capitolo ii particolari fattispecie di atti su crediti - Padis

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SAPIENZA – UNIVERSITÀ DI ROMA
Dottorato di ricerca in diritto civil-romanistico
(Sezione Civilistica)
Tesi di dottorato
CREDITI FUTURI E DETERMINABILITÀ
DELL’OGGETTO
Dottorando: Donato Salomone (Matr. 1082938)
Tutor: Chiar.mo Prof. Antonio Masi
Ciclo XXII
1
INDICE
CAPITOLO I – LA NOZIONE DI CREDITO FUTURO
1.1 L’art. 1348 cod. civ. e l’efficacia del negozio su bene futuro in
generale............................................................................................pag. 5
1.2 La prestazione di cosa futura. Cosa futura e diritto futuro............pag. 12
1.3 Diritto futuro e credito futuro. La nozione di credito futuro e i confini
del
fenomeno.
Il
confine
“prossimo”
e
quello
“remoto”.
Introduzione...................................................................................pag. 20
1.4 Ipotesi controverse: a) i crediti derivanti da fattispecie sospensivamente
condizionate...................................................................................pag. 26
1.5 Segue: b) i crediti derivanti da fattispecie a termine.....................pag. 36
1.6 Segue:
c)
i
crediti
derivanti
da
fattispecie
ad
esecuzione
durevole.........................................................................................pag. 46
1.7 Segue: d) i crediti altrui.................................................................pag. 65
CAPITOLO II – PARTICOLARI FATTISPECIE DI ATTI SU
CREDITI FUTURI
2.1
L’evoluzione giurisprudenziale in tema di cessione di crediti
futuri............................................................................................pag. 72
2.2
Segue: il factoring e la legge italiana sulla cessione dei crediti
d’impresa.....................................................................................pag. 82
2
2.3
La fideiussione per crediti futuri e la fideiussione omnibus........pag. 95
2.4
Delegazione, accollo ed espromissione di crediti futuri. Differenza
delle soluzioni prospettate.........................................................pag. 108
2.5
Transazione e diritti futuri. L’obbligazione per il risarcimento dei
danni futuri................................................................................pag. 117
CAPITOLO III – I CREDITI FUTURI TRA VALIDITÀ ED
EFFICACIA DELL’ATTO
3.1
Oggetto del contratto e requisito della determinatezza. Premesse
generali e introduzione............................................................pag. 125
3.2
La determinatezza dell’oggetto quale requisito logico-formale
dell’atto...................................................................................pag. 133
3.3
La determinatezza dell’oggetto quale presidio a tutela delle parti
contraenti.................................................................................pag. 141
3.4
La determinabilità del negozio su credito futuro alla luce dei dati
derivanti dai diversi ambiti di fattispecie. Riconduzione a unità delle
soluzioni elaborate..................................................................pag. 150
3.5
Conclusioni sul confine “remoto” del fenomeno credito futuro: la
validità e l’efficacia del negozio su credito futuro nell’ottica della
determinatezza quale requisito logico-formale.......................pag. 168
BIBLIOGRAFIA...............................................................................pag. 174
3
CAPITOLO I
LA NOZIONE DI CREDITO FUTURO
4
1.1 L’art. 1348 cod. civ. e l’efficacia del negozio su bene futuro in
generale
L’indagine su di un fenomeno giuridico che si rivolge al futuro, e
dell’incidenza del medesimo rispetto al negozio che lo ha ad oggetto, non
può che prendere le mosse dalla analisi della norma di cui all’art. 1348 cod.
civ.1, nella duplice ottica inerente alla collocazione sistematica della stessa
ed all’efficacia generalmente riconosciuta al negozio su cosa futura.
Sotto il primo punto di vista, si ritiene di potere focalizzare l’attenzione
sulla collocazione della disposizione codicistica in parola nell’ambito della
disciplina generale del contratto di cui al titolo II del libro IV del codice
civile, per rilevare che, se da un lato non mancano opinioni tese, sulla scorta
della presenza di una tendenziale frammentazione della disciplina del
contratto suscettibile di fondare articolazioni basate su caratteristiche
oggettive del regolamento negoziale ovvero inerenti alle qualità soggettive
delle parti contraenti, a negare la centralità della disciplina generale alla
quale la ratio dell’art. 1348 cod. civ. è ascrivibile2, e che appare sottesa
1
A norma dell’art. 1348 cod. civ., «La prestazione di cose future può essere
dedotta in contratto, salvi i particolari divieti della legge».
2
V. DE NOVA, Sul rapporto tra disciplina generale dei contratti e disciplina dei
singoli contratti, in Contr. impr., 1988, 332 ss. Cfr., anche, VITUCCI, Parte generale e parte
speciale nella disciplina dei contratti, ivi, 1988, 809, secondo il quale l’aspirazione teorica
alla formulazione delle categorie generali, recepita dal legislatore codicistico del 1942, va
tenuta distinta dal risultato pratico al quale siffatto recepimento può dirsi addivenuto, nel
senso, più precisamente, che l’attività ermeneutica volta a verificare se ciascuna norma sia
o meno di applicazione generale non può essere basata solo ed esclusivamente
5
anche alla disposizione di cui all’art. 1323 cod. civ.3, dall’altro, sono state
ribadite, in diversi momenti storici, le perduranti utilità e validità della
distinzione tra parte generale e parte speciale e, per tale guisa, della
costruzione di una categoria generale del contratto4. Di qui, l’esaltazione del
ruolo generale quale corollario della centralità rivestita dai principi sottesi a
ciascuna delle norme considerate e idonei, come tali, ad assicurare la
robustezza e la tenuta in punto di stabilità dell’intero impianto codicistico5,
piuttosto che l’affermazione secondo cui alle norme generali regolatrici dei
contratti bisogna avere riguardo ai fini della disciplina degli atti unilaterali
tra vivi aventi contenuto patrimoniale ex all’art. 1324 cod. civ.6.
sull’elemento della collocazione sistematica, al quale, per ciò solo, non può attribuirsi
rilevanza decisiva; e BUONOCORE, Contrattazione d’impresa e nuove categorie
contrattuali, Milano, 2000, 178 s.
3
Art. 1323 cod. civ.: «Tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi che
hanno una disciplina particolare, sono sottoposti alle norme generali contenute in questo
titolo».
4
Così, già MESSINEO, Il contratto in generale, in Trattato di dir. civ. e comm.
diretto da Cicu e Messineo, XXI, t. 1, Milano, 1968, 11 ss., che, nel quadro della
ricostruzione del rapporto tra norme di parte generale del contratto e norme di parte
speciale nell’ottica della reciproca combinazione e non esclusione, individua il duplice
significato della locuzione «norme generali», di cui all’art. 1323 cod. civ., nelle
disposizioni che preludono a quelle particolari proprie di ciascun tipo contrattuale e in
quelle comuni a ciascuna fattispecie tipica in concorso con la disciplina speciale,
concludendo per la maggiore fondatezza del secondo dei significati appena accennati.
5
Cfr. BENEDETTI, La categoria generale del contratto, in Riv. dir. civ., 1991, I,
669 s.; ed anche FERRI, Contratto e negozio: da un regolamento per categorie generali
verso una disciplina per tipi?, in Riv. dir. comm., 1988, I, 428 s.
6
IRTI, Per una lettura dell’art. 1324 c.c., in Riv. dir. civ., 1994, I, 560.
6
Delineata nei termini che precedono la rilevanza di una parte generale
di disciplina del contratto, quantomeno agli effetti della previsione e della
comprensione dei principi informatori del sottosistema privatistico qui
considerato, e ricompresa nell’ambito di quest’ultima la disposizione di cui
all’art. 1348 cod. civ., appare di assoluta importanza spostare l’attenzione
sugli aspetti caratterizzanti tale norma, al fine precipuo di descrivere
l’efficacia giuridica propria del negozio avente a oggetto un bene futuro. In
questo senso, vale la pena di puntualizzare, fin da questo momento, che il
riferimento ai risultati ricostruttivi raggiunti in materia di compravendita di
cosa futura appaia certamente imprescindibile, attesa la rilevanza pratica
preponderante che siffatto tipo contrattuale riveste nel quadro più ampio
dell’esplicarsi dei negozi su oggetto futuro. Tuttavia – ed è questo un
aspetto essenziale – ciò non deve indurre né a confondere il piano, beninteso
generale, sul quale la norma di cui all’art. 1348 si muove con quello delle
singole tipicità contrattuali in cui la futurità dell’oggetto appare suscettibile
di esplicarsi7; né, parimenti, a favorire l’emersione di una soluzione
ermeneutica volta a limitare il riferimento alla «prestazione di cose future»
al solo ambito della materialità delle cose, con tutte le conseguenze,
7
Secondo GABRIELLI, L’oggetto del contratto, in Il Codice Civile, Commentario
diretto da Schlesinger, artt. 1346 – 1349, Milano, 2001, 149: «Sul piano metodologico
occorre, infatti, operare una netta distinzione tra la figura generale (art. 1348 c.c.), che
prevede la possibilità che il contratto abbia, non solo un oggetto presente, ma anche un
oggetto futuro, e le singole figure speciali, come la vendita che ha per oggetto una cosa
futura (art. 1472 c.c.)».
7
evidentemente restrittive, che ne deriverebbero quanto alla soluzione
esegetica da ritenere preferibile agli effetti della definizione della portata
applicativa dell’anzidetta disposizione codicistica generale. Ciò significa, in
altri termini, che le elaborazioni maturate dalla scienza del diritto, con
particolare riguardo alla fattispecie della vendita di cosa futura, paiono
influenzate più dalla rilevanza pratica del tipo considerato, che da una
qualche preclusione concettuale alla costruzione, sulla scorta della strada
tracciata dal più volte ricordato art. 1348, di una categoria generale di
negozio con oggetto futuro caratterizzato dalla omogeneità in termini di
efficacia giuridica e nel quale il credito futuro, rectius l’atto avente a
oggetto un credito futuro, può a giusto titolo essere ricompreso.
Sulla base delle considerazioni che precedono, è di sicura utilità
spostare l’attenzione sull’analisi della problematica concernente la
elaborazione dogmatica condotta intorno alla figura dei negozi su cosa
futura, per notare, preliminarmente, come la medesima sia stata al centro di
un nutrito dibattito dottrinale, sviluppatosi già sotto la vigenza del
precedente codice civile8.
Ora, senza volere nella presente sede proporre una lettura analitica di
ciascun indirizzo, si impone tuttavia di sottolineare che, seppure sulla base
di differenti punti di partenza, essi muovano intorno alla necessità di
8
Per una breve panoramica degli indirizzi della scienza giuridica in ordine alla
costruzione dogmatica del negozio su bene futuro emersi sotto il vigore del codice civile
previgente e più recenti, v. GABRIELLI, L’oggetto del contratto, cit., 149 ss.
8
definire la questione concernente la distinzione temporale tra il piano del
consenso in ordine alla formazione dell’atto su bene futuro e quello
dell’efficacia del medesimo, inteso alla stregua di idoneità alla produzione
dei relativi effetti giuridici. In questa direzione, si segnalano, innanzitutto,
quegli indirizzi che, nel quadro di una ricostruzione dogmatica del negozio
su cosa futura in termini di incompletezza dal lato oggettivo della
fattispecie9, ne postulano una struttura procedimentale sugli schemi del
negozio a formazione progressiva, ove l’elemento completante è proprio la
venuta a esistenza del bene dedotto e che si caratterizza, ulteriormente, per
l’anticipazione del consenso, attualmente prestato nonostante la natura
futura del diritto della cui disposizione si tratta10.
Altra posizione dottrinale spiega la natura del negozio su cosa futura
sulla scorta del meccanismo della condizione sospensiva e, segnatamente,
della condicio juris, ove, quindi, la venuta a esistenza del bene (ovvero la
costituzione del diritto oggetto di disposizione) rappresenta proprio l’evento
futuro che le parti deducono in contratto al fine di condizionarne
9
Salv. ROMANO, Vendita, Contratto estimatorio, in Trattato di diritto civile,
diretto da Grosso e Santoro-Passarelli, V, Milano, 1960, 185.
10
Secondo RUBINO, La compravendita, in Trattato di dir. civ. e comm., diretto da
Cicu e Messineo, XXIII, Milano, 1962, 178, il negozio a consenso anticipato costituisce
«una delle ipotesi di inversione dell’ordine cronologico di formazione degli atti giuridici in
genere e dei negozi giuridici in particolare», con la conseguenza che il negozio in esame
andrebbe considerato in corso di formazione con riguardo all’oggetto, ma non in ordine
all’elemento del consenso, già formatosi e rispetto al quale l’atto stesso sarebbe da ritenere
già concluso.
9
sospensivamente l’efficacia giuridica11. Sempre sul piano della sospensione
dell’efficacia si muove quella tesi che preferisce descrivere il meccanismo
sotteso al negozio su bene futuro facendo leva sui cosiddetti coelementi
necessari dell’effetto, nel senso, più precisamente, che tali sono da
considerare i fatti costitutivi del bene futuro di cui si tratta, poiché «incidono
sulla struttura intrinseca dell’effetto, costituendo le fonti di determinazione
degli elementi strutturali della conseguenza giuridica, cioè del soggetto e
dell’oggetto»12.
Vale la pena, infine, di dare conto dell’ulteriore indirizzo che, sempre
nel solco dell’analisi dell’incidenza che il carattere futuro del bene oggetto
spiega sull’efficacia del negozio che lo riguarda, sposta l’attenzione sulla
utilità di tenere distinti i diversi piani del contratto, da un lato, e del rapporto
che ne deriva, dall’altro. In altri termini, l’ipotesi ricostruttiva ora in
commento sottolinea come si debba rifuggire da qualsivoglia soluzione
incentrata intorno al presupposto della incompletezza del negozio su bene
futuro, il quale, di converso, deve essere considerato completo, sebbene
diverso sul piano dell’oggetto rispetto al contratto suscettibile di produrre
tutti gli effetti che gli sono propri, ivi compresi quelli di natura reale, con la
conseguenza che, sulla scorta delle premesse che precedono, il requisito
11
Per l’analisi di tale teoria, cfr. PERLINGIERI, I negozi su beni futuri, I, La
compravendita di «cosa futura», Napoli, 1962, 138 ss.
12
Così, FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941,
160.
10
della attualità del bene assume portata essenziale agli effetti della
produzione di una data situazione effettuale, ma non anche ai fini di
integrare il negozio dal punto di vista costitutivo13.
13
Per tale indirizzo, v. SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, in Commentario
del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Artt. 1321-1352, Bologna-Roma, 1970, 371 s.
11
1.2 La prestazione di cosa futura. Cosa futura e diritto futuro
Assunta la norma di cui all’art. 1348 cod. civ. a punto di partenza ai fini
della ricostruzione del negozio su bene futuro, con particolare riguardo ai
crediti futuri, si impone, tuttavia, di prendere in considerazione altresì gli
elementi che, nonostante il riferimento testuale alla «prestazione di cose
future», consentono, in via del tutto pacifica in dottrina, di fondare
un’interpretazione suscettibile di ricomprendervi ogni negozio su diritto
futuro14, salvo, come si avrà occasione di meglio rilevare in appresso15,
interrogarsi sui confini propri della nozione di diritto futuro e, agli effetti
che qui interessano maggiormente, di credito futuro.
Appare utile puntualizzare, in via di prima approssimazione, che, fermo
quanto si dirà nel corso del presente paragrafo in ordine al rapporto tra le
nozioni di cosa e bene, il riferimento codicistico alla mera prestazione non
sembri proprio legittimare una soluzione ermeneutica tesa a limitare la
portata applicativa della norma generale qui esaminata ai soli negozi a
effetti obbligatori, laddove è agevole rilevare il contrario, ossia la possibilità
di ricomprendervi anche le ipotesi di contratti a efficacia reale, atteso,
peraltro, l’importante ruolo svolto dal connesso art. 1472 cod. civ.16.
Sotto un differente angolo visuale, è anche al rapporto tra i concetti di
cosa futura e bene futuro che bisogna avere riguardo, per non limitare la
14
GABRIELLI, L’oggetto del contratto, cit., 159.
15
V., infra, §§ 1.4, 1.5 e 1.6.
16
Cfr. SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, cit., 367.
12
previsione della norma di cui all’art. 1348 alla sola sfera della “materialità”,
rectius ai soli negozi aventi a oggetto un dato fisico, con l’esclusione di ogni
altra entità, tra cui finirebbero per ricadere i medesimi diritti.
La soluzione estensiva, della cui bontà nessuno oggi dubita, pare, a ben
vedere, ugualmente meritevole di accoglimento e sostegno a prescindere
dalla posizione di partenza che l’interprete intenda assumere sulla
complessa tematica riguardante le nozioni di cosa e bene, con la
conseguenza che la costruzione dogmatica di un negozio su bene futuro, che
rintraccia nella previsione della più volte ricordata disposizione contenuta
nell’art. 1348 la propria valvola generale d’ingresso nel nostro ordinamento,
non
sembra
passare
necessariamente
attraverso
il
superamento
dell’accennata dicotomia, pur prospettandone, come si avrà modo di notare
subito oltre, un certo stemperamento, quantomeno nel momento del
passaggio da un piano di indagine di tipo materiale a un altro di carattere più
squisitamente giuridico.
È, comunque, dalla disposizione di cui all’art. 810 cod. civ.17 che
bisogna muovere al fine di affrontare l’accennata indagine, atteso che una
interpretazione rigida e letterale della medesima potrebbe parimenti
legittimare una soluzione ben più stringente, in quanto basata sul sostanziale
accostamento delle nozioni di cui qui si tratta o, meglio, assorbimento
dell’una nell’altra, nel senso della limitazione della categoria dei beni
17
Art. 810 cod. civ.: «Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti».
13
giuridici alle sole cose, con esclusione di entità che cose in senso stretto non
sono18.
Ora, vale la pena, innanzitutto, di rilevare come di scarsissimo ausilio, al
fine di sciogliere la problematica di cui qui si tratta, sia un approccio di tipo
rigidamente normativo, volto, più precisamente, alla considerazione dei
significati in cui i più volte ricordati termini di “bene” e “cosa” sono stati
utilizzati nell’ambito dei vari libri del codice civile. Il panorama che se ne
trae, infatti, è connotato dai tratti della evidente disomogeneità, stante
l’utilizzo promiscuo di detti termini riscontrabile in più parti del codice
civile, dal che deriva l’impossibilità di ricavare i rispettivi significati
specifici e, come tali, non intercambiabili19.
