ottocentesco. 62
Trattato il fondamento di un’attribuzione di competenze che non può ritenersi “stabile”,
anche in ragione della facoltà di recesso espressamente riconosciuta agli Stati membri,
essendo quindi carente di un predicato imprescindibile della sovranità, ossia la capacità di
“autorigenerarsi in virtù della autosufficienza delle proprie fonti del diritto” (M. Raveraira,
I diritti sociali dopo il trattato di Lisbona , in R.d.s.s., n. 2 del 2011, 331, la quale pur riconosce
il carattere di originarietà all’ord inamento europeo in ragione della capacità di penetrazione
normativa nell’ordinamento interno).
Si pronuncia categoricamente in senso negativo, sulla tutela dei diritti sociali nell’Unione
europea, A. Algostino, Democrazia sociale e libero mercato: Costitu zione italiana versus “costituzione
europea”?, in www.costituzionalismo.it , la quale censura in particolare il “il livello verso il basso
nella garanzia dei diritti, avallato dalle corti costituzionali”, chia mate ad uniformarsi agli
orientamenti della CGCE, il che “nell’ipotesi di costituzioni, come quella italiana,
fortemente indirizzate alla realizzazione di un’eguaglianza sostanziale” costituisce “una
involuzione così significativa nella garanzia dei diritt i da poter assumere i connotati
dell’incostituzionalità”.
59 Sia consentito il rinvio al nostro I diritti sociali nel quadro dei diritti fondamentali , in Giur.
cost., 2001, 874 ss.
60 J.B. Brebner, Laissez faire and State Intervention in Nineteenth Century Britain, in Journal of
Economic History, Supplemente VIII, 1948, 59 -73 e W. Holdsworth, A History of English
Law, a cura di A.L. Goodhart e H.G. Hanbury, specie i volumi XIII, London, 1952 e XV,
London, 1965.
61L’espressione di C.B. Macpherson, The Political Theory of possessive individualism , Oxford,
1962 esalta la visione proprietaria nell’affermazione dell’individualismo liberale nella
seconda rivoluzione industriale. A. Baldassarre, voce Proprietà, Enc. dir., 8 ss., ha chiarito
come la società liberale, intesa come “comunità di proprietari, dunque senza classi”,
ipostatizza il concetto stesso di libertà ponendone a fulcro la proprietà, di talchè libertà
civile è la “disposizione [...] delle capacità possedute per natura”; libertà economica è “lo
scambio dei diritti di proprietà o l’ampliamento degli stessi attraverso le proprie capacità
imprenditoriali”; libertà politica è la “compartecipazione al potere collettivo di regolare in
modo formalmente uguale [...] la libertà - proprietà dei singoli”.
Appare singolare che il “ clash sistemico” di un diritto di proprietà che, valorizzato come
strumento egualitario (in senso formale), ha finito con lo scontrarsi con l’eguaglianza
sostanziale inducendo la crisi del sistema liberale, non abbia stimolato la riflession e
sull’attuale stato del processo di integrazione europea: la logica mercantile ha generato un
nuovo scontro con le istanze sociali ed ancora una volta si è compreso che non vi può
essere politeia se anche l’economia non rispetta il principio della rappres entanza.
Ancora una volta dovrà passarsi dal binomio libertà - proprietà al trinomio libertà proprietà - lavoro. Dal diritto di proprietà al diritto al lavoro. Da un diritto di libertà (qual
era la proprietà nel sistema liberale ottocentesco ), ad un di ritto sociale.
62E’ il caso del Roberts, il quale si è prodigato in una mirabile ricostruzione storica e
giuridica al fine di dimostrare l’esistenza di radici del moderno Welfare State addirittura
nella Inghilterra vittoriana. Cfr. D. Roberts, Victorian Ori gins of the British Welfare State , New
Haven, 1960, 95. Più aderente alla realtà, però, appare l’analisi di R.M. Hartwell, La
24
Si può sostenere che “l’individualismo non nega la realtà primordiale del
‘sociale’ come non nega la necessità dell’organizzazione sociale” 63 ovvero
ipotizzare che “nessuno dei cosiddetti diritti dell’uomo va al di là
dell’uomo egoistico, dell’uomo in quanto membro della società borghese,
ossia chiuso in sé, nel proprio interesse privato e nel proprio privato
arbitrio” 64, ma certo non può revocarsi in dubbio che la società liberale,
frutto della Dichiarazione francese del 1789, sia governata dall’idea
dell’uomo lockeano, ossia “L’uomo soggetto di bisogni in grado di
organizzare razionalmente la soddisfazione tramite la libertà e la
proprietà del corpo, delle azioni e delle cose” 65.
La società liberale, però, deve essere occhiutamente indagata in rapporto
alle strutture giuridiche liberali, al fine di cogliere la sostanza della
dialettica libertà-uguaglianza a cavaliere fra il diciottesimo ed il
diciannovesimo secolo.
Il primo passo è di certo quello storico: comprendere le radici della
rivoluzione francese vuole dire, infatti, compre ndere la genesi del
liberalismo, attraverso la cronaca degli avvenimenti.
Una crisi senza precedenti si trascinava dall’inizio degli anni ottanta del
secolo decimottavo e viene aggravata dal pessimo raccolto del 1788: il
piano di ristrutturazione finanziaria del ministro di Luigi XVI Calonne,
fondato da un lato su un’imposta proporzionale sul reddito che colpisca
tutte le terre e, dall’altro, sulla liberalizzazione del commercio dei cereali
e l’eliminazione delle dogane interne, viene affidato all’approvazione di
un’assemblea di notabili all’uopo designata, poiché si teme che i tredici
Parlamenti dell’Ancien Regime non accettino 66 la nuova forma impositiva,
rivoluzione industriale inglese , tr. it. di V. Zamagni, Bari, 1973, 238 ss.: l’azione legislativa è
stata necessaria, in quel dete rminato periodo storico, proprio per favorire i principi del
laissez faire, dovendosi fronteggiare l’esigenza di eliminare dal tessuto normativo di rango
legislativo i privilegi ed i vincoli ereditati dal sistema feudale e mercantilistico, di chiaro
ostacolo alla libertà di iniziativa economica ed al valore fondamentale della concorrenza.
63 A. Laurent, Storia dell’individualismo , tr. It., Il Mulino, Bologna, 1994, 18, il quale cita F.
Bastiat, Armonie economiche , Utet, Torino 1946, secondo il quale propri o nel momento di
massima esaltazione egoistica gli uomini ricercano i propri simili, al fine di associarsi per
“rendersi reciproci servizi”.
64 K. Marx, Il problema ebraico , in Id., Scritti politici giovanili , Einaudi, Torino 1950, 379.
65 A. Cantaro, Il secolo lungo. Lavoro e diritti sociali nella storia europea , Ediesse, Roma 2006,
145, il quale pure non manca di evidenziare che già la Costituzione giacobina del 1793
pone, in uno alla libertà, la felicità comune come scopo della società (art. 1), valoriz zando il
suffragio universale, il lavoro, l’assistenza e l’istruzione come momento essenziale della
questione sociale.
66 Qualsiasi ordinanza o editto regio deve essere registrato dai Parlamenti locali, i quali non
possono rifiutare la registrazione, ma pos sono presentare una protesta al re: se questi
ordina la registrazione in una seduta straordinaria ( lit de justice ), i Parlamenti sono obbligati
ad eseguirla, almeno fino alla prima metà del secolo XVIII. Successivamente, infatti, le
aspirazioni politiche d i tali Assemblee diverranno molto più concrete ed esplicite,
invalendosi nella prassi e nella pubblica opinione l’idea che “i diritti dei parlamenti
procedono addirittura dalle origini della storia monarchica, ossia dalle assemblee franche e
successivament e dalla curia regis medievale, e che pertanto non sono delle semplici corti di
giustizia, ma un unico corpo depositario delle leggi fondamentali del regno, con potere
legislativo; il rifiuto di registrazione una legge equivarrebbe a bocciatura della legge stessa”
(F. Furet, La rivoluzione francese , Mondadori, Milano, 2010, 46).
25
siccome assai penalizzante proprio per le principali componenti in essi
rappresentate 67 (il clero e la nobiltà, anche di toga).
I notabili, allarmati dalla denuncia del deficit statale, non approvano la
riforma, chiedendo ed ottenendo la destituzione del ministro e
l’attribuzione della relativa carica ad uno dei suoi principali oppositori, il
prelato illuminista Lomenie de Brienne.
Questi, in realtà, non fa altro che riproporre il progetto del suo
predecessore, ma l’Assemble a dei notabili lo rigetta proprio dichiarandosi
priva del potere di approvarlo e chiedendo la convocazione degli Stati
Generali che, però, Luigi XVI rifiuta categoricamente.
Lo scontro si acutizza in Parigi, per poi diffondersi in tutte le province: il
Re pretende di provvedere alla registrazione di alcuni provvedimenti
tributari senza la preventiva approvazione del Parlamento di Parigi e ne
deriva un conflitto assai aspro, che culmina con la disfatta regia, giacchè
l’8 agosto 1788 vengono convocati gli St ati generali per il 1 maggio 1789.
La logica ed il regolamento per l’elezione dei rappresentanti seguono
ancora il modello dell’ultima convocazione, avvenuta nel 1614: gli Stati
generali sono divisi in tre ordini – clero, nobiltà e Terzo stato – ciascuno
dei quali elegge trecento rappresentanti, ma le votazioni non avvengono
per teste, bensì per ordine, sicchè il Terzo stato è sempre posto in
minoranza dai rappresentanti dell’ Ancien Regime.
In sostanza, in seno agli Stati Generali si provvede alla rappresen tazione
degli interessi di ciascuna classe, pur se non può negarsi che all’indomani
del 24 gennaio 1789, quando vengono rese pubbliche le lettere di
convocazione ed il regolamento elettorale, si assiste alla pubblicazione di
una moltitudine di appelli nei quali l’interesse di parte prende a cedere il
passo ad un nuovo interesse generale, partorito dalla filosofia dei lumi 68.
Tra la prima riunione degli Stati Generali, tenutasi il 5 maggio 1789, e la
costituzione dell’Assemblea nazionale, il 17 giugno del med esimo anno, si
compie il primo atto della Rivoluzione: il Terzo Stato ha innescato la
miccia ribattezzandosi come assemblea dei “deputati dei comuni”; Sieyes
Si legge, infatti, in F. Furet, La rivoluzione francese , op. cit., 46 che “i parlamentari sono
proprietari delle loro cariche e pertanto relativamente indipendenti nei confronti del potere
e imbevuti di un forte spirito di corpo […] Le cariche parlamentari non solo sono care, ma
per giunta nobilitano e, pagando una tassa, diventano trasferibili di padre in figlio.” In
sostanza, nei Parlamenti si è andata radicando la presenza di q uanti – siano plebei arricchiti
con i commerci, avvocati o piccolo borghesi – vengono a costituire quella nobiltà di toga,
parte essenziale della nazione illuminata che si scaglierà contro l’ Ancien Regime , per la quale
“il reddito essenziale delle sue cari che consiste nell’aumento della sua importanza politica”.
68 E’ il caso del celeberrimo “ Qu'est-ce que le Tiers Etat” in cui l’abate Sieyès si scaglia contro
la nobiltà in difesa del Terzo stato, ma al fine di fondare un nuovo regime politico, donde la
considerazione “Che cos'è il Terzo Stato? Tutto. Che cos'è stato finora nell'ordinamento
politico? Nulla. Che cosa desidera? Diventare qualcosa”. Ancora, il pamphlet “À la Nation
artésienne, sur la nécessité de réformer les États d'Artois” , nel quale l’avvoca to Maximillien de
Robespierre critica il sistema elettorale in vigore, che non garantisce un'equa rappresentanza
dei cittadini, sbilanciata a favore della classe nobiliare. La posizione di tali temi di interesse
generale, però, non deve essere enfatizzata: è proprio il medesimo Robespierre, infatti, il 25
marzo 1789 a redigere il cahier de doleances della corporazione dei ciabattini, la più povera e
numerosa della provincia: rappresentanza d’interessi, dunque, pur se dietro di essa và
formandosi una coscien za più ampia e radicale della sovranità popolare. In tema v. anche G.
Salvemini, La Rivoluzione francese , Feltrinelli, Milano, 1964.
67
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dà fuoco alle polveri sollecitando la convocazione di “tutti i
rappresentanti della Nazione” e pro muovendo l’Assemblea Nazionale,
prontamente osteggiata dagli altri ordini e dal Re.
Luigi XVI convoca una seduta reale per il 23 giugno 1789. I
rappresentanti del Terzo Stato, ormai Assemblea Nazionale, cui è
precluso l’utilizzo dell’Hotel des Menus Paris , trovano rifugio nella sala
della Pallacorda, ove il 20 giugno viene data lettura del celebre
giuramento.
Vi si legge che “L’Assemblea nazionale” è “chiamata a stabilire la
Costituzione del regno, ad operare la rigenerazione dell’ordine pubblico”,
sicchè i rappresentanti eletti si riuniranno “dovunque le circostanze lo
richiedano, finchè la Costituzione del regno non sarà stabilita e poggiata
su solide fondamenta”. 69
Il ruolo dei rappresentanti, in forza dell’apporto del Terzo Stato, tende a
modificarsi sensibilmente: essi non costituiscono più il veicolo delle
semplici esigenze corporative e specifiche raccolte nei cahiers. Divengono
il motore di una rivoluzione politica e sociale che – pur rispettando
ancora l’istituzione Monarchica – trascende l’atto di preposizione che ne
fonda i poteri ed il mandato conferito dagli ‘elettori’, ponendosi quale
strumento d’attuazione di un diverso e superiore interesse generale.
Nella seduta del 23 giugno 1789, Luigi XVI accoglie alcune
rivendicazioni borghesi, riconosc endo la libertà individuale e di stampa e
concedendo che siano gli Stati Generali a deliberare le imposte; per il
resto, attua una politica autoritaria, non recependo le richieste di voto
per teste, pretendendo l’annullamento delle deliberazioni sino ad al lora
assunte dall’Assemblea e contestando quest’ultima nella sostanza,
imponendo che gli ordini si riuniscano e deliberino separatamente.
Del resto, nella prima fase della rivoluzione, la monarchia è ben lungi
dall’essere osteggiata: l’assolutismo di Luigi XVI cade sotto la scure delle
rivendicazioni del Terzo Stato, ma la Costituzione del 1791 recepirà
comunque un’ambigua forma di governo duale, caratterizzata
dall’Assemblea e dal Re, entrambi promanazione della Nazione 70.
Siffatta sovranità assembleare sem brerebbe apparentemente neutrale
sotto il profilo sostanziale: il Re pretende di sfruttarla per mantenere e
consolidare i privilegi dell’ Ancien Regime ed il sistema monarchico, mentre
i rappresentanti riuniti nella sala della Pallacorda la invocano quale
strumento di affermazione dei nuovi ideali del nascente astro borghese.
Solo il tempo ha reso giustizia di una simile ambiguità.
La formazione dell’Assemblea Nazionale può essere considerata, alla luce
dei successivi sviluppi, il primo passo dell’espressio ne di un potere
costituente che nel celebre giuramento si dichiara lapidariamente: i
rappresentanti non siedono più, nell’assemblea, per rappresentare gli
In F. Furet, La rivoluzione francese , cit. 76, in uno al vibrante resoconto degli eventi narrati,
anche uno stralcio del giuramento.
70 N. Zanon, Il libero mandato parlamentare , cit., 71 ritiene che “la stessa teoria della sovranità
nazionale, che ricopre il complessivo assetto dei poteri scaturito dalla costituzione del 1971,
aveva essenzialmente una funzione negativa e uno scopo dilatorio. Essa serviva a non
indicare con precisione a quale dei due soggetti, re o assemblea, spettasse davvero la
sovranità”.
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specifici interessi di questa o quella corporazione. La necessità ne ha
plasmato il ruolo e la funzio ne, esaltando la situazione rappresentativa ed
(almeno in apparenza) svilendone l’originario rapporto con i
rappresentati.
Per questo i nobili possono decidere di sedere con il Terzo Stato in
assemblea unitaria, in piena autonomia e addirittura in manifest o
contrasto con le imperative istruzioni del proprio ordine. Per la
medesima ragione, Robespierre può tralasciare le rivendicazioni fiscali
della corporazione dei ciabattini – in palese ma solo apparente violazione
del relativo cahier – decidendo che la migliore cura della Nazione richieda
l’approvazione di una nuova Costituzione che mini alle fondamenta
l’assolutismo dell’Ancien Regime.
La teoria di Sieyes ha preso vita concreta: il potere costituente si è
affermato in fatto 71, quale manifestazione di una volontà tesa all’adozione
di una nuova Carta fondamentale e tale processo costituente ha travolto
la funzione rappresentativa originariamente fondata sui cahiers ma anche
quella, che ne costituisce evoluzione, che al contrario veniva a riposare
sulla loro nullità o inefficacia verso l’Assemblea 72. Questa trasformazione
dell’Assemblea, da sovrana in costituente, rende più difficoltoso astrarre
dalla specifica esperienza stori ca per trarne principi generali, validi al
fine di una discoperta della effettiva Naz ione oggetto di rappresentanza
politica.
Nell’Assemblea Nazionale del 1789 la percezione di un superiore
interesse generale era chiara ed evidente, proprio perché esso ruotava
intorno all’instaurazione di una nuova costituzione, ossia alla lotta contro
l’assolutismo regio, in corrispondenza biunivoca con la pluralità ed unità
degli interessi. 73
Sul potere costituente quale potere di fatto, si rinvia ad A. Pace, L’instaurazione di una
nuova costituzione, op. cit. , 99 ss. ed in particolare, quanto al pensiero di Sieyes 121 e 130,
rispettivamente note 43 ed 80. L’abate rivoluzionario, infatti, riteneva che il potere
costituente appartenesse alla Nazione, mostrando di far coincidere tale nozione con quella
di popolo, nell’affermare che essa coincidesse con le “quarantamila parrocchie che
abbracciano tutto il territorio, tutti gli abitanti e tutti i contribuenti della cosa pubblica”. In
senso contrario, Pace ritiene che il titolare del potere costituente possa individu arsi solo ex
post, analizzando in concreto il processo scaturito dall’esercizio del potere di fatto.
72 Si legge in N. Zanon, Il libero mandato parlamentare , cit., 68 s., che “il divieto di mandato
imperativo non deriva dalla sua [dell’Assemblea] natura di corpo rappresentativo dell’intera
nazione, piuttosto quest’ultima qualità servì a giustificare i poteri e le competenze che
l’assemblea si era attribuita, a partire dalla sua trasformazione in assemblea costituente.
L’abolizione del sistema dei mandati imp erativi, da questo punto di vista, è stato il primo ed
il più importante provvedimento operativo adottato da un collegio che intendeva far uso del
potere costituente, del potere di dare una costituzione alla Francia.”
73 D. Nocilla e D. Ciaurro, Rappresentanza politica, cit., 556 nota 74, osservano che “I
costituenti del 1789, nel tentativo di battere definitivamente l’assolutismo, vollero togliere
al monarca la qualità di interprete esclusivo dell’interesse collettivo (o nazionale) e
tentarono di attribuire la rappresentazione dell’unità all’assemblea elettiva, onde
l’attribuzione ai singoli parlamentari del compito di farsi portatori dell’interesse generale e
la loro sottrazione ad ogni vincolo verso gli elettori. Tutto ciò ben si conciliava con la
progressiva sostituzione della persona fisica del monarca con la persona giuridica dello
Stato, alla quale spettava ormai il compito di simboleggiare il momento dell’unità: a tutti gli
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28
Quando il potere costituente si esaurirà, si solleverà il velo posto sul
volto della Nazione e diverrà manifesta la lotta per il potere, che è lotta
politica in senso proprio, ossia finalizzata all’affermazione di una
peculiare visione della società.
La fine del regime monarchico, simbolicamente rappresentata dalla
ghigliottina, è l’epilogo di un percorso che passa attraverso il fallimento
dei foglianti di La Fayette e l’affermazione della rivoluzione borghese
della Gironda, culminata nella giornata del 10 agosto 1792, quando il Re
viene destituito e sostituito da un comitato esecutivo, mentre si pongono
le fondamenta della creazione della Comune.
La costituzione monarchica del 1791 recepisce la “decisione
antropologica di porre al centro dell’ordine socio -politico e
dell’ordinamento giuridico l’uomo appropriativo e possessivo, ‘libero’ da
qualsiasi legame con altri uomini che non sia quello contrattuale” 74: già
nel preambolo della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del
1789 si legge che i Rappresentanti del popolo francese riuniti
nell’Assemblea nazionale in essa “hanno deciso di esporre, in una solenne
dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sa cri dell’uomo”, diritti
naturali che si sostanziano nella libertà e nella proprietà, sacra ed
inviolabile. Proprio il dogma del diritto soggettivo è recepito nella prima
costituzione rivoluzionaria ed il fine primario dell’avversione dell’ Ancien
regime postula l’affermazione di una libertà assoluta pur se non
incondizionata, che lascia in ombra quei principi (istruzione pubblica e
soccorso pubblico per i minori e gli indigenti) che costituiscono
embrionali segni dell’avvento di una giustizia sociale.
Fino al “Primo Terrore” ed ai massacri sanculotti del settembre del 1792,
con il Re agli arresti la rappresentanza politica è contesa tra Assemblea
nazionale e Comune, ma gli eventi rendono evidente quanto incontenibile
ed imprevedibile sia la manifestazione di un potere costituente: la
minaccia di una reazione fogliante – vera o presunta – porta il popolo e
la borghesia in piazza ed alimenta la strategia del terrore di cui sarà
vittima la famiglia reale, l’ Ancien Regime ma anche la Gironda ed un parte
sensibile dello spirito rivoluzionario di Robespierre.
In ogni caso, la Costituzione montagnarda del 1793 innalzerà
l’eguaglianza sul piano dei principi naturali ed essenziali, traducendola in
strumenti di effettivo perseguimento dello scopo della società,
individuato nella “felicità comune”: istruzione, soccorso pubblico e tutela
del lavoro si affermano nella Carta costituzionale e si accompagnano al
suffragio universale ed alla possibilità di limitare il diritto di proprietà
privata.
Ma si tratta di una epifania assai breve.
Il Terrore pone sotto assedio l’organo assembleare rappresentativo ed
apre le porte alla stagione di violenze ed incertezza che preparerà il
terreno alla reazione Termidoriana ed alla caduta dei montagnardi.
organi di tale persona giuridica era attribuito in teoria il compito di persegu ire la
soddisfazione dell’interesse generale, considerato al di sopra dei vari interessi particolari.”
74 A. Cantaro, Il secolo lungo, cit., 146.
29
Il 9 termidoro segna la fine di R obespierre e l’affermazione della Pianura,
palese nella Costituzione del 1795, ma è possibile individuare una linea d i
continuità ed al contempo uno sviluppo dell’idea di rappresentanza, nel
passaggio dal 1789 al 1795. La continuità è data dall’esigenza di
rappresentazione di nuovi interessi (borghesi, popolari o reazionari) in
seno all’Assemblea, che si traduce in una lotta politica (foglianti,
girondini, sanculotti, termidoriani), precipitato dell’esercizio incompiuto
di un potere costituente, ancora non esaurito.
La riaffermazione del suffragio per censo, della sacralità della proprietà e
dei diritti di libertà contribuisce a meglio tratteggiare l’essenza della
Nazione che residua dal furore rivoluzionario .
Nell’esperienza liberale la Nazione 75 si identifica soggettivamente con la
borghesia, il motore della rivoluzione e della crisi dell’ Ancien regime, ossia
con una classe assai articolata ma portatrice di interessi sufficientemente
omogenei e, soprattutto, accomunata dal fine di osteggiare l’assolutismo
regio ma, ancor più, i privilegi della nobiltà e del clero.
Proprio l’omogeneità della società borghese rivoluzionaria – va da sé,
quella (parte) titolare dei diritti politici – consentirà egualmente un
dissolvimento degli interessi particolari (di classe) nelle esigenze della
La concezione moderna della Nazione sembra nascere proprio con le rivoluzioni borghesi:
nelle città-stato greche o nell’esperienza romana (anche imperiale, cfr. G.F. Ferrari, Nazione,
in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1 ss.) la nozione può essere ricostruita piuttosto sotto il
profilo etnico o culturale, ma l’accezione post rivoluzionaria e, segnatamente, romantica, la
quale è improntata ad una tendenziale coincidenza tra nazione culturale e nazione
territoriale dotata di una struttura politica autonoma, è di più difficile applicazione a tali
esperienze (C. De Fiores, Nazione e Costituzione , Napoli, Giappichelli, 200 5, 15 s. in specie
nota 57, richiamando Aristotele, Politica, VII, H, 7, 1327 b aderisce alla tesi secondo la quale
proprio il perseguimento dell’unità costituzionale contribuisce “a fare del popolo greco una
nazione, in senso politico e non soltanto etnic o”). Certo è che dopo il 1789 i fattori oggettivi
(etnico, religioso, linguistico ed istituzionale) si sommano a quello volontaristico soggettivo
(G.F. Ferrari, Nazione, cit. 4) e nelle rivoluzioni borghesi si ricostruisce intorno all’idea di
Nazione propr io la forma della sovranità (non già popolare, né ancora statale, bensì)
appunto nazionale. Non è questa la sede per una compiuta ed esaustiva esegesi del concetto
di Nazione, ma rileva che il concetto sia da sempre sotteso da una connotazione fortemente
individualistica (v. F. Chabod, L’idea di Nazione , Roma-Bari, Editori Laterza, 1961, il quale
principia il saggio proprio con la lapidaria affermazione “Dire senso di nazionalità significa
dire senso di individualità storica”. Osserva P. Carrozza, Nazione, in Digesto delle discipline
pubblicistiche , Torino, Utet 2004, X, 132 ss. che per i “grandi teorici liberali nazione è uno dei
principali elementi costitutivi dello stato, è la giustificazione […] dell’unità politica, ciò che
differenzia e giustifica la fo rmazione di un gruppo organizzato come comunità
indipendente”, richiamando conseguentemente l’idea di Sieyes, secondo il quale “La
Nazione è preesistente a tutto, è l’origine di tutto”) ed è teleologicamente orientato a
costituire solida base sulla quale r icostruire un sistema di sovranità contrario a quello
assolutistico, aristocratico e clericale. In questa ottica, si comprende come V. Crisafulli – D.
Nocilla, Nazione, in Enc. dir., XXII, Milano, Giuffrè, 806 ritengano che costituisca prova
della continu ità dello Stato italiano – secondo la nota visione Crisafulliana – il fatto che
nella Costituzione i concetti di Nazione e Stato -comunità siano talora sovrapponibili ed in
altri casi non coincidenti, ciò che “troverebbe a sua volta spiegazione nella circos tanza che,
per quanto trasformato ne sia sotto molti aspetti l’ordinamento (e per quante modificazioni
abbia in precedenza subite), Lo Stato italiano è la prosecuzione dello Stato italiano
risorgimentale, venuto formandosi sul tronco dell’antico Regno di S ardegna, in nome –
appunto – del principio di nazionalità: tardiva conquista dell’unità politica da parte di una
preesistente nazione culturale”.
75
30
Nazione, pur se il rapporto unità -molteplicità rimarrà sopito sotto le
ceneri, nel corso della storia, per poi riemergere prepotentemente nel
secolo XX.
Tale omogeneità è garantita dall’essere, questi tutti, fondati su un
concetto di eguaglianza (formale) dell’uomo dinanzi alla legge e,
simmetricamente, da una nozione di legge come atto generale ed astratto,
che garantisce un intervento dello Stato nella società improntato alla
medesima eguaglianza formale.
Soprattutto, lo stato di diri tto liberale si fonda su un concetto di diritto
soggettivo quale strumento per l’affermazione della libertà naturale
dell’individuo. Per dirla con Duguit 76, la nota fondamentale di tale
ordinamento è la contrapposizione tra imperium e dominium, sovereignity e
property, Herrschaft e Eigentum-Freiheit; come il sovrano ha potere sulla
collettività per le azioni socialmente rilevanti, in esercizio della propria
sovranità, così l’individuo è signore della sfera di azioni a lui imputata
dall’ordinamento obiettivo alla stregua di uno “spazio vitale”. 77
L’individuo, dunque, non può vantare una situazione giuridica soggettiva
di natura pretensiva verso lo Stato, poiché ciò implicherebbe una
incisione nella sfera della sovranità pubblica e, parallelamente, una
ingerenza “su istanza di parte” del soggetto pubblico nei rapporti privati,
mentre il principio informatore dell’ordinamento liberale è proprio
quello, opposto, del laissez faire.
Correlata al più elevato indice di espansione della libertà del singolo,
dunque, si pone una concezione minima dello Stato, mero “gendarme”
delle attività dei cittadini 78.
Stato minimo, ma non inesistente: sotto il profilo delle prestazioni
sociali, pur se nel sistema si riscontra una preminenza privata sul piano
della organizzazione e d ella erogazione, si ravvisano i segni di una forma
istituzionale pubblica di assistenza ma, come accennato, non è
giuridicamente corretto ritenerla oggetto di un diritto soggettivo (sociale)
del cittadino 79, giacchè si tratta di forme assistenziali di natur a
privatistica – pur se imposte ex lege – cui è ancora sottesa una logica
individualistica.
Il rilievo del valore fondamentale della libertà trova un riscontro
concettuale nell’idea dell’uomo come essere egoista, ma razionale: la
razionalità liberal-borghese è, infatti, la vera chiave di volta di un sistema
76L.
Duguit, Il diritto sociale, il diritto individuale e la trasformazione dello Stato (1922), trad. it.,
Firenze, 1950, 49 ss.
77Coerentemente, A. Baldassarre, voce Diritti sociali , cit., 1 ritiene sussistente un vero e
proprio “monopolio pubblico delle azioni politicamente/socialmente rilevanti”.
78L’analisi, però, potrebbe apparire fuorviante rispetto al rilievo da attribuire al soggetto
pubblico: dire Stato come mero gendarme, infatti, non equivale a dire Stato debole. Semmai
il contrario: quanta forza ed autorità deve riconoscersi in un apparato pubblico che, “senza
intervenire” (nel senso tecnico che si è accol to nel testo), riesce comunque a garantire il
rispetto delle regole del mercato, tutelando il principio della concorrenza perfetta ed i suoi
corollari.
79A. Baldassarre, voce Diritti sociali , Enc. giur. Treccani, XII, Roma, 1989, 2, osserva come si
tratti, infatti, del frutto di una “scelta politica unilaterale dei governanti pro tempore ”.
31
caratterizzato da illimitato progresso della civiltà e benessere
economico. 80
Il pendant di questa sublimazione delle capacità individuali è ravvisabile
nella profonda sfiducia nello Stato ed in eventu ali politiche di
redistribuzione del reddito: le condizioni ideali macroeconomiche, come
la piena occupazione e la stabilità monetaria, e microeconomiche, come
la massimizzazione dei profitti ed il contestuale abbattimento dei costi, si
ritengono conseguenza necessaria delle libere fluttuazioni dei valori di
mercato. 81
Non sembra, però, affatto esaustiva del contesto culturale e giuridico
liberale la tesi della disomogeneità dei diritti sociali rispetto alla struttura
del Rechstaat, se la si fonda unicamente sulla concezioni minima dello
Stato.
V’è di più. V’è il problema della uguaglianza , sopra accennato a proposito
dei tratti salienti della cultura liberale e borghese .
Sia sul piano sociale, sia sul piano economico, il soggetto pubblico deve
limitarsi a garantire il rispetto delle regole del gioco, ma perché questo
possa essere libero, tale libertà deve essere di tutti. “Il diritto uguale ed il
senso dell’ingiustizia del privilegio sono i tratti salienti più noti del
pensiero liberale”. 82
In termini di teoria generale del diritto, questo si traduce, come si è
avuto modo di vedere, nella esaltazione (almeno apparente) della legge
generale ed astratta e nel ripudio della legge -provvedimento, fonte di
discriminazioni.
80In
merito cfr. A. Schumpeter, Capitalismo, socialismo e democrazia , Etas-Kompass, Milano,
1967, in specie 117 ss. V. anche l’analisi di J. Habermas, La crisi della razion alità nel
capitalismo maturo , Roma-Bari, 1979, 68 ss.
81Per comprendere come un sentimento di sfiducia verso lo Stato interventista sia stato
anche caratteristico della genesi della Costituzione italiana del 1948, è proficua l’analisi
dell’emendamento prese ntato dall’on. Montagnana dinanzi al plenum dell’Assemblea
costituente, nella seduta di Venerdì 9 maggio 1947. Vi si legge: “Allo scopo di garantire il
diritto al lavoro di tutti i cittadini, lo Stato interverrà per coordinare e dirigere l’attività
produttiva, secondo un piano che dia il massimo di rendimento per la collettività”.
Immediate le reazioni dell’Assemblea: a giudizio dell’on. Einaudi “ i piani imposti dall’alto
sono sempre stati, nei secoli scorsi, antesignani di servitù politica e di schiavitù economica
“; per l’on. Taviani un’economia integralmente pianificata da un lato “lascia troppo
facilmente la possibilità di cedere alla tentazione di indirizzarla ad altri scopi [ulteriori
rispetto al benessere collettivo], come egemonie imperialistich e o privilegio di ristrette
cerchie classistiche o ideologiche”, dall’altro “sacrifica di necessità altri diritti della
persona, altrettanto naturali ed originari come il diritto al lavoro”.
Una analoga posizione di sfiducia è assunta dall’on. Giannini, il quale giunge a chiedersi:
“come potremmo affidare a questo povero Stato nientemeno che tutta la direzione della vita
pubblica italiana ?”. Ed ancora: “Noi non vorremmo che lo Statoci vendesse nemmeno le
sigarette ed il tabacco, poiché li troviamo a miglio prezzo ed a migliori condizioni nella
borsa nera che almeno, per quanto riguarda i tabacchi, è una cosa più seria dei monopoli di
Stato”.
Per ulteriori riferimenti v. Atti dell’assemblea costituente , nella edizione della Camera dei
Deputati, La Costituzio ne della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente , Roma,
1971.
82M. Libertini, Il mercato: i modelli di organizzazione , in Trattato di diritto commerciale e di diritto
pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, CEDAM, Padova, 1979, v ol. III, 354.
32
L’eguaglianza liberale, però, non presenta a lcuna affinità con il parallelo
concetto che contraddistingue le costituzioni democratiche del ventesimo
secolo 83: nel sistema liberale la diseguaglianza fondata sulla diversità delle
capacità personali è indispensabile al progresso economico e culturale,
poiché ravviva costantemente la propensione alla concorrenza, positiva
dialettica conflittuale. 84
Le differenze sociali sono avversate solo ove, fondandosi sulla nascita o
sul
sistema
di
privilegi
caratteristico
dell’epoca
medioevale,
rappresentano un ostaco lo al libero dispiegarsi delle forze del mercato.
Ben si comprende, allora, come in un siffatto sistema, non trovino spazio
alcuno i diritti sociali, intesi come condizione “indispensabile a liberare i
non abbienti dalla schiavitù del bisogno, e a metterli in condizione di
potersi avvalere, anche di fatto, di quelle libertà politiche che di diritto
sono proclamate come eguali per tutti” 85; nel contesto del liberalismo
storico, infatti, non è ipotizzabile un intervento positivo dello Stato
(poiché contrario al laissez faire) finalizzato a garantire un eguale
godimento dei diritti politici (che per definizione sono funzione del
diritto di proprietà).
4. Il liberalismo e lo stato di diritto.
A latere della filosofia politica liberale vi sono le strutture giuri diche che
con essa si affermano, nel processo evolutivo dell’istituzione statuale,
sottese alla formula dello stato di diritto, sul significato della quale occorre
preliminarmente intendersi.
