SAPIENZA – UNIVERSITÀ DI ROMA Dottorato di ricerca in diritto civil-romanistico (Sezione Civilistica) Tesi di dottorato CREDITI FUTURI E DETERMINABILITÀ DELL’OGGETTO Dottorando: Donato Salomone (Matr. 1082938) Tutor: Chiar.mo Prof. Antonio Masi Ciclo XXII 1 INDICE CAPITOLO I – LA NOZIONE DI CREDITO FUTURO 1.1 L’art. 1348 cod. civ. e l’efficacia del negozio su bene futuro in generale............................................................................................pag. 5 1.2 La prestazione di cosa futura. Cosa futura e diritto futuro............pag. 12 1.3 Diritto futuro e credito futuro. La nozione di credito futuro e i confini del fenomeno. Il confine “prossimo” e quello “remoto”. Introduzione...................................................................................pag. 20 1.4 Ipotesi controverse: a) i crediti derivanti da fattispecie sospensivamente condizionate...................................................................................pag. 26 1.5 Segue: b) i crediti derivanti da fattispecie a termine.....................pag. 36 1.6 Segue: c) i crediti derivanti da fattispecie ad esecuzione durevole.........................................................................................pag. 46 1.7 Segue: d) i crediti altrui.................................................................pag. 65 CAPITOLO II – PARTICOLARI FATTISPECIE DI ATTI SU CREDITI FUTURI 2.1 L’evoluzione giurisprudenziale in tema di cessione di crediti futuri............................................................................................pag. 72 2.2 Segue: il factoring e la legge italiana sulla cessione dei crediti d’impresa.....................................................................................pag. 82 2 2.3 La fideiussione per crediti futuri e la fideiussione omnibus........pag. 95 2.4 Delegazione, accollo ed espromissione di crediti futuri. Differenza delle soluzioni prospettate.........................................................pag. 108 2.5 Transazione e diritti futuri. L’obbligazione per il risarcimento dei danni futuri................................................................................pag. 117 CAPITOLO III – I CREDITI FUTURI TRA VALIDITÀ ED EFFICACIA DELL’ATTO 3.1 Oggetto del contratto e requisito della determinatezza. Premesse generali e introduzione............................................................pag. 125 3.2 La determinatezza dell’oggetto quale requisito logico-formale dell’atto...................................................................................pag. 133 3.3 La determinatezza dell’oggetto quale presidio a tutela delle parti contraenti.................................................................................pag. 141 3.4 La determinabilità del negozio su credito futuro alla luce dei dati derivanti dai diversi ambiti di fattispecie. Riconduzione a unità delle soluzioni elaborate..................................................................pag. 150 3.5 Conclusioni sul confine “remoto” del fenomeno credito futuro: la validità e l’efficacia del negozio su credito futuro nell’ottica della determinatezza quale requisito logico-formale.......................pag. 168 BIBLIOGRAFIA...............................................................................pag. 174 3 CAPITOLO I LA NOZIONE DI CREDITO FUTURO 4 1.1 L’art. 1348 cod. civ. e l’efficacia del negozio su bene futuro in generale L’indagine su di un fenomeno giuridico che si rivolge al futuro, e dell’incidenza del medesimo rispetto al negozio che lo ha ad oggetto, non può che prendere le mosse dalla analisi della norma di cui all’art. 1348 cod. civ.1, nella duplice ottica inerente alla collocazione sistematica della stessa ed all’efficacia generalmente riconosciuta al negozio su cosa futura. Sotto il primo punto di vista, si ritiene di potere focalizzare l’attenzione sulla collocazione della disposizione codicistica in parola nell’ambito della disciplina generale del contratto di cui al titolo II del libro IV del codice civile, per rilevare che, se da un lato non mancano opinioni tese, sulla scorta della presenza di una tendenziale frammentazione della disciplina del contratto suscettibile di fondare articolazioni basate su caratteristiche oggettive del regolamento negoziale ovvero inerenti alle qualità soggettive delle parti contraenti, a negare la centralità della disciplina generale alla quale la ratio dell’art. 1348 cod. civ. è ascrivibile2, e che appare sottesa 1 A norma dell’art. 1348 cod. civ., «La prestazione di cose future può essere dedotta in contratto, salvi i particolari divieti della legge». 2 V. DE NOVA, Sul rapporto tra disciplina generale dei contratti e disciplina dei singoli contratti, in Contr. impr., 1988, 332 ss. Cfr., anche, VITUCCI, Parte generale e parte speciale nella disciplina dei contratti, ivi, 1988, 809, secondo il quale l’aspirazione teorica alla formulazione delle categorie generali, recepita dal legislatore codicistico del 1942, va tenuta distinta dal risultato pratico al quale siffatto recepimento può dirsi addivenuto, nel senso, più precisamente, che l’attività ermeneutica volta a verificare se ciascuna norma sia o meno di applicazione generale non può essere basata solo ed esclusivamente 5 anche alla disposizione di cui all’art. 1323 cod. civ.3, dall’altro, sono state ribadite, in diversi momenti storici, le perduranti utilità e validità della distinzione tra parte generale e parte speciale e, per tale guisa, della costruzione di una categoria generale del contratto4. Di qui, l’esaltazione del ruolo generale quale corollario della centralità rivestita dai principi sottesi a ciascuna delle norme considerate e idonei, come tali, ad assicurare la robustezza e la tenuta in punto di stabilità dell’intero impianto codicistico5, piuttosto che l’affermazione secondo cui alle norme generali regolatrici dei contratti bisogna avere riguardo ai fini della disciplina degli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale ex all’art. 1324 cod. civ.6. sull’elemento della collocazione sistematica, al quale, per ciò solo, non può attribuirsi rilevanza decisiva; e BUONOCORE, Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrattuali, Milano, 2000, 178 s. 3 Art. 1323 cod. civ.: «Tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi che hanno una disciplina particolare, sono sottoposti alle norme generali contenute in questo titolo». 4 Così, già MESSINEO, Il contratto in generale, in Trattato di dir. civ. e comm. diretto da Cicu e Messineo, XXI, t. 1, Milano, 1968, 11 ss., che, nel quadro della ricostruzione del rapporto tra norme di parte generale del contratto e norme di parte speciale nell’ottica della reciproca combinazione e non esclusione, individua il duplice significato della locuzione «norme generali», di cui all’art. 1323 cod. civ., nelle disposizioni che preludono a quelle particolari proprie di ciascun tipo contrattuale e in quelle comuni a ciascuna fattispecie tipica in concorso con la disciplina speciale, concludendo per la maggiore fondatezza del secondo dei significati appena accennati. 5 Cfr. BENEDETTI, La categoria generale del contratto, in Riv. dir. civ., 1991, I, 669 s.; ed anche FERRI, Contratto e negozio: da un regolamento per categorie generali verso una disciplina per tipi?, in Riv. dir. comm., 1988, I, 428 s. 6 IRTI, Per una lettura dell’art. 1324 c.c., in Riv. dir. civ., 1994, I, 560. 6 Delineata nei termini che precedono la rilevanza di una parte generale di disciplina del contratto, quantomeno agli effetti della previsione e della comprensione dei principi informatori del sottosistema privatistico qui considerato, e ricompresa nell’ambito di quest’ultima la disposizione di cui all’art. 1348 cod. civ., appare di assoluta importanza spostare l’attenzione sugli aspetti caratterizzanti tale norma, al fine precipuo di descrivere l’efficacia giuridica propria del negozio avente a oggetto un bene futuro. In questo senso, vale la pena di puntualizzare, fin da questo momento, che il riferimento ai risultati ricostruttivi raggiunti in materia di compravendita di cosa futura appaia certamente imprescindibile, attesa la rilevanza pratica preponderante che siffatto tipo contrattuale riveste nel quadro più ampio dell’esplicarsi dei negozi su oggetto futuro. Tuttavia – ed è questo un aspetto essenziale – ciò non deve indurre né a confondere il piano, beninteso generale, sul quale la norma di cui all’art. 1348 si muove con quello delle singole tipicità contrattuali in cui la futurità dell’oggetto appare suscettibile di esplicarsi7; né, parimenti, a favorire l’emersione di una soluzione ermeneutica volta a limitare il riferimento alla «prestazione di cose future» al solo ambito della materialità delle cose, con tutte le conseguenze, 7 Secondo GABRIELLI, L’oggetto del contratto, in Il Codice Civile, Commentario diretto da Schlesinger, artt. 1346 – 1349, Milano, 2001, 149: «Sul piano metodologico occorre, infatti, operare una netta distinzione tra la figura generale (art. 1348 c.c.), che prevede la possibilità che il contratto abbia, non solo un oggetto presente, ma anche un oggetto futuro, e le singole figure speciali, come la vendita che ha per oggetto una cosa futura (art. 1472 c.c.)». 7 evidentemente restrittive, che ne deriverebbero quanto alla soluzione esegetica da ritenere preferibile agli effetti della definizione della portata applicativa dell’anzidetta disposizione codicistica generale. Ciò significa, in altri termini, che le elaborazioni maturate dalla scienza del diritto, con particolare riguardo alla fattispecie della vendita di cosa futura, paiono influenzate più dalla rilevanza pratica del tipo considerato, che da una qualche preclusione concettuale alla costruzione, sulla scorta della strada tracciata dal più volte ricordato art. 1348, di una categoria generale di negozio con oggetto futuro caratterizzato dalla omogeneità in termini di efficacia giuridica e nel quale il credito futuro, rectius l’atto avente a oggetto un credito futuro, può a giusto titolo essere ricompreso. Sulla base delle considerazioni che precedono, è di sicura utilità spostare l’attenzione sull’analisi della problematica concernente la elaborazione dogmatica condotta intorno alla figura dei negozi su cosa futura, per notare, preliminarmente, come la medesima sia stata al centro di un nutrito dibattito dottrinale, sviluppatosi già sotto la vigenza del precedente codice civile8. Ora, senza volere nella presente sede proporre una lettura analitica di ciascun indirizzo, si impone tuttavia di sottolineare che, seppure sulla base di differenti punti di partenza, essi muovano intorno alla necessità di 8 Per una breve panoramica degli indirizzi della scienza giuridica in ordine alla costruzione dogmatica del negozio su bene futuro emersi sotto il vigore del codice civile previgente e più recenti, v. GABRIELLI, L’oggetto del contratto, cit., 149 ss. 8 definire la questione concernente la distinzione temporale tra il piano del consenso in ordine alla formazione dell’atto su bene futuro e quello dell’efficacia del medesimo, inteso alla stregua di idoneità alla produzione dei relativi effetti giuridici. In questa direzione, si segnalano, innanzitutto, quegli indirizzi che, nel quadro di una ricostruzione dogmatica del negozio su cosa futura in termini di incompletezza dal lato oggettivo della fattispecie9, ne postulano una struttura procedimentale sugli schemi del negozio a formazione progressiva, ove l’elemento completante è proprio la venuta a esistenza del bene dedotto e che si caratterizza, ulteriormente, per l’anticipazione del consenso, attualmente prestato nonostante la natura futura del diritto della cui disposizione si tratta10. Altra posizione dottrinale spiega la natura del negozio su cosa futura sulla scorta del meccanismo della condizione sospensiva e, segnatamente, della condicio juris, ove, quindi, la venuta a esistenza del bene (ovvero la costituzione del diritto oggetto di disposizione) rappresenta proprio l’evento futuro che le parti deducono in contratto al fine di condizionarne 9 Salv. ROMANO, Vendita, Contratto estimatorio, in Trattato di diritto civile, diretto da Grosso e Santoro-Passarelli, V, Milano, 1960, 185. 10 Secondo RUBINO, La compravendita, in Trattato di dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, XXIII, Milano, 1962, 178, il negozio a consenso anticipato costituisce «una delle ipotesi di inversione dell’ordine cronologico di formazione degli atti giuridici in genere e dei negozi giuridici in particolare», con la conseguenza che il negozio in esame andrebbe considerato in corso di formazione con riguardo all’oggetto, ma non in ordine all’elemento del consenso, già formatosi e rispetto al quale l’atto stesso sarebbe da ritenere già concluso. 9 sospensivamente l’efficacia giuridica11. Sempre sul piano della sospensione dell’efficacia si muove quella tesi che preferisce descrivere il meccanismo sotteso al negozio su bene futuro facendo leva sui cosiddetti coelementi necessari dell’effetto, nel senso, più precisamente, che tali sono da considerare i fatti costitutivi del bene futuro di cui si tratta, poiché «incidono sulla struttura intrinseca dell’effetto, costituendo le fonti di determinazione degli elementi strutturali della conseguenza giuridica, cioè del soggetto e dell’oggetto»12. Vale la pena, infine, di dare conto dell’ulteriore indirizzo che, sempre nel solco dell’analisi dell’incidenza che il carattere futuro del bene oggetto spiega sull’efficacia del negozio che lo riguarda, sposta l’attenzione sulla utilità di tenere distinti i diversi piani del contratto, da un lato, e del rapporto che ne deriva, dall’altro. In altri termini, l’ipotesi ricostruttiva ora in commento sottolinea come si debba rifuggire da qualsivoglia soluzione incentrata intorno al presupposto della incompletezza del negozio su bene futuro, il quale, di converso, deve essere considerato completo, sebbene diverso sul piano dell’oggetto rispetto al contratto suscettibile di produrre tutti gli effetti che gli sono propri, ivi compresi quelli di natura reale, con la conseguenza che, sulla scorta delle premesse che precedono, il requisito 11 Per l’analisi di tale teoria, cfr. PERLINGIERI, I negozi su beni futuri, I, La compravendita di «cosa futura», Napoli, 1962, 138 ss. 12 Così, FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941, 160. 10 della attualità del bene assume portata essenziale agli effetti della produzione di una data situazione effettuale, ma non anche ai fini di integrare il negozio dal punto di vista costitutivo13. 13 Per tale indirizzo, v. SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Artt. 1321-1352, Bologna-Roma, 1970, 371 s. 11 1.2 La prestazione di cosa futura. Cosa futura e diritto futuro Assunta la norma di cui all’art. 1348 cod. civ. a punto di partenza ai fini della ricostruzione del negozio su bene futuro, con particolare riguardo ai crediti futuri, si impone, tuttavia, di prendere in considerazione altresì gli elementi che, nonostante il riferimento testuale alla «prestazione di cose future», consentono, in via del tutto pacifica in dottrina, di fondare un’interpretazione suscettibile di ricomprendervi ogni negozio su diritto futuro14, salvo, come si avrà occasione di meglio rilevare in appresso15, interrogarsi sui confini propri della nozione di diritto futuro e, agli effetti che qui interessano maggiormente, di credito futuro. Appare utile puntualizzare, in via di prima approssimazione, che, fermo quanto si dirà nel corso del presente paragrafo in ordine al rapporto tra le nozioni di cosa e bene, il riferimento codicistico alla mera prestazione non sembri proprio legittimare una soluzione ermeneutica tesa a limitare la portata applicativa della norma generale qui esaminata ai soli negozi a effetti obbligatori, laddove è agevole rilevare il contrario, ossia la possibilità di ricomprendervi anche le ipotesi di contratti a efficacia reale, atteso, peraltro, l’importante ruolo svolto dal connesso art. 1472 cod. civ.16. Sotto un differente angolo visuale, è anche al rapporto tra i concetti di cosa futura e bene futuro che bisogna avere riguardo, per non limitare la 14 GABRIELLI, L’oggetto del contratto, cit., 159. 15 V., infra, §§ 1.4, 1.5 e 1.6. 16 Cfr. SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, cit., 367. 12 previsione della norma di cui all’art. 1348 alla sola sfera della “materialità”, rectius ai soli negozi aventi a oggetto un dato fisico, con l’esclusione di ogni altra entità, tra cui finirebbero per ricadere i medesimi diritti. La soluzione estensiva, della cui bontà nessuno oggi dubita, pare, a ben vedere, ugualmente meritevole di accoglimento e sostegno a prescindere dalla posizione di partenza che l’interprete intenda assumere sulla complessa tematica riguardante le nozioni di cosa e bene, con la conseguenza che la costruzione dogmatica di un negozio su bene futuro, che rintraccia nella previsione della più volte ricordata disposizione contenuta nell’art. 1348 la propria valvola generale d’ingresso nel nostro ordinamento, non sembra passare necessariamente attraverso il superamento dell’accennata dicotomia, pur prospettandone, come si avrà modo di notare subito oltre, un certo stemperamento, quantomeno nel momento del passaggio da un piano di indagine di tipo materiale a un altro di carattere più squisitamente giuridico. È, comunque, dalla disposizione di cui all’art. 810 cod. civ.17 che bisogna muovere al fine di affrontare l’accennata indagine, atteso che una interpretazione rigida e letterale della medesima potrebbe parimenti legittimare una soluzione ben più stringente, in quanto basata sul sostanziale accostamento delle nozioni di cui qui si tratta o, meglio, assorbimento dell’una nell’altra, nel senso della limitazione della categoria dei beni 17 Art. 810 cod. civ.: «Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti». 13 giuridici alle sole cose, con esclusione di entità che cose in senso stretto non sono18. Ora, vale la pena, innanzitutto, di rilevare come di scarsissimo ausilio, al fine di sciogliere la problematica di cui qui si tratta, sia un approccio di tipo rigidamente normativo, volto, più precisamente, alla considerazione dei significati in cui i più volte ricordati termini di “bene” e “cosa” sono stati utilizzati nell’ambito dei vari libri del codice civile. Il panorama che se ne trae, infatti, è connotato dai tratti della evidente disomogeneità, stante l’utilizzo promiscuo di detti termini riscontrabile in più parti del codice civile, dal che deriva l’impossibilità di ricavare i rispettivi significati specifici e, come tali, non intercambiabili19. Il superamento della dicotomia cosa-bene è stato prospettato da quell’indirizzo che, sulla base del riconoscimento del carattere della giuridicità anche al primo degli anzidetti termini, propone una lettura dell’art. 810 nel segno di una tendenzialmente completa corrispondenza tra le due nozioni20, al punto da potere affermare che «cosa è qualunque entità, 18 SATTA, Cose e beni nell’esecuzione forzata, in Riv. dir. comm., 1964, I, 350. 19 Cfr. ALLARA, Dei beni, Milano, 1984, 8, il quale sottolinea come la mancanza di una terminologia rigorosa sia connotato non solo del codice civile, ma anche della legislazione speciale; e ZENO-ZENCOVICH, voce Cosa, in Dig. disc. priv., sez. civ., IV, Torino, 1989, 440 ss., secondo il quale la scarsa omogeneità sul piano terminologico è il portato della differente paternità dei vari libri del codice civile, in una con l’assenza di un lavoro di coordinamento dei medesimi. 20 V. BIONDI, I beni, in Trattato di dir. civ. italiano, diretto da Vassalli, IV, t. 1, Torino, 1956, 14 ss., secondo cui i due termini di cui qui si tratta valgono a individuare la 14 materiale od immateriale, che sia giuridicamente rilevante, cioè sia presa in considerazione dalla legge, in quanto forma o può formare obietto di rapporti giuridici. Cosa è il riferimento oggettivo del diritto soggettivo»21. Siffatto accomunamento dei termini sul piano dei rispettivi significati, a ben vedere, prende le mosse dalla considerazione della disposizione di cui all’art. 810 quale norma idonea a delineare una corrispondenza pressoché perfetta tra beni e cose, nella misura in cui alla norma ivi contenuta venga riconosciuto un ruolo limitato alla definizione del concetto di bene, senza, tuttavia, potere fondare una dicotomia di carattere ontologico, in quanto basata sulla natura stessa delle entità suscettibili di essere oggetto di diritti e, a tale stregua, centri di imputazione di utilità e interessi soggettivi. Ciò, in una con la presa in esame della norma contenuta nel successivo art. 813, che, attraverso l’accostamento tra beni e relativi diritti, segnerebbe una generale comprensione nel concetto di bene, rectius di cosa, di qualsivoglia entità, materiale ovvero immateriale che sia, rilevante per il diritto in quanto possibile oggetto di situazioni giuridiche soggettive22. medesima entità da diversi punti di vista, in quanto il termine “cosa” allude alla oggettività esterna al soggetto, mentre quello di “bene” inerisce all’utilità soggettiva che ne deriva al titolare; ID., voce Cosa (diritto civile), in Noviss. dig. it., IV, Torino, 1959, 1010 s. Cfr., anche, LOCATELLI, voce Oggetto dei diritti, in Noviss. dig. it., XI, Torino, 1965, 780, il quale propone una generale equivalenza tra i termini di “bene” e “cosa”, da un lato, e di “oggetto del diritto”, dall’altro. 21 Così, BIONDI, Cosa (diritto civile), cit., 1009. 22 BIONDI, I beni, cit., 5. 15 Sennonché, la soluzione prospettata nella presente indagine in ordine alla considerazione della norma di cui all’art. 1348 quale “canale” generale di ingresso nel nostro ordinamento del negozio su diritti futuri, e quindi anche su crediti che abbiano tale carattere, non passa necessariamente attraverso il superamento della dicotomia tra le nozioni di “cosa” e “bene”, dato che, come si avrà modo di rilevare subito appresso, a medesime conclusioni si ritiene di potere giungere anche salvaguardando una sfera di autonomia a ciascuna di esse. Il riferimento è alla tradizionale definizione del bene quale nozione prettamente giuridica e, quindi, ideale e formale, giacché queste sono le caratteristiche principali del relativo criterio di qualificazione, a mezzo del quale si può finalmente affermare di essere di fronte a un’entità che abbia i connotati del bene giuridico in senso proprio. In altri termini, se la cosa in senso stretto vale a individuare un elemento della realtà di tipo materiale, la trasformazione del medesimo in bene giuridico postula il passaggio dall’anzidetto piano materiale, pre-giuridico ed extra-giuridico allo stesso tempo, a quello prettamente formale del diritto, attraverso un processo di qualificazione come interesse sotteso a una posizione giuridicamente rilevante e, come tale, tutelata23. Ne deriva, sulla scorta di quanto precede, 23 Cfr., tra gli altri, MESSINETTI, Oggettività giuridica delle cose incorporali, Milano, 1970, 108 ss.; ID., voce Oggetto dei diritti, in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, 812 ss.; PUGLIATTI, Beni immobili e beni mobili, Milano, 1967, 192: «la nozione di cosa è pregiuridica e neutra, in quanto costituisce l’elemento materiale del concetto giuridico di 16 che, da un lato, il tratto della materialità, proprio della cosa in senso stretto, non vale a esaurire il novero dei possibili presupposti della qualificazione giuridica di bene, poiché tale ultima qualità può essere riconosciuta anche in capo a entità che cose certamente non sono, e che, dall’altro lato, intervenuta la qualificazione giuridica di bene, l’eventuale substrato naturalistico perde di rilevanza specifica24. Il punto di vista ora accennato produce rilevanti effetti anche sulla interpretazione della disposizione di cui all’art. 810 e sulla portata generale da riconoscere alla norma che la medesima esprime. Segnatamente, appare evidente come l’eccessiva esaltazione del ruolo di essa possa condurre alla conseguenza di limitare il novero dei beni giuridici all’ambito della materialità, laddove siffatta conclusione, da ritenere insufficiente di fronte a un panorama di beni giuridici ben più ampio e articolato, è agevolmente superabile attraverso l’attribuzione alla descritta formula legislativa di quello che sembra il significato suo proprio, il quale, ben lungi dall’esaurire il criterio di definizione dei beni in senso giuridico complessivamente considerati, vale a indicarne uno soltanto, in quanto limitato a quei beni bene, attraverso l’interesse che l’ordinamento giuridico tende a tutelare, attribuendo al soggetto un determinato diritto. In sostanza la cosa è il punto di riferimento oggettivo al quale si ricollega l’interesse costituente il nucleo del diritto soggettivo, e il bene è l’espressione oggettiva (elemento del patrimonio in senso giuridico) di quel tale interesse tutelato dal diritto e riferito al soggetto»; SCOZZAFAVA, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, Milano, 1982, 32 ss. 24 In ordine alla natura prettamente formale della nozione di bene, v. PUGLIATTI, voce Cosa (teoria generale), in Enc. dir., XI, Milano, 1962, 19. 17 dotati di un substrato fisico, qualora si sposti il punto di vista dal piano giuridico a quello materiale25. Corollario dell’insieme delle esposte considerazioni è che, atteso l’utilizzo promiscuo dei termini “bene” e “cosa” da parte del legislatore, segnatamente codicistico ma non solo, non si ritiene di potere appesantire di eccessivo significato la norma di cui al’art. 810, sino ad esaurire suo tramite il panorama dei beni giuridici nel nostro ordinamento, con la conseguenza che la nozione di «prestazione di cose future» di cui all’art. 1348, per un verso, è da ritenere suscettibile di ricomprendere anche i crediti futuri, e non soltanto quelli aventi a oggetto un bene materiale, e, per altro verso, è da ritenersi suscettibile di consentire l’ingresso nel nostro ordinamento del negozio su bene futuro generalmente inteso, categoria nell’ambito della quale va ricompreso anche il negozio su diritto futuro26. 25 MESSINETTI, Oggettività giuridica delle cose incorporali, cit., 123. Cfr., anche, SCOZZAFAVA, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, cit., 44, secondo il quale la norma di cui all’art. 810 cod. civ. è «il portato di una tradizione giuridica secolare e di un sistema economico, che consentiva una totale identificazione della ricchezza con le cose: storicamente è, insomma, accaduto che, se pure con delle eccezioni non trascurabili tutti i beni in senso giuridico sono coincisi, a livello di fatto, con le cose, ossia con le entità caratterizzate dal tratto della corporalità». 26 Così, LA PORTA, La causa del trasferimento del credito, gli effetti preliminari e la disposizione del diritto futuro, nota a Trib. Bari, 27 luglio 1996 e a Trib. Bari, 6 novembre 1996, in Banca, borsa e tit. cred., 1998, II, 723: «Il fondamento normativo della disposizione del diritto futuro viene rinvenuto generalmente nell’art. 1348 c.c., che consente di affermare, senza alcun timore di smentita, che il contratto, comunque si atteggi quanto agli effetti, può avere ad oggetto un bene futuro, intendendo per tale non soltanto un 18 Ebbene, a prescindere per un solo momento dalla definizione generale di diritto futuro e di credito futuro nello specifico, di cui si dirà in appresso, si impone, fin da subito, di puntualizzare che una considerazione del tutto giuridica e, quindi, ideale del concetto di bene, quale è quella sottolineata nelle pagine che precedono, portato di un processo di qualificazione delle entità, materiali ovvero immateriali che siano, verso le quali si indirizza l’interesse del soggetto, sembra postulare decisamente la comprensione dei diritti nel quadro di siffatte entità. Segnatamente, di diritto alla stregua di bene giuridico, ovvero di diritto sul diritto, potrà parlarsi nelle sole ipotesi in cui si assista a una forma di sovrapposizione a un primo diritto avente ad oggetto un bene, di un secondo diritto che ha ad oggetto il primo, senza, tuttavia, incidere in alcun modo sul relativo contenuto27. bene-cosa non ancora presente in natura ma pure un diritto la cui fattispecie generatrice non si è ancora determinata nei suoi elementi costitutivi minimi». 27 Sulla figura del diritto sul diritto, cfr. ZENO-ZENCOVICH, Cosa, cit., 448, il quale rileva il carattere derivato e, in qualche modo, astratto di tale categoria, nel senso che a monte del delineato meccanismo deve necessariamente sussistere un diritto avente a oggetto un bene diverso da un altro diritto, e, con riguardo ad esso, parla di un processo di qualificazione di secondo grado. 19 1.3 Diritto futuro e credito futuro. La nozione di credito futuro e i confini del fenomeno. Il confine “prossimo” e quello “remoto”. Introduzione Il dato meramente materiale, di cui è stata già sottolineata l’insufficienza sul piano della qualificazione della cosa alla stregua di bene giuridico in senso proprio, retrocede in maniera ancora più netta qualora si sposti il punto di vista dal piano delle cose-beni a quello del diritto-bene, atteso che, fermo restando il carattere in ogni caso necessario di un approccio prettamente giuridico, e quindi ideale, è il substrato materiale quale centro di imputazione dell’interesse del soggetto titolare che viene meno nel secondo dei casi indicati, quantomeno in via diretta e non mediata. È stato ulteriormente rilevato come l’art. 1348 cod. civ. possa essere inteso quale valvola di ingresso generale nel nostro ordinamento giusprivatistico della figura del negozio su diritti futuri e, quindi, anche su crediti che abbiano il tratto della futurità, ove, più precisamente, come tali debbono intendersi i «diritti derivanti da fattispecie negoziali o legali non ancora perfezionate»28. L’anzidetta definizione, certamente condivisibile nella misura in cui appare intuitivamente generale e onnicomprensiva, impone, tuttavia, ulteriori puntualizzazioni e consente l’emersione di taluni interrogativi in 28 L’espressione sopra riportata è di BIANCA, La vendita e la permuta, in Trattato di dir. civ. italiano, fondato da Vassalli, VII, t. 1, Torino, 1993, 375. 20 ordine alla figura del credito futuro, ai quali, nel corso della presente trattazione, si tenterà di dare una risposta. In questo senso, il riferimento al mancato perfezionamento della fattispecie costitutiva del credito futuro suggerisce di avere riguardo al titolo da cui deriva l’effetto, per l’appunto costitutivo, dell’obbligo. Sennonché – ed è questo il punto – il riferimento alla incompletezza della fattispecie costitutiva dell’obbligo giuridico se, da un lato, soddisfa l’esigenza di una definizione quanto più elastica possibile del credito futuro, dall’altro, non esaurisce la relativa indagine, poiché non consente ancora di prendere posizione sui confini del fenomeno in esame. Più precisamente, la figura del credito futuro, alla luce della definizione generalissima di diritto futuro dalla quale si è ritenuto di potere prendere le mosse, pare muoversi all’interno di due termini che valgono a tracciarne i relativi confini di rilevanza giuridica autonoma, l’uno certamente “prossimo” all’esistenza attuale, l’altro “remoto” in quanto suscettibile di individuare quel minimum in mancanza del quale alcuna rilevanza può essere attribuita al fenomeno a causa delle conseguenze invalidanti che siffatto stato produrrebbe sul negozio avente a oggetto il credito di cui si tratta. Ma, è bene procedere con ordine e sintetizzare, beninteso in via del tutto introduttiva, i due poli all’interno dei quali il fenomeno del credito futuro può essere fatto fluttuare. 21 Quanto al cosiddetto “confine prossimo” della nozione in esame, il problema della corretta individuazione del margine suscettibile di separare l’esistenza attuale dalla futurità del credito, se, in un senso, appare agevolmente risolvibile per quelle obbligazioni derivanti da fattispecie in corso di perfezionamento e il cui stato di completamento, in quanto non abbia ancora prodotto alcun effetto giuridico di natura per così dire preliminare, non consente di revocare in dubbio il carattere propriamente futuro della situazione giuridica soggettiva considerata, sottopone, in altro senso, all’attenzione del giurista elementi di ben maggiore complessità nel momento stesso in cui si rivolga l’attenzione a quelle peculiari ipotesi nelle quali il grado di particolare avanzamento della fattispecie costitutiva del credito importa una più spiccata rilevanza giuridica, testimoniata dalla possibilità di isolare la produzione già di taluni effetti giuridici, seppure generalmente intesi alla stregua di dati strumentali alla nascita del diritto nella sua interezza. Ci si riferisce, nello specifico, ai casi di diritti di credito derivanti da fattispecie sottoposte a condizione sospensiva o a termine iniziale di efficacia29; ovvero derivanti da rapporti di durata caratterizzati dalla continuità o periodicità delle prestazioni oggetto dei medesimi 30. La parziale integrazione della fattispecie costitutiva del rapporto obbligatorio, o, meglio, il particolare stato di formazione della stessa, vale ad accomunare talune delle ipotesi succitate, dato che l’insorgenza medio tempore di 29 Ipotesi sulle quali v., infra, rispettivamente §§ 1.4 e 1.5. 30 V., infra, § 1.6. 22 cosiddetti effetti giuridici preliminari importa la difficoltà di delineare la natura e il ruolo di questi ultimi, autonomamente considerati e anche in relazione all’effetto finale della fattispecie costitutiva, al fine precipuo di fondare attorno alla presa in esame dei medesimi l’esistenza di una situazione giuridica attuale diversa rispetto al diritto di credito della cui costituzione si tratta e della cui futurità allora non dovrebbe dubitarsi. Ovvero di escludere tale ultima conclusione sulla scorta di un più restrittivo approccio in ordine ai primi31. Di converso, se, sul piano strettamente descrittivo, il carattere futuro non può essere messo in discussione in ordine ai crediti derivanti da fattispecie che oltre il presente si collocano per intero32, su quello più propriamente pratico-giuridico la tematica appare tutt’altro che esente dal suscitare spunti di riflessione dotati di importanti riflessi pratici. La rilevanza del fenomeno credito futuro, infatti, pare proprio passare attraverso l’analisi dell’incidenza di esso sulla validità del negozio che lo ha a oggetto, ad esempio perché attraverso quest’ultimo se ne dispone. L’attenzione, in altri termini, deve essere rivolta ai requisiti previsti dall’art. 1346 cod. civ. in capo all’oggetto del contratto33, al fine specifico di verificare se la futurità del credito oggetto 31 Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, Padova, 1999, 54. 32 TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 54 s. 33 Art. 1346 cod. civ.: «L’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile». 