Il superamento della dicotomia cosa-bene è stato prospettato da
quell’indirizzo che, sulla base del riconoscimento del carattere della
giuridicità anche al primo degli anzidetti termini, propone una lettura
dell’art. 810 nel segno di una tendenzialmente completa corrispondenza tra
le due nozioni20, al punto da potere affermare che «cosa è qualunque entità,
18
SATTA, Cose e beni nell’esecuzione forzata, in Riv. dir. comm., 1964, I, 350.
19
Cfr. ALLARA, Dei beni, Milano, 1984, 8, il quale sottolinea come la mancanza di
una terminologia rigorosa sia connotato non solo del codice civile, ma anche della
legislazione speciale; e ZENO-ZENCOVICH, voce Cosa, in Dig. disc. priv., sez. civ., IV,
Torino, 1989, 440 ss., secondo il quale la scarsa omogeneità sul piano terminologico è il
portato della differente paternità dei vari libri del codice civile, in una con l’assenza di un
lavoro di coordinamento dei medesimi.
20
V. BIONDI, I beni, in Trattato di dir. civ. italiano, diretto da Vassalli, IV, t. 1,
Torino, 1956, 14 ss., secondo cui i due termini di cui qui si tratta valgono a individuare la
14
materiale od immateriale, che sia giuridicamente rilevante, cioè sia presa in
considerazione dalla legge, in quanto forma o può formare obietto di
rapporti giuridici. Cosa è il riferimento oggettivo del diritto soggettivo»21.
Siffatto accomunamento dei termini sul piano dei rispettivi significati, a ben
vedere, prende le mosse dalla considerazione della disposizione di cui
all’art. 810 quale norma idonea a delineare una corrispondenza pressoché
perfetta tra beni e cose, nella misura in cui alla norma ivi contenuta venga
riconosciuto un ruolo limitato alla definizione del concetto di bene, senza,
tuttavia, potere fondare una dicotomia di carattere ontologico, in quanto
basata sulla natura stessa delle entità suscettibili di essere oggetto di diritti e,
a tale stregua, centri di imputazione di utilità e interessi soggettivi. Ciò, in
una con la presa in esame della norma contenuta nel successivo art. 813,
che, attraverso l’accostamento tra beni e relativi diritti, segnerebbe una
generale comprensione nel concetto di bene, rectius di cosa, di qualsivoglia
entità, materiale ovvero immateriale che sia, rilevante per il diritto in quanto
possibile oggetto di situazioni giuridiche soggettive22.
medesima entità da diversi punti di vista, in quanto il termine “cosa” allude alla oggettività
esterna al soggetto, mentre quello di “bene” inerisce all’utilità soggettiva che ne deriva al
titolare; ID., voce Cosa (diritto civile), in Noviss. dig. it., IV, Torino, 1959, 1010 s. Cfr.,
anche, LOCATELLI, voce Oggetto dei diritti, in Noviss. dig. it., XI, Torino, 1965, 780, il
quale propone una generale equivalenza tra i termini di “bene” e “cosa”, da un lato, e di
“oggetto del diritto”, dall’altro.
21
Così, BIONDI, Cosa (diritto civile), cit., 1009.
22
BIONDI, I beni, cit., 5.
15
Sennonché, la soluzione prospettata nella presente indagine in ordine
alla considerazione della norma di cui all’art. 1348 quale “canale” generale
di ingresso nel nostro ordinamento del negozio su diritti futuri, e quindi
anche su crediti che abbiano tale carattere, non passa necessariamente
attraverso il superamento della dicotomia tra le nozioni di “cosa” e “bene”,
dato che, come si avrà modo di rilevare subito appresso, a medesime
conclusioni si ritiene di potere giungere anche salvaguardando una sfera di
autonomia a ciascuna di esse.
Il riferimento è alla tradizionale definizione del bene quale nozione
prettamente giuridica e, quindi, ideale e formale, giacché queste sono le
caratteristiche principali del relativo criterio di qualificazione, a mezzo del
quale si può finalmente affermare di essere di fronte a un’entità che abbia i
connotati del bene giuridico in senso proprio. In altri termini, se la cosa in
senso stretto vale a individuare un elemento della realtà di tipo materiale, la
trasformazione del medesimo in bene giuridico postula il passaggio
dall’anzidetto piano materiale, pre-giuridico ed extra-giuridico allo stesso
tempo, a quello prettamente formale del diritto, attraverso un processo di
qualificazione come interesse sotteso a una posizione giuridicamente
rilevante e, come tale, tutelata23. Ne deriva, sulla scorta di quanto precede,
23
Cfr., tra gli altri, MESSINETTI, Oggettività giuridica delle cose incorporali,
Milano, 1970, 108 ss.; ID., voce Oggetto dei diritti, in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, 812
ss.; PUGLIATTI, Beni immobili e beni mobili, Milano, 1967, 192: «la nozione di cosa è
pregiuridica e neutra, in quanto costituisce l’elemento materiale del concetto giuridico di
16
che, da un lato, il tratto della materialità, proprio della cosa in senso stretto,
non vale a esaurire il novero dei possibili presupposti della qualificazione
giuridica di bene, poiché tale ultima qualità può essere riconosciuta anche in
capo a entità che cose certamente non sono, e che, dall’altro lato,
intervenuta la qualificazione giuridica di bene, l’eventuale substrato
naturalistico perde di rilevanza specifica24.
Il punto di vista ora accennato produce rilevanti effetti anche sulla
interpretazione della disposizione di cui all’art. 810 e sulla portata generale
da riconoscere alla norma che la medesima esprime. Segnatamente, appare
evidente come l’eccessiva esaltazione del ruolo di essa possa condurre alla
conseguenza di limitare il novero dei beni giuridici all’ambito della
materialità, laddove siffatta conclusione, da ritenere insufficiente di fronte a
un panorama di beni giuridici ben più ampio e articolato, è agevolmente
superabile attraverso l’attribuzione alla descritta formula legislativa di
quello che sembra il significato suo proprio, il quale, ben lungi dall’esaurire
il criterio di definizione dei beni in senso giuridico complessivamente
considerati, vale a indicarne uno soltanto, in quanto limitato a quei beni
bene, attraverso l’interesse che l’ordinamento giuridico tende a tutelare, attribuendo al
soggetto un determinato diritto. In sostanza la cosa è il punto di riferimento oggettivo al
quale si ricollega l’interesse costituente il nucleo del diritto soggettivo, e il bene è
l’espressione oggettiva (elemento del patrimonio in senso giuridico) di quel tale interesse
tutelato dal diritto e riferito al soggetto»; SCOZZAFAVA, I beni e le forme giuridiche di
appartenenza, Milano, 1982, 32 ss.
24
In ordine alla natura prettamente formale della nozione di bene, v. PUGLIATTI,
voce Cosa (teoria generale), in Enc. dir., XI, Milano, 1962, 19.
17
dotati di un substrato fisico, qualora si sposti il punto di vista dal piano
giuridico a quello materiale25.
Corollario dell’insieme delle esposte considerazioni è che, atteso
l’utilizzo promiscuo dei termini “bene” e “cosa” da parte del legislatore,
segnatamente codicistico ma non solo, non si ritiene di potere appesantire di
eccessivo significato la norma di cui al’art. 810, sino ad esaurire suo tramite
il panorama dei beni giuridici nel nostro ordinamento, con la conseguenza
che la nozione di «prestazione di cose future» di cui all’art. 1348, per un
verso, è da ritenere suscettibile di ricomprendere anche i crediti futuri, e non
soltanto quelli aventi a oggetto un bene materiale, e, per altro verso, è da
ritenersi suscettibile di consentire l’ingresso nel nostro ordinamento del
negozio su bene futuro generalmente inteso, categoria nell’ambito della
quale va ricompreso anche il negozio su diritto futuro26.
25
MESSINETTI, Oggettività giuridica delle cose incorporali, cit., 123. Cfr., anche,
SCOZZAFAVA, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, cit., 44, secondo il quale la
norma di cui all’art. 810 cod. civ. è «il portato di una tradizione giuridica secolare e di un
sistema economico, che consentiva una totale identificazione della ricchezza con le cose:
storicamente è, insomma, accaduto che, se pure con delle eccezioni non trascurabili tutti i
beni in senso giuridico sono coincisi, a livello di fatto, con le cose, ossia con le entità
caratterizzate dal tratto della corporalità».
26
Così, LA PORTA, La causa del trasferimento del credito, gli effetti preliminari e
la disposizione del diritto futuro, nota a Trib. Bari, 27 luglio 1996 e a Trib. Bari, 6
novembre 1996, in Banca, borsa e tit. cred., 1998, II, 723: «Il fondamento normativo della
disposizione del diritto futuro viene rinvenuto generalmente nell’art. 1348 c.c., che
consente di affermare, senza alcun timore di smentita, che il contratto, comunque si atteggi
quanto agli effetti, può avere ad oggetto un bene futuro, intendendo per tale non soltanto un
18
Ebbene, a prescindere per un solo momento dalla definizione generale di
diritto futuro e di credito futuro nello specifico, di cui si dirà in appresso, si
impone, fin da subito, di puntualizzare che una considerazione del tutto
giuridica e, quindi, ideale del concetto di bene, quale è quella sottolineata
nelle pagine che precedono, portato di un processo di qualificazione delle
entità, materiali ovvero immateriali che siano, verso le quali si indirizza
l’interesse del soggetto, sembra postulare decisamente la comprensione dei
diritti nel quadro di siffatte entità. Segnatamente, di diritto alla stregua di
bene giuridico, ovvero di diritto sul diritto, potrà parlarsi nelle sole ipotesi in
cui si assista a una forma di sovrapposizione a un primo diritto avente ad
oggetto un bene, di un secondo diritto che ha ad oggetto il primo, senza,
tuttavia, incidere in alcun modo sul relativo contenuto27.
bene-cosa non ancora presente in natura ma pure un diritto la cui fattispecie generatrice non
si è ancora determinata nei suoi elementi costitutivi minimi».
27
Sulla figura del diritto sul diritto, cfr. ZENO-ZENCOVICH, Cosa, cit., 448, il quale
rileva il carattere derivato e, in qualche modo, astratto di tale categoria, nel senso che a
monte del delineato meccanismo deve necessariamente sussistere un diritto avente a
oggetto un bene diverso da un altro diritto, e, con riguardo ad esso, parla di un processo di
qualificazione di secondo grado.
19
1.3 Diritto futuro e credito futuro. La nozione di credito futuro e i
confini del fenomeno. Il confine “prossimo” e quello “remoto”.
Introduzione
Il dato meramente materiale, di cui è stata già sottolineata l’insufficienza
sul piano della qualificazione della cosa alla stregua di bene giuridico in
senso proprio, retrocede in maniera ancora più netta qualora si sposti il
punto di vista dal piano delle cose-beni a quello del diritto-bene, atteso che,
fermo restando il carattere in ogni caso necessario di un approccio
prettamente giuridico, e quindi ideale, è il substrato materiale quale centro
di imputazione dell’interesse del soggetto titolare che viene meno nel
secondo dei casi indicati, quantomeno in via diretta e non mediata.
È stato ulteriormente rilevato come l’art. 1348 cod. civ. possa essere
inteso quale valvola di ingresso generale nel nostro ordinamento
giusprivatistico della figura del negozio su diritti futuri e, quindi, anche su
crediti che abbiano il tratto della futurità, ove, più precisamente, come tali
debbono intendersi i «diritti derivanti da fattispecie negoziali o legali non
ancora perfezionate»28.
L’anzidetta definizione, certamente condivisibile nella misura in cui
appare intuitivamente generale e onnicomprensiva, impone, tuttavia,
ulteriori puntualizzazioni e consente l’emersione di taluni interrogativi in
28
L’espressione sopra riportata è di BIANCA, La vendita e la permuta, in Trattato
di dir. civ. italiano, fondato da Vassalli, VII, t. 1, Torino, 1993, 375.
20
ordine alla figura del credito futuro, ai quali, nel corso della presente
trattazione, si tenterà di dare una risposta.
In questo senso, il riferimento al mancato perfezionamento della
fattispecie costitutiva del credito futuro suggerisce di avere riguardo al titolo
da cui deriva l’effetto, per l’appunto costitutivo, dell’obbligo.
Sennonché – ed è questo il punto – il riferimento alla incompletezza
della fattispecie costitutiva dell’obbligo giuridico se, da un lato, soddisfa
l’esigenza di una definizione quanto più elastica possibile del credito futuro,
dall’altro, non esaurisce la relativa indagine, poiché non consente ancora di
prendere posizione sui confini del fenomeno in esame. Più precisamente, la
figura del credito futuro, alla luce della definizione generalissima di diritto
futuro dalla quale si è ritenuto di potere prendere le mosse, pare muoversi
all’interno di due termini che valgono a tracciarne i relativi confini di
rilevanza giuridica autonoma, l’uno certamente “prossimo” all’esistenza
attuale, l’altro “remoto” in quanto suscettibile di individuare quel minimum
in mancanza del quale alcuna rilevanza può essere attribuita al fenomeno a
causa delle conseguenze invalidanti che siffatto stato produrrebbe sul
negozio avente a oggetto il credito di cui si tratta.
Ma, è bene procedere con ordine e sintetizzare, beninteso in via del tutto
introduttiva, i due poli all’interno dei quali il fenomeno del credito futuro
può essere fatto fluttuare.
21
Quanto al cosiddetto “confine prossimo” della nozione in esame, il
problema della corretta individuazione del margine suscettibile di separare
l’esistenza attuale dalla futurità del credito, se, in un senso, appare
agevolmente risolvibile per quelle obbligazioni derivanti da fattispecie in
corso di perfezionamento e il cui stato di completamento, in quanto non
abbia ancora prodotto alcun effetto giuridico di natura per così dire
preliminare, non consente di revocare in dubbio il carattere propriamente
futuro della situazione giuridica soggettiva considerata, sottopone, in altro
senso, all’attenzione del giurista elementi di ben maggiore complessità nel
momento stesso in cui si rivolga l’attenzione a quelle peculiari ipotesi nelle
quali il grado di particolare avanzamento della fattispecie costitutiva del
credito importa una più spiccata rilevanza giuridica, testimoniata dalla
possibilità di isolare la produzione già di taluni effetti giuridici, seppure
generalmente intesi alla stregua di dati strumentali alla nascita del diritto
nella sua interezza. Ci si riferisce, nello specifico, ai casi di diritti di credito
derivanti da fattispecie sottoposte a condizione sospensiva o a termine
iniziale di efficacia29; ovvero derivanti da rapporti di durata caratterizzati
dalla continuità o periodicità delle prestazioni oggetto dei medesimi 30. La
parziale integrazione della fattispecie costitutiva del rapporto obbligatorio,
o, meglio, il particolare stato di formazione della stessa, vale ad accomunare
talune delle ipotesi succitate, dato che l’insorgenza medio tempore di
29
Ipotesi sulle quali v., infra, rispettivamente §§ 1.4 e 1.5.
30
V., infra, § 1.6.
22
cosiddetti effetti giuridici preliminari importa la difficoltà di delineare la
natura e il ruolo di questi ultimi, autonomamente considerati e anche in
relazione all’effetto finale della fattispecie costitutiva, al fine precipuo di
fondare attorno alla presa in esame dei medesimi l’esistenza di una
situazione giuridica attuale diversa rispetto al diritto di credito della cui
costituzione si tratta e della cui futurità allora non dovrebbe dubitarsi.
Ovvero di escludere tale ultima conclusione sulla scorta di un più restrittivo
approccio in ordine ai primi31.
Di converso, se, sul piano strettamente descrittivo, il carattere futuro non
può essere messo in discussione in ordine ai crediti derivanti da fattispecie
che oltre il presente si collocano per intero32, su quello più propriamente
pratico-giuridico la tematica appare tutt’altro che esente dal suscitare spunti
di riflessione dotati di importanti riflessi pratici. La rilevanza del fenomeno
credito futuro, infatti, pare proprio passare attraverso l’analisi dell’incidenza
di esso sulla validità del negozio che lo ha a oggetto, ad esempio perché
attraverso quest’ultimo se ne dispone. L’attenzione, in altri termini, deve
essere rivolta ai requisiti previsti dall’art. 1346 cod. civ. in capo all’oggetto
del contratto33, al fine specifico di verificare se la futurità del credito oggetto
31
Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, Padova, 1999, 54.
32
TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 54 s.
33
Art. 1346 cod. civ.: «L’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito,
determinato o determinabile».
23
del negozio incida sul requisito della determinabilità di esso oppure su
quello della possibilità.
Il nodo da sciogliere non è di secondaria importanza neppure alla luce
delle conseguenze suscettibili di derivarne sul piano pratico. Vale la pena di
notare, infatti, che, qualora si prendano le mosse da un approccio che
consideri la futurità del credito dedotto in negozio quale carattere idoneo a
incidere sulla determinabilità dell’oggetto di esso, il problema da affrontare
sarà quello dei requisiti minimi che la fattispecie costitutiva del credito
medesimo deve rivestire agli effetti di sfuggire dalla conseguenza
dell’invalidità, nella forma della nullità, dell’atto avente a oggetto il credito
futuro. Diversamente, sulla scorta di un più elastico punto di vista, teso a
mettere in relazione la futurità del credito dedotto in contratto col differente
requisito della possibilità dell’oggetto del negozio, si giunge alla
conclusione
di
potere
prescindere
dal
grado
di
perfezionamento
eventualmente raggiunto dal titolo costitutivo del credito, attesa la minore
rigidità del requisito di validità del contratto utilizzato quale parametro di
riferimento in questo secondo caso.
È questa la problematica inerente a quello che si è ritenuto di potere
definire alla stregua di confine “remoto” del fenomeno credito futuro, in
quanto la rilevanza giuridica dello stesso non può che essere fatta dipendere
dalla sua valida deducibilità in negozio e, quindi, non si ritiene di potere
24
rivolgere l’attenzione a crediti la cui futurità sia eventualmente intesa quale
idonea a precludere la validità degli atti che li abbiano a oggetto.
25
1.4 Ipotesi
controverse:
a)
i
crediti
derivanti
da
fattispecie
sospensivamente condizionate
Atteso che, come sopra accennato, la tematica inerente al cosiddetto
confine “prossimo” della nozione di credito futuro ruota intorno alla corretta
delimitazione della linea discretiva tra l’oggetto della presente trattazione e
una serie di ipotesi in cui lo stato di particolare avanzamento della
fattispecie costitutiva del rapporto obbligatorio, in una con la produzione di
taluni effetti giuridici in ispecie preliminari, consente di dubitare in ordine
alla effettiva futurità del credito che ne deriva, la prima attenzione non può
che essere riservata ai casi di crediti suscettibili di sorgere da fattispecie
condizionali, segnatamente ai crediti la cui costituzione è subordinata a
condizione sospensiva di efficacia.