Ora, pur non mancando chi, con Kelsen 86, ritiene che il Rechstaat non
costituisca una forma autonoma di stato, ma le includa tutte a partire
dallo Stato di polizia, pare preferibile accordare allo stato di diritto una
autonomia concettuale, ritenendolo contraddistinto da alcuni tratti
essenziali: il principio della divi sione dei poteri, non interpretato come
semplice ripartizione delle competenze, alla stregua degli stati di polizia,
ma analizzato nelle sue implicazioni sulla struttura dell’ordinamento 87; il
principio di legalità dell’amministrazione, che, formatosi già a l tempo
83In
proposito, estremamente chiara la posizione di N. Bobbio, Eguaglianza ed egualitarismo ,
in Riv. int. fil. dir., 1976, 321 ss.
84In questo senso, espressamente F. A. von Hayek, La società libera , Firenze, 1969, 62.
85P. Calamandrei, L’avvenire dei diritti di libertà, in Opere giuridiche, vol. III, Napoli, Morano,
1968, 200.
86H. Kelsen, La dottrina pura del diritto , Giulio Einaudi Editore, Torino, terza edizione, 1975,
351: “[...] il tentativo di legittimare lo stato come stato di diritto è assolutamente inadeguato,
per il fatto che [...] ogni stato deve essere uno stato di diritto, nel senso che ogni stato è un
ordinamento giuridico”. Osserva, però, L. Paladin, Diritto Costituzionale , CEDAM, Padova,
Cedam, 1995, 41, che così ragionando si disc onosce “il senso ed il valore della lotta per lo
stato di diritto, che contraddistingue la storia istituzionale europea dalla fine del XVIII
secolo in poi. Né si considera che un tale tipo di stato, per quanto equivoco possa essere il
termine con il quale si suole designarlo, si pone come il frutto di uno sforzo di superamento
degli intrinseci difetti dello stato di polizia, assumendo strutture e contenuti politici che
stanno in polemica antitesi con quelli dell’ ancien regime ”.
87Alla tripartizione delle fun zioni, cioè, deve corrispondere una tripartizione dell’apparato
statale, in Parlamento, cui spetta il potere legislativo, Capo dello Stato o Governo (cui
spetta il potere esecutivo) e magistratura (cui spetta il potere giudiziario).
33
degli stati di polizia e del primo sviluppo di un embrionale apparato
amministrativo, nel modello in esame raggiunge un più elevando indice di
effettività e concretezza; la giustizia amministrativa, come conseguenza
diretta del principio di legalit à, poiché finalizzata a garantire il rispetto
delle leggi da parte dell’esecutivo; le libertà individuali garantite dalla
legge o dalla Costituzione.
5. Stato liberale di diritto nella Germania del diciannovesimo
secolo.
Il contesto culturale tedesco, so speso fra liberalismo ed autoritarismo,
richiede un più approfondito esame.
Fatta salva la breve parentesi della Costituzione di Weimar, la forma di
Stato dominante nell’area tedesca è quella monarchica: da Guglielmo I, re
di Prussia nel 1861 ed imperatore di Germania dopo dieci anni, grazie
alla politica delle alleanze del Cancelliere Bismak ed alla sconfitta di
Napoleone III, fino alla rivoluzione delle camice brune ed all’ascesa al
potere di Hitler, attraverso l’incertezza politica di Guglielmo II ed il
primo conflitto mondiale.
Hobbes ha rivoluzionato la tradizione medioevale del rapporto di
subordinazione dei cittadini rispetto al Sovrano ( omnis potestas ab deo),
concependo lo Stato come persona giuridica, costruzione artificiale che
sostituisce una volontà unica (voluntas omnium) a quelle dei singoli
individui 88, cui non rimane che il diritto alla legalità nell’esercizio dei
poteri dei governanti.
Il Leviatano fonda la propria sovranità sulla esigenza di comporre e
limitare l’egoismo e la ferocia natural e dell’uomo, pur se la creazione del
vincolo sociale postula – non dissimilmente da quanto accade in Locke –
un momento volontaristico di consapevole rinuncia al perseguimento
degli interessi particolari in favore della esigenza di salvezza del gruppo
e, in esso, di ciascun partecipante al consorzio sociale. 89
88L’aspetto
originale e profondamente innovativo è che la voluntas omnium non è la somma
delle singole volontà dei sudditi, ma una entità sostanzialmente differente ed unitaria. Non
v’è, dunque, una mera differenza quantitativa (volere di alcuni, volere di tutti), ma una più
radicale differenza qualitativa. Si legge in T. Hobbes, De cive (1642), in Opere Politiche , trad.
it., Torino, 1959, cap. V, par. 6, 149: “Poiché la convergenza di molte volontà verso un solo
scopo non basta per conservare ed istituire una stabile difesa, si r ichiede che la volontà di
tutti sia, nella scelta di quel che è necessario per il mantenimento della pace e della difesa,
una sola”.
89 Per
una rilettura contrattualistica della teoria politica di Hobbes v. M. Luciani,
Costituzionalismo irenico e costituzio nalismo polemico , in Giur. cost., 2006, 1644 ss. il quale parla
espressamente di “frattura hobbesiana nella storia del costituzionalismo” (1646) atteso che
“mentre […] nella dottrina medioevale e rinascimentale la legittimazione del potere sovrano
si radicava nella virtù, nella tradizione o nella volontà divina, Hobbes avverte la necessità
che addirittura il potere del sovrano assoluto trovi il proprio radicamento nel diritto, nel
vincolo contrattuale stretto tra i sudditi (ovvero, in certi passaggi forse m eno sorvegliati,
fra i sudditi ed il sovrano)”.
Resta inteso che la proprietà privata, mentre in Hobbes non costituisce limite per il
Leviatano, che in tal senso è solutus legisbus , in Locke deve essere tutelata anche verso il
sovrano, ciò che nell’interp retazione di M. Luciani, Unità nazionale , op. cit., 12 del
dattiloscritto è da imputarsi al fatto che nell’intervallo di tempo che separa i due studiosi,
“il capitalismo si era ormai saldamente affermato in Inghilterra, sicchè, al di là delle
34
L’assoggettamento del suddito al potere sovrano, che pure si fonda su
una contingente e storica necessità imprescindibile – altrimenti essendo
impossibile la pacifica convivenza – ma anche su un atto v olontaristico
ancorchè inesorabile, finisce con il risolversi in un annichilimento
dell’individuo nello Stato che troverà una compiuta esaltazione nella
tradizione romantico-idealistica, in cui ne saranno accentuati i toni
autoritari.
L’unità di volere dello Stato implica di necessità l’annichilimento della
intera società civile, intesa come pluralità di individualità, tanto che viene
guardata con diffidenza la stessa posizione hegeliana 90, nella quale la
dicotomia società-stato viene riconosciuta, pur se d estinata ad una
evoluzione dialettica nel segno della assimilazione concettuale.
Il pericolo è quello del riconoscimento di diritti individuali ai singoli, che
valgano a relazionarli allo Stato non più nell’ottica dell’autorità, ma in
quella della libertà: dovendosi tutelare il fondamentale Herrschaftsrecht del
soggetto pubblico, nasce la categoria dei diritti pubblici soggettivi, non
implicanti, come i diritti soggettivi dei privati, facoltà liberamente
disponibili (agere licere), bensì esercitabili solo “ secondo la destinazione e
la ragione oggettiva (ratio) per cui sono riconosciuti” 91.
Questa visione assolutistica dello Stato, collocato in una sfera superiore e
fondante quella dei privati, attraverso la “filosofia della Rivelazione” di
Schelling 92 e l’interpretazione giuridica di questa data da Sthal 93, giunge
fino ai Reflexwirkungen di Gerber. 94
Per quest’ultimo, se il potere statale è Herrschaftsmacht, “unità di volere
indivisibile e superiore ad ogni altra” 95, esso costituisce la fonte di ogni
intenzioni so ggettive dei due studiosi, non v’era più bisogno di riconoscere al potere
politico una summa di poteri così estesa che gli consentisse di rompere i vincoli feudali
contrastanti il nuovo modo di produzione e, anzi, occorreva erigere barriere soprattutto nei
suo confronti”.
90 G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di G. Marini, Laterza, Roma -Bari
2005, 195 s. osserva in fatti che “Se lo Stato viene confuso con la società civile e la
destinazione di esso vien posta nella sicurezza e nella protezione della proprietà e della
libertà personale, allora l’interesse degli individui come tali è lo scopo ultimo per il quale
essi sono uniti, e ne segue parimenti che essere membro dello stato è qualcosa che dipende
dal proprio piacimento. Ma lo stat o ha un rapporto del tutto diverso con l’individuo;
giacchè lo stato è spirito oggettivo, l’individuo stesso ha oggettività, verità ed eticità
soltanto in quanto è un membro del medesimo. L’unione come tale è essa stessa il verace
contenuto e fine la dest inazione degli individui e di condurre una vita universale; l’ulteriore
loro particolare appagamento, attività, modo del comportamento ha per suo punto di
partenza e risultato questo elemento sostanziale e universalmente valido. La razionalità
consiste, considerata astrattamente, in genere nella compenetrantesi unità dell’universalità e
della singolarità […]”. Vede in Hegel la dissoluzione dell’individuo nello “Stato etico” A.
Barbera, Le basi filosofiche del costituzionalismo , Laterza, Roma -Bari 2007, 29 ss., assumendone
l’incompatibilità con la filosofia del costituzionalismo.
91A. Baldassarre, voce Diritti pubblici soggettivi , Enciclopedia giuridica Treccani, Istituto
Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1989, 3.
92F. W. Schelling, Filosofia della Rivelaz ione (1841), trad. it. Bologna, 1972.
93F. J. Sthal, Die Philosophie des Rechts, II, Rechts und Staatslehre auf der Grundlage christlicher
Weltanschauung , V ed., Tubingen -Leipzig, 1878.
94C. F. Gerber, Diritto Pubblico , trad. it., Milano, 1971.
95A. Baldassar re, voce Diritti pubblici soggettivi, cit., 3, il quale muove dal presupposto che lo
Stato, nel sistema liberale ottocentesco, inglobava anche la società civile. In senso
35
fenomeno giuridico, compresi i “cosiddetti diritti civili” 96. In quanto
effetti riflessi, questi non possono risolversi in una pretesa dell’individuo
verso lo Stato, poiché ciò implicherebbe una supremazia, pur se relativa o
specifica, del primo sul secondo che, di cont ro, è postulato come
supremo ed originario.
Le singole tessere prendono a dar vita al mosaico del contesto giuridico –
culturale della Germania fra il primo ed il terzo Reich, fra Bismark ed
Hitler: da un lato la tradizione monarchica e del cancellierato “ forte”,
alimentata da un fervido desiderio di unificazione sotto l’egida del regno
di Prussia; dall’altra una concezione autoritaria dello Stato che si collega
ad una preminenza del ceto della grande aristocrazia terriera sulla
nascente classe borghese, in antitesi rispetto alle ulteriori realtà europee
ed in specie a quella francese rivoluzionaria.
La commistione di questi elementi ha portato ad uno sviluppo peculiare
dell’assetto sociale e politico, rispetto a realtà, come la Gran Bretagna e
l’America, prive di un ancien regime e governate da una borghesia
commerciale forte ed intraprendente. In quest’ultimo contesto la filosofia
liberale ebbe a radicarsi con prepotenza e decisione, determinando una
decisa affermazione dei diritti individuali rispetto alla potestà pubblica:
nell’esperienza americana ciò si tradusse nello scontro delle colonie con
la madrepatria, mentre in Inghilterra il contrasto si generò fra la Corona
ed il Parlamento.
Realtà come la Francia, l’Italia e la Germania conobbero ben altra sor te:
il potere dei ceti nobiliari era ancora notevole anche dopo la rivoluzione
industriale e la comparsa sull a scena sociale della borghesia.
Lo sviluppo della tecnica e della produzione, però, determinò anche una
crescita esponenziale delle masse operaie e dei problemi legati alle
condizioni di sfruttamento in cui queste versavano, sicché divenne
fisiologico un clima di contrasto sociale.
Nel quadro della politica di Bismark 97, può agevolmente comprendersi il
perché di un annichilimento dell’individuo e de lla esaltazione di concetti
contrario, per la separazione fra Stato e società v. A. Pace, Problematica delle libe rtà
costituzionali, Parte generale, CEDAM, Padova, 2003, 17 ss. specie nota 27.
96C.F. Gerber, Diritto Pubblico , cit., 67. La qualificazione giuridica dei diritti civili nel
pensiero di Geber è, comunque, notevolmente ambigua. A. Baldassarre, voce Diritti pubblici
soggettivi, cit., 3 osserva che l’insigne giurista tedesco considera tali situazioni giuridiche ora
come effetti riflessi del un potere statale, dal quale solo traggono legittimazione, ora come
“veri e propri diritti”, pur se senza alcun chiariment o in ordine a natura e contenuto
(Gerber si limiterebbe, infatti, ha “qualificarli come espressioni secondarie rispetto al
generale rapporto di sudditanza dei singoli rispetto allo Stato”; v. C.F. Geber, op. cit., 203
ss.).
97L’analisi storica e culturale è funzionale a meglio intendere la posizione di chiusura e di
svalutazione di parte della dottrina, del tempo ed anche successiva, nei confronti dei diritti
sociali.
Interessa, dunque, intendere il clima culturale ed ideologico, mentre appare di rilievo
secondario il fatto che, nella legislazione, siano ravvisabili i prodromi dello Stato sociale. E’
vero, in altri termini, che l’assicurazione per tutti i lavoratori dell’industria e per gli invalidi
e gli anziani venne realizzata proprio dal conservatore Bis mark, con due atti legislativi del
1884 e del 1889, ma da ciò non può desumersi l’organicità della categoria dei diritti sociali
(con le implicazioni di principio che ad essa si collegano, relative alla necessaria struttura
democratica dello Stato) rispett o ad un sistema sospeso fra autoritarismo e liberalismo. Ciò
36
come la Patria e la Nazione: ordine e sicurezza assumevano carattere
preminente rispetto alla tutela dei cittadini, in un processo di unificazione
ed ipostatizzazione dell’ente sovrano rispetto alla società civile.
Liberismo e liberalismo giungono in Germania, dunque, filtrati da questo
schermo culturale e politico fondato sull’autoritarismo 98: ben si
comprende, allora l’imbarazzo e l’ambiguità di una teorizzazione, qual è
quella di Jellinek, sospesa fra una concezione forte dello Stato 99 e le
nuove istanze liberali, che conduce ad una rilettura della tesi dei diritti
come “effetti riflessi”: “Per il fatto di appartenere allo Stato, di essere
membro di esso, l’individuo è qualificato sotto diversi aspetti. I possibili
rapporti nei quali può trovarsi con lo Stato lo mettono in una serie di
condizioni giuridicamente rilevanti. Le pretese giuridiche che risultano da
siffatte condizioni, sono ciò che si designa col nome di diritti pubblici
soggettivi. I diritti pubblici soggettivi consis tono [...] esclusivamente in
pretese giuridiche (Anspruche) che risultano direttamente da condizioni
giuridiche (Zustande)”. 100
In Jellinek, dunque, il rapporto fra cittadino e Stato diviene
fondamentale, poiché la giuridicità di quest’ultimo non si fonda pi ù,
come in passato, sulla forza o sulla potenza che ad esso si accompagna,
ma proprio sulla relazione tra ciascun soggetto di diritto e l’ordinamento
giuridico 101. In ciò è agevole cogliere una traccia della filosofia liberale e
della valorizzazione dell’uom o che a quella si accompagna, ma lo scontro
con il momento dell’autorità è inevitabile: nella classificazione della
varietà delle pretese derivanti dalle diverse condizioni giuridiche in cui
l’individuo può trovarsi nei confronti dello Stato, addirittura J ellinek
contempla, accanto allo status libertatis (diritti di libertà), allo status
civitatis (i diritti civili), allo status activae civitatis (diritti politici), uno
status subiectionis, nell’ambito del quale all’uomo non resta che sottostare
in senso assoluto alla superiore volontà dello Stato.
Francamente troppo, per tentare una conciliazione con il liberalismo. 102
che manca, per ritenere fondate affermazioni di questo genere, è un maturo concetto di
eguaglianza sostanziale.
98In tema, cfr. R. Dahrendorf, Sociologia della Germania contemporanea , trad. it., M ilano, 1958.
99Lo Stato-persona è sempre una entità superiore rispetto ad ogni altra, come in tutti i
predecessori del giurista tedesco, fino ad arrivare ad Hobbes. Cfr. G. Jellinek, Dottrina
generale dello Stato , trad. it., Milano, 1921, 671.
100G. Jellinek, Sistema dei Diritti pubblici soggettivi (trad. it. G. Vitagliano), S.E.L., Milano,
1912, 92 ss., 105 ss.
101G. Jellinek, Sistema, cit., 256.
102In questo senso, A. Baldassarre, voce Diritti pubblici soggettivi , cit., 5. Una ricostruzione
storica nella quale s i compongono istanze liberali e statalismo, inteso come concezione
giuridica dello Stato quale termine dialettico rispetto alla società civile, è stata elaborata da
M. Fioravanti, Appunti di storia delle Costituzioni moderne. I. Le libertà: presupposti cul turali e
modelli storici , G. Giappichelli Editore, Torino, 1991, 101 ss. L’Autore prende le mosse da
una considerazione preliminare: il liberalismo ripudia sia la costituzione – indirizzo dei
rivoluzionari francesi, la quale minaccia “l’autonomia della soc ietà civile e la stabilità dei
poteri pubblici, traducendosi [...] in dirigismo statualistico”, sia la costituzione – garanzia
dei rivoluzionari americani, poiché, pur accogliendo una concezione minima dello Stato,
essa implica “una continua instabilità de i poteri costituiti , perennemente minacciati nella loro
stessa legittimazione dalla presenza di un potere costituente teoricamente capace di mutare
ad ogni momento l’indirizzo fondamentale della costituzione”. Posto ciò, non può però
37
L’ambiguità suddetta si riversa, poi, sul piano degli stessi diritti pubblici
soggettivi, i quali non sono più dei meri effetti riflessi, ma non possono
neanche essere assimilati ai diritti soggettivi dei privati, fondati sull’ agere
licere: essi, infatti, necessitano di un “riconoscimento o autorizzazione
dello Stato-persona e, perciò, sono qualificabili come agere posse” 103.
La problematicità della relazione fra i diritti sociali ed una struttura
liberale della società si è già evidenziata , ma nel contesto giuridico
tedesco l’autoritarismo ancor di più esclude che l’individuo-suddito possa
esercitare un diritto proprio contro la fonte della propr ia giuridicità,
ottenendone “d’autorità” una prestazione positiva.
Nell’ottica dei diritti pubblici soggettivi la pretesa è esercitabile solo nei
limiti in cui espressamente autorizzata dallo Stato, sicché non può
parlarsi di diritti sociali nel senso odie rno, ovvero quali strumenti di
tutela dell’uomo contro le discriminazioni.
Il che, va da sé, non esclude che alle problematiche sociali che si
accompagnano alla rivoluzione industriale venga comunque articolata una
risposta attraverso una forma – prima privata e poi pubblica – di
assistenza e previdenza, essenzialmente di natura assicurativa contributiva.
Il prototipo fu quello delle Trade Unions, ovvero di forme associative ,
portatrici di interessi normalmente imputabili a lla collettività dei
lavoratori, favorite dallo Stato liberale. Le società di mutuo soccorso,
però, si scontrarono presto con il problema dell’eguaglianza, poiché solo
i lavoratori ricchi potevano accedere a questo sistema di solidarietà ,
comunque fondato sullo status e ben distante dall’improntare il rapporto
fra il privato ed il pubblico potere in un’ottica di doverosità.
ignorarsi che “Essere liberali, nell’Europa post -rivoluzionaria, significa impegnarsi in
entrambe le direzioni, nel restituire sicurezza ed autonomia alla società civile, ma anche nel
restituire autorevolezza e stabilità ai poteri costituiti”. In sostanza, se il dirigismo viene
contrastato attraverso il riconoscimento delle libertà negative, l’esigenza di stabilità e
sicurezza induce Fioravanti ad affermare che “il liberalismo europeo ha bisogno di un suo
statualismo, che si esprime nella formula europeo -continentale dello stato di diritto ”. Proprio in
questo, dunque, potremmo ravvisare un anello di congiunzione fra l’autoritarismo tedesco,
concretizzato nell’idea forte di Stato, ed il liberalismo europeo: lo Stato di diritto, in
definitiva, potrebbe considerarsi come la sovrastr uttura giuridica attraverso la quale da un
lato si è fatto fronte alla necessità di un soggetto pubblico tanto autoritario da poter
fronteggiare la situazione di crisi successiva alla rivoluzione industriale; dall’altro si è
concretizzata la tutela dei dir itti dell’uomo attraverso il principio di legalità, la separazione
dei poteri, l’indipendenza dei giudici e la garanzia giurisdizionale dei diritti. In questa
ottica, però, quello relativo ai diritti fondamentali diviene un problema di actio, ovvero di
“rimedi giurisdizionali che si possono invocare nel caso in cui qualcuno leda un diritto
individuale fondato sulla legge”. Il fondamento dei diritti, infatti, viene da Fioravanti
individuato nella legge, non già nella Costituzione. Ciò sempre per le medesime esigenze di
stabilità, poiché la Costituzione è in balia delle mutevoli decisioni politiche, mentre il
diritto civile (in tal senso, la legge), risulta connotato da un ben più elevato indice di
certezza. Dunque i diritti sono solo quelli riconosciuti dalla legge, ovvero dallo Stato, con
ciò riaprendosi la tematica dei diritti pubblici soggettivi. In sostanza, nella ricostruzione di
Fioravanti la Costituzione, nel contesto dello Stato di diritto, subisce una forte svalutazione
sul piano della precettività, proprio perché si teme che attraverso essa la mutevolezza
caratteristica della sfera politica faccia ingresso anche nel sistema giuridico, in particolare
dei diritti fondamentali.
103A. Baldassarre, ult. cit.
38
Il mutamento qualitativo nell’a tteggiamento pubblico venne dunque
maturando proprio nella consapevolezza della incapacità della mutualità
privatistica e dell’esigenza d i un sistema pubblico ed obbligatorio di
protezione sociale, per rispondere alle esigenze indotte dalla rivoluzione
industriale.
In Italia il primo intervento normativo di rilievo, pur se sempre in una
ottica privatistica, fu la legge 17 marzo 1898, n. 80 , con la quale si
obbligarono i datori di lavoro ad assicurarsi contro gli infortuni sul
lavoro, rendendoli responsabili non solo nell’ipotesi di dolo o colpa, ma
anche ove l’infortunio fosse derivato da caso fortuito, forza maggiore o
colpa non grave del lavoratore (in ciò la dimensione sociale della legge,
che si discostava dallo schema assicurativo tradizionale in materia di
responsabilità per danni) 104.
Anche nelle altre esperienze nazionali europee la creazione di uno “stato
amministrativo” 105 diviene funzionale proprio al superamento del rigido
individualismo borghese ed all’affermazione di una pregnante esigenza di
socialità, Si è detto dei primi interventi normativi – sempre di carattere
assicurativo – che nella seconda metà del diciannovesimo secolo
caratterizzano l’esperienza inglese, ma analoghe forme di interventismo si
riscontrano anche in Francia ed in Germania. 106
Si tratta, però, di una logica cui non è estranea una nuova impronta
sociale, ma che si muove sempre nell’alveo dell’individualismo
razionalista liberale e borghese. 107 Il superamento di tale logica, per
amore di paradosso, si vedrà esplicitato nel l’opera di un liberale,
chiamato nel 1941 ad elaborare una riforma del sistema assicurativo dal
governo di unità nazionale guidato da W. Churchill: W. Beveridge
rivoluzionerà il sistema di protezione sociale ereditato dalla fine del
secolo diciannovesimo, pur senza alcuna velleità rivoluzionaria, ossia
muovendosi dall’interno delle istituzioni esistenti. Il Piano Beveridge si
fonda su principi di soli darietà e redistribuzione, cui consegue la
Per l’ulteriore sviluppo della previdenza soci ale, v. M. Persiani, Diritto della previdenza
sociale, Cedam, Padova 1989, 8 ss.
In relazione al “sistema sociale” nello stato liberale, R. Rose, Il ruolo dello Stato nel Welfare
Mix, in A. Baldassarre (a cura di), I limiti della democrazia , Bari-Roma, 1985, 143 ss, ha
parlato di un “mix a dominanza privata”, poiché la maggior parte dei servizi sociali veniva
erogata da istituzioni intermedie fra Stato ed individuo, come la famiglia od organizzazione
private di beneficenza.
105 A. Cantaro, Il secolo lungo , op. cit., 154 ss.
106 Come si desume anche dalla posizione della dottrina ed in particolare in L. Duguit , il
diritto sociale , op. cit. e L. von Stein, Opere scelte, I: Stato e società , tr. It., Giuffrè, Milano
1986, riletti da A. Cantaro, Il secolo lungo , op. cit., il quale assume che, in specie in Duguit,
all’idea giusnaturalistica dell’individuo si contrapponga “una diversa antropologia centrata
sull’uomo sociale, sul diritto oggettivo prodotto dall’uomo socialmente determinato: l’uomo
membro della società e nei suoi legami coesivi con altri uomini”.
107 A. Cantaro, Il secolo lungo , op. cit., 160 e s. osserva che “I governi europei, quello di
Bismarck in primo luogo, vedevano infatti, nei programmi assicurativi uno strumento che
permetteva di contemperare le esi genze di protezione sociale della popolazione con la logica
di mercato”.
104
39
promozione di un sistema previdenziale e di sanità pubblica, nonché di
una politica di piena occupazione. 108
In Beveridge si radica la consapevolezza della necessità di una politica di
redistribuzione del reddito che inveri il principio dell’eguaglianza
sostanziale, ma il processo attraverso il quale prenderà forma una simile
coscienza, assai complesso, ruota intorno alla contrastata affermazione
dell’idea di Stato sociale.
6. Stato di diritto e stato sociale di diritto in E. Fhorstoff.
“Lo Stato sociale è la risposta politico -costituzionale alla crescente ed
obiettiva insicurezza sociale, che costituisce il sottoprodotto, a quanto
sembra difficilmente eludibile, sia degli squilibri di potere comportati dal
libero gioco delle forze sociali e dell’incertezza insita nei meccanismi
spontanei del mercato [...], sia dell’instabilità dei valori insita nelle
accelerate dinamiche culturali [...] proprie di società, come quelle rette da
regimi politici democratici e da sist emi economici capitalistici, che sono
caratterizzate da una crescente apertura reciproca (con ampio
interscambio di valori etici) e da ritmi di sviluppo delle condizioni di vita
straordinariamente veloci.” 109
Proprio in ragione di ciò, può convenirsi che “la formula Stato sociale, in
concreto, nacque senza pretese scientifiche, ma con intenti chiaramente
polemici, e perciò partitici o, al massimo, politici: all’accusa, che i
movimenti delle sinistre europee lanciavano ai partiti di ideologia
fascista, di essere asserviti al grande capitale, si volle contrapporre che
invece nelle normazioni degli stati in cui questi partiti erano al potere il
grande capitale tout court, era astretto ad osservare norme che attribuivano
ai lavoratori situazioni tutelate nel setto re sociale” 110.
Anche secondo Forsthoff “La formula dello stato sociale di diritto non è
un concetto giuridico [...] Da questa sola formula non possono essere
ricavati né diritti né doveri, né possono essere derivate istituzioni.” 111
L’allievo di Schmitt pren de le mosse da un presupposto storicamente
coerente ma, con ogni probabilità, oggi non riproponibile: “Lo stato di
diritto è legato allo status quo economico e sociale, e chi non vuole
rinunziare ai valori ed alle garanzie dei valori potrà ritenersi appaga to
dalla constatazione che lo stato di diritto protegge il sistema dei valori
che traspare da questo status quo. Non si possono avere
contemporaneamente entrambe le cose: proteggere ciascuno nei suoi
W. Beveridge, La libertà solidale. Scritti 1942 -1945, a cura di M. Colucci, Donzelli Editore,
Roma 2010.
109A. Baldassarre, voce Diritti sociali , cit., 3. Poco prima (2), l’Autore sot tolinea come la
nascita dello Stato sociale sia stato il prodotto dell’azione di una pluralità di forze (datori di
lavoro, lavoratori, sindacati, burocrazia statale ecc.). Conseguentemente, non può
condividersi la tesi di una unica matrice di natura social ista. Per una più approfondita
analisi del concetto di Stato sociale e delle sue implicazioni, nel quadro di una bibliografia
per altro sterminata, v. A. Baldassarre - A.A. Cervati, Critica dello Stato sociale , Bari, 1982 e
C. Colapietro, La giurisprudenza costituzionale nella crisi dello Stato sociale , Cedam, Padova,
1996.
110M.S. Giannini, Stato sociale , cit., 143.
111E. Forsthoff, Stato di diritto in trasformazione , a cura di C. Amirante, Giuffrè, Milano, 1973,
57.
108
40
diritti e nello stesso tempo consentire, mediante la ste ssa costituzione, i
capovolgimenti sociali che sono realizzabili sempre e solo in favore di
uno e a danno di altro”. 112
Corollario di questo postulato è l’impossibilità di una “fusione completa
degli elementi dello stato di diritto e degli elementi dello sta to sociale”,
poiché “un mezzo stato di diritto ed un mezzo stato sociale non fanno
uno stato sociale di diritto.” 113
Diritti di libertà e diritti sociali, in altri termini, operano su piani
differenti: costituzionale, i primi, concorrendo alla determinazion e della
forma di Stato; amministrativo, i secondi, poiché proprio attraverso
“l’amministrazione lo stato sociale ha trovato accesso alla scienza del
diritto pubblico”. 114
Questa coerente costruzione logica incontra, però, una consistente
difficoltà di diritto positivo: la Costituzione di Weimar, infatti, prevedeva
espressamente un sistema di garanzie sociali, sicché l’interprete del
diritto, dinanzi a siffatta conclusione, avrebbe dovuto negare la natura di
Stato di diritto del Reich di Weimar, ovvero riconos cere la compatibilità
fra libertà ed eguaglianza a livello costituzionale.
Forsthoff, insieme con Grewe 115, trova una soluzione differente: poiché
relegati nel preambolo della Carta fondamentale, i diritti sociali hanno un
carattere meramente programmatico. Vincolano, cioè, il legislatore e
l’amministrazione a tradurre in norma positiva i principi che se ne
possono desumere.
“A differenza dei diritti di libertà, i diritti di partecipazione non hanno
una dimensione fissa, regolabile a priori. Essi hanno biso gno della
graduazione e differenziazione, perché hanno un significato ragionevole
solo nei limiti di ciò che, nel caso singolo, è adeguato, necessario e
possibile. La determinazione di questi limiti deve essere riservata alla
legislazione ed all’amministra zione che esegue la legge. Perciò diritti
sociali come il diritto al lavoro, all’assistenza, all’istruzione, alla
formazione professionale ed all’insegnamento, alla tutela della famiglia,
della maternità e della gioventù non possono essere contenuti in una
norma astratta e pronta per l’esecuzione.” 116
Una tecnica analoga viene poi adottata da Forsthoff per aggirare il
problema dato dagli artt. 20 comma 1 e 28 comma 1 GG, nei quali si
riscontra la nota formula dello “Stato sociale di diritto”. Pur non
negando, infatti, che la Legge fondamentale della Repubblica federale
presenta una carattere innovativo rispetto alla Costituzione di Weimar,
112Op.
ult. cit., 7.
ult. cit., 39 e 40.
114Op. ult. cit., 37 ss. L’Autore distingue fra costituzione ed amministrazione, evidenziando i
tratti salienti della evoluzione di quest’ultima, che da una visione “negativa” è stata tradotta
in un ambito di positivo “interventismo”. In particolare, sul pi ano sub – costituzionale
dell’amministrazione, lo stato sociale rileverebbe in termini di “stato fiscale”, in tal modo
assolvendo alla propria naturale funzione di “dividere, distribuire ed attribuire”.
115Il quale afferma che quella di Stato sociale è “una formula in bianco priva di contenuto”,
da cui, aggiunge Forsthoff, non è possibile trarre conseguenze giuridiche. V. op. ult. cit.,
51.
116E. Forsthoff, Stato di diritto , cit., 47.
113Op.
41
poiché mentre “quest’ultima conteneva i suoi principi programmatici
nelle garanzie sociali della seconda parte, [...] il r iconoscimento dello
stato di diritto o dello stato federale sociale nell’art. 20 rientra nel nucleo
essenziale immutabile della Legge fondamentale e inoltre nell’art. 28
quale parte di una norma costituzionale, alla quale senza dubbio viene
riconosciuta una immediata vincolatività giuridica.” 117, il giurista giunge
sempre alla medesima conclusione: “La legge Fondamentale non ha uno
specifico contenuto sociale. La parola sociale va dunque al di là della
Legge Fondamentale e potrebbe ricevere un contenuto speci fico solo da
settori che si trovano al di fuori del diritto costituzionale.” 118
In sostanza, quelli sopra evidenziati sono alcuni fra i più salienti
presupposti culturali e giuridici della programmaticità dei diritti sociali 119,
la quale era essenzialmente fun zionale a salvaguardare lo stato liberale di
diritto, autoritario e fondato sull’eguaglianza formale.
A questo punto si rompe irrimediabilmente la coerenza logica fra
istituzioni giuridiche e dinamica storica.
Illuminante l’analisi di Forst hoff: “Il mondo occidentale ha salvaguardato
lo stato di diritto che, per sua origine, era uno stato borghese ed era
legato alla società borghese del secolo XIX, nell’attuale realtà che è
divenuta per molti aspetti profondamente diversa e lo ha riedificato
laddove esso era distrutto. Ciò fu possibile solo perché si rilevò che le
istituzioni dello stato di diritto potevano essere separate di fatto dalla
realtà sociale originaria alla quale esse erano subordinate.” 120
117E.
Forsthoff, Stato di diritto , cit., 52.
senso contrario, W. Schmidt, I diritti sociali nella Costituzione della Repubblica federale
tedesca, in Riv. trim. dir. pub., 1975, 785 ss. La posizione della dottrina tedesca, comunque,
appare più articolata: se da un lato C. Schmitt, Grundrechte und grundpflichten (1932), ora in
Verfassungsrechtliche Aufsatze , Berlin, 1958, 212 ss. guarda ai diritti sociali come a
Programmsatze , direttive che il legislatore, in piena discrezionalità, è chiamato a tradurre in
precetti normativi, una serie di altri autori (raccolti in H.C. Nipperdey (a cura di), Die
Grundrechte und Grundpflichten der Reichsverfassung , I, Berlin, 1930) li considera vincolanti per
lo stesso legislatore, il quale è dunque obbligato ad esercitare la suddetta funzione
d’attuazione. Comunque, la summa di queste posizioni più o meno articolate è in G.
Leibholz, Der Strukturwandel del modernen Demokratie (1952), ora in Strukturprobleme der
modernen Demokratie, III edizione, Karlsruhe, 1967, 88 ss.: i diritti di libertà ed i diritti
sociali sono incompatibili, poiché fondati su p rincipi a loro volta inconciliabili, ovvero la
libertà e l’eguaglianza. Pertanto, devono considerarsi alla stregua di Programmsatze , che
impongono al legislatore una loro graduazione.
119 Naturalmente tale tesi non era (e non è) universalmente condivisa. J. Habermas, Morale,
diritto, politica, Torino, 1992, 90, contro la degenerazione dello Stato sociale in stato
amministrativo proposta da Forsthoff critica “i tentativi di recupero interno del dualismo
politico-giuridico, che si basano sulla separazione tra d iritti fondamentali e diritti sociali,
sulla subordinazione dello Stato sociale allo Stato di diritto e sulla difesa dello status quo”,
ritenendo che il primo altro non sia se non l’evoluzione giuridica del secondo, dunque una
vera e propria forma di Stato . Che la garanzia dello Stato sociale sia funzionale al
miglioramento “del destino materiale degli individui”, i quali “devono essere messi in grado
di esercitare effettivamente i diritti di libertà”, è altresì opinione di P. Haberle, Le libertà
fondamentali nello Stato costituzionale , a cura di P. Ridola, Roma, 1993, 149 ss. L’Autore,
infatti, ritiene che se si introduce nello Stato di diritto la “clausola dello Stato sociale, ciò
avviene con l’obiettivo di garantire il significato istituzionale delle libe rtà”.