23 del negozio incida sul requisito della determinabilità di esso oppure su quello della possibilità. Il nodo da sciogliere non è di secondaria importanza neppure alla luce delle conseguenze suscettibili di derivarne sul piano pratico. Vale la pena di notare, infatti, che, qualora si prendano le mosse da un approccio che consideri la futurità del credito dedotto in negozio quale carattere idoneo a incidere sulla determinabilità dell’oggetto di esso, il problema da affrontare sarà quello dei requisiti minimi che la fattispecie costitutiva del credito medesimo deve rivestire agli effetti di sfuggire dalla conseguenza dell’invalidità, nella forma della nullità, dell’atto avente a oggetto il credito futuro. Diversamente, sulla scorta di un più elastico punto di vista, teso a mettere in relazione la futurità del credito dedotto in contratto col differente requisito della possibilità dell’oggetto del negozio, si giunge alla conclusione di potere prescindere dal grado di perfezionamento eventualmente raggiunto dal titolo costitutivo del credito, attesa la minore rigidità del requisito di validità del contratto utilizzato quale parametro di riferimento in questo secondo caso. È questa la problematica inerente a quello che si è ritenuto di potere definire alla stregua di confine “remoto” del fenomeno credito futuro, in quanto la rilevanza giuridica dello stesso non può che essere fatta dipendere dalla sua valida deducibilità in negozio e, quindi, non si ritiene di potere 24 rivolgere l’attenzione a crediti la cui futurità sia eventualmente intesa quale idonea a precludere la validità degli atti che li abbiano a oggetto. 25 1.4 Ipotesi controverse: a) i crediti derivanti da fattispecie sospensivamente condizionate Atteso che, come sopra accennato, la tematica inerente al cosiddetto confine “prossimo” della nozione di credito futuro ruota intorno alla corretta delimitazione della linea discretiva tra l’oggetto della presente trattazione e una serie di ipotesi in cui lo stato di particolare avanzamento della fattispecie costitutiva del rapporto obbligatorio, in una con la produzione di taluni effetti giuridici in ispecie preliminari, consente di dubitare in ordine alla effettiva futurità del credito che ne deriva, la prima attenzione non può che essere riservata ai casi di crediti suscettibili di sorgere da fattispecie condizionali, segnatamente ai crediti la cui costituzione è subordinata a condizione sospensiva di efficacia. Problematica, quest’ultima, che giocoforza finisce per investire la valutazione del significato da attribuire alla produzione di effetti giuridici, segnatamente preliminari in quanto antecedenti e indipendenti dall’avveramento dell’evento futuro ed incerto dedotto in condizione, anche al fine di fondare eventualmente intorno ad essi la costruzione di una situazione giuridica soggettiva autonoma e distinta dal diritto condizionato, id est l’aspettativa, che, se del caso, non finisca per ridursi a mera formula descrittiva dell’insieme degli anzidetti effetti giuridici preliminari, i quali, si noti bene, nel contesto delle fattispecie condizionali assumono particolare rilevanza e portata. 26 Premesso quanto precede, vale la pena di rilevare subito, in via ancora introduttiva, che la problematica generale del rapporto tra diritto futuro e diritto sospensivamente condizionato è stata affrontata dalla dottrina con particolare riguardo all’ipotesi della cessione del credito e ha visto l’emersione di due correnti generali che, è il caso di anticipare, per quanto prendano le mosse da presupposti teorici differenti, non appaiono risolutive al fine che qui interessa, impegnate, come sono, a prendere posizione in ordine all’eventuale dignità autonoma da riconoscere in capo all’aspettativa di diritto nel panorama delle situazioni giuridiche soggettive. Sotto questo punto di vista, infatti, appare di assoluta importanza sottolineare come la prima corrente dottrinaria di cui si accennava sopra se, da un lato, pare escludere che il diritto condizionato sia configurabile alla stregua di vero e proprio diritto futuro, dall’altro, giunge a siffatta conclusione non sulla base di valutazioni che investono direttamente il primo, bensì attraverso un’esaltazione di quella situazione prodromica, che, come detto, ruota intorno agli effetti preliminari della fattispecie condizionale e prende il nome di aspettativa di diritto. Così, si afferma che «la vendita del c.d. diritto condizionato, non è vendita di un diritto futuro, ma di un diritto presente ad attuale, di natura provvisoria e strumentale, inteso come diritto al diritto»34. 34 Così, PERLINGIERI, I negozi su beni futuri, I, La compravendita di «cosa futura», cit., 36. Nello stesso senso, pare potersi descrivere anche il pensiero di BIANCA, La vendita e la permuta, cit., 375, il quale, proprio al fine precipuo di porre una distinzione tra diritto 27 Alla base di una simile impostazione è possibile individuare, in estrema sintesi, un triplice ordine di considerazioni35. Un primo ambito di notazioni inerisce alla descrizione delle fattispecie sospensivamente condizionate alla stregua di ipotesi in cui, a fronte della completezza delle medesime sul piano della presenza degli elementi costitutivi essenziali, l’evento condizionante vale ad incidere solo ed esclusivamente sull’efficacia finale di esse, con la conseguenza che già nel momento antecedente all’eventuale verificazione della condizione sospensiva sono ricollegabili alla fattispecie costitutiva considerata taluni effetti, preliminari o prodromici nella misura in cui vengano considerati funzionali alla produzione di quelli definitivi, suscettibili di consentire l’emersione di una specifica situazione giuridica soggettiva autonoma definibile in termini di aspettativa di diritto. In secondo luogo, è da ritenere che l’anzidetta situazione sia suscettibile di essere fatta oggetto di negozi traslativi che, proprio in quanto riguardino una posizione distinta e, sia consentito ripetere, autonoma rispetto al diritto finale, il cui sorgere dipenderà dall’eventuale avveramento dell’evento futuro, in quanto derivante da fattispecie incompleta, e diritto condizionato, descrive quest’ultimo in termini di «autonoma posizione di vantaggio di cui può attualmente disporsi come di un diritto presente», con la conseguenza che la vicenda traslativa di esso «relega il verificarsi o il mancato verificarsi della condizione ad un evento che concerne ormai la sfera giuridica del nuovo titolare»; e di RUBINO, La compravendita, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, XXIII, Milano, 1962, 175 s. 35 Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 63 s. 28 dedotto in condizione, appaiono idonei a produrre effetti diversi rispetto al trasferimento della situazione finale e definitiva. Infine, e si giunge così al terzo gruppo delle accennate considerazioni, quale conseguenza delle premesse cui si accennava appena sopra è stato affermato che il trasferimento del diritto condizionato si risolve in ogni caso, o quantomeno in via assolutamente prevalente, nell’alienazione della situazione preliminare di aspettativa, considerata quale attuale e in questo senso distinta dal diritto condizionato (inteso come futuro poiché condizionato ad un evento futuro), con la conseguenza di ritenere che siffatta fattispecie non possa essere in nessun caso, o comunque nella maggior parte delle ipotesi, considerata alla stregua di cessione di credito futuro. Di converso, la seconda corrente dottrinaria accennata postula un accostamento dei diritti condizionali a quelli futuri, con tutto quanto ne deriva in ordine alla qualificazione dei negozi che ne realizzano la disposizione, i quali, a tale stregua, andrebbero considerati atti aventi a oggetto diritti futuri36. È ora il caso di sottolineare come il confronto tra i due indirizzi appena individuati si giochi sul terreno della qualificazione e della presa di posizione più generale in ordine al problema dell’aspettativa, ossia, segnatamente, se la medesima sia o meno suscettibile di essere considerata 36 V., tra gli altri, MIRABELLI, I singoli contratti, artt. 1470-1765 c.c., in Commentario del cod. civ., libro IV, t. 3, Torino, 1991, 22. 29 un’autonoma ed attuale situazione giuridica soggettiva, distinta come tale rispetto al diritto condizionato, e, per tale via, idonea ad essere oggetto di negozi giuridici che prescindano da quest’ultimo per riferire i propri effetti immediatamente alla prima. Così, quale presupposto della tesi che esclude che il negozio dispositivo di un credito derivante da fattispecie condizionale possa essere considerato, in ogni caso o comunque nella maggior parte delle ipotesi, quale atto avente ad oggetto un diritto futuro, non può che esservi l’impostazione che esalta l’autonoma rilevanza giuridica dell’aspettativa di diritto37, a prescindere poi dall’inserimento di essa nel novero dei diritti soggettivi38 ovvero dal 37 Che il presente discorso debba essere limitato all’aspettativa di diritto, caratterizzata dalla protezione attualmente riconosciuta dall’ordinamento al titolare dell’acquisto, rectius dell’interesse all’acquisto, per distinguerla dall’aspettativa di mero fatto, nel quale ultimo caso tale interesse non risulta assistito da alcuna protezione giuridica attuale, è dato generalmente accolto. In tal senso, cfr., tra gli altri, SCOGNAMIGLIO, voce Aspettativa di diritto, in Enc. dir., III, Milano, 1958, 226 ss.; PELOSI, voce Aspettativa di diritto, in Dig. disc. priv., sez. civ., I, Torino, 1987, 465. Contra, tuttavia, nel senso della difficoltà di tracciare una precisa linea di demarcazione tra speranza di diritto e speranza di mero fatto, MAIORCA, Il pegno di cosa futura ed il pegno di cosa altrui, Milano, 1938, 383. 38 Di un diritto di aspettativa alla stregua di «diritto soggettivo attuale, pieno e incondizionato, rilevante e operante di per sé e non in quanto germe o momento di formazione del diritto finale che comincia a esistere se e quando venga ad esistenza l’evento condizionante» parla FALZEA, voce Condizione. I) Diritto civile, in Enc. giur. Treccani, VII, Roma, 1988, 5. Nel senso della qualificazione dell’aspettativa alla stregua di vera e propria posizione di diritto soggettivo, cfr., anche, PERLINGIERI, I negozi su beni futuri, I, La compravendita di «cosa futura», cit., 24 ss. e 36, il quale fonda sulla titolarità immediata ed attuale in capo al titolare del diritto condizionato di un «diritto all’acquisto del diritto futuro» l’esistenza di un cosiddetto rapporto condizionale, atteso che è dato rilevare come gravi sugli altri contraenti e, comunque, sui terzi interessati l’obbligo di non 30 ricostruire intorno alla medesima una specifica e concettualmente autonoma posizione giuridica di vantaggio, senza, tuttavia e anche in quest’ultimo caso, che vi sia unanimità di vedute intorno alla portata di siffatta pretesa posizione di vantaggio e ai rapporti tra questa e il diritto subiettivo in senso stretto39. A una più attenta analisi del problema, tuttavia, appare evidente come i risultati raggiunti dalla dottrina in ordine alla tematica inerente alla qualificazione del negozio dispositivo di un diritto sospensivamente condizionato non consentano di sciogliere in maniera risolutiva il nodo afferente la natura futura o meno del credito derivante da fattispecie condizionale. impedire il verificarsi dell’evento condizionante e, più in generale, di comportarsi secondo buona fede, diligenza e correttezza. In giurisprudenza, in ordine alla titolarità in capo all’acquirente di un diritto sospensivamente condizionato di un differente diritto di natura strumentale rispetto all’effetto acquisitivo definitivo, v. Cass. 18 ottobre 1956, n. 3709, in Riv. dir. comm., 1957, II, 272 ss. 39 Cfr., in tal senso, NICOLÒ, voce Aspettativa (dir. civ.), in Enc. giur. Treccani, III, Roma, 1988, 3, secondo cui l’impossibilità di ricondurre l’aspettativa di diritto al quadro dei diritti soggettivi è il corollario della complessità che vale a connotarla sul piano del contenuto e delle relative forme di tutela; RESCIGNO, voce Condizione (dir. vig.), in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, 797, che colloca l’aspettativa tra il mero potere di fatto ed il diritto soggettivo pieno; PELOSI, Aspettativa di diritto, cit., 468, a parere del quale è inopportuna l’estensione dei confini della figura del diritto soggettivo sino a ricomprendervi anche l’aspettativa di diritto, poiché ciò finirebbe per cagionare la genericità, la vaghezza e, quindi, la stessa inutilità del primo. Sulla scorta di tali presupposti, l’Autore ritiene preferibile limitarsi ad una definizione generalissima dell’aspettativa medesima, sulla base della quale essa ricomprende l’insieme delle facoltà che spettano al relativo titolare e, per tale via, ne segna la riconduzione nel quadro delle situazioni giuridiche soggettive. 31 Più precisamente, infatti, e come si è già avuto occasione di accennare appena sopra, se il punto nodale della illustrata contrapposizione di orientamenti ruota intorno all’influenza che viene comunemente riferita alla produzione di effetti giuridici preliminari rispetto ad una fattispecie che porterà alla costituzione del diritto definitivo solo qualora l’evento condizionante si verifichi effettivamente, ne deriva, allora, che l’esclusione del negozio dispositivo del credito condizionato dal novero degli atti su diritti futuri non presuppone necessariamente una presa di posizione diretta e specifica in ordine alla qualificazione del credito medesimo, quanto, soprattutto, la portata assorbente eventualmente riconosciuta alla situazione preliminare, che taluno ritiene di individuare nella cosiddetta aspettativa di diritto40. Analizzata la questione secondo tale ultimo angolo prospettico, la conclusione cui è dato di pervenire appare tutt’altro che risolutiva in riguardo alla tematica che qui occupa. Infatti, anche qualora si escluda che il negozio avente a oggetto la disposizione di un diritto derivante da fattispecie condizionale rientri nel novero degli atti su diritti futuri, ad una più attenta analisi delle argomentazioni poste a fondamento di siffatta conclusione – vale la pena di ripetere – appare di tutta evidenza come la relativa presa di posizione non sia dettata da una esclusione del carattere futuro del credito condizionato fondata su elementi giuridici intrinseci al medesimo ovvero al meccanismo condizionale in sé e per sé considerato, bensì dal ruolo 40 Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 83. 32 assorbente che, nel caso di specie, viene ricondotto alla produzione di effetti preliminari e alla situazione giuridica di aspettativa di diritto che intorno ad essi è stata costruita41. Di qui si genera la posizione di chi, sulla scorta delle considerazioni che precedono, ha sottolineato come, pur potendo rientrare il credito condizionato nel quadro dei diritti futuri in senso lato in quanto posizione giuridica non ancora presente nella titolarità di alcuno, la produzione di effetti giuridici preliminari pone il problema della effettiva utilità di accogliere un accostamento tra le due categorie accennate42. I termini della questione, tuttavia, possono essere invertiti là dove si prescinda dal punto di vista, tutt’altro che pacifico come si è già avuto modo di rilevare, secondo il quale il complesso dei cosiddetti effetti preliminari varrebbe a qualificare sul piano giuridico, fino a consentirne l’isolamento, una specifica e autonoma posizione soggettiva (ci si riferisce, come è evidente, all’aspettativa di diritto). Qualora, infatti, si prendano le mosse da quell’orientamento che nega all’aspettativa di diritto dignità di autonoma 41 V., in tal senso, LA PORTA, Il trasferimento delle aspettative. Contributo allo studio delle situazioni soggettive attive, Napoli, 1995, 285 ss., il quale fonda la distinzione tra negozio di trasferimento dell’aspettativa e negozio dispositivo di un diritto futuro sulla eventuale produzione di effetti preliminari a presidio della costituzione del diritto definitivo, che varrebbe a qualificare la prima ipotesi rispetto alla seconda. Cfr., tuttavia, TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 112 ss., secondo cui la scelta tra la figura del negozio dispositivo dell’aspettativa e dell’atto avente ad oggetto il diritto finale condizionato dipende dall’interpretazione della effettiva volontà perseguita dalle parti contraenti. 42 TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 83. 33 posizione giuridica soggettiva, sembra venire meno non solo e non tanto il principale argomento per prendere posizione sulla qualificazione del negozio dispositivo di un credito derivante da fattispecie condizionale rispetto alla figura dell’atto su diritto futuro, ma, anche e soprattutto ai fini che qui interessano, un presupposto essenziale per respingere il credito condizionato nell’alveo della futurità. Segnatamente, se si rivolge l’attenzione ai singoli effetti giuridici cosiddetti preliminari, è dato di rilevare che il tratto della propedeuticità, rectius della strumentalità, rispetto alla costituzione del diritto definitivo sembra sfumare a favore di una ricostruzione fondata sulla anticipazione di taluni effetti che, sotto questo punto di vista, sono del tutto idonei a espandere la loro portata ben oltre la fase della pendenza e a prescindere da questa. Così è da affermare per il cosiddetto effetto della irrevocabilità del consenso manifestato, che si ricollega direttamente al vincolo negoziale in quanto derivante dal principio generale di cui all’art. 1372 cod. civ., in base al quale il contratto ha forza di legge tra le parti. Analoga impostazione pare sottesa all’effetto costitutivo dell’obbligo di non impedire il completamento della fattispecie e, più in generale, di comportarsi secondo buone fede, atteso che siffatto principio vale a permeare la disciplina del contratto ben oltre i limiti segnati dal momento della formazione, seppure inteso in senso 34 ampio43. Di qui, si comprende la posizione di chi, sempre nell’ottica della negazione all’aspettativa della dignità di autonoma situazione giuridica soggettiva, segnatamente di diritto soggettivo, attribuisce alla medesima la rilevanza, prettamente descrittiva, di designare il complesso degli effetti giuridici preliminari disposti in capo a un determinato soggetto44. Alla luce del complesso delle considerazioni che precedono, pare quindi preferibile limitare il connotato della futurità a quelle situazioni rispetto alle quali non si possano riscontrare, già nel momento attuale, posizioni funzionali ovvero strumentali45. 43 Cfr., pur sempre nell’ottica della riconduzione del diritto condizionato agli schemi del diritto futuro, SCOGNAMIGLIO, Aspettativa di diritto, cit., 230 s. 44 RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939, 317 s. 45 Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 83, il quale, pur condividendo l’impostazione propria della dottrina tedesca, secondo la quale il meccanismo condizionale non impedirebbe la considerazione quale futuro del diritto condizionato stesso, sebbene in senso lato, sottolinea come l’esistenza attuale di una posizione strumentale rispetto a questo possa quantomeno sollevare il problema di «renderne dogmaticamente sconsigliabile l’accostamento agli altri diritti futuri nell’ambito di una medesima categoria giuridica». 35 1.5 Segue: b) i crediti derivanti da fattispecie a termine La tematica inerente alla riconducibilità dei crediti derivanti da fattispecie sottoposte a termine al novero della futurità, pur caratterizzata da problematiche prossime a quelle già prese in esame con riguardo alle situazioni giuridiche soggette a condizione sospensiva di efficacia46 sul piano precipuo della rilevanza da attribuire all’esistenza di una posizione preliminare rispetto al diritto definitivo, non può che prendere le mosse da una serie di valutazioni che, a monte della nozione di aspettativa di diritto, appaiono di assoluta utilità al fine, da un lato, di circoscrivere il campo dell’indagine di cui qui si tratta sgombrandolo da equivoci di cui non mancano esempi nella pratica giurisprudenziale e, dall’altro, di potere escludere il suddetto accostamento. È utile, quindi, procedere per gradi. Quanto al primo ordine di considerazioni, spartiacque fondamentale nell’economia della tematica che qui occupa è la distinzione tra termine iniziale di efficacia e termine di esigibilità della prestazione (cosiddetto termine di adempimento). Ciò in quanto si ritiene di potere circoscrivere la presente indagine alla sola analisi del primo e non anche del secondo, atteso 46 Cfr. CAPONI, In tema di accertamento sulla norma astratta, sui diritti futuri e sui rapporti di durata, nota a Cass. 23 gennaio 1991, n. 660, in Riv. dir. proc., 1991, 1162, che definisce futuro «l’effetto di cui non si è perfezionata (ancora) la fattispecie costitutiva, perché quest’ultima non si è prodotta per niente o non ha concluso il suo ciclo di formazione. Effetto futuro è a questa stregua anche il diritto sottoposto a condizione sospensiva e a termine iniziale di efficacia». 36 che l’apposizione di un mero termine di adempimento non vale ad incidere sulla esistenza del credito, bensì sul diverso aspetto della esigibilità della prestazione e della attualità dell’obbligo di eseguire la prestazione dovuta47. Siffatta puntualizzazione, peraltro, appare di sicura utilità, come si anticipava subito sopra, anche agli effetti di superare talune incertezze registrate sul punto nella giurisprudenza, la quale ha talvolta inteso qualificare alla stregua di futuri crediti semplicemente inesigibili, con la conseguenza di formulare una concezione di credito futuro non solo estensiva, bensì insuscettibile di accoglimento alla luce della necessità di tenere ben distinte le ipotesi di termine di efficacia e di termine di adempimento, secondo quanto sopra anticipato48. Date queste necessarie premesse e, per tale via, circoscritto il campo dell’indagine alla sola ipotesi del termine di efficacia, è finalmente possibile passare all’analisi degli argomenti idonei ad incidere in maniera più diretta 47 V., in tal senso, BIANCA, Diritto civile, 4, L’obbligazione, Milano, 1993, 217. Lo stesso connotato dell’incidenza del termine di adempimento sul mero profilo della esigibilità, ferma restando l’esistenza del credito cui esso risulta apposto, è sottolineato da DI MAJO, voce Termine (dir. priv.), in Enc, dir., XLIV, Milano, 1992, 197, il quale puntualizza come il credito a termine possa essere oggetto di cessione, non potendo, sotto questo punto di vista, essere tenuto distinto da un qualsiasi altro diritto di credito, fatto salvo, evidentemente, il differimento della esigibilità della prestazione. 48 V. Cass. 10 gennaio 1966, n. 184, in Riv. dir. civ., 1967, II, 502, con nota di PERLINGIERI, Cessione del credito ed eccezione d’inesigibilità, ove la Suprema Corte ha inteso ricomprendere tra i crediti futuri il diritto del venditore al pagamento del prezzo, la cui esigibilità era stata sospesa sino alla liberazione del bene oggetto dai pesi sullo stesso gravanti. Escludono che nella fattispecie accennata ricorra un’ipotesi di credito futuro PERLINGIERI, op. ult. cit., 506; e BIANCA, La vendita e la permuta, cit., 375, nota 4. 37 sulla problematica concernente l’eventuale considerazione del credito soggetto a termine iniziale di efficacia quale futuro. Ma, a ben vedere, prima ancora di prendere posizione in ordine all’anzidetta problematica, un’ulteriore considerazione di carattere preliminare si impone all’attenzione di chi si appresti ad analizzarla. E, segnatamente, si tratta della stessa configurabilità di un termine di efficacia in quanto apposto ad un negozio con effetti obbligatori. La soluzione negativa, che vale ad escludere recisamente dal novero della futurità un credito sottoposto a termine di efficacia quale conseguenza della medesima impossibilità di configurare quest’ultimo rispetto all’atto costitutivo di questa categoria di diritti, si fonda sulla generale attinenza del termine di efficacia medesimo ai negozi ad effetti reali e del termine di adempimento a quelli ad effetti obbligatori, ove, più precisamente, la suddetta distinzione tra i due tipi di termine considerati corrisponde proprio al differente modo di atteggiarsi dell’elemento temporale nel quadro dei negozi giuridici aventi diversa efficacia. Così, ben lungi dal consentire di procedere ad una ricostruzione unitaria dell’istituto del termine tutta incentrata sulla categoria dell’efficacia, viene rimarcato il dato secondo il quale un collegamento diretto tra elemento temporale ed efficacia giuridica, costitutiva ovvero estintiva che sia, possa essere rintracciato limitatamente alle ipotesi di efficacia reale dell’atto considerato, sulla scorta del rilievo secondo il quale l’esercizio di un diritto reale non costituisce attività 38 esecutiva del negozio alla stregua di adempimento di quanto in esso prescritto, bensì fruizione dell’effetto giuridico da quello derivante. Ne deriva, in altri termini, che l’esplicarsi del principio consensualistico di cui all’art. 1376 cod. civ., in una col carattere immediatamente satisfattivo dell’interesse dell’avente causa da riconoscere all’effetto reale, che infatti, una volta prodottosi, non abbisogna dell’intermediazione di un’ulteriore attività esecutiva ai fini del suddetto soddisfacimento, importa la conseguenza che il termine, in ipotesi di tal sorta, non può che operare sul piano della costituzione del diritto. Di converso, è stata negata l’esistenza di una relazione tra termine di efficacia e contratto obbligatorio, nella misura in cui si tenga in considerazione che come, da un lato, il termine non pare incidere sul momento iniziale della esistenza dell’obbligazione, esso, dall’altro lato e parimenti, non può spiegare di per sé effetto estintivo sul vincolo obbligatorio, atteso che, sotto quest’ultimo punto di vista, non si può prescindere dalla rilevanza dei comportamenti esecutivi dovuti ovvero, in ogni caso, da modalità estintive che si atteggiano diversamente rispetto alla mera concretizzazione dell’elemento temporale49. La medesima soluzione negativa, d’altronde, sembra da preferire decisamente anche sulla scorta di un punto di vista che ponga al centro della 49 In ordine alla generale incompatibilità tra termine di efficacia e negozi ad effetti obbligatori, v. RUSSO, Il termine del negozio giuridico, Milano, rist., 1973, 48: «poiché, dunque, è riscontrabile una praesens obligatio anche prima della data fissata per l’adempimento, risulta impropria la concezione del termine iniziale come data di inizio degli effetti negoziali obbligatori». 39 indagine la volontà delle parti contraenti. È, infatti, dato di ritenere che esse, sempre beninteso nel quadro di un negozio avente efficacia obbligatoria, attraverso l’apposizione di un termine abbiano inteso preferire la via più immediata, ossia quella del differimento dell’adempimento, dato che lo spostamento in avanti del momento stesso della nascita dell’obbligo dovrebbe necessariamente passare attraverso una specifica ed esplicita pattuizione in tal senso50. Ora, è di tutta evidenza che l’esclusione assoluta della configurabilità di un termine iniziale dell’efficacia apposto al negozio ad effetti obbligatori finirebbe per risolvere alla radice la presente problematica, in quanto non vi sarebbe neppure luogo per discorrere intorno alla natura presente o futura del credito derivante da questo, ma siffatta premessa risulta tutt’altro che pacifica nell’ambito del dibattito dottrinale sull’argomento. A ciò, inoltre, è da aggiungere che la constatazione circa la generale volontà delle parti di un contratto obbligatorio di incidere, a mezzo dell’apposizione di un termine, sulla esigibilità della prestazione dovuta anziché sulla stessa costituzione del diritto di credito, non autorizza, per ciò solo, ad ignorare l’eventualità che l’intenzione dei contraenti si atteggi in concreto secondo quest’ultima modalità. 50 Così, DI MAJO, Termine (dir. priv.), cit., 193, il quale sottolinea che una precipua volontà in tal senso si giustificherebbe alla luce di ciò che le parti non intendono incidere sul più limitato aspetto del contenuto del rapporto obbligatorio, ma sulla stessa nascita del relativo vincolo. 40 Non mancano, così, né opinioni che tendono ad affermare la validità sul piano concettuale della distinzione tra termine di efficacia del negozio obbligatorio e termine di adempimento della prestazione da quello derivante e, a questa stregua, fra crediti futuri in quanto destinati a sorgere soltanto alla scadere del tempo previsto e crediti semplicemente inesigibili 51, né punti di vista volti a rilevare l’utilità pratica dell’anzidetta differenziazione, attesa la possibilità che sussista un effettivo interesse delle parti in tal senso, ovvero la distinzione in punto di disciplina applicabile ai due casi qui considerati, che ne deriva52. 51 Cfr., in ordine alla futurità dell’obbligazione che ha fonte in un negozio sottoposto a termine iniziale, BIANCA, Diritto civile, 4, L’obbligazione, cit., 211. In giurisprudenza, sul tema della distinzione tra termine di efficacia e termine di adempimento, cfr. Cass. 24 luglio 1985, n. 4439, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, 268, con nota di IUDICA. 52 V. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 144 ss., il quale, in ordine all’eventuale utilità pratica di subordinare alla scadenza di un termine il sorgere di un diritto di credito, pone l’esempio del diritto al pagamento del prezzo quale corrispettivo della vendita di un bene, ove, a fronte del differimento dell’effetto traslativo, l’eguale differimento non tanto della esigibilità della prestazione pecuniaria, quanto della medesima costituzione di tale obbligo potrebbe rappresentare un valido strumento al fine di garantire un più soddisfacente (per la parte acquirente) equilibrio contrattuale nelle more della piena attuazione del regolamento negoziale ivi contenuto. Quanto, invece, alle differenze in punto di disciplina positiva applicabile alle ipotesi considerate, l’Autore, tra l’altro, prende in esame: la norma di cui all’art. 1185, secondo comma, cod. civ., nel senso di ritenere ripetibile il pagamento effettuato dal debitore prima dello spirare del termine iniziale di efficacia ed irripetibile, limitando così il campo di applicazione della disposizione citata, l’adempimento effettuato in anticipo rispetto alla scadenza del termine di adempimento; l’art. 1186 cod. civ., rispetto al quale sottolinea parimenti che la decadenza dal beneficio del termine riguardi quello di adempimento e non anche il termine di efficacia. 41 Ed è proprio il riconoscimento della generale ammissibilità di un termine idoneo a sospendere lo stesso sorgere dell’obbligazione che conduce la dottrina da ultimo ricordata ad affermare il carattere futuro del credito sottoposto a termine iniziale di efficacia, secondo, peraltro, schemi analoghi a quelli già presi in esame in relazione ai crediti sospensivamente condizionati53, ferma restando l’attualità della posizione preliminare di aspettativa giuridicamente tutelata, che sarebbe da riscontrare anche in casi quali quello di cui qui si tratta, seppure con un contenuto in parte diverso stante la certezza dell’evento futuro54. Sennonché, l’argomento da ultimo accennato appare tutt’altro che decisivo sulla base di un duplice ordine di considerazioni suscettibili di fondare, anche con riguardo ai crediti sottoposti a termine e con soluzione analoga a quella già sottolineata rispetto ai crediti condizionali, una 53 54 Sui quali, v., supra, § 1.4. Che il connotato di incertezza proprio dell’evento condizionante non sia decisivo agli effetti di riconoscere in capo al soggetto interessato la titolarità di un’aspettativa giuridicamente rilevante, dovendosi, al contrario, attribuire importanza decisiva al diverso ed ulteriore requisito della futurità, è sottolineato da NICOLÒ, Aspettativa (dir. civ.), cit., 2; e da FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941, 204. Cfr., in senso parzialmente contrario, PELOSI, Aspettativa di diritto, cit., 468, secondo il quale, pur non potendo essere disconosciuta, stante la certezza dell’evento futuro, in capo al titolare di un diritto sottoposto a termine iniziale di efficacia una protezione giuridica quantomeno corrispondente, sul piano dell’intensità, a quella spettante al titolare di un’aspettativa condizionale, è la medesima certezza che, in quanto è da ritenere fonte di poteri maggiori per l’interessato e, corrispondentemente, di vincoli più stringenti nei confronti dell’altra parte rispetto al caso del meccanismo condizionale, renderebbe sconsigliabile l’utilizzo indifferenziato della nozione di aspettativa. 42 conclusione negativa in ordine alla problematica dell’appartenenza dei primi al novero della futurità. Innanzitutto, nonostante la necessità di tenere in debito conto la differenza che la certezza dell’evento futuro di cui si tratta pone in rilievo rispetto allo strumento condizionale, si ritiene di poter tenere ferme tutte le ragioni di perplessità che la produzione di effetti giuridici ad opera di un titolo, a prescindere dalla utilità di definirli quali preliminari ovvero di costruire intorno ad essi un’autonoma situazione giuridica soggettiva quale la cosiddetta aspettativa di diritto, pone dinnanzi ad una ricostruzione sic et simpliciter del diritto derivante da quel titolo alla stregua di futuro55. Ancora, e si tratta del secondo ordine di considerazioni cui si accennava appena sopra, l’esclusione dei crediti a termine dall’ambito delle posizione soggettive future può essere fatta derivare da quell’indirizzo che, sulla scorta della nozione di obbligo ridotto, revoca in dubbio la medesima correttezza del concetto di termine iniziale di efficacia. Nello specifico, siffatta denominazione non è da ritenere accettabile nella misura in cui non appare corretto affermare tout court che il fatto del decorso del tempo incida in via sospensiva sulla produzione degli effetti, in ispecie obbligatori, riconducibili al fatto costitutivo cui l’elemento temporale accede. Si pone l’accento, segnatamente, sulla norma di cui all’art. 1185, secondo comma 55 Sulle quali v., supra, § 1.4, seppure con riferimento specifico ai crediti sottoposti a condizione sospensiva di efficacia. 43 cod civ.56, per sottolineare come, beninteso in un’ottica secondo la quale la dizione della disposizione de qua non autorizza a limitarne il campo di applicazione al solo termine di adempimento, qualora nessun effetto costitutivo dell’obbligo si fosse già prodotto stante l’apposizione di un termine alla fattispecie costitutiva, allora non sarebbe giustificabile la soluzione imposta dal legislatore codicistico nel senso della irripetibilità di quanto prestato proprio perché l’adempimento eseguito non troverebbe alcuna ragione giustificatrice a causa della supposta assenza del relativo diritto di credito. Di converso, l’anzidetta conseguenza della irripetibilità si giustifica alla luce della teoria del cosiddetto obbligo ridotto, in quanto il perfezionamento della fattispecie, nonostante l’apposizione del termine iniziale di efficacia, ben lungi dal non dispiegare alcun effetto costitutivo dell’obbligo giuridico,vale a produrre comunque l’effetto di doverosità, poiché, se così non fosse, la soluzione della irripetibilità di quanto prestato dal solvens dovrebbe necessariamente cedere il passo rispetto alla costituzione di un obbligo restitutorio gravante sull’accipiens, sulla scorta dell’attuale inesistenza dell’obbligazione del primo. Impostato il discorso nei termini che precedono, al verificarsi successivo dell’evento temporale dedotto nel titolo è da ricollegare il completamento dell’obbligazione, la 56 Art. 1185, secondo comma, cod. civ.: «Tuttavia il debitore non può ripetere ciò che ha pagato anticipatamente, anche se ignorava l’esistenza del termine. In questo caso però egli può ripetere, nei limiti della perdita subita, ciò di cui il creditore si è arricchito per effetto del pagamento anticipato». 