Problematica, quest’ultima, che giocoforza finisce per investire la
valutazione del significato da attribuire alla produzione di effetti giuridici,
segnatamente
preliminari
in
quanto
antecedenti
e
indipendenti
dall’avveramento dell’evento futuro ed incerto dedotto in condizione, anche
al fine di fondare eventualmente intorno ad essi la costruzione di una
situazione giuridica soggettiva autonoma e distinta dal diritto condizionato,
id est l’aspettativa, che, se del caso, non finisca per ridursi a mera formula
descrittiva dell’insieme degli anzidetti effetti giuridici preliminari, i quali, si
noti bene, nel contesto delle fattispecie condizionali assumono particolare
rilevanza e portata.
26
Premesso quanto precede, vale la pena di rilevare subito, in via ancora
introduttiva, che la problematica generale del rapporto tra diritto futuro e
diritto sospensivamente condizionato è stata affrontata dalla dottrina con
particolare riguardo all’ipotesi della cessione del credito e ha visto
l’emersione di due correnti generali che, è il caso di anticipare, per quanto
prendano le mosse da presupposti teorici differenti, non appaiono risolutive
al fine che qui interessa, impegnate, come sono, a prendere posizione in
ordine all’eventuale dignità autonoma da riconoscere in capo all’aspettativa
di diritto nel panorama delle situazioni giuridiche soggettive.
Sotto questo punto di vista, infatti, appare di assoluta importanza
sottolineare come la prima corrente dottrinaria di cui si accennava sopra se,
da un lato, pare escludere che il diritto condizionato sia configurabile alla
stregua di vero e proprio diritto futuro, dall’altro, giunge a siffatta
conclusione non sulla base di valutazioni che investono direttamente il
primo, bensì attraverso un’esaltazione di quella situazione prodromica, che,
come detto, ruota intorno agli effetti preliminari della fattispecie
condizionale e prende il nome di aspettativa di diritto. Così, si afferma che
«la vendita del c.d. diritto condizionato, non è vendita di un diritto futuro,
ma di un diritto presente ad attuale, di natura provvisoria e strumentale,
inteso come diritto al diritto»34.
34
Così, PERLINGIERI, I negozi su beni futuri, I, La compravendita di «cosa futura»,
cit., 36. Nello stesso senso, pare potersi descrivere anche il pensiero di BIANCA, La vendita
e la permuta, cit., 375, il quale, proprio al fine precipuo di porre una distinzione tra diritto
27
Alla base di una simile impostazione è possibile individuare, in estrema
sintesi, un triplice ordine di considerazioni35.
Un primo ambito di notazioni inerisce alla descrizione delle fattispecie
sospensivamente condizionate alla stregua di ipotesi in cui, a fronte della
completezza delle medesime sul piano della presenza degli elementi
costitutivi essenziali, l’evento condizionante vale ad incidere solo ed
esclusivamente sull’efficacia finale di esse, con la conseguenza che già nel
momento
antecedente
all’eventuale
verificazione
della
condizione
sospensiva sono ricollegabili alla fattispecie costitutiva considerata taluni
effetti, preliminari o prodromici nella misura in cui vengano considerati
funzionali alla produzione di quelli definitivi, suscettibili di consentire
l’emersione di una specifica situazione giuridica soggettiva autonoma
definibile in termini di aspettativa di diritto.
In secondo luogo, è da ritenere che l’anzidetta situazione sia suscettibile
di essere fatta oggetto di negozi traslativi che, proprio in quanto riguardino
una posizione distinta e, sia consentito ripetere, autonoma rispetto al diritto
finale, il cui sorgere dipenderà dall’eventuale avveramento dell’evento
futuro, in quanto derivante da fattispecie incompleta, e diritto condizionato, descrive
quest’ultimo in termini di «autonoma posizione di vantaggio di cui può attualmente disporsi
come di un diritto presente», con la conseguenza che la vicenda traslativa di esso «relega il
verificarsi o il mancato verificarsi della condizione ad un evento che concerne ormai la
sfera giuridica del nuovo titolare»; e di RUBINO, La compravendita, in Trattato di diritto
civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, XXIII, Milano, 1962, 175 s.
35
Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 63 s.
28
dedotto in condizione, appaiono idonei a produrre effetti diversi rispetto al
trasferimento della situazione finale e definitiva.
Infine, e si giunge così al terzo gruppo delle accennate considerazioni,
quale conseguenza delle premesse cui si accennava appena sopra è stato
affermato che il trasferimento del diritto condizionato si risolve in ogni
caso, o quantomeno in via assolutamente prevalente, nell’alienazione della
situazione preliminare di aspettativa, considerata quale attuale e in questo
senso distinta dal diritto condizionato (inteso come futuro poiché
condizionato ad un evento futuro), con la conseguenza di ritenere che
siffatta fattispecie non possa essere in nessun caso, o comunque nella
maggior parte delle ipotesi, considerata alla stregua di cessione di credito
futuro.
Di converso, la seconda corrente dottrinaria accennata postula un
accostamento dei diritti condizionali a quelli futuri, con tutto quanto ne
deriva in ordine alla qualificazione dei negozi che ne realizzano la
disposizione, i quali, a tale stregua, andrebbero considerati atti aventi a
oggetto diritti futuri36.
È ora il caso di sottolineare come il confronto tra i due indirizzi appena
individuati si giochi sul terreno della qualificazione e della presa di
posizione più generale in ordine al problema dell’aspettativa, ossia,
segnatamente, se la medesima sia o meno suscettibile di essere considerata
36
V., tra gli altri, MIRABELLI, I singoli contratti, artt. 1470-1765 c.c., in
Commentario del cod. civ., libro IV, t. 3, Torino, 1991, 22.
29
un’autonoma ed attuale situazione giuridica soggettiva, distinta come tale
rispetto al diritto condizionato, e, per tale via, idonea ad essere oggetto di
negozi giuridici che prescindano da quest’ultimo per riferire i propri effetti
immediatamente alla prima.
Così, quale presupposto della tesi che esclude che il negozio dispositivo
di un credito derivante da fattispecie condizionale possa essere considerato,
in ogni caso o comunque nella maggior parte delle ipotesi, quale atto avente
ad oggetto un diritto futuro, non può che esservi l’impostazione che esalta
l’autonoma rilevanza giuridica dell’aspettativa di diritto37, a prescindere poi
dall’inserimento di essa nel novero dei diritti soggettivi38 ovvero dal
37
Che il presente discorso debba essere limitato all’aspettativa di diritto,
caratterizzata dalla protezione attualmente riconosciuta dall’ordinamento al titolare
dell’acquisto, rectius dell’interesse all’acquisto, per distinguerla dall’aspettativa di mero
fatto, nel quale ultimo caso tale interesse non risulta assistito da alcuna protezione giuridica
attuale, è dato generalmente accolto. In tal senso, cfr., tra gli altri, SCOGNAMIGLIO, voce
Aspettativa di diritto, in Enc. dir., III, Milano, 1958, 226 ss.; PELOSI, voce Aspettativa di
diritto, in Dig. disc. priv., sez. civ., I, Torino, 1987, 465. Contra, tuttavia, nel senso della
difficoltà di tracciare una precisa linea di demarcazione tra speranza di diritto e speranza di
mero fatto, MAIORCA, Il pegno di cosa futura ed il pegno di cosa altrui, Milano, 1938, 383.
38
Di un diritto di aspettativa alla stregua di «diritto soggettivo attuale, pieno e
incondizionato, rilevante e operante di per sé e non in quanto germe o momento di
formazione del diritto finale che comincia a esistere se e quando venga ad esistenza
l’evento condizionante» parla FALZEA, voce Condizione. I) Diritto civile, in Enc. giur.
Treccani, VII, Roma, 1988, 5. Nel senso della qualificazione dell’aspettativa alla stregua di
vera e propria posizione di diritto soggettivo, cfr., anche, PERLINGIERI, I negozi su beni
futuri, I, La compravendita di «cosa futura», cit., 24 ss. e 36, il quale fonda sulla titolarità
immediata ed attuale in capo al titolare del diritto condizionato di un «diritto all’acquisto
del diritto futuro» l’esistenza di un cosiddetto rapporto condizionale, atteso che è dato
rilevare come gravi sugli altri contraenti e, comunque, sui terzi interessati l’obbligo di non
30
ricostruire intorno alla medesima una specifica e concettualmente autonoma
posizione giuridica di vantaggio, senza, tuttavia e anche in quest’ultimo
caso, che vi sia unanimità di vedute intorno alla portata di siffatta pretesa
posizione di vantaggio e ai rapporti tra questa e il diritto subiettivo in senso
stretto39.
A una più attenta analisi del problema, tuttavia, appare evidente come i
risultati raggiunti dalla dottrina in ordine alla tematica inerente alla
qualificazione del negozio dispositivo di un diritto sospensivamente
condizionato non consentano di sciogliere in maniera risolutiva il nodo
afferente la natura futura o meno del credito derivante da fattispecie
condizionale.
impedire il verificarsi dell’evento condizionante e, più in generale, di comportarsi secondo
buona fede, diligenza e correttezza.
In giurisprudenza, in ordine alla titolarità in capo all’acquirente di un diritto
sospensivamente condizionato di un differente diritto di natura strumentale rispetto
all’effetto acquisitivo definitivo, v. Cass. 18 ottobre 1956, n. 3709, in Riv. dir. comm.,
1957, II, 272 ss.
39
Cfr., in tal senso, NICOLÒ, voce Aspettativa (dir. civ.), in Enc. giur. Treccani, III,
Roma, 1988, 3, secondo cui l’impossibilità di ricondurre l’aspettativa di diritto al quadro
dei diritti soggettivi è il corollario della complessità che vale a connotarla sul piano del
contenuto e delle relative forme di tutela; RESCIGNO, voce Condizione (dir. vig.), in Enc.
dir., VIII, Milano, 1961, 797, che colloca l’aspettativa tra il mero potere di fatto ed il diritto
soggettivo pieno; PELOSI, Aspettativa di diritto, cit., 468, a parere del quale è inopportuna
l’estensione dei confini della figura del diritto soggettivo sino a ricomprendervi anche
l’aspettativa di diritto, poiché ciò finirebbe per cagionare la genericità, la vaghezza e,
quindi, la stessa inutilità del primo. Sulla scorta di tali presupposti, l’Autore ritiene
preferibile limitarsi ad una definizione generalissima dell’aspettativa medesima, sulla base
della quale essa ricomprende l’insieme delle facoltà che spettano al relativo titolare e, per
tale via, ne segna la riconduzione nel quadro delle situazioni giuridiche soggettive.
31
Più precisamente, infatti, e come si è già avuto occasione di accennare
appena sopra, se il punto nodale della illustrata contrapposizione di
orientamenti ruota intorno all’influenza che viene comunemente riferita alla
produzione di effetti giuridici preliminari rispetto ad una fattispecie che
porterà alla costituzione del diritto definitivo solo qualora l’evento
condizionante si verifichi effettivamente, ne deriva, allora, che l’esclusione
del negozio dispositivo del credito condizionato dal novero degli atti su
diritti futuri non presuppone necessariamente una presa di posizione diretta
e specifica in ordine alla qualificazione del credito medesimo, quanto,
soprattutto, la portata assorbente eventualmente riconosciuta alla situazione
preliminare, che taluno ritiene di individuare nella cosiddetta aspettativa di
diritto40. Analizzata la questione secondo tale ultimo angolo prospettico, la
conclusione cui è dato di pervenire appare tutt’altro che risolutiva in
riguardo alla tematica che qui occupa. Infatti, anche qualora si escluda che il
negozio avente a oggetto la disposizione di un diritto derivante da fattispecie
condizionale rientri nel novero degli atti su diritti futuri, ad una più attenta
analisi delle argomentazioni poste a fondamento di siffatta conclusione –
vale la pena di ripetere – appare di tutta evidenza come la relativa presa di
posizione non sia dettata da una esclusione del carattere futuro del credito
condizionato fondata su elementi giuridici intrinseci al medesimo ovvero al
meccanismo condizionale in sé e per sé considerato, bensì dal ruolo
40
Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 83.
32
assorbente che, nel caso di specie, viene ricondotto alla produzione di effetti
preliminari e alla situazione giuridica di aspettativa di diritto che intorno ad
essi è stata costruita41.
Di qui si genera la posizione di chi, sulla scorta delle considerazioni che
precedono, ha sottolineato come, pur potendo rientrare il credito
condizionato nel quadro dei diritti futuri in senso lato in quanto posizione
giuridica non ancora presente nella titolarità di alcuno, la produzione di
effetti giuridici preliminari pone il problema della effettiva utilità di
accogliere un accostamento tra le due categorie accennate42.
I termini della questione, tuttavia, possono essere invertiti là dove si
prescinda dal punto di vista, tutt’altro che pacifico come si è già avuto modo
di rilevare, secondo il quale il complesso dei cosiddetti effetti preliminari
varrebbe a qualificare sul piano giuridico, fino a consentirne l’isolamento,
una specifica e autonoma posizione soggettiva (ci si riferisce, come è
evidente, all’aspettativa di diritto). Qualora, infatti, si prendano le mosse da
quell’orientamento che nega all’aspettativa di diritto dignità di autonoma
41
V., in tal senso, LA PORTA, Il trasferimento delle aspettative. Contributo allo
studio delle situazioni soggettive attive, Napoli, 1995, 285 ss., il quale fonda la distinzione
tra negozio di trasferimento dell’aspettativa e negozio dispositivo di un diritto futuro sulla
eventuale produzione di effetti preliminari a presidio della costituzione del diritto
definitivo, che varrebbe a qualificare la prima ipotesi rispetto alla seconda. Cfr., tuttavia,
TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 112 ss., secondo cui la scelta tra la figura del
negozio dispositivo dell’aspettativa e dell’atto avente ad oggetto il diritto finale
condizionato dipende dall’interpretazione della effettiva volontà perseguita dalle parti
contraenti.
42
TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 83.
33
posizione giuridica soggettiva, sembra venire meno non solo e non tanto il
principale argomento per prendere posizione sulla qualificazione del
negozio dispositivo di un credito derivante da fattispecie condizionale
rispetto alla figura dell’atto su diritto futuro, ma, anche e soprattutto ai fini
che qui interessano, un presupposto essenziale per respingere il credito
condizionato nell’alveo della futurità.
Segnatamente, se si rivolge l’attenzione ai singoli effetti giuridici
cosiddetti preliminari, è dato di rilevare che il tratto della propedeuticità,
rectius della strumentalità, rispetto alla costituzione del diritto definitivo
sembra sfumare a favore di una ricostruzione fondata sulla anticipazione di
taluni effetti che, sotto questo punto di vista, sono del tutto idonei a
espandere la loro portata ben oltre la fase della pendenza e a prescindere da
questa. Così è da affermare per il cosiddetto effetto della irrevocabilità del
consenso manifestato, che si ricollega direttamente al vincolo negoziale in
quanto derivante dal principio generale di cui all’art. 1372 cod. civ., in base
al quale il contratto ha forza di legge tra le parti. Analoga impostazione pare
sottesa all’effetto costitutivo dell’obbligo di non impedire il completamento
della fattispecie e, più in generale, di comportarsi secondo buone fede,
atteso che siffatto principio vale a permeare la disciplina del contratto ben
oltre i limiti segnati dal momento della formazione, seppure inteso in senso
34
ampio43. Di qui, si comprende la posizione di chi, sempre nell’ottica della
negazione all’aspettativa della dignità di autonoma situazione giuridica
soggettiva, segnatamente di diritto soggettivo, attribuisce alla medesima la
rilevanza, prettamente descrittiva, di designare il complesso degli effetti
giuridici preliminari disposti in capo a un determinato soggetto44.
Alla luce del complesso delle considerazioni che precedono, pare quindi
preferibile limitare il connotato della futurità a quelle situazioni rispetto alle
quali non si possano riscontrare, già nel momento attuale, posizioni
funzionali ovvero strumentali45.
43
Cfr., pur sempre nell’ottica della riconduzione del diritto condizionato agli
schemi del diritto futuro, SCOGNAMIGLIO, Aspettativa di diritto, cit., 230 s.
44
RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939, 317 s.
45
Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 83, il quale, pur condividendo
l’impostazione propria della dottrina tedesca, secondo la quale il meccanismo condizionale
non impedirebbe la considerazione quale futuro del diritto condizionato stesso, sebbene in
senso lato, sottolinea come l’esistenza attuale di una posizione strumentale rispetto a questo
possa quantomeno sollevare il problema di «renderne dogmaticamente sconsigliabile
l’accostamento agli altri diritti futuri nell’ambito di una medesima categoria giuridica».
35
1.5 Segue: b) i crediti derivanti da fattispecie a termine
La tematica inerente alla riconducibilità dei crediti derivanti da
fattispecie sottoposte a termine al novero della futurità, pur caratterizzata da
problematiche prossime a quelle già prese in esame con riguardo alle
situazioni giuridiche soggette a condizione sospensiva di efficacia46 sul
piano precipuo della rilevanza da attribuire all’esistenza di una posizione
preliminare rispetto al diritto definitivo, non può che prendere le mosse da
una serie di valutazioni che, a monte della nozione di aspettativa di diritto,
appaiono di assoluta utilità al fine, da un lato, di circoscrivere il campo
dell’indagine di cui qui si tratta sgombrandolo da equivoci di cui non
mancano esempi nella pratica giurisprudenziale e, dall’altro, di potere
escludere il suddetto accostamento.
È utile, quindi, procedere per gradi.
Quanto al primo ordine di considerazioni, spartiacque fondamentale
nell’economia della tematica che qui occupa è la distinzione tra termine
iniziale di efficacia e termine di esigibilità della prestazione (cosiddetto
termine di adempimento). Ciò in quanto si ritiene di potere circoscrivere la
presente indagine alla sola analisi del primo e non anche del secondo, atteso
46
Cfr. CAPONI, In tema di accertamento sulla norma astratta, sui diritti futuri e sui
rapporti di durata, nota a Cass. 23 gennaio 1991, n. 660, in Riv. dir. proc., 1991, 1162, che
definisce futuro «l’effetto di cui non si è perfezionata (ancora) la fattispecie costitutiva,
perché quest’ultima non si è prodotta per niente o non ha concluso il suo ciclo di
formazione. Effetto futuro è a questa stregua anche il diritto sottoposto a condizione
sospensiva e a termine iniziale di efficacia».