120E. Forsthoff, Stato di diritto , cit., 62.
118In
42
Quando si dice che, attraverso la “tecnicizzazione delle is tituzioni” 121 è
stato possibile rendere autonoma la forma di stato rispetto alla situazione
storica e culturale che l’aveva prodotta, si coglie certamente nel segno,
poiché proprio tali istituzioni (separazione dei poteri, giustizia
amministrativa, diritti i ndividuali ecc.) hanno resistito al mutamento dei
costumi e della realtà sociale.
Ma il corollario che se ne vuol trarre appare una forzatura del sistema:
non è, infatti, rispetto a tali istituzioni che si delinea il contrasto con i
diritti sociali e quanto essi rappresentano (l’eguaglianza sostanziale),
bensì rispetto ai principi organici a quel retroterra socio -culturale che si
assume per superato.
In contrasto con il principio di eguaglianza sostanziale sono sicuramente
il liberalismo ottocentesco e la s truttura sociale monoclasse, ma
altrettanto non può dirsi della separazione dei poteri o del principio di
legalità.
Quando Forsthoff lamenta lo sviluppo delle espropriazioni legali
sostenuto dal Reichsgericht 122, cerca disperatamente di difendere la
tradizionale struttura dello stato liberale di diritto, in nome di una
eguaglianza formale (la quale presuppone l’utilizzo della legge generale ed
astratta o, per disciplinare un caso di specie, dello strumento
amministrativo) che però, nella realtà sociale, è già stata (o sta per essere)
scalzata dalla eguaglianza sostanziale.
Di fatto, opera in nome di un sistema monoclasse dalle cui ceneri è già
sorto il pluralismo sociale.
L’insigne giurista tedesco, dunque, è assai lucido nell’affermare che lo
“stato sociale” non è compatibile, sul piano costituzionale, con lo stato
liberale di diritto; ancora, nel rendere manifesto il processo attraverso il
quale le strutture tecniche di questa forma di Stato si sono affrancate
dalla schiavitù del tempo, per sopravvivere al l oro artigiano.
Ciò che inevitabilmente sfugge ad un’analisi tanto lucida è che lo stato
liberale di diritto non esiste più: non tanto perché “all’individuo, cioè al
singolo, preso nell’esclusiva considerazione di se stesso, espressione
dell’individualismo, si sostituisce la persona, cioè l’uomo quale
componente della società” 123, vista l’ambiguità di un concetto pregiuridico
qual è quello di persona, quanto piuttosto perché all’eguaglianza formale
si è sostituita quella sostanziale, alla libertà negativa la libertà, senza
ulteriori specificazioni.
Gli itinerari attraverso i quali l’iniziale logica liberale viene messa in
discussione sono sostanzialmente due: il primo è quello della
ristrutturazione dell’organizzazione statuale intorno ad un sistema di
valori fondanti. Il secondo è quello della destrutturazione delle libertà
121E.
Forsthoff, Stato di diritto , ult. cit.
Forsthoff, Stato di diritto , cit., 69.
123In tal senso G. Cicala, Diritti sociali e crisi del diritto soggettivo nel sistema costituzionale
italiano , Napoli, 1965 , 32; v. anche A. Baldassarre, voce Diritti inviolabili , Enc. giur.
Treccani, 15 ss. Per una differenziazione dei due concetti v. A. Amorth, La Costituzione
italiana, Milano, 1948, 26 ss.
122E.
43
borghesi e della svalutazione del diritto soggettivo (di proprietà privata)
da presupposto a conseguenza non necessaria del diritto oggettivo. 124
In entrambi i casi il risultato cui si pervie ne è la crisi dello stato
monoclasse liberale borghese derivato dall’epoca rivoluzionaria, cui segue
il legittimo interrogativo in ordine alla validità del modello ermeneutico
che relega i diritti sociali nel pregiuridico o, al massimo, nel livello
amministrativo
dell’ordinamento,
escludendone
una
rilevanza
costituzionale e, ancor più, una immediata precettività sia fra privati che
verso il pubblico potere.
Con il che l’indagine si sposta dal profilo storico a quello strutturale,
essenziale per comprendere come il modello dello Stato sociale di diritto
sia inverato nella concreta realtà ordinamentale italiana, fra lo Statuto
albertino e la Costituzione democratica.
7. La programmaticità dei diritti sociali. Il contrasto fra libertà ed
eguaglianza e le esige nze finanziarie dello Stato. La c.d. riserva del
ragionevole e del possibile.
Anche in Italia la dottrina prevalente si è espressa nel senso della natura
“oppositiva” dei diritti sociali rispetto allo stato di diritto, fondato sulla
libertà. Conseguentemente, si è ritenuto 125 che la situazione giuridica
derivante da ciascun diritto sociale sarebbe quella di “interesse
costituzionalmente protetto”, non già di diritto soggettivo; altri 126 hanno
parlato di “situazioni meramente raccomandate” al legislatore, invest ito
della funzione di renderne attuale la potenziale precettività. 127
124La
lettura di H. Kelsen, Lo stato come integrazione , a cura di M.A. Cabiddu, Giuffrè, Milano
2001, consente di cogliere il senso di tale dicotomia. L’insigne Autore contesta
puntualmente la teoria smendiana dello Stato come integrazione fondato su una logica
identitaria, in ciò distinto dall’ordinamento giuridico, esponen do la teoria normativistica
secondo la quale “Lo stato non può essere concepito come una realtà naturale, come una
realtà vitale e dunque come unità di accadimenti psicofisici, secondo le leggi di natura;
perché la specifica struttura unitaria che noi chia miamo Stato può essere compresa solo
come unità di un sistema di norme.” Kelsen guarda all’ordinamento giuridico senza
condizionamenti teleologici, ammettendo che la struttura giuridica possa essere indirizzata
alla realizzazione dei valori ritenuti essenz iali sulla base di una scelta politica, non già di
una originaria e naturale vocazione. La norma non ha in sé una connotazione assiologica,
che risponde a scelte giuridicamente non vincolate. In tal modo, il Giurista praghese mina
alle fondamenta il sistem a giusnaturalista posto a fondamento della filosofia liberale,
ammettendo che essa sia solo una delle opzioni valoriali possibili in un determinato
momento storico. In questo senso, A. Cantaro, Il secolo lungo , op. cit., 163 ss.
125V. Crisafulli, La Costituzione e le sue disposizioni di principio , Milano, 1952, 75 ss. e C.
Mortati, Istituzioni di diritto pubblico , II, Padova, 1976, 1138. In Crisafulli, per altro, è
ravvisabile un tentativo di non svilire i diritti sociali in termini assoluti, considerandoli
mere proclamazioni di principio. La soluzione cui l’Autore giunge, però, non può
considerarsi soddisfacente, poiché consiste nella equiparazione di queste situazioni
giuridiche soggettive agli interessi legittimi, pur se nel riconoscimento della loro valenz a
quale parametro nei giudizi di legittimità costituzionale.
126C. Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico , Torino, 1985, 390 ss.; P. Biscaretti di Ruffia,
Diritto costituzionale , Napoli, 1989, 872 ss.
127Peculiare l’analisi di G. Corso, I diritti sociali nel la Costituzione italiana , Riv. trim. dir. pub.,
1975, 755 ss. A giudizio dell’Autore, “Nella costruzione tradizionale dei diritti sociali,
destinatario immediato è lo Stato, e in prima linea lo Stato -legislatore. Di conseguenza, la
prestazione amministrati va del servizio [...] richiede un momento preliminare di
44
Preliminarmente il piano dei principi.
L’eguaglianza sostanziale è in contrasto con i tratti liberali dello stato
monoclasse borghese ma non anche con caratteri dello stato di diritto o
con il principio di libertà, non essendo condivisibili “[…] tutte quelle tesi
le quali presentano lo Stato sociale come una integrazione dello Stato di
diritto, sia nel senso che esso costituirebbe un completamento di una
esperienza che, aperta con lo Stato di diritto, sarebbe rimasta incompiuta
e raggiungerebbe, invece, compiutezza con lo Stato sociale, sia nel senso
che esso costituirebbe una esperienza nuova rispetto a quella dello Stato
di diritto, ma le due esperienze insieme invererebbero una figura
superiore, più progredita, brevemente la figura più perfetta di Stato del
nostro tempo. [...]”, poiché “fondate sulla confusione fra Stato di diritto
e Stato liberale, nel senso più in particolare, di Stato monoclasse, anche
nella sua specie di Stato ad organ izzazione pluralistica; assumendo come
termine di riferimento lo Stato monoclasse, lo Stato pluriclasse ad
organizzazione pluralistica che costituisce il modello dei paesi oggi più
significativi dal punto di vista costituzionale, si presenta come una
esperienza [...] enormemente più ricca di caratteristiche strutturali e
funzionali. Quello che non è accettabile è dire il primo Stato di diritto, il
secondo Stato sociale, perché con queste espressioni si immiserisce tutto:
come si è visto, lo Stato monoclasse non si individua solo per l’essere di
diritto, ma richiede molte altre connotazioni; ancor più ciò vale per lo
Stato pluriclasse”. 128
I diritti di libertà sono compatibili con i diritti sociali ed, anzi, la
relazione simbiotica fra tali insiemi è ormai dett ata da criteri di necessità:
“Da tempo si è rilevato come le libertà tradizionali, volte a creare spazi
intangibili di autonomia privata o di poteri politici , si rivelino, da sole,
insufficienti a garantire la piena realizzazione della persona umana,
mentre in molti casi risultano evidenti le connessioni fra i diritti di
libertà intesi in senso tradizionale [...] e i diritti sociali. [...] i diritti
organizzazione del servizio, corrispondente ad una determinazione legislativa: in rapporto a
questo momento organizzativo (e pregiudizialmente legislativo) il privato non dispone di un
diritto o di altra situazione giuridica tutelabile.” La conseguenza giuridica è che “La tutela
dei diritti sociali che si concretano in pretese a prestazioni dei pubblici poteri ed ai quali
viene negata consistenza di diritti soggettivi è, quindi, affidata al giudice am ministrativo. In
relazione alla struttura del giudizio, la domanda non ha per oggetto la prestazione negata
[...] ma l’annullamento dell’atto di diniego.”
Le difficoltà implicate da un approccio di questo genere sono bene evidenziate da
Baldassarre, voce Diritti Sociali , cit., 5: in primo luogo si determina uno svilimento dei diritti
sociali ad interessi legittimi, ricostruendo - ciò che appare inammissibile allo stesso
Baldassarre - il rapporto fra costituzione e legislatore alla stregua di quello esistent e fra
quest’ultimo e l’amministrazione. Inoltre, non si tiene conto del principio di libertà del
legislatore, il quale può discrezionalmente valutare le situazioni concrete al fine di stabilire
se e come realizzare il proprio intervento, senza alcuna possi bilità di coazione.
128 M.S. Giannini, Stato Sociale , cit., 5. Sul significato del sintagma Stato pluriclasse in
Giannini v. G. Ferrara, Lo “Stato pluriclasse”: un protagonista del “secolo breve” , in AA.VV. Dallo
stato monoclasse alla globalizzazione , a cura di S. Cassese e G. Guarino, Giuffrè, Milano 2000,
73 ss.
45
sociali mirano a creare le condizioni effettive per realizzare l’ eguale libertà
dei cittadini.” 129
L’inesistenza di un contrasto non esclude, però, che sotto il p rofilo
strutturale “I diritti sociali si distinguono nettamente dai tradizionali
diritti di libertà, perché mentre questi mirano a determinare una sfera
entro cui l’individuo deve poter operare liberamente , quelli mirano invece
ad ottenere l’intervento dell’autorità pubblica per soddisfare a talune
esigenze essenziali dei cittadini” 130
Ne consegue che “Fra le due categorie di diritti esiste [...] una
implicazione reciproca: la garanzia dei diritti di libertà è condizione
perché le prestazioni sociali dello Stato possano essere oggetto di diritti
individuali; la garanzia dei diritti sociali è condizione per il buon
funzionamento della democrazia, quindi per un effettivo godimento delle
libertà civili e politiche.” 131
Sul piano dei principi, pertanto, potrebbe sostenersi l’impossibilità di
riproporre la contrapposizione eguaglianza - libertà caratteristica dei
sistemi liberali 132, ma nel concreto giuridico, però, s’impongono al cuni
chiarimenti.
In primo luogo, affermare la compatibilità dei diritti sociali e dei diritti di
libertà nello Stato di diritto e cercare di valutare la immediata precettività
dei primi alla luce dell’analisi storica e culturale che si è avuto modo di
condurre, non significa certo sostenere l a coincidenza strutturale fra le
due categorie. Sotto il profilo strutturale, infatti, è innegabile che i primi,
ai fini dell’esercizio da parte del titolare, necessitano di un intervento
esterno – tanto che si definiscono “diritti a prestazioni positive d a parte
E. Cheli, Classificazione e protezione dei diritti economici e sociali nella Costituzione italiana , in
Scritti in onore di Luigi Mengoni , Giuffrè, Milano, 1995, 1774. Nel medesimo senso, ivi citat i,
P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali , Bologna, 1984, 14; L. Paladin, Diritto
costituzionale , cit. 659; M. Mazziotti, Diritti sociali , in Enc. Dir., Milano, 1964, XII, 805; A.
Baldassarre, Diritti sociali , cit., 12.
130 M. Mazziotti, Diritti sociali, op. cit. 805. Si legge in L. Elia, voce Stato democratico , Digesto
disc. Pubb., XV, Utet, Torino 1999, 71 che “Il diritto individuale difende l’uomo contro il
potere, il diritto sociale costituisce il riconoscimento del bisogno da parte dell’ordi namento
giuridico, che tende con interventi positivi di varia natura a soddisfare il bisogno stesso”.
131 Appare rilevante, a tale proposito, l’interrogativo posto da T. Martines, Introduzione al
diritto costituzionale , Torino, 1994, 51: “cosa importa al cit tadino barbone che dorme sotto un
ponte o su un marciapiede sapere di essere titolare dei diritti di libertà che la Costituzione
gli attribuisce e gli garantisce? Cosa gli importa dell’eguaglianza formale o di quella
sostanziale, la quale, benchè proclamat a in modo solenne, non lo raggiunge. E cosa ne è
della sua dignità?”. Lo stesso Mazziotti richiama l’immagine, proposta dall’on. Moro durante
i lavori dell’Assemblea costituente, della “piramide rovesciata”, alla cui base veniva a porsi
la persona umana. O ra, se si supera la già evidenziata ambiguità del riferimento alla persona
umana, concetto giuridicamente indefinito, è agevole individuare nel valore di una
eguaglianza dignitosa o di una dignità eguale il fondamento sia dei diritti sociali che dei
diritti di libertà. Per una valutazione del pensiero dell’on. Moro cfr. I precedenti storici della
Costituzione , a cura del Comitato per la celebrazione del primo decennale della
promulgazione della Costituzione, Milano, 1958, 138 ss.
132 M. Luciani,
Il diritto c ostituzionale alla salute , in Dir. Soc., 1980, 772 riconosce
espressamente che l’eguaglianza “consente il concreto ed effettivo godimento [...] delle
libertà costituzionali”, specie se si guarda non all’individuo in astratto ma all’ homme situè ,
secondo la nota formula di G. Burdeau, Traitè de science politique , Paris, 1956, VI, 361 e 374.
129
46
dello Stato o di enti pubblici” 133 – che di contro i secondi, specie se
consistono in attività materiali (il parlare, il muoversi e via dicendo), non
richiedono.
Tale differenza strutturale è tutt’altro che pacifica: di essa può ben
predicarsi che sia funzione della dinamica storica 134, ma è assai più
discutibile negarne la sostanza, solo assumendo che “I diritti delle nuove
‘generazioni’ si trovano oggi accomunati dalla maggiore o minore
dipendenza dalle risorse disponibili” 135. Infatti, è di palmare evi denza che
anche per l’esercizio dei diritti di libertà necessitano strutture e servizi
che si pongono quali presupposti oggettivi (le infrastrutture per la libertà
di circolazione; i mezzi di diffusione per la libertà di manifestazione del
pensiero; una efficiente amministrazione giudiziaria per qualsiasi
situazione giuridica soggettiva), ma ciò non reagisce sul profilo oggettivo
che differenzia le due classi di diritti, ossia il fatto che per i diritti sociali
l’esercizio si traduce in pretese azionande ve rso il pubblico potere.
Si tratta, per altro, di una realtà non già da sfumare, bensì da riaffermare
con decisione, poiché essa esprime il proprium dei diritti a prestazione
positiva, ossia la nuova qualificazione del rapporto cittadino -Stato,
ricostruito alla luce del principio di eguaglianza sostanziale.
Di talchè l’indagine deve tradursi sul profilo della precettività delle
relative disposizioni costituzionali, su cui si avrà modo di ritornare tra
breve.
In secondo luogo, sostenere una “compatibilità” fr a diritti di libertà e
diritti sociali ha il preciso significato storico e giuridico di formalizzare
un processo evolutivo in ragione del quale le situazioni giuridiche
soggettive di natura attuativa del principio di eguaglianza – che siano
state oggetto di un espresso riconoscimento nella Costituzione del 1948 –
non possono più essere relegate nell’ambito del pregiuridico o,
comunque, in un sistema di rango subordinato a quello costituzionale,
ossia sul piano meramente legislativo o, addirittura, amministr ativo e
fiscale. I diritti sociali sono diritti costituzionali, poiché in costituzione
formalizzati ed espressi. Ciò che induce alcune pre cise conseguenze
giuridiche, a) quanto alla loro valenza quale parametro nei giudizi di
legittimità costituzionale del le leggi o degli atti aventi forza di legge; b)
quanto all’impossibilità di risolvere eventuali conflitti con altre
disposizioni costituzionali in ragione del principio gerarchico,
assumendone una subordinazione rispetto ai diritti di libertà; c) in ordine
A. Pace, Problematica, op. cit., 141.
In questo senso, M. Luciani, Sui diritti sociali , in Studi in onore di M. Mazziotti di Celso ,
Cedam, Padova 1995, 125.
135 C. Salazar, Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali. Orientamenti e tecniche decisorie
della Corte costituzionale a confronto , Giappichelli, Torino 2000, 13. Anche F. Modugno, Inuovi
diritti nella giurisprudenza costituzionale , Giappichelli, Torino 1 995, 41 ritiene “superate le
classiche, tradizionali classificazioni dei diritti” ed “estremamente problematico, se non
impossibile, dare significato alla distinzione tra diritti individuali e personali da un lato, e
diritti sociali, dall’altro”.
133
134
47
all’obbligo risarcitorio che deve necessariamente seguire qualsiasi loro
violazione che rechi nocumento al titolare. 136
Da ultimo, dall’equivalenza gerarchica dei diritti di libertà e dei diritti
sociali deve altresì desumersi un imprescindibile corollari o.
136La
giurisprudenza ha tempo ipotizzato un tertium genus di danno, accanto a quello
patrimoniale e non patrimoniale, denominato danno esistenziale e collegato alla violazione
di diritti costituzionali. Inizialmente (Cass. 7 giugno 2000, n. 7713, in Giur. cost., 2001, 4167
con nota – se si vuole – di L. Principato, Risarcimento, responsabilità aquiliana e lesione dei
diritti costituzionali ), pur dubitandosi della autonomia della nuova categoria di danno, essa
veniva ricondotta alla generale responsabilità patrimoniale , pur se il regime dell’art. 2043
c.c. veniva stemperato nel senso di accordare tutela alla lesione di una situazione giuridica
soggettiva attraverso una misura risarcitoria che addirittura prescinda va dalla prova (e
dall’effettivo prodursi) del c.d. danno -conseguenza per il titolare, a ciò essendo sufficiente
la lesione in sé, qualificata come danno -evento (in senso conforme, cfr. Cass. 7 giugno
2000, n. 7713, in Foro it., I, 187, con osservazione di Alessandro D’Adda).
Tale orientamento, già opinabile so tto il profilo dell’interpretazione dell’art. 2043 c.c. –
norma che richiede (logicamente ancor prima che giuridicamente) la prova di un danno
perché possa disporsi un risarcimento e per la quale, con altrettante probabilità, la natura
costituzionale del d iritto leso dovrebbe essere pressocchè irrilevante – è stato
successivamente modificato, riconducendo il danno esistenziale alla fattispecie del danno
non patrimoniale (Cass. 31 maggio 2003, n. 8827, in Foro Amm., CDA, 2003, 1542, che
recepisce la tesi già sostenuta da G. B. Ferri, Oggetto del diritto della personalità e danno non
patrimoniale , in Persona e formalismo giuridico , Rimini, 1987, 376). L’art. 2059 c.c. è stato
interpretato in senso conforme a Costituzione, ritenendosi che la limitazione del
risarcimento del danno non patrimoniale ai casi previsti dalla legge, ossia ai casi in cui il
fatto lesivo sia previsto altresì come reato ex art. 185 c.p., non debba operare nei casi in cui
la fattispecie penale non possa dirsi integrata per la carenza di pr ova in ordine al criterio di
imputazione soggettivo. La stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 233 del 2003
(Corte cost., 11 luglio 2003, n. 233, in Giur. cost., 2003, 1981 ss., con nota adesiva di G. B.
Ferri, Le temps retrouvè dell’art. 2059 ), ha avallato tale lettura dell’art. 2059 c.c., rigettando
la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento agli artt. 2 e 3 Cost.
proprio perché il limite della risarcibilità del danno nei “casi determinati dalla legge” deve
essere inteso come non operante laddove il fatto rilevi in astratto come reato, ma non possa
dirsi integrata la relativa fattispecie a cagione della carenza del criterio di imputazione
soggettivo, ossia dolo o colpa. Ciò, in omaggio alla evoluzione che ha esteso l’alla rme
destato dalla gravità sociale delle fattispecie di reato anche alle ipotesi di lesioni dei diritti
della persona. Una simile lettura del danno esistenziale, pur condivisibile nella sostanza,
appariva non convincente sul piano processuale, quanto alla p resunta inapplicabilità del
principio dell’onere della prova nei casi di lesione di diritti costituzionali. La relevatio ab onus
probandi appariva piuttosto connessa, infatti, alla peculiare natura giuridica dell’interesse
concretamente leso: trattandosi, infatti, di diritti della persona, le conseguenze dannose
della loro violazione non sono suscettibili di valutazione economica, con la conseguenza che
il danno deve essere liquidato in via equitativa, ai sensi del combinato disposto degli artt.
1226 e 2056 c.c. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. S.U. 11 novembre 2008,
n. 26972, in Corriere Giur., 2009, 1, 48) hanno riordinato la materia – pur se attraverso un
poco condivisibile richiamo all’art. 2 Cost. quale norma a fattispecie aperta, in gr ado di
offrire copertura costituzionale a “nuovi interessi emersi nella realtà sociale”, secondo una
ricostruzione criticata dalla migliore dottrina (A. Pace, Problematica, op. cit., 20 ss.)
recependo tale assunto e confermando la risarcibilità dei danni derivanti da lesione di diritti
costituzionali, nei limiti in cui di esso si sia raggiunta la prova, anche per presunzioni.
Ben si comprende, dunque, che l’esclusione dei diritti sociali dal quadro costituzionale, alla
luce del suddetto orientamento giuris prudenziale, determinerebbe l’aberrante conseguenza
della non risarcibilità delle relative violazioni.
48
La composizione fra “anelito” alla libertà ed istanze sociali non è
operabile aprioristicamente, attraverso la costruzione di un modello
costituzionale o legislativo unico ed immodificabile.
La scelta politica fondamentale compiuta nella Carta fondamenta le
necessita, infatti, di un continuo adeguamento attuativo, in ragione della
evoluzione dei tempi e della dinamica socio -economica, pur costituendo
un limite ed un parametro di legittimità della discrezionalità legislativa,
condizionata nel fine ed anche – pur se più limitatamente – nelle tecniche
di attuazione dei precetti fondamentali.
Ciò induce l’esigenza che l a immediata azionabilità dei diritti sociali sia
“accertata caso per caso [...] senza confondere ciò che è possibile in virtù
della sola efficacia normativa della Costituzione con ciò che è
storicamente possibile (in conseguenza di leggi e di regolamenti che, bene
o male, abbiano dato una certa disciplina alla materia)”. 137
Tale presupposto appare condivisibile e lo stesso deve predicarsi del
fatto che, riconosciuti i diritti sociali a livello costituzionale, “il vero
problema politico […] è quello di predisporre i mezzi pratici per
soddisfarli e per evitare che rimangano come vuota formula teorica
scritta sulla carta, ma non traducibile nella realtà ” 138, ma l’interrogativo
da porre, nel mutato contesto della democrazia pluralistica, è proprio
quello che riposa sulla convincente affermazione di Calamandrei,
secondo il quale i diritti sociali “pongono allo Stato, per la loro
soddisfazione, una serie di e sigenze pratiche che non possono essere
soddisfatte se non disponendo di mezzi adeguati, conseguibili soltanto a
prezzo di profonde trasformazioni dei rapporti sociali basati sull’economia
liberale” 139.
Occorre chiedersi se sia il tempo di tali trasformazion i, visto che il
retaggio del sistema liberale ottocentesco è ormai superato nelle moderne
democrazie pluraliste e la crisi dei principi del liberismo che sono
sopravvissuti a tale evoluzione è dinanzi agli occhi di tutti, così come da
tempo lo è quella del sistema di protezione sociale riassunto nella
formula del Welfare State.
Sostenere, infatti, che l’art. 4 Cost. sia immediatamente azionabile contro
i pubblici poteri, equivale a ritenere che il cittadino involontariamente
A. Pace, Problematica, cit., 156. L’insigne giurista riconosce, peraltro, una notevole
differenza fra i diritti a prestazioni positive che abbiano un “ particolare contenuto”, da
quelli che ne siano privi, concludendo, per i primi, nel senso della immediata azionabilità (si
pensi, ad esempio, al diritto alla retribuzione proporzionata e sufficiente sancito dall’art. 36
Cost.). A conclusioni analoghe, pur se prendendo le mosse da presupposti assolutamente
antitetici, sembra giungere A. Baldassarre, voce Diritti sociali , cit., 10. Questi, infatti,
distingue, nell’ambito dei diritti sociali, i c.d. “diritti sociali di libertà”, caratterizzati dal
risolversi in un agere licere e, pertanto, self executing : ciò non pare condivisibile, però, perchè i
diritti a prestazioni positive non si risolvono in una attività materiale o giuridica, bensì in
una pretesa che instaura un rapporto obbligatorio con lo Stato. Divers o è, poi, il problema
se tale rapporto sia o meno condizionato dalla necessità di una preventiva interpositio
legislatoris .
138P. Calamandrei, L’avvenire dei diritti di libertà (1946), in Opere giuridiche , vol III, Morano,
Napoli 1968, 200 s.,
139P. Calamandr ei, L’avvenire, op. cit. (nostro il corsivo nel testo).
137
49
disoccupato possa convenire in g iudizio lo Stato per ottenerne una
condanna all’assunzione, da eseguire in forma specifica o per equivalente.
Questo, in via di prima approssimazione (e salvo quanto in seguito
meglio chiarito) non sembra ammissibile non tanto perché la Pubblica
Amministrazione non possa essere condannata ad un facere in forza
dell’art. 4 l. 20 marzo 1865, n. 2248. all. E (si potrebbe, infatti, diffidare
l’Amministrazione ad operare e, a fronte del provvedimento di diniego,
agire deducendo la carenza di potere del medesimo, non essendo rimessa
alla discrezionalità di quella la possibilità di alterare il rapporto libertà autorità quale delineato nel diritto positivo 140), ma piuttosto per il vincolo
posto dall’art. 81 Cost., ossia per la necessità di rispettare le esigenze
finanziarie dello Stato.
La nuova ratio della programmaticità è tutta nella c.d. la riserva del
“ragionevole e del possibile” 141: il legislatore deve attuare la previsione
costituzionale relativa ai diritti di prestazione in rapporto agli altri
interessi primari del medesimo rango ed alle esigenze di bilancio.
In tal modo, se da un lato si è valorizzato il “potere” del legislatore,
vincolato all’attuazione della Carta fondamentale, dall’altro lo si è
imbrigliato nelle maglie della razionalità, aprendo le porte a d un
necessario e problematico sindacato da parte della Corte costituzionale 142.
In particolare, “L’utilità del principio ricordato può giustificarsi [...]
innanzitutto perché esso individua correttamente il problema dei diritti
140Alla
medesima soluzione, in situazione analoga, è giunto il Pretore di Roma, Ordinanza 4
giugno 1980, in Giust. Civ., p. 1990, con nota di A. Pace, Diritti degli hadicappati e inadempienze
della pubblica amministrazione , con la quale è stata imposta al Comune di Roma, in via
cautelare, l’istituzione di un servizio di trasporto di superficie alternativo alla
metropolitana, in attesa di un adeguamento di quest’ultima alle esigenze dei portatori di
handicap.
In tema sia consentito un rinvio a L. Principato, Diritti degli Handicappati: Amministrazione fra
arbitrio e discrezionalità , in Giur. cost., 1997, 2754.
141 Cfr. BverfGe, 3, 330 ss. Comunque, “poiché in Germania pochissimi diritti sociali hanno
un diretto riconoscimento nel Grundgesetz e poiché nel caso si trattava di un diritto basato
su una legge ordinaria, ancorché posto sotto la copertura del principio generale dello Stato
sociale, di cui agli artt. 2, comma 1 e 20 comma 1 del Grundgesetz, der Vorbehalt des Moglichen
oder des Vernunftigen si estende ovviamente, non solo al come ed al quando della garanzia, ma
anche al se ed al quid”, mentre nel nostro ordinamento an e quid della garanzia dei diritti
sociali hanno natura costituzionale, ove il diritt o abbia espressa previsione nella Carta
fondamentale. Cfr. A. Baldassarre, voce Diritti sociali , cit., 31. Sulla riserva del ragionevole e
del possibile e sui relativi criteri di attuazione dei diritti sociali v. anche F. Modugno, I nuovi
diritti nella Giu risprudenza costituzionale , Giappichelli Editore, Torino, 1995, 72.
142
Anche se non può negarsi che “in nome di una gradualità dipendente dal
condizionamento finanziario si sono troppo spesso giustificate discrezionali delimitazioni
dei diritti a prestazion e”. In altri termini, “La Corte appare del tutto passiva rispetto alle
scelte del legislatore, al punto di accreditare una presunzione di legittimità basata
sull’ipotesi che tali scelte hanno presumibilmente tenuto conto delle effettive disponibilità
finanziarie”. Cfr. rispettivamente R. Bin, Diritti ed argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella
giurisprudenza della Corte costituzionale. Giuffrè, Milano, 1992, 111 e Corte cost. n. 31 del
1986, in Giur. cost., 1986, I, 164 ss. Riscontra una “atrofia d el giudizio di legittimità sulla
legislazione attuativa dei diritti sociali, in ragione dell’esclusiva attribuzione al legislatore
dell’allocazione delle risorse disponibili, fatta salva l’eventualità dello scrutinio nel merito
laddove venga inciso il ‘con tenuto minimo/essenziale’ degli stessi” C. Salazar, Dal
riconoscimento, op. cit., 127.
50
sociali condizionati come un problema di necessaria gradualità della loro
attuazione [...]; in secondo luogo perché, permettendo alla Corte
costituzionale di valutare la ragionevolezza della ponderazione degli
interessi che abbiano condotto il legislatore ad attuazioni parziali dei
diritti sociali fondamentali, conferisce ad essa la possibilità di affermare
in concreto il primato della Costituzione in relazione ad irragionevoli
inerzie o ritardi del legislatore.” 143
Nella sentenza n. 180 del 1992 144 la Corte costituzionale ha fatto propri
tali principi di gradualità e ragionevolezza. Vi si legge che “Rientra nella
discrezionalità del legislatore ordinario la determinazione dell’ammontare
delle prestazioni sociali e delle variazioni delle stesse sulla base di un
razionale contemperamento del le esigenze di vita dei lavoratori che ne
sono beneficiari e della soddisfazione di altri diritti pur
costituzionalmente garantiti da un lato e delle disponibilità finanziarie
dall’altro [...] Discrezionalità che questa Corte, che è priva dei necessari
poteri istruttori, non può sindacare se non quando emerga la manifesta
irrazionalità dei risultati attint i nelle disposizioni impugnate” .
Nella sentenza n. 374 del 1988 145 la Corte ha ulteriormente chiarito che la
gradualità si presenta, proprio per le difficol tà finanziarie da superare,
come un modo di essere necessario ed interamente coerente con il
fenomeno visto nel suo pratico atteggiarsi e appare come caratteristica,
del pari necessaria e, comunque, compatibile, del fenomeno stesso nella
sua rilevanza costituzionale.”
Addirittura, a proposito della estensione dell’assistenza scolastica, la
Corte 146 è giunta ad affermare che la graduazione delle prestazioni sociali
è subordinata anche a valutazioni di politica generale, ciò “che è
perfettamente legittimo se si tratta di graduare gli impegni finanziari
dello Stato, quanto sarebbe assolutamente aberrante se si ammettesse che
di un simile margine di discrezionalità politica il legislatore possa
usufruire nel determinare i contenuti dei diritti costituzionali.” 147
In uno al principio di gradualità , la giurisprudenza costituzionale ha
elaborato – mutuandola dalla tradizione tedesca – la nozione di
contenuto minimo o essenziale dei diritti (non solo sociali).
Si tratta di due tecniche argomentative correlate 148: il livello di attuazione
dei diritti sociali può essere il frutto dell’unico ragionevole bilanciamento
A. Baldassarre, voce Diritti sociali, cit., 31..
Corte cost. n. 180 del 1992, in Giur. cost., 1982, I, 2010. Il rilievo acquisito dalla
problematica dei costi dei d iritti sociali si evince dal fatto che la Corte costituzionale si è
addirittura dotata di un Ufficio per la documentazione e la quantificazione finanziaria
dell’incidenza delle proprie decisioni. In tema, T. Groppi, La quantificazione degli oneri
finanziar i derivanti dalle decisioni della Corte costituzionale: profili organizzativi e conseguenze sul
processo costituzionale , in AA. VV. L’organizzazione ed il funzionamento , op. cit., 269 ss.
145 Corte cost. n. 374 del 1988. In Giur. cost., 1988, I, 1658.
146 Corte cost. n. 7 del 1967, in Giur. cost., 1967, 69.
147 R. Bin, op. ult. cit., 110.
148 C. Salazar, Dal riconoscimento, op. cit., 129 s. ritiene che la gradualità sia invocata “per
escludere la parzialità, inadeguatezza, incompletezza, etc. della disciplina scru tinata”,
mentre il contenuto minimo “per ‘dimostrare’ l’incostituzionalità delle norme che incidano
su tale ‘nucleo’ ma anche per escluderla, perché esso non è intaccato dalla normativa
impugnata”.
143
144
51
(ineguale 149) con le esigenze finanziarie dello stato, superando in parte qua
lo scrutinio di costituzionalità, ma potrebbe al contempo essere
illegittimo siccome incidente su un nucleo intangibile per il quale la
stessa riserva del ragionevole e del possibile diviene inoperante.
8. Le tecniche decisorie della Corte costituzionale nell’attuazione
dei diritti sociali.