44 quale si presenterà così nella sua interezza, superando lo stadio precedente di menomazione che la caratterizzava, attraverso la costituzione, al fianco dell’effetto di doverosità già venuto in essere, dell’effetto di antidoverosità, riferibile ad ogni eventuale condotta difforme rispetto a quella oggetto dell’obbligazione57. L’orientamento da ultimo ricordato importa delle conseguenze decisive nel senso di escludere che l’obbligazione derivante da fattispecie sottoposta a termine iniziale di efficacia possa essere considerata alla stregua di situazione soggettiva futura. Infatti, alcun connotato di futurità può essere ricollegato ad un obbligo che, seppure in forma ridotta, è da ritenere già costituito prima dello spirare del termine previsto e, come tale, risulta già suscettibile di essere adempiuto, con la conseguenza che il decorso dell’elemento temporale dedotto vale ad incidere sul differente profilo della sanzione di antidoverosità di eventuali contegni del debitore difformi rispetto a quello dovuto in quanto oggetto dell’obbligazione, rendendo quest’ultima suscettibile anche di inadempimento giuridicamente rilevante e, per l’appunto, sanzionabile e non solo di essere eseguita con effetti satisfattivi per l’interesse creditorio e liberatori per quanto concerne, in via speculare, la posizione del soggetto obbligato. 57 V., in tal senso, RUPERTO, Efficacia giuridica. Appunti per una lezione di diritto privato, in Jus, 2007, 420 s. 45 1.6 Segue: c) i crediti derivanti da fattispecie ad esecuzione durevole Altra ipotesi meritevole di particolare notazione nell’ambito della presente trattazione è quella delle obbligazioni derivanti da rapporti di durata, ossia ad esecuzione continuata o periodica. In linea ancora del tutto preliminare, ed agli effetti di fissare i confini dell’area di problematicità alla quale i casi di cui qui si tratta appartengono, vale la pena di rilevare come gli spunti di riflessione inerenti ad essi investano in maniera precipua i rapporti obbligatori ad esecuzione periodica, nella cui struttura, infatti, è parso esservi lo spazio per una dilatazione tale tra il titolo costitutivo e la fase attuativa dell’obbligazione che ne deriva da consentire l’emersione di una vera e propria autonomia di ciascuno dei momenti esecutivi nell’ambito dei quali l’esecuzione medesima si articola, con la conseguenza di introdurre l’interrogativo in ordine alla eventuale futurità di ciascuno di questi, inteso alla stregua di obbligazione a sé stante. Al contrario, è risultato ben più difficile impostare un siffatto discorso con riferimento alle obbligazioni ad esecuzione continuata, atteso che l’assenza di soluzione di continuità nella fase attuativa di tale categoria di rapporti giuridici sembra impedire decisamente l’emersione di un qualche tratto di autonomia in capo ad essa58. Date le premesse che precedono, è evidente che i termini del presente problema ruotano intorno alla natura unitaria ovvero pluralistica da 58 Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 153, nota 7. 46 riconoscere ai rapporti giuridici di durata, rectius all’articolazione interna che vale a connotare il momento esecutivo degli stessi, con particolare riguardo, beninteso, alle obbligazioni ad esecuzione periodica, sulla scorta di quanto accennato appena sopra. La configurazione, nell’ambito dei rapporti di durata, di una pluralità di ragioni creditorie presenti e future può essere fatta passare, quindi, attraverso la ricostruzione di essi offerta dalle tesi cosiddette pluralistiche o atomistiche. Segnatamente, queste ultime, pur nella impossibilità di una loro riduzione ad unità in quanto si registrano orientamenti diversificati sul piano del riconoscimento del carattere unitario ovvero articolato della medesima fonte costitutiva del rapporto di durata, appaiono, agli effetti che qui interessano maggiormente, tutte caratterizzate dalla descrizione dell’ipotesi in esame in termini di insieme di più obbligazioni distinte, seppure suscettibili di essere ridotte ad unità nella misura in cui, nel passaggio dal piano degli effetti del titolo costitutivo a quello della fonte stessa delle obbligazioni di durata, il punto di vista si sposti e si focalizzi sulla unicità della causa o, comunque, del programma contrattuale che vale a coordinarle temporalmente59, ovvero ancora sulla possibilità di individuare nel titolo 59 Cfr. SANGIORGI, Rapporti di durata e recesso ad nutum, Milano, 1965, 24 ss.; DEVOTO, L’obbligazione a esecuzione continuata, Padova, 1943, 76 ss.; e ANDREOLI, La rendita vitalizia, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, VIII, t. 3, Torino, 1958, 18 s. 47 quel rapporto giuridico fondamentale idoneo a costituire la matrice unificante i crediti inerenti alle singole prestazioni periodiche considerate60. Ora, è importante notare che se, da un lato, l’accoglimento delle tesi pluralistiche o atomistiche è il presupposto essenziale affinché possa eventualmente affermarsi la natura futura in capo a talune obbligazioni di durata, dall’altro lato, essa non pare essere, a ben vedere, una conseguenza necessaria degli anzidetti indirizzi ricostruttivi. In questo senso, l’individuazione, in seno ad un rapporto giuridico di durata, di una pluralità di distinte obbligazioni, talune attuali ed altre future, appare intimamente connessa ad una soluzione che postuli l’articolazione, non solo delle obbligazioni derivanti dal rapporto di durata, ma altresì in capo alla fonte costitutiva delle stesse, atteso che, descritta quest’ultima in termini di insieme di titoli successivi corrispondenti alle prestazioni dovute in relazione al periodo temporale di riferimento, da una siffatta impostazione di base non può che derivare la futurità dei rapporti obbligatori successivi, in quanto ritenuti effetto di fonti per l’appunto successive rispetto al titolo fondante lo scambio di prestazioni attuale. Diversamente, qualora il carattere della pluralità venga riferito soltanto alle obbligazioni, ferma restando l’unicità del titolo del rapporto di durata, ed a prescindere dalla possibilità di riconoscere in capo a quest’ultimo un ruolo di vero e proprio rapporto giuridico fondamentale suscettibile di rappresentare il substrato 60 RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, cit., 10 ss. 48 comune ai singoli momenti attuativi delle relative obbligazioni, la soluzione della futurità di parte di esse non pare affatto necessitata e, soprattutto, nulla preclude un’opposta conclusione. Ciò in quanto, definita in chiave unitaria la fonte del rapporto obbligatorio di durata, la prospettiva da ultimo segnalata non può escludere per ciò solo che la vicenda in esame possa essere parimenti descritta come avvicendamento temporale non di tanti crediti presenti e futuri quanti sono i momenti esecutivi dell’obbligazione considerata, bensì, più semplicemente, dei diversi atti di adempimento di crediti tutti già sorti al momento del perfezionamento del titolo da cui essi sono fatti derivare61. In ogni caso, può ben essere sostenuto che le teorie di tipo pluralistico o atomistico siano tutte fondate su di una concezione particolare in ordine all’incidenza del fattore temporale sullo svolgimento dei rapporti giuridici di durata, nel senso precipuo che è il trascorrere del tempo che varrebbe ad incidere direttamente sulla costituzione dei diritti di credito alle singole prestazioni, a prescindere, peraltro, dalla ulteriore distinzione interna riguardante la sufficienza del solo elemento temporale, o meglio del trascorrere del medesimo, al fine di esplicare l’anzidetta efficacia costitutiva dell’obbligazione, ovvero la necessità della effettiva esecuzione della 61 Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 155 s., il quale, nel dare conto delle articolazioni interne all’indirizzo in esame, sottolinea come entrambe le soluzioni indicate nel testo abbiano trovato seguito tra gli esponenti delle tesi pluralistiche o atomistiche. 49 controprestazione dovuta che, in questo senso, si affiancherebbe al decorso del tempo nel quadro degli elementi costitutivi dei crediti di cui si tratta62. Gli stessi dati normativi non paiono deporre in senso decisivo ed esente da dubbi nella direzione favorevole agli indirizzi che affermano una lettura in termini pluralistici delle obbligazioni di durata, ma, al contrario, ad una più attenta analisi, si lasciano spiegare altrimenti. È così, in primo luogo, per la norma di cui all’art. 821, comma terzo, cod. civ.63, alla quale non può che essere dedicata la prima attenzione, se solo si consideri come la natura di frutto civile si lega intimamente proprio alla categoria delle obbligazioni di durata ex art. 820, comma terzo, cod. civ.64, le quali, infatti, possono innestarsi sulla menzionata definizione. Più precisamente, è, da un lato, innegabile che la formulazione letterale della disposizione in commento alimenti dubbi per quello che qui interessa, atteso che la medesima, in linea del tutto generale ed astratta, parrebbe prestarsi ad una interpretazione secondo la quale il diritto alla prestazione periodica suscettibile di rientrare nella nozione di frutto civile si costituisce col decorso del tempo, in ragione dello svolgersi del godimento rispetto al quale rappresenta il corrispettivo. Tuttavia, una lettura della stessa disposizione 62 Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 166 ss. 63 Art. 821, comma terzo, cod. civ.: «I frutti civili si acquistano giorno per giorno, in ragione della durata del diritto». 64 Art. 820, comma terzo, cod. civ.: «Sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Tali sono gli interessi dei capitali, i canoni enfiteutici, le rendite vitalizie e ogni altra rendita, il corrispettivo delle locazioni». 50 fondata anche sulla opportuna considerazione dell’origine storica e, soprattutto, della ratio di essa sembra spostare decisamente l’attività ermeneutica verso una soluzione differente. Ciò in quanto la ragione giustificatrice ed ispiratrice della norma in esame pare suscettibile di diversa spiegazione, se solo si tenga in debita considerazione che la finalità della regola de qua deve essere rintracciata non nella individuazione del momento costitutivo del diritto di credito ai frutti nei confronti del soggetto che ha il godimento diretto ed immediato del bene fruttifero, bensì nella preventiva definizione di eventuali conflitti tra più titolari del bene o, comunque, del diritto a trarne i relativi frutti, che si succedono nel tempo, con la conseguenza che il meccanismo dell’acquisto giornaliero consente di ripartirne la spettanza in funzione della durata del diritto di ciascuno di essi. Come si nota, quindi, l’adozione di tale ultima prospettiva non pone all’attenzione dell’interprete alcuna questione inerente ad una supposta costituzione successiva e temporalmente scaglionata di tante obbligazioni quanti sono i giorni di godimento del bene e, per questa via, alla futurità di esse, ma di semplice ripartizione interna dei frutti tra titolari successivi. Potrebbe certamente emergere, sulla scorta delle considerazioni da ultimo svolte, una eventuale contraddittorietà tra la delineata interpretazione della disposizione di cui al terzo comma dell’art. 821 cod. civ. e la regola contenuta al primo comma dello stesso65, nella parte in cui il concetto di 65 Art. 821, primo comma, cod. civ.: «I frutti naturali appartengono al proprietario 51 acquisto della proprietà, proprio del meccanismo acquisitivo dei frutti naturali come chiaramente deducibile da quest’ultima norma, si stemperi a mero criterio di ripartizione interna della prestazione allorquando l’attenzione sia rivolta alla differente ipotesi dei frutti civili. Siffatte perplessità, tuttavia, sono da superare non solo perché rispetto a questi ultimi non avrebbe senso parlare di acquisto della proprietà in un momento anteriore rispetto all’adempimento della relativa prestazione66, ma anche in quanto, con riguardo specifico alle prestazioni di denaro che del resto costituiscono la forma per eccellenza attraverso la quale i frutti civili si manifestano in concreto, la ratio generale sottesa al meccanismo di acquisto proprio dei diritti reali non pare né compatibile né idonea a descrivere compiutamente il momento esecutivo dell’obbligazione pecuniaria e satisfattivo del credito che ha ad oggetto la prestazione di moneta67. Né si ritiene di potere porre a fondamento di una ricostruzione dei rapporti di durata alla stregua di insieme di obbligazioni presenti e, soprattutto, future, ovvero, il che è intimamente connesso, dell’esistenza di una relazione di condizionamento reciproco tra le prestazioni corrispettive nelle quali essi si articolano, di modo che il diritto a ciascuna prestazione considerata in via isolata sorgerebbe soltanto a seguito dell’esecuzione della della cosa che li produce, salvo che la loro proprietà sia attribuita ad altri. In quest’ultimo caso la proprietà si acquista con la separazione». 66 Così TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 174, nota 48. 67 Sul punto, sia consentito rinviare a SALOMONE, Obbligazioni pecuniarie e nuove forme di moneta, in Giust. civ., 2006, II, 519 ss. 52 relativa controprestazione, il meccanismo della eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 cod. civ.68. Ben lungi, infatti, dal consentire di argomentare in ordine all’esistenza di un nesso di condizionamento reciproco all’interno delle singole coppie di prestazioni in cui un rapporto sinallagmatico durevole si articola, tale da incidere sulla costituzione stessa del diritto di credito a ciascuna di esse, la norma in esame non può non condurre ad una conclusione diametralmente opposta, se solo si tenga in debito conto ciò che il meccanismo di cui al ricordato art. 1460 cod. civ. pare sottintendere chiaramente, già alla luce del solo dato letterale, la mera esigibilità delle prestazioni interessate69, con la consequenziale esclusione dell’articolazione dei rapporti di durata in una pluralità di obbligazioni a sé stanti, di cui talune aventi carattere futuro70. E non si ritiene, in questo senso, che i rapporti di durata possano derogare a quanto da ultimo sottolineato71. 68 Art. 1460, primo comma, cod. civ.: «Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto». 69 Cfr. Cass. 29 maggio 1998, n. 5306, in Giur. it., 1999, 1841, ove, in questo senso, la Suprema Corte ricomprende nell’ambito dell’onere probatorio gravante sulla parte nei confronti della quale l’eccezione di inadempimento è sollevata la prova della non ancora maturata esigibilità del proprio adempimento. 70 V., supra, § 1.5. 71 BIANCA, Diritto civile, 5, La responsabilità, Milano, 1994, 335 s.: «Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica ciascuna parte può rifiutarsi di eseguire la propria prestazione se l’altra parte non esegue tutte le singole prestazioni già anteriormente scadute. 53 Analoghe conclusioni, infine, possono essere tenute ferme in relazione alla norma di cui all’art. 1458 cod. civ. inerente agli effetti della risoluzione, con particolare riguardo ai contratti ad esecuzione continuata o periodica 72. In linea del tutto generale, infatti, la regola della risoluzione parziale, pur senza porre per ciò solo in discussione il principio del comune fondamento causale delle singole prestazioni dovute, potrebbe aprire la strada ad una considerazione pluralistica e frazionata del rapporto di durata, nel senso che quest’ultimo sarebbe costituito da una pluralità di diversi ed autonomi rapporti obbligatori distinti, ciascuno corrispondente alle singole prestazioni dovute. Più precisamente, quest’ultima potrebbe essere intesa alla stregua di conseguenza dell’istituto della risoluzione parziale nella misura in cui l’irretroattività dell’effetto risolutivo trae il proprio fondamento dalla idoneità di ciascuna delle prestazioni singolarmente intese a soddisfare le ragioni creditorie in maniera piena73, seppure siffatta pienezza debba essere intesa in maniera limitata a quella parte di rapporto da considerarsi esaurito in relazione all’esecuzione delle prestazioni rispettivamente dovute, non La pluralità delle prestazioni non esclude infatti l’unitarietà dell’obbligazione. L’inesecuzione di singole prestazioni costituisce allora inadempimento dell’obbligazione contrattuale che grava su una parte e legittima pertanto la controparte a non adempiere ulteriormente la propria». 72 Art. 1458, primo comma, cod. civ.: «La risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite». 73 Cass. 20 ottobre 1998, n. 10383, in Giust. civ. Mass., 1998, 2126. 54 anche in relazione all’interesse complessivo, il cui soddisfacimento, di converso, non può che passare attraverso l’esaurimento dell’intero rapporto di durata74, con la conseguenza di potere astrattamente ipotizzare la presenza di un insieme di rapporti obbligatori, presenti e futuri, tanti quante sono le coppie di prestazioni in cui il rapporto di durata si struttura. Tuttavia, è stato parimenti affermato che siffatte conclusioni, suscettibili di accoglimento in via astratta, paiono tutt’altro che necessitate dalla delineata ricostruzione, in quanto non risultano incompatibili con una diversa definizione dell’articolazione interna dei rapporti di durata. Così, se, da un lato, la idoneità di ciascuna delle prestazioni caratterizzanti un rapporto di durata a soddisfare in maniera piena una parte autonoma, seppure parziale rispetto al tutto, dell’interesse creditorio, consente di tracciare una netta linea di demarcazione tra tale tipo di rapporti giuridici e le obbligazioni con prestazione unica ad esecuzione frazionata nel tempo75, 74 Cfr. Cass. 24 giugno 1995, n. 7169, in Giust, civ. Mass., 1995, 1301. 75 La distinzione, in altri termini, è parsa ruotare intorno alla capacità satisfattiva della singola prestazione ed all’atteggiarsi di essa rispetto all’interesse creditorio, nel senso che nelle obbligazioni di durata la singola prestazione rappresenta già di per sé un’utilità per la parte creditrice, cosicché in relazione ad essa non potrebbe parlarsi di adempimento parziale se non in senso lato poiché riferito all’interesse al complessivo svolgimento del rapporto. Diversamente, nelle obbligazioni aventi ad oggetto una prestazione unica ed unitaria ripartita in diversi atti esecutivi, la portata di ciascuno di questi è da ritenere ben più limitata, in quanto insuscettibile di spiegare autonoma capacità satisfattiva dell’interesse di controparte. Sul punto, v. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 176 ss., il quale, sulla scorta della distinzione che precede, rileva come la disposizione di cui all’art. 1458 cod. civ. vada applicata ai soli rapporti di durata in senso proprio, e non anche alle ipotesi 55 dall’altro lato, ciò non permette sic et simpliciter di concludere nel senso della definizione dell’obbligazione di durata alla stregua di insieme di pretese creditorie presenti e future, corrispondenti ciascuna ad una coppia di prestazioni ad esecuzione periodica. Infatti, una volta ricostruita la ratio del meccanismo di cui all’art. 1458 cod. civ. in termini di rapporto tra le singole prestazioni considerate e l’interesse creditorio al cui soddisfacimento esse sono funzionali, nell’ottica della sinallagmaticità che caratterizza il relativo contratto e quindi il rapporto giuridico che ne deriva, nulla impone di delineare una influenza di codesto meccanismo sullo stesso momento genetico dell’obbligazione, ben potendo circoscriversi la ricostruzione alla pluralità di atti esecutivi. Particolare attenzione al modo di atteggiarsi dell’interesse sotteso al rapporto obbligatorio di durata è stata prestata da quell’indirizzo dottrinario che ha inteso sottolinearne la portata ambivalente, nel senso che, a fronte dell’esistenza di un innegabile interesse unitario, in quanto riferito all’intera durata del rapporto obbligatorio, andrebbe individuata una molteplicità di interessi concreti, ciascuno di essi corrispondente alla prestazione che deve essere eseguita nella frazione di tempo considerata ed inquadrabile sia alla stregua di parte del tutto sia nei termini della autosufficienza e della compiutezza, a seconda che il punto di vista attraverso il quale lo si individui consista, rispettivamente, nell’insieme degli atti esecutivi di prestazione unica frazionata sul piano temporale; ed anche CHIANALE, voce Obbligazioni di durata, in Dig. disc. priv., sez. civ., XII, Torino, 1995, 394. 56 suscettibili di coprire l’intero periodo di efficacia del rapporto obbligatorio ovvero in ciascuna singola prestazione in cui questo si articola, presa in esame in via isolata76. Ora, quello che interessa maggiormente agli effetti della tematica dei crediti futuri sono le conseguenze che siffatto indirizzo ritiene di potere trarre dalle accennate premesse in ordine al carattere ambivalente e divisibile dell’interesse sotteso alle obbligazioni di durata sul piano specifico della unitarietà oppure della pluralità delle situazioni giuridiche soggettive individuabili in ipotesi di tal sorta. Prendendo le mosse, infatti, dall’anzidetta bivalenza dell’interesse creditorio, si afferma l’impossibilità di una riduzione della categoria di cui si tratta ad un unico schema ricostruttivo, atteso che il diverso atteggiarsi della volontà dei contraenti nel caso precipuo consentirebbe di isolare due differenti casi. Il primo gruppo di ipotesi, secondo questo indirizzo, ricomprende quei rapporti di durata caratterizzati da ciò che il contenuto delle relative prestazioni future è già interamente fissato dalle parti per mezzo del regolamento contrattuale, con la conseguenza che sullo svolgimento del rapporto giuridico incide il solo fattore tempo come elemento certo77. Impostata la questione nei termini che precedono, il problema ruota intorno 76 V., in tal senso, TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 180 ss. 77 Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 182 ss., il quale, con riguardo a questa categoria di rapporti di durata, pone l’esempio del contratto di locazione e, specificamente, dell’obbligo del locatario al pagamento del canone periodico. 57 alla possibilità di apporre un termine di efficacia ad un negozio ad effetti obbligatori ed ai rapporti tra questo ed il diverso termine di adempimento, con la conseguenza di potere ribadire anche in questa sede tutte le ragioni di perplessità che portano ad escludere, quantomeno nella generalità dei casi, che l’apposizione di un termine ad un contratto obbligatorio valga ad incidere sull’efficacia del medesimo e non invece sul più limitato aspetto della mera esigibilità del credito e, quindi, che da ciò possa derivare la futurità delle obbligazioni che da quello si producono78. Discorso differente dovrebbe farsi per quanto concerne il secondo gruppo di casi, all’interno del quale sono fatte rientrare le ipotesi in cui sul rapporto obbligatorio incide non solo il mero decorso del tempo, ma altresì ulteriori presupposti di carattere e certo e incerto, che, attraverso la necessaria integrazione col fattore temporale, rappresentano l’elemento costitutivo del diritto di credito79. Ne deriverebbe l’impossibilità di descrivere in chiave unitaria le obbligazioni di durata di questa seconda specie, le quali, inversamente, finirebbero per essere costituite proprio da un 78 Argomenti sui quali v., supra, § 1.5. 79 È il caso, ad esempio, dell’obbligazione alimentare, della somministrazione a consumo e della somministrazione su ordinativo, atteso che, nel primo caso, si impone la considerazione dell’insieme di condizioni economiche e giuridiche necessarie alla nascita del relativo diritto di credito, e negli altri, non può prescindersi dall’effettivo consumo ovvero dall’emissione dell’ordinativo affinché possa ritenersi costituita l’obbligazione del pagamento dei canoni. Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 187 ss.; ed anche CAPONI, In tema di accertamento sulla norma astratta, sui diritti futuri e sui rapporti di durata, cit., 1172, il quale, in questo senso, rileva l’esistenza di alcune situazioni giuridiche durevoli che risentono delle eventuali vicende modificative della loro fattispecie costitutiva. 58 insieme di autonome posizioni creditorie suscettibili di susseguirsi nel tempo, di natura presente e futura a seconda della già spiegata o meno incidenza sul rapporto degli anzidetti elementi costitutivi ulteriori e diversi rispetto al semplice decorso del tempo80. Sennonché, ragioni di perplessità in ordine alla ricostruzione da ultimo segnalata emergono sotto un duplice punto di vista. In primo luogo, infatti, l’attuale integrazione del titolo fondante il rapporto di durata, a prescindere dal carattere futuro degli ulteriori presupposti costitutivi suscettibili di incidere sullo stesso, ha indotto questa dottrina ad impostare il problema secondo termini e schemi analoghi a quanto già accennato con riguardo ai crediti condizionali, nel senso, più precisamente, di individuare, nelle more dell’emersione degli anzidetti elementi incidenti, una posizione prodromica di aspettativa in capo alle parti contrattuali in grado di assorbire la situazione delle medesime (che, a questa stregua, finirebbe per perdere un eventuale connotato di futurità in quanto del tutto attuale seppure di natura strumentale alla costituzione di altra situazione giuridica soggettiva) ovvero di affiancarsi al diritto futuro quale 80 Cfr., con riguardo al contratto di somministrazione, Cass., sez. un., 22 maggio 1996, n. 4715, in Foro it., 1996, I, 3130, che, ferma restando l’unicità del titolo quale fonte costitutiva dell’obbligazione, sottolinea che «ogni atto di prestazione e controprestazione non costituisce un adempimento parziale del contratto di durata, ma un adempimento pieno delle obbligazioni da esso sorgenti», e che «l’adempimento non estingue il rapporto, ma permette il sorgere di nuovi rapporti di credito e di debito». 59 oggetto alternativo di negozi dispositivi81, con la conseguenza di potere ribadire, anche nella presente sede, tutte le valutazioni che paiono rendere preferibile la soluzione negativa in ordine alla ricomprensione nel novero delle posizioni giuridiche soggettive future di quelle situazioni in grado di esprimere cosiddetti effetti preliminari82. Ancora, e si tratta del secondo ordine di considerazioni, l’esaltazione della presenza di ulteriori fattori, di natura sia certa sia incerta, idonei ad incidere, in una con l’elemento temporale, sulla ricostruzione in chiave pluralistica dei rapporti giuridici di durata, non pare del tutto compatibile col punto di partenza della unitarietà della fonte del rapporto di durata stesso, che ad oggi rappresenta un dato acquisito nell’ambito della scienza del diritto, nonché un punto di partenza dal quale neppure l’indirizzo da ultimo preso in esame intende discostarsi83. Il nodo essenziale, invero, è non solo e non tanto l’esaltazione dell’efficacia costitutiva dei fattori aggiuntivi rispetto al mero decorso del tempo suscettibili di incidere sull’efficacia obbligatoria della fattispecie considerata, atteso che una visione pluralistica dello stesso titolo costitutivo potrebbe, in astratto, essere del tutto compatibile con una ricostruzione altrettanto atomistica degli effetti di esso, di cui taluni potrebbero essere considerati futuri in quanto derivanti da fattispecie che sarebbero da considerare non ancora completamente 81 Così, TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 192 ss. 82 V., supra, § 1.4. 83 Cfr. Cass., sez. un., 22 maggio 1996, n. 4715, cit. 60 integrate. Discorso non difforme riguarderebbe quelle ipotesi in cui ci si trova di fronte ad elementi ulteriori rispetto al tempo ma di portata per così dire modificativa dell’originario contenuto dell’obbligazione84, stante la considerazione di ciò che la cosiddetta modificazione non si risolve che nella successione di diversi titoli di qualificazione dei comportamenti delle parti85. Rilievo decisivo, al fine precipuo di escludere che si possa parlare di crediti futuri con riguardo allo svolgimento dei rapporti di durata, deve essere assegnato, invece, alla presenza attuale e perdurante del vincolo obbligatorio che intercorre tra le parti già dal momento genetico del medesimo rapporto giuridico, corollario della natura vincolante che il contratto esprime sin dall’inizio e della consequenziale irrevocabilità del consenso prestato. Ne consegue, in altri termini, che lo svolgimento attuale del rapporto di durata postula l’unificazione del medesimo sul piano sia della causa che degli effetti e, in ordine alla prima, quanto all’interesse creditorio sotteso all’obbligazione de qua. Sono questi, del resto, gli argomenti sui quali tende maggiormente a focalizzare l’attenzione il secondo fondamentale indirizzo ricostruttivo 84 È il caso, ad esempio, dell’obbligazione alimentare, in cui il mutamento delle condizioni economiche dell’obbligato ovvero dell’alimentato può essere, a norma dell’art. 440 cod. civ., causa di modificazione, così in aumento come in diminuzione a seconda dei casi, dell’ammontare della prestazione dovuta. 85 In ordine alla portata dei fatti modificativi nell’ottica del rapporto giuridico inteso alla stregua di qualificazione di comportamenti, v. TAMPONI, CONFORTINI, ZIMATORE, ZACCHEO, DI GRAVIO, PALMIERI, ORLANDI, MARTUCCELLI, RUPERTO e CARLEO, Dieci lezioni introduttive a un corso di diritto privato, Torino, 2006, 113 e 137 s. 61 intorno alla figura delle obbligazioni ad esecuzione continuata o periodica che, giungendo a risultati diametralmente opposti a quelli raggiunti dall’indirizzo che ne postula l’articolazione in una pluralità di situazioni giuridiche creditorie e debitorie autonome presenti e future, ne offre una descrizione in chiave monistica, ossia fondata sul carattere pienamente unitario del rapporto di durata in relazione non solo al titolo costitutivo, ma anche quanto alle posizioni soggettive che ne derivano 86. Si sottolinea, in questo senso, come il carattere unitario dell’obbligazione di durata sia la conseguenza del riferimento diretto dell’elemento temporale al profilo inerente alla causa del titolo costitutivo di siffatto tipo di rapporti giuridici, in quanto il decorso del tempo è specificamente voluto dalle parti poiché strumentale al soddisfacimento di un interesse durevole delle stesse che, nonostante sia da scomporre in più atti esecutivi suscettibili di autonoma e singola considerazione affinché il soddisfacimento dell’interesse creditorio si proietti in avanti nel tempo, non può essere ridotto a mera sommatoria di singoli interessi parziali, ciascuno posto in corrispondenza del singolo atto esecutivo, bensì vale, di converso, ad impedire che l’una prestazione sia considerata e valutata indipendentemente dalle altre87. Parimenti unitari, 86 Cfr. CICALA, Il negozio di cessione del contratto, Napoli, 1962, 54 s., il quale parla di «esatta concezione, non atomistica, ma unitaria ed organica, della situazione effettuale». 87 In questo senso, OPPO, I contratti di durata, in Riv. dir. comm., 1944, I, 21 e 42, sottolinea la necessità di inserire il decorso del tempo direttamente nell’elemento causale del contratto di durata, con la conseguenza che esso, così come si atteggia unitariamente sul 62 quindi, sono i termini descrittivi dell’oggetto dell’obbligazione di durata, ove il decorso del tempo, in quanto beninteso rispondente all’interesse delle parti contraenti in tale direzione, incide sull’articolazione della prestazione dovuta in una molteplicità di atti esecutivi i quali possono ben essere considerati in via autonoma, ma senza per ciò solo intaccare il carattere unitario dell’oggetto dell’obbligazione di durata, che va tenuto fermo alla luce di un punto di vista che si sposti dal piano meramente strutturale a quello funzionale e, quindi, causale88. Impostata dunque la questione nel senso della ricostruzione del rapporto giuridico di durata, segnatamente ad esecuzione periodica, quale fenomeno di «’sequenza diacronica’ di una pluralità di atti esecutivi facenti capo ad un’unica obbligazione, derivante da un’unica fonte negoziale» e non di «’coesistenza sincronica’ di una pluralità di obbligazioni»89, ne consegue necessariamente la conclusione negativa intorno alla suscettibilità dei rapporti giuridici di durata di produrre crediti futuri, dato che se di futurità piano della struttura del negozio, allo stesso modo appare per ciò che concerne l’obbligazione che dal medesimo viene prodotta. Pone l’accento sul profilo causale anche Cass. 18 febbraio 1966, n. 517, in Foro it., 1966, I, 641, ove la Suprema Corte, in riferimento specifico alla fattispecie della rendita vitalizia, fa derivare dalla unitarietà della causa, assicurata a sua volta da ciò che le singole prestazioni adempiono alla medesima funzione economico-sociale, la stessa unità in capo sia al rapporto che al diritto che in quegli atti esecutivi trova la propria articolazione. 88 Cfr. DATTILO, voce Rendita (dir. priv.), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 858 s.; ed anche BIANCA, Diritto civile, 4, L’obbligazione, cit., 215, nota 20. 89 Così DATTILO, Rendita (dir. priv.), cit., 858. 63 può parlarsi nel caso di specie, essa va riferita all’attività esecutiva e non anche all’obbligazione di cui la prima costituisce adempimento. 64 1.7 Segue: d) i crediti altrui Le ipotesi di difficile e controversa ricomprensione all’interno della categoria dei crediti futuri fino ad ora prese in esame appaiono tutte accomunate da ciò che le ragioni di perplessità derivano da particolari caratteristiche del rispettivo titolo costitutivo, connotati tali da rendere dubbio se lo stato di particolare avanzamento di ciascuna fattispecie sia o meno compatibile con una perdurante considerazione quali future delle situazioni giuridiche soggettive da quelle prodotte (è il caso dei crediti condizionali e, seppure assieme ad ulteriori aspetti di complessità, dei crediti derivanti da fattispecie sottoposte a termine iniziale di efficacia 90), ovvero da consentire l’emersione di indirizzi che riconducono la futurità di talune posizioni soggettive obbligatorie allo svolgimento nel tempo del relativo rapporto giuridico (si tratta, segnatamente, del caso dei rapporti di durata91). Diversi sono i presupposti che possono alimentare ragioni di perplessità in ordine ai crediti altrui, cui si intende da ultimo rivolgere l’attenzione. La riflessione al riguardo non può che prendere spunto dalla disposizione di cui all’art. 2740 cod. civ. in tema di responsabilità 90 In ordine alla discussa futurità dei crediti condizionali e di quelli derivanti da fattispecie sottoposte a termine iniziale di efficacia, v., supra, rispettivamente §§ 1.4 e 1.5. 91 Sulle diverse ricostruzioni della figura dei rapporti ad esecuzione continuata e periodica, agli effetti della tematica che qui interessa, v., supra, § 1.6. 65 patrimoniale del debitore92 e, in particolare, dal primo comma del citato articolo codicistico che estende la garanzia patrimoniale generica dei creditori anche ai beni futuri del debitore inadempiente, tra i quali certamente vanno fatti rientrare anche i crediti futuri dello stesso, assoggettabili a procedura di esecuzione forzata nelle forme della espropriazione presso terzi, senza, tuttavia, possibilità di operare una distinzione tra diritti di credito non ancora sorti nella titolarità di alcuno e crediti successivamente ceduti al debitore e, come tali, venuti ad integrare l’accennata garanzia patrimoniale. È, infatti, da sottolineare come, in linea del tutto astratta, la futurità di una situazione giuridica soggettiva può essere ancorata tanto al dato della inesistenza attuale della medesima nella realtà giuridica poiché non ancora sorta nell’ambito di quest’ultima e, quindi, nella titolarità di qualsivoglia soggetto, quanto al differente requisito della presenza ovvero dell’assenza della stessa posizione nel patrimonio del soggetto considerato, a prescindere in quest’ultimo caso da ciò che il diritto sia già esistente nella realtà giuridica, sebbene nella titolarità altrui. Si noti come la distinzione tra i due punti di vista astrattamente suscettibili di essere utilizzati ai fini dello scioglimento del presente nodo qualificatorio risieda nel diverso parametro 92 Art. 2740 cod. civ.: «Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge». 