36
che l’apposizione di un mero termine di adempimento non vale ad incidere
sulla esistenza del credito, bensì sul diverso aspetto della esigibilità della
prestazione e della attualità dell’obbligo di eseguire la prestazione dovuta47.
Siffatta puntualizzazione, peraltro, appare di sicura utilità, come si
anticipava subito sopra, anche agli effetti di superare talune incertezze
registrate sul punto nella giurisprudenza, la quale ha talvolta inteso
qualificare alla stregua di futuri crediti semplicemente inesigibili, con la
conseguenza di formulare una concezione di credito futuro non solo
estensiva, bensì insuscettibile di accoglimento alla luce della necessità di
tenere ben distinte le ipotesi di termine di efficacia e di termine di
adempimento, secondo quanto sopra anticipato48.
Date queste necessarie premesse e, per tale via, circoscritto il campo
dell’indagine alla sola ipotesi del termine di efficacia, è finalmente possibile
passare all’analisi degli argomenti idonei ad incidere in maniera più diretta
47
V., in tal senso, BIANCA, Diritto civile, 4, L’obbligazione, Milano, 1993, 217. Lo
stesso connotato dell’incidenza del termine di adempimento sul mero profilo della
esigibilità, ferma restando l’esistenza del credito cui esso risulta apposto, è sottolineato da
DI MAJO, voce Termine (dir. priv.), in Enc, dir., XLIV, Milano, 1992, 197, il quale
puntualizza come il credito a termine possa essere oggetto di cessione, non potendo, sotto
questo punto di vista, essere tenuto distinto da un qualsiasi altro diritto di credito, fatto
salvo, evidentemente, il differimento della esigibilità della prestazione.
48
V. Cass. 10 gennaio 1966, n. 184, in Riv. dir. civ., 1967, II, 502, con nota di
PERLINGIERI, Cessione del credito ed eccezione d’inesigibilità, ove la Suprema Corte ha
inteso ricomprendere tra i crediti futuri il diritto del venditore al pagamento del prezzo, la
cui esigibilità era stata sospesa sino alla liberazione del bene oggetto dai pesi sullo stesso
gravanti. Escludono che nella fattispecie accennata ricorra un’ipotesi di credito futuro
PERLINGIERI, op. ult. cit., 506; e BIANCA, La vendita e la permuta, cit., 375, nota 4.
37
sulla problematica concernente l’eventuale considerazione del credito
soggetto a termine iniziale di efficacia quale futuro.
Ma, a ben vedere, prima ancora di prendere posizione in ordine
all’anzidetta
problematica,
un’ulteriore
considerazione
di
carattere
preliminare si impone all’attenzione di chi si appresti ad analizzarla. E,
segnatamente, si tratta della stessa configurabilità di un termine di efficacia
in quanto apposto ad un negozio con effetti obbligatori.
La soluzione negativa, che vale ad escludere recisamente dal novero
della futurità un credito sottoposto a termine di efficacia quale conseguenza
della medesima impossibilità di configurare quest’ultimo rispetto all’atto
costitutivo di questa categoria di diritti, si fonda sulla generale attinenza del
termine di efficacia medesimo ai negozi ad effetti reali e del termine di
adempimento a quelli ad effetti obbligatori, ove, più precisamente, la
suddetta distinzione tra i due tipi di termine considerati corrisponde proprio
al differente modo di atteggiarsi dell’elemento temporale nel quadro dei
negozi giuridici aventi diversa efficacia. Così, ben lungi dal consentire di
procedere ad una ricostruzione unitaria dell’istituto del termine tutta
incentrata sulla categoria dell’efficacia, viene rimarcato il dato secondo il
quale un collegamento diretto tra elemento temporale ed efficacia giuridica,
costitutiva ovvero estintiva che sia, possa essere rintracciato limitatamente
alle ipotesi di efficacia reale dell’atto considerato, sulla scorta del rilievo
secondo il quale l’esercizio di un diritto reale non costituisce attività
38
esecutiva del negozio alla stregua di adempimento di quanto in esso
prescritto, bensì fruizione dell’effetto giuridico da quello derivante. Ne
deriva, in altri termini, che l’esplicarsi del principio consensualistico di cui
all’art. 1376 cod. civ., in una col carattere immediatamente satisfattivo
dell’interesse dell’avente causa da riconoscere all’effetto reale, che infatti,
una volta prodottosi, non abbisogna dell’intermediazione di un’ulteriore
attività esecutiva ai fini del suddetto soddisfacimento, importa la
conseguenza che il termine, in ipotesi di tal sorta, non può che operare sul
piano della costituzione del diritto. Di converso, è stata negata l’esistenza di
una relazione tra termine di efficacia e contratto obbligatorio, nella misura
in cui si tenga in considerazione che come, da un lato, il termine non pare
incidere sul momento iniziale della esistenza dell’obbligazione, esso,
dall’altro lato e parimenti, non può spiegare di per sé effetto estintivo sul
vincolo obbligatorio, atteso che, sotto quest’ultimo punto di vista, non si
può prescindere dalla rilevanza dei comportamenti esecutivi dovuti ovvero,
in ogni caso, da modalità estintive che si atteggiano diversamente rispetto
alla mera concretizzazione dell’elemento temporale49.
La medesima soluzione negativa, d’altronde, sembra da preferire
decisamente anche sulla scorta di un punto di vista che ponga al centro della
49
In ordine alla generale incompatibilità tra termine di efficacia e negozi ad effetti
obbligatori, v. RUSSO, Il termine del negozio giuridico, Milano, rist., 1973, 48: «poiché,
dunque, è riscontrabile una praesens obligatio anche prima della data fissata per
l’adempimento, risulta impropria la concezione del termine iniziale come data di inizio
degli effetti negoziali obbligatori».
39
indagine la volontà delle parti contraenti. È, infatti, dato di ritenere che esse,
sempre beninteso nel quadro di un negozio avente efficacia obbligatoria,
attraverso l’apposizione di un termine abbiano inteso preferire la via più
immediata, ossia quella del differimento dell’adempimento, dato che lo
spostamento in avanti del momento stesso della nascita dell’obbligo
dovrebbe necessariamente passare attraverso una specifica ed esplicita
pattuizione in tal senso50.
Ora, è di tutta evidenza che l’esclusione assoluta della configurabilità di
un termine iniziale dell’efficacia apposto al negozio ad effetti obbligatori
finirebbe per risolvere alla radice la presente problematica, in quanto non vi
sarebbe neppure luogo per discorrere intorno alla natura presente o futura
del credito derivante da questo, ma siffatta premessa risulta tutt’altro che
pacifica nell’ambito del dibattito dottrinale sull’argomento. A ciò, inoltre, è
da aggiungere che la constatazione circa la generale volontà delle parti di un
contratto obbligatorio di incidere, a mezzo dell’apposizione di un termine,
sulla esigibilità della prestazione dovuta anziché sulla stessa costituzione del
diritto di credito, non autorizza, per ciò solo, ad ignorare l’eventualità che
l’intenzione dei contraenti si atteggi in concreto secondo quest’ultima
modalità.
50
Così, DI MAJO, Termine (dir. priv.), cit., 193, il quale sottolinea che una
precipua volontà in tal senso si giustificherebbe alla luce di ciò che le parti non intendono
incidere sul più limitato aspetto del contenuto del rapporto obbligatorio, ma sulla stessa
nascita del relativo vincolo.
40
Non mancano, così, né opinioni che tendono ad affermare la validità sul
piano concettuale della distinzione tra termine di efficacia del negozio
obbligatorio e termine di adempimento della prestazione da quello derivante
e, a questa stregua, fra crediti futuri in quanto destinati a sorgere soltanto
alla scadere del tempo previsto e crediti semplicemente inesigibili 51, né
punti di vista volti a rilevare l’utilità pratica dell’anzidetta differenziazione,
attesa la possibilità che sussista un effettivo interesse delle parti in tal senso,
ovvero la distinzione in punto di disciplina applicabile ai due casi qui
considerati, che ne deriva52.
51
Cfr., in ordine alla futurità dell’obbligazione che ha fonte in un negozio
sottoposto a termine iniziale, BIANCA, Diritto civile, 4, L’obbligazione, cit., 211.
In giurisprudenza, sul tema della distinzione tra termine di efficacia e termine di
adempimento, cfr. Cass. 24 luglio 1985, n. 4439, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, 268,
con nota di IUDICA.
52
V. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 144 ss., il quale, in ordine
all’eventuale utilità pratica di subordinare alla scadenza di un termine il sorgere di un diritto
di credito, pone l’esempio del diritto al pagamento del prezzo quale corrispettivo della
vendita di un bene, ove, a fronte del differimento dell’effetto traslativo, l’eguale
differimento non tanto della esigibilità della prestazione pecuniaria, quanto della medesima
costituzione di tale obbligo potrebbe rappresentare un valido strumento al fine di garantire
un più soddisfacente (per la parte acquirente) equilibrio contrattuale nelle more della piena
attuazione del regolamento negoziale ivi contenuto. Quanto, invece, alle differenze in punto
di disciplina positiva applicabile alle ipotesi considerate, l’Autore, tra l’altro, prende in
esame: la norma di cui all’art. 1185, secondo comma, cod. civ., nel senso di ritenere
ripetibile il pagamento effettuato dal debitore prima dello spirare del termine iniziale di
efficacia ed irripetibile, limitando così il campo di applicazione della disposizione citata,
l’adempimento effettuato in anticipo rispetto alla scadenza del termine di adempimento;
l’art. 1186 cod. civ., rispetto al quale sottolinea parimenti che la decadenza dal beneficio
del termine riguardi quello di adempimento e non anche il termine di efficacia.
41
Ed è proprio il riconoscimento della generale ammissibilità di un
termine idoneo a sospendere lo stesso sorgere dell’obbligazione che
conduce la dottrina da ultimo ricordata ad affermare il carattere futuro del
credito sottoposto a termine iniziale di efficacia, secondo, peraltro, schemi
analoghi a quelli già presi in esame in relazione ai crediti sospensivamente
condizionati53, ferma restando l’attualità della posizione preliminare di
aspettativa giuridicamente tutelata, che sarebbe da riscontrare anche in casi
quali quello di cui qui si tratta, seppure con un contenuto in parte diverso
stante la certezza dell’evento futuro54.
Sennonché, l’argomento da ultimo accennato appare tutt’altro che
decisivo sulla base di un duplice ordine di considerazioni suscettibili di
fondare, anche con riguardo ai crediti sottoposti a termine e con soluzione
analoga a quella già sottolineata rispetto ai crediti condizionali, una
53
54
Sui quali, v., supra, § 1.4.
Che il connotato di incertezza proprio dell’evento condizionante non sia
decisivo agli effetti di riconoscere in capo al soggetto interessato la titolarità di
un’aspettativa giuridicamente rilevante, dovendosi, al contrario, attribuire importanza
decisiva al diverso ed ulteriore requisito della futurità, è sottolineato da NICOLÒ, Aspettativa
(dir. civ.), cit., 2; e da FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano,
1941, 204. Cfr., in senso parzialmente contrario, PELOSI, Aspettativa di diritto, cit., 468,
secondo il quale, pur non potendo essere disconosciuta, stante la certezza dell’evento
futuro, in capo al titolare di un diritto sottoposto a termine iniziale di efficacia una
protezione giuridica quantomeno corrispondente, sul piano dell’intensità, a quella spettante
al titolare di un’aspettativa condizionale, è la medesima certezza che, in quanto è da
ritenere fonte di poteri maggiori per l’interessato e, corrispondentemente, di vincoli più
stringenti nei confronti dell’altra parte rispetto al caso del meccanismo condizionale,
renderebbe sconsigliabile l’utilizzo indifferenziato della nozione di aspettativa.
42
conclusione negativa in ordine alla problematica dell’appartenenza dei primi
al novero della futurità.
Innanzitutto, nonostante la necessità di tenere in debito conto la
differenza che la certezza dell’evento futuro di cui si tratta pone in rilievo
rispetto allo strumento condizionale, si ritiene di poter tenere ferme tutte le
ragioni di perplessità che la produzione di effetti giuridici ad opera di un
titolo, a prescindere dalla utilità di definirli quali preliminari ovvero di
costruire intorno ad essi un’autonoma situazione giuridica soggettiva quale
la cosiddetta aspettativa di diritto, pone dinnanzi ad una ricostruzione sic et
simpliciter del diritto derivante da quel titolo alla stregua di futuro55.
Ancora, e si tratta del secondo ordine di considerazioni cui si accennava
appena sopra, l’esclusione dei crediti a termine dall’ambito delle posizione
soggettive future può essere fatta derivare da quell’indirizzo che, sulla
scorta della nozione di obbligo ridotto, revoca in dubbio la medesima
correttezza del concetto di termine iniziale di efficacia. Nello specifico,
siffatta denominazione non è da ritenere accettabile nella misura in cui non
appare corretto affermare tout court che il fatto del decorso del tempo incida
in via sospensiva sulla produzione degli effetti, in ispecie obbligatori,
riconducibili al fatto costitutivo cui l’elemento temporale accede. Si pone
l’accento, segnatamente, sulla norma di cui all’art. 1185, secondo comma
55
Sulle quali v., supra, § 1.4, seppure con riferimento specifico ai crediti
sottoposti a condizione sospensiva di efficacia.
43
cod civ.56, per sottolineare come, beninteso in un’ottica secondo la quale la
dizione della disposizione de qua non autorizza a limitarne il campo di
applicazione al solo termine di adempimento, qualora nessun effetto
costitutivo dell’obbligo si fosse già prodotto stante l’apposizione di un
termine alla fattispecie costitutiva, allora non sarebbe giustificabile la
soluzione imposta dal legislatore codicistico nel senso della irripetibilità di
quanto prestato proprio perché l’adempimento eseguito non troverebbe
alcuna ragione giustificatrice a causa della supposta assenza del relativo
diritto di credito. Di converso, l’anzidetta conseguenza della irripetibilità si
giustifica alla luce della teoria del cosiddetto obbligo ridotto, in quanto il
perfezionamento della fattispecie, nonostante l’apposizione del termine
iniziale di efficacia, ben lungi dal non dispiegare alcun effetto costitutivo
dell’obbligo giuridico,vale a produrre comunque l’effetto di doverosità,
poiché, se così non fosse, la soluzione della irripetibilità di quanto prestato
dal solvens dovrebbe necessariamente cedere il passo rispetto alla
costituzione di un obbligo restitutorio gravante sull’accipiens, sulla scorta
dell’attuale inesistenza dell’obbligazione del primo. Impostato il discorso
nei termini che precedono, al verificarsi successivo dell’evento temporale
dedotto nel titolo è da ricollegare il completamento dell’obbligazione, la
56
Art. 1185, secondo comma, cod. civ.: «Tuttavia il debitore non può ripetere ciò
che ha pagato anticipatamente, anche se ignorava l’esistenza del termine. In questo caso
però egli può ripetere, nei limiti della perdita subita, ciò di cui il creditore si è arricchito per
effetto del pagamento anticipato».
44
quale si presenterà così nella sua interezza, superando lo stadio precedente
di menomazione che la caratterizzava, attraverso la costituzione, al fianco
dell’effetto di doverosità già venuto in essere, dell’effetto di antidoverosità,
riferibile ad ogni eventuale condotta difforme rispetto a quella oggetto
dell’obbligazione57.
L’orientamento da ultimo ricordato importa delle conseguenze decisive
nel senso di escludere che l’obbligazione derivante da fattispecie sottoposta
a termine iniziale di efficacia possa essere considerata alla stregua di
situazione soggettiva futura. Infatti, alcun connotato di futurità può essere
ricollegato ad un obbligo che, seppure in forma ridotta, è da ritenere già
costituito prima dello spirare del termine previsto e, come tale, risulta già
suscettibile di essere adempiuto, con la conseguenza che il decorso
dell’elemento temporale dedotto vale ad incidere sul differente profilo della
sanzione di antidoverosità di eventuali contegni del debitore difformi
rispetto a quello dovuto in quanto oggetto dell’obbligazione, rendendo
quest’ultima suscettibile anche di inadempimento giuridicamente rilevante
e, per l’appunto, sanzionabile e non solo di essere eseguita con effetti
satisfattivi per l’interesse creditorio e liberatori per quanto concerne, in via
speculare, la posizione del soggetto obbligato.
57
V., in tal senso, RUPERTO, Efficacia giuridica. Appunti per una lezione di diritto
privato, in Jus, 2007, 420 s.
45
1.6 Segue: c) i crediti derivanti da fattispecie ad esecuzione durevole
Altra ipotesi meritevole di particolare notazione nell’ambito della
presente trattazione è quella delle obbligazioni derivanti da rapporti di
durata, ossia ad esecuzione continuata o periodica.
In linea ancora del tutto preliminare, ed agli effetti di fissare i confini
dell’area di problematicità alla quale i casi di cui qui si tratta appartengono,
vale la pena di rilevare come gli spunti di riflessione inerenti ad essi
investano in maniera precipua i rapporti obbligatori ad esecuzione periodica,
nella cui struttura, infatti, è parso esservi lo spazio per una dilatazione tale
tra il titolo costitutivo e la fase attuativa dell’obbligazione che ne deriva da
consentire l’emersione di una vera e propria autonomia di ciascuno dei
momenti esecutivi nell’ambito dei quali l’esecuzione medesima si articola,
con la conseguenza di introdurre l’interrogativo in ordine alla eventuale
futurità di ciascuno di questi, inteso alla stregua di obbligazione a sé stante.
Al contrario, è risultato ben più difficile impostare un siffatto discorso con
riferimento alle obbligazioni ad esecuzione continuata, atteso che l’assenza
di soluzione di continuità nella fase attuativa di tale categoria di rapporti
giuridici sembra impedire decisamente l’emersione di un qualche tratto di
autonomia in capo ad essa58.
Date le premesse che precedono, è evidente che i termini del presente
problema ruotano intorno alla natura unitaria ovvero pluralistica da
58
Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 153, nota 7.
46
riconoscere ai rapporti giuridici di durata, rectius all’articolazione interna
che vale a connotare il momento esecutivo degli stessi, con particolare
riguardo, beninteso, alle obbligazioni ad esecuzione periodica, sulla scorta
di quanto accennato appena sopra.