Anche muovendosi nell’ottica della programmaticit à dei diritti sociali e
della conseguente necessità di una interpositio legislatoris, l’ordinamento
giuridico non sembra ben tollerare una inadeguata o (addirittura) mancata
attuazione delle disposizioni costituzionali programmatiche, tanto che la
stessa Corte costituzionale ha finito con l’elaborare una tecnica decisoria
eccentrica rispetto alla tradizionale dicotomia accoglimento -rigetto della
questione di legittimità costituzionale: le sentenze additive di prestazione
o anche solo di principio. 150
La natura additiva della decisione, atteso che la disposizione viene
dichiarata incostituzionale nella parte in cui difetta della previsione di un
precetto normativo (che fondi il diritto alla prestazione) o di un
principio, potrebbe svelarsi idonea al superamento della programmaticità
dei diritti sociali.
Essa, però, incontra due difficoltà.
La prima consiste nella compiuta determinazione delle funzioni della
Corte costituzionale, giacchè la linea di demarcazione fra il controllo di
costituzionalità e l’attività n ormogenetica diviene assai labile, pur
recependosi la tesi crisafulliana delle rime obbligate 151.
M. Luciani, Sui diritti sociali , op. cit., 102.
letteratura sulle tecniche decisorie della Corte costituzionale è sterminata. AA.VV. Le
sentenze della Corte costituzionale e l’art. 81, u.c., della Costituzione , Milano, 1993; G. Parodi, La
sentenza additiva a dispositivo generico , Torino, 1966; A. Anzon, Nuove tecniche decisorie della Corte
costituzionale , in Giur. cost. 1992, 3199 ss.; C. Colapietro, La giurisprudenza, op. cit.; F. Politi,
Gli effetti nel tempo delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, Cedam, Padova 1997;
R. Pinardi, La Corte, i giudici ed il legislatore. Il problema degli effetti temporali delle sentenze di
incostituzionalità , Giuffrè, Milano 1993; AA.VV. L’organizzazione ed il funzionamento della Corte
costituzionale , a cura di P. Costanzo, Utet, Torino 1996; AA.VV. Corte costituzionale e processo
costituzionale nell’esperienza della rivista ‘Giurisprudenza costituzionale’ per il cinquantesimo
anniversario , a cura di A. Pace, Giuffrè, Milano 2006;A. Cerri, Corso di giustizia costituzionale ,
Giuffrè, Milano 2008, 260 ss.; M. Luciani Le decisioni processuali e la logica del giudizio
incidentale , Cedam, Padova 1984.
L’elaborazione delle sentenze manipolative deriva essenzialmente dalla presa di coscienza
della inidoneità delle decisioni interpretative di rigetto a garantire com piutamente le
esigenze di certezza del diritto, stante la loro efficacia vincolante nel solo giudizio a quo.
151 V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale , II, Cedam, Padova 1984, 98 e 407; Id. La Corte
costituzionale ha vent’anni , in Giur. cost. 1976, il quale ritiene che l’addizione sia possibile solo
ed esclusivamente laddove la norma, la cui esistenza esclude il dubbio di legittimità
costituzionale, sussista già nella disposizione oggetto di giudizio e sia l’unica che possa
essere ricavata interpre tativamente da essa (osserva C. Salazar, Dal riconoscimento alla garanzia
dei diritti sociali , op. cit., 140 e s. che “La Corte perciò prende le mosse da una norma ‘ideale’
conforme a Costituzione, non formulata espressamente in alcuna parte dell’ordinanen to ma
da essa stessa prefigurata e, ribaltando questa nel suo contrario, ‘arriva’ ad una norma
negativa implicita, anch’essa non positivizzata, che dichiara incostituzionale”); in caso di
pluralità di opzioni ermeneutiche, non sussistendo le rime obbligate , la decisione deve
essere d’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, non potendosi
149
150La
52
In effetti, se si ritiene che la sentenza additiva sani una lacuna
ordinamentale, diviene assai complesso negarne l’effetto di produzione
normativa. Se, al contrario, si aderisce alla tesi della rimozione della
norma negativa implicita, la Consulta torna a muoversi nell’ambito della
funzione di legittimità costituzionale, pur se in base ad una fictio iuris che
ha il sapore della forzatura.
Sulla soluzione del quesito, reagisce la problematica determinazione
dell’oggetto del giudizio di costituzionalità: se esso è la disposizione,
assumerne l’illegittimità in funzione di ciò che essa non dice, attribuendo
carattere normativo (implicito) al silenzio legislativo, equ ivale a sostenere
che l’attività normogenetica può anche avvenire senza il rispetto delle
relative norme sulla produzione, atteso che non porre una data norma si
risolve nella volontà di creare la rispettiva e contraria norma negativa.
Se, al contrario, l’oggetto coincide con la norma, allora l’attività
ermeneutica ne risulta premiata e ben potrà dichiararsi l’incostituzionalità
di una disposizione in ragione della regola che essa non pone.
La necessità che oggetto del dubbio di costituzionalità sia la disp osizione
sembra, però, potersi desumere da una serie di elementi: in primo luogo,
l’art. 134 Cost., nel chiarire che la Consulta giudica della legittimità delle
leggi e degli atti aventi forza di legge (dello Stato e delle Regioni),
esclude che oggetto di sindacato possano essere le norme derivanti da
fonti-fatto, con ciò riconoscendo implicitamente che un enunciato
testuale (qualificato, siccome con forza di legge) è caratteristica
necessaria, pur se non sufficiente, dell’oggetto della questione di
legittimità costituzionale. 152 In secondo luogo, l’accoglimento della
questione determina l’annullamento della disposizione e la conseguente
impossibilità che da essa si tragga qualsiasi enunciato normativo, non
soltanto la norma asseritamente posta ad oggetto dell a questione stessa.
Infatti, anche i più attenti, fra la dottrina che non guarda alla
disposizione come oggetto di giudizio, hanno avvertito l’esigenza di
qualificare l’oggetto stesso come “situazione normativa”, con ciò
intendendosi “il complesso dei mate riali, normativi e fattuali, considerati
nelle loro reciproche interconnessioni ed idonei a variamente comporre la
‘questione’ ed a confluire nel giudizio di costituzionalità”. 153
altrimenti ledere la discrezionalità del Parlamento. E’ stato autorevolmente sostenuto (A.
PIzzorusso, La Corte costituzionale , in AA.VV., Poteri, poteri emergenti e loro vicissitudini
nell’esperienza giuridica italiana , a cura di G. Piva, Cedam, Padova 1986, 364 ss.), secondo
l’insegnamento kelseniano, che le sentenze additive hanno carattere normativo, giacchè
determinano una modificazione dell’ordina mento giuridico, pur se di segno negativo. Anche
L. Elia, Il potere creativo delle Corte costituzionali, in AA.VV. Le sentenze in Europa – Metodo,
tecnica e stile , Cedam, Padova 1988, 217 ha parlato in merito di “creatività strumentale”,
dovendosi ricondur re la suddetta modificazione al controllo di legittimità costituzionale. La
fragilità del criterio delle rime obbligate è denunciata da A. Baldassarre, Il problema del metodo
nel diritto costituzionale , in AA.VV., Il metodo nella scienza del diritto costit uzionale. Seminario di
studio (Messina 23 febbraio 1996) , Cedam, Padova 1997, 101.
Sul problematic o r appor to fr a d isposizione e norma, ai fini d el giud izio d i legittimità
c ostituzionale, v. A. Ce r r i, Corso di giustizia c ostituzionale , Giuffrè, Milano 20 08, 116 ss., il quale
d istingue i casi in c ui la d isposizione sia cond izione necessaria e sufficiente, o solo necessaria o
solo sufficiente d e gli e nunc iati nor mativi che d a essa possono ricavarsi.
153 A. Ruggeri e A. Spad ar o, Lineamenti di giustizia c ostituz ionale, Giappichelli, Torino 2004, 89.
Ritiene che l’ogge tto d e l giud izio d i c ostituzionalità sia il diritto v iv ente , ossia il significato d ella
152
53
La seconda difficoltà è data dall’art. 81 Cost., se ritenuto applicabile
anche alla decisione di incostituzionalità in quanto strumento, pur
diverso dalla legge di bilancio, per la determinazione di oneri a carico
dello Stato. 154
Del resto, non meno problematica risulta l’addizione del principio, in
luogo del precetto quale immediata fonte di obblighi: in questo caso, la
tesi dell’annullamento della norma negativa implicita si scontra con
l’esigenza di rapportare l’immediata applicabilità del principio con il
limite della discrezionalità legislativa. E’ il caso delle c.d. additive di
meccanismo, cui la Corte costituzionale ha fatto ricorso ad esempio in
caos di mancato adeguamento legislativo di metodi di computo di
prestazioni sociali, divenuti incongrui nella dinamica socio -economica: in
esse l’aggravante è costituita dal fatto che n on esistono le rime obbligate,
poiché sono molteplici i criteri di computo potenzialmente idonei a
soddisfare un requisito minimo di ragionevolezza e, conseguentemente, la
logica della norma negativa cade dinanzi all’esistenza di una pluralità di
opzioni astrattamente idonee a soddisfare l’interesse alla prestazione
sociale da attualizzare. Donde l’esigenza di un successivo intervento
legislativo, avente ad oggetto la determinazione del quantum della
prestazione eroganda.
Anche nel caso delle c.d. additive di principio di garanzia, l’elemento
rilevante è la carenza di rime obbligate: di esse può predicarsi la natura
vincolante per il legislatore – che una disciplina che non si uniformi al
sancito principio sarebbe incostituzionale, pur se il sindacato sullo ius
superveniens dovrebbe svolgersi a maglie larghe ed essere limitato al
profilo della manifesta infondatezza 155 – ma ciò non consente di superare
le problematiche dell’inerzia legislativa 156 e, pertanto, dovrebbe ritenersi
d isposizione rad ic ato ne lla pr assi giur isprud enziale, A. Pugiotto, Un rapporto non c onflittuale tra la
Corte e i giudic i: il diritto v iv ente applic ato alle sentenze additiv e , in AA.VV. La Corte c ostituzionale e gli altri
poteri dello S tato, a c ur a d i A. Anzon, B. Caravita, M. L uciani, M. Volpi, Giappichelli, Torino 1993,
161 ss., pur c onsape vole d e l fatto c he il d i ritto vivente, per lacune d isposizioni, può essere
semplicemente in fieri .
154 V. Caianiello, Corte c ostituz ionale e finanza pubblic a , in Giur. it. , 1984, 273 ss. ritiene c he le
d ecisioni d ella Consulta non possano d e terminare maggiori oneri per il bilancio d ello Stato, mentre
e sclud e che l’ar t. 81 c omma 4 Cost. sia limita all’attività d i controllo d i legittimità costituzionale C.
Mortati, Appunti per uno studio sui rimedi giurisdizionali c ontro i c omportamenti omissiv i del legislatore , in
Rac c olte di sc ritti , III, Giuffr è , Milano 1972, 964.
155 C. Salazar, D al ric onosc imento alla garanz ia dei diritti soc iali , op. cit., 138.
156 Il rapporto fr a Cor te c ostituzionale e legislatore è esemplificabile attraverso l’esame d elle c.d .
sentenze monito, ovve r o d i inc ostituz i onalità prov v isoria o ancora d ’ inc ostituzionalità ac c ertata ma non
dic hiarata , nelle quali – talvolta pr opr io per le conseguenze economiche, tal’altra per quelle
politiche, d erivanti d all’e ve ntuale ac c oglimento d ella questione d i legittimità costituzionale – la
Consulta sollec ita il le gislator e a sanare lacune normative o ad abrogare d iscipline altrimenti
c ontrarie a Costituzione . Il c he ge ne r a una d ialettica fra giud ice e creatore d elle leggi, nella quale i
r apporti d i for za sono se mpr e mute voli ed eteroge nei: il monito sollevita l’intervento d el
legislatore, l’ine r zia d e l quale d ivie ne prelud io d ella d eclaratoria d ’incostituzionalità, magari con
ad d itiva d i princ ipio. Il c ir c uito d e lla le gittimità costituzionale, in tal mod o, si arricchisce d i una
c omponen te d i e lastic ità politic a, c ui par tecipa anche il giud ice comune, sia sollevand o la questione
d i legittimità c ostituzionale e d and o c osì luogo (all’accertamento d ell’incostituzionalità ed ) alla
e laborazione d e l monito, sia ite r and ola in caso d i inezia legi slativa, ind ucend o così la d ichiarazione
d ella incostituzionalità sino ad allor a al più solo accertata.
Quanto al rappor to c on il le gislator e , d all’art. 136 Cost. può d esumersi un vincolo negativo, ossia
un d ivieto d i r e intr od uzione d e lla nor mativa d ichiar ata incostituzionale, mentre è assai più ard uo
attribuire al giud ic ato c ostituzionale una valenza positiva, ossia d i obbligo d i intervento per il
54
che il vincolo sussista anche per i l giudice comune, chiamato ad elaborare
la regola del caso concreto, nel giudizio a quo, in applicazione del
principio enunciato dalla Corte costituzionale, almeno fino a quando
l’emanazione della nuova disciplina non elimini la necessità di ricorre ad
un’interpretazione analogica o sistematica. 157
In sostanza, l’effettività dei diritti sociali è sospesa su un’armoniosa
collaborazione fra l’attivismo del giudice comune, fondato su una lettura
precettiva delle relative disposizioni, e la Corte costituzionale c he, nella
dialettica del giudizio di legittimità, si determinerà al rigetto od alla
declaratoria di inammissibilità della relativa questione (a seconda che essa
sia fondata o invasiva della discrezionalità legislativa), oppure alla
addizione della prestazi one o del principio, in ragione dell’esistenza o
non delle rime obbligate.
Una collaborazione che, ovviamente, trova espressione compiuta nelle
molteplici tecniche decisorie affermatesi nella prassi, che conferiscono al
giudizio di costituzionalità un’elas ticità al contempo proficua e
problematica.
Il legislatore sarà, per parte sua, gravato da un obbligo politico, ma anche
giuridicamente rilevante, di disciplinare la materia oggetto di declaratoria
d’incostituzionalità ma, sino al momento dell’esercizio de lla funzione
normativa, la regola od il principio resi applicabili per effetto
dell’addizione di prestazione o di principio saranno suscettibili di diretta
applicazione da parte dei giudici comuni, investiti di una funzione di
legislatore. In r e altà, c he l’ac c oglime nto d ella questione si trad uca in un vincolo giurid ico per
l’esercizio d ell’attività d i nor mazione è anche argomentabile, mente d i tale vincolo è ben più
c omplesso pred ic ar e la giustiziabilità. Ma è convincente l’id ea che “l’impossibilità d i coartare il
legislatore all’ad e mpime nto non e sc lud e che si possa parlare d i ‘vincolo’ giurid ico: se la sussistenza
d i questo fosse ammissibile solo ove sia possibile la coercibilità d ei d estinatari, nessuna d ecisione
d ella Corte potr e bbe e sse r e inte sa c ome giurid icamente vincolante” (C. Salazar, D al ric onosc imento
alla garanzia dei diritti soc iali , op. c it., 152 s. e nota 41).
In questo senso, espressamente, Corte cost. 26 giugno 1991, n. 295, in Giur. cost. 1991,
III, 2319, recepita da Cass. sez. lav. 18 giugno 1992, n. 7506, in Foro it., 1993, 1157 ss.
Ancora, Corte cost. 22 novembre 1991, n. 421, in Giur. cost. 1991, III, 3597 e Corte cost. 9
marzo 1992, n. 88, in Giur. cost., 1992, III, n. 2374, con nota di E. Grosso, La sent. n.88 del
1992: un’alternativa alle “additive di prestazione” . Per l’immediata applicabilità delle decision i in
esame v. anche G. Persico, Sentenza additiva di funzione legislativa della Corte costituzionale ? , in
Quaderni regionali 1991, 19 ss.; C. Salazar, Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali , op.
cit., 137 ss.; M. Ruotolo, La tutela dei dirit ti del detenuto tra incostituzionalità per omissione e
discrezionalità del legislatore , in Giur. cost., 1999, 221 ss. In senso analogo R. Granata, La
giustizia costituzionale nel 1997 , in Giur. cost., 1998, 2923, il quale ha osservato che per effetto
di un’additiva di principio “sorge un potere interinale per i giudici di ripianare all’omissione
nel caso concreto ed un dovere costituzionale per il legislatore di intervenire nella materia,
nonché la possibilità per la Corte di controllare l’adempimento una v olta che questo sia
intervenuto”.
In senso contrario, però, v. Corte cost. 12 giugno 1991, n. 277, in Giur. cost., 1991, III,
2191, nella quale si stabilì che, pur dichiarata incostituzionale la disposizione sottoposta al
vaglio della Corte, i giudici comu ni avrebbero dovuto continuare ad applicarla fino
all’entrata in vigore della nuova disciplina. In concreto, però, la giurisprudenza successiva
mostrò di ritenere non più vigente ex art. 136 Cost. la disciplina dichiarata incostituzionale,
come evidenziato da A. Anzon, A proposito dei controversi effetti di un’addittiva di principio
“anomala”, in Giur. cost., 1994, 458 ss. In questo senso V. Caianello, Corte costituzionale e
finanza pubblica , op. cit. (redattore della menzionata pronuncia).
157
55
immediata attuazione della Co stituzione ed, in particolare, del principio
di eguaglianza sostanziale.
Il giudice comune, laddove non ritenga di poter provvedere all’immediata
applicazione, potrebbe sollevare nuovamente la questione di legittimità
costituzionale nell’ipotesi di carenza di seguito, ma la Corte
costituzionale, ben lungi dal protendere per l’accoglimento, ha mostrato
in questi casi di determinarsi nel senso dell’inammissibilità, con ciò
fornendo implicita conferma alla tesi della natura vincolante del principio
anche verso il giudice. 158
In ogni caso è assai complesso individuare i limiti di utilizzo della tecnica
decisoria in esame: la Corte costituzionale mostra di impiegarla in modo
assai prudente proprio in materia di diritti sociali per le note esigenze di
bilancio, così come nei casi in cui non vi sia alcuna normazione sulla
quale intervenire in chiave additiva. 159
Al difetto di attuazione legislativa dei diritti sociali non sembra possa
offrirsi soluzione per il tramite dell’interpretazione adeguatrice. Il giudice
comune, infatti, non può sanare la lacuna normativa sul piano meramente
ermeneutico, pur nella vigenza della disposizione costituzionale che,
riconoscendo e garantendo il diritto sociale, ben dovrebbe orientarne
l’interpretazione. Sul piano logico, per la evident e ragione che ciò che
non esiste non può essere oggetto di elaborazione ermeneutica; sul
conseguente piano giuridico, giacchè manca la disposizione da cui
desumere la norma. E’ il presupposto stesso della carenza attuativa ad
escludere che l’interprete pos sa porvi rimedio, facendo leva
esclusivamente sulle potenzialità normogenetiche della Costituzione.
Del resto, l’interpretazione adeguatrice – il cui tentativo è ormai assurto
a condizione di ammissibilità della questione di legittimità costituzionale
– determina di per sé un notevole rischio di inaridimento del giudizio
In tema, anc he pe r l’e same d e lla giurisprud enza, C. Salazar, D al ric onosc imento alla garanzia dei
diritti soc iali , op. c it., 157 ss., la quale pone in relazione lo sviluppo d elle sentenze ad d itive d i
principio con la te c nic a d e l bilanc iame nto fra valori costituzionali, nel senso che l’articolazione d el
principio conse ntir e bbe d i por r e r ime d io ad una previsione normativa priva d ella elasticità
necessaria a conse ntir e al giud ic e c omune d i ad eguare il precetto al caso concreto. In realtà,
l’effetto che s’inte nd e r e bbe c onse g uir e per il tramite d el bilanciamento fra valori è una conseguenza
necessaria d ella c ostr uzione d e lla fattispe cie: l’etimologia già suggerisce, infatti, che l’interprete sia
c hiamato ad una valutazione d e l fatto, prima ancora d i operare il giud izio d i suss unzione nella
fattispecie astr atta, d i talc hè l’inve r amento d ell’ord inamento nel concreto d el giud izio passa
inevitabilmente pr opr io attr ave r so un fattore d inamico, costituito d all’esame d egli elementi d i fatto
integrativi d ella fattispe c ie , c he c onse ntono d i conseguire analogo risultato d i elasticità, pur se
e ntro le maglie insupe r abili d e l vinc olo e r meneutico posto d all’enunciato testuale.
Tale approccio me tod ologic o c onse nte d i non pervenire a quella “trasformazione d ello stato
c ostituzionale in stato gi ur isd izionale ” cui cond urrebbe la (non cond ivisibile, a giud izio d i chi
scrive) “consape vole zza c he non d i un buon legislatore ha bisogno l’ord inamento, ma d i buoni
giud ici, capaci d i ope r ar e , gr azie ad una ‘d elega a maglie larghe’ il bilanciamento d ei val ori in gioco”
(in questo senso, C. Salazar , D al ric onosc imento alla garanzia dei diritti soc iali , op. cit., 160).
159 E’ il caso d e lla fe c ond azione assistita. Per una esame d ella problematica, anche con riferimento
all’ipotesi d i mate r ia non anc or a ogge tto d i legislazione, C. Salazar, D al ric onosc imento alla garanzia dei
diritti soc iali , op. c it., 1162 ss., la quale ind ivid ua un limite generale, all’utilizzo d elle sentenze
ad d itive d i princ ipio, ne l fatto c he que st’ultimo d ebba “essere giustificato in ragione d i una ev idente
(o, almeno, ricostr uita c ome tale in motivazione) incisione sulla d ignità d ella persona”. Il parametro
d ella d ignità d e lla pe r sona, pe r ò, appare assai complesso d a sostanziare in chiave d i limite
all’utilizzo d i una te c nic a d e c isionale .
158
56
incidentale di legittimità costituzionale 160; è facile intuire, quindi, quale
potrebbe essere l’effetto dell’abuso di un simile strumento, da parte del
giudice comune, anche laddove non si po nga tanto un problema di
individuazione della lettura di una disposizione più coerente con la Carta
fondamentale, quanto quello della inesistenza del giudizio ipotetico che
colleghi ad un fatto effetti giuridici determinati.
9. Un’esemplificazione sul p iano dei diritti “che costano”: i l diritto
alle prestazioni mediche come d iritto sociale e diritto civile.
Differenze strutturali e contenutistiche.
L’iniziale assunto secondo il quale la qualificazione di una situazione
giuridica soggettiva in termini di diritto sociale ne escluda precettività e
giustiziabilità in difetto di interpositio legislatoris, può e deve essere
revocato in dubbio prendendo le mosse dall’analisi del diritto alla salute,
riconosciuto e garantito dall’art. 32 Cost. ed interpretato ora in termini di
mero interesse legittimo 161, ora di diritto soggettivo perfetto 162, ora di
diritto sociale. 163
M. Luciani, Le funzioni sistemiche della Corte costituzionale, oggi, e l’interpretazione conforme a” ,
in www.giustamm.it , fasc. 5/2007. Sul difficile rapporto fra certezza del diritto e
collaborazione fra Corte costit uzionale e giudice comune, A. Pace, I limiti dell’interpretazione
adeguatrice , in Giur. cost., 1963, 1066 ss., il quale conclude per l’obbligo della declaratoria di
illegittimità costituzionale in tutti i casi in cui la disposizione genera dubbi ermeneutic i. V.
altresì Id., Sul dovere della Corte costituzionale di adottare sentenza di accoglimento (se del caso
‘interpretative’ o ‘additive’) quando l’incostituzionalità sita nella ‘lettera’ della disposizione , in Giur.
cost., 2006, 3428 ss. In argomento, M. R uotolo, Interpretazione conforme a Costituzione e tecniche
decisorie della Corte costituzionale , in www.gruppodipisa.it e AA.VV., Scritti in onore di A.
Pace, cit., 2469ss. In tema, I. Ciolli, Brevi note in tema d i interpretazione conforme a Costituzione ,
ult. op. cit., 2013 ss.
161 A. Cariola, Diritti fondamentali e riparto di giurisdizione, in Dir. proc. amm. , 1991, 200 ss. Del
medesimo avviso F. Piga, Diritti soggettivi, interessi legittimi, interessi diffusi e t utela
giurisdizionale , in Giust. civ., 1980, I, 704.
162 M. Bianca, Il diritto alla salute , in Studi in onore di C. Sanfilippo , Giuffrè, Milano, 1983.
L’Autore, più specificamente, riconosce nell’art. 32 Cost. una situazione giuridica
complessa, nella quale rientrano sia il diritto alla integrità psico -fisica che il diritto alla
assistenza sanitaria. Entrambe queste situazioni giuridiche rilevano come diritti soggettivi
perfetti: “Il diritto alla salute tutela un bene essenziale della persona ed è pertanto u n
diritto fondamentale. Questo diritto si atteggia come diritto i rispetto della salute della
persona e come diritto di solidarietà, cioè come diritto a ricevere l’assistenza sanitaria. Il
diritto a ricevere l’assistenza sanitaria si struttura come diritto soggettivo verso
l’Amministrazione pubblica ed è azionabile alla pari degli altri diritti soggettivi.”
Sempre nell’ottica del diritto soggettivo si colloca anche G. Alpa, Salute ( diritto alla ) , in
Nss. D. I., Appendice, VI, Torino, 1986, 913 ss.; Id., Diritto alla salute e tutela del consumatore ,
in Riv. trim. dir. pub., 1975, 1515; Id. Danno “biologico” e diritto alla salute. Una ipotesi di
applicazione diretta della Costituzione , in Giur. It., 1976, I, 443, il quale contesta aspramente
una visione m eramente programmatica dell’art. 32 Cost., affermandone la precettività anche
verso i privati. Abbracciano la tesi della precettività anche M. Bessone - E. Roppo, Diritto
soggettivo alla salute, applicabilità diretta dell’art. 32 ed evoluzione della giuris prudenza, in Pol. dir.,
1974, 767, pur ritenendo necessaria una valutazione specifica “caso per caso”.
163 C. Cereti, Diritto costituzionale italiano , Torino, 1966, 211. Pongono altresì l’accento sul
carattere esclusivamente pubblicistico ed oggettivo dell a salute M. Pasquini - D. Pasquini Peruzzi, Il servizio sanitario nazionale , Napoli, 1979, 44. Ritiene l’art. 32 Cost. “norma
generale, in buona parte programmatica e [ che ], comunque, certamente abbisogna di
ulteriori disposizioni che la traducano in r ealtà” anche G. Roehrssen, Salute e sanità nella
160
57
Sembra ragionevole aderire alla tesi della polivalenza strutturale del
diritto alla salute 164, nel senso che l’art. 32 Cost. tutela sia il diritto
soggettivo all’integrità psico-fisica che il diritto sociale alle prestazioni
mediche.
Deve, però, riconoscersi che nel caso di necessità ed urgenza, ossia
quando il trattamento medico è essenziale per la tutela della stessa
integrità psico-fisica del soggetto, le due situazioni giuridiche soggettive
tendono a confondersi in un unico diritto di natura civile ed avente
struttura di diritto soggettivo, come tale immediatamente azionabile
anche in via d’urgenza dinanzi al giudice ordinario.
Più specificamente, tale diritto soggettivo alle prestazioni sanitarie da
parte delle pubbliche strutture si converte, se il titolare è indigente e lo
Costituzione italiana , in Nuova Rass., 1983, I, 825, con la conseguenza che, in caso di lesione
della relativa situazione giuridica, la competenza non spetterebbe sempre al giudice
ordinario. Sempre nell’ott ica tradizionale dei diritti sociali, intesi come diritti a prestazioni
positive, si colloca anche G. Corso, I diritti sociali nella Costituzione italiana , in Riv. trim. dir.
pub., 1981, 755. L’Autore, infatti, ritiene che “la prestazione amministrativa d el servizio [...]
richiede un momento preliminare di organizzazione del servizio, corrispondente ad una
determinazione
legislativa:
in rapporto a questo momento organizzativo (e
pregiudizialmente legislativo) il privato non dispone di un diritto o di altra situazione
giuridica tutelabile”. Secondo Corso “Scuola e sanità sono esempi tipici. Il diritto
all’istruzione presuppone l’apertura della scuola prima dell’ammissione dello studente. Il
diritto soggettivo [...] sorgerebbe nella seconda fase, e cioè in or dine al singolo
provvedimento di ammissione ad una determinata scuola, già concretamente esistente e
funzionante; rispetto al se ed al quando il servizio debba essere reso, il privato non avrebbe
che un interesse”. Premesso che, come si è avuto modo di acc ennare, una siffatta
discrezionalità del legislatore, sul piano dell’ an e del quando dell’attuazione del diritto sociale
è esclusa, nell’interpretazione della Corte costituzionale, dalla stessa esistenza dell’art. 32
Cost., ovvero della garanzia costituzio nale - semmai tale discrezionalità residuando per il
come ed il quanto -, il ragionamento dell’insigne giurista, coerente da un punto di vista
generale, non regge sul piano concreto del diritto alla salute. L’inesistenza di una struttura
pubblica o, meglio , l’incapacità del soggetto pubblico di fornire una prestazione sanitaria,
infatti, non lascia il privato senza difese, né lo trova senza diritti: è, infatti, possibile il
ricorso alla struttura privata, con la conseguente interversione del diritto alla sa lute nel
diritto al rimborso delle spese sostenute per la tutela dell’integrità psico - fisica. Sul punto,
comunque, v. oltre nel testo.
Di “semplice situazione raccomandata all’introduzione legislativa di provvidenze a tutela
della salute [...] con la con seguenza di trasformare detta situazione in altrettante situazioni
garantite ove le provvidenze siano effettivamente legiferate” parla anche C. Lavagna, Basi
per uno studio delle figure giuridiche soggettive contenute nella Costituzione italiana ., in Studi Univ.
Cagliari, Padova, 1953, 18.
164 Per tutti, A. Pace, Problematica, cit., 43 ss.; B. Pezzini, Il diritto alla salute: profili
costituzionali , in Dir. soc., I, 1983, 31 ss. Contra, L. Montuschi, Articolo 32 Cost. , in
Commentario Branca , Bologna - Roma, 1976, 146 ss. Non nega la molteplicità strutturale del
diritto alla salute neanche M. Luciani, Il diritto costituzionale alla salute , cit., pur se tende ad
un’assimilazione concettuale del diritto all’integrità psico - fisica con il diritto all’assistenza
sanitaria, nel quadro di un tentativo di conciliazione fra eguaglianza e libertà, dunque fra
diritti sociali e diritti di libertà. Afferma, infatti, l’Autore che “in entrambi i casi sono
presenti sia un momento individualistico (di diritto soggettivo), che un momento pubblicistico
(di fattore d’integrazione), anche se negli uni [ diritti di libertà ] è prevalente il primo, e
negli altri [ diritti sociali ] il secondo”. Una distinzione più marcata viene elaborata dal
medesimo Autore nella voce Salute, I) Diri tto alla salute - Dir. cost., Enc. Giur. Treccani, 5,
ove si legge: “l’espressione diritto alla salute deve considerarsi formula sintetica con la quale
si esprime la garanzia di una pluralità di situazioni soggettive assai differenziate fra loro”.
58
Stato non è in grado di erogare il trattamento, in un diritto al rimborso
delle spese sostenute presso la struttura ospedaliera pr ivata.
In questo senso, del resto, si era espressa anche la Corte costituzionale
nella sentenza 27 ottobre 1988, n. 992 165, con cui era stata dichiarata
l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 32 Cost., dell’art. 32
comma 4 l. 27 dicembre 19 83, n. 730 e dell’art. 15 l. 22 dicembre 1984, n.
887, a norma dei quali le prestazioni di diagnostica sperimentale ad alto
costo effettuate presso strutture private non convenzionate non sono
assunte a carico del servizio sanitario nazionale neppure quand o le
strutture private siano le uniche detentrici delle relative apparecchiature e
gli accertamenti diagnostici risultino indispensabili.
Il principio secondo il quale il diritto sociale ai trattamenti sanitari, in
caso di necessità ed urgenza, rileva come diritto soggettivo perfetto e, se
del caso, si converte nel diritto al rimborso delle spese mediche è stato di
recente ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza 16 luglio 1999
n. 309 166, declaratoria della illegittimità costituzionale degli artt. 3 7 l. 23
dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale) e 1 e
2 del d.P.R. 31 luglio 1980, n. 618 (Assistenza sanitaria ai cittadini
italiani all’estero) nella parte in cui, a favore dei cittadini italiani che si
trovano temporaneamente all’estero, non appartengono alle categorie
indicate dall’art. 2 del medesimo decreto e versano in disagiate condizioni
economiche, non prevedono forme di assistenza sanitaria gratuita da
stabilirsi dal legislatore.
In particolare, la Consulta ha espress amente riconosciuto che il confine
fra il diritto alla cura immediata e il diritto all’integrità della persona può
risultare in concreto assai labile, e il contenuto di un diritto può
Corte cost. 27 ottobre 1988, n. 992, in Le Regioni, a. XVII, n. 6, dicembre 1989, con nota
di E. Ferrari, Il diritto alla salute è diritto a qualunque prestazione ritenuta “indispensabile”? . Non
si ignora, per altro che tale orientamento è stato successivamente rivisitato dalla Consulta la
quale, nella sentenza 16 ottobre 1990, n. 455, in Giur. cost. 1990, I, 718 ed in Le Regioni, a
XIX, n. 5, ottobre 1991, 1513, con nota di E. Ferrari, Diritto alla salute e prestazioni sanitarie
fra bilanciamento e gradualità – rigettando la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6,
comma 1 e 2, l. p. Trento 15 marzo 1983, n. 6, sollevata in riferimento agli artt. 3 comma 1,
32 comma 1 e 116 Cost., nonché agli artt. 5 e 9, n. 10, Statuto Trentino - Alto Adige, in
connessione con gli artt. 1, 3 comma 2 e 19 l. 23 dicembre 1978, n. 833 – ha ritenuto “il
profilo del diritto a trattamenti sanitari”, soggetto “alle determinazioni del legislatore” e
configurato come “diritto finanziariamente condizionato all’attuazione che il legislatore ne
dà attraverso il bilanciamento con gli altri interessi costituzionalmente protetti, fra i quali è
compresa la considerazione delle risorse organizzative e finanziarie disponibili”.
166 Corte cost. 16 luglio 1999, n. 309, in Giur. cost., 1999, 2508, con nota di L. Principato, Il
diritto costituzionale alla salute: molteplici facoltà più o meno disponibili da parte del legislatore o
differenti situazioni giuridiche soggettive ? In sostanza, sul piano strutturale il diritto alla salute
si pone, s ulla base della semplice previsione costituzionale, quale diritto soggettivo perfetto
nel caso della tutela della integrità psicofisica, nel diritto alle gratuità delle cure per gli
indigenti e del diritto ai trattamenti medici indifferibili ed urgenti. An cora, ma solo a
seguito di previsione legislativa che espanda la tutela costituzionale, laddove sia
espressamente prevista la gratuità di prestazioni mediche anche a prescindere dal ricorrere
del requisito della indigenza.
165
59
confondersi, in casi estremi, col contenuto dell’altro fino anche a
risolversi nel diritto alla vita. 167
Conforme, rispetto a tale orientamento, risulta anche la più recente
giurisprudenza di legittimità: nella sentenza 19 febbraio 1999, n. 85, le
Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno riconosciuto la
giurisdizione del giudice ordinario in relazione a controversie aventi ad
oggetto il “diritto soggettivo al rimborso delle spese ospedaliere
sostenute dall’assistito all’estero […] per un ricovero reso necessario da
motivi di urgenza, costituiti da una situazione di pericol o di vita o di
aggravamento della malattia o di non adeguata guarigione”. 168
Ciò significa che il nucleo essenziale del diritto sociale alla salute è
rappresentato da un diritto civile o, per utilizzare un’espressione
matematica, che il limite del diritto so ciale, laddove le condizioni del
titolare tendano ad uno stato di necessità improcrastinabile, è dato dal
diritto all’integrità psico -fisica.
Ad una conclusione a questa analoga sotto il profilo degli effetti giuridici
pratici, ma ben differente da un punt o di vista di teoria generale, può
giungersi anche riflettendo sul corretto interagire delle situazioni
giuridiche soggettive e dell’ordinamento giuridico complessivamente
considerato.