66 cui l’elemento della presenza ovvero dell’assenza va rapportato: la realtà giuridica nel primo caso, il patrimonio nel secondo93. Tale alternativa, naturalmente, incide in maniera profonda sulla tematica di cui qui si tratta, atteso che l’accoglimento del secondo punto di vista comporterebbe un notevole allargamento sul piano quantitativo delle ipotesi rientranti nell’ambito dei crediti futuri, ampliamento di cui, tuttavia, bisogna verificare l’utilità pratica oltre che la rispondenza ai dati complessivi provenienti dall’ordinamento giuridico e, per tale via, alla ratio generale che da questi si ritiene di potere dedurre. Agli effetti della risoluzione di tale ultima problematica, il mero dato letterale derivante da un approccio di tipo squisitamente normativo manifesta la sua utilità nella misura in cui, ben lungi dall’essere utilizzato in via isolata poiché – come si avrà occasione di notare – ne deriverebbero elementi contraddittori94, si accompagni ad un’indagine che rimarchi il legame intercorrente tra il dato positivo vigente e le istanze pratiche che, già manifestatesi in relazione all’ordinamento previgente nella forma delle 93 V., in tal senso, BIONDI, I beni, cit., 174, il quale distingue una futurità in senso oggettivo, ossia fondata sulla inesistenza né nel patrimonio nel soggetto considerato né di altri e quindi sull’assenza dalla stessa realtà giuridica complessivamente intesa, da una futurità in senso soggettivo, poiché limitata a quanto non è presente nel patrimonio del disponente, ma di titolarità altrui. 94 Come detto supra § 1.2 con riguardo alla problematica inerente al rapporto tra le nozioni di cosa, da un lato, e di bene, dall’altro, l’approccio di tipo strettamente normativo può risultare insufficiente se ed in quanto si limiti ad un’analisi meramente letterale del dato positivo. Sul punto, cfr. ZENO-ZENCOVICH, Cosa, cit., 440 ss. 67 soluzioni ermeneutiche prospettate in special modo dalla dottrina, ne hanno favorito l’emanazione. Una nozione di futurità più lata, in quanto basata sull’elemento dell’assenza della situazione giuridica considerata dal patrimonio del soggetto, senza che assuma rilevanza l’ulteriore dato della eventuale presenza della stessa nella realtà giuridica perché già nella titolarità di altro soggetto di diritto, poteva agevolmente giustificarsi, infatti, nel vigore del codice civile del 1865, il quale, nell’ottica della compilazione napoleonica che lo ispirava come modello, sanciva all’art. 1459 il divieto della vendita di cosa altrui. Ora, si noti che l’anzidetto divieto veniva circoscritto alle sole ipotesi in cui le parti avessero inteso disporre del bene oggetto con immediata efficacia traslativa, in altri termini come se esso fosse già nel patrimonio e quindi nella disponibilità giuridica dell’alienante, laddove non si riteneva la preclusione normativa operante nei casi in cui non ricorresse tale esigenza di ribadire il principio di relatività del contratto attraverso la negazione della possibilità di incidere negozialmente sulla sfera giuridica di terzi, atteso che le parti manifestavano fin dall’inizio l’intendimento di considerare il bene altrui come tale e, per tale via, quale possibile oggetto di acquisto futuro da parte del dante causa, con la conseguenza di far rientrare le eventualità di questo tipo nella previsione dell’art. 1118 cod. civ. 1865, che ammetteva espressamente la idoneità della cosa futura a formare 68 oggetto di contratti95. Sennonché, venuto meno il suddetto divieto con l’introduzione nel codice civile vigente di una specifica disposizione dedicata alla vendita di cosa altrui (art. 1478 cod. civ.), che si affianca alla distinta ipotesi della vendita di cosa futura (art. 1472 cod. civ.), pare decisamente tramontata l’utilità della sopra descritta interpretazione del concetto di diritto futuro sia sul piano della portata pratica che ad essa poteva essere ricondotta, che su quello più squisitamente concettuale96, senza che, peraltro, il riferimento testuale alla cosa possa in qualche modo fondare una conclusione diversa nel momento in cui si passi all’analisi della futurità del diritto quale realtà immateriale ed ideale97. Di qui, in definitiva, l’impossibilità di ricavare dalla norma di cui all’art. 2470 cod. civ., da cui si è inteso prendere le mosse per l’analisi della presente problematica, una regola definitoria generale che, in quanto tale, possa superare i confini della fattispecie ivi regolata, nonché la migliore bontà di una ricostruzione che, sulla scorta anche dei dati positivi sopra 95 Cfr. RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, cit., 415; e ID., La compravendita, cit., 145 s. 96 Così, PERLINGIERI, I negozi su beni futuri, I, La compravendita di «cosa futura», cit., 17, che sottolinea l’erroneità e, comunque, l’inutilità della equiparazione tra cosa altrui e cosa futura, dato che, sul piano del diritto vigente, le due ipotesi hanno ciascuna una propria disciplina per quanto concerne il contratto di compravendita, e, sul piano concettuale, nulla esclude che la cosa altrui possa essere, a sua volta, tanto presente quanto futura. 97 Cfr., in tal senso, BIANCA, La vendita e la permuta, cit., 374 s., il quale sottolinea come la vendita di cose future sia sostanzialmente vendita di diritti futuri, atteso che il substrato materiale non costituisce altro che l’oggetto del diritto reale. 69 accennati, considerati sia in sé e per sé sia nell’evoluzione storica che ha contraddistinto gli istituti interessati, tenga ferma la distinzione tra crediti altrui e crediti futuri e valga così a limitare tale ultima categoria a quelle situazioni inesistenti nella realtà giuridica e, quindi, insussistenti nella titolarità di alcun soggetto di diritto98, sebbene si ammetta che la possibilità di accostare le due ipotesi di vendita anzidette sul piano dell’efficacia reale differita che le caratterizza ambedue consenta di estendere, beninteso sulla base di una valutazione che proceda caso per caso senza fondare generalizzazioni suscettibili di mettere in discussione la distinzione concettuale e qualificatoria tra diritti futuri e diritti altrui, talune delle soluzioni elaborate in materia di negozi aventi ad oggetto crediti futuri anche a quelli su crediti altrui99. 98 Così, tra gli altri, RUBINO, La compravendita, cit., 146 s.; e BIANCA, La vendita e la permuta, cit., 372 s. 99 TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 21. 70 CAPITOLO II PARTICOLARI FATTISPECIE DI ATTI SU CREDITI FUTURI 71 2.1 L’evoluzione giurisprudenziale in tema di cessione di crediti futuri La presa in esame di particolari ipotesi di atti aventi ad oggetto crediti futuri, in quanto funzionale allo scioglimento del nodo inerente all’incidenza del carattere futuro del credito sulla validità del negozio che lo ha ad oggetto100, non può che prendere le mosse dall’analisi della cessione di siffatta categoria di diritti, attesa la maggiore rilevanza sul piano pratico che tale fattispecie ha fatto registrare anche e soprattutto sulla scorta dell’evoluzione sia normativa che giurisprudenziale che ha caratterizzato lo sviluppo del contratto di factoring101. Ed è proprio la giurisprudenza che, pronunciatasi su ipotesi di cessione di crediti futuri, talvolta nel quadro di un rapporto di factoring e in altre occasioni prescindendone, appare di assoluto interesse per gli spunti di riflessione che essa è suscettibile di procurare. Segnatamente, interrogatasi sui confini di validità della fattispecie che qui interessa, la giurisprudenza, non solo di legittimità, ha per lungo tempo e saldamente insistito sulla necessità che il credito futuro ceduto derivasse da un rapporto genetico di base già sussistente al fine di escludere la cessione dalla conseguenza della nullità per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto, con la conseguenza che siffatto vizio avrebbe dovuto essere affermato con riguardo a ogni vicenda traslativa di crediti derivanti da 100 V., infra, cap. III. 101 In ordine al contratto di factoring e , segnatamente, alla legislazione italiana in materia di cessione dei crediti futuri d’impresa, v., infra, § 2.2. 72 fattispecie costitutive non attuali al tempo del perfezionamento della cessione stessa102. A sostegno dell’orientamento da ultimo ricordato, il quale peraltro ha trovato seguito anche nell’ambito della dottrina meno recente103, è stato rilevato ulteriormente come, da un lato, il requisito della determinabilità non possa ritenersi soddisfatto dal mero riferimento ad una data categoria di appartenenza del credito individuata sulla scorta dell’attività esercitata dalle parti interessate, e, dall’altro, non sarebbero da ritenere suscettibili di essere ceduti i diritti semplicemente eventuali in assenza di un’aspettativa di diritto della cui disposizione si tratterebbe104. È parso così agevole tracciare una netta linea di collegamento tra la giurisprudenza italiana e quella francese, ove, più precisamente, il riferimento al cosiddetto germe d’existence è stato utilizzato al fine precipuo di indicare il termine di riferimento attuale del credito futuro, in altri termini 102 Così, Cass. 5 giugno 1978, n. 2798, in Mass. Foro it., 1978, 536; Cass. 2 agosto 1977, n. 3421, in Giur. it., 1978, I, 1, 1572; Cass. 24 ottobre 1975, n. 3519, in Foro it., 1976, I, 1947; e, nella giurisprudenza di merito, Trib. Ancona, 22 febbraio 1980, in Giur. comm., 1981, II, 129. 103 V., in tal senso, MACCARONE, Della cessione dei crediti, in Commentario teorico-pratico al codice civile, diretto da de Martino, Novara, 1978, 391; RIOLO, La cessione di credito nella prassi bancaria, in Bancaria, 1974, 815; e MICCIO, I diritti di credito, I, Torino, 1971, 446. 104 Così, nella medesima direzione segnata dal tradizionale approccio giurisprudenziale alla questione, DI NANNI, Pagamento e sostituzione nella carta di credito, Napoli, 1983, 397, nt. 151. Nello stesso senso, cfr., anche, PANZARINI, Lo sconto dei crediti e dei titoli di credito, Milano, 1984, 624, nt. 482. 73 quel rapporto di base presente inteso quale presupposto fondamentale di validità della cessione dei crediti futuri105. Il descritto orientamento, se di certo prevalente nella giurisprudenza d’allora, non poteva dirsi pacifico o, comunque, esente da critiche, manifestatesi a vai livelli e sul terreno specifico della validità ovvero della nullità dell’atto dispositivo del credito futuro per, rispettivamente, determinabilità o indeterminabilità dell’oggetto. Così, non sono mancate, specialmente in dottrina, opinioni contrarie e voci di dissenso in ordine alla rigidità di siffatto indirizzo, attraverso le quali si è inteso proporre la maggiore bontà di una ricostruzione più elastica, sulla base di diversi argomenti. In primo luogo, si è ritenuto di rimarcare ciò che l’adozione di un punto di vista che ancori la validità della cessione di crediti futuri, rectius la determinatezza o, comunque, la determinabilità dell’oggetto di tale negozio, alla presenza del rapporto di base da cui il credito ceduto deriva si fonda su di un equivoco dal quale si impone di sgombrare il campo della presente indagine, ossia la confusione tra l’inesistenza del credito e la mera inesigibilità di esso. Segnatamente, se, da un lato, tra i concetti di inesigibilità e inesistenza può essere instaurato un rapporto di continenza, per cui la inesigibilità, alla stregua di termine minore e quindi contenuto, è idonea a essere ricompresa nella seconda, in quanto il credito non esistente è 105 Per il parallelo tra la giurisprudenza italiana e quella d’oltralpe, v. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 235 ss. 74 a maggior ragione non esigibile, dall’altro lato, non è parimenti vero il contrario, atteso che il credito inesigibile non è da ritenere per ciò solo inesistente106. Ne deriva, in altri termini, che la non attualità del rapporto genetico dell’obbligazione di cui si tratta non vale di per sé a escludere la validità del negozio che procura il trasferimento del credito, che, diversamente, dovrà essere valutata alla stregua di criteri che possono anche prescindere dal germe d’existence107. Ancora, è stata rilevata la incompatibilità tra il più volte ricordato indirizzo giurisprudenziale e la disposizione generale di cui all’art. 1348 cod. civ., la cui portata non pare autorizzare restrizioni della specie vista sopra, nonché l’esistenza di un equivoco di fondo in ordine al termine cui il requisito della attualità deve essere riferito al fine di scongiurare la sanzione della invalidità del negozio di cessione del credito futuro. Sotto quest’ultimo angolo visuale, infatti, non può non risultare evidente come, sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale in commento, sia alla fonte genetica del credito ceduto che il presupposto della attualità al momento della 106 V., supra, § 1.5. 107 PERLINGIERI, Cessione del credito ed eccezione d’inesigibilità, cit., 503 s., nt. 5: «Ma in sostanza la concezione restrittiva finisce con l’identificare completamente la cessione del futuro credito con la cessione di un diritto di credito non esigibile, o, per così dire, condizionale o a termine». Cfr., anche, DOLMETTA e PORTALE, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, in Banca, borsa e tit. cred., 1999, I, 89: «In sostanza, per quanto riguarda i crediti non stricto sensu attuali, la giurisprudenza consentiva la trasferibilità solo per quelli sottoposti a condizione sospensiva, per quelli a termine e per quelli che potessero derivare da un rapporto di durata, come da una somministrazione o un appalto, già in atto, ma non anche per i crediti meramente eventuali». 75 conclusione del contratto viene riferito, e non, come invece una più corretta interpretazione del requisito della determinabilità di cui all’art. 1346 cod. civ. imporrebbe, ai criteri di determinazione del credito oggetto della cessione. Ora, atteso che non pare proprio potersi accettare il postulato secondo il quale l’attualità dei criteri di determinazione dell’oggetto del contratto di cessione del credito passa necessariamente attraverso la presenza al momento perfezionativo di esso del rapporto di base, si è concluso nel senso della distinzione e, quindi, della autonomia delle due ipotesi, con la conseguenza che la validità del negozio traslativo del credito futuro è assicurata dalla attualità, ossia dalla presenza al momento della conclusione di esso, dei criteri di individuazione della fonte del diritto di credito ceduto, a prescindere dalla attualità ovvero dalla futurità di quest’ultima108. Sempre nel solco della tendenza al superamento dell’indirizzo più restrittivo, vale la pena di segnalare anche quella giurisprudenza di merito, la cui rilevanza nell’economia della presente questione è tanto più evidente quanto maggiore sia la considerazione di ciò che la possibilità di superare la necessità della presenza attuale del rapporto di base è stata affermata in 108 L’argomentazione riferita importa, quale ulteriore conseguenza, che oggetto di cessione possono essere non solo i crediti derivanti da fonte attuale al momento della conclusione del medesimo negozio traslativo, ma anche quei diritti di credito che potranno essere prodotti da fonte anch’essa futura in quel tempo. Così, DOLMETTA, La carta di credito, Milano, 1982, 57 s., nt. 85. 76 un’ipotesi in cui esso sussisteva effettivamente nel caso concreto109 ed è stata fondata sulla sufficienza, sempre beninteso ai fini della determinabilità dell’oggetto della cessione, di una continuatività di rapporti intercorrenti tra cedente e debitore ceduto, in una col riferimento all’attività commerciale da questi svolta110. È questo il quadro di forti perplessità, manifestate in modo particolare dalla dottrina, nell’ambito del quale anche le certezze espresse sul punto dalla giurisprudenza si sono sensibilmente incrinate. Nello specifico, il problema dalla valida cedibilità dei crediti futuri è stato finalmente affrontato sulla base di un punto di vista ben meno restrittivo sul piano dei risultati raggiunti da quella giurisprudenza secondo la quale, sulla scorta della possibilità di ricomprendere nella nozione di credito futuro anche la posizione soggettiva semplicemente sperata in quanto non riconducibile ad una fattispecie obbligatoria attuale, è da ritenere del tutto valido il negozio di cessione di un diritto di credito meramente eventuale, atteso che la invalidità di esso non può essere fatta discendere né dall’elemento della aleatorietà in ordine alla costituzione del credito stesso, poiché insito nel carattere della futurità, né dalla pretesa indeterminatezza dell’oggetto dell’atto, dato che il requisito di cui all’art. 1346 cod. civ. è parimenti suscettibile di essere assicurato dalla presenza di elementi diversi 109 Trib. Milano, 16 ottobre 1989, in Riv. it. leasing, 1990, 182. 110 Sul precedente giurisprudenziale da ultimo menzionato, v. INZITARI, Sentenze d’un anno, Obbligazioni, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1991, 946 s. 77 rispetto al rapporto genetico di base, quali, nel caso di specie, la quantificazione dell’ammontare della prestazione dovuta, l’indicazione del debitore ceduto nonché del tempo in cui presumibilmente il credito sarebbe venuto ad esistenza111. Non è chi non veda come la giurisprudenza da ultimo citata rispecchi l’esigenza, di cui soprattutto la dottrina si è resa interprete, di assegnare dei confini più ampi alla validità della cessione dei crediti futuri per il tramite del superamento di una posizione la quale, sulla scorta della rigidità che la caratterizzava, finiva, come già sottolineato appena sopra, per svilire notevolmente la stessa portata del concetto di credito futuro, ancorandolo in via costante alla presenza attuale di un rapporto costitutivo di base, e per frustrare le esigenze della pratica. Ora, è innegabile che la presa di posizione da ultimo sottolineata, in sé e per sé considerata, non pare (quantomeno ancora) avere fondato una netta inversione di tendenza ovvero un deciso superamento del limite del germe d’existence nell’ambito della nostra prassi giurisprudenziale. Ciò non solo perché non è mancata l’affermazione della perdurante necessità che il 111 Cass. 8 maggio 1990, n. 4040, in Foro it., 1991, I, 2489, con nota di SIMONE, Cessione in garanzia di crediti futuri: la Cassazione ci ripensa. In relazione a tale arresto giurisprudenziale, v., anche, DE SANTIS, La cessione del credito futuro nell’evoluzione giurisprudenziale, in Dir. e prat. soc., 2005, 8, 17. In ordine alla cedibilità dei crediti futuri o eventuali, cfr., altresì, Trib. Bari, 27 luglio 1996, e Trib. Bari, 6 novembre 1996, in Banca, borsa e tit. cred., 1998, II, 701 ss.; e App. Palermo, 8 marzo 1991, in Giur. comm., 1992, II, 471. 78 rapporto costitutivo del credito futuro ceduto sia attuale affinché possa essere tenuta ferma la validità dell’atto112, ma altresì in quanto la rilevanza del rapporto di base è stata postulata anche ad altri fini. Sotto quest’ultimo punto di vista, infatti, intorno alla presenza attuale ovvero al carattere futuro di esso si è ritenuto di potere tracciare la linea discretiva tra, rispettivamente, crediti derivanti da un unico e già esistente rapporto di base e crediti meramente eventuali, agli effetti di descrivere il diverso regime di essi sul piano della opponibilità della cessione di siffatte situazioni giuridiche nei confronti dei creditori pignoratizi del cedente113. Non può sfuggire, tuttavia, ciò che la giurisprudenza da ultimo citata, ben lungi dal delineare una distinzione interna alla categoria dei crediti futuri suscettibile di accoglimento, pare, invece, assecondare quella già 112 Così, App. Milano, 2 febbraio 1996, in Dir. fall., 1996, II, 1091, con nota di D’ATTILIO. 113 Più precisamente, la giurisprudenza ha avuto occasione di affermare l’anzidetta differenza per sottolineare come la cessione di crediti derivanti da un unico e attuale rapporto genetico di base sia opponibile al creditore pignorante del cedente alla sola condizione che la cessione sia stata notificata ovvero accettata dal debitore ceduto anteriormente rispetto al pignoramento, laddove la prevalenza dei crediti eventuali, non necessariamente identificati in tutti gli elementi oggettivi e soggettivi, richiede che la notificazione o l’accettazione siano non solo anteriori al pignoramento, bensì anche posteriori alla venuta ad esistenza dei crediti ceduti. V., in tal senso, Cass. 21 dicembre 2005, n. 28300, in Giust. civ., Mass. 2005, 12; Cass. 26 ottobre 2002, n. 15141, in Foro it., 2003, I, 498, con nota di SCODITTI, in Banca, borsa e tit. cred., 2003, II, 534, con nota di SACCHI LODISPOSTO, in Giur. it., 2003, 636, con nota di TUCCI; e, con riferimento specifico all’efficacia nei confronti dell’amministrazione straordinaria del cedente, Trib. Bari, 1° aprile 1998, in Foro it., 2000, I, 1992. 79 accennata tendenza114 ad un utilizzo piuttosto ampio, sebbene talvolta improprio, della nozione di futurità. In questo senso, infatti, è agevole notare che, mediante il riferimento a crediti maturandi da un rapporto di base attuale, si ha effettivo riguardo a posizioni soggettive semplicemente inesigibili in quanto sottoposte a termine di adempimento non ancora scaduto ovvero inserite nel quadro dello svolgimento di un rapporto giuridico di durata, ma non di certo future nel senso più volte ricordato115. Il panorama di riferimento, del resto, muta decisamente qualora si rivolga l’attenzione alle ipotesi di cessione del credito che si inseriscono nell’ambito del rapporto di factoring e, nello specifico, che si inquadrano nel campo di applicazione della disciplina italiana dettata in materia di cessione di crediti futuri d’impresa. È, infatti, proprio la presa in esame di queste ultime ipotesi ad offrire l’occasione sia di porre in evidenza ulteriori e fondamentali elementi di valutazione agli effetti dello scioglimento del nodo inerente all’incidenza della deduzione in contratto di un credito futuro sulla validità dell’atto medesimo e, quindi, al cosiddetto confine “remoto” del fenomeno cui è dedicata la presente trattazione, sia di rilevare come la sopra descritta giurisprudenza non possa essere correttamente descritta in termini di semplice rottura episodica dell’indirizzo tradizionale in tema di 114 115 V., supra, § 1.5. Così, Trib. Bari, 1° aprile 1998, cit., ove il carattere della futurità viene riconosciuto in capo al credito avente a oggetto i canoni d’affitto di un’azienda. V., anche, supra, § 1.6. 80 validità della cessione di crediti futuri. Al contrario, essa si inserisce in un più ampio contesto caratterizzato dalla maggiore sensibilità nei riguardi delle esigenze della prassi commerciale e, in questa direzione, è portatrice di una altrettanto maggiore elasticità sul piano delle soluzioni giuridiche apprestate, prima, e regolate, poi, con la conseguenza che il fenomeno della cessione di crediti futuri va analizzato in una con gli ulteriori sviluppi che il medesimo ha registrato sia a livello di prassi negoziale, in una con le prese di posizione giurisprudenziali sul punto, sia sul piano della disciplina di diritto positivo che è intervenuta a regolare la fattispecie e, in qualche modo, a cristallizzare talune soluzioni già affermatesi in ambito differente116. 116 Sulla cessione dei crediti futuri d’impresa, v., infra, § 2.2. 81 2.2 Segue: il factoring e la legge italiana sulla cessione dei crediti d’impresa Necessario sviluppo dell’analisi inerente alla cessione dei crediti futuri è la considerazione di siffatto meccanismo negoziale in quanto realizzato nell’ambito degli schemi del factoring e regolato dalla legge 21 febbraio 1991, n. 52, la quale detta la disciplina in tema di cessione dei crediti d’impresa. Il passaggio si impone, infatti, alla luce non solo e non tanto della certamente indubbia rilevanza pratica che il fenomeno da ultimo ricordato riveste nel panorama dei rapporti tra gli operatori professionali dei settori interessati, ma, anche e soprattutto, beninteso agli effetti che qui maggiormente interessano, per gli spunti di riflessione che da tale presa in esame paiono potere prendere le mosse. Più nello specifico, ci si riferisce a ciò che, nello spostare l’attenzione dalla cessione per così dire comune a quella avente a oggetto i crediti d’impresa, è dato di rilevare, come si avrà occasione di notare subito in appresso, l’esistenza di una comune ratio sul piano delle soluzioni, elaborate dalla giurisprudenza ovvero prospettate dalla dottrina, concernenti gli estremi di determinabilità, e quindi di validità, del negozio considerato. Logica sottostante, la quale, a sua volta, può agevolmente essere considerata alla stregua di corollario dell’influenza che la prassi consolidatasi a livello di operazioni di factoring ha spiegato e sulla giurisprudenza pronunciatasi in tema di cessione dei crediti, e sulla disciplina positiva frattanto intervenuta a regolare la materia. 82 Si impone, quindi, di dedicare alla legge italiana recante la disciplina della cessione dei crediti d’impresa la primaria attenzione nel quadro delle finalità della presente indagine. È pur vero che da più parti è stato sottolineato che l’anzidetto intervento legislativo, ben lungi dall’avere realizzato la tipizzazione sul piano normativo del contratto di factoring, rappresenterebbe la regolamentazione di uno solo degli aspetti caratterizzanti questa operazione negoziale, id est proprio la cessione dei crediti, prescindendo, tuttavia, da una serie di dati ulteriori generalmente connessi alla stessa, tra cui spicca la complessiva attività di servizi offerta dal factor, tale da fondarne una definizione più ampia alla stregua di «contratto di collaborazione alla gestione delle imprese», con la conseguenza che alla legge n. 52 del 1991 dovrebbe essere riconosciuta la funzione, ben più limitata, di avere introdotto una disciplina speciale dedicata a una particolare ipotesi di cessione del credito al fine di favorire l’affermazione della nuova prassi negoziale117. Tuttavia, anche a volere 117 Così, MASSA FELSANI, Il contratto di factoring e la nuova «disciplina della cessione dei crediti d’impresa», in Riv. dir. comm., 1991, I, 747 s. Nel medesimo ordine di pensiero, cfr., tra gli altri, TUCCI, Factoring, in Contr. impr., 1992, 1394 ss.; RIVOLTA, La disciplina della cessione dei crediti d’impresa, in Riv. dir. civ., 1991, II, 711; CIAN, Legge 21 febbraio 1991, n. 52. Disciplina della cessione dei crediti di impresa, in Nuove leggi civ. comm., 1994, 247; DE NOVA, Nuovi contratti, Torino, 1994, 133; MESSINA, Sulla causa nel contratto di factoring, in Contr. impr., 1997, 1063; TORSELLO, I rapporti tra le parti del contratto di factoring tra disciplina uniforme e molteplicità delle fonti, ivi, 1999, 559. In giurisprudenza, nel senso della inidoneità della legge n. 52 del 1991 a operare una qualificazione del contratto di factoring ovvero a disciplinarlo in maniera organica, v. Trib. Genova, 17 ottobre 1994, in Giur. comm., 1995, II, 697, con nota di SEMINO, Brevi 83 prescindere da quegli argomenti che potrebbero consentire di concludere in senso opposto rispetto all’opinione da ultimo ricordata118, sia sufficiente nella presente sede rilevare come la centralità della legge 52 del 1991 è diretta conseguenza del ruolo altrettanto centrale che la cessione del credito gioca all’interno del meccanismo contrattuale del factoring, nonché della constatazione che i requisiti richiesti dall’art. 1 della legge in parola affinché la regolamentazione ivi contenuta possa trovare applicazione119 sono generalmente rintracciabili nelle operazioni di factoring120. considerazioni sulla qualificazione giuridica del contratto di factoring anche alla luce della recente legge 21 febbraio 1991, n. 52 e sugli effetti del fallimento del fornitore cedente; Cass. 25 marzo 1999, n. 2821, in Contratti, 2000, 162, con commento di MULLACE. 118 Cfr. CLARIZIA, Contratti di factoring, in Trattato dei contratti, diretto da Rescigno e Gabrielli, I contratti del mercato finanziario, t. I, a cura di Gabrielli e Lener, Torino, 2004, 381 ss., secondo il quale la legge 52 del 1991 avrebbe tipizzato il modello italiano di factoring. L’Autore, infatti, muove dalla necessità che la tipizzazione di modelli contrattuali che si originano da altri ordinamenti, specialmente da quelli di common law, abbia riguardo al modo in cui quegli stessi schemi negoziali si sono realizzati nella prassi dell’ordinamento interno, ossia alla luce delle modificazioni che essi hanno subito nel corso di quest’opera di recepimento pratico. Ne deriva che, sulla scorta del ruolo di assoluta centralità svolto dalla cessione del credito nel quadro di tale operazione negoziale e del concreto atteggiarsi del factoring nell’ordinamento italiano, ove esso non ha mai riprodotto le stesse caratteristiche del modello di riferimento angloamericano, a mezzo della legge in parola, si sarebbe proceduto alla tipizzazione legale del cosiddetto factoring italiano. 119 Segnatamente, trattasi dei seguenti tre requisiti: il cedente deve essere un imprenditore; i crediti ceduti debbono derivare da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa; e il cessionario deve essere una banca o un intermediario finanziario disciplinato dal t.u. in materia bancaria e creditizia. 120 È stato sottolineato, peraltro, come non possa escludersi il ricorrere di rapporti di factoring non disciplinati dalla legge in esame. Segnatamente, secondo CIAN, Legge 21 febbraio 1991, n. 52. Disciplina della cessione dei crediti di impresa, cit., 248, la mancanza 84 Stante quanto precede, è necessario prendere le mosse dell’analisi dell’art. 3 della legge 52 del 1991121, con particolare riguardo non solo al primo e al secondo comma, atteso che questi ultimi si limitano a ribadire il principio di generale cedibilità dei crediti futuri anche rispetto a quelli inerenti all’attività di impresa, quanto, anche, al contenuto dei successivi commi terzo e quarto, dato che, come si avrà occasione di notare in appresso122, l’interpretazione delle disposizioni in questi ultimi contenute, specialmente in relazione ai limiti ivi previsti, svolge un ruolo fondamentale agli effetti della tematica di cui alla presente trattazione. Sotto il primo punto di vista, sia sufficiente notare la presenza di una linea di collegamento ideale di tutta evidenza tra il superamento della teoria della attualità del rapporto di base, intesa alla stregua di criterio di validità in capo al cessionario dell’anzidetto requisito soggettivo non cagionerebbe la nullità del contratto sul piano privatistico, cosicché, ferma restando la rilevanza a livello penalistico dello svolgimento privo di autorizzazione di attività da considerare riservate alla stregua delle norme bancarie, qualora il cessionario non rivesta le caratteristiche soggettive legalmente previste, la conseguenza sarebbe quella di dover escludere l’applicabilità della legge speciale di cui si discute in favore delle norme previste dal codice civile. 121 Art. 3 (Cessione di crediti futuri e di massa):« I crediti possono essere ceduti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgeranno. I crediti esistenti o futuri possono essere ceduti anche in massa. La cessione in massa dei crediti futuri può avere ad oggetto solo crediti che sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi. La cessione di crediti in massa si considera con oggetto determinato, anche con riferimento a crediti futuri, se è indicato il debitore ceduto, salvo quanto prescritto nel comma 3». 122 V., infra, in questo § e, anche, § 3.4. 85 della cessione dei crediti futuri comuni123, e la norma di cui al primo comma dell’art. 3 della legge 52 del 1991 che pare proprio adottare nel quadro della disciplina speciale dettata in tema di cessione verso corrispettivo dei crediti pecuniari d’impresa124 la medesima soluzione estensiva, già proposta dalla dottrina e successivamente accolta anche dalla giurisprudenza, affermata in ordine alla cessione di crediti comuni. Così come, infatti, in quest’ultimo ambito è stata finalmente riconosciuta la valida cedibilità dei crediti eventuali in quanto semplicemente sperati125, allo stesso modo il legislatore del 1991 ha ritenuto di potere agevolmente prescindere dalla sussistenza di una fattispecie obbligatoria attuale al fine di descrivere la nozione di credito futuro rilevante per l’applicazione della disciplina speciale da esso introdotta. Se, quindi, la teoria del rapporto di base attuale quale requisito di validità della cessione di crediti futuri può ritenersi superata a fortiori sulla base della norma da ultimo citata, la problematica inerente alla invalidità, specificamente per indeterminatezza dell’oggetto, del negozio dispositivo del credito futuro d’impresa riemerge, ciò nonostante, nel momento in cui si rivolga l’attenzione ai commi terzo e quarto del più volte ricordato art. 3, i 123 Sull’argomento, v., supra, § 2.1. 124 Sul piano della delimitazione dell’ambito obbiettivo di applicazione della legge in parola, la necessità che i crediti ceduti abbiano a loro volta a oggetto una somma di denaro e che la cessione stessa sia a titolo oneroso è stabilità dall’art. 1, comma primo, della medesima. 125 Cass. 8 maggio 1990, n. 4040, cit., sulla quale v., supra, § 2.1. 86 quali, seppure con testuale riferimento alla sola cessione in massa126, introducono i due limiti, rispettivamente, del biennio entro il quale sono da stipulare i contratti costitutivi dei crediti e dell’indicazione del debitore ceduto. Requisito, quest’ultimo, che comunque non può prescindere dalla concorrenza con l’altro di carattere temporale. Ed è in relazione alla tematica ora accennata che in dottrina sono emersi due opposti orientamenti. Secondo il primo indirizzo, basato essenzialmente sulla lettera della legge, l’indicazione degli anzidetti limiti risponde all’esigenza di assicurare la determinatezza dell’oggetto della cessione e quindi pone gli stessi in relazione diretta con la norma di cui all’art. 1346 cod. civ.127, con la conseguenza che, per un verso, la previsione di un periodo eccedente i 126 È stato affermato, peraltro, che, nonostante la lettera della legge, i limiti di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 3, legge 52 del 1991, dovrebbero essere estesi, sulla base di una interpretazione logico-sistematica, a tutte le cessioni di crediti futuri rientranti nel campo di applicazione della medesima, sia esse singole che in massa. V., in tal senso, CLARIZIA, Contratti di factoring, cit., 404. 127 Per tale orientamento, v. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 322 ss., il quale prende in esame gli anzidetti limiti nell’ottica della determinabilità dell’oggetto quale strumento di concretizzazione e di delimitazione dell’impegno gravante sul cedente; CANTELE, Finalmente una legge per il factoring. Disciplina della cessione dei crediti di impresa, in Corriere giur., 1991, 396, che sottolinea la presenza del riferimento diretto all’art. 1346 cod. civ. nel testo approvato dal Senato il 23 gennaio 1986, successivamente eliminato dalla stesura definitiva, ma ritenuto non indispensabile dall’Autore; SANTI, La legge 21 febbraio 1991 n. 52 sulla disciplina della cessione dei crediti di impresa, in Banca, borsa e tit. cred., 1991, I, 410 s.; LUPI, La cessione dei crediti di impresa, in Società, 1991, 610, il quale, segnatamente, riconduce al canone della determinabilità il limite della indicazione del debitore ceduto. 