La configurazione, nell’ambito dei rapporti di durata, di una pluralità di
ragioni creditorie presenti e future può essere fatta passare, quindi,
attraverso la ricostruzione di essi offerta dalle tesi cosiddette pluralistiche o
atomistiche. Segnatamente, queste ultime, pur nella impossibilità di una loro
riduzione ad unità in quanto si registrano orientamenti diversificati sul piano
del riconoscimento del carattere unitario ovvero articolato della medesima
fonte costitutiva del rapporto di durata, appaiono, agli effetti che qui
interessano maggiormente, tutte caratterizzate dalla descrizione dell’ipotesi
in esame in termini di insieme di più obbligazioni distinte, seppure
suscettibili di essere ridotte ad unità nella misura in cui, nel passaggio dal
piano degli effetti del titolo costitutivo a quello della fonte stessa delle
obbligazioni di durata, il punto di vista si sposti e si focalizzi sulla unicità
della causa o, comunque, del programma contrattuale che vale a coordinarle
temporalmente59, ovvero ancora sulla possibilità di individuare nel titolo
59
Cfr. SANGIORGI, Rapporti di durata e recesso ad nutum, Milano, 1965, 24 ss.;
DEVOTO, L’obbligazione a esecuzione continuata, Padova, 1943, 76 ss.; e ANDREOLI, La
rendita vitalizia, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, VIII, t. 3, Torino,
1958, 18 s.
47
quel rapporto giuridico fondamentale idoneo a costituire la matrice
unificante i crediti inerenti alle singole prestazioni periodiche considerate60.
Ora, è importante notare che se, da un lato, l’accoglimento delle tesi
pluralistiche o atomistiche è il presupposto essenziale affinché possa
eventualmente affermarsi la natura futura in capo a talune obbligazioni di
durata, dall’altro lato, essa non pare essere, a ben vedere, una conseguenza
necessaria degli
anzidetti
indirizzi
ricostruttivi. In questo
senso,
l’individuazione, in seno ad un rapporto giuridico di durata, di una pluralità
di distinte obbligazioni, talune attuali ed altre future, appare intimamente
connessa ad una soluzione che postuli l’articolazione, non solo delle
obbligazioni derivanti dal rapporto di durata, ma altresì in capo alla fonte
costitutiva delle stesse, atteso che, descritta quest’ultima in termini di
insieme di titoli successivi corrispondenti alle prestazioni dovute in
relazione al periodo temporale di riferimento, da una siffatta impostazione
di base non può che derivare la futurità dei rapporti obbligatori successivi,
in quanto ritenuti effetto di fonti per l’appunto successive rispetto al titolo
fondante lo scambio di prestazioni attuale. Diversamente, qualora il
carattere della pluralità venga riferito soltanto alle obbligazioni, ferma
restando l’unicità del titolo del rapporto di durata, ed a prescindere dalla
possibilità di riconoscere in capo a quest’ultimo un ruolo di vero e proprio
rapporto giuridico fondamentale suscettibile di rappresentare il substrato
60
RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, cit., 10 ss.
48
comune ai singoli momenti attuativi delle relative obbligazioni, la soluzione
della futurità di parte di esse non pare affatto necessitata e, soprattutto, nulla
preclude un’opposta conclusione. Ciò in quanto, definita in chiave unitaria
la fonte del rapporto obbligatorio di durata, la prospettiva da ultimo
segnalata non può escludere per ciò solo che la vicenda in esame possa
essere parimenti descritta come avvicendamento temporale non di tanti
crediti presenti e futuri quanti sono i momenti esecutivi dell’obbligazione
considerata, bensì, più semplicemente, dei diversi atti di adempimento di
crediti tutti già sorti al momento del perfezionamento del titolo da cui essi
sono fatti derivare61.
In ogni caso, può ben essere sostenuto che le teorie di tipo pluralistico o
atomistico siano tutte fondate su di una concezione particolare in ordine
all’incidenza del fattore temporale sullo svolgimento dei rapporti giuridici di
durata, nel senso precipuo che è il trascorrere del tempo che varrebbe ad
incidere direttamente sulla costituzione dei diritti di credito alle singole
prestazioni, a prescindere, peraltro, dalla ulteriore distinzione interna
riguardante la sufficienza del solo elemento temporale, o meglio del
trascorrere del medesimo, al fine di esplicare l’anzidetta efficacia costitutiva
dell’obbligazione, ovvero la necessità della effettiva esecuzione della
61
Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 155 s., il quale, nel dare conto
delle articolazioni interne all’indirizzo in esame, sottolinea come entrambe le soluzioni
indicate nel testo abbiano trovato seguito tra gli esponenti delle tesi pluralistiche o
atomistiche.
49
controprestazione dovuta che, in questo senso, si affiancherebbe al decorso
del tempo nel quadro degli elementi costitutivi dei crediti di cui si tratta62.
Gli stessi dati normativi non paiono deporre in senso decisivo ed esente
da dubbi nella direzione favorevole agli indirizzi che affermano una lettura
in termini pluralistici delle obbligazioni di durata, ma, al contrario, ad una
più attenta analisi, si lasciano spiegare altrimenti.
È così, in primo luogo, per la norma di cui all’art. 821, comma terzo,
cod. civ.63, alla quale non può che essere dedicata la prima attenzione, se
solo si consideri come la natura di frutto civile si lega intimamente proprio
alla categoria delle obbligazioni di durata ex art. 820, comma terzo, cod.
civ.64, le quali, infatti, possono innestarsi sulla menzionata definizione. Più
precisamente, è, da un lato, innegabile che la formulazione letterale della
disposizione in commento alimenti dubbi per quello che qui interessa, atteso
che la medesima, in linea del tutto generale ed astratta, parrebbe prestarsi ad
una interpretazione secondo la quale il diritto alla prestazione periodica
suscettibile di rientrare nella nozione di frutto civile si costituisce col
decorso del tempo, in ragione dello svolgersi del godimento rispetto al quale
rappresenta il corrispettivo. Tuttavia, una lettura della stessa disposizione
62
Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 166 ss.
63
Art. 821, comma terzo, cod. civ.: «I frutti civili si acquistano giorno per giorno,
in ragione della durata del diritto».
64
Art. 820, comma terzo, cod. civ.: «Sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla
cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Tali sono gli interessi dei capitali,
i canoni enfiteutici, le rendite vitalizie e ogni altra rendita, il corrispettivo delle locazioni».
50
fondata anche sulla opportuna considerazione dell’origine storica e,
soprattutto, della ratio di essa sembra spostare decisamente l’attività
ermeneutica verso una soluzione differente. Ciò in quanto la ragione
giustificatrice ed ispiratrice della norma in esame pare suscettibile di diversa
spiegazione, se solo si tenga in debita considerazione che la finalità della
regola de qua deve essere rintracciata non nella individuazione del momento
costitutivo del diritto di credito ai frutti nei confronti del soggetto che ha il
godimento diretto ed immediato del bene fruttifero, bensì nella preventiva
definizione di eventuali conflitti tra più titolari del bene o, comunque, del
diritto a trarne i relativi frutti, che si succedono nel tempo, con la
conseguenza che il meccanismo dell’acquisto giornaliero consente di
ripartirne la spettanza in funzione della durata del diritto di ciascuno di essi.
Come si nota, quindi, l’adozione di tale ultima prospettiva non pone
all’attenzione dell’interprete alcuna questione inerente ad una supposta
costituzione successiva e temporalmente scaglionata di tante obbligazioni
quanti sono i giorni di godimento del bene e, per questa via, alla futurità di
esse, ma di semplice ripartizione interna dei frutti tra titolari successivi.
Potrebbe certamente emergere, sulla scorta delle considerazioni da ultimo
svolte, una eventuale contraddittorietà tra la delineata interpretazione della
disposizione di cui al terzo comma dell’art. 821 cod. civ. e la regola
contenuta al primo comma dello stesso65, nella parte in cui il concetto di
65
Art. 821, primo comma, cod. civ.: «I frutti naturali appartengono al proprietario
51
acquisto della proprietà, proprio del meccanismo acquisitivo dei frutti
naturali come chiaramente deducibile da quest’ultima norma, si stemperi a
mero criterio di ripartizione interna della prestazione allorquando
l’attenzione sia rivolta alla differente ipotesi dei frutti civili. Siffatte
perplessità, tuttavia, sono da superare non solo perché rispetto a questi
ultimi non avrebbe senso parlare di acquisto della proprietà in un momento
anteriore rispetto all’adempimento della relativa prestazione66, ma anche in
quanto, con riguardo specifico alle prestazioni di denaro che del resto
costituiscono la forma per eccellenza attraverso la quale i frutti civili si
manifestano in concreto, la ratio generale sottesa al meccanismo di acquisto
proprio dei diritti reali non pare né compatibile né idonea a descrivere
compiutamente il momento esecutivo dell’obbligazione pecuniaria e
satisfattivo del credito che ha ad oggetto la prestazione di moneta67.
Né si ritiene di potere porre a fondamento di una ricostruzione dei
rapporti di durata alla stregua di insieme di obbligazioni presenti e,
soprattutto, future, ovvero, il che è intimamente connesso, dell’esistenza di
una relazione di condizionamento reciproco tra le prestazioni corrispettive
nelle quali essi si articolano, di modo che il diritto a ciascuna prestazione
considerata in via isolata sorgerebbe soltanto a seguito dell’esecuzione della
della cosa che li produce, salvo che la loro proprietà sia attribuita ad altri. In quest’ultimo
caso la proprietà si acquista con la separazione».
66
Così TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 174, nota 48.
67
Sul punto, sia consentito rinviare a SALOMONE, Obbligazioni pecuniarie e nuove
forme di moneta, in Giust. civ., 2006, II, 519 ss.
52
relativa controprestazione, il meccanismo della eccezione di inadempimento
di cui all’art. 1460 cod. civ.68. Ben lungi, infatti, dal consentire di
argomentare in ordine all’esistenza di un nesso di condizionamento
reciproco all’interno delle singole coppie di prestazioni in cui un rapporto
sinallagmatico durevole si articola, tale da incidere sulla costituzione stessa
del diritto di credito a ciascuna di esse, la norma in esame non può non
condurre ad una conclusione diametralmente opposta, se solo si tenga in
debito conto ciò che il meccanismo di cui al ricordato art. 1460 cod. civ.
pare sottintendere chiaramente, già alla luce del solo dato letterale, la mera
esigibilità delle prestazioni interessate69, con la consequenziale esclusione
dell’articolazione dei rapporti di durata in una pluralità di obbligazioni a sé
stanti, di cui talune aventi carattere futuro70. E non si ritiene, in questo
senso, che i rapporti di durata possano derogare a quanto da ultimo
sottolineato71.
68
Art. 1460, primo comma, cod. civ.: «Nei contratti con prestazioni corrispettive,
ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non
adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi
per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto».
69
Cfr. Cass. 29 maggio 1998, n. 5306, in Giur. it., 1999, 1841, ove, in questo
senso, la Suprema Corte ricomprende nell’ambito dell’onere probatorio gravante sulla parte
nei confronti della quale l’eccezione di inadempimento è sollevata la prova della non
ancora maturata esigibilità del proprio adempimento.
70
V., supra, § 1.5.
71
BIANCA, Diritto civile, 5, La responsabilità, Milano, 1994, 335 s.: «Nei contratti
ad esecuzione continuata o periodica ciascuna parte può rifiutarsi di eseguire la propria
prestazione se l’altra parte non esegue tutte le singole prestazioni già anteriormente scadute.
53
Analoghe conclusioni, infine, possono essere tenute ferme in relazione
alla norma di cui all’art. 1458 cod. civ. inerente agli effetti della risoluzione,
con particolare riguardo ai contratti ad esecuzione continuata o periodica 72.
In linea del tutto generale, infatti, la regola della risoluzione parziale, pur
senza porre per ciò solo in discussione il principio del comune fondamento
causale delle singole prestazioni dovute, potrebbe aprire la strada ad una
considerazione pluralistica e frazionata del rapporto di durata, nel senso che
quest’ultimo sarebbe costituito da una pluralità di diversi ed autonomi
rapporti obbligatori distinti, ciascuno corrispondente alle singole prestazioni
dovute. Più precisamente, quest’ultima potrebbe essere intesa alla stregua di
conseguenza dell’istituto della risoluzione parziale nella misura in cui
l’irretroattività dell’effetto risolutivo trae il proprio fondamento dalla
idoneità di ciascuna delle prestazioni singolarmente intese a soddisfare le
ragioni creditorie in maniera piena73, seppure siffatta pienezza debba essere
intesa in maniera limitata a quella parte di rapporto da considerarsi esaurito
in relazione all’esecuzione delle prestazioni rispettivamente dovute, non
La pluralità delle prestazioni non esclude infatti l’unitarietà dell’obbligazione.
L’inesecuzione di singole prestazioni costituisce allora inadempimento dell’obbligazione
contrattuale che grava su una parte e legittima pertanto la controparte a non adempiere
ulteriormente la propria».
72
Art. 1458, primo comma, cod. civ.: «La risoluzione del contratto per
inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione
continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle
prestazioni già eseguite».
73
Cass. 20 ottobre 1998, n. 10383, in Giust. civ. Mass., 1998, 2126.
54
anche in relazione all’interesse complessivo, il cui soddisfacimento, di
converso, non può che passare attraverso l’esaurimento dell’intero rapporto
di durata74, con la conseguenza di potere astrattamente ipotizzare la
presenza di un insieme di rapporti obbligatori, presenti e futuri, tanti quante
sono le coppie di prestazioni in cui il rapporto di durata si struttura.
Tuttavia, è stato parimenti affermato che siffatte conclusioni, suscettibili
di accoglimento in via astratta, paiono tutt’altro che necessitate dalla
delineata ricostruzione, in quanto non risultano incompatibili con una
diversa definizione dell’articolazione interna dei rapporti di durata. Così, se,
da un lato, la idoneità di ciascuna delle prestazioni caratterizzanti un
rapporto di durata a soddisfare in maniera piena una parte autonoma,
seppure parziale rispetto al tutto, dell’interesse creditorio, consente di
tracciare una netta linea di demarcazione tra tale tipo di rapporti giuridici e
le obbligazioni con prestazione unica ad esecuzione frazionata nel tempo75,
74
Cfr. Cass. 24 giugno 1995, n. 7169, in Giust, civ. Mass., 1995, 1301.
75
La distinzione, in altri termini, è parsa ruotare intorno alla capacità satisfattiva
della singola prestazione ed all’atteggiarsi di essa rispetto all’interesse creditorio, nel senso
che nelle obbligazioni di durata la singola prestazione rappresenta già di per sé un’utilità
per la parte creditrice, cosicché in relazione ad essa non potrebbe parlarsi di adempimento
parziale se non in senso lato poiché riferito all’interesse al complessivo svolgimento del
rapporto. Diversamente, nelle obbligazioni aventi ad oggetto una prestazione unica ed
unitaria ripartita in diversi atti esecutivi, la portata di ciascuno di questi è da ritenere ben
più limitata, in quanto insuscettibile di spiegare autonoma capacità satisfattiva dell’interesse
di controparte. Sul punto, v. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 176 ss., il quale,
sulla scorta della distinzione che precede, rileva come la disposizione di cui all’art. 1458
cod. civ. vada applicata ai soli rapporti di durata in senso proprio, e non anche alle ipotesi
55
dall’altro lato, ciò non permette sic et simpliciter di concludere nel senso
della definizione dell’obbligazione di durata alla stregua di insieme di
pretese creditorie presenti e future, corrispondenti ciascuna ad una coppia di
prestazioni ad esecuzione periodica.
Infatti, una volta ricostruita la ratio del meccanismo di cui all’art. 1458
cod. civ. in termini di rapporto tra le singole prestazioni considerate e
l’interesse creditorio al cui soddisfacimento esse sono funzionali, nell’ottica
della sinallagmaticità che caratterizza il relativo contratto e quindi il
rapporto giuridico che ne deriva, nulla impone di delineare una influenza di
codesto meccanismo sullo stesso momento genetico dell’obbligazione, ben
potendo circoscriversi la ricostruzione alla pluralità di atti esecutivi.
Particolare attenzione al modo di atteggiarsi dell’interesse sotteso al
rapporto obbligatorio di durata è stata prestata da quell’indirizzo dottrinario
che ha inteso sottolinearne la portata ambivalente, nel senso che, a fronte
dell’esistenza di un innegabile interesse unitario, in quanto riferito all’intera
durata del rapporto obbligatorio, andrebbe individuata una molteplicità di
interessi concreti, ciascuno di essi corrispondente alla prestazione che deve
essere eseguita nella frazione di tempo considerata ed inquadrabile sia alla
stregua di parte del tutto sia nei termini della autosufficienza e della
compiutezza, a seconda che il punto di vista attraverso il quale lo si
individui consista, rispettivamente, nell’insieme degli atti esecutivi
di prestazione unica frazionata sul piano temporale; ed anche CHIANALE, voce Obbligazioni
di durata, in Dig. disc. priv., sez. civ., XII, Torino, 1995, 394.
56
suscettibili di coprire l’intero periodo di efficacia del rapporto obbligatorio
ovvero in ciascuna singola prestazione in cui questo si articola, presa in
esame in via isolata76.
Ora, quello che interessa maggiormente agli effetti della tematica dei
crediti futuri sono le conseguenze che siffatto indirizzo ritiene di potere
trarre dalle accennate premesse in ordine al carattere ambivalente e
divisibile dell’interesse sotteso alle obbligazioni di durata sul piano
specifico della unitarietà oppure della pluralità delle situazioni giuridiche
soggettive individuabili in ipotesi di tal sorta. Prendendo le mosse, infatti,
dall’anzidetta bivalenza dell’interesse creditorio, si afferma l’impossibilità
di una riduzione della categoria di cui si tratta ad un unico schema
ricostruttivo, atteso che il diverso atteggiarsi della volontà dei contraenti nel
caso precipuo consentirebbe di isolare due differenti casi.
Il primo gruppo di ipotesi, secondo questo indirizzo, ricomprende quei
rapporti di durata caratterizzati da ciò che il contenuto delle relative
prestazioni future è già interamente fissato dalle parti per mezzo del
regolamento contrattuale, con la conseguenza che sullo svolgimento del
rapporto giuridico incide il solo fattore tempo come elemento certo77.
Impostata la questione nei termini che precedono, il problema ruota intorno
76
V., in tal senso, TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 180 ss.
77
Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 182 ss., il quale, con riguardo a
questa categoria di rapporti di durata, pone l’esempio del contratto di locazione e,
specificamente, dell’obbligo del locatario al pagamento del canone periodico.