Andiamo con ordine.
L’esistenza di un diritto alle prestazioni sanitari e discende dal fatto che il
legislatore – già quello costituente – ha operato una valutazione positiva
dell’interesse del cittadino ad ottenere le cure mediche da una sistema
pubblico di erogazione.
Dalla formalizzazione positiva di tale interesse è disce so che il ricorrere
della esigenza delle cure mediche come strumento di tutela della integrità
psico-fisica del soggetto rende integrata la fattispecie di cui all’art. 32
Cost. (in combinato disposto con la disciplina di rango subordinato);
laddove, poi, ricorra anche l’indigenza dell’avente diritto, sempre ai sensi
dell’art. 32 Cost. ed in base all’applicanda normativa d’attuazione,
sussisterà anche la gratuità dell’erogazione delle prestazioni mediche. La
Tale orientamento ha trovato ul teriore conferma nella sentenza 13 novembre 2000, n.
509, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7
comma 2 della legge della Regione Lombardia 15 gennaio 1975, n. 5 (Disciplina
dell’assistenza ospedaliera) e dell’art. 2 comma 3 della legge della Regione Lombardia 5
novembre 1993, n. 36 (Provvedimenti in materia di assistenza in regime di ricovero in forma
indiretta presso case di cura private non convenzionate e per specialità non convenzionate
con il servizio sanitario nazionale, nonché in materia di rimborsi per spese di trasporto ai
soggetti sottoposti a trattamenti di dialisi), promossi con ordinanze emesse il 3 novembre
1998 ed il 15 giugno 1999 dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, Sez. I
(iscritte ai numeri 77 e 589 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella G.U. della
Repubblica nn. 8 e 43, prima serie speciale dell’anno 1999, in riferimento agli artt. 3 e 32
della Costituzione. Ciò proprio perché l’annullata disciplina non prevedev a la possibilità di
conseguire il rimborso delle spese mediche sostenute presso strutture private in difetto
della preventiva autorizzazione amministrativa (e senza possibilità di autorizzazione
successiva) anche laddove ricorressero specifiche e comprovat e condizioni di necessità ed
urgenza, in tal modo violando il “nucleo irriducibile del diritto alla salute tutelato dalla
Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana”.
168 Cass. S. U. 19 febbraio 1999, n. 85, in Foro It., 1999, 2832. Cfr. anche Cass. 16 luglio
1999, n. 7537, ivi.
167
60
caratteristica di questa fattispecie astratta è co stituita dal fatto che il
diritto alle cure sanitarie sussiste nella misura ed in ragione delle
modalità stabilite dal legislatore in sede di attuazione del principio
stabilito dall’art. 32 Cost.
In ciò la sostanza di diritto sociale. L’ammalato, infatti, sarà vincolato e
condizionato dal livello organizzativo del sistema sanitario nazionale,
dovendo da un lato rispettarne i tempi e dall’altro accettarne lo standard
qualitativo. L’alternativa resterebbe quella del ricorso alle strutture
private, ma con ogni onere a carico dell’interessato, poiché si tratterebbe
di una scelta volontaria del cittadino, le conseguenze della quale lo Stato
non è in alcun modo tenuto ad accollarsi.
Consideriamo, ora, un insieme di presupposti di fatto solo parzialmente
coincidente con quello sopra illustrato: ossia un soggetto che abbia
esigenza di prestazioni mediche per tutelare la propria integrità psico fisica, ma per il quale tale esigenza sia talmente assorbente che, laddove
non soddisfatta, ne deriverebbe un pregiudizio gr ave ed irreparabile.
Questo, dunque, l’elemento dirompente: la necessità ed urgenza di
provvedere all’erogazione della prestazione sanitaria, infatti, incide sugli
elementi fattuali della fattispecie, la qu ale non può che modificarsi. L a
situazione giuridica soggettiva deve individuarsi in relazione ad un
interesse materiale che non è più quello – generico – di tutelare la
propria integrità psico -fisica, bensì quello – assai più specifico – di
evitare un irreparabile nocumento per la propria salute.
Ed allora: diversi presupposti, diversa considerazione da parte del
legislatore, diversa situazione giuridica soggettiva.
Questo differente approccio al problema, in termini di teoria generale
consente di tenere strutturalmente ben distinti il diritto sociale al le cure
mediche dal diritto civile alla necessaria, urgente ed imprescindibile
tutela dell’integrità psico -fisica; in termini pratici, conduce ad analoghi
effetti, poiché l’integrazione della seconda fattispecie descritta consentirà
al soggetto interessato di agire per conseguire una condanna della
Pubblica Amministrazione all’erogazione del servizio sanitario o, laddove
ciò non sia possibile per una deficienza del sistema sanitario nazionale,
ad un risarcimento per equivalente, dato dal rimborso delle spes e
sostenute dal cittadino presso una struttura privata.
Del tutto condivisibile, dunque, appare la sentenza 22 luglio 2010, n.
269 169 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 comm a 2 l. 9 giugno
2009, n. 29 della regione Toscana ed infondata quella dell’artt. 2 comma
4 e 6 commi 11, 35, 43, 51, 55 lett. d) della medesima legge, sollevate in
via principale con riferimento all’art. 117 comma 2 lett. a) e b) e comma
9 Cost.
Per quanto qui interessa, la legge regionale estendeva anche agli stranieri
privi di permesso di soggiorno il diritto a trattamenti medici urgenti ed
indifferibili: la Consulta ha ritenuto che tale previsione non fosse lesiva
del riparto di competenze fra Stato e re gione, proprio perché i
trattamenti medici indifferibili sono parte del “nucleo irriducibile del
169
Corte cost. 22 luglio 2010, n. 269 in Giur. c ost. , 2010, ….. ss.
61
diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile
della dignità umana”. Per quanto ambigui sia il riferimento alla dignità
umana, di certo il giudice delle leggi ha inteso preservare una condizione
minima dell’appartenenza stessa al consorzio sociale, ossia il fine di
preservare la vita degli stessi consociati, anche oltre gli angusti limiti del
tradizionale concetto di cittadinanza.
Se la conclusione sopra illustrata può quanto meno argomentarsi in
riferimento al diritto alle prestazioni mediche, è molto più dubbio che il
medesimo schema logico-giuridico possa utilizzarsi anche per gli altri
diritti sociali.
Ad esempio, se possa sostener si che il diritto sociale alla casa
d’abitazione, nel caso di un soggetto indigente che versi in condizioni di
necessità improcrastinabile, si risolva in un diritto soggettivo di natura
civile, con la conseguente legittimazione del titolare ad agire in giu dizio
per ottenere la condanna del Pubblico Potere alla prestazione del relativo
servizio o – per equivalente – al rimborso dei costi di locazione di una
casa d’abitazione.
La questione è particolarmente delicata in tema di diritto al lavoro.
Nella ricostruzione che qui si propone, il disoccupato involontario
avrebbe, infatti, il diritto di ottenere dallo Stato l’assegnazione di un
posto di lavoro o, in caso di impossibilità, un indennizzo che rappresenti
una forma di ristoro per equivalente. 170 Ciò, ovviamente, nell’esercizio del
diritto costituzionale al lavoro, giusta applicazione dell’art. 4 della
Costituzione, norma immediatamente precettiva.
Non si ignora, però, che questa interpretazione estensiva delle
conclusioni cui è legittimo giungere sul piano del diritto alla salute si
fonda su un assunto opinabile.
Lo stato di necessità ed urgenza, infatti, nel caso del diritto a trattamenti
sanitari indispensabili è rappresentato da un pericolo attuale e concreto
per l’integrità psico-fisica del titolare.
Nel caso del diritto alla casa d’abitazione o del diritto al l avoro, deve
ritenersi o che analogo stato sussista laddove la mancanza di una
proiezione spaziale della personalità dell’uomo o di un impiego possano
produrre un effetto pregiudizievole sulla medesima integrità, oppure che
a tal fine sia idonea la possibilità di un nocumento anche nei confronti
della dignità umana.
Tesi, quest’ultima, che se da un lato trova indiretta conferma nella tutela
della personalità dell’uomo sancita dall’art. 2 Cost. e, soprat tutto, nella
garanzia della dignità formalizzata nel principio di eguaglianza, dall’altro
induce una notevole incertezza giuridica, facendo leva su un concetto c.d.
valvola che, per definizione, è suscettibile di polivalenti interpretazioni e,
conseguentemente, suscita notevoli perplessità in ordine alla possibilità
di collegarvi conseguenze precettive di siffatta ampiezza.
10. I livelli essenziali delle prestazioni inerenti i diritti civili e
sociali: l’art. 117 comma 2 lett. m) Cost.
In questo senso, espressamente, C. Mortati, Il diritto al lavoro nella Costituzione della
Repubblica, Milano, Giuffrè, 1972 , 161 ss.
170
62
La tutela dei diritti civili e dei diritti sociali è ormai divenuta
“multilivello” sia verso l’alto che verso il basso: lo Stato, infatti, è
chiamato ad interagire con la normativa internazionale e comunitaria, ma
anche con quella regionale, in omaggio al principio del decent ramento
previsto dall’art. 5 Cost.
Il nuovo riparto di competenze, prescritto dal novellato art. 117 Cost.,
attribuisce un ruolo significativo alle regioni, chiamate a relazionarsi con
lo Stato nelle materie di competenza concorrente , ma anche in quelle di
competenza esclusivamente statale, che pure costituiscono occasione di
costante confronto e frequente contestazione sul piano della legalità
costituzionale.
E’ il caso della tutela della concorrenza, dell’ambiente e, per definizione,
delle prestazioni oggetto di diritti civili e sociali che, ai sensi dell’art. 117
comma 2 lett. m) cost., devono essere garantite, quanto all’uniformità di
sostanza, su tutto il territorio nazionale.
Si tratta di materie c.d. trasversali 171 che dovrebbero costituisce strumento
di riequilibrio di un sistema premiante delle autonomie locali, teso ad
evitare eccessive torsioni del principio di eguaglianza e degenerazioni del
foedus da virtuoso in perverso o competitivo.
La compiuta interpretazione dell’ambito sostanziale di competen za
tratteggiato dall’art. 117 comma 2 lett. m) è resa difficoltosa proprio dalla
esplicita previsione normativa di categorie generali, quali quelle dei diritti
civili e sociali, sino ad oggi relegate nella riflessione dottrinaria e,
pertanto, di dubbia cla ssificazione. 172
I diritti (ed i doveri) costituzionali, sono disciplinati nella parte prima
della Costituzione del 1948 (art. 13 -54 Cost.), la quale è suddivisa in
quattro titoli: rapporti civili, rapporti etico -sociali, rapporti economici e
rapporti politici. Con una corrispondenza non proprio perfetta, i diritti
costituzionali sono stati suddivisi, sin dal dibattito in Assemblea
Costituente, in civili, politici e ( c.d.) sociali. 173
Escludendo i diritti politici (ossia l’elettorato attivo e passivo, il diri tto di
petizione, il diritto di accedere agli uffici pubblici, il diritto di iniziativa
legislativa e quello di richiedere e partecipare a referendum) tutte le altre
situazioni giuridiche soggettive costituzionalmente previste dovrebbero
ricondursi ad una delle due categorie residue.
Così, dunque, dovrebbero essere diritti civili i diritti di libertà (artt. 13 21, 33 e 41 Cost.), il diritto alla capacità giuridica, alla cittadinanza ed al
Evid enzia la pr o gr e ssiva pe r d ita d i consistenza, nella giurisprud enza costituzionale, d ella
e nucleazione d e lle mate r ie quale c r ite r io d i riparto d ella competenza legislativa F. Benelli, La
“ smaterializzazione” delle materie, Giuffr è , Milano 2006.
172 L ’enigmaticità d e ll’ar t . 117 c omma 2 lett. m) è stigmatizzata d a A. D’Aloia, S torie “c ostituzionali”
dei diritti soc iali , op. c it., 737 e c ond ivisa, nell’esame d ella giurisprud enza attuativa, d a C. Panzera, I
liv elli essenziali delle prestaz ioni sec ondo i giudic i c omuni , in Giur. c ost. , 2011, 3371 ss.; Id . I liv elli
essenziali delle prestaz ioni fra giurisprudenz a c ostituzionale e giurisprudenza amministrativ a , in F ed. F isc . ,
2009, 133 ss.
173 I costituenti, me ntr e pote vano d ir si c onsapevoli che i d iritti civili e politici erano “qu ei d iritti d i
libertà ed eguaglianza c he il fasc ismo aveva soprattutto mortificato e conculcato” (P. Calamand rei,
La Costituzione e le leggi per attuarla , Milano, 2000, 49), maggiore incertezza avevano nella
qualificazione d e i d ir itti soc iali, infatti apos trofati d allo stesso Calamand rei con la notazione
“c osiddetti” , seguita d al r ife r ime nto bibliografico a G. Gurvitch, La dic hiarazione dei diritti soc iali ,
trad . it., Milano, 1949.
171
63
nome (art. 22 Cost.), il diritto di agire e difendersi in giudizio (a rt. 24
commi 1 e 2 Cost.), il diritto al giudice naturale precostituito per legge
(art. 25 comma 1 Cost.), il diritto dei figli al mantenimento, all’istruzione
ed all’educazione da parte dei genitori (art. 30 comma 1 Cost.), il diritto
all’integrità psico-fisica, il diritto alle cure mediche indispensabili alla
tutela di essa integrità e quello degli indigenti alle prestazioni sanitarie
gratuite (art. 32 Cost.); il diritto del lavoratore alla retribuzione
proporzionata e sufficiente (art. 36 Cost.); il diri tto al riposo settimanale
ed alle ferie annuali retribuite (art. 36 comma 3 Cost.) e via enucleando.
Dovrebbero, invece, essere diritti sociali, il diritto alle cure mediche
fuori dalle ipotesi suddette (art. 32 Cost.), il diritto all’istruzione (artt. 33
e 34 Cost.), il diritto all’assistenza ed alla previdenza (art. 38 comma 1
Cost.) e via dicendo.
Tralasciando i problemi di classificazione delle singole situazioni
giuridiche soggettive, se si accoglie la suddetta nozione ‘ residuale’ ed
omnicomprensiva di ‘diritti civili e sociali’, ne segue che ai sensi dell’art.
117 comma 2 lett. m) Cost. lo Stato manterrebbe potestà legislativa
esclusiva con riguardo alla “determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti” q uesto ancora indistinto grov iglio di diritti di
libertà, diritti della personalità, diritti a prestazione positiva dal pubblico
potere, diritti di autotutela (lo sciopero, art. 40 Cost.) 174, diritti della
persona (si pensi alle situazioni giuridiche soggettive caratteristiche
dell’istituzione familiare, a contenuto non patrimoniale ma non aventi la
struttura dei diritti di libertà – non risolvendosi in un agere licere – né dei
diritti assoluti della personalità) ed altri ancora.
E’ necessario comprendere il senso e le giuridiche conseguenze della
previsione di una simile competenza legislativa.
Per le libertà civili, si potrebbe sostenere che la determinazione dei livelli
essenziali attenga ai loro presupposti oggettivi o mezzi strumentali 175
(ossia, per esemplificare, i mezzi di diffusion e per la libera
manifestazione del pensiero, le infrastrutture per le libertà di circolazione
e di riunione) ma l’ipotesi non pare adeguatamente argomentabile. Ed
infatti a) si creerebbe una evidente discrasia sul piano strutturale delle
situazioni giuridiche soggettive: per il diritto sociale (es. alle cure
mediche)
la
prestazione
essenziale
costituirebbe
l’oggetto
dell’obbligazione ex latere debitoris, attraverso il quale si tutela il bene
della vita (es. la salute) a sua volta oggetto della disposizione, mentre per
i diritti di libertà quella stessa prestazione essenziale dovrebbe costituire
una sorta di condicio sine qua non dell’esercizio della situazione giuridica, in
difetto della quale il diritto pur se esistente in astratto non è in concreto
esercitabile per una sorta di impossibilità oggettiva; b) l’esistenza di
Salvo ad esc lud e r e il d ir itto d i sc iope ro d alla categoria d ei d iritti civ ili (giacchè d i certo non è
d iritto sociale ne l se nso d i d ir itto a pr estazione positiva d allo Stato o d agli enti locali), con la
c onseguenza che , non e sse nd o e spr e ssamente previsto né d al comma 2 né d al comma 3 d ell’art. 117
Cost., lo stesso d ovr e bbe r ite n e r si r imesso alla potestà esclusiva d elle regioni. Ne d ovremmo
d esumere la possibilità d i una d iffe r e nte d isciplina d el d iritto d i sciopero fra le d iverse regioni
d ’Italia, ciò che c on ogni e vid e nza è inac cettabile con riferimento agli artt. 3 e 5 Cost., s alvo a voler
sostenere (ma fr anc ame nte non se ne r ie sce ad intuire neanche una argomentazione) che le esigenze
d ei lavoratori sotte se a que sto fond ame ntale strumento d i autotutela sono funzione d el territorio.
175 Cfr. A. Pace, Problematic a delle libertà c o stituzionali , Parte Generale, Pad ova, 2003, 326 ss.
174
64
quest’ultima condizione necessaria non è sostenibile per tutti i diritti di
libertà: se, infatti, la manifestazione del pensiero pone (in taluni casi) un
problema di accesso ai mezzi di diff usione, la libertà personale non
presuppone alcuna prestazione essenziale all’autodeterminazione del
titolare in relazione alla propria sfera fisica, così come la libertà di
domicilio non presuppone alcunchè per l’esercizio dello ius admittendi e
dello ius excludendi, né la comunicazione riservata implica specifici
interventi dello Stato perché la stessa avvenga fra due soggetti
determinati.
Ancora, e con riferimento ai diritti di libertà, la formula potrebbe
apparentemente acquisire un significato se rifer ita alla predisposizione di
un apparato di pubblica sicurezza e giudiziario idoneo ad approntare una
tutela concreta in caso di violazione, ma si tratterebbe in realtà di un
evidente olismo, oltre al fatto che si verrebbe così a determinare uno
stridente contrasto con l’art. 117 comma 2 lett. d), f), g), h) ed l), ove
dette materie (sicurezza dello Stato, organi ed ordinamento
amministrativo dello Stato, ordine pubblico e sicurezza, giurisdizione e
norme processuali) sono rimesse alla potestà esclusiva dell o Stato
integralmente, non già con riguardo alle sole prestazioni essenziali.
Il paradosso dell’art. 117 comma 2 lett. m) Cost. diviene ancor più
evidente con riguardo agli altri diritti civili, diversi dai diritti di libertà:
non si comprende, infatti, quale senso potrebbe avere una legislazione
“minima essenziale” in tema di diritto al nome o alla cittadinanza 176, od
ancora in tema di diritto del minore all’educazione, all’istruzione ed al
mantenimento o vieppiù con riguardo al diritto di agire e resistere in
giudizio, od al riposo settimanale ed alle ferie retribuite .
In sostanza, così interpretata, la disposizione in esame diviene priva di
qualsiasi senso giuridico e determina delle insanabili antinomie già al
proprio interno, nell’ambito delle materie ogg etto di potestà esclusiva
dello Stato. Ancora, si presta ad una applicazione pregiudizievole nei
confronti dei cittadini, poiché legittima il pubblico potere ad abbassare
indiscriminatamente la soglia di tutela delle situazioni giuridiche
soggettive attive, determinando non solo (come già accade) il quantum
ragionevole e possibile di prestazioni sociali erogande in ragione delle
risorse disponibili, ma addirittura la quantità di manifestazione del
pensiero, di associazione, di riunione, di fede religiosa ch e deve comunque
essere garantita a livello nazionale, lasciando il residuo alla possibile (ma
non obbligatoria) disciplina da parte degli enti locali.
Il riferimento ai diritti civili e sociali, pertanto, sconta oggi il grado di
approssimazione ed ambiguità concettuale denunciato sin dall’Assemblea
Costituente ed impone un nuovo sforzo ermeneutico di “sistemazione”
dei diritti costituzionali.
La connessione fra prestazioni essenziali a carico dello Stato apparato e
diritti civili può avere un senso se quest ’ultimo sintagma si legge alla luce
non già della tradizione giuridica europea, bensì di quella americana,
Per altro anc he tali mate r ie r ie ntr ano nella potestà esclusiva d ello Stato ai sensi d ell’art. 117
c omma 2 lett. i, se nza alc una d istinzione (che infatti non avrebbe senso) fra livelli essenziali e non
e ssenziali.
176
65
nella quale i civil rights altro non sono se non i diritti al pari
trattamento. 177 In questa più restrittiva accezione, l’intervento pubblico
(sia legislativo ex art. 117 Cost. che amministrativo) acquista un senso
evidente, giacchè diviene attuativo del principio di eguaglianza
sostanziale per come espresso nell’art. 3 comma 2 Cost. e – con ogni
conseguente perplessità di ordine sistematico – nel novellato art. 117
comma 7 Cost.
In sostanza, assoggettare la determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili alla potestà legislativa esclusiva
dello Stato equivarrebbe a riconoscere la necessità di una normazione,
uniforme a livello nazionale, di garanzia delle pari opportunità e, dunque,
del principio di eguaglianza formale.
Il che, però, offre all’interprete un ulteriore problema di coordinamento:
se questo è il significato del riferimento ai diritti civili, ne deriva che in
una disposizione che organizza un riparto di competenze per materie 178
esiste in realtà una norma trasversale, che esse materie tutte considera dal
punto di vista degli “interessi essenziali”: ciò perché il pari trattamento
può operare con riguardo alle cariche elettive, all’accesso ai pubblici
uffici, all’urbanistica, al governo del territorio, al lavoro ed alle
professioni e via discorrendo. Ciascuna di queste materie, però, è
autonomamente considerata nell’ambito dell’art. 117 Cost. e resa oggetto
di potestà esclusiva dello Stato ex comma 2 o delle Regioni ex comma 4,
od ancora di potestà concorrente ex comma 3.
Il quadro normativo è, dunque, molto complesso ed infatti ha dato vita
ad un vivace contenzioso di costituzionalità, indotto da così stridenti
antinomie. 179
Non minori i problemi determinati dal riferimento alla categoria dei
diritti sociali che attraverso la nuova lettera dell’art. 117 Cost. assume
piena e positiva dignità costituzionale. 180 Il che impone all’interprete di
inferire contenuti dal nuo vo sintagma espressamente formalizzato , poiché
la natura di diritto sociale appare rilevante ai fini del riparto di
competenza nell’esercizio della funzione legislativa.
In tema, per una d isamina d e lle pr onunce d ella Suprema Corte d egli Stati Uniti sul Civ il Rights
Ac t d el 1875, sin d ai pr imi c asi d e l 1883 (nei quali era stata oggetto d i valutazione la
c ostituzionalità d e l me d e simo Civ il Right Ac t con riguard o al tred icesimo ed al quattord icesimo
e mend amento, in c asi d i d isc r iminazione razziale nell’accesso ad hotels e teatri), v. J. E. Nowak e R.
D. Rotund a, Costitutional law , St. Paul (Minn.), 1991, 918 ss. In tema, se si vuole, L . Principato, I
diritti c osti tuzionali e l’assetto delle fonti dopo la riforma dell’art. 117 della Costituzione , in Giur. c ost. , 2002,
1169 ss.
178 Per questo e le me nto d i r igid ità, d e te r minato d al privilegiare un riparto per materie rispetto ad
uno fond ato sugli inte r e ssi d e i c ittad ini, la novella è stata oggetto d i vivaci critiche, per le quali si
r invia ad A. Rugge r i e P. Nic osia, V erso quale regionalismo? ( Note sparse al progetto di rev isione
c ostituzionale approv ato, in prima lettura, dalle Camere nei mesi di settembre - ottobre 2000) , in Rass. parl. ,
2001, 98 ss.
177
179
Fino ad oggi la Costituzione , pur fac e nd o riferimento a concetti come la d ignità sociale o le pari
c ond izioni sociali (ar t. 3 Cost.) o l’utilità sociale (artt. 41 e 42 Cost.), non preved eva espressamente
la categoria d ei d ir itti soc iali, d i inc e r ta e laborazione in d ottrina.
180
66
Ciò posto, se si confrontano le classificazioni operate da Giannini 181,
Astuti e Mortati in sede costituente – da un lato – e la posizione assunta
da una parte della dottrina successiva 182 – dall’altro ed a titolo meramente
esemplificativo – si scopre inesorabilmente che i medesimi diritti ora
vengono qualificati come sociali, ora come civili, ora con ulteriori e
differenti formulazioni.
Lo stesso diritto alla salute, sub specie di diritto all’integrità psico -fisica,
ed addirittura il diritto d’azione e di difesa vengono talvolta qualificati
come diritti sociali 183, con la conseguenza che non è d ato comprendere
come debba concretamente operare il riparto di competenza di cui all’art.
117 Cost.
Ancora, se il diritto alla retribuzione sufficiente e proporzionata è diritto
sociale incondizionato 184, occorre chiedersi se, in quanto tale, verrà
qualificato e disciplinato a) nel suo contenuto essenziale da una legge
statale approvata ex art. 117 comma 2 lett. m Cost. la quale abbia dunque
contenuto di dettaglio (dovendo in specie indicare il quantum di
retribuzione minima comunque garantita) 185, oppure b) attraverso una
normativa generale di principio (che magari faccia riferimento in subiecta
materia ai contratti collettivi di lavoro) e da una disciplina regionale
subordinata (sempre salvo il principio di sussidiarietà orizzontale),
essendo la materia della tutela del lavoro rimessa alla potestà legislativa
concorrente.
Di certo non è questa la sede per una compiuta ed esaustiva
classificazione delle singole situazioni giuridiche soggettive con riguardo
alla categoria dei diritti sociali, la quale rischia p er altro di scontrarsi con
una oggettiva impossibilità di determinazione di un insieme unitario,
connotato da caratteristiche universalmente valide. 186
L’individuazione di un elemento discriminante diviene però essenziale sul
piano concreto, per comprendere quando possano dirsi integrati i
presupposti d’applicabilità dell’art. 117 comma 2 lett. m) Cost.
Tale elemento discretivo può e deve cogliersi sotto il profilo strutturale:
in tanto ha senso parlare di livelli essenziali di prestazioni da parte dello
Il quale per altr o, ne lla pr opr ia r e lazione, non omise d i evid enziare come la qualificazione
“soc iale ” d i alc uni d ir itti c ostituzionali fosse inc ongrua ed artific iosa . Sul tema, v. B. Pezzini, La
dec i sione sui diritti soc iali. Indagine sulla struttura c ostituzionale dei diritti soc iali , Milano, 2001, 97 ss.
182 Si confronti, ad e se mpio, la r e lazione introd uttiva ai lavori d ella I sottocommissione d i Giannini,
d al titolo “ I rapporti fra S tato e c ittadini attinenti all’eguaglianza ed alla solidarietà soc iale ”, con quanto
teorizzato d a G. Cor so, I diritti soc iali nella Costituzione italiana , in Riv . trim. dir. pubbl. , 1981, 755; M.
L uciani, S ui diritti soc iali , in La tutela dei diritti fondamentali dav anti a lle Corti c ostituzionali , a cura d i R.
Romboli. Torino, 1994, 79 ss.; A. Bald assarre, D iritti soc iali , in Enc . giur. , XI, Roma, 1989; M.
Mazziotti Di Ce lso, D iritti soc iali , in Enc . dir. , XII, Milano, 1964; A. Pace, Problematic a , cit.; P.
Caretti, I diritt i fondamentali. Libertà e diritti soc iali , Torino, 2002, 371 ss. Nell’analisi comparativa si
scoprirà agevolme nte c he le me d e sime situazioni giurid iche soggettive solo d a alcuni vengono
qualificate come d ir itti soc iali e solo in taluni casi sono inc ondizio nate.
183 In questo senso B. Pe zzini, La dec isione sui diritti soc iali , cit., 126.
184 A. Bald assarr e , D iritti soc iali , op. c it.
185 Con ogni intuibile pr oble ma d i c oor d inamento giud iziale con i contratti collettivi d i lavoro, per
c ome attualmente e siste nti.
186 L ’esistenza d i “insupe r abili d iffic oltà classificatorie” con riguard o ai d iritti sociali è riconosciuta
d a A. Pace, Problematic a , c it., 160 nota 191. Nel senso d ella impossibilità d i argomentare una
c ategoria unitar ia C. Salazar , D al ric onosc imento alla gar anzia dei diritti soc iali. Orientamenti e tec nic he
dec isorie della Corte c ostituz ionale a c onfronto , Torino, 2000, 15 ss.
181
67
Stato (o di enti pubblici) in quanto la situazione giuridica del cittadino da
un lato abbia carattere relativo e veda nel pubblico apparato il soggetto
debitore (genericamente) di solidarietà sociale 187; dall’altro possa (rectius, a
questo punto, debba) essere graduata distinguendone un contenuto
essenziale ed un contenuto, per così dire, facoltativo.
Saranno, dunque, diritti sociali ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. m)
Cost. i diritti a prestazione positiva da parte dello Stato o degli enti
pubblici i quali, (forse anche in passato, ma di certo) per effetto della
intervenuta modifica della Costituzione, devono oggi differenziarsi sotto
il profilo strutturale: quanto ad un nucleo essenziale, l’art. 117 introduce
un elemento di doverosità (“devono essere garant iti su tutto il territorio
nazionale”) il quale lascia intendere che, pur nel decentramento
(pseudo)federale dello Stato unitario, quest’ultimo non può rinunciare a
garantire ai cittadini condizioni minime essenziali per il dignitoso
sviluppo della persona lità; quanto ad una ulteriore quota parte, ossia ad
ulteriori facoltà e poteri del medesimo diritto, la Costituzione lascia
ampia discrezionalità ora allo Stato (art. 117 comma 2 lett. o), previdenza
sociale), ora alle regioni (art. 117 comma 3, sicurezza del lavoro,
istruzione, professioni, salute) in esercizio di potestà concorrente (ed in
entrambi i casi fermo restando il principio della sussidiarietà verticale) di
approntare la disciplina ritenuta più idonea, compatibilmente con le
risorse disponibili, a garantire un più evoluto grado di tutela della
persona, anche oltre i bisogni essenziali. Ciò, ovviamente, sempre con
riserva di controllo della ragionevolezza ( rectius, razionalità) delle scelte
compiute.
Va da sé che una siffatta dicotomia postula una costruzione a gradi dei
diritti a prestazione positiva, l’attuazione dei quali diviene indice e
funzione del livello di sviluppo (di ciascuna regione e, dunque) dello
Stato.
L’interprete, però, non deve in alcun modo cedere alle lusinghe del
“contenuto minimo” dei diritti: la formalizzazione positiva di un diritto
(quale ne sia la struttura o la fonte di cognizione) determina una
legittimazione all’esercizio in capo al titolare, un obbligo di protezione
per la Repubblica ed una o più obbligazioni (di conten uto più o meno
dettagliato) in capo ad uno o più destinatari (anche indeterminati, ciò che
dipende dalla struttura in concreto della situazione giuridica medesima).
Sostenere che alcune facoltà o poteri sono assolutamente imprescindibili
per la giuridica esistenza ed il concreto esercizio di una situazione
soggettiva deve servire ad ulteriormente garantire il diritto medesimo,
stigmatizzando i casi di più evidente violazione per rendere più
immediata ed energica la sanzione dell’ordinamento. Non già ad
Ciò d eve soste ne r si c on r ise r va d i inte rpretare la formula d ella d overosa ed uniforme garanzia sul
territorio nazionale d e i live lli e sse nziali d i prestazioni concernenti i d iritti sociali alla luc e d el
principio d i sussid iar ie tà or izzontale e d ella immed iata efficacia fra privati d elle d isposizioni
c ostituzionali. Potr e bbe , infatti, soste ne r si che se le prestazioni in oggetto d evono es sere erogate
d allo Stato, d alle Re gioni, d agli altr i e nti locali o d ai privati in base al principio d i sussid iarietà, i
primi d estinatar i d e lla d isc iplina ad ottata ex art. 117 comma 2 lett. m) Cost. sono proprio i cittad ini
e , solo lad d ove que sti in e se r c i zio d i autonomia non riescano a far fronte alla d omand a d i
solid arietà, gli e nti te r r itor iali minor i o lo Stato, in applicazione d ei principi d i d ecentramento e
leale cooperazione .
187
68
individuare la soglia oltre la quale il pubblico potere è collocato in
un’area di irresponsabilità.
Con questa precisazione, in tema di diritti sociali l’art. 117 comma 2 lett.
m) Cost. lascia intendere che la mancata attuazione della Costituzione,
ossia la c.d. omissione legislativa, incide diversamente sulla sfera
giuridica del cittadino a seconda che sia relativa alla determinazione (ed
erogazione) dei livelli essenziali di protezione sociale o di quelli ulteriori
(ma necessariamente superiori) che le regioni siano in grado di prevedere.
Infatti, se l’essenzialità s’intende nel senso che la mancanza di essi si
traduce in una condizione di pregiudizio grave ed irreparabile per la
persona, allora la proposizione normativa potrebbe avere il senso di
costituire uno specifico obbligo a carico dello Stato ed avente ad oggetto
la determinazione (e l’erogazione, come si vedrà tra breve) di quelle
prestazioni assolutamente necessarie per la tutela stessa dell’integrità
psico-fisica (rectius, del libero e dignitoso svol gimento della personalità
umana) dei soggetti creditori di solidarietà sociale, i quali dovrebbero
ritenersi titolari di un diritto soggettivo perfetto ed immediatamente
azionabile contro lo Stato medesimo, pur se in difetto di qualsiasi
interpositio legislatoris. 188
In ogni caso, la carenza dell’attuazione legislativa lascerebbe aperta la
possibilità sia di un intervento addit ivo della Corte costituzionale, anche
solo di principio, sia di una compiuta riflessione sulla responsabilità
giuridica dello Stato per mancata attuazione dei diritti sociali.
Certo che la Corte costituzionale, già oltre dieci anni prima della l. cost.
3 del 2001, non aveva mancato di affermare che qualsiasi diritto della
persona fosse “stringente ed infrazionabile”, da garantire unifor memente
su tutto il territorio nazionale, con partecipazione collaborativa del le
Regioni e degli enti minori . In particolare, nella sentenza n. 406 del
1992 189 un modello di regionalismo (più che federalismo) cooperativo
veniva stimato utile e funzionale all a tutela degli interessi tutti sottesi alla
condizione giuridica dei portatori di handicap. Il che si traduceva, sul
piano giuridico, in un processo logico di determinazione della situazione
giuridica soggettiva garantita, d’individuazione dei più idonei s trumenti di
tutela e di concretamento di essa protezione.
Sia consentito un ulte r ior e r invio al nostro I diritti soc iali nel quadr o dei diritti fondamentali , in Giur.
c ost. , 2001, 873 ss. Ce r to, non si ignor a che alla tesi esposta nel testo sarebbe agevole obiettar e che
se il legislatore non d isc iplina la spe c ifica materia (ad es., le cure med iche o l’istruzione), non è
possibile co mpr e nd e r e quali siano le pr e stazioni essenziali per la tutela d ella salute psico -fisica d el
soggetto, sicchè l’ipote tic o r appor to giur id ico fra il cittad ino e lo Stato sarebbe incompleto, poiché
la postulata pre te sa c r e d itor ia, pur e sse nd one d eterminati i soggetti, avrebbe oggetto ind eterminato
e pertanto sare bbe inazionabile . Inve r o, una simile obiezione è però d estinata a cad ere sul più
c oncreto piano d e lla tute la giur isd izionale, lad d ove necessariamente la questione d eve trovare una
soluzione d i or d ine p r obator io: infatti, la d ed uzione d ella necessità (e magari d ell’urgenza, se
l’azione d ovesse ave r e natur a c aute lar e ) d i una d eterminata prestazione al fine d i preservare la
sud d etta integr ità fisic a d ovr à ac quisir e evid enza processuale attraverso un compiu to ad empimento
d ell’onere probator io, c on r iguar d o sia al tipo ed alla misura d ella invocata prestazione, sia al nesso
funzionale con la pr ospe ttata e sige nza d i tutela. Ed allora è proprio la sed e processuale che d a un
lato consente e d all’altr o pr e te nd e q ue lla specificazione d ell’oggetto d ell’obbligazione d i solid arietà
sociale che si è assunta ne c e ssar ia pe r la perfezione d ella situazione giurid ica soggettiva.