87 ventiquattro mesi per la stipulazione dei contratti da cui deriveranno i crediti ceduti importerebbe la nullità parziale di tale clausola e relativa sostituzione col periodo massimo legale a norma dell’art. 1419, secondo comma, cod. civ., e che, per l’altro, la mancanza della indicazione del debitore ceduto cagionerebbe la nullità, stavolta dell’intero contratto, ex artt. 1325, 1346 e 1418 cod. civ.128. Altro orientamento, di converso, prescinde dal problema della determinabilità dell’oggetto della cessione per affrontare la tematica inerente ai limiti legislativamente previsti secondo una differente ottica che ne spiega la ratio altrimenti. Segnatamente, la critica all’intendimento, manifestato peraltro dallo stesso legislatore, di porre i limiti di cui all’art. 3, commi terzo e quarto, della legge n. 52 del 1991 in diretta connessione col requisito della determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto, si muove lungo la linea tracciata da una visione di tipo sistematico dei problemi per affermare, in ordine al limite temporale dei ventiquattro mesi, che esso vada riferito al sorgere del credito ceduto in sé e non alla stipulazione del contratto dal quale quello deriva, atteso che, qualora il requisito in commento dovesse essere necessariamente relazionato al problema della validità della cessione per determinatezza o determinabilità dell’oggetto, non si spiegherebbe come tale ultimo elemento possa ritenersi integrato dal mero dato della stipulazione entro il periodo di tempo previsto 128 Così, RIVOLTA, La disciplina della cessione dei crediti d’impresa, cit., 716. 88 dalla legge in parola, a prescindere, tuttavia, dalla considerazione del momento in cui il credito venga ad effettiva esistenza129. Del resto, è stato parimenti notato come il limite in esame, inteso alla stregua di requisito di determinatezza dell’oggetto e quindi di validità della cessione, finirebbe per costituire una soluzione più restrittiva rispetto ai principi generali ricavabili dal codice civile, alla luce dei quali non pare configurabile un termine temporale applicabile in via generale alle cessione di crediti futuri, ben potendo siffatto requisito essenziale essere soddisfatto altrimenti130. Nello stesso senso potrebbe concludersi in ordine al diverso limite dell’indicazione del debitore ceduto, dato che, anche in quest’ultima ipotesi, la soluzione di ancorare il detto limite alla determinatezza dell’oggetto finirebbe per creare un sotto-sistema più rigido rispetto a quello generale 129 Così, CIAN, Legge 21 febbraio 1991, n. 52. Disciplina della cessione dei crediti di impresa, cit., 249 s., nt. 8. Vale la pena di notare, tuttavia, che la presa in esame del solo momento del sorgere del credito ceduto impone un’attenta valutazione delle ipotesi concrete suscettibili di presentarsi nella pratica delle operazioni economiche, in quanto la considerazione quale futura della posizione giuridica soggettiva derivante da contratto già in essere postula, come detto, l’impossibilità di rintracciare un fenomeno attuale di produzione di effetti obbligatori da parte di quel titolo riferibile alla posizione del soggetto considerato e inerente al credito di cui si tratta. Sul punto, v., supra, §§ 1.4, 1.5 e 1.6. 130 CIAN, Legge 21 febbraio 1991, n. 52. Disciplina della cessione dei crediti di impresa, cit., 251. 89 ricavabile dal codice civile, ove la norma di cui all’art. 1346 cod. civ. non sembra autorizzare simili posizioni131. Ed è sulla scorta delle considerazioni che precedono che l’orientamento da ultimo citato propone una ricostruzione secondo la quale, a dispetto della lettera delle disposizioni in esame, il limite dei ventiquattro mesi e quello della indicazione del debitore ceduto non valgono ad influenzare la validità del negozio di cessione del credito, nel senso che la mancanza di essi cagionerebbe rispettivamente la nullità parziale ovvero totale dell’atto, ma sono da considerare strumentali all’applicazione del particolare meccanismo di opponibilità di cui all’art. 5, comma primo, della legge n. 52 del 1991132, nel senso precipuo di potere ugualmente tenere ferma la validità di una cessione che non osservi i limiti anzidetti, fermo restando che, in tale ultima 131 Secondo CIAN, Legge 21 febbraio 1991, n. 52. Disciplina della cessione dei crediti di impresa, cit., 252, la soluzione offerta dalla lettera della legge finisce per essere tanto più restrittiva, quanto maggiore sia la considerazione di ciò che il limite della indicazione del debitore ceduto è imposto dall’art. 3, comma quarto, della legge n. 52 del 1991, ai fini della determinatezza dell’oggetto della cessione, e non della mera determinabilità, altrimenti sufficiente a salvare il contratto dalla censura della nullità. 132 Art. 5, comma primo, legge n. 52 del 1991: «Qualora il cessionario abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione ed il pagamento abbia data certa, la cessione è opponibile: a) agli altri aventi causa del cedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi anteriormente alla data del pagamento; b) al creditore del cedente, che abbia pignorato il credito dopo la data del pagamento; c) al fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento, salvo quanto disposto dall’art. 7, comma 1.». 90 eventualità, l’opponibilità ai terzi del negozio dovrà necessariamente passare attraverso le norme generali previste dal codice civile133. La preferibilità del secondo degli indirizzi ermeneutici cui si è fatto riferimento, ossia, in altri termini, la possibilità di riscontrare un processo di progressivo allentamento della rigidità che caratterizzava gli iniziali approcci nei confronti della ammissibilità generale della cessione di crediti futuri e di consequenziale allontanamento di tale problematica dai confini imposti da una particolare considerazione del requisito della determinabilità dell’oggetto quale canone di validità del contratto, sembra imporsi alla luce di ulteriori considerazioni inerenti al factoring internazionale, regolato dalla Convenzione Unidroit di Ottawa del 28 maggio 1988, ratificata in Italia con legge 14 luglio 1993, n. 260 e il cui art. 5 prende in espressa considerazione la cessione di crediti futuri134. 133 V., in tal senso, CIAN, Legge 21 febbraio 1991, n. 52. Disciplina della cessione dei crediti di impresa, cit., 252 s., il quale sottolinea come, nel quadro dell’intervento normativo in parola, il particolare meccanismo di opponibilità previsto all’art. 5, primo comma, assurga al ruolo di contenuto essenziale; e anche FERRARI, Il factoring internazionale. Commento alla Convenzione Unidroit sul Factoring Internazionale, Padova, 1999, 200 s. Cfr., altresì, DOLMETTA e PORTALE, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, cit., 90, che se, da un lato, riconducono il limite temporale dei ventiquattro mesi al ruolo di requisito per l’applicazione dell’accennato meccanismo semplificato di opponibilità ai terzi della cessione, dall’altro descrivono il dato della indicazione del debitore ceduto alla stregua di presunzione di determinatezza dell’oggetto. 134 La traduzione italiana (non ufficiale) dell’art. 5 della Convenzione di Ottawa è la seguente: «Per quanto concerne i rapporti tra le parti di un contratto di factoring: a) una clausola del contratto di factoring che preveda la cessione di crediti presenti o futuri non è 91 Per quanto specificamente attiene al contratto di factoring internazionale avente a oggetto crediti futuri, il giudizio di validità, rectius di non invalidità, di esso prescinde dalla precipua individuazione dei crediti futuri ceduti, attesa le sufficienza del requisito della mera riferibilità degli stessi al contratto al momento della loro costituzione. È dato di rilevare una maggiore ampiezza di siffatta previsione anche rispetto a quella contenuta nella legge italiana in materia di cessione dei crediti di impresa di cui si è detto, stante la considerazione di ciò che il requisito della riferibilità al contratto di factoring appare suscettibile di essere integrato da una pluralità resa invalida dall’assenza di una loro specifica individuazione, se alla conclusione del contratto o al momento della loro nascita siano riferibili al contratto; b) una clausola del contratto di factoring in base alla quale siano ceduti crediti futuri produce il loro trasferimento al cessionario al momento della loro nascita, senza che sia necessario un nuovo atto di trasferimento». Le versioni ufficiali del testo (in inglese e francese) sono, rispettivamente, le seguenti: «As between the parties to the factoring contract: a) a provision in the factoring contract for the assignment of existing or future receivables shall not be rendered invalid by the fact that the contract does not specify them individually, if at the time of the conclusion of the contract or when they come into existence they can be identified to the contract; b) a provision in the factoring contract by which future receivables are assigned operates to transfer the receivables to the factor when they come into existence without the need for any new act of transfer»; «Dans les seuls rapports entre les parties au contrat d’affacturage: a) una clause du contrat d’affacturage prévoyant la cession de créances existantes ou futures est valuable, même en l’adsence de leur designation individuelle, si lors de la conclusion du contrat ou à leur naissance elles sont determinable; b) une clause du contrat d’affacturage en vertu de laquelle des créances futures sont cédées opère leur transfert au cessionnaire dès leur naissance, sans nécessité d’un nouvel acte de transfert». 92 di previsioni, alcune di natura soggettiva, altre di carattere obbiettivo135, che possono ben essere differenti rispetto a talune delle soluzioni adottate su base nazionale per definire l’ambito di operatività delle cessioni di crediti futuri inerenti all’attività di impresa136. Ne deriva, in buona sostanza e come meglio si dirà in appresso 137, un ulteriore elemento nella direzione di affrancare la cessione dei crediti futuri non certamente dalla determinabilità dell’oggetto ex art. 1346 cod. civ., bensì da particolari ricostruzioni della ratio di tale requisito di validità del contratto che, se tendono a emergere in ordine all’interpretazione dell’art. 3 135 V. TORSELLO, I rapporti tra le parti del contratto di factoring tra disciplina uniforme e molteplicità delle fonti, cit., 583 s., il quale sottolinea la maggiore frequenza di criteri soggettivi, come ad esempio la redazione di un elenco dei clienti dell’impresa fornitrice con sede d’affari all’estero, ovvero l’individuazione di questi ultimi in base all’appartenenza ad una particolare categoria di operatori economici o ancora sulla scorta della operatività di essi in determinati Stati esteri. Quanto, invece, ai possibili criteri oggettivi di riferibilità dei crediti futuri ceduti al contratto di factoring internazionale, l’Autore pone l’esempio dell’appartenenza di questi a specifiche tipologie di beni e servizi offerti. 136 Possibili divergenze che si giustificano proprio nell’ottica, espressa nel Preambolo della Convenzione, di favorire lo sviluppo del contratto di factoring nell’ambito della prassi commerciale transfrontaliera attraverso l’adozione di regole che siano uniformi non solo sulla base del dato letterale, ma, altresì, sul piano della interpretazione e dell’applicazione nei singoli ordinamenti nazionali interessati. Cfr. FERRARI, Il factoring internazionale. Commento alla Convenzione Unidroit sul Factoring Internazionale, cit., 24 s. Diversamente, nel senso che la disciplina italiana dettata in materia di cessione dei crediti di impresa «va nel senso prospettato anche dall’art. 5 della Convenzione sul factoring internazionale», v. FRIGNANI e BELLA, Il «factoring»: la nuova legge italiana (con riferimenti alla Convenzione di diritto uniforme), in Giur. it., 1991, IV, 484. 137 V., infra, § 3.4. 93 della legge n. 52 del 1991, paiono di certo superabili nel momento in cui si sposti l’attenzione alla disciplina uniforme dettata in tema di factoring internazionale138. 138 In relazione alla maggiore ampiezza delle soluzioni introdotte dalla Convenzione di Ottawa rispetto a quelle di cui alla legge italiana sulla cessione dei crediti di impresa, v. ZACCARIA, Il factoring internazionale, in Studium iuris, 1996, 9. 94 2.3 La fideiussione per crediti futuri e la fideiussione omnibus Che la garanzia personale di natura fideiussoria possa essere prestata anche a garanzia di crediti futuri è dato indubitabile in quanto espressamente previsto dal legislatore codicistico a norma dell’art. 1938 139. Disposizione, questa, che, agli effetti della tematica di cui alla presente trattazione, offre molteplici spunti di interesse. In primo luogo, e con riferimento a quanto già detto in precedenza in ordine alla problematica inerente alla considerazione quali future di una serie di situazioni giuridiche soggettive di difficile e dubbio inquadramento140, vale la pena di rilevare come, nella disposizione in parola, il legislatore abbia testualmente operato una distinzione tra obbligazioni condizionali, da un lato, e future, dall’altro. Si tratta di un dato che, pur non potendo rivestire portata decisiva in sé e per sé considerato, va comunque ad aggiungersi a tutte le suesposte ragioni141 che portano a ritenere del tutto preferibile un approccio teso a escludere i crediti sottoposti a condizione sospensiva di efficacia dal novero delle obbligazioni future in senso stretto, atteso, peraltro, che siffatta distinzione non è da ritenere strumentale solo alla previsione del limite dell’importo massimo garantito, 139 Art. 1938 cod. civ.: «La fideiussione può essere prestata anche per un’obbligazione condizionale o futura con la previsione, in quest’ultimo caso, dell’importo massimo garantito». 140 V., supra, §§ 1.4, 1.5, 1.6 e 1.7. 141 V., con particolare riguardo ai crediti sottoposti a condizione sospensiva di efficacia, supra, § 1.4. 95 di successiva introduzione, come si avrà modo di notare nel prosieguo del presente paragrafo. Passando, invece, all’analisi più specifica della figura di cui qui si tratta, vale la pena, innanzitutto, di notare come l’assenza di una disposizione quale quella in commento nell’ambito dell’ordinamento codicistico previgente aveva indotto la dottrina del tempo a discutere intorno alla ammissibilità di una simile figura, in quanto il carattere della accessorietà, proprio della garanzia fideiussoria, sembrava incompatibile con la futurità dell’obbligazione garantita142. Sennonché, aveva finito per prevalere l’opinione positiva sulla scorta del principio della generale deducibilità in contratto delle cose future, dato che, in ipotesi di tal sorta, si riteneva così configurabile la costituzione di una garanzia fideiussoria subordinata alla nascita dell’obbligazione principale che si intendeva garantire143. E, nel medesimo ordine di idee, l’attuale norma di cui all’art. 1938 cod. civ. può 142 In relazione all’accennato dibattito, v. RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, cit., 408 ss. 143 Con riguardo alla ammissibilità della fideiussione prestata a garanzia di obbligazioni future nell’ordinamento previgente, cfr. Cass. 1° giugno 1936, n. 1187, in Giur. it., 1936, I, 642, e App. Milano, 6 luglio 1937, in Foro lomb., 1937, 206. La subordinazione rispetto alla nascita dell’obbligazione principale non vale, tuttavia, a fondare un meccanismo di mera responsabilità per debito altrui, quindi senza debito proprio, atteso che, nonostante la mancanza di un elemento utile ai fini della produzione dell’effetto obbligatorio in capo al fideiussore, è da ritenere che il vincolo di garanzia esista già, seppure in attesa di operare, con la conseguenza che il garante non può revocare il consenso già prestato, né porre in essere atti tesi ad impedire che l’obbligazione principale sorga. Sul punto, v. FOSCHINI, Fideiussione per obbligazione determinabile e per obbligazione futura, in Riv. dir. comm., 1957, II, 465 ss. 96 essere ritenuta espressione nel campo precipuo delle garanzie fideiussorie del principio contenuto nell’art. 1348 cod. civ.144. Preso atto, quindi, della previsione nel sistema codicistico della fattispecie della fideiussione per obbligazioni future, bisogna interrogarsi intorno ai confini di ammissibilità di tale figura, sotto il punto di vista della determinatezza ovvero determinabilità dell’oggetto. Ora, la fideiussione inerente a singoli crediti futuri offre spunti di riflessione del tutto simili a quanto si è già avuto modo di notare con riguardo alla cessione di crediti futuri145, dato che, anche in questo settore, non è mancata l’affermazione della necessità, ai fini della validità della fideiussione prestata a garanzia di obbligazioni future, di un rapporto di base attuale dal quale queste ultime devono scaturire146. È, tuttavia, da ritenere assolutamente preferibile il diverso orientamento, teso a prescindere dalla presenza attuale del rapporto di base e, quindi, ben più elastico sul versante dei requisiti idonei ad assicurare la validità della garanzia personale in 144 Cfr., tuttavia, GIUSTI, La fideiussione e il mandato di credito, in Trattato di dir. civ. e comm., già diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, XVIII, t. 3, Milano, 1998, 157, secondo cui, sebbene le norme sopra citate possano essere considerate ipotesi applicative del medesimo principio generale presente nel nostro ordinamento giuridico, tale corrispondenza non andrebbe comunque irrigidita, poiché la disposizione di cui all’art. 1348 è dettata in tema di oggetto futuro del contratto, mentre l’obbligazione principale della cui garanzia si tratta non potrebbe essere parimenti considerata oggetto del rapporto fideiussorio, bensì mero presupposto di quest’ultimo. 145 In ordine all’evoluzione giurisprudenziale e alle posizioni dottrinali emerse con riferimento ai confini di validità della cessione di crediti futuri, v., supra, § 2.1. 146 Cass. 11 ottobre 1960, n. 2647, in Giust. civ., Mass. 1960, 1004. 97 parola147, sulla scorta di una serie di considerazioni inerenti non solo alla utilità di non appesantire eccessivamente l’elemento della determinabilità dell’oggetto contrattuale di significato e scopi che non gli sono necessariamente propri148, ma, altresì, alla necessità di tracciare una netta linea di demarcazione tra i crediti futuri in senso stretto e un panorama di ulteriori ipotesi alle quali non si ritiene di potere riconoscere il carattere della futurità149. Diversamente, la fattispecie della fideiussione prestata per obbligazioni future ha denotato e, sotto punti di vista che saranno anch’essi rimarcati subito in appresso, continua a denotare i maggiori aspetti di problematicità e di interesse, per quanto riguarda in maniera più specifica l’oggetto della presente trattazione, una volta che si sposti l’attenzione sulla ben nota figura della fideiussione omnibus (o con clausola omnibus), attraverso la quale, nello specifico, il fideiussore si impegna a garantire, sino alla concorrenza di un importo massimo, l’adempimento di qualsiasi obbligazione, presente e futura, del debitore o dei suoi successori nei confronti dell’azienda di credito, a prescindere dal titolo dell’obbligazione garantita. Trattasi, quindi, di uno strumento di garanzia particolarmente elastico e rispondente all’esigenza avvertita nel settore bancario di avere a disposizione un meccanismo di tale flessibilità al fine di potere assecondare le istanze di 147 Cass. 17 febbraio 1968, n. 570, in Giur. it., 1969, I, 1, 748. 148 V., infra, § 3.4. 149 Considerazioni, sulle quali v., supra, § 2.1. 98 accesso al credito da parte specialmente della piccola e media impresa 150, e che trae spunto proprio dalla norma di cui all’art. 1938 cod. civ. Senza dimenticare, peraltro, che siffatti connotati di ampiezza risultano ancor più accentuati da ciò che oggetto della presente garanzia sono non soltanto i debiti diretti del debitore, ma anche quelli cosiddetti indiretti o di secondo grado, ossia le obbligazioni rispetto alle quali il debitore abbia assunto nei confronti dell’istituto di credito la posizione di fideiussore a sua volta di altro debitore principale151, e che alcun importo massimo era originariamente previsto, in quanto tale limite è stato introdotto nella disposizione di cui all’art. 1938 solo successivamente, per mezzo della novella realizzata dall’art. 10, comma primo, legge 17 febbraio 1992, n. 154, recante «Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari». Dinanzi a una simile potenziale esposizione debitoria del fideiussore omnibus152, la clausola in parola è stata fatta oggetto di critiche da parte di 150 Lo schema elaborato dall’Associazione Bancaria Italiana risale ai primi anni Sessanta e, segnatamente, fu allegato alla circolare ABI – serie tecnica C, n. 24 dell’11 giugno 1964, in Banca, borsa e tit. cred., 1964, I, 461. 151 Cfr. BOZZI, La fideiussione, Milano, 1995, 501. 152 Basti pensare che parte della dottrina ha sollevato il problema della eventuale idoneità della clausola omnibus a coprire anche eventuali obbligazioni ex delicto suscettibili di sorgere a carico del debitore garantito nei confronti della banca. Cfr. DOLMETTA, La fideiussione bancaria attiva nell’evoluzione bancaria giurisprudenziale e dottrinale, in Banca, borsa e tit. cred., 1992, I, 10. Per la soluzione positiva a tale interrogativo, seppure in via di principio, v. Trib. Salerno, 12 novembre 1986, in Banca, borsa e tit. cred., 1987, II, 633, secondo la quale la 99 taluna dottrina e giurisprudenza, segnatamente di merito, sotto più di un punto di vista. Così, non si è mancato di dubitare della validità di essa sulla scorta del ritenuto parziale contrasto con le norme di cui agli artt. 2740 e 2741 cod. civ., con particolare riguardo alla possibilità che il fideiussore omnibus risponda anche per le obbligazioni di soggetti non conosciuti o conoscibili al momento del rilascio della garanzia personale, o diversi dal debitore della banca e relative a crediti posti nella titolarità di soggetti diversi dalla banca (si pensi all’estensione della fideiussione sino a ricomprendervi le garanzie prestate dallo stesso istituto di credito in favore di terzi su indicazione del debitore). Secondo siffatto approccio, infatti, la conseguenza di creare una doppia garanzia patrimoniale generica, ossia una generale responsabilità per critica che, seguendo siffatta impostazione, la clausola omnibus sarebbe nulla per illiceità della causa, segnatamente perché si trasformerebbe in un incentivo a delinquere nella misura in cui il debitore principale sarebbe indotto a tenere condotte rilevanti anche sul piano penale nei confronti dell’istituto di credito garantito confidando nella possibilità di eludere le conseguenze patrimoniali risarcitorie della propria condotta addossandole (quantomeno in via immediata) al garante, andrebbe considerata nulla più che un semplice «argomento ad effetto», dato che la causa di garanzia non muta a seconda della fonte dell’obbligazione principale. Invece, la conclusione in senso negativo è stata ritenuta preferibile sulla scorta del comune riferimento della clausola omnibus alle obbligazioni dipendenti da operazioni bancarie, atteso che la opposta soluzione della presente problematica passa necessariamente attraverso una novazione mediante “bancarizzazione” delle obbligazioni ex delicto del debitore principale nei confronti dell’istituto di credito, con conseguente massima incertezza delle effettiva portata dei confini della garanzia. Cfr., sul punto, CHINÉ, Fideiussione omnibus, in Le garanzie rafforzate del credito, a cura di Cuffaro, Torino, 2000, 3. 100 i debiti altrui contrasterebbe sia con la norma di cui all’art. 2740, in quanto interpretata nel senso di vietare l’assunzione di responsabilità per fatto altrui (da considerare ipotesi del tutto eccezionale alla stregua del nostro ordinamento), sia con il successivo art. 2741, il quale stabilisce il principio della par condicio tra creditori salve le cause legittime di prelazione e che, in tali casi, sarebbe leso dall’attribuzione all’istituto di credito di una garanzia generica doppia rispetto a quella di cui sarebbe fornito qualsivoglia altro creditore del medesimo obbligato153. Ma è sul piano della determinatezza dell’oggetto del contratto di fideiussione omnibus che si sono maggiormente indirizzate le critiche volte a revocare in dubbio la validità di siffatto negozio giuridico ed è a tali orientamenti che bisogna prestare maggiore attenzione agli effetti della indagine che qui occupa. Non ci si riferisce soltanto alla più volte ricordata teoria del rapporto di base, quale presupposto attuale per la validità del negozio su credito futuro e che è stata presa in esame in ordine alla figura della cessione di crediti futuri154, che, del resto, è stata ugualmente utilizzata (ma parimenti superabile per le ragioni più volte ricordate), dato che il tenore della clausola omnibus ben può prescindere dalla attualità della fonte delle obbligazioni garantite stante il riferimento anche a operazioni bancarie 153 Cfr. BARBIERA, Inefficacia parziale della fideiussione omnibus, in Riv. dir. civ., 1991, I, 225 ss. 154 V., supra, § 2.1. 101 successive alla conclusione dell’accordo fideiussorio, dal che deriva che quest’ultimo vale ad offrire copertura altresì a crediti derivanti da rapporti anch’essi futuri155. Assunto, infatti, il dato che la fideiussione può coprire anche crediti propriamente futuri in quanto derivanti da titoli non ancora in essere al tempo della prestazione della medesima, dottrina e giurisprudenza si sono interrogate intorno ai limiti di determinabilità della garanzia personale in casi di tal sorta156, in relazione non soltanto al motivo anzidetto della mancanza di un rapporto fondamentale genetico delle obbligazioni garantite, ma anche sulla base dell’assenza di criteri predeterminati idonei a consentire una compiuta identificazione dell’oggetto della garanzia stessa. In questo senso, una impostazione, beninteso minoritaria, ha rilevato come la genericità della fideiussione universale permetta solo ed esclusivamente una individuazione postuma delle obbligazioni cui essa si riferisce, ma tale individuabilità ex post non andrebbe giammai confusa con la determinabilità dell’oggetto, da verificare ex ante, e che, mancando quest’ultimo requisito nelle ipotesi di specie, la conseguenza avrebbe dovuto essere necessariamente quella della nullità del contratto di fideiussione. Né l’istituto di credito ovvero il debitore principale potrebbero essere 155 Cfr. VIALE, Le garanzie bancarie, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia, diretto da Galgano, XVIII, Padova, 1994, 6. 156 Sui termini del dibattito in esame, v. VIALE, Fideiussione omnibus, in Contr. impr., 1990, 276 ss. 102 considerati quali terzi cui sarebbe stata rimessa la determinazione della prestazione dedotta in contratto, a norma dell’art. 1349 cod. civ. Considerazioni, queste, sulla scorta delle quali è stato rilevato sia da una parte della dottrina sia da talune pronunce di merito che l’oggetto del rapporto fideiussorio sarebbe connotato da evidenti tratti di incertezza, stante la rimessione al sostanziale arbitrio della banca della individuazione dei crediti effettivamente garantiti157. 157 Cfr. STOLFI, In tema di fideiussione generale, in Riv. dir. civ., 1972, I, 529 ss.; ID., In tema di fideiussione per debiti futuri, in Riv. dir. comm., 1971, I, 225; LANZILLO, Regole del mercato e congruità dello scambio contrattuale, in Contr. impr., 1985, 341 ss.; SIMONETTO, La natura della fideiussione e la nullità della clausola c.d. omnibus, in Riv. trim. dir. proc. civ.¸ 1987, 544 ss.; VALCAVI, Sulla fideiussione bancaria e i suoi limiti, in Foro it., 1990, I, 559; ROPPO, Fideiussione “omnibus”: valutazioni critiche e spunti propositivi, in Banca, borsa e tit. cred., 1987, I, 147, secondo cui, con riguardo alla normalità dell’attività della banca quale criterio di determinazione dell’oggetto negoziale e sulla base della considerazione che l’istituto bancario è tanto più portato a elargire credito quanto maggiori siano le garanzie sul medesimo, nel caso de quo si giungerebbe alla «paradossale e inammissibile conseguenza che il criterio della determinazione non è esterno e indipendente rispetto all’oggetto da determinare, ma è in un certo senso conformato da quest’ultimo»; TARTAGLIA, Limiti alla fideiussione “omnibus” e disciplina della “trasparenza” bancaria, in Foro it., 1992, I, 1397. In giurisprudenza, v., nello stesso senso, Trib. Roma, 27 maggio 1985, in Giust. civ., 1986, I, 2014, con nota di PIAZZA, La giurisprudenza di merito si ribella alla Cassazione: la fideiussione omnibus è nulla, ove la clausola omnibus è sottoposta a critica anche in relazione al profilo della funzione economica del meccanismo utilizzato e, quindi, al supposto contrasto con l’art. 41 Cost.; Trib. Savona, 28 marzo 1988, in Nuova giur. civ. comm., 1989, I, 39; Pret. Legnano, 13 giugno 1985, in Foro it., 1986, I, 831; App. Milano, 4 ottobre 1988, in Giur. comm., 1989, II, 571; Trib. Pistoia, 17 ottobre 1991, in Fallimento, 1992, 937. 103 Di segno opposto si è costantemente rivelato l’orientamento della Suprema Corte, peraltro largamente condiviso anche in dottrina e da una parte della medesima giurisprudenza di merito, secondo il quale la nullità della fideiussione con clausola omnibus per indeterminatezza e indeterminabilità dell’oggetto contrattuale è da escludere in quanto la presenza dell’anzidetto requisito di validità è assicurata dal riferimento della garanzia ai futuri rapporti che vengono in essere tra il debitore principale e l’istituto di credito (cosiddetta determinabilità per relationem), nel senso che la natura propria dell’attività bancaria in quanto svolta secondo criteri di normalità vale a circoscrivere l’impegno del fideiussore sul piano precipuo della sua determinabilità secondo una valutazione propriamente ex ante158. 158 Così, Cass. 29 ottobre 1971, n. 3037, in Banca, borsa e tit. cred., 1972, II, 22; Cass. 28 aprile 1975, n. 1631, ivi, 1975, II, 246; Cass. 25 ottobre 1979, n. 5572, in Giust. civ., 1980, I, 640; Cass. 15 marzo 1991, n. 2789, in Foro it., 1991, I, 2060; Cass. 17 ottobre 1991, n. 10945, in Giur. it., 1992, I, 825, con nota di CHINÉ; e, nella giurisprudenza di merito, Trib. Catania, 24 maggio 1979, in Riv. dir. comm., 1980, II, 121, con nota di RAGUSA MAGGIORE; App, Milano, 13 gennaio 1981, in Giur. merito, 1983, I, 97; Trib. Roma, 22 aprile 1981, in Giur. comm., 1982, II, 900; App. Firenze, 18 febbraio 1985, in Riv. it. leasing, 1985, 496; App. Cagliari, 5 dicembre 1987, in Giust. civ., 1989, I, 2159; Trib. Pavia, 19 giugno 1989, ivi, 1989, I, 2474; Trib. Milano, 16 ottobre 1989, in Giur. it., 1990, I, 2, 468; App. Milano, 5 giugno 1990, ivi, 1991, I, 2, 184; Trib. Milano, 18 novembre 1991, ivi, 1992, I, 2, 227. In dottrina, cfr. TUCCI, Tutela del credito e validità della fideiussione omnibus, in Foro it., 1988, I, 118; RESCIGNO, Il problema della validità delle fideiussioni c.d. omnibus, in Banca, borsa e tit. cred., 1972, II, 26, che sottolinea come il meccanismo della relatio all’attività della banca e ai rapporti tra quest’ultima e il debitore principale importi che la determinazione dell’obbligazione fideiussoria si verifica all’atto della costituzione dei debiti garantiti sulla base dello svolgimento dell’attività precedentemente consentita, e 104 Più nello specifico, il pericolo della sottoposizione del fideiussore all’arbitrio della banca circa l’effettiva estensione della garanzia personale viene superato dall’argomento fondato sulla soggezione di questa a una serie di regole e controlli di particolare rigidità, spesso di rilevanza pubblicistica e di competenza dell’autorità amministrativa159, e, ancora, la possibilità che l’impegno della parte obbligata si riveli più ampio di quanto essa poteva aspettarsi al tempo della conclusione del contratto è caratteristica di ogni sistema di determinazione esterna dell’oggetto negoziale160. Nell’ambito di questo panorama di indirizzi inerenti ai confini della validità della fideiussione con clausola omnibus, si innesta il ricordato intervento legislativo realizzato, segnatamente, con legge n. 154 del 1992 (cosiddetta legge sulla trasparenza bancaria), il cui art. 10, comma primo, ha introdotto il limite della previsione dell’importo massimo garantito, novellando così la disposizione di cui all’art. 1938 cod. civ. È innegabile, infatti, che, nonostante il carattere maggioritario della tesi della come tale modo di determinazione non valga a violare i limiti imposti all’autonomia negoziale in ordine all’oggetto del contratto ogni qualvolta ne rimette l’individuazione a una fonte esterna al negozio, atteso che i limiti previsti riguardano il mero arbitrio del terzo (art. 1349 cod. civ.) e la mera volontà dell’obbligato (art. 1355 cod. civ.); BARBIERA, Inefficacia parziale della fideiussione omnibus, cit., 223 ss.; PIAZZA, La giurisprudenza di merito si ribella alla Cassazione: la fideiussione omnibus è nulla, cit., 2016; RASCIO, La fideiussione “omnibus”. Premesse per la discussione del tema, in Riv. dir. comm., 1978, I, 21; RAVAZZONI, La fideiussione generale, in Banca, borsa e tit. cred., 1979, I, 398. 159 Cass. 1° agosto 1987, n. 6656, in Foro it., 1988, I, 127. 160 Cass. 18 luglio 1989, n. 3362, in Giust. civ., 1990, I, 126. 105 determinabilità per relationem (e quindi della validità) dell’impegno del garante e l’inserimento della clausola inerente all’importo massimo garantito già negli schemi contrattuali elaborati dall’ABI nel corso degli anni Ottanta, la novella in parola abbia rappresentato la risposta del legislatore alle istanze di tutela del fideiussore omnibus che, come già illustrato, erano state manifestate da più parti. Si impone, tuttavia, di puntualizzare che la questione inerente alla determinabilità dell’oggetto del contratto di fideiussione omnibus è da considerare di perdurante validità, soprattutto agli effetti che qui maggiormente interessano, per le ragioni di seguito indicate. Se è vero, per un verso, che all’assenza della previsione dell’importo massimo garantito andrebbe ricollegata la conseguenza della nullità dell’intera garanzia, stante la impossibilità di applicare la disciplina della nullità parziale ex art. 1419, comma secondo, cod. civ., per mancanza di disposizioni suppletive, non può ritenersi sopita, peraltro, ogni questione inerente alle determinabilità dell’oggetto della garanzia stessa, atteso che la tutela legislativa sarebbe agevolmente superabile mediante l’inserimento di limiti massimi di particolare ampiezza, se non addirittura sproporzionati, rispetto alle future prevedibili obbligazioni del debitore principale nei confronti della banca161. E, a tale proposito, è doveroso il riferimento a quella giurisprudenza, segnatamente di merito, che, anche successivamente 161 Cfr. CHINÉ, Fideiussione omnibus, cit., 21. 106 all’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 1938, ha continuato a interrogarsi sui limiti di validità della fideiussione omnibus a prescindere dalla mera indicazione dell’importo massimo garantito, e assai spesso tacendo su questo punto specifico, in favore del ben noto aspetto della validità ovvero invalidità della determinabilità per relationem dell’oggetto della garanzia162. Così come, del resto, ancor prima dell’emanazione della ricordata legge sulla trasparenza bancaria era stato rilevato come il limite della somma massima fosse uno degli indici di determinabilità astrattamente utilizzabili per circoscrivere l’impegno del fideiussore, ma non certamente l’unico, con la conseguenza che la mancanza di una simile previsione non avrebbe potuto cagionare, per ciò solo, l’invalidità della garanzia personale prestata163. Valutazioni, queste ultime, che, nell’ambito della tematica di cui alla presente trattazione, spiegano ancora la loro fecondità, in quanto, come si dirà in appresso164, consentono di inquadrare correttamente la ratio e, quindi, la portata dell’intervento legislativo anzidetto, anche alla luce di una più approfondita analisi della giurisprudenza espressasi in materia, scongiurando il rischio di caricarlo di eccessivo o inesatto significato sul piano della determinabilità dell’oggetto del negozio su credito futuro. 