57
alla possibilità di apporre un termine di efficacia ad un negozio ad effetti
obbligatori ed ai rapporti tra questo ed il diverso termine di adempimento,
con la conseguenza di potere ribadire anche in questa sede tutte le ragioni di
perplessità che portano ad escludere, quantomeno nella generalità dei casi,
che l’apposizione di un termine ad un contratto obbligatorio valga ad
incidere sull’efficacia del medesimo e non invece sul più limitato aspetto
della mera esigibilità del credito e, quindi, che da ciò possa derivare la
futurità delle obbligazioni che da quello si producono78.
Discorso differente dovrebbe farsi per quanto concerne il secondo
gruppo di casi, all’interno del quale sono fatte rientrare le ipotesi in cui sul
rapporto obbligatorio incide non solo il mero decorso del tempo, ma altresì
ulteriori presupposti di carattere e certo e incerto, che, attraverso la
necessaria integrazione col fattore temporale, rappresentano l’elemento
costitutivo del diritto di credito79. Ne deriverebbe l’impossibilità di
descrivere in chiave unitaria le obbligazioni di durata di questa seconda
specie, le quali, inversamente, finirebbero per essere costituite proprio da un
78
Argomenti sui quali v., supra, § 1.5.
79
È il caso, ad esempio, dell’obbligazione alimentare, della somministrazione a
consumo e della somministrazione su ordinativo, atteso che, nel primo caso, si impone la
considerazione dell’insieme di condizioni economiche e giuridiche necessarie alla nascita
del relativo diritto di credito, e negli altri, non può prescindersi dall’effettivo consumo
ovvero dall’emissione dell’ordinativo affinché possa ritenersi costituita l’obbligazione del
pagamento dei canoni. Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 187 ss.; ed anche
CAPONI, In tema di accertamento sulla norma astratta, sui diritti futuri e sui rapporti di
durata, cit., 1172, il quale, in questo senso, rileva l’esistenza di alcune situazioni giuridiche
durevoli che risentono delle eventuali vicende modificative della loro fattispecie costitutiva.
58
insieme di autonome posizioni creditorie suscettibili di susseguirsi nel
tempo, di natura presente e futura a seconda della già spiegata o meno
incidenza sul rapporto degli anzidetti elementi costitutivi ulteriori e diversi
rispetto al semplice decorso del tempo80.
Sennonché, ragioni di perplessità in ordine alla ricostruzione da ultimo
segnalata emergono sotto un duplice punto di vista.
In primo luogo, infatti, l’attuale integrazione del titolo fondante il
rapporto di durata, a prescindere dal carattere futuro degli ulteriori
presupposti costitutivi suscettibili di incidere sullo stesso, ha indotto questa
dottrina ad impostare il problema secondo termini e schemi analoghi a
quanto già accennato con riguardo ai crediti condizionali, nel senso, più
precisamente, di individuare, nelle more dell’emersione degli anzidetti
elementi incidenti, una posizione prodromica di aspettativa in capo alle parti
contrattuali in grado di assorbire la situazione delle medesime (che, a questa
stregua, finirebbe per perdere un eventuale connotato di futurità in quanto
del tutto attuale seppure di natura strumentale alla costituzione di altra
situazione giuridica soggettiva) ovvero di affiancarsi al diritto futuro quale
80
Cfr., con riguardo al contratto di somministrazione, Cass., sez. un., 22 maggio
1996, n. 4715, in Foro it., 1996, I, 3130, che, ferma restando l’unicità del titolo quale fonte
costitutiva dell’obbligazione, sottolinea che «ogni atto di prestazione e controprestazione
non costituisce un adempimento parziale del contratto di durata, ma un adempimento pieno
delle obbligazioni da esso sorgenti», e che «l’adempimento non estingue il rapporto, ma
permette il sorgere di nuovi rapporti di credito e di debito».
59
oggetto alternativo di negozi dispositivi81, con la conseguenza di potere
ribadire, anche nella presente sede, tutte le valutazioni che paiono rendere
preferibile la soluzione negativa in ordine alla ricomprensione nel novero
delle posizioni giuridiche soggettive future di quelle situazioni in grado di
esprimere cosiddetti effetti preliminari82.
Ancora, e si tratta del secondo ordine di considerazioni, l’esaltazione
della presenza di ulteriori fattori, di natura sia certa sia incerta, idonei ad
incidere, in una con l’elemento temporale, sulla ricostruzione in chiave
pluralistica dei rapporti giuridici di durata, non pare del tutto compatibile
col punto di partenza della unitarietà della fonte del rapporto di durata
stesso, che ad oggi rappresenta un dato acquisito nell’ambito della scienza
del diritto, nonché un punto di partenza dal quale neppure l’indirizzo da
ultimo preso in esame intende discostarsi83. Il nodo essenziale, invero, è non
solo e non tanto l’esaltazione dell’efficacia costitutiva dei fattori aggiuntivi
rispetto al mero decorso del tempo suscettibili di incidere sull’efficacia
obbligatoria della fattispecie considerata, atteso che una visione pluralistica
dello stesso titolo costitutivo potrebbe, in astratto, essere del tutto
compatibile con una ricostruzione altrettanto atomistica degli effetti di esso,
di cui taluni potrebbero essere considerati futuri in quanto derivanti da
fattispecie che sarebbero da considerare non ancora completamente
81
Così, TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 192 ss.
82
V., supra, § 1.4.
83
Cfr. Cass., sez. un., 22 maggio 1996, n. 4715, cit.
60
integrate. Discorso non difforme riguarderebbe quelle ipotesi in cui ci si
trova di fronte ad elementi ulteriori rispetto al tempo ma di portata per così
dire modificativa dell’originario contenuto dell’obbligazione84, stante la
considerazione di ciò che la cosiddetta modificazione non si risolve che
nella successione di diversi titoli di qualificazione dei comportamenti delle
parti85. Rilievo decisivo, al fine precipuo di escludere che si possa parlare di
crediti futuri con riguardo allo svolgimento dei rapporti di durata, deve
essere assegnato, invece, alla presenza attuale e perdurante del vincolo
obbligatorio che intercorre tra le parti già dal momento genetico del
medesimo rapporto giuridico, corollario della natura vincolante che il
contratto esprime sin dall’inizio e della consequenziale irrevocabilità del
consenso prestato. Ne consegue, in altri termini, che lo svolgimento attuale
del rapporto di durata postula l’unificazione del medesimo sul piano sia
della causa che degli effetti e, in ordine alla prima, quanto all’interesse
creditorio sotteso all’obbligazione de qua.
Sono questi, del resto, gli argomenti sui quali tende maggiormente a
focalizzare l’attenzione il secondo fondamentale indirizzo ricostruttivo
84
È il caso, ad esempio, dell’obbligazione alimentare, in cui il mutamento delle
condizioni economiche dell’obbligato ovvero dell’alimentato può essere, a norma dell’art.
440 cod. civ., causa di modificazione, così in aumento come in diminuzione a seconda dei
casi, dell’ammontare della prestazione dovuta.
85
In ordine alla portata dei fatti modificativi nell’ottica del rapporto giuridico
inteso alla stregua di qualificazione di comportamenti, v. TAMPONI, CONFORTINI,
ZIMATORE, ZACCHEO, DI GRAVIO, PALMIERI, ORLANDI, MARTUCCELLI, RUPERTO e
CARLEO, Dieci lezioni introduttive a un corso di diritto privato, Torino, 2006, 113 e 137 s.
61
intorno alla figura delle obbligazioni ad esecuzione continuata o periodica
che, giungendo a risultati diametralmente opposti a quelli raggiunti
dall’indirizzo che ne postula l’articolazione in una pluralità di situazioni
giuridiche creditorie e debitorie autonome presenti e future, ne offre una
descrizione in chiave monistica, ossia fondata sul carattere pienamente
unitario del rapporto di durata in relazione non solo al titolo costitutivo, ma
anche quanto alle posizioni soggettive che ne derivano 86. Si sottolinea, in
questo senso, come il carattere unitario dell’obbligazione di durata sia la
conseguenza del riferimento diretto dell’elemento temporale al profilo
inerente alla causa del titolo costitutivo di siffatto tipo di rapporti giuridici,
in quanto il decorso del tempo è specificamente voluto dalle parti poiché
strumentale al soddisfacimento di un interesse durevole delle stesse che,
nonostante sia da scomporre in più atti esecutivi suscettibili di autonoma e
singola considerazione affinché il soddisfacimento dell’interesse creditorio
si proietti in avanti nel tempo, non può essere ridotto a mera sommatoria di
singoli interessi parziali, ciascuno posto in corrispondenza del singolo atto
esecutivo, bensì vale, di converso, ad impedire che l’una prestazione sia
considerata e valutata indipendentemente dalle altre87. Parimenti unitari,
86
Cfr. CICALA, Il negozio di cessione del contratto, Napoli, 1962, 54 s., il quale
parla di «esatta concezione, non atomistica, ma unitaria ed organica, della situazione
effettuale».
87
In questo senso, OPPO, I contratti di durata, in Riv. dir. comm., 1944, I, 21 e 42,
sottolinea la necessità di inserire il decorso del tempo direttamente nell’elemento causale
del contratto di durata, con la conseguenza che esso, così come si atteggia unitariamente sul
62
quindi, sono i termini descrittivi dell’oggetto dell’obbligazione di durata,
ove il decorso del tempo, in quanto beninteso rispondente all’interesse delle
parti contraenti in tale direzione, incide sull’articolazione della prestazione
dovuta in una molteplicità di atti esecutivi i quali possono ben essere
considerati in via autonoma, ma senza per ciò solo intaccare il carattere
unitario dell’oggetto dell’obbligazione di durata, che va tenuto fermo alla
luce di un punto di vista che si sposti dal piano meramente strutturale a
quello funzionale e, quindi, causale88.
Impostata dunque la questione nel senso della ricostruzione del rapporto
giuridico di durata, segnatamente ad esecuzione periodica, quale fenomeno
di «’sequenza diacronica’ di una pluralità di atti esecutivi facenti capo ad
un’unica obbligazione, derivante da un’unica fonte negoziale» e non di
«’coesistenza sincronica’ di una pluralità di obbligazioni»89, ne consegue
necessariamente la conclusione negativa intorno alla suscettibilità dei
rapporti giuridici di durata di produrre crediti futuri, dato che se di futurità
piano della struttura del negozio, allo stesso modo appare per ciò che concerne
l’obbligazione che dal medesimo viene prodotta.
Pone l’accento sul profilo causale anche Cass. 18 febbraio 1966, n. 517, in Foro
it., 1966, I, 641, ove la Suprema Corte, in riferimento specifico alla fattispecie della rendita
vitalizia, fa derivare dalla unitarietà della causa, assicurata a sua volta da ciò che le singole
prestazioni adempiono alla medesima funzione economico-sociale, la stessa unità in capo
sia al rapporto che al diritto che in quegli atti esecutivi trova la propria articolazione.
88
Cfr. DATTILO, voce Rendita (dir. priv.), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 858
s.; ed anche BIANCA, Diritto civile, 4, L’obbligazione, cit., 215, nota 20.
89
Così DATTILO, Rendita (dir. priv.), cit., 858.
63
può parlarsi nel caso di specie, essa va riferita all’attività esecutiva e non
anche all’obbligazione di cui la prima costituisce adempimento.
64
1.7 Segue: d) i crediti altrui
Le ipotesi di difficile e controversa ricomprensione all’interno della
categoria dei crediti futuri fino ad ora prese in esame appaiono tutte
accomunate da ciò che le ragioni di perplessità derivano da particolari
caratteristiche del rispettivo titolo costitutivo, connotati tali da rendere
dubbio se lo stato di particolare avanzamento di ciascuna fattispecie sia o
meno compatibile con una perdurante considerazione quali future delle
situazioni giuridiche soggettive da quelle prodotte (è il caso dei crediti
condizionali e, seppure assieme ad ulteriori aspetti di complessità, dei
crediti derivanti da fattispecie sottoposte a termine iniziale di efficacia 90),
ovvero da consentire l’emersione di indirizzi che riconducono la futurità di
talune posizioni soggettive obbligatorie allo svolgimento nel tempo del
relativo rapporto giuridico (si tratta, segnatamente, del caso dei rapporti di
durata91).
Diversi sono i presupposti che possono alimentare ragioni di perplessità
in ordine ai crediti altrui, cui si intende da ultimo rivolgere l’attenzione.
La riflessione al riguardo non può che prendere spunto dalla
disposizione di cui all’art. 2740 cod. civ. in tema di responsabilità
90
In ordine alla discussa futurità dei crediti condizionali e di quelli derivanti da
fattispecie sottoposte a termine iniziale di efficacia, v., supra, rispettivamente §§ 1.4 e 1.5.
91
Sulle diverse ricostruzioni della figura dei rapporti ad esecuzione continuata e
periodica, agli effetti della tematica che qui interessa, v., supra, § 1.6.
65
patrimoniale del debitore92 e, in particolare, dal primo comma del citato
articolo codicistico che estende la garanzia patrimoniale generica dei
creditori anche ai beni futuri del debitore inadempiente, tra i quali
certamente vanno fatti rientrare anche i crediti futuri dello stesso,
assoggettabili a procedura di esecuzione forzata nelle forme della
espropriazione presso terzi, senza, tuttavia, possibilità di operare una
distinzione tra diritti di credito non ancora sorti nella titolarità di alcuno e
crediti successivamente ceduti al debitore e, come tali, venuti ad integrare
l’accennata garanzia patrimoniale.
È, infatti, da sottolineare come, in linea del tutto astratta, la futurità di
una situazione giuridica soggettiva può essere ancorata tanto al dato della
inesistenza attuale della medesima nella realtà giuridica poiché non ancora
sorta nell’ambito di quest’ultima e, quindi, nella titolarità di qualsivoglia
soggetto, quanto al differente requisito della presenza ovvero dell’assenza
della stessa posizione nel patrimonio del soggetto considerato, a prescindere
in quest’ultimo caso da ciò che il diritto sia già esistente nella realtà
giuridica, sebbene nella titolarità altrui. Si noti come la distinzione tra i due
punti di vista astrattamente suscettibili di essere utilizzati ai fini dello
scioglimento del presente nodo qualificatorio risieda nel diverso parametro
92
Art. 2740 cod. civ.: «Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni
con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla
legge».
66
cui l’elemento della presenza ovvero dell’assenza va rapportato: la realtà
giuridica nel primo caso, il patrimonio nel secondo93. Tale alternativa,
naturalmente, incide in maniera profonda sulla tematica di cui qui si tratta,
atteso che l’accoglimento del secondo punto di vista comporterebbe un
notevole allargamento sul piano quantitativo delle ipotesi rientranti
nell’ambito dei crediti futuri, ampliamento di cui, tuttavia, bisogna
verificare l’utilità pratica oltre che la rispondenza ai dati complessivi
provenienti dall’ordinamento giuridico e, per tale via, alla ratio generale che
da questi si ritiene di potere dedurre.
Agli effetti della risoluzione di tale ultima problematica, il mero dato
letterale derivante da un approccio di tipo squisitamente normativo
manifesta la sua utilità nella misura in cui, ben lungi dall’essere utilizzato in
via isolata poiché – come si avrà occasione di notare – ne deriverebbero
elementi contraddittori94, si accompagni ad un’indagine che rimarchi il
legame intercorrente tra il dato positivo vigente e le istanze pratiche che, già
manifestatesi in relazione all’ordinamento previgente nella forma delle
93
V., in tal senso, BIONDI, I beni, cit., 174, il quale distingue una futurità in senso
oggettivo, ossia fondata sulla inesistenza né nel patrimonio nel soggetto considerato né di
altri e quindi sull’assenza dalla stessa realtà giuridica complessivamente intesa, da una
futurità in senso soggettivo, poiché limitata a quanto non è presente nel patrimonio del
disponente, ma di titolarità altrui.
94
Come detto supra § 1.2 con riguardo alla problematica inerente al rapporto tra le
nozioni di cosa, da un lato, e di bene, dall’altro, l’approccio di tipo strettamente normativo
può risultare insufficiente se ed in quanto si limiti ad un’analisi meramente letterale del
dato positivo. Sul punto, cfr. ZENO-ZENCOVICH, Cosa, cit., 440 ss.
67
soluzioni ermeneutiche prospettate in special modo dalla dottrina, ne hanno
favorito l’emanazione.
Una nozione di futurità più lata, in quanto basata sull’elemento
dell’assenza della situazione giuridica considerata dal patrimonio del
soggetto, senza che assuma rilevanza l’ulteriore dato della eventuale
presenza della stessa nella realtà giuridica perché già nella titolarità di altro
soggetto di diritto, poteva agevolmente giustificarsi, infatti, nel vigore del
codice civile del 1865, il quale, nell’ottica della compilazione napoleonica
che lo ispirava come modello, sanciva all’art. 1459 il divieto della vendita di
cosa altrui. Ora, si noti che l’anzidetto divieto veniva circoscritto alle sole
ipotesi in cui le parti avessero inteso disporre del bene oggetto con
immediata efficacia traslativa, in altri termini come se esso fosse già nel
patrimonio e quindi nella disponibilità giuridica dell’alienante, laddove non
si riteneva la preclusione normativa operante nei casi in cui non ricorresse
tale esigenza di ribadire il principio di relatività del contratto attraverso la
negazione della possibilità di incidere negozialmente sulla sfera giuridica di
terzi, atteso che le parti manifestavano fin dall’inizio l’intendimento di
considerare il bene altrui come tale e, per tale via, quale possibile oggetto di
acquisto futuro da parte del dante causa, con la conseguenza di far rientrare
le eventualità di questo tipo nella previsione dell’art. 1118 cod. civ. 1865,
che ammetteva espressamente la idoneità della cosa futura a formare
68
oggetto di contratti95. Sennonché, venuto meno il suddetto divieto con
l’introduzione nel codice civile vigente di una specifica disposizione
dedicata alla vendita di cosa altrui (art. 1478 cod. civ.), che si affianca alla
distinta ipotesi della vendita di cosa futura (art. 1472 cod. civ.), pare
decisamente tramontata l’utilità della sopra descritta interpretazione del
concetto di diritto futuro sia sul piano della portata pratica che ad essa
poteva essere ricondotta, che su quello più squisitamente concettuale96,
senza che, peraltro, il riferimento testuale alla cosa possa in qualche modo
fondare una conclusione diversa nel momento in cui si passi all’analisi della
futurità del diritto quale realtà immateriale ed ideale97.
Di qui, in definitiva, l’impossibilità di ricavare dalla norma di cui all’art.
2470 cod. civ., da cui si è inteso prendere le mosse per l’analisi della
presente problematica, una regola definitoria generale che, in quanto tale,
possa superare i confini della fattispecie ivi regolata, nonché la migliore
bontà di una ricostruzione che, sulla scorta anche dei dati positivi sopra
95
Cfr. RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, cit., 415; e ID., La
compravendita, cit., 145 s.