189 In Giur. c ost. , 1992, 3491.
188
69
Quando si introduce in questo schema l’infelice nozione di livelli
essenziali, alla qualificazione della situazione soggettiva si corre il rischio
che segua l’individuazione del suo nucleo di facolt à e poteri più rilevante,
con la conseguenza che la concreta tutela un tempo invocabile e
conseguibile per uno specifico diritto, protetto in tutte le sue più varie
articolazioni contenutistiche, venga ad essere limitata soltanto ad uno
specifico contenuto. Il che significa, senza troppi equivoci, postulare
come principio la necessità di provvedere ad una compressione o
riduzione delle situazioni giuridiche soggettive per come di contro oggi
esistenti.
In ogni caso, la Corte costituzionale ha mostrato di ad erire ad una lettura
precettiva dell’art. 117 comma 2 lett. m) Cost., attraendo nell’area della
competenza legislativa statale non solo la astratta determinazione
normativa delle prestazioni essenziali concernenti i diritti civili e sociali,
ma anche la loro concreta erogazione in favore dei cittadini.
Nella sentenza 15 gennaio 2010, n. 10 190 la Consulta – per quanto qui
interessa – ha rigettato la questione di legittimità costituzionale dell’art.
81 commi 29, 30, 32-38 d. l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. con modifiche
nella l. 6 agosto 2008, n. 133, sollevata con riferimento agli artt. 117
commi 4 e 6, 118 commi 1 e 2 e 119 Cost.
La legge istitutiva del servizio della c.d. social card, ossia di un fondo teso
a tutelare le esigenze alimentari, energetiche e sa nitarie dei cittadini meno
abbienti, viene assolta dal dubbio di legittimità costituzionale,
prospettato con riguardo alla violazione della competenza regionale in
tema di servizi sociali ed assistenza. La Corte costituzionale non nega che
la previsione normativa di un fondo teso a tutelare i cittadini in
condizioni di estremo bisogno sia rimessa alla competenza residuale
regionale, ma afferma altresì che le straordinarie condizioni economiche
sussistenti al tempo dell’approvazione della disciplina sottopos ta allo
scrutinio di costituzionalità legittimano l’attrazione alla competenza
statale non solo della determinazione dei livelli essenziali, ai sensi
dell’art. 117 comma 2 lett. m) Cost., ma anche della concreta erogazione
delle prestazioni in favore dei d estinatari. 191
Corte cost. 15 ge nnaio 2010, n. 10 in Giur. c ost. , 2010, 135 ss. con note d i A. Anzon Demmig ,
Potestà legislativ a residuale e liv elli essenz iali delle prestazioni , la quale ritiene che la formula d ei livelli
e ssenziali venga pie gata ad un uso pretestuoso sia d a parte d el legislatore che d ella Consulta, volto
e sclusivam ente a r e str inge r e gli ambiti d i competenza regionale; E. L ongo, I diritti soc iali al tempo
della c risi. La Consulta salv a la soc ial c ar d e ne ric av a un nuov o titolo di c ompetenza ; F. Saitto, Quando
l’esigenza di tutela della dignità fonda, nell’emergenza ec onomic a, la c ompetenza statale . Critica la d ecisione
C. Panzera, I liv elli essenz iali , op. c it., 3378 s., osservand o che le ind icazioni costituzionali sono nel
senso d i riconosc e r e titolato all’e r ogazione il livello d i governo più vicino ai cittad ini ex art. 118
Cost. e d i negar e la possibilità d i vinc oli d i d estinazione al finanziamento d ei livelli essenziali d elle
prestazioni ex ar t. 119 c omma 4 Cost.
191 Ciò, nonostante il te nor e le tte r ale d e lla d isposizione, nel riferimento all’attività d i determinazio ne,
lasciasse chiarame nte inte nd e r e c he un intervento statale sul piano d ella concreta erogazione d ei
servizi fosse possibile solo in c hiave sostitutiva ex art. 120 Cost. o, second o una autorevole
r icostruzione, attr ave r so l’istituto d e lla c hiamata in sus sid iarietà, second o la traccia d ella sentenza
n. 313 d el 2003 d e lla Cor te c ostituzionale (in questo senso, A. Anzon Demming, Potestà legislativ a ,
op. cit., 162 s., pur se pr oble matic ame nte ).
190
70
La Consulta tratteggia, dunque, un confine assai duttile sul piano delle
competenze, accordando primario rilievo al profilo della tutela concreta
dei diritti, rispetto a quello dei rapporti fra fondi del diritto.
V’è continuità rispetto all’or ientamento descritto in tema di garanzia
della salute, giacchè il concorrere di straordinarie circostanze, tali da
costituire potenziale pericolo di grave ed irreparabile danno per la
persona, reagisce sulla concreta costruzione della fattispecie normativa ,
sia essa attinente al sistema delle fonti od al catalogo dei diritti (non
solo) costituzionali.
L’esigenza cautelare legittima una visione dinamica e reattiva
dell’ordinamento, in cui il bene primario meritevole di tutela diviene la
garanzia dello stesso diritto alla vita dei consociati.
In questo approccio estremamente pragmatico la Corte costituzionale non
nasconde le problematiche implicazioni sul piano dei rapporti
istituzionali non solo normativi, bensì anche amministrativi: la
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni operata a livello
statuale, infatti, produce immediato effetto sul piano della finanza locale,
atteso che gli oneri relativi gravano sul bilancio regionale, in un momento
in cui l’attuazione del novellato art. 119 Cost. è ancora avvolta in una
nebbia di ambiguità.
La Consulta ha infatti riconosciuto che “la fissazione da parte dello Stato
dei livelli essenziali […] non è in ogni caso priva di conseguenze sulla
finanza regionale, giacchè l’obbligo di dare attuazione alle prescrizioni
normative statali sui livelli minimi implica la necessità che le singole
Regioni provvedano a stanziare le somme necessarie, traendo risorse dai
propri bilanci, subendo così le conseguenze di scelte unilaterali dello
Stato”. 192
In tal modo, il giudice delle leggi ha mostrato di risolvere l’annoso
conflitto fra “costituzione dei diritti” e “costituzione dei poteri” 193, senza
offrire una gerarchia predeterminata ed immodificabile dei beni
costituzionali versati in potenziale con trasto.
La decisione politica sulla determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni (il determinare normativo), l’esecuzione amministrativa di essa
decisione (il concreto erogare), nonchè l’individuazione delle risorse da
Corte cost. 26 mar zo 2010 n. 121 , in Giur. c ost. , 2010, 1358 ss ., nella quale – per quanto qui
interessa – viene r ige ttata la que stione d i legittimità costituzionale d i una norma statale istitutiva d i
un fond o d a d e stinar si all’e r ogazione d e l cred ito per l’acquisto d ella prima casa in favore d i coppie
giovani e famigl ie monoge nitor iali c on figli minori, sollevata con riferimento alla lesione d ella
c ompetenza legislativa r e gionale . L a Consulta si avved e d ella esigenza d i comporre in equilibrio la
tutela d ell’autonomia r e gionale d a un lato e la protezione d ei d iritti cos tituzionali d all’altro,
giungend o alla c onc lusione c he la le gislazione statale, pur se in materia d i competenza regionale,
non contrasta c on l’ar t. 117 Cost. poiché preved e “una proced ura d i cogestione d el Fond o e
salvaguard a le politic he abitative r e giona li”, anche se tale bilanciamento “è il portato temporaneo
d ella perd urante inattuazione d e ll’ar t. 119 Cost. e d i imperiose necessità sociali, ind otte anche d alla
attuale grave c r isi e c onomic a nazionale ed internazionale”, ossia d i circostanze che giustific ano hic
et nunc le leggi statali d i tute la d e i d ir itti limitative d ella competenza regionale.
193 Second o la for mula pr oposta d a M. L uciani, La “c ostituzione dei diritti” e “la c ostituzione dei poteri”.
Noterelle brev i su un metodo interpretativ o ric orre nte, in S c ritti in onore di V ezio Crisafulli , Ced am, Pad ova
1985, II, 497 ss. L o sc ontr o istituzionale fra Stato e Regioni, infatti, si pone sia sul piano
legislativo, in punto d i d e te r minazione d ei livelli essenziali d elle prestazioni, sia su quello
organizzativo d e ll’e r ogazione d e lla pr e stazione, lad d ove più ampia è la potestà d ell’ente locale.
192
71
destinare al perseguimento dei fini così stabili ti e perseguiti,
costituiscono i diversi livelli che occorre combinare in punto di
competenza e che comunque vengono a comporsi con la c.d. riserva del
ragionevole e del possibile, il cui pratico operare è reso ancor più
intricato dalla combinazione di str uttura economica e finanziaria statale e
regionale.
La garanzia dei livelli essenziali si valuta alla luce delle risorse
disponibili, allocate nel bilancio statale e regionale : l’evoluzione
giurisprudenziale ha complicato un sistema in apparenza binario,
consentendo allo Stato di intervenire in astratto (previsione normativa)
ed in concreto (erogazione) anche in materia di competenza regionale e,
dunque, con oneri a carico degli enti locali ma senza scienza alcuna
dell’effettiva loro consistenza finanziaria .
Il che rende ancor più imprescindibile una compiuta attuazione del
federalismo fiscale, secondo le linee già tracciate nella l. 5 maggio 2009,
n. 42.
11. Dal principio di legalità al principio di efficienza nell’intervento
pubblico nell’economia. L’ erompere delle Autorità amministrative
indipendenti.
Il rapporto fra Stato e mercato ha vissuto differenti stagioni, a far data
dall’unità d’Italia sino ai nostri giorni. E’ stato autorevolmente
sostenuto 194 che in tale complessa evoluzione dell’equilibrio fra d iritto ed
economia possa individuarsi una soluzione di continuità negli anni ‘80 del
ventesimo secolo, in coincidenza con l’affermazione della globalizzazione
dell’economia e della crisi finanziaria dello Stato.
Nel vigore di quella che è stata definita la “vecchia” Costituzione
economica, sarebbero altresì individuabili quattro differenti stagioni: a)
quella dello Stato liberista, dal 1861 sino alla fini del secolo; b) quella
della prima industrializzazione, sino agli ’20 del ventesimo secolo; c)
quella dello Stato imprenditore e pianificatore, sino alla metà del secolo
XX e d) quella dello Stato sociale, sino alla fine degli anni ’70.
Si sono già espresse notevoli riserve sull’effettiva rilevanza giuridica del
sintagma “Costituzione economica” ed, in effetti, la stessa distinzione fra
una vecchia ed una nuova Costituzione economica, vieppiù a
Costituzione invariata, assume piuttosto un rilievo descrittivo di un
processo che, nella sostanza, ha tradotto in formule assai variegate la
relazione fra Stato ed impresa o, più genericamente, fra Stato ed
economia.
Il periodo liberista, successivo alla creazione dello Stato unitario, è stato
caratterizzato dalla formazione di un mercato unico, realizzata attraverso
le grandi opere di codificazione del 1865 anche se a discapito delle
profonde differenze sin da allora esistenti fra l’Italia dei Savoia, lo Stato
pontificio ed il Regno delle due Sicilie.
Il mercato nazionale, protetto verso l’esterno attraverso la previsione di
dazi doganali, viene sviluppato attraverso l e privatizzazioni, ossia
l’alienazione di beni demaniali e del c.d. Asse ecclesiastico; l’assenza di
194
S. Cassese, La nuov a Costituz ione ec onomic a , L aterza, Bari 2011, 7 ss.
72
un compiuto governo dell’economia e, soprattutto, l’idea della piena
autonomia dell’attività economica rispetto allo Stato , coerente con i
principi del liberismo.
L’inizio del ventesimo secolo è segnato da un progressivo sfaldamento
della originaria rigidità liberale, nonché dell’impostazione unitaria sul
piano delle legislazione, che traeva origine dalla strumentalità del
principio di eguaglianza formale ri spetto alla costruzione sistematica del
pensiero politico postrivoluzionario.
Insieme ai primi interventi normativi, dettati dall’esigenza di fronteggiare
situazioni di peculiare gravità (è il caso della legge speciale per il
risanamento della città di Nap oli), si ha la creazione delle Ferrovie dello
Stato, azienda pubblica per la gestione del servizio di trasporto
ferroviario, nonché i connessi ed ingenti investimenti pubblici tesi alla
realizzazione della relativa rete infrastrutturale.
Del resto, nella realtà italiana a cavaliere fra il diciannovesimo ed il
ventesimo secolo, la stessa realizzazione dello Stato unitario non poteva
prescindere da ingenti investimenti pubblici miranti a consentire
l’evoluzione dell’economia essenzialmente agricola in senso c oerente con
la rivoluzione industriale in atto.
L’istituzione, sempre in epoca giolittiana, dell’Istituto Nazionale delle
Assicurazioni e della Banca Nazionale del lavoro, è esemplificativa di un
sempre crescente interventismo statale nell’economia: prende ad
affermarsi un’idea di Stato imprenditore, nella convenzione che la
sostituzione del soggetto pubblico alla pluralità dei soggetti privati sino
ad allora esercenti l’attività d’impresa, potesse garantire da un lato
maggiore efficienza e, dall’altro, una migliore cura dell’interesse pubblico
sotteso ai relativi settori dell’economia.
Del resto, come si è avuto modo di evidenziare, è proprio agli inizi del
secolo scorso che prende avvio la realizzazione di un sistema di sicurezza
sociale, nel passaggio dal principio della mutualità a quello solidaristico,
passando attraverso l’esperienza delle assicurazioni obbligatorie.
La logica evoluzione di tale processo è caratterizzata dallo sviluppo
dell’istituto della riserva originaria di cui all’art. 43 Cost.: il trasporto
marittimo, quello aereo ed il servizio di telefonia vengono acquisiti alla
mano pubblica ed, al contempo, si sviluppa l’utilizzo dell’autorizzazione
per l’esercizio di attività in settori particolarmente sensibili (assicurativo,
creditizio), al fine di consentire un più penetrante controllo pubblico
sull’attività privata.
Soprattutto, si afferma un’impronta dirigistica dello Stato nella
legislazione vincolistica: la legge urbanistica del 17 agosto 1942, n. 1150
così come l’ordinamento sezionale de l credito del 1936.
Lo Stato non assume, per altro, solo la veste di regolatore bensì anche
quella di esercente l’attività economica anche attraverso la costituzione di
numerosi enti pubblici – in capo ai quali spesso si sommavano i poteri di
regolazione in uno a quelli di esercizio diretto dell’attività – e di società
per azioni a partecipazione pubblica, che hanno una larga diffusione a
seguito della costituzione dell’Istituto per la Ricostruzione industriale
(IRI). Esso viene istituito per prestare solu zione alle imprese in crisi ma,
avendo rilevato dalle principale banche italiane (Banca commerciale
73
italiana, Credito italiano e Banca di Roma) i pacchetti di controllo di
alcune fra le maggiori industrie del Paese (si pensi all’industria
siderurgica od al trasporto marittimo), l’IRI diviene in concreto lo
strumento attraverso il quale lo Stato partecipa le strutture societarie
delle imprese nazionali, al contempo sostenendole finanziariamente e
condizionandone a vario titolo l’operato economico.
Anche nel periodo dello Stato sociale la pubblicizzazione dell’attività
economica ha ulteriore e significativo impulso: viene costituito l’Ente
Nazionale Idrocarburi (ENI) e si prende progressivamente coscienza che
la massiccia presenza pubblica nell’attività econom ica implica al
creazione di strutture gestorie e direzionali che assicurino efficienza e
garantiscano il rispetto del principio di responsabilità. Con la l. 22
dicembre 1956 n. 1589 viene dunque istituito il Ministero delle
partecipazioni pubbliche e, conseguentemente, il sistema viene costruito
attribuendo allo Stato (per il tramite del Ministero) il controllo sugli enti
di gestione (IRI, ENI ed altri) ed a questi ultimi la titolarità delle
partecipazioni nelle società esercenti l’attività imprenditoriale.
Ulteriori settori economici, inoltre, ve ngono acquisiti alla mano pubblica
siccome ritenuti strategici: è il caso dell’industria elettrica, che div iene
oggetto di proprietà e gestione pubblica attraverso l’espropriazione delle
imprese elettriche private – eseguita dietro corresponsione di indennizzo
– e la costituzione di un apposito Ente pubblico economico, l’ENEL, cui
viene riservato ex art. 43 Cost. l’esercizio della relativa attività
economica.
L’intervento pubblico nell’economia viene altresì realizz ato sotto due
differenti profili: da un alto attraverso il finanziamento dell’attività
privata, operato con interventi a fondo perduto, con agevolazioni nella
determinazione di tassi di interesse di vantaggio o attraverso la
prestazione di garanzie per l’o ttenimento di finanziamenti; dall’altro si
accentua l’attività di pianificazione economica, ai sensi dell’art. 41
comma 3 Cost., anche attraverso l’istituzione del Comitato
interministeriale per la programmazione economica (CIPE) e
l’attribuzione delle competenze di indirizzo e coordinamento al Ministero
del bilancio e della programmazione economica.
Da ultimo, si assiste all’attuazione del principio di eguaglianza sostanziale
ex art. 3 comma 2 Cost., attraverso lo sviluppo delle istituzioni c.d. del
welfare: l’istruzione obbligatoria, il sistema sanitario nazionale, la
previdenza sociale (non più connessa alla contribuzione ed a sostegno
anche dei cittadini non lavoratori e privi di reddito) sono le strutture
portanti dello Stato sociale di diritto che, com e si è avuto modo di
vedere, si afferma a partire dall’entrata in vigore della Costituzione
repubblicana.
In conclusione, l’intervento dello Stato nell’economia può realizzarsi
attraverso l’esercizio dell’attività d’impresa, operato direttamente da un
organo dello Stato, ovvero da un ente pubblico che può esercitare
direttamente l’attività (ente pubblico economico) ovvero detenere
partecipazioni in soggetti privati di esercizio (ente pubblico di gestione);
ancora da società a partecipazione pubblica, necess aria (le partecipazioni
74
non possono essere liberamente cedute sul mercato) o facoltativa,
totalitaria o mista (in uno al capitale privato).
L’intervento può altresì esplicitarsi in atti di regolazione dei settori
economici, che si sostanziano in norme vinc olanti (autorizzazioni, divieti,
atti di indirizzo) oppure meramente incentivanti o disincentivanti (si
pensi alla normativa fiscale).
11.1 La crisi dello Stato-imprenditore e l’erompere delle Autorità
amministrative indipendenti.
L’interventismo statale nell’economia, sotto forma sia di esercizio diretto
o mediato di attività d’impresa che di programmazione politica del
mercato, ha sortito risultati deludenti.
Le aziende esercitate dalla mano pubblica non hanno conseguito, infatti,
gli auspicati risultati di efficienza. La stessa idea di ricondurre nell’alveo
dell’indirizzo politico anche le decisioni fondamentali in materia
economica si è scontrata con una realtà, quella del mercato, governata da
regole aliene rispetto a quelle sottese alla determinazione normativa della
pacifica convivenza sociale.
Si è progressivamente radicata la convinzione che nel mercato non vi
fosse spazio per una composizione fra l’interesse pubblico e gli interessi
dei privati (imprese, consumatori, collettività), con la conseguen za che
non potesse aver luogo l’esercizio dell’attività discrezionale caratteristica
dell’agire della Pubblica Amministrazione.
Ve di più.
Lo Stato pluriclasse vive la crisi della frammentazione ideologica e
sostanziale del demos e dell’idea di nazione. La destrutturazione della
rappresentanza politica è cartina al tornasole di tale situazione, proprio
perché in essa interagiscono gli attori principali della crisi stessa: gli
elettori, gli eletti ed i partiti.
La “crisi del rappresentato” è data da “la perd ita delle identità collettive
e (addirittura) individuali; lo smarrimento del senso del legame sociale; la
volatilità dei ruoli sociali” 195. La “società liquida” 196 è indeterminabile nei
bisogni essenziali e nei valori fondanti, tanto da rendere incerto il nuc leo
essenziale delle regole della convivenza, che costituisce il cuore fondante
del consorzio sociale.
Tale relativismo si riversa nella struttura e nel ruolo dei partiti politici
“sempre meno portatori di identità collettive e sempre più ‘pragmatici’
disposti a rendere relativi i propri valori costitutivi, negoziando ogni cosa,
M L uciani, Il paradigma della rappresentanza di fronte alla c risi del rappresentato , in Perc orsi e v ic ende
attuali della rappresentanz a e della responsabilità politic a, Atti d el Convegno Milano, 16 -17 marzo 2000, a
c ura d i N. Zanon e F. Biond i, Milano, Giuffrè, 2001, 117.
196 Z. Bauman, Modernità liquida , Roma – Bari, L aterza, 2003, il quale ind ivid ua proprio nel concetto
d i liquidità l’inaffe r r abile inc onsiste nza d ei nostri tempi, che costituisce la logica evoluzione d el
passaggio d all’assolute zza d e l r omantic ismo al relativismo d ecad entista d el secolo ventesimo. L a
stessa evoluzione d e lle sc ie nze te stimonia tale passaggio d alla geometria euclid ea al principio d i
ind eterminazione d i He ise nbe r g, e spr imend o l’incapacità gnoseologica che sostituisce al sistema
sillogistico -d ed uttivo ar istote lic o, la logica d el ragionevole e d el possibile.
195
75
ma rendendo in tal modo indeterminato il legame di rappresentanza che
ne legittima l’azione politica e parlamentare in particolare”. 197
Da ultimo, esso è proprio del rappresentante, q uasi sempre privo di
autonoma autorevolezza e referenzialità proprio per effetto del passaggio
attraverso l’epoca dello Stato dei partiti, siccome da questi fagocitato.
Sia il premio di maggioranza che le liste bloccate, ovviamente, hanno
reagito negativamente sugli eletti, assimilandoli sempre più e
kelsenianamente a meri funzionari di partito, “non più ‘eletti’ bensì solo
‘nominati’ dalle rispettive segreterie dei partiti di appartenenza”, ed
imponendo di individuare nuovi “luoghi di composizione” per una
“rappresentanza dispersa”. 198
La crisi della rappresentanza si traduce, intuitivamente, nella crisi delle
istituzioni rappresentative: il Parlamento è divenuto un organo
meramente consultivo, nella esaltazione della normazione primaria del
governo ed anche delle istituzioni sovranazionali, in particolare
comunitarie. I luoghi del compromesso politico, della decisione politica
stessa, sono ormai altri dalla sede della rappresentanza.
Il precipitato della crisi della rappresentanza si coglie sia sul piano dell e
fonti del diritto che su quello istituzionale.
La legge generale ed astratta, strumento liberale di attuazione del
principio di eguaglianza formale, diviene atto normativo obsoleto e
ridondante, incapace di dare corpo e struttura ad una società
contraddistinta da una profonda disarticolazione sociale e normativa. La
delegificazione si afferma, come prassi normativa, proprio per sostituire
alla legge il regolamento, sul presupposto che esso rechi una disciplina
più snella e duttile, idonea ad adeguarsi all e rapide dinamiche sociali.
L’asse dell’indirizzo politico si sposta, sotto il profilo decisionale, verso
il Governo, fortemente rafforzato nella determinazione delle scelte di
fondo.
G. Azzariti, Cittadini, partiti e gruppi parlamentari: esiste anc ora il div ieto di mandato imperativ o? , in
Costituzionalistmo.it , 18.
198 Op. ult. cit.
Del resto, la cr isi d e lla r appr e se ntanza si è accompagnata alla crisi d elle categorie d el politico, sui si
è cercato ripar o ne lla ne utr alizzazione o tecnicizzazione d elle scelte. E’ il caso d elle autorità
amministrative ind ipe nd e nti, spe sso le gittimate (anche) in consid erazione d ella incapacità d ella
politica d i ind ivid uar e str ume nti e me tod i d i tutela d elle es igenze d ei cittad ini. In tema, nel quad ro
d i una letteratur a ste r minata, A. Pr e d ie r i, L’erompere delle autorità amministrativ e indipendenti , Firenze Antella, 1997; AA.VV., I garanti delle regole , a cura d i S. Cassese e C. Franchini, Il Mulino, Bologna,
1996;AA. VV., Merc ati e amministraz ioni indipendenti , a cura d i F. Bassi e F. Merusi, Giuffrè, Milano
1993; P. L azzar a, Aurtorità indipendenti e disc rezionalità , Ced am, Pad ova 2001; M. Manetti, Poteri
neutrali e Costituz ione , Giuffr è , Milano 1994 e Id ., voce Autorità indipendenti ( dir. c ost.) , in Enc .
Giur .,IV, Roma 1997 ; S. Nic c olai, I poteri garanti nella c ostituzione e le autorità indipendenti , Ed izioni
ETS1996; AA.VV. Le autorità amministrativ e indipendenti , a cura d i G. P. Cirillo e R. Chieppa, in
Trattat o di diritto amministrativ o , d ir e tto d a G. Santaniello, Ced am, Pad ova 2010 e, se si vuole, L .
Principato, La responsabilità politic a per fatto delle autorità amministrativ e indipendenti , in Giur. c ost. ,
2004, 1393 ss.
197
76
La crisi della legge è crisi de l principio stesso di legalità, che si tr aduce in
deleghe legislative spesso prive di determinazione di principi e criteri
direttivi o comunque rilasciate in bianco in favore dell’esecutivo;
nell’esercizio di potere regolamentare anche in difetto di autorizzazione
legislativa o, comunque, di disc iplina legale della materia.
Ancora, se ne ricava il convincimento che non sia la politica la sede delle
scelte fondamentali, in specie in materia economica: in un sistema
fondato sulla economia di mercato, lo Stato produttore di beni e servizi
cede il passo allo Stato regolatore, garante, controllore del rispetto delle
regole del gioco ed, attraverso esse, del principio della parità delle
armi. 199
Pur nella crisi della rappresentanza e del principio dell’interventismo
statale, resta ferma l’esigenza di prote ggere gli interessi generali coinvolti
nell’esercizio dell’attività economica dalle degenerazioni che possono
derivare da un mercato privo di un governo che, però, si avverte che non
possa più essere politico, alla luce del fallimento della categoria stess a
della politica.
“Nel mercato inteso come sineddoche di sistema economico nel suo
complesso, l’eterocorrezione agisce quando il mercato non è in grado di
correggersi per mantenere la sua funzione essenziale. Non sempre
possiamo dire che, nella mescolanz a di eterocorrezione ed
eterocompensazione, la correzione migliore è opera del mercato, che è
sempre più preparato di qualsiasi giudice, come qualcuno asserisce. Anzi,
lo dobbiamo negare, ad esempio, se ci poniamo del punto di vista della
protezione del consumatore, che è fondamento della tutela del mercato.
Se l’eterocorrezione non lo protegge, il mercato non lo salverà dal cibo
avariato, dal metanolo nel vino, dalla vendita di azioni di società decotte,
dal sottoscrivere contratti capestro per l’acquisto di improbabili libri.” 200
Lo Stato diviene, dunque, il garante delle regole, sospese fra il principio
cardine della concorrenza e l’esigenza di tutela dei soggetti deboli nei
confronti dei c.d. poteri privati.
La tutela dell’eguaglianza sostanziale impone al pubblico potere di
intervenire sul c.d. “antisovrano” 201, per evitare che alcuni soggetti
abbiano ad abusare della dipendenza economica o di fatto che ad essi
leghi altri soggetti, in considerazione delle dimensioni e della qualità
dell’attività imprenditor iale esercitata.
Superflua, per esemplificare, l’immagine del consumatore dinanzi alla
società multinazionale produttrice di beni o servizi.
La parità delle armi, intesa come “p ari possibilità di contendere, data a soggetti
economici in uno spazio operativo chiamato mercato”, è divenuta l’immagine prima del
principio di eguaglianza. V. F. Merusi, Democrazia e autorità indipendenti. Un romanzo “quasi”
giallo, Il Mulino, Bologna 20 00, 11.
200 A. Predieri, L’erompere delle autorità amministrative indipendenti , Passigli, Firenze -Antella
1997, 17 s.
201 L’immagine, lucida ed efficace, del mercato quale “antisovrano”, in opposizione allo
Stato, è di M. Luciani, L’antisovrano e la crisi dell e Costituzioni , in Riv. dir. cost. , 1996, 124 ss.
199
77
Ma se “negli ordinamenti sezionali l’organo preposto al settore era un
organo governativo idoneo a trasmettere al s ettore l’indirizzo politico, o
politico-economico, governativo, nel caso dei mercati concorrenziali
l’organo statale deve essere autoreferenziale, cioè vincolato soltanto alla
logica delle cose della concorrenzialità in quel determinato mercato. Se
così non fosse, si altererebbe la ‘costituzionalizzazione’ del modello
introducendovi
fattori
di
commistione
fra
concorrenza
ed
eterodirezione” 202.
Nell’ordinamento italiano, improntato ad una formale tripartizione dei
poteri ed al rapporto fiduciario fra camere e governo, non è affatto
agevole rinvenire un soggetto pubblico “autoreferenziale” che, estraneo
al potere di indirizzo politico, possa svolgere la suddetta funzione di
controllo in una chiave meramente “tecnica”.
Gli interpreti si sono, allora, affannati a dissociare l’attività di direzione
della politica generale del governo e la connessa responsabilità per l’unità
dell’indirizzo politico, di cui all’art. 95 Cost., dall’amministrazione
imparziale di cui la Costituzione garantirebbe il buon andamento, ai sensi
dell’art. 97 Cost., al fine di individuare un fondamento costituzionale ad
un’amministrazione pubblica sottratta al potere di indirizzo dei vertici
dell’esecutivo. 203
F. Merusi, Democrazia, cit., 23, il quale non manca di rilevare ( op. cit., 21 e s.) che il
radicarsi del modello europeo di mercato nell’ordinamento italiano si pone in contrasto con
l’art. 41 comma 3 Cos t. e con il diverso modello di “costituzione federata dirigista” di cui
tale disposizione era espressione. Invero, la diversità strutturale fra programmazione e
pianificazione, nonché la sorte, in assemblea costituente, dell’emendamento Montagnana –
finalizzato a radicare nell’ordinamento italiano il principio dell’economia pianificata –
inducono a diverse e contrarie conclusioni sul punto. V. A. Pace, Problematica delle libertà
costituzionali. Parte speciale , II ed., Cedam, Padova 1992, 457 ss.; M. Luciani , La produzione
economica priva nel sistema costituzionale , Cedam, Padova 1983; G. Morbidelli, voce Iniziativa
economica privata , in Enc. Giur., vol. XVII, Istituto Enciclopedico Italiano, Roma 1988.
203 Già M. Nigro, La pubblica amministrazione fra Costituz ione formale e costituzione materiale , in
Studi in memoria di V. Bachelet , II, Milano 1987, 385 ss. aveva chiarito che il principio di
imparzialità dell’azione amministrativa è idoneo a fondare casi di scissione tra
amministrazione e potere politico, a con dizione che detta separazione sia funzionale ad una
più puntuale attuazione del principio medesimo. In senso analogo appare orientata la teoria
dei poteri neutrali, già formulata da A.M. Sandulli, Funzioni pubbliche neutrali , in Studi in onore
di A. Segni, IV, Milano 1966, 241 ss., al fine di evidenziare che la miglior cura di determinati
interessi pubblici, talvolta, può conseguirsi solo attraverso l’attività di organi amministrativi
in posizione di relativa indipendenza (autonomia?) rispetto all’indirizzo politico. Con ogni
probabilità, però, il concetto di neutralità non esprime compiutamente il senso logico e
giuridico di tale separazione fra politica ed amministrazione, giacchè quest’ultima, ben lungi
dall’astenersi dall’intervento nei settori di propri a competenza (ossia dall’essere
propriamente neutrale), pone piuttosto in essere un comportamento attivo ma
autoreferenziale rispetto alle direttive dei vertici dell’esecutivo. Sulla inesattezza della
formula, v. G. Morbidelli, Sul regime amministrativo de lle autorità indipendenti , in Le autorità
indipendenti nei sistemi istituzionali ed economici , a cura di A. Predieri, Passigli, Firenze -Antella
1997, 166.
Comunque, appare opportuna una precisazione. All’indomani dell’entrata in vigore della
Costituzione i taliana, la memoria dell’esperienza fascista indusse a contenere notevolmente i
poteri dell’esecutivo, attraverso una serrata critica al principio di maggioranza, finalizzata a
comprimerne il potere dispositivo in ordine a quanto costituisca oggetto di dis posizioni
costituzionali o sia comunque fonte della posizione giuridica della maggioranza, da questa
per definizione indisponibile (G. Guarino, Il Presidente della Repubblica italiana , in Riv. trim.
202
78
Alla ricerca del fondamento costituzionale di questo elevato grado di
autonomia dal Governo, delle authorities ha acquisito rilievo la natura
giurisdizionale o quasi, connessa all’attività di imparziale applicazione
delle regole 204; l’elevato tecnicismo e la complessità delle materie di
dir. pubbl., 1951, 934 ss.). Ancora, P. Barile, La Corte costituzionale organo sovrano: implicazioni
pratiche, in Giur. cost., 1957, 911 ss. ha chiarito che lo stesso indirizzo politico non è attività
libera nel fine, non potendosi porre in contrasto con i fini già determinati in Costituzione
ed oggetto di obbli gatoria attuazione, così elaborando la teoria dell’indirizzo politico
costituzionale. Per ulteriori riferimenti si rinvia a P. Ciarlo, Art. 95, in Commentario della
Costituzione , fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, Zanichelli – Il foro
Italiano, Bologna – Roma 1994, 363 ss. nonché, per la concezione del Governo nell’epoca
fascista, nel (formale) vigore dello Statuto Albertino, a C. Mortati, L’ordinamento del Governo
nel nuovo diritto pubblico italiano , Giuffrè, Milano 2000.
Preme, qui, evide nziare che altro è individuare centri d’imputazione dell’indirizzo politico –
specie nel sistema maggioritario – diversi dal Governo, altro è scindere l’attività
amministrativa da quella governativa, al fine di assimilare la pubblica amministrazione ad
essi centri d’imputazione. Infatti, se è vero (v. A.M. Sandulli, L’attività normativa della
pubblica amministrazione , Jovene, Napoli 1970) che l’idea ottocentesca di accentramento
burocratico del potere esecutivo, che vedeva nei ministeri gli esclusivi moment i di
determinazione e sintesi del potere d’indirizzo politico, ha lasciato il posto ad una forma di
esercizio delle funzioni esecutive improntata al pluralismo organizzativo e strutturale ed al
decentramento (cfr. E. Cheli, La sovranità, la funzione di gov erno, l’indirizzo politico , in Manuale
di diritto pubblico , a cura di G. Amato e A. Barbera, Il Mulino, Bologna1984, 305 ss.) – anche
in attuazione dell’art. 5 Cost.: si pensi alla recente riforma del titolo V della Costituzione –
non è men vero che ciò nu lla svela intorno al rapporto fra esecutivo e pubblica
amministrazione, ancora tutto da comprende. In particolare, la caratterizzazione pluralistica
del nostro ordinamento può semmai indurre a riflettere su come l’indirizzo politico si
formi, in concreto, nel rapporto fra Parlamento e Governo, nonché fra centro e periferia
(per intendersi, fra Consiglio dei Ministri ed organi esecutivi regionali), ma non
(automaticamente) a concludere nel senso che esistono materie o funzioni riservate
all’amministrazione p ubblica, in posizione di indipendenza dal potere politico.