162 Cfr. App. Milano, 27 ottobre 1992, in Banca, borsa e tit. cred., 1993, II, 237; Trib. Milano, 14 gennaio 1993, ivi, 1994, II, 60. 163 V., in tal senso, RESCIGNO, Il problema della validità delle fideiussioni c.d. omnibus, cit., 27 s. 164 V., infra, § 3.4. 107 2.4 Delegazione, accollo ed espromissione di crediti futuri. Differenza delle soluzioni prospettate Diversificati tra loro appaiono gli spunti di riflessione che si possono trarre dall’analisi dell’atteggiarsi delle ipotesi di cosiddetta modificazione del soggetto passivo dell’obbligazione qualora esse abbiano a oggetto un credito futuro. Vale la pena, infatti, di anticipare fin da ora che se, per un verso, anche qualora non paiono esservi ostacoli intorno all’ammissibilità di negozi di tal sorta su crediti futuri, una più attenta analisi denota comunque la presenza di aspetti suscettibili di esprimere una qualche problematicità, per altro verso, la generale diversificazione delle soluzioni adottate, specialmente in sede giurisprudenziale, è un dato dal quale non si può prescindere al fine di verificare l’eventuale dipendenza di tale differenzazione da una particolare considerazione del requisito della determinabilità dell’oggetto contrattuale165. Si rivolga l’attenzione, in primo luogo, al caso della delegazione. Non paiono, infatti, esservi dubbi in ordine alla circostanza che siffatta figura negoziale possa validamente avere a oggetto un credito non ancora esistente al momento della conclusione della medesima166. Tuttavia, è stato ulteriormente puntualizzato, con riguardo specifico alla delegazione titolata, 165 In ordine all’aspetto da ultimo segnalato, v., infra, § 3.4. 166 Cfr. Cass. 15 luglio 1967, n. 1788, in Foro it., 1967, I, 2354; Cass. 8 aprile 1948, n. 525, in Riv. dir. comm., 1948, II, 252, con nota di GRECO. In dottrina, v. MAGAZZÙ, voce Delegazione, in Dig. disc. priv., sez. civ., V, Torino, 1989, 165. 108 che ai fini della validità di essa è sufficiente l’esistenza dei rapporti di provvista e di valuta al momento della scadenza, ma non è ugualmente necessario che i medesimi sussistano già nel momento precedente della stipulazione, con la conseguenza che non vi sono ostacoli alla ammissibilità di una delegazione di crediti futuri «che, pur non potendo ancora considerarsi esistenti, risultino, tuttavia, collegati ad un non ancora avvenuto svolgimento di rapporti, che siano già in atto al momento in cui viene attuato il rapporto di delegazione»167. Ebbene, non è chi non veda come, nell’ipotesi in esame, al di là dell’affermazione di principio in ordine alla generale ammissibilità della fattispecie delegatoria avente a oggetto crediti futuri, l’arresto giurisprudenziale pare sottintendere una nozione di credito futuro diversa rispetto a quella che qui si ritiene di accogliere e, in ogni caso, suscettibile di fondare pericolosi fraintendimenti tra il dato della futurità, inteso in senso stretto e quindi proprio, e quello della mera esigibilità della prestazione derivante da una situazione giuridica soggettiva esistente168. In questo senso, la definizione di credito futuro validamente deducibile nel momento in cui si conclude la delegazione viene effettuata dalla citata giurisprudenza attraverso il recupero della teoria del cosiddetto rapporto sottostante o di 167 Così, Cass.19 maggio 2004, n. 9470, in Giur. it., 2005, 706, e in Foro it., 2005, 168 Sulla nozione generale di credito futuro e sul riferimento ai confini del I, 823. fenomeno, v., supra, cap. I. 109 base, che, come si è avuta occasione di notare, ha segnato fortemente l’indirizzo più datato in tema di cessione di crediti futuri e la successiva evoluzione degli orientamenti in materia169. Il riferimento al futuro svolgimento di rapporti già in atto al momento della delegazione, infatti, postula una considerazione in fieri di quegli stessi rapporti sottostanti al meccanismo delegatorio che, seppure in corso di svolgimento, manifestano già una qualche nota di attualità al tempo della stipulazione. Se quello appena delineato è il panorama generale nel cui ambito la giurisprudenza ha inteso di potere circoscrivere i confini di ammissibilità della delegazione di crediti futuri, un ulteriore ordine di considerazioni si impone, tuttavia, agli effetti della problematica della definizione del cosiddetto confine remoto del fenomeno credito futuro attraverso l’analisi dei limiti che valgono a contraddistinguere la valida deducibilità in contratto di esso in relazione specifica all’elemento essenziale della determinatezza ovvero determinabilità dell’oggetto del negozio giuridico. Segnatamente, e rinviando a quanto più diffusamente si dirà in appresso sul punto170, è utile anticipare sin d’ora come, in primo luogo, la prima attenzione debba essere rivolta alla futurità del rapporto di valuta attesa la possibilità che la delegazione venga realizzata allo scoperto assumendo così i tratti della gratuità tra delegante e delegato, e, inoltre, si tratti di verificare se 169 Sull’evoluzione giurisprudenziale e sulle prese di posizione della dottrina in materia di cessione di crediti futuri, v., supra, § 2.1. 170 V., infra, § 3.4. 110 l’approccio giurisprudenziale in parola sia la conseguenza diretta della necessità di caricare il requisito della determinabilità dell’oggetto contrattuale di un particolare significato a discapito di un’opposta ricostruzione, ovvero fondi la propria ratio, quantomeno in parte, su aspetti diversi che si legano a connotati particolari del negozio di delegazione, nello specifico titolata. Complesso e articolato, invece, è stato il processo giurisprudenziale che ha caratterizzato l’emersione della figura dell’accollo di debito futuro. Se si prescinde, infatti, da una non recente pronuncia che ha ritenuto ammissibile la figura sulla scorta di un ragionamento del tutto similare quello di cui si è detto appena sopra in ordine alla delegazione titolata di crediti futuri, ossia ritenendo necessaria l’esistenza del rapporto sottostante al tempo della scadenza convenuta171, in varie altre occasioni il dato testuale del riferimento della disposizione di cui all’art. 1273 cod. civ. all’assunzione del debito altrui e alla eventuale adesione da parte del creditore è stato interpretato come tale da imporre la preesistenza del rapporto obbligatorio oggetto dell’accollo172. Con la conseguenza che la convenzione attraverso la quale un soggetto si impegna ad assumere i futuri debiti dell’altro integrerebbe gli estremi della mera promessa di accollo, id est del negozio preliminare di accollo il cui oggetto consiste nell’obbligo di accollarsi il 171 Cass. 10 luglio 1974, n. 2042, in Mass. Giur. it., 1974. 172 Così, Cass. 22 giugno 1957, n. 2386, in Rep. Foro it., 1957, voce Obbligazioni e contratti, n. 358; Cass. 6 dicembre 1974, n. 4109, in Foro it., 1975, I, 1141. 111 debito altrui e rispetto al quale l’assunzione effettiva della posizione debitoria costituisce esecuzione della prestazione dovuta173. L’indirizzo più elastico inizia a emergere a partire dagli anni Ottanta, quando la giurisprudenza della Suprema Corte torna ad ammettere l’accollo di debiti futuri, seppure limitatamente all’accollo meramente interno e con espressa esclusione della possibilità di estendere la soluzione positiva anche a quello esterno e senza che tuttavia siffatta apertura fosse ricollegabile al mutamento dell’approccio ermeneutico nei confronti dell’art. 1273174. Al contrario, il ricordato arresto giurisprudenziale ricollega l’ammissibilità dell’accollo interno di debito futuro al principio dell’autonomia convenzionale, ponendo peraltro una netta linea distintiva tra quello e l’accollo esterno, al quale ultimo soltanto la norma di cui all’art. 1273 si riferirebbe. Sennonché, il superamento dell’argomento da ultimo ricordato, ossia il riconoscimento che non vi è alcun contrasto tra la futurità del debito oggetto di accollo e l’art. 1273, non ha impedito, in un primo tempo, di relegare la convenzione con cui un soggetto si impegni ad assumere i futuri eventuali debiti di un altro nello schema del negozio preliminare175. È, quindi, al termine del travagliato iter giurisprudenziale cui si è fatto cenno sopra che la Suprema Corte, accogliendo la soluzione già da tempo 173 Cfr. Cass. 5 aprile 1966, n. 881, in Giust. civ., 1967, I, 1155, con nota di FINOCCHIARO, Assunzione di debito altrui nei confronti del non debitore; App. Roma, 5 dicembre 1989, in Giust. civ., 1990, I, 453. 174 Cass. 24 febbraio 1982, n. 1180, in Mass. Giur. it., 1982. 175 Cass. 8 settembre 1988, n. 5102, in Mass. Giust. civ., 1988, 1232. 112 affermatasi in dottrina176, ha concluso nel senso della ammissibilità tanto dell’accollo, altresì esterno, di un debito futuro, quanto del preliminare di accollo che, a sua volta, può inerire sia a un debito presente che a un debito futuro, sottolineando, ulteriormente, come anche nella presente ipotesi, come del resto in ogni altro caso di contratto avente a oggetto la prestazione di cose future ex art. 1348 cod. civ., l’attenzione deve essere spostata dal profilo concernente l’analisi della portata applicativa della norma di cui al più volte ricordato art. 1273, che non può essere limitata alle sole situazioni giuridiche presenti, a quello della determinabilità dell’oggetto negoziale177. Più precisamente, gli argomenti posti a sostegno della tesi appena ricordata ineriscono, innanzitutto, alla generale ammissibilità del contratto avente a oggetto la prestazione di cose future a norma dell’art. 1348, stante la necessità che eventuali particolari divieti di legge debbano essere sufficientemente specifici, in quanto previsti in via tassativa ovvero desumibili dalle modalità di perfezionamento o dalla funzione del contratto di cui si tratta. Ulteriori dati in tal senso sono rintracciati nel riferimento alla validità della fideiussione per debito futuro, nonché di quella con clausola 176 Cfr. RESCIGNO, Studi sull’accollo, Milano, 1958, 154; CAMPOBASSO, voce Accollo, in Enc. giur. Treccani, I, Roma, 1988, 4; G. GIACOBBE e D. GIACOBBE, Della delegazione, dell’espromissione e dell’accollo, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Artt. 1268-1276, Bologna-Roma, 1992, 109. 177 Così, Cass. 23 settembre 1994, n. 7831, in Contratti, 1995, 16; in Corriere giur., 1995, 330, con commento di CARINGELLA, L’accollo di debiti futuri torna all’attenzione della Suprema Corte; in Banca, borsa e tit. cred., 1995, II, 581; in Giur. it., 1995, I, 1, 1018; in Fallimento, 1995, 363; in Guida al dir., 1995, 25, con nota di SILLA. 113 omnibus178, e nell’ampia autonomia negoziale riconosciuta dall’ordinamento nella materia in esame, poiché non limitata da specifici vincoli imposti dal legislatore. Soluzione positiva, quest’ultima, la cui maggiore bontà è stata evidenziata anche in relazione a un più ampio principio di non contraddizione interno all’ordinamento giuridico, in confronto specifico alla fattispecie della cessione di crediti futuri179. Ancora, sulla scorta della possibilità di ricondurre l’accollo esterno agli schemi del contratto a favore di terzi e della configurabilità di quest’ultimo anche in relazione a diritti futuri180, diversamente argomentando, non sarebbe dato di comprendere il motivo di una eventuale differenziazione di trattamento ogni qualvolta la situazione giuridica soggettiva cui l’operazione negoziale si riferisce abbia il connotato della futurità181. Diverso ancora è stato l’approccio inerente alla figura della espromissione in quanto riferita a debiti futuri, ove la soluzione adottata è stata quella negativa nel senso, più precisamente, che, sulla scorta della premessa che l’espromissione non può giammai avere a oggetto un debito 178 Sul punto, v., supra, § 2.3. 179 V. CARINGELLA, L’accollo di debiti futuri torna all’attenzione della Suprema Corte, cit., 335 s. Sulla cessione di crediti futuri, v., anche, §§ 2.1 e 2.2. 180 181 V., in tal senso, Cass. 5 aprile 1974, n. 952, in Giust civ., 1974, I, 549. CARINGELLA, L’accollo di debiti futuri torna all’attenzione della Suprema Corte, cit., 335. 114 non ancora sorto182, l’eventuale inesistenza della precedente obbligazione vale a cagionare la nullità del contratto concluso tra creditore e terzo espromittente per difetto della causa183, potendo il negozio concluso al più integrare gli estremi dell’assunzione di una obbligazione di garanzia per futuri possibili debiti dell’obbligato184. Siffatta conclusione negativa, quindi, passa attraverso la presa in esame dell’elemento causale del contratto di espromissione, il quale andrebbe rintracciato nell’assunzione di un debito altrui mediante un’attività del tutto svincolata dagli eventuali rapporti tra terzo espromittente e debitore espromesso185, che non si inseriscono nello schema causale del contratto di cui si tratta186. In altri termini, sarebbe sulla base di tale connotato che il meccanismo negoziale in parola andrebbe distinto rispetto alla delegazione e all’accollo, nelle cui cause l’interesse dell’assuntore confluisce, nel senso che se, per un verso, l’assunzione del debito altrui esaurisce il panorama 182 Cass. 27 ottobre 1965, n. 2267, in Rep. Foro it., 1965, voce Obbligazioni e contratti, n. 400. 183 Una simile argomentazione non può che prendere le mosse dalla considerazione che il contratto di espromissione trova la sua causa nell’assunzione del debito altrui. Così, Cass. 13 dicembre 2003, n. 19118, in Contratti, 2004, 653, con commento di MICHETTI, La causa del contratto di espromissione. 184 Cass. 10 novembre 2008, n. 26863, in Foro it., 2009, I, 1106, con nota di CASORIA. 185 Cfr. Cass. 5 marzo 1973, n. 609, in Giust. civ., 1973, I, 941; Cass. 7 luglio 1976, n. 2525, in Foro it., 1977, I, 712. 186 G. GIACOBBE e D. GIACOBBE, Della delegazione, dell’espromissione e dell’accollo, cit., 81. 115 effettuale dell’espromissione, peraltro, delegazione e accollo si prestano anche a realizzare ulteriori e diversi risultati, rispetto ai quali l’assunzione dell’altrui posizione debitoria rappresenta solo uno degli effetti187. Di qui l’incidenza dell’assenza del rapporto obbligatorio sul profilo causale dell’operazione negoziale in parola e, per tale via, l’invalidità dell’espromissione avente a oggetto un debito futuro per difetto inerente a quell’elemento essenziale. 187 Cfr. MICHETTI, La causa del contratto di espromissione, cit., 665 s. 116 2.5 Transazione e diritti futuri. L’obbligazione per il risarcimento dei danni futuri Un’ultima notazione, per quanto concerne l’indicazione delle ipotesi dalle quali trarre gli argomenti e spunti necessari a prendere posizione sulla problematica inerente alla determinabilità del negozio su credito futuro, deve essere riservata alla fattispecie della transazione di cui agli artt. 1965 ss. cod. civ. Anche in questo caso è stata da taluno affermata una generale ammissibilità della figura della transazione avente a oggetto diritti futuri188 e, in via del tutto similare a molte delle ipotesi cui si è fatto riferimento nel corso del presente capitolo, la soluzione positiva è stata argomentata sulla scorta del più volte ricordato principio generale contenuto nell’art. 1348 cod. civ. circa la generale deducibilità in contratto della prestazione di cose future. L’opposta conclusione, invece, si fonda su di un approccio teso ad analizzare il corretto significato del concetto di lite di cui al citato art. 1965, che lo descrive in termini di rapporto tra pretesa e contestazione189. Nello 188 V., in tal senso, VALSECCHI, Il giuoco e la scommessa. La transazione, in Trattato di dir. civ. e comm., già diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, XXXVII, t. 2, Milano, 1986, 311 s. 189 Art. 1965 cod. civ.:«La transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro. 117 specifico, è dato di rilevare come l’effettiva esistenza della situazione giuridica soggettiva intorno alla quale la pretesa viene affermata svolga un ruolo del tutto secondario non solo perché l’impulso alla transazione postula la mera affermazione di un diritto a prescindere da quanto è oggettivamente dovuto, ma, anche e soprattutto agli effetti che qui maggiormente interessano, poiché il concetto di pretesa, e quindi di lite transigibile sulla scorta della contestazione mossa da controparte, deve essere definito mediante il ricorso a una visuale di tipo processualistico190. Se, infatti, la lite di cui qui si discute può essere tanto giudiziale quanto extragiudiziale e, in questo senso, la transazione è funzionale, rispettivamente, a porre fine alla controversia giudiziale medesima ovvero a prevenirla, essa non può prescindere dalla azionabilità della pretesa medesima, ossia dall’attualità dell’interesse ad agire. Ciò in quanto, così come la mancanza di quest’ultimo requisito impedisce di configurare una lite rilevante ex art. 1965, allo stesso modo vale a impedire che siffatta controversia possa essere transatta, con la conseguenza che è da escludere che le parti possano addivenire a una transazione con riguardo a situazioni future e ipotetiche, quindi eventuali, stante, per l’appunto, l’assenza di un interesse attuale e, in via consequenziale, la inammissibilità della domanda giudiziale che si Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti». 190 V. RUPERTO, Gli atti con funzione transattiva, Milano, 2002, 103 ss. 118 pretenda di fare valere in ipotesi di tal sorta191. Ulteriore corollario di quanto precede è la nullità di un tale contratto di transazione per impossibilità dell’oggetto, salvo il caso della conversione, se e in quanto ne ricorrano i relativi presupposti, in altro negozio modificativo del rapporto di cui si tratta192. Ora, si tratta, innanzitutto, di rilevare quale dei due orientamenti accennati sia da ritenere preferibile, anche e specialmente alla luce delle conseguenze di una simile presa di posizione in relazione al concetto di credito futuro da cui la presente trattazione ha inteso di potere prendere le mosse, e, in secondo luogo, di analizzare l’incidenza dei dati ricavabili da tale indagine sulla problematica relativa alla determinatezza del negozio su credito futuro193. Ebbene, è importante notare che il principio di cui all’art 1348 cod. civ. vale certamente a costituire il presupposto della generale ammissibilità del negozio su diritto futuro nell’ordinamento194, tuttavia, ed è questo il punto, non si tratta di una regola insuscettibile di incorrere in deroghe, attesa la possibilità, appalesata chiaramente dallo stesso tenore letterale della disposizione in parola, che essa incontri «particolari divieti della legge». Formula, quest’ultima, suscettibile di ricomprendere non soltanto le norme 191 GITTI, L’oggetto della transazione, Milano, 1999, 213. 192 Rapporto che, in ogni caso, non potrebbe essere considerato quale litigioso in senso proprio. Così, GITTI, L’oggetto della transazione, cit. 214. 193 Aspetto, quest’ultimo, sul quale v., infra, § 3.4. 194 Sul punto, v., supra, § 1.1. 119 che esprimono una specifica preclusione nei confronti della deducibilità della posizione futura, bensì anche i divieti desumibili dalle modalità di perfezionamento o dalla funzione del contratto considerato195. Sulla base di queste notazioni, è, quindi, la necessità di attribuire un significato tecnico al concetto di pretesa idonea a fondare la lite giuridicamente rilevante di cui all’art. 1965196, che rende del tutto preferibile la tesi che esclude la valida deducibilità in transazione di un diritto futuro e eventuale, quindi ipotetico. Tale conclusione, peraltro, risulta maggiormente in linea con la definizione di credito futuro che ispira la presente analisi e con i confini tra questo e situazioni giuridiche soggettive che future non possono essere considerate in quanto derivanti da un titolo certamente in fase di formazione, ma già approdato a uno stadio idoneo a consentire la produzione di taluni effetti obbligatori di natura non semplicemente prodromica197. Il che vale a ridimensionare la persuasività dell’indicazione dei diritti condizionali e di quelli sottoposti a termine come altrettanti esempi di transazione avente a oggetto diritti futuri198. 195 Cass. 3 febbraio 1994, n. 7831, cit. 196 Sulla necessità di prendere le mosse da una definizione tecnica del termine “pretesa”, v. RUPERTO, Gli atti con funzione transattiva, cit., 103. 197 V., supra, §§ 1.4 e 1.5. 198 I diritti condizionali e quelli sottoposti a termine sono considerati esempi di diritti futuri suscettibili di essere oggetto di transazione da VALSECCHI, Il giuoco e la scommessa. La transazione, cit., 312. 120 A ulteriore conferma delle considerazioni dinanzi esposte è utile prendere in esame il caso specifico dell’obbligazione risarcitoria per danni futuri e la problematica riguardante la transigibilità delle liti a essa inerenti. Appare, così, di sicura importanza, nell’economia della presente indagine, ricordare come sia comunemente riconosciuta la risarcibilità di quei danni, definiti futuri in quanto tali da esprimersi in un momento successivo alla domanda di risarcimento del nocumento derivante dal fatto illecito199, che siano conseguenza certa di questo200 o, comunque, siano ad esso ricollegabili sulla base di un giudizio di regolarità causale201. Ancora, e con riguardo specifico al contratto di transazione, la risarcibilità dei danni che si manifestano successivamente alla conclusione di essa e non prevedibili in quel momento non è esclusa dal riferimento testuale del negozio transattivo anche ai danni futuri202. Il panorama così delineato impone una riflessione sulla nozione di credito futuro siccome riferita all’obbligazione risarcitoria sul piano, segnatamente, della distinzione tra situazioni giuridiche soggettive 199 Ma è da ritenere che i termini della questione non siano diversi, per quello che qui interessa, anche in relazione alle conseguenze dannose dell’inadempimento. 200 Cass. 4 febbraio 1992, n. 1147, in Foro it., 1992, I, 2127. 201 Cfr. Cass. 2 giugno 1992, n. 6676, in Giur. it., 1993, I, 1, 1308, con nota di FABIANI; Cass. 3 aprile 2008, n. 8546, in Giust. civ.¸ Mass. 2008, 508. V., anche, BIANCA, Diritto civile, 5, La responsabilità, Milano, 1994, 160, il quale definisce futuri «quei danni di cui si prevede con ragionevole certezza il verificarsi in un tempo successivo alla domanda di risarcimento o alla scadenza». 202 In questo senso, v. Cass. 31 maggio 2005, n. 11592, in Giust. civ., Mass. 2005, 5; Cass. 5 agosto 1997, n. 7215, in Giust. civ., Mass. 1997, 1334. 121 propriamente future e posizioni idonee già a denotare taluni tratti di attualità e che, a questa stregua, vanno tenute separate dalle prime. Se, infatti, la successiva manifestazione del nocumento è il dato che accomuna tutte le ipotesi alle quali si è fatto cenno appena sopra, non può sfuggire come sia il modo di atteggiarsi del nesso di causalità a rappresentare il discrimen tra quei danni di cui può essere fondatamente richiesto il ristoro e, inoltre, suscettibili di essere validamente dedotti in un contratto di transazione, e quelle conseguenze pregiudizievoli di cui non può essere richiesto il risarcimento, né transigibili in veste di danni futuri, in quanto nel primo caso il nocumento è conseguenza necessaria o, comunque, prevedibile dell’illecito commesso, laddove nelle ipotesi del secondo tipo il medesimo giudizio di causalità non consente a siffatte voci di acquistare rilevanza attuale ai fini risarcitori. Si tratta, in altri termini, di tenere ferma anche rispetto all’obbligazione risarcitoria la definizione di credito futuro quale posizione giuridica soggettiva derivante da un titolo non ancora esistente in tutto o in parte e di potere porre un parallelo tra taluni crediti per il risarcimento dei danni e quelle situazioni, di cui si è già detto203, di controverso inquadramento e, rispetto alle quali, il particolare stato di avanzamento del titolo costitutivo ne postula una considerazione diversificata rispetto alle posizioni propriamente future, se non addirittura quali attuali sul piano dell’efficacia giuridica obbligatoria. 203 V., supra, §§ 1.4. e 1.5. 122 In questo senso, il credito per il risarcimento dei danni causalmente ricollegabili all’illecito con ragionevole certezza può essere considerato alla stregua di credito futuro soltanto in maniera impropria, stante la rilevanza meramente descrittiva che finirebbe per assumere tale dizione poiché strumentale a segnalare il dato materiale della concretizzazione del nocumento in un tempo successivo. Diversamente, il carattere della futurità in senso stretto va ricollegato ai soli crediti per i danni non prevedibili al momento della domanda di ristoro, poiché in quest’ultimo caso l’iter di formazione della relativa obbligazione non ha ancora raggiunto, sul piano precipuo dell’elemento del nesso di causalità, uno stadio sufficiente alla produzione di effetti obbligatori. Di qui la impossibilità giuridica di addivenire a una valida transazione rispetto a questi ultimi. Ne risultano così confermate sia la necessità di un approccio tecnico ai concetti di pretesa e di lite di cui all’art. 1965, sia la compatibilità tra siffatto indirizzo e la nozione di credito futuro attorno alla quale si svolge la presente indagine. 123 CAPITOLO III I CREDITI FUTURI TRA VALIDITÀ ED EFFICACIA DELL’ATTO 124 3.1 Oggetto del contratto e requisito della determinatezza. Premesse generali e introduzione La panoramica svolta nel capitolo che precede consente di notare come la deduzione in contratto di un credito futuro generalmente importi la problematica della validità dell’atto di cui si tratta sul piano della determinatezza o della determinabilità dell’oggetto negoziale204. È questo un punto di particolare rilevanza nell’economia della presente trattazione, in quanto strumentale alla descrizione di quello che si è ritenuto di poter definire come il confine remoto del fenomeno credito futuro, ossia il minimun di consistenza che siffatta situazione soggettiva deve rivestire affinché possa essere validamente dedotta in contratto. Non può sfuggire, infatti, che dilatare la nozione in esame al di là del limite alla cui definizione ci si appresta equivarrebbe a relegarla sul piano prettamente descrittivo, svuotandola sul piano giuridico, salvo evidentemente l’argomento di carattere negativo inerente alla invalidità dell’atto quale conseguenza della indeterminatezza dell’oggetto, nella misura in cui finirebbe per aprire la strada a una serie di ipotesi suscettibili di fondare tale conseguenza invalidante. Se, in altri termini, il cosiddetto confine prossimo è strumentale a segnare il limite tra il credito propriamente futuro e quello che tale non può essere considerato poiché già idoneo a esprimere i tratti della attualità, il discrimen in parola svolge il differente ruolo di selezionare, sempre 204 V., supra, cap. II. 125 beninteso nel quadro della futurità della posizione subiettiva, quei crediti che, per caratteristiche intrinseche ovvero per sufficiente determinazione delle parti, consentono al contratto che li abbia a oggetto di sfuggire alla censura della nullità205. Ma, prima di apprestarsi alla scioglimento di questo nodo, è bene procedere per gradi e superare la problematica concernente i rapporti tra l’art. 1348 e l’art. 1418 cod. civ., con particolare riguardo alla norma di cui al secondo comma della seconda delle dette disposizioni206, la quale, nello specifico, impone di affrontare la tematica dei crediti futuri anche in relazione al vizio dell’inesistenza dell’oggetto. Ciò in quanto l’astratta possibilità di considerare il negozio su credito futuro quale privo di oggetto solleva la questione se non della nullità di esso, attesa la regola generale di cui all’art. 1348, quantomeno della necessità di coordinare le due disposizioni suddette, ossia il rapporto tra la conseguenza della nullità del contratto per mancanza di uno dei requisiti essenziali, e segnatamente 205 La finalità che si persegue, tuttavia, non è quella di stilare una lista di connotati idonei ad assicurare la determinabilità dell’oggetto (elencazione che non potrebbe che essere incompleta), ma quella di rilevare come le differenti concezioni di oggetto del contratto e di determinatezza di esso possono incidere sulla tematica inerente alla validità del negozio su credito futuro. 206 Art. 1418 cod. civ.: «Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente. Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall’art. 1325, l’illiceità della causa, l’illiceità dei motivi nel caso indicato dall’art. 1345 e la mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’art. 1346. Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge». 126 dell’oggetto, e l’ammissibilità del negozio su diritto futuro, e su credito futuro nello specifico, con riguardo anche alle norme che ne prevedono particolari ipotesi207. Ora, anche senza volere nella presente sede affrontare l’articolato panorama delle definizioni di oggetto del negozio giuridico che sono state prospettate208, sia sufficiente rilevare come se il diritto può a giusto titolo integrare gli estremi del bene in senso giuridico e quindi essere a sua volta oggetto di un altro diritto209, la deduzione in contratto di un credito futuro non può non inerire all’elemento obiettivo del negozio stesso, e ciò, come si avrà occasione di notare in appresso, a prescindere da una considerazione di esso in termini di bene o utilità ovvero di più ampio contenuto dell’atto, che comunque quel bene o utilità vale a ricomprendere. Sennonché, è altrettanto innegabile che la definizione di ciò che debba intendersi per oggetto del contratto può spiegare importanti conseguenze sul piano qualificatorio del negozio su diritto futuro, quantomeno, come si rileverà, nel senso di rendere preferibile una piuttosto che un’altra ricostruzione. In questo senso, la identificazione dell’elemento obiettivo del contratto col termine concreto e reale di incidenza degli effetti, ossia col 207 Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 208 s. 208 Sul tema, v., tra gli altri, ALPA, voce Oggetto del negozio giuridico, in Enc. giur. Treccani, XXI, Roma, 1990, 1 ss. 209 V., in tal senso, ZENO-ZENCOVICH, Cosa, cit., 448. 127 bene, inteso prima quale cosa in senso stretto in quanto ancorato al dato della materialità210 e poi, in un’ottica certamente più evolutiva, ritenuto suscettibile di ricomprendere anche eventuali valori o utilità di natura incorporale tali da costituire il punto di riferimento oggettivo degli interessi al cui soddisfacimento il contratto è strumentale211, sembra importarne la necessaria attualità al momento della conclusione del negozio, con la conseguenza di porre in discussione la possibilità di ricostruire l’atto su credito futuro come completo fin dall’inizio. Il che, inoltre, imporrebbe di spostare l’attenzione decisamente sul profilo della attualità e sulla giustificazione di un negozio a oggetto non attuale, prima ancora che sulla determinatezza o determinabilità di quest’ultimo. E, in effetti, in dottrina non si è mancato di discorrere intorno a un fenomeno di «inversione dell’ordine cronologico di formazione degli atti giuridici in genere e dei negozi giuridici in particolare», e di definire la fattispecie della vendita di cosa futura alla stregua di «negozio a consenso anticipato»212. Segnatamente, sulla scorta della premessa che nella normalità dei casi taluni degli elementi del negozio sussistono già prima della formazione del 210 Si tratta della impostazione più risalente poiché legata alla definizione di bene rinvenibile all’art. 810 cod. civ. V. MESSINEO, voce Contratto (dir. priv.), in Enc. dir., IX, Milano, 1961, 836, il quale definisce il bene quale «materia di trasferimento, di godimento e simile». 211 Nell’ambito di questa concezione più ampia di bene c’è spazio anche per gli stessi diritti di credito. Così, FERRI, Il negozio giuridico tra libertà e norma, Rimini, 1995, 177 s. e, specificamente, 178, nt. 205. 212 Così, RUBINO, La compravendita, cit., 178. 128 consenso e che tra quelli va ricompreso l’oggetto, attraverso la previsione di cui all’art. 1348 il legislatore codicistico consentirebbe per l’appunto l’inversione di tale ordine cronologico. Di qui la considerazione del contratto su diritto futuro come negozio in corso di formazione213 ovvero quale figura di carattere procedimentale che, al tempo considerato, sconterebbe una incompletezza oggettiva214. È pur vero che, in via astratta, la ricostruzione dell’oggetto come termine reale e esterno (materiale o giuridico che sia) di riferimento del negozio potrebbe essere compatibile anche con la diversa idea che il negozio su credito futuro sia perfetto ab origine, ma, beninteso, nella misura in cui si sostenga che «il concetto giuridico di oggetto del contratto sia stato, dal legislatore, esteso non solo alle cose (o ai diritti) attuali, ma anche alle cose (o ai diritti) in divenire, purché suscettibili di concretizzarsi»215. Tuttavia, è la stessa previsione in via autonoma del requisito della possibilità (art. 1346 cod. civ.) che pare suggerire una diversa ricostruzione della nozione di oggetto del contratto, al fine così di recuperarne altrimenti l’attualità. Improntato, invece, a una ben maggiore logica di astrazione concettuale è il diverso approccio che, pur senza negare che il termine cui 213 Si noti, peraltro, che il corso della formazione dovrebbe essere limitato al solo requisito oggettivo, laddove il medesimo contratto andrebbe considerato già concluso per quanto concerne l’elemento del consenso. Così, RUBINO, La compravendita, cit., 178. 214 Salv. ROMANO, Vendita, Contratto estimatorio, cit., 185. 215 Così, TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 226. 129 sono riferiti gli effetti giuridici del negozio sia da collocare all’esterno dell’atto stesso, focalizza l’attenzione sul meccanismo attraverso il quale siffatto termine riceve consacrazione nel negozio giuridico e trova rappresentazione, beninteso sul piano ideale, nell’ambito del contenuto di esso, ed è a questo secondo aspetto che si deve avere riguardo al fine della definizione dell’oggetto negoziale. In quest’ottica, si segnalano sia l’opinione che rintraccia nella previsione volitiva delle parti lo strumento mediante il quale il termine esterno trova rappresentazione nel negozio e ne costituisce l’oggetto216, sia l’indirizzo che individua tale ultimo requisito nella rappresentazione programmatica del bene sul quale l’incidenza effettuale è destinata a prodursi217. Ebbene, vale la pena di rilevare come, spostata l’attenzione dalla frazione di realtà materiale o ideale esterna al negozio alla rappresentazione che di essa le parti fanno nel quadro del regolamento contrattuale, anche la ricostruzione dell’atto su diritto futuro deve essere svolta in maniera diversa. Più precisamente, il negozio contemplato in via generale nell’art. 1348 cod. civ. non può essere definito in termini di incompletezza per ciò che 216 OPPO, Note sull’istituzione di non concepiti¸ in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948, 217 V. IRTI, voce Oggetto del negozio giuridico, in Noviss. dig. it., XI, Torino, 82 ss. 1975, 799 ss.; e ID., Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, Milano, 1967, 141. Sulla importanza di questo indirizzo dottrinario agli effetti della tematica di cui alla presente trattazione, v. anche, infra, §§ 3.2 e 3.4. 