96
Così, PERLINGIERI, I negozi su beni futuri, I, La compravendita di «cosa futura»,
cit., 17, che sottolinea l’erroneità e, comunque, l’inutilità della equiparazione tra cosa altrui
e cosa futura, dato che, sul piano del diritto vigente, le due ipotesi hanno ciascuna una
propria disciplina per quanto concerne il contratto di compravendita, e, sul piano
concettuale, nulla esclude che la cosa altrui possa essere, a sua volta, tanto presente quanto
futura.
97
Cfr., in tal senso, BIANCA, La vendita e la permuta, cit., 374 s., il quale
sottolinea come la vendita di cose future sia sostanzialmente vendita di diritti futuri, atteso
che il substrato materiale non costituisce altro che l’oggetto del diritto reale.
69
accennati, considerati sia in sé e per sé sia nell’evoluzione storica che ha
contraddistinto gli istituti interessati, tenga ferma la distinzione tra crediti
altrui e crediti futuri e valga così a limitare tale ultima categoria a quelle
situazioni inesistenti nella realtà giuridica e, quindi, insussistenti nella
titolarità di alcun soggetto di diritto98, sebbene si ammetta che la possibilità
di accostare le due ipotesi di vendita anzidette sul piano dell’efficacia reale
differita che le caratterizza ambedue consenta di estendere, beninteso sulla
base di una valutazione che proceda caso per caso senza fondare
generalizzazioni suscettibili di mettere in discussione la distinzione
concettuale e qualificatoria tra diritti futuri e diritti altrui, talune delle
soluzioni elaborate in materia di negozi aventi ad oggetto crediti futuri
anche a quelli su crediti altrui99.
98
Così, tra gli altri, RUBINO, La compravendita, cit., 146 s.; e BIANCA, La vendita
e la permuta, cit., 372 s.
99
TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 21.
70
CAPITOLO II
PARTICOLARI FATTISPECIE DI ATTI SU
CREDITI FUTURI
71
2.1 L’evoluzione giurisprudenziale in tema di cessione di crediti futuri
La presa in esame di particolari ipotesi di atti aventi ad oggetto crediti
futuri, in quanto funzionale allo scioglimento del nodo inerente
all’incidenza del carattere futuro del credito sulla validità del negozio che lo
ha ad oggetto100, non può che prendere le mosse dall’analisi della cessione
di siffatta categoria di diritti, attesa la maggiore rilevanza sul piano pratico
che tale fattispecie ha fatto registrare anche e soprattutto sulla scorta
dell’evoluzione sia normativa che giurisprudenziale che ha caratterizzato lo
sviluppo del contratto di factoring101.
Ed è proprio la giurisprudenza che, pronunciatasi su ipotesi di cessione
di crediti futuri, talvolta nel quadro di un rapporto di factoring e in altre
occasioni prescindendone, appare di assoluto interesse per gli spunti di
riflessione che essa è suscettibile di procurare.
Segnatamente, interrogatasi sui confini di validità della fattispecie che
qui interessa, la giurisprudenza, non solo di legittimità, ha per lungo tempo e
saldamente insistito sulla necessità che il credito futuro ceduto derivasse da
un rapporto genetico di base già sussistente al fine di escludere la cessione
dalla conseguenza della nullità per indeterminatezza o indeterminabilità
dell’oggetto, con la conseguenza che siffatto vizio avrebbe dovuto essere
affermato con riguardo a ogni vicenda traslativa di crediti derivanti da
100
V., infra, cap. III.
101
In ordine al contratto di factoring e , segnatamente, alla legislazione italiana in
materia di cessione dei crediti futuri d’impresa, v., infra, § 2.2.
72
fattispecie costitutive non attuali al tempo del perfezionamento della
cessione stessa102. A sostegno dell’orientamento da ultimo ricordato, il quale
peraltro ha trovato seguito anche nell’ambito della dottrina meno recente103,
è stato rilevato ulteriormente come, da un lato, il requisito della
determinabilità non possa ritenersi soddisfatto dal mero riferimento ad una
data categoria di appartenenza del credito individuata sulla scorta
dell’attività esercitata dalle parti interessate, e, dall’altro, non sarebbero da
ritenere suscettibili di essere ceduti i diritti semplicemente eventuali in
assenza di un’aspettativa di diritto della cui disposizione si tratterebbe104. È
parso così agevole tracciare una netta linea di collegamento tra la
giurisprudenza italiana e quella francese, ove, più precisamente, il
riferimento al cosiddetto germe d’existence è stato utilizzato al fine precipuo
di indicare il termine di riferimento attuale del credito futuro, in altri termini
102
Così, Cass. 5 giugno 1978, n. 2798, in Mass. Foro it., 1978, 536; Cass. 2 agosto
1977, n. 3421, in Giur. it., 1978, I, 1, 1572; Cass. 24 ottobre 1975, n. 3519, in Foro it.,
1976, I, 1947; e, nella giurisprudenza di merito, Trib. Ancona, 22 febbraio 1980, in Giur.
comm., 1981, II, 129.
103
V., in tal senso, MACCARONE, Della cessione dei crediti, in Commentario
teorico-pratico al codice civile, diretto da de Martino, Novara, 1978, 391; RIOLO, La
cessione di credito nella prassi bancaria, in Bancaria, 1974, 815; e MICCIO, I diritti di
credito, I, Torino, 1971, 446.
104
Così, nella medesima direzione segnata dal tradizionale approccio
giurisprudenziale alla questione, DI NANNI, Pagamento e sostituzione nella carta di credito,
Napoli, 1983, 397, nt. 151. Nello stesso senso, cfr., anche, PANZARINI, Lo sconto dei crediti
e dei titoli di credito, Milano, 1984, 624, nt. 482.
73
quel rapporto di base presente inteso quale presupposto fondamentale di
validità della cessione dei crediti futuri105.
Il descritto orientamento, se di certo prevalente nella giurisprudenza
d’allora, non poteva dirsi pacifico o, comunque, esente da critiche,
manifestatesi a vai livelli e sul terreno specifico della validità ovvero della
nullità dell’atto dispositivo del credito futuro per, rispettivamente,
determinabilità o indeterminabilità dell’oggetto.
Così, non sono mancate, specialmente in dottrina, opinioni contrarie e
voci di dissenso in ordine alla rigidità di siffatto indirizzo, attraverso le quali
si è inteso proporre la maggiore bontà di una ricostruzione più elastica, sulla
base di diversi argomenti.
In primo luogo, si è ritenuto di rimarcare ciò che l’adozione di un punto
di vista che ancori la validità della cessione di crediti futuri, rectius la
determinatezza o, comunque, la determinabilità dell’oggetto di tale negozio,
alla presenza del rapporto di base da cui il credito ceduto deriva si fonda su
di un equivoco dal quale si impone di sgombrare il campo della presente
indagine, ossia la confusione tra l’inesistenza del credito e la mera
inesigibilità di esso. Segnatamente, se, da un lato, tra i concetti di
inesigibilità e inesistenza può essere instaurato un rapporto di continenza,
per cui la inesigibilità, alla stregua di termine minore e quindi contenuto, è
idonea a essere ricompresa nella seconda, in quanto il credito non esistente è
105
Per il parallelo tra la giurisprudenza italiana e quella d’oltralpe, v. TROIANO, La
cessione di crediti futuri, cit., 235 ss.
74
a maggior ragione non esigibile, dall’altro lato, non è parimenti vero il
contrario, atteso che il credito inesigibile non è da ritenere per ciò solo
inesistente106. Ne deriva, in altri termini, che la non attualità del rapporto
genetico dell’obbligazione di cui si tratta non vale di per sé a escludere la
validità del negozio che procura il trasferimento del credito, che,
diversamente, dovrà essere valutata alla stregua di criteri che possono anche
prescindere dal germe d’existence107.
Ancora, è stata rilevata la incompatibilità tra il più volte ricordato
indirizzo giurisprudenziale e la disposizione generale di cui all’art. 1348
cod. civ., la cui portata non pare autorizzare restrizioni della specie vista
sopra, nonché l’esistenza di un equivoco di fondo in ordine al termine cui il
requisito della attualità deve essere riferito al fine di scongiurare la sanzione
della invalidità del negozio di cessione del credito futuro. Sotto quest’ultimo
angolo visuale, infatti, non può non risultare evidente come, sulla scorta
dell’orientamento giurisprudenziale in commento, sia alla fonte genetica del
credito ceduto che il presupposto della attualità al momento della
106
V., supra, § 1.5.
107
PERLINGIERI, Cessione del credito ed eccezione d’inesigibilità, cit., 503 s., nt. 5:
«Ma in sostanza la concezione restrittiva finisce con l’identificare completamente la
cessione del futuro credito con la cessione di un diritto di credito non esigibile, o, per così
dire, condizionale o a termine». Cfr., anche, DOLMETTA e PORTALE, Cessione del credito e
cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, in Banca, borsa e tit. cred., 1999, I, 89: «In
sostanza, per quanto riguarda i crediti non stricto sensu attuali, la giurisprudenza consentiva
la trasferibilità solo per quelli sottoposti a condizione sospensiva, per quelli a termine e per
quelli che potessero derivare da un rapporto di durata, come da una somministrazione o un
appalto, già in atto, ma non anche per i crediti meramente eventuali».
75
conclusione del contratto viene riferito, e non, come invece una più corretta
interpretazione del requisito della determinabilità di cui all’art. 1346 cod.
civ. imporrebbe, ai criteri di determinazione del credito oggetto della
cessione. Ora, atteso che non pare proprio potersi accettare il postulato
secondo il quale l’attualità dei criteri di determinazione dell’oggetto del
contratto di cessione del credito passa necessariamente attraverso la
presenza al momento perfezionativo di esso del rapporto di base, si è
concluso nel senso della distinzione e, quindi, della autonomia delle due
ipotesi, con la conseguenza che la validità del negozio traslativo del credito
futuro è assicurata dalla attualità, ossia dalla presenza al momento della
conclusione di esso, dei criteri di individuazione della fonte del diritto di
credito ceduto, a prescindere dalla attualità ovvero dalla futurità di
quest’ultima108.
Sempre nel solco della tendenza al superamento dell’indirizzo più
restrittivo, vale la pena di segnalare anche quella giurisprudenza di merito,
la cui rilevanza nell’economia della presente questione è tanto più evidente
quanto maggiore sia la considerazione di ciò che la possibilità di superare la
necessità della presenza attuale del rapporto di base è stata affermata in
108
L’argomentazione riferita importa, quale ulteriore conseguenza, che oggetto di
cessione possono essere non solo i crediti derivanti da fonte attuale al momento della
conclusione del medesimo negozio traslativo, ma anche quei diritti di credito che potranno
essere prodotti da fonte anch’essa futura in quel tempo. Così, DOLMETTA, La carta di
credito, Milano, 1982, 57 s., nt. 85.
76
un’ipotesi in cui esso sussisteva effettivamente nel caso concreto109 ed è
stata fondata sulla sufficienza, sempre beninteso ai fini della determinabilità
dell’oggetto della cessione, di una continuatività di rapporti intercorrenti tra
cedente e debitore ceduto, in una col riferimento all’attività commerciale da
questi svolta110.
È questo il quadro di forti perplessità, manifestate in modo particolare
dalla dottrina, nell’ambito del quale anche le certezze espresse sul punto
dalla giurisprudenza si sono sensibilmente incrinate.
Nello specifico, il problema dalla valida cedibilità dei crediti futuri è
stato finalmente affrontato sulla base di un punto di vista ben meno
restrittivo sul piano dei risultati raggiunti da quella giurisprudenza secondo
la quale, sulla scorta della possibilità di ricomprendere nella nozione di
credito futuro anche la posizione soggettiva semplicemente sperata in
quanto non riconducibile ad una fattispecie obbligatoria attuale, è da ritenere
del tutto valido il negozio di cessione di un diritto di credito meramente
eventuale, atteso che la invalidità di esso non può essere fatta discendere né
dall’elemento della aleatorietà in ordine alla costituzione del credito stesso,
poiché insito nel carattere della futurità, né dalla pretesa indeterminatezza
dell’oggetto dell’atto, dato che il requisito di cui all’art. 1346 cod. civ. è
parimenti suscettibile di essere assicurato dalla presenza di elementi diversi
109
Trib. Milano, 16 ottobre 1989, in Riv. it. leasing, 1990, 182.
110
Sul precedente giurisprudenziale da ultimo menzionato, v. INZITARI, Sentenze
d’un anno, Obbligazioni, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1991, 946 s.
77
rispetto al rapporto genetico di base, quali, nel caso di specie, la
quantificazione dell’ammontare della prestazione dovuta, l’indicazione del
debitore ceduto nonché del tempo in cui presumibilmente il credito sarebbe
venuto ad esistenza111.
Non è chi non veda come la giurisprudenza da ultimo citata rispecchi
l’esigenza, di cui soprattutto la dottrina si è resa interprete, di assegnare dei
confini più ampi alla validità della cessione dei crediti futuri per il tramite
del superamento di una posizione la quale, sulla scorta della rigidità che la
caratterizzava, finiva, come già sottolineato appena sopra, per svilire
notevolmente la stessa portata del concetto di credito futuro, ancorandolo in
via costante alla presenza attuale di un rapporto costitutivo di base, e per
frustrare le esigenze della pratica.
Ora, è innegabile che la presa di posizione da ultimo sottolineata, in sé e
per sé considerata, non pare (quantomeno ancora) avere fondato una netta
inversione di tendenza ovvero un deciso superamento del limite del germe
d’existence nell’ambito della nostra prassi giurisprudenziale. Ciò non solo
perché non è mancata l’affermazione della perdurante necessità che il
111
Cass. 8 maggio 1990, n. 4040, in Foro it., 1991, I, 2489, con nota di SIMONE,
Cessione in garanzia di crediti futuri: la Cassazione ci ripensa. In relazione a tale arresto
giurisprudenziale, v., anche, DE SANTIS, La cessione del credito futuro nell’evoluzione
giurisprudenziale, in Dir. e prat. soc., 2005, 8, 17.
In ordine alla cedibilità dei crediti futuri o eventuali, cfr., altresì, Trib. Bari, 27
luglio 1996, e Trib. Bari, 6 novembre 1996, in Banca, borsa e tit. cred., 1998, II, 701 ss.; e
App. Palermo, 8 marzo 1991, in Giur. comm., 1992, II, 471.
78
rapporto costitutivo del credito futuro ceduto sia attuale affinché possa
essere tenuta ferma la validità dell’atto112, ma altresì in quanto la rilevanza
del rapporto di base è stata postulata anche ad altri fini. Sotto quest’ultimo
punto di vista, infatti, intorno alla presenza attuale ovvero al carattere futuro
di esso si è ritenuto di potere tracciare la linea discretiva tra,
rispettivamente, crediti derivanti da un unico e già esistente rapporto di base
e crediti meramente eventuali, agli effetti di descrivere il diverso regime di
essi sul piano della opponibilità della cessione di siffatte situazioni
giuridiche nei confronti dei creditori pignoratizi del cedente113.
Non può sfuggire, tuttavia, ciò che la giurisprudenza da ultimo citata,
ben lungi dal delineare una distinzione interna alla categoria dei crediti
futuri suscettibile di accoglimento, pare, invece, assecondare quella già
112
Così, App. Milano, 2 febbraio 1996, in Dir. fall., 1996, II, 1091, con nota di
D’ATTILIO.
113
Più precisamente, la giurisprudenza ha avuto occasione di affermare l’anzidetta
differenza per sottolineare come la cessione di crediti derivanti da un unico e attuale
rapporto genetico di base sia opponibile al creditore pignorante del cedente alla sola
condizione che la cessione sia stata notificata ovvero accettata dal debitore ceduto
anteriormente rispetto al pignoramento, laddove la prevalenza dei crediti eventuali, non
necessariamente identificati in tutti gli elementi oggettivi e soggettivi, richiede che la
notificazione o l’accettazione siano non solo anteriori al pignoramento, bensì anche
posteriori alla venuta ad esistenza dei crediti ceduti. V., in tal senso, Cass. 21 dicembre
2005, n. 28300, in Giust. civ., Mass. 2005, 12; Cass. 26 ottobre 2002, n. 15141, in Foro it.,
2003, I, 498, con nota di SCODITTI, in Banca, borsa e tit. cred., 2003, II, 534, con nota di
SACCHI LODISPOSTO, in Giur. it., 2003, 636, con nota di TUCCI; e, con riferimento specifico
all’efficacia nei confronti dell’amministrazione straordinaria del cedente, Trib. Bari, 1°
aprile 1998, in Foro it., 2000, I, 1992.
79
accennata tendenza114 ad un utilizzo piuttosto ampio, sebbene talvolta
improprio, della nozione di futurità. In questo senso, infatti, è agevole notare
che, mediante il riferimento a crediti maturandi da un rapporto di base
attuale, si ha effettivo riguardo a posizioni soggettive semplicemente
inesigibili in quanto sottoposte a termine di adempimento non ancora
scaduto ovvero inserite nel quadro dello svolgimento di un rapporto
giuridico di durata, ma non di certo future nel senso più volte ricordato115.
Il panorama di riferimento, del resto, muta decisamente qualora si
rivolga l’attenzione alle ipotesi di cessione del credito che si inseriscono
nell’ambito del rapporto di factoring e, nello specifico, che si inquadrano
nel campo di applicazione della disciplina italiana dettata in materia di
cessione di crediti futuri d’impresa. È, infatti, proprio la presa in esame di
queste ultime ipotesi ad offrire l’occasione sia di porre in evidenza ulteriori
e fondamentali elementi di valutazione agli effetti dello scioglimento del
nodo inerente all’incidenza della deduzione in contratto di un credito futuro
sulla validità dell’atto medesimo e, quindi, al cosiddetto confine “remoto”
del fenomeno cui è dedicata la presente trattazione, sia di rilevare come la
sopra descritta giurisprudenza non possa essere correttamente descritta in
termini di semplice rottura episodica dell’indirizzo tradizionale in tema di
114
115
V., supra, § 1.5.
Così, Trib. Bari, 1° aprile 1998, cit., ove il carattere della futurità viene
riconosciuto in capo al credito avente a oggetto i canoni d’affitto di un’azienda.
V., anche, supra, § 1.6.