In merito, l’art. 2 l. 23 agosto 1988, n. 400 ha ribadito la responsabilità del Governo per
l’unità e la coerenza dell’azione amministrativa, nonché la relativa competenza a
determinarne “l’indiri zzo generale”; parallelamente, non si può ignorare che la stessa Carta
fondamentale offre una tutela espressa alla imparzialità della Pubblica Amministrazione,
rendendo evidente “una certa duplicità di posizioni […] espressione di una tensione che,
nelle s ocietà moderne, si manifesta nell’organizzazione dei pubblici poteri, fra due spinte
antagoniste le quali sono entrambe, paradossalmente, correlative ai bisogni di esse società:
i) la spinta verso la semplificazione e l’accentramento delle strutture e la l oro rispondenza a
ragioni di efficienza; ii) la spinta verso una sempre più complessa e autosufficiente
articolazione organizzativa e la soddisfazione dell’esigenza di garantire, attraverso tale
articolazione, la libertà e la personalità dei cittadini.” (M . Nigro, con aggiornamento di E.
Cardi, Lineamenti generali , in Manuale di diritto pubblico , cit., 704).
Forse, il segno di questa duplicità è dato proprio dalla discrezionalità amministrativa, ossia
dalla particolare posizione di libertà e di vincolo che caratterizza l’attività amministrativa
proprio nella composizione degli interessi nel caso concreto, necessariamente improntata
alla tutela dell’interesse pubblico.
204 S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo , Garzanti, Torino 1995, 191, ove si chiari sce
che esse autorità “svolgono funzioni quasi contenziose e debbono applicare procedure quasi
giudiziali”. Ancora, per un riferimento alla nozione di procedimento “quasi giurisdizionale”
v. Id., Le autorità indipendenti: origini storiche e problemi odiern i, in I garanti delle regole , a cura di
S. Cassese e C. Franchini, Bologna 1996, 222. La funzione arbitrale, latamente
giurisdizionale, della autorità indipendenti è altresì sostenuta da M. Clarich, Per uno studio sui
poteri dell’autorità garante della con correnza e del mercato , in Mercati e amministrazioni indipendenti , a
cura di F. Bassi e F. Merusi, Giuffrè, Milano 1993, 120 ss. V. anche G. Amato, Le Autorità
79
rispettiva competenza, tali da rendere tecnica la naturale discrezionalità,
conseguentemente sottratta al sindacato giurisdizionale 205; il potere del
legislatore, in difetto di fondamento costituzionale espresso ed in regime
di costituzione rigida, di modificarne i poteri o di eliminarle in toto 206; la
mera funzione di esecuzione della legge, la quale non implicherebbe la
responsabilità politica 207; il rapporto diretto con l’Unione Europea, della
quale le autorità amministrative indipendenti sarebbero enti autarchici
che spezzano “l’organizzazione dello Stato federato , sia sul versante del
potere esecutivo, sia sul versante del potere legislativo”. 208
In ogni caso, l’esigenza resta sempre quella di sottrarre il mercato al
potere pubblico d’indirizzo politico, nel tentativo di proteggere le
indipendenti nella costituzione economica , in Regolazione e garanzia del pluralismo , Giuffrè, Milano
1997, 378.
205 Per una puntuale e lucida ricostruzione di questa tesi, nella diverse articolazioni, nonché
per una serrata critica si rinvia a P. Lazzara, Autorità indipendenti e discrezionalità , Cedam,
Padova 2001, 107 ss., il quale osserva che “la com plessità della valutazione amministrativa
non implica, di per sé, l’attribuzione di un potere riservato alla pubblica amministrazione,
né in tal senso possono spingere le particolari prerogative della p.a.” ( op. cit., 243). Infatti,
“l’intensità del sindac ato giurisdizionale non può dipendere dalla complessità della
valutazione amministrativa o dalla particolare preparazione specialistica degli organi
amministrativi. Al contrario, il riconoscimento costituzionale immediato e diretto di un
diritto fondamenta le impone un sindacato giurisdizionale pieno sulle valutazioni della
pubblica amministrazione”.
206 Per una critica a questa visione eccessivamente dinamica, v. M. Manetti, voce Autorità
indipendenti (dir. cost.) , in Enc. Giur., vol. IV, Istituto Enciclopedi co Italiano, Roma 1997, 9,
la quale – anche con riferimento all’esperienza francese ed all’analoga posizione assunta dal
Conseil costitutionnel – osserva che tale presunto potere del legislatore sarebbe comunque
soggetto a controllo di ragionevolezza, non potendosi accettare che la nascita e la morte
delle autorità indipendenti siano legate ad un mero capriccio delle Camere. In tema di
autovincoli legislativi, v. A. Pace, Leggi di incentivazione e vincoli sul futuro legislatore , in Potere
costituente, rigid ità costituzionale ed autovincoli legislativi , Cedam, Padova 2002, 165 ss., il quale
ritiene che, ai fini del sindacato di costituzionalità sulla legge posteriore, l’analisi del
contenuto delle norme che si assumono in contrasto deve essere preminente risp etto a
quella della loro forma ( op. cit., 176 s.). Certo è che se le autorità amministrative
indipendenti, in considerazione delle funzioni che hanno ad esercitare, integrano una
violazione della riserva di legge, non è certo la possibilità dell’innovazion e legislativa ad
escludere tale illegittimità od a renderla non sanzionabile.
207 V. le suggestive notazioni di G. Amato, Intervento al Convegno promosso dalla
Fondazione Cesifin e dalla Cassa di Risparmio di Firenze s.p.a., svoltosi a Firenze il 16
febbraio 1996, in Le autorità indipendenti nei sistemi istitutzionali ed economici , a cura di A.
Predieri, Passigli, Firenze -Antella 1997, 303 ss. ed in particolare 309, ove si legge: “Forse
noi stiamo arrivando ad attuare questa concezione della democrazia plural ista hamiltoniana,
che ha fondamento nel fatto che le regole le stabilisce il legislatore democraticamente
eletto, poi ne affida l’attuazione a soggetti diversi, ai quali non chiede di essere tutti
responsabili politicamente, poiché ciò sarebbe maledettame nte giacobino. Perché si può non
essere politicamente responsabili, ma essere invece trasparenti, ottemperare al principio del
contraddittorio, essere sottoposti a revisione giudiziale.” L’Autore, comunque, muove dalla
premessa che le autorità indipendenti , pur appartenendo al diritto pubblico, non sarebbero
riconducibili al diritto amministrativo, sicchè sarebbero sottratte al relativo regime giuridico
generale. In senso contrario, v. M. D’Alberti, voce Autorità indipendenti (dir. amm.) , in Eng.
Giur. vol. IV, Istituto Enciclopedico Italiano, Roma 1995, 7, nonché la puntuale analisi di
G. Morbidelli, Procedimenti amministrativi , op. cit., 168 ss., cui aderisce anche P. Lazzara, op.
cit., 99 ss.
208 F. Merusi, Democrazia, op. cit., 75 s.
80
dinamiche economiche dalla corr uzione e dalla degenerazione della
politica.
Ciò, però, avviene in un sistema in cui il principio di legalità lascia il
posto ad un diverso principio di efficienza: “la correttezza di un’azione di
tipo tecnico si misura sul raggiungimento del risultato, e non sulla
conformità alla norma” 209. In sostanza, “il perno della spiegazione della
funzione delle autorità indipendenti è che esse anzicchè dirigerli
(politicamente) promuovono nel loro svolgersi regolato gli interessi
economici cui sono preposte”. 210
Tale attività di promozione avverrebbe, inoltre, attraverso norme non
finalistiche, bensì condizionali: norme concordate direttamente con gli
operatori del mercato e strutturare in funzione delle esigenze, del tutto
particolari, che il mercato pone quali strument ali al perseguimento degli
interessi degli stessi soggetti in esso impegnati.
La natura tecnica o giurisdizionale delle pubbliche istituzioni è, dunque,
lo strumento di neutralizzazione della funzione esercitata, che cessa di
essere connotata da un retrost ante indirizzo politico è viene improntata
esclusivamente a criteri oggettivi.
Come già autorevolmente evidenziato 211, però, questo schema logico trova
scarso riscontro nella realtà: l’impossibilità di neutralizzare i conflitti
politici implica la natura pol itica degli organi appartenenti ai presunti
poteri neutrali. 212 Infatti, “quando si prende una decisione di tipo tecnico,
ci si basa su regole che non sono poste dall’ordinamento giuridico, ma, se
la norma che attribuisce il potere di compiere la valutazione tecnica è
giuridica, ecco che il fondamento del potere non è autonomo rispetto
all’ordinamento.” 213
Vicende analoghe si sono avute nel contesto culturale statunitense, che
ha fornito il modello (rectius, uno dei modelli, insieme a quello francese
dell’intervento nei settori c.d. sensibili, finalizzato all’imparziale
applicazione della legge, anzicchè all’attuazione dell’indirizzo politico) di
riferimento per l’ordinamento giuridico italiano. 214
11.2. L’esperienza statunitense e quella italiana: la genesi dell e
autorità indipendenti.
All’inizio del secolo, i miti della libertà d’iniziativa economica e della
concorrenza perfetta anche nel sistema liberale statunitense devono fare i
conti con l’esigenza pressante di un controllo pubblico sull’effettività del
principio della parità delle armi, funzionale alla rimozione degli ostacoli e
209
S. Niccolai, I poter i garanti , op. c it., 140.
Op. ult. cit., 139.
210210
C. Schmitt, Il custode della Costituzione , trad. it., Milano, 1980, 149 ss.
Nel medesimo senso, con riferimento all’attuale situazione italiana, v. M. Manetti, Poteri
neutrali e Costituzione , Giuffrè, Mi lano 1994, in specie 30 ss., ove viene mossa una stretta
critica alla rinuncia alla sovranità in materia economica, operata in Italia attraverso la
sostituzione delle regole tecniche alle scelte politiche.
211
212
213
S. Niccolai, I poteri garanti , op. c it., 141.
Devono, però, condividersi le giuste perplessità manifestate da M. Manetti, Poteri neutrali ,
cit., 54 ss., in ordine alla perfetta sovrapponibilità dei due sistemi giuridici, europeo e
statunitense, in ragione delle caratteristiche istituzionali di quest’u ltimo, nel quale le
autorità indipendenti sono sospese e contese fra Congresso e Presidente.
214
81
delle distorsioni del sistema, che si oppongono al libero dispiegarsi
dell’autonomia privata.
Per altro, esisteva allora già la consolidata tradizione delle corporations,
ossia soggetti privati di organizzazione economica cui la migliore dottrina
statunitense non ha mancato di collegare l’esercizio diretto di autorità
pubblica, legittimandolo sulla base non già del principio di
rappresentatività, bensì di quello di utilità, ossia per il rilevante
contributo dato al mondo socio -economico. 215
Tale momento funzionale aveva una diretta corrispondenza nel
procedimento di approvazione dei relativi statuti, caratterizzato da
un’analisi dei vantaggi che la corporation si proponeva di recare al la
collettività e che ne costituivano “criterio guida per la legittimità
costituzionale”. 216
Una linea di evidente continuità, rispetto al fenomeno delle corporations,
può cogliersi nella istituzione della Interstate Commerce Commission ,
dapprima alle dipendenze del Dipartimento dell’Interno ed, a far data dal
1889, dotata di effettiva indipendenza.
La I.C.C., infatti, venne istituita 217 sotto le pressanti richieste di
protezione da pratiche monopolistiche nel trasporto ferroviario, avanzate
da agricoltori e piccoli commercianti.
La tutela, dunque, si appuntava su un interesse collettivo o corporativo,
ciò che ebbe di fatto a ripetersi anche con l’istituzione della Federal Trade
Commission, chiamata ad attuare lo Sherman Act, disciplina della
concorrenza e del mercato.
In questo senso, M. Calise, Le corporations come autorità indipendenti. Alle origini della
regolazione economica in America , in Le autorità indipendenti , cit., 91 ss. il quale guarda a queste
forme private di esercizio di libertà di associazione, dunque di contratti associativi con
comunione di scopo, quale prodromo delle successive Indipendent regulatory agencies .
216 M. Calise, op. cit., 102 s. L’Autore riconosce, comunque, le difficoltà di applicare una
simile lettura “privatistica” delle autorità indipendenti al contesto culturale europeo, atteso
che “L’approccio continentale europeo allo studio delle autorità indipendenti è
inevitabilmente – e forse inguaribilme nte – statocentrico. Può interpretare la centralità dello
Stato in forme più critiche e flessibili, allargare le frontiere della legittimità per includervi
soggetti sempre più eterodossi, differenziare il potere pubblico alla luce dei settori di
intervento. Ma si porta comunque dentro un senso di inadempienza e di perdita, una sorta
di complesso edipico nei confronti della sovranità violata.”
Il vero è, forse più semplicemente, che la dottrina italiana (in genere, europea) è
strettamente legata alle categor ie giuridiche tradizionali, pur se ne lamenta una notevole
crisi. Ciò posto, è chiaro che la stessa dicotomia pubblico – privato osta ad un’assimilazione
delle corporations alle autorità indipendenti, sia sotto il profilo soggettivo, le prime essendo
soggetti giuridici di diritto privato, mentre le seconde di diritto pubblico, sia sotto il profilo
oggettivo, poiché l’utilità “sociale” delle compagnie americane – apprezzata in termini di
sviluppo del sistema economico – è solo una conseguenza indiretta del p erseguimento di
una ben differente utilità individuale o, al più, collettiva, la quale non sembra assurgere al
rango di interesse pubblico o generale.
Piuttosto, l’assimilazione è assai proficua poiché rende palese, proprio in tale componente
oggettiva, l’ effettiva problematicità delle autorità indipendenti, con riguardo all’interesse
tutelato attraverso le diverse forme di attività esercitata. Rinviando ad infra sub 4 la risposta,
occorre qui porre il quesito: si tratta di un interesse pubblico o di un int eresse collettivo?
217 V. M. D’Alberti, Autorità indipendenti , cit., 1 s., a giudizio del quale la regolazione
pubblica dell’economia fu tesa a far fronte agli “effetti di un’industrializzazione assai
rapida, di avanzamenti tecnologici significativi, di una urbanizzazione massiccia”.
215
82
Va da sé che l’attività di regolazione pubblica del mercato, pur mossa da
questo iniziale e particolare interesse, veniva poi ad attuare un ben
differente interesse pubblico, sotteso rispettivamente al servizio pubblico
ferroviario od alla materia antitrust.
Non a caso, le forze che maggiormente avversavano tali authorities, nei
loro primi passi, erano non di natura pubblica, bensì riconducibili alle
imprese cui la regolamentazione recava nocumento, incidendo
negativamente sui profitti.
Solo dopo la crisi del ’29 le autorità indipendenti ebbero a scontrarsi con
il pubblico potere, essendo poste nel mezzo della contesa fra esecutivo e
legislativo per la primazia istituzionale e, conseguentemente, oggetto dei
tentativi di assoggettamento al controllo dell’uno o dell’altro organo, a
seconda del particolare momento storico e del peso politico relativo di
Presidente e Congresso.
Negli Stati Uniti, come nell’ordinamento giuridico italiano, venne presto
in discussione la legittimità costituzionale delle ist ituite Indipendent
Regulatory Agencies, con riguardo al principio di separazione dei poteri 218,
nonché il problema della loro collocazione nel sistema istituzionale.
Infatti, gli artt. 2, sec. 1 ed 1 sec. 8 della Costituzione degli Stati Uniti
pongono rispettivamente i principi del “take care clause” e del “necessary
and proper clause”: il Presidente ha il dovere di garantire l’esatta
esecuzione delle leggi, mentre il Congresso può delegare la disciplina
d’attuazione di specifiche leggi a Department od a Officers.
Le authorities, pertanto, si collocano a metà fra esecutivo e legislativo, con
entrambi i suddetti organi che tentano di estendervi il proprio controllo,
ora rendendole delegatarie di funzioni normative, ora riconducendole
nella compagine governativa .
Il Congresso ha storicamente tentato di avocare a sé le autorità
indipendenti attraverso l’esercizio di un vero e proprio diritto di veto,
ossia di annullamento di atti esecutivi contrastanti con le indicazioni da
esso dettate. Tale potere, però, è stat o dichiarato incostituzionale con la
sentenza Immigration and Naturalization Service vs. Chadha 219, con la
conseguenza che l’unico strumento attraverso il quale esercitare una
indiretta influenza sulla agencies e sul rapporto di esse con l’esecutivo è
rimasto il power of the purse di cui all’art. 1, sec. 9 della Costituzione
statunitense, ossia il potere di stanziare fondi per la dotazione finanziaria
delle agenzie stesse.
E’ agevole intuire, dunque, che assai più penetrante è il potere esercitato
sulle agencies dal Presidente, atteso che a questi è riconosciuta la facoltà di
nomina e revoca dei relativi membri. La stessa Corte Suprema, nella
Per nutriti riferimenti alla dottrina statunitense in tema di illegittimità costituzionale
delle autorità indipendenti, si rinvia a M. De Benedetto, L’Autorità garante della concorrenza e
del mercato , Il Mulino, Bologna 2000, 2 7 ss.
219 462 U.S. 919, 1983. Nel caso di specie, il Presidente del Subcomitato per l’immigrazione
del Congresso aveva ottenuto una risoluzione che poneva il veto su sei persone, cui era
stata riconosciuta la residenza negli USA. Fra essi vi era il sig. Chad ha, il quale venne
conseguentemente espulso dal territorio statunitense.
218
83
sentenza Myers vs. United States 220 ebbe a fortificare tale rapporto di
dipendenza, sancendo l’illegittimità costituziona le del preventivo assenso
del Senato alla revoca.
A distanza di soli sei anni, però, nella sentenza Humphrey’s Executor vs.
United
States 221,
tale
potere
venne
notevolmente
compresso,
condizionandosi al ricorrere di una delle causa previste nella legge
istitutiva. Ciò proprio in considerazione del fatto che i membri delle
autorità indipendenti, a differenza dei funzionari esecutivi, sarebbero
posti in posizione di indipendenza rispetto al Presidente, in quanto
esercenti potestà “quasi giudiziali e quasi legi slative”. 222
Le autorità indipendenti, in sostanza, tendevano a porsi come fourth
branch of Government.
Anche nella realtà italiana, con l’affermazione dei principi della
concorrenza e dell’economia di mercato connessi allo sviluppo
dell’Unione Europea, l’esistenza di una conclamata crisi delle istituzioni e
della rappresentanza politica da un lato, nonché la sfiducia e la
disaffezione della società civile verso lo Stato -apparato e la politica,
dall’altro, hanno contribuito allo sviluppo esponenziale delle au torità
amministrative indipendenti, ossia ad un modello un modello fondato sul
mito del controllo tecnico e neutrale, senza il minimo tratto d’indirizzo
politico.
Le autorità amministrative indipendenti, dunque, anche nell’ordinamento
italiano avrebbero dovuto soddisfare “una esigenza di regolazione dei
settori sensibili della vita sociale ed economica della comunità non
secondo criteri di ispirazione politica prevalenti dell’esecutivo, ma
secondo canoni che, oltre ad essere improntati a criteri di tecnicis mo e di
specializzazione, siano aderenti ai principi di garanzia e neutralità” 223. In
tal modo (ossia svilendo il potere di indirizzo politico) la formula
organizzativa delle autorità indipendenti ha contribuito altresì al radicarsi
di un modello istituziona le che riduce fortemente il ruolo dello Stato, in
favore dell’Unione Europea.
272 U.S. 52 135, 1926. La Corte si oppose a F.D. Roosevelt, dichiarando l’illiceità della
revoca di uno dei commissari della Federal Trade Commission poiché fondata su motivi politi ci
e non già sulle causa previste dalla legge istitutiva.
221 295 U.S. 602, 1935.
222 L’utilizzo delle formule “quasi giudiziale” o “quasi legislativo” – indice dell’analoga
incertezza ravvisabile nella dottrina italiana – è stata oggetto di notevoli critiche da parte
della dottrina statunitense, condotte tutte con riguardo alla violazione del principio di
tripartizione dei poteri. Deve, comunque, rilevarsi che nella successiva sentenza Buckley vs.
Valeo (424 U.S. 1, 1976) l’orientamento della Suprema Corte è s embrato vacillare,
affermandosi l’ammissibilità del potere di revoca presidenziale nei confronti di tutti gli
officers degli Stati Uniti, categoria apparentemente inclusiva anche dei membri delle
authorities . Il punto centrale, comunque, è proprio quello d ella individuazione dei caratteri
discriminanti delle executive agencies rispetto alle indipendent agencies , ciò che postula l’analisi
dell’attività concretamente posta in essere e della struttura dell’autorità, al fine di
qualificarne l’effettivo grado di discrezionalità e d’indipendenza. Una problematica, in
sostanza, del tutto analoga a quella italiana.
223 F. Longo, Ragioni e modalità dell’istituzione delle autorità indipendenti , in I garanti delle regole ,
cit., 15.
220
84
Con un siffatto modello – in cui le decisioni politiche sono prese a livello
comunitario, rinnovate nella legislazione interna ed eseguite (senza
potere d’indirizzo politico) dal l’apparato burocratico di ciascuno stato –
appare evidentemente coerente sia una legislazione nazionale lacunosa o
addirittura scevra di principi fondamentali, criteri direttivi e quant’altro
sia idoneo a limitare l’azione amministrativa 224 (a garanzia del rispetto del
principio di legalità) sia la creazione di un’amministrazione indipendente,
sganciata dal Governo e sottratta al potere di indirizzo politico, in fatto
ed in diritto radicalmente escluso.
Per altro verso, il modello delle autorità amministrativ e indipendenti ha
incontrato anche il favore delle imprese e dei cittadini: le prime,
desiderose di sottrarsi al controllo della politica; i secondi, ormai privi di
qualsiasi fiducia nei confronti di tale forma di controllo. Le applicazioni
concrete di un simile schema rendono evidente come l’azione
dell’autorità amministrativa indipendente riesca contestualmente a
realizzare l’interesse dell’Unione Europea 225, delle grandi imprese e,
talvolta, anche dei consumatori.
Per esemplificare, l’Autorità Garante dell a Concorrenza e del Mercato,
con il provvedimento n. 2662 del 1995, riteneva integrato l’abuso di
posizione dominante, in applicazione della disciplina comunitaria e previa
disapplicazione della disciplina interna con quella in contrasto, nel caso
della Telecom, monopolista legale della gestione della rete pubblica di
telecomunicazioni, che aveva rifiutato alla Telesystem l’affitto di linee, al
fine di mantenere il monopolio sul mercato dei servizi di telefonia per
G.c.u.
L’Antitrust intervenne proprio per ché lo Stato non aveva il potere di
“trasferire, costituire o comunque mantenere a favore di un’impresa
La latitanza del legislatore naziona le – nonché la natura recessiva nei confronti di quello
comunitario – ha indotto un’autorevole dottrina (A. Predieri, L’erompere, cit., 91) a ritenere
che ormai “i compiti dello Stato vanno riportati alle dimensioni proprie di un rango di fonti
sottostanti, anche nelle decisioni che sono fondamentali sull’equilibrio, sulla stabilità, che
s’inquadrano nei valori e nelle norme del metastato: la legge che fu emblema della sovranità
parlamentare è oggi fonte subprimaria, in quanto sottordinata ad ogni atto norm ativo o
anche giurisdizionale comunitario.” In senso analogo, P. Lazzara, Autorità indipendenti , cit.,
47 ritiene che “la legge nazionale non svolge più il compito ‘primario’ di soluzione politica
dei conflitti d’interesse, né può determinare la valenza de lle situazioni giuridiche soggettive
dei privati rispetto alle prerogative decisionali dell’amministrazione”. La fonte delle
situazioni giuridiche soggettive dei privati, in sostanza, prima ancora che nella Costituzione
italiana e nella legislazione intern a, deve individuarsi nella normativa comunitaria, come
evidenziato da N. Irti, L’ordine giuridico del mercato , Roma-Bari 1998, 21 ss.
225 Nel senso che “Le autorità si troverebbero […] in un rapporto diretto con le stesse
istituzioni comunitarie, dalle quali discenderebbe la normativa di riferimento” v. G.
Abagnale, Autorità indipendenti e Trattato di Maastricht , in Le autorità indipendenti nei sistemi
istituzionali ed economici , cit., 134. Di una vera e propria “funzionalizzazione dell’attività delle
amministrazione degli stati membri all’interesse comunitario” parla C. Franchini, Nuovi
modelli di azione comunitaria e tutela giurisdizionale , in Dir. amm., 2000, 82 e s. D’altro canto, la
tesi trova puntuale riscontro nel diritto positivo, atteso che – per esemplificare – l’art. 1
comma 4 l. 287 del 1990, istitutiva dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,
dispone che “L’interpretazione delle norme contenute nel presente titolo è effettuato in
base ai principi dell’ordinamento delle Comunità europe e in materia di disciplina della
concorrenza”.
224
85
concessionaria un diritto più ampio di quello che l’ordinamento
comunitario ammette per lo Stato stesso”. Donde la disapplicazione del
provvedimento di concessione, per la parte eccedente la disponibile
(volendo usare il lessico del diritto delle successioni). 226
L’autorità indipendente, in buona sostanza, disapplica la legge italiana –
che pure, a rigore, ne costituisce la fonte di legittimazione, almeno
quanto alla legge istitutiva – in favore dell’applicazione del diritto
comunitario, alla stregua della autorità giudiziaria.
Una simile evoluzione, però, ha finito con il creare notevoli distonie
rispetto al tradizionale sistema fondato sulla tripartizione dei poteri,
inducendo notevoli dubbi sulla natura giuridica delle Autorità
indipendenti e sul loro fondamento costituzionale.
11.3 La natura delle autorità indipendenti e la loro collocazione
nell’ordinamento giuridico.
Nell’ordinamento giuridico italiano è assai frequente la tendenza ad
esaltare il requisito della indipendenza per attribuire alle Autorità
amministrative indipendenti l’esercizio di un’attività paragiurisdizionale
o, comunque, per espungerle dall’insieme degli organi della pubblica
amministrazione.
Si tratterebbe, infatti, di autorità che non pongono in essere un giudizio
di percezione degli interessi coinvolti nel caso concreto e di conseguente
valutazione di quell’assetto che ad essi debba essere conferito e che sia il
più funzionale rispetto alla migliore protezione dell’interesse pubblico
che sono chiamate ad attuare. 227
Piuttosto, eserciterebbero soltanto un’attività di mera applicazione od
esecuzione di legge, senza alcun margine di discrezionalità e con quella
autonomia 228 che garantisce una posizione di terzietà rispetto agli
Per una più attenta disamina delle fattispecie, decise dall’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato, nei provvedimenti n. 412 del 1992 e n. 2662 del 1995 ed in
ulteriori casi, nonché per un’acuta riflessione sul tema della disapplicazione di norme
interne e la declaratoria di illegittimità di provvedimenti amministrativi, in contrasto con la
disciplina comunitaria, si rinvia a R. Niro, Disapplicazione di norme e declaratoria di illegittimità
di provvedimento , in I garanti delle regole , cit., 193 ss.
227 Secondo la prevalente dottrina, infatti, la discrezionalità amministrativa sarebbe espressa
proprio dal fatto che le scelte dell’amministrazione sono manifestazioni di volontà rimesse
esclusivamente al l’autorità, pur se compiute a seguito di un processo di cognizione degli
interessi coinvolti in concreto e vincolate, sul piano funzionale, dalla necessità di perseguire
la migliore realizzazione del fine pubblico, dato dalla mediazione del conflitto fra i nteresse
amministrativo primario ed interessi secondari (v. M.S. Giannini, L’interpretazione dell’atto
amministrativo , Giuffrè, Milano 1939, specie 275 ss.). L’impostazione gianniniana è
contestata da C. Mortati, voce Discrezionalità, in Nss. D.I., V, Torino 1960, il quale ritiene
assai labile il confine fra legittimità e merito amministrativo, affermando la sindacabilità di
quest’ultimo sulla base di norme non scritte e regole d’esperienza, cui implicitamente
rinvierebbe l’attribuzione del potere. Per un’a nalisi delle distinte posizioni, riferita
espressamente al tema delle autorità indipendenti, si rinvia a P. Lazzara, Autorità
indipendenti , cit., 130 ss.
228 Sul significato del termine autonomia, in rapporto a quello d’indipendenza, v. C.
Franchini, Le autorità indipendenti come figure organizzative nuove , in I garanti delle regole , cit., 74
ss., ove si afferma che “il principio di indipendenza si dimostra diverso da quello di
autonomia, perché si pone ad un livello di astrazione superiore.” Infatti, “il pri ncipio di
226
86
interessi individuali che divengono oggetto dell’esercizio delle relative
funzioni.
In particolare, come già rilevato le autorità indipendenti sarebbero
chiamate ad applicare norme c.d. condizionali e non già funzion ali, con
riguardo alle quali l’analisi degli effetti dei comportamenti diviene
irrilevante, essendo idoneo alla soddisfazione dell’interesse pubblico il
mero rispetto dei criteri di esso comportamento. 229
Appare necessario un chiarimento.
Nello stato di diritto liberale ottocentesco, come è stato sopra
evidenziato, non essendo possibile “proteggere ciascuno nei suoi diritti e
nello stesso tempo consentire, mediante la stessa costituzione, i
capovolgimenti sociali che sono realizzabili sempre e solo in favore di
uno e a danno di altro” 230 si giunge alla conclusione che libertà civili e
diritti sociali operino su piani differenti: costituzionale, i primi,
concorrendo alla determinazione della forma di Stato; amministrativo, i
secondi, poiché proprio l’amministrazione ne è tradizionale strumento di
attuazione.
La pubblica amministrazione, dunque, costituisce tradizionalmente il
momento di produzione e (re)distribuzione di ricchezza e servizi c.d.
sociali. Uno dei segni della crisi di questo Stato imprenditore – che è per
altri versi crisi dello Stato sociale – è dato dal processo delle
privatizzazioni, attraverso il quale l’erogazione di una serie di servizi
pubblici è stata attratta nell’ambito dei rapporti privatistici. Donde
l’esigenza di una regulation dei relativi mercati, che – non potendosi
tornare al modello dello Stato interventista – è stata realizzata attraverso
l’istituzione di autorità indipendenti e terze.
Si pensi alla l. 14 novembre 1995, n. 481, con cui si è data disciplina alle
Autorità per i servizi di pubblica utilità: la caratteristica peculiare sarebbe
data dal fatto che un’amministrazione neutrale – nel ristretto senso di
essere priva di rapporti diretti con i soggetti e gli interessi privati
coinvolti nel mercato di riferimento – garantisce il rispetto delle regole del
gioco, ossia il principio della parità delle armi, componendo la libertà
autonomia può trovare attuazione solamente tra soggetti posti in posizione di
equiordinazione, al fine di regolarne i rapporti, con portata diversa a seconda della
qualificazione che di volta in volta può essergli riconosciuta. Esso, dunque, pres uppone
l’esistenza di un rapporto […] tra soggetti differenti, rapporto che, in qualche misura, si
vuole delimitare. Diversamente, sembra che il principio di indipendenza debba essere
utilizzato in tutte quelle ipotesi nelle quali sia necessario evitare ch e si possano sviluppare
relazioni tali da incidere sull’esercizio della funzione di un soggetto, in qualche modo
condizionandola.” Donde l’Autore trae il corollario della funzione servente dell’autonomia
rispetto all’indipendenza, della quale costituisce c ondizione necessaria, anche se non
sufficiente. D’altro canto, l’immagine prima della (mera) autonomia dell’amministrazione
pubblica è sempre stata la discrezionalità, ossia la possibilità di risolvere in concreto i
conflitti d’interesse in modo confacente all’interesse pubblico e nel rispetto dei limiti legali.
Cfr. Santi Romano, Autonomia, in Frammenti di un dizionario giuridico (ristampa inalterata),
Giuffrè, Milano 1983, 14 ss. e Alberto Romano, voce Autonomia nel diritto pubblico , in Dig.
disc. pubb., II, Torino 1987, 40 ss. V. anche P. Lazzara, Autorità indipendenti , cit., 111 ss.
229 Di “regolazione condizionale” parla L. Torchia, Gli interessi affidati alla cura delle autorità
indipendenti , in I garanti delle regole , cit., 58, riprendendo la nota teo ria di Luhmann.
230E. Forsthoff, Stato di diritto in trasformazione , op. cit., 7.
87
d’iniziativa economica ed i diritti degli utenti ad un’efficiente erogazione
del servizio.
Si pensi, ancora, all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mer cato, la
quale in attuazione del principio fondamentale della concorrenza,
compone la libertà d’iniziativa economica con i diritti dei consumatori. 231
La funzione di neutrale garanzia e controllo del rispetto delle regole
verrebbe esercitata a tutela dei dir itti fondamentali dei destinatari dei
servizi, altrimenti nella disponibilità di poteri privati, verso i quali non
esisterebbero diversi strumenti di difesa.
La tesi secondo la quale le autorità indipendenti svolgerebbero una
funzione meramente esecutiva -attuativa della legge, a garanzia dei diritti
costituzionali, incontra però alcune difficoltà.
Intanto, l’esame delle leggi istitutive delle authorities induce a ritenere che
alla funzione di garanzia si accompagni, sempre o comunque spesso, una
differente funzione di regolazione diretta dei relativi mercati – si pensi ai
poteri autorizzatori e tariffari – sicchè viene a perdersi il presunto ruolo
di terzo e neutrale garante delle regole. 232 In questi casi le autorità non
solo non rispondono al modello origina rio che, scevro da qualsiasi
composizione autoritativa d’interessi, si postulava valido ad escluderne la
natura amministrativa ed idoneo a collocarle in una sorta di limbo
giuridico, sospeso fra potere legislativo e giudiziario; addirittura,
oltrepassano anche i limiti del modello ‘fisiologico’ d’amministrazione,
giacchè individuano (arbitrariamente, in difetto di una compiuta
disciplina legislativa) l’interesse pubblico cui improntare la propria
azione e, di quest’ultima, stabiliscono principi, criteri e m odalità pratiche.
Il che significa che le autorità scendono dall’iperuranio della neutralità e
tornano amministrative, ma ciò accade in violazione del principio di
legalità e, spesso, della riserva stessa di legge.
In secondo luogo, desta notevoli perpless ità il fatto che le autorità
amministrative dispongano in ordine a situazioni giuridiche soggettive
private, anche di rango costituzionale, in difetto di una legislazione di
riferimento.
Si muove dal presupposto (erroneo) che il fine della garanzia dei di ritti
costituzionali valga come una sorta di patente di legittimità dell’agire
pubblico: in difesa della libertà di comunicazione, della libertà d’impresa,
La realtà è chiaramente molto più complessa di come sintetizzata nel testo. Osserva M.
Clarich, L’attività delle autorità indipendenti in forme semicontenziose , in I garanti delle regole , cit.,
149 ss., che le autorità indipendenti esercitano le proprie funzioni talvolta nell’ambito di
rapporti bilaterali con il soggetto regolato, cui impongono l’osservanza della legge (si pensi
al potere sanzionatorio attribuito alla Consob); in altri casi il rapporto coinvolge anche un
terzo soggetto, ora posto in posizione di disparità (si pensi all’intervento dell’ISVAP, su
reclamo dell’utente, contro un’impresa assicurativa), ora posto in posizione di parità
rispetto al controllato (si pen si alle competenze dell’ Antitrust in tema di pubblicità
ingannevole).
232 Cfr. M. Manetti, Autorità indipendenti , cit., 7. Comunque, nella seduta del 26 maggio 1995,
lo stesso Consiglio dei Ministri, su iniziativa del Dipartimento della funzione pubblica, ha
elaborato un documento nel quale si propone una tripartizione delle autorità indipendenti,
fondata sulle funzioni esercitate: autorità di garanzia, di regolazione e, da ultimo, di
indirizzo, coordinamento e vigilanza. Cfr. F. Patroni Griffi, Tipi di autor ità indipendenti , in I
garanti delle regole , cit., 29.