130 concerne il requisito obiettivo poiché è proprio la deduzione del bene futuro che vale di per sé ad assicurare l’attualità dell’oggetto 218 e, per tale via, la validità del negozio in parola. Che, poi, il termine esterno a quest’ultimo e sul quale il mutamento giuridico voluto dalle parti sarà prodotto dalla norma debba ancora venire in essere investe il diverso piano della efficacia 219, ma non certamente quello della validità ovvero del perfezionamento del negozio220. Affermata, sulla scorta delle argomentazioni che precedono, la completezza già ab initio e, quindi, la validità del negozio su credito futuro sul piano della esistenza attuale dell’oggetto senza dovere effettuare alcun tentativo di coordinare siffatta figura con le regole che sanciscono la nullità del contratto per mancanza dell’oggetto, è ai requisiti che tale elemento deve avere a norma dell’art. 1346 cod. civ. che può finalmente essere dedicata l’indagine, con particolare riguardo a quello della determinatezza o determinabilità che, come le ipotesi esemplificative sopra ricordate denotano chiaramente221, mostra i maggiori aspetti di problematicità. Questi, d’altra parte, risultano tanto più comprensibili, quanto maggiore sia la 218 BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 2000, 324. 219 Sul punto, v., infra, § 3.4. 220 Così, IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 805: «mentre nello stadio della rilevanza il termine esterno interviene solo come punto di riferimento di una rappresentazione, nello stadio dell’efficacia esso deve mostrarsi quale concreta entità storica». 221 V., supra, cap. II. 131 considerazione di ciò che si innestano nel tronco di una categoria, quale è quella della determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto, che, anche al di fuori della particolare ipotesi del negozio su credito futuro, ha dato vita ad applicazioni giurisprudenziali le quali, di volta in volta, hanno piegato il requisito in esame a differenti fini, rendendolo funzionale al perseguimento di ragioni ben diverse tra loro222. Di qui, è agevole comprendere come lo svolgimento di una indagine intorno all’atteggiarsi della determinatezza o determinabilità dell’oggetto del negozio su credito futuro, alla quale sono dedicate le pagine che seguono, rivesta una duplice rilevanza. Per un verso, infatti, si tratta di evitare di caricare il requisito in parola di una ratio che non gli è propria e di ricondurlo entro i giusti limiti. Per l’altro, logica conseguenza del punto che precede è la definizione di quello che si è inteso di definire il confine remoto del fenomeno credito futuro, ossia la problematica inerente alla maggiore o minore consistenza che il medesimo deve rivestire affinché possa essere validamente dedotto in contratto, in quanto non contrasti col più volte ricordato canone della determinatezza o determinabilità dell’oggetto negoziale. 222 La scarsa chiarezza della regola della nullità del contratto per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto e il carattere equivoco di talune applicazioni giurisprudenziali di essa sono rimarcati da ROPPO, Sugli usi giudiziali della categoria «indeterminatezza/indeterminabilità dell’oggetto del contratto», e su una sua recente applicazione a tutela di «contraenti deboli», nota a Pret. Genova, 27 settembre 1978, in Giur. it., 1979, I, 2, 146 ss. 132 3.2 La determinatezza dell’oggetto quale requisito logico-formale dell’atto La prima delle impostazioni in ordine al problema della determinatezza o determinabilità dell’oggetto contrattuale, alla quale qui si intende fare riferimento, è quella che prende le mosse da un approccio di carattere logico-formale, e quindi ideale, alla tematica inerente alla definizione di cosa debba intendersi per oggetto del negozio giuridico. Il riferimento, segnatamente, è a quella dottrina, cui si è già fatto cenno223, che individua siffatta nozione nella rappresentazione che le parti effettuano di quel termine esterno alla struttura del negozio sul quale l’effetto giuridico è destinato a prodursi e che, per mezzo di questo processo logico, si inserisce nel quadro del contenuto del negozio stesso224. Tale impostazione, a ben vedere, si innesta nell’ambito di una particolare visione del rapporto tra negozio giuridico, e quindi volontà delle parti, da un lato, e norma, dall’altro, in relazione alla produzione dell’effetto. Ricostruzione, quest’ultima, della quale è importante dare conto nella presente sede per la rilevanza che essa finisce per spiegare sulla ricostruzione del concetto di determinatezza e determinabilità dell’oggetto 223 224 V., supra, § 3.1. V., in tal senso, IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 799 ss.; e ID., Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, cit., 123 ss. 133 del negozio su credito futuro, nonché sulla interpretazione di taluni dei dati ricavabili dall’analisi delle fattispecie considerate225. Punto di partenza fondamentale dell’orientamento in parola è l’adozione di una prospettiva di carattere normativistico, secondo cui la fonte dell’effetto giuridico va rintracciata nella norma, con la conseguenza di dovere ridimensionare e meglio circoscrivere il ruolo svolto dalla cosiddetta autonomia convenzionale dei singoli soggetti nel quadro del meccanismo complessivo di produzione della modificazione portata dall’effetto medesimo. È, così, nel solco dell’accennata tradizione giuridica che si inserisce quell’orientamento che ha sottolineato come la regola posta in essere dai privati per il tramite della conclusione del negozio non è idonea, isolatamente considerata, a realizzare alcuna impegnatività sul piano strettamente giuridico, potendo al più spiegare una portata vincolante a livello di agire sociale, di correttezza, di buona fede o di costume. Qualora, invece, si passi da questi ambiti, tutti peraltro accomunati dal connotato della extragiuridicità, a quello più propriamente del diritto, si impone di riconoscere efficacia vincolante alla sola norma giuridica, con la conseguenza che è giocoforza riconoscere che la regola pattizia trae il 225 V., supra, cap. II. 134 carattere della obbligatorietà dalla norma medesima che prevede la relativa fattispecie e ricollega a quest’ultima l’effetto giuridico226. Sulla scorta di dette premesse, il processo di produzione dell’effetto giuridico è stato ulteriormente specificato per mezzo della presa in esame del ruolo svolto dal negozio giuridico nell’ambito di siffatto meccanismo. La descrizione dell’oggetto negoziale quale rappresentazione ideale del termine esterno di incidenza dell’effetto si lega inscindibilmente alla constatazione di ciò che tra realtà, materiale o incorporale che sia, e obietto non esiste una relazione di coincidenza, bensì la prima si trasforma in elemento obiettivo ogni qualvolta a essa si riferisca il conoscere o il volere umano, e, inoltre, risponde all’esigenza di rendere concreto quel punto di incidenza dell’effetto giuridico che la norma descrive in via meramente astratta e virtuale227. In altri termini, il ruolo svolto dal negozio giuridico è quello di indirizzare l’effetto astrattamente previsto dalla norma verso un dato termine concreto, cosicché se è vero, come dinanzi ricordato, che il mutamento giuridico è realizzato sempre dalla norma in quanto fornita per sua natura di energia innovatrice, va, tuttavia, tenuto ben presente che, senza la necessaria intermediazione dell’atto negoziale, quell’efficacia non potrebbe concretamente indirizzarsi né sul piano oggettivo né su quello 226 Cfr. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, rist. II ed., Napoli, 1994, 48 ss.; e, anche, FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, cit., 87 ss.; ALLARA, Le nozioni fondamentali del diritto civile, I, Torino, 1958, 281. 227 IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 801 ss. 135 soggettivo, atteso che è proprio l’atto a riferirsi a una situazione giuridica iniziale, individuata al fine precipuo di consentire che la norma produca su di essa l’effetto astrattamente previsto, trasformandola in una nuova e diversa situazione (rispettivamente, il profilo retrospettivo e prospettivo del negozio)228. Ancora, definito l’oggetto del contratto quale rappresentazione del termine sul quale si dovrà indirizzare l’effetto giuridico dalla norma previsto in via astratta e virtuale, esso finisce per appalesarsi quale contenuto stesso dell’atto sotto forma di dichiarazione negoziale229. Ora, è alla luce dell’insieme delle considerazioni di cui sopra che si comprende come a un orientamento, quale è quello descritto, che si basa su di un approccio di tipo formale e normativistico alla tematica del negozio giuridico e del ruolo svolto da questo nell’ambito del processo di produzione degli effetti giuridici, corrisponda una considerazione del requisito della determinatezza o determinabilità dell’oggetto contrattuale caratterizzata dai medesimi connotati. Si rileva, in questo senso, la eterogeneità delle caratteristiche richieste dall’art. 1346 cod. civ., nel senso che i tratti della possibilità e della liceità attengono direttamente al più volte accennato dato esterno, sul quale la modificazione giuridica statuita dalla 228 Cfr. IRTI, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, cit., 123 ss.; e, specificamente intorno alla necessità della predeterminazione del soggetto e dell’oggetto affinché una conseguenza giuridica si produca, FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, cit., 156. 229 IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 803. 136 norma è indirizzata dalla previsione convenzionale, mentre il carattere della determinatezza o determinabilità si riferisce alla rappresentazione di esso, id est alla configurazione che le parti ne fanno nell’ambito del contenuto del negozio230. In altri termini, se l’oggetto del negozio consiste nella rappresentazione di un dato esterno alla struttura dell’atto stesso e se la necessità di tale requisito risponde all’esigenza che esso abbia quella completezza necessaria in mancanza della quale è da escludere che possa prodursi alcuna modificazione giuridica poiché la previsione astratta dell’effetto a livello normativo non avrebbe la possibilità di tradursi in concreta incidenza su di un dato specifico in assenza della indicazione di quest’ultimo, allora il requisito in parola deve rispondere all’esigenza di consentire alla norma di spiegare la propria efficacia innovatrice attraverso l’indicazione della situazione sulla quale essa deve incidere. Il che, vale la pena di anticipare231, postula, per quanto più specificamente attiene al discorso circa la validità dell’atto, la sufficienza della riferibilità del bene al negozio in quanto a quest’ultimo ascrivibile sulla scorta della rappresentazione pattizia ivi contenuta, nonché l’impossibilità di appesantire la ratio del requisito in parola di significati ulteriori che, come tali, non gli sono propri e il cui ingresso tra i parametri di valutazione del negozio deve essere eventualmente realizzato per il tramite di altre categorie dell’ordinamento giuridico. 230 IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 805. 231 Sul punto, v., infra, § 3.4. 137 L’insieme delle considerazioni dinanzi svolte consente, finalmente, di appuntare l’attenzione sul negozio su diritto futuro, che qui interessa in maniera precipua, per verificare come la deduzione in contratto di esso incida sull’atteggiarsi dell’atto alla stregua delle categorie che lo riguardano. La corrispondenza dell’oggetto del negozio con la descrizione del termine esterno di incidenza degli effetti giuridici, come è stato già notato232, autorizza a superare il vaglio della validità dell’atto sul piano della esistenza dell’elemento obiettivo e la valutazione di determinatezza o determinabilità deve essere svolta avuto riguardo alla funzione di tale carattere delineata nelle pagine immediatamente precedenti. E ciò attiene allo stadio della rilevanza, ossia al momento logico in cui la norma riconosce la qualificazione di negozio giuridico a un determinato accadimento storico che, di converso, là dove non rivestisse i previsti caratteri, rimarrebbe relegato al piano meramente fattuale senza acquisire giustappunto rilevanza per l’ordinamento233. Ne deriva, quindi, che, operando quella rappresentazione sul piano ideale, la deduzione in contratto di un bene giuridico futuro appare del tutto idonea a consentire al negozio di superare il giudizio di validità in ordine all’elemento oggettivo, in quanto 232 V., supra, § 3.1. 233 Così, IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 800 e 805. 138 ciò che rileva non è l’esistenza del bene dedotto, bensì l’esistenza della previsione di esso nella dichiarazione negoziale234. Sennonché, si impone di notare come bene e rappresentazione di esso siano fenomeni da non confondere: poiché il primo sta all’esterno della struttura del negozio giuridico, il secondo è situato all’interno dell’atto; ancora, perché la rappresentazione costituisce l’oggetto del negozio, laddove il bene indicato è oggetto del rapporto; poiché, infine, la descrittiva del termine esterno appartiene alla fase della formazione dell’atto e, quindi, della rilevanza, mentre il bene attiene al diverso momento della efficacia235. L’aspetto discretivo da ultimo sottolineato è di particolare importanza nell’economia della presente trattazione poiché consente di isolare la fase in cui la futurità del bene giuridico dedotto in contratto (il credito futuro per quello che qui interessa) rileva. Se, infatti, l’esistenza del termine di riferimento non è necessaria al fine della validità dell’atto, diversamente, nello stadio dell’efficacia la sua venuta a esistenza è imprescindibile, atteso che l’innovazione giuridica non può realizzarsi che su un oggetto (del rapporto) che sia attuale236. Le premesse ricostruttive svolte nel corso del presente paragrafo offrono, infine, l’occasione di distinguere il concetto di determinatezza da 234 V. AURICCHIO, La simulazione nel negozio giuridico, Napoli, 1957, 201. Osserva IRTI, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, cit., 138: «L’ambito della previsione non si restringe all’esistente, ma abbraccia anche il possibile». 235 IRTI, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, cit., 140 ss. 236 IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 805. 139 quello di determinabilità dell’oggetto del negozio su credito futuro e su diritto futuro più in generale. È stato affermato, infatti, che, con riguardo alla deduzione di un credito futuro, si impone di esprimersi in termini di determinabilità e non di determinatezza. La scelta in tal senso è dettata, anch’essa, dalla funzione che si è inteso di potere attribuire al requisito in esame, nel senso che, se questa va rintracciata nella indicazione del termine concreto di riferimento dell’efficacia giuridica, allora di determinazione può parlarsi solo in relazione all’esistente, laddove un dato non ancora venuto a esistenza obbliga a esprimersi in termini di determinabilità237. 237 Tuttavia, se, da un lato, l’esistente può essere tanto determinato quanto determinabile, a seconda, rispettivamente, che la individuazione di esso sia svolta dall’autore del negozio ovvero devoluta a una fonte esterna, dall’altro, ciò che non esiste ancora non può che essere determinabile. V., in tal senso, IRTI, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, cit., 218 s. Nel senso che rispetto a una cosa o a un diritto inesistente si ha soltanto determinabilità, v., anche, RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, cit., 405 s. Cfr., altresì, VITUCCI, I profili della conclusione del contratto, Milano, 1968, 231: «la determinatezza deve sussistere solo al momento dell’efficacia del contratto, per essere necessaria non alla formazione, ma alla realizzazione di esso». Contra, invece, OPPO, Note sull’istituzione di non concepiti, cit., 96, nt. 92, secondo cui la determinabilità non è implicita nella inesistenza attuale e nella necessità della individuazione. Segnatamente, ogni qualvolta il criterio di determinazione convenzionalmente previsto sia già attualmente sufficiente a stabilire quale sarà la cosa o la persona, con la conseguenza che il fatto successivo opera solo ed esclusivamente sulla esistenza, può parimenti parlarsi di determinatezza. Ne deriva che il concetto di determinabilità, secondo l’Autore, va limitato alle sole ipotesi in cui l’atto non basti al fine sopra indicato e, quindi, il fatto successivo svolga un ruolo anche sul piano della individuazione del termine di riferimento. 140 3.3 La determinatezza dell’oggetto quale presidio a tutela delle parti contraenti L’orientamento sopra ricordato238 in tema di determinatezza dell’oggetto negoziale risponde all’esigenza di assicurare la completezza strutturale dell’atto per il tramite della raffigurazione del termine interessato dall’effetto innovatore che le parti intendono procurare. Vale, tuttavia, la pena di ricordare che affianco al detto indirizzo, che si è inteso di poter definire logico-formale in quanto incentrato su di una visione per l’appunto smaterializzante del concetto di oggetto del contratto cui quel requisito si riferisce, è possibile individuarne un altro teso a valorizzare, già sul piano della validità del negozio giuridico, la idoneità della determinatezza a esprimere una ratio ulteriore e differente. In questo senso, dall’esigenza di concretezza dell’atto contrattuale sottesa al dato della determinatezza è stato fatto derivare il ruolo strumentale di questa rispetto alla diversa esigenza che le parti contraenti abbiano cognizione dell’impegno che le stesse assumono attraverso la conclusione del contratto239. Cognizione che, più precisamente, si distacca dalla rappresentazione ideale dei termini oggettivi o soggettivi ai quali l’operazione negoziale si rivolge, per acquistare i connotati della consapevolezza dei contorni essenziali della portata impegnativa del negozio, intesa alla stregua di mezzo strumentale a scongiurare «le insidie 238 V., supra, § 3.2. 239 Cfr. BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto, cit., 327. 141 naturalmente annidantisi in pattuizioni vaghe ed indefinite»240, ossia posto a tutela di un contraente avverso eventuali abusi della controparte241, che potrebbero essere agevolati dalla presenza di accordi dai contorni incerti o vaghi, comunque inidonei a circoscrivere la portata impegnativa del contratto all’interno di apprezzabili margini di prevedibilità242. È pur vero che non è mancata l’affermazione di una compatibilità tra il riconoscimento di una funzione di tutela delle parti contraenti in capo al requisito della determinatezza o determinabilità dell’oggetto e la visione normativistica che ricollega il ruolo di fonte degli effetti giuridici esclusivamente alla norma relegando il negozio alla indicazione del termine concreto di incidenza di essi243. Nonostante, infatti, si ammetta che la pretesa di ricollegare all’anzidetto requisito il soddisfacimento dell’esigenza di assicurare alle parti la prevedibilità dell’impegno che le medesime assumono si innesti più agevolmente nel tronco di una visione che esalti maggiormente il ruolo giocato dalla volontà dei contraenti e dall’autonomia 240 Così, CARINGELLA, L’accollo di debiti futuri torna all’attenzione della Suprema Corte, cit., 336. 241 In ordine alla funzione di tutela di una parte avverso il pericolo di determinazioni unilaterali a opera dell’altra, v. ROPPO, Fideiussione “omnibus”: valutazioni critiche e spunti propositivi, cit., 147. 242 Pongono l’accento sul criterio della prevedibilità dell’impegno, come idoneo a informare il requisito della determinabilità dell’oggetto, TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 297 ss.; GRANA, Determinabilità dell’oggetto e giudizio di buona fede nella fideiussione omnibus, in Contr. impr., 1985, 758. Cfr., anche, SACCO e DE NOVA, Il contratto, t. 2, in Trattato di dir. civ., diretto da Sacco, Torino, 2004, 119. 243 Su tale orientamento, v., supra, § 3.2. 142 convenzionale che essi esprimono mediante la predisposizione del regolamento pattizio nel quadro del meccanismo di produzione degli effetti giuridici, si è notato come, da un lato, potrebbe dirsi che, ferma restando la produzione dell’effetto da parte della norma, quest’ultima non possa che ricollegarlo a una espressione di volontà che sia sufficientemente consapevole e informata, così come, dall’altro, l’esigenza di evitare la genericità del contenuto negoziale non è incompatibile con la riconduzione dell’efficacia alla volontà delle parti244. Al riguardo, è certamente da riconoscere che l’interesse a evitare la vaghezza delle pattuizioni è trasversale a entrambi gli indirizzi in esame, ma, ed è questo il punto, l’informare il requisito della determinatezza dell’uno piuttosto che dell’altro degli anzidetti significati incide in maniera decisiva sui confini della eventuale censura di genericità dell’oggetto e, quindi, delle obbligazioni assunte, con la conseguenza che quest’ultima rischierebbe di restare un limite di sicura meritevolezza in via astratta, bensì dai contorni piuttosto sfumati nella misura in cui essa non venga analizzata sotto la lente di uno specifico approccio ricostruttivo intorno alla teoria del negozio giuridico e, segnatamente, dell’oggetto di questo, in rapporto alla volontà che le parti ivi esprimono. Nel medesimo ordine di idee, che l’ordinamento tuteli la genuinità della volizione non è revocabile in dubbio, tuttavia situare siffatta istanza di protezione sul piano della determinatezza dell’oggetto, e quindi 244 Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 296 s. 143 della nullità dell’atto, postula già una presa di posizione in ordine alla ratio generale riconducibile al detto requisito, senza, però, che le premesse di partenza lo consentano per ciò solo. In ogni caso, la tesi della determinatezza o determinabilità dell’oggetto quale limite all’impegno delle parti sulla scorta di un parametro di prevedibilità è stata fondata sulle seguenti argomentazioni, che traggono spunto da alcune delle fattispecie in cui la deduzione di un credito futuro è piuttosto frequente o, comunque, ha sensibilmente stimolato la riflessione al riguardo di dottrina e giurisprudenza. La prima attenzione viene generalmente rivolta all’ipotesi della cessione di crediti futuri, con particolare riguardo all’evoluzione delle soluzioni elaborate a livello giurisprudenziale245. Nello specifico, l’esigenza di assicurare la prevedibilità entro margini di sufficiente approssimazione è stata rilevata, innanzitutto, nell’adozione per lungo tempo del più volte ricordato limite del cosiddetto rapporto di base, ossia della presenza attuale del titolo costitutivo del diritto della cui disposizione si tratta246. La medesima finalità è stata intravista anche negli sviluppi successivi della giurisprudenza in materia, nel senso che, nonostante il riconoscimento della valida cedibilità anche dei diritti di credito sperati ed eventuali in quanto derivanti da fonti anch’esse future, è stato parimenti sottolineato il 245 Sul punto, v., supra, § 2.1. 246 V. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 297 ss. 144 riferimento della Suprema Corte alla presenza di ben precisi elementi di determinabilità delle ragioni creditorie trasferite247. Ma è in relazione alla fideiussione con clausola omnibus248 che l’indirizzo in parola ha ritenuto di potere rintracciare le argomentazioni maggiormente incisive al fine di rilevare un’esigenza di tutela delle parti contraenti sottesa alla previsione della necessaria determinatezza o determinabilità dell’oggetto. Con rinvio a quanto già sottolineato intorno ai contrasti giurisprudenziali e alle posizioni dottrinarie che hanno caratterizzato l’emersione e la successiva evoluzione di tale figura negoziale249, la prima attenzione viene appuntata sulla ratio di tutela del garante sottesa a quell’indirizzo che, in contrasto con l’orientamento della Corte di Cassazione, ha rilevato come il meccanismo della determinazione per relationem dell’obbligazione gravante sul fideiussore omnibus non potrebbe ritenersi idoneo ad assicurare il rispetto dell’art. 1346 cod. civ. sul piano specifico del requisito di cui qui si tratta. Ciò in quanto la mera riferibilità delle future obbligazioni al contratto costitutivo della garanzia personale 247 V. Cass. 8 maggio 1990, n. 4040, cit., ove è stata esclusa la nullità della cessione per indeterminatezza, attesa la presenza, nel caso di specie, di elementi diversi dal rapporto genetico di base, ma ritenuti ugualmente suscettibili di scongiurare la conseguenza della invalidità. Si trattava dell’ammontare del credito, della indicazione del debitore ceduto e del tempo entro cui il credito sarebbe venuto presumibilmente a esistenza. 248 In ordine alla fideiussione prestata a garanzia di crediti futuri e alla fideiussione con clausola omnibus, v., supra, § 2.3. 249 V., supra, § 2.3. 145 non consente, secondo il presente punto di vista, alcuna preventiva valutazione dell’impegno che graverà effettivamente sul fideiussore universale. Il che, per l’appunto, postula una presa di posizione in ordine al dato della determinatezza o determinabilità del contratto che, a questa stregua, non è da intendersi quale semplice requisito di completezza dell’atto, bensì va riempito di ulteriore e più ampio significato per il tramite del canone della prevedibilità della reale portata che il vincolo obbligatorio del fideiussore universale andrà ad assumere nel corso dello svolgimento del rapporto250. Anche dal consolidato e tradizionale orientamento della Corte di Cassazione nel senso della validità della fideiussione omnibus, la tesi in esame ha ritenuto di potere trarre argomenti da porre a fondamento della ricostruzione del requisito della determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto su bene futuro quale presidio a tutela della parti contraenti secondo canoni di prevedibilità degli effettivi contorni della prestazione che sarà successivamente dovuta. Considerazioni che, segnatamente, si muovono in due direzioni e convergono nell’esaltazione 250 Con rinvio sempre a quanto detto, supra, § 2.3., cfr., tra gli altri, BIANCA, Diritto civile, 5, La responsabilità, cit., 487; STOLFI, In tema di fideiussione per debiti futuri, cit., 234, che rileva l’importanza che le parti indichino quantomeno il titolo o i titoli da cui potranno derivare le obbligazioni garantite, al fine di assicurare la determinatezza attuale del vincolo assunto dal fideiussore universale. In giurisprudenza, cfr. Trib. Savona, 28 marzo 1988, in Nuova giur. civ. comm., 1989, I, 39. 146 dell’anzidetto criterio di valutazione dell’obbligo assunto dal garante universale. In primo luogo, l’analisi è stata rivolta all’indirizzo costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità e favorevole alla validità della fideiussione con clausola omnibus per rilevare come, anche nell’ambito di tali pronunce, l’esigenza di rendere prevedibile l’impegno gravante sul fideiussore è sottesa all’indicazione di una serie di indici di determinabilità della prestazione dovuta, quali la natura di essa, l’individuazione delle parti del rapporto principale e della loro qualità, l’appartenenza delle operazioni al panorama di quelle rientranti nell’attività bancaria secondo criteri di normalità251. Medesimo approccio, e si tratta del secondo degli accennati ordini di considerazioni, è stato riservato ai più recenti sviluppi della giurisprudenza di legittimità nella tematica de qua. Il riferimento è, fermo quanto più diffusamente si dirà in appresso sul punto252, alla dissociazione tra il piano della validità della fattispecie in parola, che non viene nemmeno in questo caso posto in discussione, e quello dello svolgimento successivo del rapporto di garanzia, attraverso cui si è inteso di localizzare le istanze di sostanziale protezione del contraente da 251 TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 300. Per una più compiuta descrizione dell’indirizzo giurisprudenziale e dottrinario favorevole fin dall’inizio alla validità del contratto di fideiussione universale, v., supra, § 2.3. 252 V., infra, § 3.4. 147 incognite e potenziali condotte arbitrarie tenute da controparte nell’ambito della fase propriamente esecutiva. Per il tramite, infatti, del giudizio di buona fede ex artt. 1175 e 1375 cod. civ.253, il comportamento dell’istituto di credito successivo alla costituzione del rapporto di garanzia viene sottoposto al vaglio del suddetto parametro di correttezza al fine di sanzionare, come regola di responsabilità, quei comportamenti da ritenere scorretti e, a questa stregua, di circoscrivere gli effettivi confini dell’obbligazione di garanzia gravante sul fideiussore universale254. Sia sufficiente, per il momento, rilevare come l’accento sia stato posto proprio sull’anzidetta ratio di protezione dell’obbligato dinanzi a eventuali comportamenti scorretti perpetrati dalla banca allo scopo o, comunque, prestando affidamento sulla tendenziale comprensività della garanzia personale rilasciata a favore di essa255. Un’ultima notazione è stata dedicata alla novella dell’art. 1938 cod. civ. realizzata con legge n. 154 del 1992, che, come ricordato, ha introdotto 253 Art. 1175 cod. civ.: «Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza». Art. 1375 cod. civ.: «Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede». 254 In relazione a tale più recente orientamento, v., tra le altre, Cass. 18 luglio 1989, n. 3362, in Foro it., 1989, I, 2750, con note di DI MAJO, La fideiussione “omnibus” e il limite della buona fede, e di MARICONDA, Fideiussione “omnibus” e principio di buona fede. Per una più attenta analisi dell’indirizzo accennato, nell’ottica della problematica inerente alla determinabilità dell’oggetto del negozio su credito futuro, e per ulteriori riferimenti di dottrina e giurisprudenza, v., infra, § 3.4. 255 Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 300 ss. 148 il limite della previsione dell’importo massimo garantito nella fideiussione per obbligazioni future. Vale la pena di rimarcare come quest’ultimo assunto spieghi rilevanza, agli effetti dell’orientamento in commento, non solo e non tanto nella misura in cui il detto limite venga ricondotto al profilo dell’oggetto del contratto256, quanto, anche e soprattutto, per la ritenuta possibilità di trarre una indicazione decisiva nel senso della scelta del legislatore codicistico di attribuire al requisito della determinatezza o determinabilità dell’oggetto la più volte ricordata funzione di tutela, anticipandola dal momento dello svolgimento del rapporto negoziale a quello della valida formazione del contratto257. 256 Con la conseguenza della nullità della fideiussione prestata senza indicazione del limite massimo dell’esposizione debitoria per mancanza nell’oggetto dei requisiti di cui all’art. 1346 cod. civ. (art. 1418, secondo comma, cod. civ.). Così, GIUSTI, La fideiussione e il mandato di credito, cit., 168. 257 V., in tal senso, TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 303 s. 149 3.4 La determinabilità del negozio su credito futuro alla luce dei dati derivanti dai diversi ambiti di fattispecie. Riconduzione a unità delle soluzioni elaborate L’excursus dinanzi svolto in ordine sia all’atteggiarsi di talune particolari fattispecie in quanto abbiano a oggetto crediti futuri258 che ai principali orientamenti in tema di determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto259 consente finalmente di prendere posizione sulla problematica inerente all’incidenza sul negozio della deduzione di un credito futuro e, per tale via, di meglio definire i contorni del fenomeno in esame alla stregua del cosiddetto confine remoto. Sotto quest’ultimo punto di vista, infatti, il limite ultimo di siffatta posizione soggettiva è quello oltre il quale esso non può più validamente integrare gli estremi di oggetto dell’atto che lo riguarda, salvo, evidentemente, la rilevanza meramente negativa sottesa a un giudizio di nullità per indeterminatezza. È bene, quindi, procedere per gradi e dedicare la prima attenzione allo scioglimento del nodo attinente al significato da attribuire al requisito della determinatezza dell’oggetto e, in questo senso, appare di sicura utilità svolgere la presente indagine sulla scorta degli elementi di valutazione offerti dalle fattispecie applicative già prese in esame. In via di prima approssimazione, è innegabile che l’adozione del punto di vista teso a individuare nel requisito della determinatezza o 258 V., supra, cap. II. 259 V., supra, §§ 3.2 e 3.3. 150 determinabilità un presidio a tutela delle parti contraenti, poiché strumentale ad assicurare la consapevolezza della portata dell’impegno assunto secondo un parametro di prevedibilità, postula una maggiore articolazione nella descrizione dell’oggetto negoziale. Ciò in quanto il pericolo di condotte arbitrarie, se non addirittura fraudolente, del creditore in danno della parte obbligata è inversamente proporzionale al numero dei margini ritenuti sufficienti a tenere ferma la validità del negozio in relazione all’elemento in parola. Là dove, di converso, la determinatezza sia da considerare quale preordinata alla sola indicazione del bene sul quale gli effetti giuridici devono prodursi, può concludersi nel senso della minore quantità di indicazioni necessarie, atteso che, come si avrà modo di sottolineare260, le istanze di tutela del debitore possono essere collocate diversamente e, quindi, soddisfatte per il tramite di altri istituti dell’ordinamento. Tanto basta, per il momento, al fine di condurre l’analisi intorno alla figura della cessione di crediti futuri e al contratto di factoring, nel cui ambito il meccanismo traslativo svolge di certo un ruolo preponderante. Come è stato già puntualizzato261, l’evoluzione giurisprudenziale in materia si è sviluppata, dietro peraltro la spinta delle sollecitazioni rivolte dalla dottrina, nel senso del superamento della tradizionale teoria del cosiddetto rapporto di base. Prescindendo da una più approfondita presa in 260 V., infra, § 3.5. 261 V., supra, §§ 2.1 e 2.2. 151 esame di tali orientamenti262, sia sufficiente rammentare come l’ancorare la validità della cessione alla necessaria attualità del titolo costitutivo del credito della cui disposizione si trattava e il diretto collegamento tra quest’ultimo presupposto e la determinatezza dell’elemento obbiettivo del negozio giuridico finivano per disegnare una quadro di particolare rigidità, nella misura in cui la futurità riferita non solo alla posizione soggettiva ceduta, bensì anche alla fonte costitutiva di essa, avrebbe importato la nullità del negozio di cessione per indeterminabilità dell’oggetto. È in un simile quadro che si inserisce però un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo, si rivolga l’attenzione all’abbandono di tale approccio per mezzo dell’affermazione della valida cedibilità anche dei crediti sperati e, quindi eventuali263. Tale apertura, infatti, è passata attraverso l’esplicita esclusione del contrasto tra la cessione di una situazione giuridica soggettiva che abbia gli anzidetti connotati e la consistenza oggettiva imposta al negozio dall’art. 1346 cod. civ., atteso che, pur senza negare che l’attualità del rapporto di base possa assurgere al ruolo 262 In ordine all’evoluzione giurisprudenziale in tema di cessione di crediti futuri, v., supra, § 2.1. 263 Cass. 8 maggio 1990, n. 4040, cit. In ordine alla fluidità che a tutt’oggi caratterizza il trattamento delle cessioni di crediti futuri in relazione al requisito della presenza attuale del rapporto di base e che impedisce di affermare il superamento in toto del tradizionale approccio giurisprudenziale, v., supra, § 2.1. 