231
88
della concorrenza (e via dicendo) l’Autorità per le garanzie nelle
telecomunicazioni, l’Autorità Gar ante della Concorrenza e del Mercato o
la Consob possono intervenire.
Così è deciso.
L’assunto, però, si scontra con un dato obiettivo: piaccia o non, la
disciplina costituzionale dei diritti fondamentali – che non mi risulta
ancora abrogata – è assai più dettagliata e pretende il rispetto, almeno,
dei principi di legalità, della riserva di legge e di giurisdizione, pur se
diversamente graduati a seconda delle diverse situazioni giuridiche
soggettive. Ne segue che, se si è tanto dibattuto sulla ammissibili tà, in
presenza di riserva di legge relativa, di atti normativi di rango sub legislativo – per i quali sono comunque previsti meccanismi di tutela
giurisdizionale ed amministrativa – nonché sulla possibilità che la misura
restrittiva adottata dalla magistr atura inquirente – ossia da un magistrato
comunque indipendente e che ha avuto accesso alla carica tramite
concorso – sia atta a soddisfare la riserva di giurisdizione, diviene assai
improbabile che i medesimi principi possano dirsi rispettati laddove una
limitazione o conformazione di una situazione giuridica di rango
costituzionale avvenga per il tramite di un provvedimento del quale si
disconosce addirittura la natura amministrativa, da taluni proponendosi
di escludere conseguentemente il controllo giuri sdizionale.
D’altro canto, il fatto che la conformazione dei diritti costituzionali
avvenga con legge trova la propria ragion d’essere anche nella possibilità
di sindacato da parte della Corte costituzionale, nel giudizio di
legittimità, il quale è di certo escluso nei confronti dei provvedimenti
delle autorità indipendenti. 233
Sul piano dell’opportunità, inoltre, la realtà dimostra che la tutela dei
diritti costituzionali non necessariamente è più intensa se attribuita alle
autorità indipendenti: si pensi al la manifesta violazione degli artt. 21 e 41
comma 2 Cost. integrata dalla mancata determinazione, da parte
dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, della data scaduta la
quale le emittenti televisive senza concessione avrebbero dovuto
trasmettere solo via satellite.
In sostanza, le tesi della natura non amministrativa delle autorità
indipendenti sono contraddette in diritto positivo dall’attribuzione di una
serie di funzioni – si pensi già solo al potere regolamentare 234 – che,
Salvo a sostenere l’ammissibilità di un sindacato diffuso di costituzionalità. Comunque,
poiché gli atti amministrativi soggetti alla disciplina generale (v. infra nel testo), detti
provvedimenti son o annullabili dal giudice amministrativo e disapplicabili dal giudice
ordinario.
234 La legittimità del potere regolamentare delle autorità indipendenti è assai controversa.
Intanto, è assai dubbio che la legge possa attribuire ad autorità non politiche, que lla potestà
normativa sub -primaria che è una prerogativa del Governo, connessa alla legittimazione
politico-rappresentativa. Pur optando per la soluzione positiva, poiché nella “natura delle
cose” (F. Merusi, Considerazioni generali sulle amministrazioni i ndipendenti, relazione al
Convegno dell’Accademia dei Lincei in Roma, 30 giugno – 2 luglio 1993, Milano, 1993, 389)
o perché i regolamenti sono fonti secondarie (E. Cheli, Potere regolamentare e struttura
costituzionale , Milano, 1967, 444), resta il fatto che la mancata determinazione dei principi e
criteri direttivi entro i quali esercitare il medesimo potere regolamentare non può che
renderlo illegittimo, attesa la violazione del principio di legalità. Senza considerare, poi, che
233
89
andando oltre la mera e neutrale garanzia, impediscono di ricondurre ad
esse autorità una mera attività di applicazione della legge (a tutela dei
diritti).
Ma anche laddove si ponga l’attenzione sui soli poteri c.d. di garanzia,
postulandone la natura (para)giurisdizionale 235, non pare superabile il
divieto di istituzione di giudici speciali di cui all’art. 102 comma 2
Cost. 236, con la conseguenza che si tratterà sempre di giudici senza
sentenze, poiché i relativi provvedimenti non potranno mai avere forza di
giudicato. 237
Né l’alienità delle autorità indipendenti rispetto alla pubblica
amministrazione può sostenersi facendo leva sulla natura delle funzioni
esercitate, che sarebbero connotate non già da poteri autoritativi di
valutazione degli interessi in gioco, bensì da una mera discrezionalità
tecnica. 238 Il carattere tecnico o specialistico delle scelte compiute, infatti,
non vale ad escludere né la natura amministrativa dell’organo, né la
sindacabilità giurisdizionale delle relative manifestazioni di volontà.
E’ vero che il carattere tecnico sposta la discrezionalità verso la mera
applicazione di legge – secondo la tesi di Mortati – svilendone la natura
(sostenuta da Giannini) 239 di manifestazione di volontà. Non è men vero,
però, che il procedimento che porta all’adozione dell’att o si compone
detto esercizio avviene s ovente in materia coperta da riserva di legge. V. G. Morbidelli, Sul
regime amministrativo , cit., 160 ss. Per una attenta analisi del potere regolamentare delle
autorità indipendenti si rinvia a F. Politi, voce Regolamenti delle autorità amministrative
indipendenti, in Enc. giur., Istituto Enciclopedico Italiano, Roma 1995, ove si esaminano
puntualmente alcuni poteri regolamentari evidentemente incidenti sull’indirizzo politico (si
pensi, ad esempio, al potere dell’ISVAP con proprio provvedimento, di dettar e disposizioni
in ordine a tariffe, tasso d’interesse tecnico e riserve, nonché ai livelli massimi di
investimento in determinati attivi ed alla natura stessa di essi investimenti e delle riserve).
235 V. supra sub nota 8.
236 In questo senso, per tutti, A. P ace, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale ,
terza edizione in corso di stampa, Cedam, Padova 2003, 261.
237 Il fatto che l’ampliamento delle garanzie nel procedimento dinanzi alle autorità
indipendenti – diritto al contraddittorio, partec ipazione, trasparenza – non consente di
attribuire ad esse natura quasi o para giurisdizionale è stato espressamente riconosciuto da
Cons. St., sez. VI, 12 febbraio 2001, n. 652, citato in P. Lazzara, Autorità indipendenti , cit.,
103, nota 55.
238 In questo senso, ex multis , G. Vesperini, La Consob e l’informazione del mercato mobiliare.
Contributo allo studio della funzione regolativa , Cedam, Padova, 1993, 279; A. Massera,
“Autonomia” e “Indipendenza” nell’amministrazione dello Stato , in Scritti in onore di M.S. Giannini ,
III, Giuffrè, Milano, 1988, 480. A giudizio di V. Cerulli Irelli, Note in tema di discrezionalità
amministrativa, in Dir. proc. amm. , 1984, 480 ss., la discrezionalità tecnica delle autorità
indipendenti si sostanzierebbe nella irripetibilit à processuale della relativa valutazione, con
la conseguenza che le scelte di esse amministrazioni non sarebbero giurisdizionalmente
sindacabili. In realtà, sembra più coerente con i diritti costituzionali di difesa (art. 24 Cost.)
e di tutela giurisdizion ale contro gli atti della pubblica amministrazione (art. 113 Cost.)
ritenere che “la complessità o istantaneità dell’azione pubblica non può ‘degradare’ le
situazioni giuridiche soggettive” e che “il carattere riservato di una valutazione
amministrativa no n può ricavarsi dalla mancanza di strumenti istruttori in grado di fornire
piena conoscenza processuale della situazione di fatto” (P. Lazzara, Autorità indipendenti , cit.,
178 s.). Ciò a fortiori alla luce dell’ampliamento dei poteri del giudice amministr ativo,
determinato dall’ammissibilità della consulenza tecnica d’ufficio prevista prima dal d. lgs. 80
del 1998 e poi dall’art. 16 l. 205 del 2000.
239 V. nota 38.
90
sempre di un momento di sussunzione dei fatti nella fattispecie legale e
di un momento valutativo, pur se talvolta ridotto, nel quale si
determinano gli effetti che si producono nel caso concreto.
Solo laddove gli effetti discendessero esclusi vamente ed automaticamente
dalla legge si potrebbe sostenere che l’atto abbia natura meramente
dichiarativa, sicchè mancherebbe in effetti qualsiasi composizione
autoritativa di interessi, anche perché non sarebbe rimesso alla cura
dell’organo alcun intere sse pubblico. 240
Ma ciò non è quanto accade nel caso delle autorità indipendenti.
Intanto, perché non esiste quasi mai il parametro legislativo
predeterminato e vincolante l’azione amministrativa – il che costituisce
un aspetto dell’indipendenza, che opera v erso il potere legislativo –
atteso che le leggi istitutive si risolverebbero in mere deleghe in bianco di
poteri regolamentari, di garanzia e di vigilanza.
Inoltre, perché non sembra corretto ritenere che alle autorità
indipendenti non sia affidata la cur a di un interesse pubblico, ma soltanto
il ruolo di arbitro fra interessi privati: infatti, la tutela della concorrenza,
l’efficienza nella erogazione dei servizi pubblici, l’equilibrio nel mercato
assicurativo e della comunicazione e via discorrendo sono fini che
superano sia la dimensione individuale sia quella collettiva, giungendo a
qualificare il ruolo dello Stato nel mutato contesto culturale e giuridico.
Il vero è, dunque, che proprio l’ampiezza dei poteri e delle funzioni
attribuite alle autorità in dipendenti vale a qualificare il relativo operato in
termini
autoritativo-provvedimentali,
confermando
la
natura
amministrativa di esse autorità e determinando (tra l’altro) la sindacabilità
giurisdizionale delle relative scelte, in modo coerente con i pri ncipi
costituzionali (artt. 24 e 113 Cost.).
Va da sé, comunque, che l’assunto deve essere verificato in concreto,
tramite una puntuale valutazione delle diverse funzioni delle varie
authorities, al fine di comprendere quale sia in effetti, con riguardo ai
singoli poteri esercitati, il rapporto con il parametro legislativo (o
comunitario) e la relativa ampiezza della capacità valutativa che residua
in capo all’amministrazione.
La tesi secondo la quale la riserva di competenza in favore dell’autorità
indipendenti sarebbe fondata sulla difficoltà tecnica dell’esercizio dei
compiti loro propri, desta ulteriori perplessità ove si rifletta sul fatto che
analoga ragione da sempre costituisce la giustificazione logica e giuridica,
ad esempio, per la delega al Gove rno dei testi unici di mera compilazione
od innovativi, alla cui disciplina diretta il Parlamento rinuncia proprio
perché privo delle necessarie competenze specialistiche, pur mantenendo
la potestà di dettare principi e criteri direttivi all’azione dell’es ecutivo. 241
In altrimenti, il relativo bilanciamento sarebbe già effettuato a livello legislativo, sicc hè
all’amministrazione non resterebbe che interpretare ed applicare il dato normativo, senza
alcun autonomo potere valutativo.
241 Né può accettarsi il principio che il Governo, perfettamente in grado di creare dal nulla o
riorganizzare l’ordinamento proces suale e sostanziale, civile e penale, divenga
improvvisamente incapace di intendere e di volere con riguardo ad alcune materie che, in
fondo, non costituiscono altro che una species dell’oggetto della suddetta disciplina.
240
91
Eguaglianza e razionalità (o, se proprio vi si deve fare ricorso,
ragionevolezza) imporrebbero, allora, che se, con riferimento ai testi
unici, la legge di delegazione priva di principi e criteri direttivi è
incostituzionale, parimenti incostituz ionale debba ritenersi, con riguardo
alle autorità indipendenti, la legge istitutiva, laddove non individui
analoghi – ed assai più dettagliati – principi e criteri direttivi dell’azione
amministrativa. Ciò ancor più per il fatto che nel secondo caso, il d ifetto
di una normativa legislativa generale determina la violazione del principio
di legalità, della riserva di legge, (talvolta) della riserva di giurisdizione,
della responsabilità politica ex art. 95 Cost. e via dicendo.
D’altro canto, la critica mossa da un’autorevole dottrina alla presunta
neutralità delle authorities 242, che eserciterebbero invero attività politica,
lascia chiaramente intendere che le funzioni delle autorità indipendenti
vanno addirittura oltre la discrezionalità amministrativa, poiché l’assenza
della legislazione di principio rischia di non consentire in concreto un
sindacato di legittimità. 243
Si pensi – per esemplificare laddove, invero, l’esemplificazione è assai
rischiosa – ai poteri attribuiti dall’art. 3 lett. c) l. 216 del 1974 al la
Consob in tema di vigilanza sull’emissione dei valori mobiliari, con
specifico riguardo al controllo su completezza e veridicità dei prospetti
informativi. L’esegesi dell’art. 18 della legge istitutiva mostra che i
parametri della completezza e veridici tà devono essere valutati con
riferimento alle disposizioni adottate dalla medesima Consob. Ma tali
disposizioni non saranno altro che il frutto di una valutazione
discrezionale, attraverso la quale l’autorità indipendente individua le
informazioni da esternare al pubblico, nonché le relative modalità di
espressione, che siano tali da garantire massima protezione al risparmio,
intereresse pubblico sotteso all’art. 47 Cost. 244
Ancora, l’art. 4 l. 287 del 1990 conferisce all’ Antitrust il potere di
autorizzare, temporaneamente, deroghe al divieto di concentrazione se ne
deriva un beneficio per i consumatori, fatto salvo il potere di revoca in
caso di abuso. Anche in questo caso, la scelta dell’amministrazione è
strumento di (discrezionale) composizione degli inte ressi concreti sottesi
M. Manetti, Poteri neutrali , cit., 91 e 157 ss.
Si potrebbe sostenere che la violazione del principio di legalità sia esclusa dal fatto che la
disciplina comunitaria assolva alle funzione sottratta alla legislazione interna, determinando
principi e criteri direttivi dell’agire delle au torità. L’obiezione, però, da un lato peccherebbe
di ottimismo, poiché non in tutte le materie di competenza delle diverse autorità
indipendenti esiste una normativa comunitaria immediatamente applicabile; dall’altro,
dovrebbe comunque tenere presente che la norma comunitaria in contrasto con principi
fondamentali e diritti inviolabili è incostituzionale, sicchè l’atto dell’autorità indipendente
su essa fondato diviene illegittimo.
244 La disciplina ha dato luogo alla nota sentenza 3 marzo 2001 n. 3132, con la quale la Corte
di Cassazione ha condannato la Consob al risarcimento dei danni per violazione dell’obbligo
di controllo in esame. Può leggersi il prescedente in Giur. cost., 2001, 3021, con nota di M.
Mengozzi, Un caso di responsabilità civile della Con sob, la quale acutamente osserva che “la
determinazione di quali elementi dell’operazione debbano essere resi noti nel prospetto […]
non potrà non implicare un bilanciamento rispetto all’esigenza di riservatezza dell’impresa
ed alla libertà d’iniziativa ec onomica garantita dall’art. 41 Cost.” ( op. cit., 3041).
242
243
92
alla ipotesi di concentrazione con il superiore interesse della
concorrenza.
Il vero è che l’assunto per il quale “i poteri delle autorità di regulation
evadono completamente dal modello dei poteri amministrativi, per
configurarsi come poteri di decisione politica” 245 impone una scelta di
metodo. Se si guarda alla disciplina positiva delle singole autorità, può
anche condividersi la conclusione che le stesse siano investite di
un’attività di scelta in ordine al bilanciamento fra interes si, con un labile
rapporto con il potere legislativo e senza alcuna relazione con il potere
esecutivo.
In questo modo, dovrebbe escludersene la natura amministrativa, atteso
che i relativi limiti di legittimità sono ampiamente violati.
Se, invece, si parte dal presupposto che “è attività amministrativa tutto
ciò che non è di competenza né dei giudici né delle Camere” 246 e che
“l’attuazione del valore della imparzialità ex art. 97 Cost. non è in grado
di assicurare alle autorità indipendenti un regime derogato rio rispetto a
quello applicabile alla p.a., che su tale valore intieramente si fonda” 247,
allora l’analisi del diritto positivo deve essere finalizzata ad individuare il
regime giuridico complessivamente applicabile, nonché i poteri e le
funzioni illegittimi in quanto non compatibili con la natura, appunto,
amministrativa dell’istituzione.
In sostanza, delle due, l’una: o si afferma la natura politica delle autorità
indipendenti, con ogni conseguenza sul piano della legittimità
costituzionale delle relative leggi istitutive, oppure se ne postula la natura
di organi amministrativi, rileggendone la disciplina positiva al fine di
costringerla entro lo schema costituzionale.
La giurisprudenza più recente è orientata nel senso di riconoscere la
natura amministrativa delle autorità indipendenti 248. Ne discende, secondo
la più autorevole dottrina 249, l’applicabilità della disciplina generale che
governa l’agire della pubblica amministrazione, per come stratificata nei
molteplici e spesso disorganici interventi legislativ i, nonché da questi
desunta in via interpretativa. 250
M. Manetti, Autorità indipendenti , cit., 9.
G. Morbidelli, Sul regime amministrativo delle autorità indipendenti , in Le autorità indipendenti
nei sistemi istituzionali ed economici , cit., 150.
247 M. Manetti, Autorità indipendenti: tre significati per una costituzionalizzazione , in Studi in onore
di Leopoldo Elia , Giuffrè, Milano 1999, II, 896.
248 Cfr. Cons. St., sez. IV, 14 marzo 2000, n. 1348; Cons. St., Commissione Consultiva
Speciale, 29 maggio 19 98, n. 988, in Cons. St., I, 1998, 1483; Cons. St., sez. IV, 30 settembre
1994, n. 1467; Tar Lazio, 15 aprile 1999, n. 873, in I Tar, 1999, I, 1623.
249 M. D’Alberti, Autorità indipendenti , cit., per il quale, poiché “le autorità indipendenti sono
pur sempre riconducibili alla categoria delle pubbliche amministrazioni, è da ritenersi che
valgano i principi sull’organizzazione e sull’azione amministrativa, ed anche le regole
generali in materia, ma solo in via d’integrazione rispetto alla normativa speciale”; G.
Morbidelli, Sul regime amministrativo , cit., 168 ss., a giudizio del quale “la natura
amministrativa consente di ritenere applicabile alle autorità indipendenti tutto quel corpus di
principi che caratterizzano il ‘regime amministrativo’, salvo espressa deroga disposta o
autorizzata con legge”. In senso adesivo, P. Lazzara, Autorità indipendenti , cit., 100 ss.
250 Il che, per altro, risolve in nuce il problema della procedimentalizzazione delle autorità
amministrative – analogo a quello che, nel contesto s tatunitense, portò all’approvazione del
Administrave Procedure Act – atteso che la l. 241 del 1990 deve ritenersi applicabile ad esse
245
246
93
11.4 La responsabilità politica delle e per fatto delle autorità
amministrative indipendenti.
Le authorities sono organi amministrativi 251, pertanto in rapporto con il
Governo ai sensi dell’art. 95 Cost.; ma sono anche indipendenti, ossia
sottratte al potere di direzione e di indirizzo esercitato sulla pubblica
amministrazione, ai sensi della medesima disposizione costituzionale.
Lo sganciamento delle autorità indipendenti dal circuito democratico rappresentativo può tradursi in un duplice ordine di problemi.
Se si sostiene che si tratti di istituzioni formalmente neutrali ma
sostanzialmente politiche, allora sarà necessario interrogarsi in ordine
agli strumenti attraverso i quali esercitare su esse una form a di controllo
o di razionalizzazione 252 e, se del caso, farne valere la relativa
responsabilità politica.
Se, di contro, si muove dal riconoscimento della organicità rispetto alla
pubblica amministrazione, escludendo altresì che esse possano costituire
un nuovo potere dello Stato 253, allora sarà necessario posare l’attenzione
autorità, in quanto disciplina generale dell’attività amministrativa, pur se con l’esclusione di
cui al capo III della med esima legge (atti normativi, amministrativi generali, di
pianificazione e di programmazione). In merito, v. G. Morbidelli, Sul regime amministrativo ,
cit., 216 ss.
251 Ma non “a statuto speciale”, ossia sganciate dalla politica per la particolare connessione
con i diritti costituzionali od i settori sensibili. V., per una critica a questa tesi, M. Manetti,
Autorità indipendenti , cit., 9.
252 In questa ottica, M. Manetti, Poteri neutrali , cit., 226 s. pone l’accento sulle tecniche di
organizzazione e di funziona mento, ritenendo determinanti i momenti dell’investitura, “che
deve avere una funzione (non di neutralizzazione ma) di integrazione tra i soggetti
istituzionali e/o le forze politiche” e l’apertura alla società, “che deve essere massima,
attraverso il rico rso ad un tipo di procedimento (non tanto garantistico quanto)
partecipativo.”
253 Le Autorità amministrative indipendenti sono certamente un complesso di organi che
esercitano specifiche funzioni pubbliche, ma è assai controverso che possa ad esse
attribuir si la qualifica di (nuovo) potere dello Stato (in senso contrario, v. A. Pace,
Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale , Cedam, Padova 2003, 262 s.). Ove si
accedesse ad una lettura evolutiva della originaria teoria della tripartizione dei poteri dello
Stato, riconoscendo che quello (presunto) ‘neutrale’ delle Authorities ne costituisca una
nuova ed ulteriore forma, sul piano degli strumenti di controllo sugli atti della Autorità
indipendenti si avrebbe la immediata (ed imprescindibile cons eguenza) della ammissibilità
del conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale.
In questa sede, comunque, non è possibile che assumere come un postulato il fatto che le
Autorità indipendenti non siano un potere dello Stato, riservando ad altr a sede un più
approfondito esame della tematica. La Corte costituzionale, comunque, si è espressa in
questo senso già nella ord. n. 226 del 1995, in Giur. cost. 1995, …., dichiarando
inammissibile il conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato solleva to dai promotori dei
referendum presentati in materia di commercio, di elezioni comunali e di contributi
sindacali (ammessi dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 3, 4, 10 e 13 del 1995), con
riferimento all’allora Autorità per la radiodiffusione e l’editoria (nonché del Governo),
atteso che “le attribuzioni del Garante, disciplinate dalla legge ordinaria […] non assumono
uno specifico rilievo costituzionale né sono tali da giustificare, nonostante la particolare
posizione di indipendenza riservata all’organo nell’ordinamento – il riferimento all’organo
stesso della competenza a dichiarare in via definitiva la volontà di uno dei poteri dello
Stato”. Una siffatta interpretazione è stata ribadita nella ord. n. 137 del 2000, in Giur. cost.,
2000, 560, o ve la Corte costituzionale ha nuovamente affermato che l’Autorità per le
94
sul ruolo del Governo e sulla connessa responsabilità per le autorità
indipendenti.
Si tratta, in questo caso, di un tentativo di determinazione di un difficile
equilibrio fra esigenze di indipendenza e responsabilità per l’unità
d’indirizzo politico ed amministrativo.
Il presupposto dal quale si deve muovere, però, è che la crisi delle
istituzioni ed il crollo della fiducia del cittadino nella politica è un
fenomeno transeunte (così come lo è stato nell’esperienza statunitense)
che avrà a ripetersi – ammesso che questa fase non sia già in atto – anche
nei confronti delle authorities stesse.
Ne segue che, prima di inventare dal nulla una rivoluzione forse non
necessaria, non può rinunciarsi a tentare una rilettura “classica” dei
rapporti fra autorità, Governo e Parlamento (nonché Unione Europea),
pur correndo in tal modo il rischio di essere tacciati di restaurazione.
Prendiamo le mosse dai criteri di nomina dei commissari delle autorità
indipendenti che, previsti nelle relative leggi istitutive, dovrebbero
garantirne l’indipendenza. 254
In tali criteri non v’è alcuna uniformità, pur se possono distinguersi a
seconda che il Governo abbia o non un ruolo (più o meno rilevante) nel
procedimento. Al primo gruppo appartengono: l’Autorità garante della
concorrenza e del mercato, nominata dai presidenti delle Camere (art. 10
l. 287 del 1990); la Commissione di Garanzia per l’attuazione della legge
sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, nominata con d.P.R., su
designazione dei presidenti delle Camere (art. 12 l. 146 del 1990); il
Garante per la tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al
trattamento dei dati personali, i cui commissari sono nominati due dalla
Camera e due dal Senato, ed eleggono essi stessi un presidente (art. 30
comma 3 l. 675 del 1996).
Al secondo gruppo appartengono: la Commissione nazionale Società e
Borsa, nominata con d.P.R. su proposta del Presidente del Consiglio dei
Ministri, previa deliberazione del Consiglio de i Ministri e con facoltà
delle Commissioni parlamentari competenti di procedere all’audizione
delle persone designate (art. 1 l. 281 del 1985); l’Istituto di Vigilanza per
le assicurazioni, il cui presidente è nominato con d.P.R., previa
deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro
dell’industria (artt. 10 -12 l. 576 del 1982); l’Autorità per le garanzie nelle
telecomunicazioni, i cui commissari vengono eletti metà (quattro) dalla
Camera e metà dal Senato, con voto limitato, mentre il P residente è
nominato con d.P.R., su proposta del Presidente del Consiglio dei
Ministri, d’intesa con il Ministro delle comunicazioni, previo parere delle
Commissioni parlamentari competenti; l’Autorità di regolazione dei
servizi di pubblica utilità nei set tori dell’energia elettrica e del gas, della
quale il presidente ed i due membri sono nominati con d.P.R., previa
garanzie nelle comunicazioni esercita attribuzioni “disciplinate dalla legge ordinaria” e
pertanto prive “di uno specifico rilievo costituzionale, quindi non idonee a fondare la
competenza della medesima a dichiarare definitivamente la volontà di uno dei poteri dello
Stato”.
254 Notevoli dubbi di legittimità costituzionali sono stati sollevati, in ordine ai criteri di
nomina delle authorities, da G. Morbidelli, Sul regime amministrativo , cit., 182 ss.
95
deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro
competente e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari
(art. 2 l. 481 del 1995).
L’esame di tali discipline induce notevoli perplessità, poiché pare
evidente che in tutti i casi di nomina con decreto del Presidente della
Repubblica, tale atto è sostanzialmente governativo, pur se talvolta
temperato dal preventivo pa rere – per altro non vincolante – delle
Commissioni parlamentari.
Se a ciò si aggiunge che il passaggio dal sistema proporzionale a quello
maggioritario, determina inevitabilmente una notevole attenuazione della
neutralità e terzietà dei presidenti delle C amere, ne discende – in uno alla
inutilità della dicotomia sopra recepita – che l’indipendenza delle autorità
in esame è assai poco garantita nel concreto della disciplina positiva. 255
Sarebbe allora opportuno – proprio per mantenere quella neutralità che
larga parte della dottrina difende a spada tratta – che la nomina avvenisse
con atto sostanzialmente presidenziale e, conseguentemente, fosse
sottratta all’influenza dell’esecutivo, la stessa genesi delle authorities. 256
In tal modo avremo organi indipendenti nelle proprie deliberazioni, ma
che in quanto amministrativi non possono porre in essere atti di indirizzo
politico. Più precisamente, non possono tenere un contegno che presenti
una distonia rispetto all’indirizzo politico governativo.
Laddove ciò accada il Governo, pur difettando di una legittimazione in
punto di nomina dei componenti, sarà chiamato a garantire l’unità di
indirizzo politico ed amministrativo, non attenuandosi in alcun modo la
relativa responsabilità ex art. 95 Cost.
Cfr. M. Manetti, Poteri neutrali , cit., 4 s. Anche A. D’Atena, Costituzione ed autorità
indipendenti: il caso della Commissione di garanzia nell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi
pubblici essenziali , in Le autorità indipend enti nei sistemi istituzionali ed economici , cit., 276, ritiene
che “una riconsiderazione complessiva dell’intera normativa [inerente la nomina
dell’autorità] è imposta dalle trasformazioni intervenute nel quadro della rappresentanza e,
in particolare, dal l’avvento della nuova legislazione elettorale. In tale nuovo contesto,
infatti, si riduce sensibilmente la garanzia che la congiunta designazione dei componenti ad
opera dei Presidenti delle Camere mantenga il carattere bipartisan che in precedenza le si
poteva riconoscere.” Per avere la corretta misura degli effetti sostanziali che discendono dal
criterio di nomina del Presidente e dei membri delle autorità indipendenti, si pensi al Testo
approvato definitivamente il 13 luglio 2004 dalla Camera dei Deputat i, recante norme in
materia di risoluzione dei conflitti d’interesse. Quivi, sancita l’incompatibilità (art. 2) fra
carica di governo ed uffici pubblici o privati, nonché attività di gestione di imprese
pubbliche o private, viene accordato all’Autorità Gar ante della Concorrenza e del Mercato
(art. 6) ed alla Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni (art. 7) una funzione di
vigilanza volta a reprimere eventuali abusi. Premesso che tale funzione potrà essere
esercitatile solo decorsi trenta giorni dall’ad ozione delle procedure istruttorie e dei criteri di
accertamento che ciascuna Authorities è chiamata a darsi, entro novanta giorni dall’entrata in
vigore della legge (artt. 7 comma 5 e 10 comma 2; donde il rischio di un atteggiamente
dilatorio nell’eserciz io di tale attività), appare quanto meno singolare che, in specie per
l’Autorità per le garanzie nelle comunicazione, proprio un organismo presieduto da un
soggetto designato dal Presidente del Consiglio sia chiamato ad accertare se un’impresa che
agisca nell’ambito della comunicazione abbia o non fornito un “sostegno privilegiato al
titolare di cariche di governo” (per esemplificare, il Presidente del Consiglio).
256 In questo senso, A. Pace, Problematica, cit., 265 s.
255
96
Ma quali gli strumenti nella disponibilità dell’esecutivo, funzionali
all’esercizio di tale compito?
Non esiste più il potere generale d’annullamento degli atti amministrativi
illegittimi, previsto dall’art. 6 T.U. l. com. prov. n. 383 del 1934, poiché
abrogato (salvo l’art. 19 , oggetto di una peculiare sorte) dall’art. 274 d.
lgs. 18 agosto 2000, n. 267, forse proprio perché si trattava di una misura
tipica “di un’amministrazione accentrata che non c’è più, e quindi sia da
ritenersi in distonia con l’amministrazione policentric a”. 257
Resta, però, il generico potere d’annullamento previsto dall’art. 3 lett. p)
l. 23 agosto 1988, n. 400, a mente del quale “Sono sottoposti alla
deliberazione del Consiglio dei ministri: […] p) le determinazioni
concernenti
l'annullamento
straordinario,
a
tutela
dell’unità
dell'ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi, previo parere del
Consiglio di Stato e, nei soli casi di annullamento di atti amministrativi
delle regioni e delle province autonome, anche della Commissione
parlamentare per le questioni regionali”.
La Corte costituzionale, dichiarando l’incostituzionalità di tale
disposizione nella parte in cui estendeva il potere di annullamento anche
agli atti delle regioni e delle provincie autonome 258, ha riconosciuto che
“Il potere in questione si presenta […] incostituzionale ove venga
esercitato nei confronti delle Regioni, ordinarie e speciali, e delle
province autonome, in quanto incompatibile con la natura stessa della
loro autonomia, così come definita nel disegno del titolo V della par te
seconda della Costituzione”.
Ma se è proprio il fondamento costituzionale dell’autonomia ad escludere
un così generale ed incondizionato potere d’intervento governativo, ciò
significa che il medesimo principio non è applicabile nei confronti delle
Autorità amministrative indipendenti, l’autonomia delle quali non trova
un espresso riconoscimento costituzionale.
Laddove, poi, la nomina delle Autorità stesse avvenga con il determinante
concorso del Governo, inoltre, esso mantiene la facoltà di revoca delle
autorità indipendenti, non già per ragioni di opportunità politica (chè
altrimenti ne sarebbe vanificata l’indipendenza), bensì quale misura
sanzionatoria di comportamenti illegittimi. 259
Possono poi darsi casi in cui le modalità di esercizio delle relative
attribuzioni da parte della autorità indipendenti, oltre a presentare una
significativa distonia rispetto all’indirizzo politico del Governo, finiscano
con l’indurre per quest’ultimo una condizione di grave ed irreparabile danno ,
per utilizzare una termin ologia processualistica.
Ricorrendo i presupposti della necessità ed urgenza, il Governo potrà
allora intervenire con decreto legge al fine di garantire l’unità di indirizzo
politico ed amministrativo. Anzi, se è vero che l’adozione del decreto
legge avviene, da parte dell’esecutivo, “sotto la propria responsabilità”,
non vi sono ragioni per escludere che detta responsabilità ancor più si
G. Morbidelli, Sul regime amministra tivo, cit., 178, il quale si era espresso per l’applicabilità
al caso di specie. Si notino le affinità rispetto al potere di veto del Congresso nel sistema
statunitense, pur sorretto da una diversa ratio.
258 Corte cost., 21 aprile 1989 n. 229, in Giur. cost. 1989, ….
259 In questo senso, G. Morbidelli, Sul regime amministrativo , cit., 189 ss.
257
97
generi in ragione di un contegno omissivo, ossia per la mancata adozione
del provvedimento con forza di legge.
Si pensi all’ipotesi in cui il mancato esercizio del potere di regolazione
tariffaria da parte dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni –
o di quello di sanzione di intese restrittive della concorrenza, da parte
dell’Antitrust – determini un innalzamento dei prezzi nel rispettivo
mercato di riferimento, con grave lesione per la libertà d’impresa dei
concorrenti e per i diritti degli utenti stessi.
Più concretamente, si pensi a quanto avvenuto per effetto della mancata
determinazione, da parte dell’Autor ità per le garanzie nelle
comunicazioni, della data decorsa la quale le emittente televisive che
operavano senza concessione sarebbero state obbligate a trasmettere solo
via satellite. Tale contegno, infatti, ha segnato profondamente l’indirizzo
politico in materia di radiotelevisione – per lo meno quello formalmente
desumibile dai provvedimenti in subiecta materia – con grave responsabilità
politica del Governo verso il Parlamento, a cagione della mancata
adozione di un decreto legge determinativo della su ddetta data.
Ove, di contro, non ricorrano i presupposti di necessità ed urgenza, v’è
sempre la possibilità di intervenire, contro atti od omissioni delle autorità
indipendenti lesive dell’indirizzo politico, tramite la proposizione di un
disegno di legge di riforma della relativa disciplina, pur se con tutti i
limiti evidentemente connessi a tale più lunga e farraginosa soluzione. 260
Si tratta, invero, di una serie di strumenti giuridici di per sé forse difficili
da impiegarsi e nel complesso poco rilevanti, ma cui è connesso un
significativo rilievo politico, che riposa su un principio cardine:
responsabilizzare il Governo per l’operato delle autorità indipendenti,
salvando l’art. 95 Cost. e costringendo tutti gli organi costituzionali
coinvolti – Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio,
Consiglio dei Ministri, Presidenti delle Camere e Camere stesse – ad
un’intensa attività di mediazione politica, tesa a determinare precisi argini
di opportunità nelle modalità di esercizio delle funzioni di gar anzia,
regolazione e controllo.
Principio, questo, che a sua volta trova fondamento su un postulato
fideistico: la fiducia nel ruolo della politica, momento di libera sintesi
degli interessi della comunità, da esplicarsi entro i parametri dettati dalla
Costituzione.
Una fiducia che forse non è ancora il momento di perdere.
Nel senso che come “ estrema ratio”, fra gli strumenti disponibili dal Governo per
contrastare l’azione delle autorità indipendenti, senza con ciò lederne l’indipendenz a stessa,
dovrebbe annoverarsi il rimedio del decreto legge, v. G. Morbidelli, Sul regime amministrativo ,
cit., 199, in specie con un esemplificativo riferimento a “iniziative indispensabili per dare
seguito a impegni internazionali, o per indilazionabili esigenze di finanza pubblica”.
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