152 di criterio di determinabilità dell’oggetto del contratto, la Suprema Corte ha ritenuto che siffatto ruolo possa essere parimenti svolto da ulteriori circostanze suscettibili di realizzarlo a prescindere dalla fonte genetica. Non è chi non veda come, nel passaggio dalla necessità alla mera eventualità del carattere attuale del rapporto di base, si afferma una svolta di grande importanza agli effetti della tematica che qui interessa 264, poiché il minimum del requisito della determinabilità viene spostato ben più in là rispetto all’indirizzo maggiormente datato e tradizionale, con risultati di certo estensivi per ciò che concerne la portata generale da riconoscere alla figura del credito futuro quanto al ventaglio delle situazioni potenzialmente ricomprese. Ma non è certamente possibile arrestarsi alle anzidette considerazioni, dato che l’allentamento della originaria rigidità fornisce un argomento di sicura utilità e che pare suggerire già l’adozione di una ricostruzione del requisito della determinabilità piuttosto che dell’altro, tuttavia non decisivo. Basti pensare, infatti, che l’affievolimento dell’iniziale contenuto di un supposto presidio non comporta necessariamente il venire meno del ruolo di protezione che allo stesso viene ricollegato. 264 Vale la pena di rilevare, peraltro, come il superamento della necessità del rapporto di base importi apprezzabili conseguenze anche sul piano della distinzione tra crediti propriamente futuri e diritti cui non si ritiene di potere riconoscere tale connotato in quanto la derivazione da un rapporto in corso di svolgimento ne consente la più agevole descrizione in termini di mera inesigibilità. 153 Si inserisce così, e si tratta del secondo ordine di valutazioni cui si accennava appena sopra, nel quadro della presente questione la tematica concernente lo schema negoziale del factoring, da prendere in esame con riguardo sia alla disciplina nazionale dettata in tema di cessione di crediti di impresa, che a quella internazionale rivolta alla regolamentazione delle operazioni di tal sorta che abbiano carattere transfrontaliero. L’analisi va riferita alla norma di cui all’art. 3 della legge n. 52 del 1991 per notare, innanzitutto, il superamento anche nell’ambito di applicazione della disciplina ivi contenuta della teoria del rapporto di base, stante la valida cedibilità dei crediti già prima della conclusione dei contratti da cui essi deriveranno. Inoltre, si impone di tornare nuovamente sulla problematica riguardante l’interpretazione delle disposizioni di cui ai commi terzo e quarto del medesimo articolo265, atteso che da più parti è stato sostenuto che i limiti costituiti dal periodo biennale per la stipulazione dei detti contratti e dalla indicazione del debitore ceduto, anziché integrare altrettanti requisiti di determinabilità della cessione di crediti futuri di impresa, sono strumentali alla applicazione del particolare meccanismo di opponibilità di essa previsto a norma del successivo art. 5266, con la conseguenza che la 265 266 Sul punto, più diffusamente, v., supra, § 2.2. V., in tal senso, CIAN, Legge 21 febbraio 1991, n. 52. Disciplina della cessione dei crediti di impresa, cit., 252 s.; e anche FERRARI, Il factoring internazionale. Commento alla Convenzione Unidroit sul Factoring Internazionale, cit., 200 s. Cfr., altresì, DOLMETTA 154 mancata osservanza di essi non produce alcuna conseguenza in termini di nullità, parziale ovvero totale, del contratto, bensì la mera inapplicabilità della disciplina speciale sul punto, in favore di quella comune di cui all’art. 1265 cod. civ. Ma è la disciplina in materia di factoring internazionale di cui alla Convenzione Unidroit di Ottawa del 28 maggio 1988, ratificata in Italia con legge 14 luglio 1993, n. 260, il cui art. 5 prende in espressa considerazione la cessione di crediti futuri, a offrire spunti decisivi in ordine alla problematica della ricostruzione del significato da attribuire al requisito essenziale della determinabilità dell’oggetto. La mera riferibilità del credito futuro ceduto (ma, del resto, la medesima norma si applica anche alle cessioni di crediti presenti) al contratto, da potersi valutare anche al momento della nascita di essi e non necessariamente al tempo precedente della conclusione del negozio traslativo, che vale a escludere la sanzione della invalidità, è un vincolo certamente più elastico anche rispetto a quanto previsto della legge nazionale appena sopra ricordata267 e che, ai fini che qui e PORTALE, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, cit., 90, che se, da un lato, riconducono il limite temporale dei ventiquattro mesi al ruolo di requisito per l’applicazione dell’accennato meccanismo semplificato di opponibilità ai terzi della cessione, dall’altro descrivono il dato della indicazione del debitore ceduto alla stregua di presunzione di determinatezza dell’oggetto. 267 In ordine alla maggiore ampiezza delle soluzioni introdotte dalla Convenzione di Ottawa rispetto a quelle di cui alla legge italiana sulla cessione dei crediti di impresa, v. ZACCARIA, Il factoring internazionale, cit., 9. 155 interessano più nello specifico, pare maggiormente compatibile con una visione dell’oggetto del contratto, e del relativo carattere della determinatezza o determinabilità, inteso quale descrizione formale del bene destinatario degli effetti giuridici della cui produzione si tratta. Peraltro, impostando la questione in termini diametralmente opposti, non si comprenderebbe come un requisito di validità ampio come quello della riferibilità al contratto possa essere conciliato con una supposta ratio di tutela della parte cedente. E, infatti, anche quell’indirizzo che ritiene preferibile tale ultima conclusione è costretto a riconoscere, in linea generale, l’ampiezza del ricordato carattere della riferibilità, perché suscettibile di essere soddisfatto da un qualsivoglia criterio oggettivo ovvero soggettivo che consenta di porre la situazione giuridica ceduta in relazione col negozio di cessione, salvo, tuttavia, ridimensionarne la portata sulla scorta della considerazione dell’ambito di applicazione della Convenzione di Ottawa. Segnatamente, attesa l’applicabilità della disciplina ivi contenuta ai (soli) contratti di factoring aventi a oggetto cessioni di crediti derivanti da compravendita di merci o prestazione di servizi che abbiano carattere transfrontaliero, siffatta delimitazione dell’ambito applicativo andrebbe considerata alla stregua di criterio normativo di determinazione dell’oggetto del contratto integrativo della volontà delle parti268. Sennonché, l’argomento da ultimo accennato non pare decisivo non solo e non tanto perché il campo 268 Così, TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 357. 156 di applicazione della disciplina internazionale non sembra definito in un’ottica di particolare limitatezza, bensì, anche e soprattutto, in quanto passa attraverso un’estensione dei confini dell’elemento della determinatezza dell’oggetto negoziale eccessiva, avuto riguardo al rapporto tra norma giuridica e autonomia convenzionale. È dato di ribadire, in questo senso, come non si possa sfuggire dalla necessità di tenere distinto il piano della previsione legale della fattispecie da quello della raffigurazione dell’oggetto a opera dei contraenti, ove, più precisamente, l’autonomia convenzionale non può che esplicarsi, anche in ordine alla individuazione del concreto termine di riferimento degli effetti giuridici, all’interno dei confini segnati dalla norma, che, beninteso, hanno riguardo alla rilevanza del fatto considerato, e non alla anticipazione del giudizio di validità intorno a un elemento, quale è quello obbiettivo, che sono le parti a riempire di contenuto nel momento del passaggio dalla sfera della descrizione normativa generale e astratta a quella della efficacia, intesa nel senso proprio della idoneità del negozio alla produzione di effetti giuridici. Nella medesima direzione conduce l’analisi intorno alla determinabilità della fideiussione con clausola omnibus, che, peraltro, rappresenta la figura sulla quale la teoria della determinatezza quale presidio a protezione delle parti contraenti focalizza particolarmente l’attenzione. L’esame, peraltro, non si limita alle censure tradizionalmente mosse da una parte della dottrina e della giurisprudenza nei confronti della validità 157 della presente garanzia personale sul ben noto piano della pretesa indeterminabilità269, ma si estende anche all’orientamento giurisprudenziale, inaugurato dalla Suprema Corte con una serie di pronunce del 1989270, al quale, quindi, è utile fare riferimento in questa sede. Nell’economia del tema di indagine di cui qui si tratta, è di fondamentale importanza (nonché sufficiente) rimarcare ciò che l’effettiva portata dello strumento di garanzia in parola è stata ridimensionata prescindendo da ogni considerazione in ordine alla validità di esso, che, di converso, è stata ribadita sulla scorta del costante riferimento al meccanismo della determinabilità per relationem271. Fermo restando, così, tale ultimo assunto, sono state sottratte dalla responsabilità del fideiussore generale quelle obbligazioni derivanti da anticipazioni effettuate dall’istituto di credito in violazione dei canoni di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. L’analisi, impostata nei termini che precedono, si sposta dal campo della validità del meccanismo negoziale in parola a quello 269 In tema, v., supra, § 2.3. Inoltre, v., in senso particolarmente critico nei riguardi della clausola omnibus, SIMONETTO, La fideiussione prestata da privati, Padova, 1985, 142 s. 270 Cfr. Cass. 18 luglio 1989, n. 3362, cit.; Cass. 20 luglio 1989, n. 3385, e Cass. 20 luglio 1989, n. 3386, in Foro it., 1989, I, 3100 ss., con nota di MARICONDA, Fideiussione «omnibus» e principio di buona fede: la Cassazione a confronto; Cass. 20 luglio 1989, n. 3387, in Corriere giur., 1989, 1085, con nota di CARBONE. 271 Cfr., supra, § 2.3. 158 della esecuzione e dello svolgimento del rapporto che ne deriva272, nel senso di escludere dalla copertura offerta dalla garanzia fideiussoria quelle obbligazioni derivanti da anticipazioni poste in essere dalla banca quale esplicazione fraudolenta dell’attività creditizia poiché sorrette dal proposito di recare pregiudizio (con conseguente opponibilità della exceptio doli dal parte del fideiussore273) o, comunque, contrarie alla diligenza e alla correttezza imposta dal dovere di salvaguardia che vincola ciascuno dei contraenti ad assicurare l’utilità dell’altro nei limiti in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio del proprio interesse274. Di certo consapevole della necessità di offrire una guarentigia a protezione del garante e della possibilità di individuare siffatta tutela nel requisito della prevedibilità dell’impegno gravante su questo, la ricordata giurisprudenza di legittimità – 272 Cfr. DI MAJO, La fideiussione «omnibus» e il limite della buona fede, cit., 2756, il quale, peraltro, ricollega la necessaria attinenza del canone della buone fede alla fase dello svolgimento del rapporto negoziale allo stesso tenore letterale della disposizione di cui all’art. 1375 cod. civ., nonché alla relativa collocazione sistematica, ossia sotto il capo dedicato agli effetti del contratto. 273 V., in tal senso, Cass. 18 marzo 1991, n. 2890, in Giur. it., 1992, I, 1, 282, con nota di VALLE, Controllo giudiziale della fideiussione «omnibus» (buona fede e correttezza nell’integrazione contrattuale e nell’esecuzione del rapporto); in Dir. fall., 1991, II, 236, con nota di DEL CORE, Fideiussione omnibus e fallimento. In generale sulla exceptio doli generalis, v., tra gli altri, DOLMETTA, Exceptio doli generalis, in Banca, borsa e tit. cred., 1998, I, 147 ss.; e RANIERI, voce Eccezione di dolo generale, in Dig. disc. priv., sez. civ., VII, Torino, 1991, 311 ss. 274 V. Cass. 18 luglio 1989, n. 3362, cit. Cfr., anche, Cass. 5 gennaio 1966, n. 89, in Foro it., Rep. 1966, voce Obbligazioni e contratti, n. 171; e Cass. 15 marzo 1991, n. 2790, in Foro it., 1991, I, 2060. 159 ed è questo il punto che qui preme sottolineare – situa tale discorso nella fase propriamente esecutiva del rapporto fideiussorio, investendo non la valutazione preventiva del meccanismo in esame in punto di validità, ma l’efficacia della copertura rispetto alle obbligazioni potenzialmente suscettibili di rientrarvi275. Ne deriva la necessità di liberare il requisito della determinabilità dell’oggetto del contratto su credito futuro dalla ratio di protezione del soggetto obbligato, data la estraneità di essa alla sfera della validità dell’atto considerato. È pur vero che è stato rilevato in dottrina come i due piani della validità per determinatezza o determinabilità e della efficacia del vincolo costituito siano interdipendenti poiché entrambi finalizzati a delimitare l’oggetto dell’impegno, sì da potere ritenere il vaglio alla luce del canone della buona fede quale criterio successivo di determinazione276, e come l’accennata svolta giurisprudenziale valga, in ogni caso, ad attestare che l’esigenza di protezione di una parte nei confronti di eventuali condotte fraudolente perpetrate dall’altra deve superare i limiti di una concezione logico-formale del requisito della determinabilità277. Ciò nondimeno, 275 276 Cfr. Cass. 18 luglio 1989, n. 3362, cit.; e Cass. 20 luglio 1989, n. 3386, cit. Cfr. NIGRO, Corretto esercizio del credito e fideiussione «omnibus», in Fideiussione omnibus e buona fede, a cura di Munari, Milano, 1992, 102; e CANTILLO, La buona fede nella fideiussione «omnibus» secondo l’attuale orientamento della Corte di Cassazione, ivi, 59 e 63. 277 Così, TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 302 s. 160 entrambi gli argomenti da ultimo accennati non paiono consentire sic et simpliciter l’accoglimento dell’indirizzo teso ad attribuire all’anzidetto requisito obbiettivo del contratto la funzione di baluardo a tutela della parte obbligata in quanto strumentale alla delimitazione dell’impegno assunto. Quanto al primo, infatti, non si disconosce che tanto la determinabilità quanto il giudizio di buona fede incidano sulla portata quantitativa dell’obbligazione di garanzia gravante sul fideiussore universale, ma quest’affermazione sarebbe destinata a rimanere enunciazione del tutto generale e meramente descrittiva qualora non fosse accompagnata dalla constatazione che oggetto del negozio e oggetto del rapporto sono concetti che vanno tenuti distinti. E questa differenziazione investe non solo l’aspetto contenutistico di ciascuna nozione, poiché il primo coincide con la prefigurazione ideale del bene in contratto (si pensi alla rappresentazione dell’obbligazione di garanzia, futura in quanto dipendente dalla successiva costituzione dell’obbligazione principale) e il secondo consiste invece nel bene stesso, ma, altresì, il piano all’interno del quale ciascuno di essi è chiamato a operare. Ciò in quanto quella prefigurazione pattizia, come tale finalizzata ad assicurare la completezza strutturale dell’atto, incide sulla validità di esso, mentre la considerazione del rapporto entra in gioco in un momento successivo, quello dello svolgimento del medesimo, nel quale l’attenzione deve essere appuntata sul diverso profilo della portata 161 effettuale, id est dell’efficacia, di un accordo di per sé valido278. In ordine, invece, al secondo degli accennati argomenti, teso a sottolineare l’insufficienza della ricostruzione formale del requisito della determinabilità ai fini di assicurare la tutela della parte obbligata avverso eventuali abusi di controparte, esso appare profondamente influenzato dalla presa di posizione a priori sul punto del significato da riconoscere al detto connotato, atteso che il riconoscimento giurisprudenziale di un’esigenza di protezione del contraente non impone di localizzare la stessa a quel livello, potendo ugualmente trovare collocazione in altra sede. Né, peraltro, il riferimento al limite della correttezza e buona fede, inteso alla stregua di «norma di ordine pubblico, sovraordinata ai poteri dispositivi delle parti»279, può consentire di ricondurre nuovamente l’indagine all’interno dei binari della validità della fattispecie. In disparte, infatti, la considerazione di ciò che, sulla scorta della natura imperativa che sarebbe da riconoscere alla regola in questione, si tratterebbe pur sempre di nullità virtuale, e non di un’ipotesi di indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto, è stata comunque affermata l’attinenza del giudizio di buona fede alla fase della esecuzione del rapporto e, quindi, allo stadio dell’efficacia, con esclusione della incidenza di esso sulla stessa esistenza 278 V. Cass. 18 luglio 1989, n. 3362, cit. In dottrina, per la distinzione tra oggetto del negozio e oggetto del rapporto e per l’attinenza del primo alla materia della fattispecie e del secondo a quella degli effetti, v. IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 804. 279 Così, Cass. 20 luglio 1989, n. 3386, cit. 162 dell’obbligazione280. E, del resto, è proprio nel senso della riconduzione della problematica alla sfera dell’inefficacia, in luogo della nullità, che la giurisprudenza in parola ha interpretato il riferimento ai casi in cui «la legge disponga diversamente», contenuto nell’art. 1418, comma primo, cod. civ.281. Non depongono in senso contrario alla ricostruzione della determinabilità dell’oggetto quale requisito logico-formale di completezza strutturale del negozio giuridico, ma, al contrario, consentono di ricondurre il sistema descritto a unità nell’ottica della norma di cui all’art. 1348 cod. civ., neppure le ulteriori fattispecie sopra esaminate282, rispetto alle quali si è giunti a delle conclusioni maggiormente restrittive in ordine alla 280 Ne deriva che la rilevanza della clausola di buona fede può esplicarsi o nel senso della efficacia costitutiva della responsabilità per danni, ovvero della efficacia estintiva dell’impegno fondato su di una condotta fraudolenta o, comunque, scorretta di controparte. Cfr. MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. critica dir. priv., 1986, 9; e MARICONDA, Fideiussione «omnibus» e principio di buona fede: la Cassazione a confronto, cit., 3105. 281 V., in questo senso, Cass. 20 luglio 1989, n. 3385, cit., che giunge all’anzidetta conclusione per il tramite dell’accostamento tra l’anticipazione bancaria, successiva alla prestazione di fideiussione per crediti futuri, ma effettuata in mancanza della speciale autorizzazione di cui all’art. 1956 cod. civ. (che, infatti, prevede la conseguenza della liberazione del garante e non della invalidità della sua obbligazione accessoria), e l’anticipazione di credito contraria al canone della buona fede, seppure posta in essere sulla scorta di una clausola in deroga al meccanismo della preventiva autorizzazione sopra ricordato. 282 V., supra, §§ 2.4 e 2.5. 163 deducibilità in esse di un credito futuro che, beninteso, non traggono fondamento dalla considerazione dell’elemento obiettivo del contratto. Si volga lo sguardo, in questo senso, alle cosiddette modificazioni del soggetto passivo dell’obbligazione283 per rammentare la descritta diversità delle soluzioni adottate in tema di delegazione e di espromissione in quanto riferite a un credito futuro. Se, infatti, l’indirizzo negativo della validità della espromissione avente a oggetto un credito futuro si fonda su considerazioni attinenti al profilo causale della fattispecie considerata 284, il diverso indirizzo affermatosi in ordine alla delegazione, a una più attenta analisi, pare giustificarsi secondo il medesimo punto di vista. È appena il caso di ricordare che quest’ultimo, rispetto all’ipotesi della espromissione, manifesta di certo una maggiore elasticità, stante l’ammissibilità della delegazione di crediti futuri, ridimensionata, tuttavia, dalla affermata necessità della sussistenza dei rapporti sottostanti al momento successivo della scadenza e dal riferimento a situazioni collegate allo svolgimento di rapporti già in atto al tempo della costituzione del rapporto delegatorio285. Ora, fermo restando che l’indagine deve indirizzata alla futurità del rapporto di valuta dato che la delegazione può essere anche realizzata allo 283 Sulle quali, v., supra, § 2.4. 284 V., in quest’ottica, Cass. 10 novembre 2008, n. 26863, cit., ove la Suprema Corte focalizza l’esame sul profilo attinente all’an del debito, prescindendo dal quantum del relativo ammontare. Cfr., anche, Cass. 13 dicembre 2003, n. 19118, cit. 285 Cass. 19 maggio 2004, n. 9470, cit. 164 scoperto286, si ritiene di potere evidenziare come la soluzione affermatasi sul piano giurisprudenziale sia coerente con l’analisi del suddetto meccanismo negoziale quanto al profilo causale, e non dei requisiti dell’oggetto. Sia, infatti, che l’approccio al fenomeno delegatorio venga svolto secondo un punto di vista unitario, teso a esaltare l’incontro, rectius la convergenza, trilaterale delle volontà delle parti e quindi la funzione unitaria di quello, sia che la fattispecie in parola subisca una scomposizione in tante funzioni quanti sono i rapporti sottostanti, che valgono a descrivere i motivi dell’operazione ma non a informare la causa della stessa poiché sarebbero da ravvisare tante cause quanti sono gli interessi sottesi ai rapporti sottostanti287, i termini della questione di cui alla presente trattazione non paiono cambiare in maniera apprezzabile. La rilevanza dei rapporti sottostanti, da considerare il fondamento dell’indirizzo giurisprudenziale che ne impone la attualità al momento della scadenza e comunque il collegamento con rapporti già in corso di svolgimento al tempo della delegazione, si lega all’elemento causale dell’operazione sia che in essa si voglia riscontrare una funzione autonoma e unitaria, sia che si preferisca 286 Sulla eventualità che il delegato non sia legato al delegante da un preesistente rapporto obbligatorio, ben potendo il primo volere porre in essere un atto di liberalità nei confronti del secondo, ovvero essere previsto un corrispettivo per l’assunzione dell’obbligazione, v. MANCINI, La delegazione, l’espromissione e l’accollo, in Trattato di dir. priv., diretto da Rescigno, 9, Obbligazioni e contratti, I, Torino, 1999, 488. 287 Per la descrizione delle due teorie in materia di delegazione e dell’incidenza delle medesime sul profilo causale di essa, v. BIANCA, Diritto civile, 4, L’obbligazione, Milano, 1993, 637 ss. 165 isolare tanti profili funzionali quanti sono i negozi sottesi al meccanismo delegatorio. Così come, in altri termini, si nega l’ammissibilità della espromissione di debito futuro poiché la causa di tale fattispecie viene generalmente rintracciata nell’assunzione della posizione debitoria altrui288, allo stesso modo, i limiti apposti alla delegazione avente a oggetto un credito futuro, consistenti nella necessaria attualità del rapporto sottostante al momento successivo della scadenza e in una considerazione in fieri del diritto futuro, si giustificano alla luce della rilevanza, parimenti causale, degli interessi sottesi, a prescindere dalla idoneità di questi ultimi a integrare una causa unitaria dell’operazione negoziale di cui si tratta ovvero dalla necessità di riferire ciascuno di essi a uno specifico negozio giuridico. Un’ultima notazione deve essere riferita alla fattispecie della transazione289, per ricordare come la migliore interpretazione del concetto di lite di cui all’art. 1965 cod. civ. imponga di escludere la valida deduzione in un contratto di transazione di diritti futuri ed eventuali, quindi ipotetici290. Di qui, la nullità di un siffatto negozio per impossibilità giuridica dell’oggetto291, a prescindere da ogni considerazione in ordine alla determinabilità di esso. 288 Cfr. G. GIACOBBE e D. GIACOBBE, Della delegazione, dell’espromissione e dell’accollo, cit., 80. 289 V., più diffusamente, supra, § 2.5. 290 Cfr. RUPERTO, Gli atti con funzione transattiva, cit., 103 ss.; e GITTI, L’oggetto della transazione, cit., 213. 291 GITTI, L’oggetto della transazione, cit., 214. 166 Si delinea, così, la possibilità di ricondurre a unità il sistema descritto secondo la logica sottesa alla norma di cui all’art. 1348 cod. civ. Più nello specifico, sia consentito sottolineare come il riconoscimento generale dell’ammissibilità del negozio su diritto futuro sia mitigato dal riferimento a «particolari divieti di legge». Espressione, quest’ultima, idonea a ricomprendere non solo le preclusioni espressamente previste (si pensi al caso della donazione a norma dell’art. 771 cod. civ.), ma anche i divieti desumibili dalle modalità di perfezionamento ovvero dalla funzione del contratto considerato292. Ora, sulla base di quanto precede, se, da un lato, la logica di progressiva estensione dei margini di ammissibilità della cessione di crediti futuri e l’affermazione della validità della fideiussione universale paiono proprio rispondere alla ratio generale che informa la disposizione accennata, dall’altro, le preclusioni anzidette inerenti all’espromissione e alla transazione si giustificano nel quadro di quei particolari divieti di legge, che, nelle ipotesi in parola, attengono, rispettivamente, al profilo funzionale del contratto e alla possibilità dell’oggetto dello stesso. 292 Cfr. Cass. 3 febbraio 1994, n. 7831, cit. 167 3.5 Conclusioni sul confine “remoto” del fenomeno credito futuro: la validità e l’efficacia del negozio su credito futuro nell’ottica della determinatezza quale requisito logico-formale L’insieme dei dati raccolti e delle considerazioni svolte consente di prendere posizione in ordine alla problematica di quello che si è ritenuto di potere definire il confine remoto del credito futuro293. Giova ricordare, al riguardo, che se il limite cosiddetto prossimo segna la demarcazione tra la situazione soggettiva propriamente futura e quella che, per caratteristiche sue intrinseche, non è da ritenere tale in quanto, seppure con diversa intensità a seconda dei casi, manifesta spiccati tratti di attualità294, di converso, il discrimen di cui qui si tratta investe la presa in esame dei connotati che il credito futuro deve rivestire per poter essere validamente dedotto in contratto. Il che passa attraverso la considerazione dell’incidenza del carattere futuro della situazione giuridica soggettiva sull’elemento dell’oggetto negoziale, con particolare, ma non esclusivo295, riguardo al connotato della determinatezza o determinabilità, la cui analisi, per i motivi anzidetti, riveste particolare importanza nell’economia generale della presente trattazione. 293 In relazione ai confini del fenomeno credito futuro, v., supra, § 1.3. 294 Su tali ipotesi, v., supra, §§ 1.4, 1.5 e 1.6. 295 V., infra, in questo §. 168 La disamina dell’atteggiarsi di una serie di fattispecie nel momento in cui esse abbiano a oggetto un credito futuro296 ha favorito l’emersione di un duplice ordine di valutazioni. In primo luogo, il tendenziale affrancamento della tematica da talune strettoie che sono state storicamente fondate sull’anzidetto requisito della determinatezza fornisce un primo decisivo argomento nel senso di accogliere una ricostruzione di carattere logico-formale del medesimo, atteso che l’attribuzione a esso di una diversa ratio, segnatamente nel senso della protezione della parte obbligata avverso eventuali condotte di controparte tese a procurare un’estensione dell’impegno gravante sulla prima oltre i limiti della preventiva prevedibilità, sarebbe maggiormente compatibile con un approccio tendente a restringere i margini di determinabilità del negozio su credito futuro. Ciò in quanto la rappresentazione ideale del bene giuridico, idonea ad assicurare la completezza strutturale ab initio del contratto, consente di spostare l’incidenza della deduzione in atto di un credito futuro su di un piano diverso da quello della validità. In buona sostanza, la distinzione tra oggetto del negozio e oggetto del rapporto impone di canalizzare il discorso intorno alla categoria della efficacia per sottolineare come la futurità del credito incida sulla nascita di una data situazione effettuale e, quindi, operi a livello di rapporto e non di fattispecie, la cui determinabilità è assicurata dalla 296 V., supra, cap. II. 169 prefigurazione ideale che le parti fanno nell’ambito del contenuto del contratto concluso297. Quanto precede, beninteso, non equivale a disconoscere che l’ordinamento possa farsi carico di apprestare idonea tutela della parte obbligata nei confronti del pericolo di abusi da parte del creditore. Tuttavia, siffatto ruolo di protezione non sembra connotato proprio del requisito della determinabilità298, ossia caratteristica minima ed essenziale di esso, bensì, piuttosto, si è dinanzi a un’esigenza suscettibile di riguardare trasversalmente diversi istituti dell’ordinamento. Il più recente orientamento giurisprudenziale in tema di fideiussione omnibus, come detto299, offre interessanti spunti di riflessione in tal senso, mediante il ruolo strumentale svolto dal principio di buona fede e correttezza al fine di limitare la portata effettivamente impegnativa dell’obbligazione di garanzia. Non si ignora di certo che, talvolta, una ratio di tutela del contraente debole possa informare lo stesso istituto della validità (è il caso, ad esempio, della annullabilità per 297 Cfr. IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 805; e, anche, SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, cit., 371. 298 Cfr. ROPPO, Sugli usi giudiziali della categoria «indeterminatezza/indeterminabilità dell’oggetto del contratto», e su una recente applicazione a tutela di «contraenti deboli», cit., 148 s., che, peraltro, distingue la funzione di garantire la serietà del volere dall’esigenza di tutelare una parte nei confronti di eventuali comportamenti vessatori dell’altra, e, in particolar modo, affermata la residualità di quest’ultima, sottolinea come alla prima finalità possa attendersi mediante altri strumenti del diritto dei contratti (come le regole sulla formazione dello stesso), meglio di quanto consenta l’istituto della indeterminabilità dell’oggetto. 299 V., supra, § 3.4. 170 dolo o per violenza psichica, ovvero delle forme della cosiddetta nullità di protezione), ma riconoscere come talune ipotesi di invalidità possano sottintendere l’anzidetto significato non può valere a informarne lo schema generale a tal punto da far assurgere questo aspetto a funzione propria e caratteristica di esse. Con particolare riguardo alla determinabilità dell’oggetto del negozio su credito futuro, che qui interessa in maniera precipua, si pensi alla introduzione del limite dell’importo massimo garantito per la fideiussione prestata a garanzia di obbligazioni future ex art. 1938 cod. civ.300. Che esso vada riferito all’oggetto del presente contratto di garanzia è dato generalmente accolto301, così come è stata sottolineata l’attinenza di questa necessaria indicazione al panorama dei criteri di determinabilità dell’oggetto del negozio nell’ottica della protezione del fideiussore generale secondo criteri tesi ad assicurare la prevedibilità della prestazione dovuta302. Ciò nondimeno, non si ritiene possa essere revocata in dubbio l’anzidetta trasversalità, né dimostrata una diversa ratio sottesa al più volte ricordato elemento obbiettivo, se solo si tenga in debita considerazione ciò che la previsione convenzionale di un importo massimo di gran lunga superiore all’ammontare delle somme che il creditore ritiene di erogare, da un lato, finirebbe per disattendere l’esigenza di tutela del garante, e, dall’altro, potrebbe consentire la riemersione di quel giudizio di 300 V., supra, § 2.3. 301 Cfr. GIUSTI, La fideiussione e il mandato di credito, cit., 168. 302 TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 303 s. 171 correttezza e buona fede svolto sulla fase esecutiva del rapporto, e non su quella antecedente della formazione del vincolo. Né, peraltro, la norma di cui all’art. 1348 cod. civ. consente di esaltare il ruolo svolto dalla determinatezza o determinabilità dell’oggetto, atteso che il carattere futuro e non attuale di questo impone di porre siffatta eventualità in correlazione diretta col diverso requisito della possibilità303. Ancora, e si tratta del secondo ordine di considerazioni cui sopra si accennava, è il caso di notare come la futurità del credito trova di nuovo nel panorama effettuale il limite proprio e necessario di esso. Così come, infatti, è la presa in esame dell’efficacia del titolo costitutivo a offrire dati decisivi al fine di sciogliere il nodo inerente al carattere futuro ovvero attuale di talune situazioni giuridiche soggettive (si pensi ai crediti sospensivamente condizionati e a quelli sottoposti a termine304), è, parimenti, attraverso la 303 Secondo GABRIELLI, L’oggetto del contratto, cit., 157, la norma in parola costituisce «un doppione, da un lato, del requisito di validità (la possibilità) già indicato nell’art. 1346 c.c.; dall’altro, del contenuto precettivo negativo delle norme (ad es. artt. 458 e 771 c.c.) disseminate nel sistema che, con riguardo a particolari ipotesi, precludono di impegnarsi per il futuro». Continua l’Autore: «La portata dell’art. 1348 c.c. non appare infatti possa essere estesa oltre il ristretto ambito espressamente delineato dalla lettura della norma medesima, e consistente nella possibilità di una cosa futura, quale prestazione dedotta in contratto. È dunque alla disciplina dell’impossibilità dell’oggetto che va ricondotto il significato normativo dell’art. 1348 c.c.». 304 Sulla esclusione di tali posizioni soggettive dal novero di quelle propriamente future, v., supra, §§ 1.4 e 1.5. 172 inidoneità del titolo alla produzione effettuale, e non per il tramite della invalidità di esso, che si sanziona la inattualità del bene giuridico305. Che poi taluni effetti, segnatamente obbligatori306, possano essere anticipati a un momento precedente la venuta in essere del termine futuro di riferimento non vale a mutare i termini della questione attinente alla distinzione tra situazioni soggettive future e posizioni che tali non possono essere considerate, poiché un simile fenomeno di produzione effettuale si giustifica alla luce di caratteri interni al negozio su credito futuro considerato nel caso specifico, che, quindi, non riguardano la fonte genetica dello stesso, bensì il diverso titolo mediante il quale di quel diritto si dispone o che, comunque, lo ha a oggetto. E, sull’altro versante, neppure incide sulla inefficacia del negozio su credito futuro nei termini di cui si è detto, dato che siffatta preclusione alla produzione di effetti giuridici deve essere riferita a quelli direttamente dipendenti e influenzati dalla futurità del credito. 305 La idealità della prefigurazione del bene, sufficiente ad assicurare la validità nello stadio della rilevanza, non può valere, altresì, a consentire la produzione degli effetti giuridici rispetto a un termine che non abbia il connotato della storicità. V., in tal senso, IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 805. 306 Si pensi all’ipotesi della cessione di crediti futuri, alla quale, a fronte della inefficacia reale fintanto che il diritto ceduto non venga a esistenza, possono essere ricollegati effetti di natura obbligatoria. 173 BIBLIOGRAFIA - ALLARA, Dei beni, Milano, 1984. - ALLARA, Le nozioni fondamentali del diritto civile, I, Torino, 1958. - ALPA, voce Oggetto del negozio giuridico, in Enc. giur. 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