80
validità della cessione di crediti futuri. Al contrario, essa si inserisce in un
più ampio contesto caratterizzato dalla maggiore sensibilità nei riguardi
delle esigenze della prassi commerciale e, in questa direzione, è portatrice di
una altrettanto maggiore elasticità sul piano delle soluzioni giuridiche
apprestate, prima, e regolate, poi, con la conseguenza che il fenomeno della
cessione di crediti futuri va analizzato in una con gli ulteriori sviluppi che il
medesimo ha registrato sia a livello di prassi negoziale, in una con le prese
di posizione giurisprudenziali sul punto, sia sul piano della disciplina di
diritto positivo che è intervenuta a regolare la fattispecie e, in qualche modo,
a cristallizzare talune soluzioni già affermatesi in ambito differente116.
116
Sulla cessione dei crediti futuri d’impresa, v., infra, § 2.2.
81
2.2 Segue: il factoring e la legge italiana sulla cessione dei crediti
d’impresa
Necessario sviluppo dell’analisi inerente alla cessione dei crediti futuri è
la considerazione di siffatto meccanismo negoziale in quanto realizzato
nell’ambito degli schemi del factoring e regolato dalla legge 21 febbraio
1991, n. 52, la quale detta la disciplina in tema di cessione dei crediti
d’impresa. Il passaggio si impone, infatti, alla luce non solo e non tanto
della certamente indubbia rilevanza pratica che il fenomeno da ultimo
ricordato riveste nel panorama dei rapporti tra gli operatori professionali dei
settori interessati, ma, anche e soprattutto, beninteso agli effetti che qui
maggiormente interessano, per gli spunti di riflessione che da tale presa in
esame paiono potere prendere le mosse. Più nello specifico, ci si riferisce a
ciò che, nello spostare l’attenzione dalla cessione per così dire comune a
quella avente a oggetto i crediti d’impresa, è dato di rilevare, come si avrà
occasione di notare subito in appresso, l’esistenza di una comune ratio sul
piano delle soluzioni, elaborate dalla giurisprudenza ovvero prospettate
dalla dottrina, concernenti gli estremi di determinabilità, e quindi di validità,
del negozio considerato. Logica sottostante, la quale, a sua volta, può
agevolmente essere considerata alla stregua di corollario dell’influenza che
la prassi consolidatasi a livello di operazioni di factoring ha spiegato e sulla
giurisprudenza pronunciatasi in tema di cessione dei crediti, e sulla
disciplina positiva frattanto intervenuta a regolare la materia.
82
Si impone, quindi, di dedicare alla legge italiana recante la disciplina
della cessione dei crediti d’impresa la primaria attenzione nel quadro delle
finalità della presente indagine. È pur vero che da più parti è stato
sottolineato che l’anzidetto intervento legislativo, ben lungi dall’avere
realizzato la tipizzazione sul piano normativo del contratto di factoring,
rappresenterebbe
la
regolamentazione
di
uno
solo
degli
aspetti
caratterizzanti questa operazione negoziale, id est proprio la cessione dei
crediti, prescindendo, tuttavia, da una serie di dati ulteriori generalmente
connessi alla stessa, tra cui spicca la complessiva attività di servizi offerta
dal factor, tale da fondarne una definizione più ampia alla stregua di
«contratto di collaborazione alla gestione delle imprese», con la
conseguenza che alla legge n. 52 del 1991 dovrebbe essere riconosciuta la
funzione, ben più limitata, di avere introdotto una disciplina speciale
dedicata a una particolare ipotesi di cessione del credito al fine di favorire
l’affermazione della nuova prassi negoziale117. Tuttavia, anche a volere
117
Così, MASSA FELSANI, Il contratto di factoring e la nuova «disciplina della
cessione dei crediti d’impresa», in Riv. dir. comm., 1991, I, 747 s. Nel medesimo ordine di
pensiero, cfr., tra gli altri, TUCCI, Factoring, in Contr. impr., 1992, 1394 ss.; RIVOLTA, La
disciplina della cessione dei crediti d’impresa, in Riv. dir. civ., 1991, II, 711; CIAN, Legge
21 febbraio 1991, n. 52. Disciplina della cessione dei crediti di impresa, in Nuove leggi civ.
comm., 1994, 247; DE NOVA, Nuovi contratti, Torino, 1994, 133; MESSINA, Sulla causa nel
contratto di factoring, in Contr. impr., 1997, 1063; TORSELLO, I rapporti tra le parti del
contratto di factoring tra disciplina uniforme e molteplicità delle fonti, ivi, 1999, 559.
In giurisprudenza, nel senso della inidoneità della legge n. 52 del 1991 a operare
una qualificazione del contratto di factoring ovvero a disciplinarlo in maniera organica, v.
Trib. Genova, 17 ottobre 1994, in Giur. comm., 1995, II, 697, con nota di SEMINO, Brevi
83
prescindere da quegli argomenti che potrebbero consentire di concludere in
senso opposto rispetto all’opinione da ultimo ricordata118, sia sufficiente
nella presente sede rilevare come la centralità della legge 52 del 1991 è
diretta conseguenza del ruolo altrettanto centrale che la cessione del credito
gioca all’interno del meccanismo contrattuale del factoring, nonché della
constatazione che i requisiti richiesti dall’art. 1 della legge in parola affinché
la regolamentazione ivi contenuta possa trovare applicazione119 sono
generalmente rintracciabili nelle operazioni di factoring120.
considerazioni sulla qualificazione giuridica del contratto di factoring anche alla luce della
recente legge 21 febbraio 1991, n. 52 e sugli effetti del fallimento del fornitore cedente;
Cass. 25 marzo 1999, n. 2821, in Contratti, 2000, 162, con commento di MULLACE.
118
Cfr. CLARIZIA, Contratti di factoring, in Trattato dei contratti, diretto da
Rescigno e Gabrielli, I contratti del mercato finanziario, t. I, a cura di Gabrielli e Lener,
Torino, 2004, 381 ss., secondo il quale la legge 52 del 1991 avrebbe tipizzato il modello
italiano di factoring. L’Autore, infatti, muove dalla necessità che la tipizzazione di modelli
contrattuali che si originano da altri ordinamenti, specialmente da quelli di common law,
abbia riguardo al modo in cui quegli stessi schemi negoziali si sono realizzati nella prassi
dell’ordinamento interno, ossia alla luce delle modificazioni che essi hanno subito nel corso
di quest’opera di recepimento pratico. Ne deriva che, sulla scorta del ruolo di assoluta
centralità svolto dalla cessione del credito nel quadro di tale operazione negoziale e del
concreto atteggiarsi del factoring nell’ordinamento italiano, ove esso non ha mai riprodotto
le stesse caratteristiche del modello di riferimento angloamericano, a mezzo della legge in
parola, si sarebbe proceduto alla tipizzazione legale del cosiddetto factoring italiano.
119
Segnatamente, trattasi dei seguenti tre requisiti: il cedente deve essere un
imprenditore; i crediti ceduti debbono derivare da contratti stipulati dal cedente
nell’esercizio dell’impresa; e il cessionario deve essere una banca o un intermediario
finanziario disciplinato dal t.u. in materia bancaria e creditizia.
120
È stato sottolineato, peraltro, come non possa escludersi il ricorrere di rapporti
di factoring non disciplinati dalla legge in esame. Segnatamente, secondo CIAN, Legge 21
febbraio 1991, n. 52. Disciplina della cessione dei crediti di impresa, cit., 248, la mancanza
84
Stante quanto precede, è necessario prendere le mosse dell’analisi
dell’art. 3 della legge 52 del 1991121, con particolare riguardo non solo al
primo e al secondo comma, atteso che questi ultimi si limitano a ribadire il
principio di generale cedibilità dei crediti futuri anche rispetto a quelli
inerenti all’attività di impresa, quanto, anche, al contenuto dei successivi
commi terzo e quarto, dato che, come si avrà occasione di notare in
appresso122, l’interpretazione delle disposizioni in questi ultimi contenute,
specialmente in relazione ai limiti ivi previsti, svolge un ruolo fondamentale
agli effetti della tematica di cui alla presente trattazione.
Sotto il primo punto di vista, sia sufficiente notare la presenza di una
linea di collegamento ideale di tutta evidenza tra il superamento della teoria
della attualità del rapporto di base, intesa alla stregua di criterio di validità
in capo al cessionario dell’anzidetto requisito soggettivo non cagionerebbe la nullità del
contratto sul piano privatistico, cosicché, ferma restando la rilevanza a livello penalistico
dello svolgimento privo di autorizzazione di attività da considerare riservate alla stregua
delle norme bancarie, qualora il cessionario non rivesta le caratteristiche soggettive
legalmente previste, la conseguenza sarebbe quella di dover escludere l’applicabilità della
legge speciale di cui si discute in favore delle norme previste dal codice civile.
121
Art. 3 (Cessione di crediti futuri e di massa):« I crediti possono essere ceduti
anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgeranno.
I crediti esistenti o futuri possono essere ceduti anche in massa.
La cessione in massa dei crediti futuri può avere ad oggetto solo crediti che
sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro
mesi.
La cessione di crediti in massa si considera con oggetto determinato, anche con
riferimento a crediti futuri, se è indicato il debitore ceduto, salvo quanto prescritto nel
comma 3».
122
V., infra, in questo § e, anche, § 3.4.
85
della cessione dei crediti futuri comuni123, e la norma di cui al primo comma
dell’art. 3 della legge 52 del 1991 che pare proprio adottare nel quadro della
disciplina speciale dettata in tema di cessione verso corrispettivo dei crediti
pecuniari d’impresa124 la medesima soluzione estensiva, già proposta dalla
dottrina e successivamente accolta anche dalla giurisprudenza, affermata in
ordine alla cessione di crediti comuni. Così come, infatti, in quest’ultimo
ambito è stata finalmente riconosciuta la valida cedibilità dei crediti
eventuali in quanto semplicemente sperati125, allo stesso modo il legislatore
del 1991 ha ritenuto di potere agevolmente prescindere dalla sussistenza di
una fattispecie obbligatoria attuale al fine di descrivere la nozione di credito
futuro rilevante per l’applicazione della disciplina speciale da esso
introdotta.
Se, quindi, la teoria del rapporto di base attuale quale requisito di
validità della cessione di crediti futuri può ritenersi superata a fortiori sulla
base della norma da ultimo citata, la problematica inerente alla invalidità,
specificamente per indeterminatezza dell’oggetto, del negozio dispositivo
del credito futuro d’impresa riemerge, ciò nonostante, nel momento in cui si
rivolga l’attenzione ai commi terzo e quarto del più volte ricordato art. 3, i
123
Sull’argomento, v., supra, § 2.1.
124
Sul piano della delimitazione dell’ambito obbiettivo di applicazione della legge
in parola, la necessità che i crediti ceduti abbiano a loro volta a oggetto una somma di
denaro e che la cessione stessa sia a titolo oneroso è stabilità dall’art. 1, comma primo, della
medesima.
125
Cass. 8 maggio 1990, n. 4040, cit., sulla quale v., supra, § 2.1.
86
quali, seppure con testuale riferimento alla sola cessione in massa126,
introducono i due limiti, rispettivamente, del biennio entro il quale sono da
stipulare i contratti costitutivi dei crediti e dell’indicazione del debitore
ceduto. Requisito, quest’ultimo, che comunque non può prescindere dalla
concorrenza con l’altro di carattere temporale.
Ed è in relazione alla tematica ora accennata che in dottrina sono emersi
due opposti orientamenti.
Secondo il primo indirizzo, basato essenzialmente sulla lettera della
legge, l’indicazione degli anzidetti limiti risponde all’esigenza di assicurare
la determinatezza dell’oggetto della cessione e quindi pone gli stessi in
relazione diretta con la norma di cui all’art. 1346 cod. civ.127, con la
conseguenza che, per un verso, la previsione di un periodo eccedente i
126
È stato affermato, peraltro, che, nonostante la lettera della legge, i limiti di cui
ai commi terzo e quarto dell’art. 3, legge 52 del 1991, dovrebbero essere estesi, sulla base
di una interpretazione logico-sistematica, a tutte le cessioni di crediti futuri rientranti nel
campo di applicazione della medesima, sia esse singole che in massa. V., in tal senso,
CLARIZIA, Contratti di factoring, cit., 404.
127
Per tale orientamento, v. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 322 ss., il
quale prende in esame gli anzidetti limiti nell’ottica della determinabilità dell’oggetto quale
strumento di concretizzazione e di delimitazione dell’impegno gravante sul cedente;
CANTELE, Finalmente una legge per il factoring. Disciplina della cessione dei crediti di
impresa, in Corriere giur., 1991, 396, che sottolinea la presenza del riferimento diretto
all’art. 1346 cod. civ. nel testo approvato dal Senato il 23 gennaio 1986, successivamente
eliminato dalla stesura definitiva, ma ritenuto non indispensabile dall’Autore; SANTI, La
legge 21 febbraio 1991 n. 52 sulla disciplina della cessione dei crediti di impresa, in
Banca, borsa e tit. cred., 1991, I, 410 s.; LUPI, La cessione dei crediti di impresa, in
Società, 1991, 610, il quale, segnatamente, riconduce al canone della determinabilità il
limite della indicazione del debitore ceduto.
87
ventiquattro mesi per la stipulazione dei contratti da cui deriveranno i crediti
ceduti importerebbe la nullità parziale di tale clausola e relativa sostituzione
col periodo massimo legale a norma dell’art. 1419, secondo comma, cod.
civ., e che, per l’altro, la mancanza della indicazione del debitore ceduto
cagionerebbe la nullità, stavolta dell’intero contratto, ex artt. 1325, 1346 e
1418 cod. civ.128.
Altro orientamento, di converso, prescinde dal problema della
determinabilità dell’oggetto della cessione per affrontare la tematica
inerente ai limiti legislativamente previsti secondo una differente ottica che
ne spiega la ratio altrimenti. Segnatamente, la critica all’intendimento,
manifestato peraltro dallo stesso legislatore, di porre i limiti di cui all’art. 3,
commi terzo e quarto, della legge n. 52 del 1991 in diretta connessione col
requisito della determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto, si
muove lungo la linea tracciata da una visione di tipo sistematico dei
problemi per affermare, in ordine al limite temporale dei ventiquattro mesi,
che esso vada riferito al sorgere del credito ceduto in sé e non alla
stipulazione del contratto dal quale quello deriva, atteso che, qualora il
requisito in commento dovesse essere necessariamente relazionato al
problema della validità della cessione per determinatezza o determinabilità
dell’oggetto, non si spiegherebbe come tale ultimo elemento possa ritenersi
integrato dal mero dato della stipulazione entro il periodo di tempo previsto
128
Così, RIVOLTA, La disciplina della cessione dei crediti d’impresa, cit., 716.
88
dalla legge in parola, a prescindere, tuttavia, dalla considerazione del
momento in cui il credito venga ad effettiva esistenza129. Del resto, è stato
parimenti notato come il limite in esame, inteso alla stregua di requisito di
determinatezza dell’oggetto e quindi di validità della cessione, finirebbe per
costituire una soluzione più restrittiva rispetto ai principi generali ricavabili
dal codice civile, alla luce dei quali non pare configurabile un termine
temporale applicabile in via generale alle cessione di crediti futuri, ben
potendo siffatto requisito essenziale essere soddisfatto altrimenti130. Nello
stesso
senso
potrebbe
concludersi
in
ordine
al
diverso
limite
dell’indicazione del debitore ceduto, dato che, anche in quest’ultima ipotesi,
la soluzione di ancorare il detto limite alla determinatezza dell’oggetto
finirebbe per creare un sotto-sistema più rigido rispetto a quello generale
129
Così, CIAN, Legge 21 febbraio 1991, n. 52. Disciplina della cessione dei crediti
di impresa, cit., 249 s., nt. 8.
Vale la pena di notare, tuttavia, che la presa in esame del solo momento del
sorgere del credito ceduto impone un’attenta valutazione delle ipotesi concrete suscettibili
di presentarsi nella pratica delle operazioni economiche, in quanto la considerazione quale
futura della posizione giuridica soggettiva derivante da contratto già in essere postula, come
detto, l’impossibilità di rintracciare un fenomeno attuale di produzione di effetti obbligatori
da parte di quel titolo riferibile alla posizione del soggetto considerato e inerente al credito
di cui si tratta. Sul punto, v., supra, §§ 1.4, 1.5 e 1.6.
130
CIAN, Legge 21 febbraio 1991, n. 52. Disciplina della cessione dei crediti di
impresa, cit., 251.
89
ricavabile dal codice civile, ove la norma di cui all’art. 1346 cod. civ. non
sembra autorizzare simili posizioni131.
Ed è sulla scorta delle considerazioni che precedono che l’orientamento
da ultimo citato propone una ricostruzione secondo la quale, a dispetto della
lettera delle disposizioni in esame, il limite dei ventiquattro mesi e quello
della indicazione del debitore ceduto non valgono ad influenzare la validità
del negozio di cessione del credito, nel senso che la mancanza di essi
cagionerebbe rispettivamente la nullità parziale ovvero totale dell’atto, ma
sono da considerare strumentali all’applicazione del particolare meccanismo
di opponibilità di cui all’art. 5, comma primo, della legge n. 52 del 1991132,
nel senso precipuo di potere ugualmente tenere ferma la validità di una
cessione che non osservi i limiti anzidetti, fermo restando che, in tale ultima
131
Secondo CIAN, Legge 21 febbraio 1991, n. 52. Disciplina della cessione dei
crediti di impresa, cit., 252, la soluzione offerta dalla lettera della legge finisce per essere
tanto più restrittiva, quanto maggiore sia la considerazione di ciò che il limite della
indicazione del debitore ceduto è imposto dall’art. 3, comma quarto, della legge n. 52 del
1991, ai fini della determinatezza dell’oggetto della cessione, e non della mera
determinabilità, altrimenti sufficiente a salvare il contratto dalla censura della nullità.
132
Art. 5, comma primo, legge n. 52 del 1991: «Qualora il cessionario abbia
pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione ed il pagamento abbia data certa, la
cessione è opponibile:
a)
agli altri aventi causa del cedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso
efficace verso i terzi anteriormente alla data del pagamento;
b) al creditore del cedente, che abbia pignorato il credito dopo la data del
pagamento;
c)
al fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento, salvo quanto
disposto dall’art. 7, comma 1.».
90
eventualità, l’opponibilità ai terzi del negozio dovrà necessariamente
passare attraverso le norme generali previste dal codice civile133.
La preferibilità del secondo degli indirizzi ermeneutici cui si è fatto
riferimento, ossia, in altri termini, la possibilità di riscontrare un processo di
progressivo allentamento della rigidità che caratterizzava gli iniziali
approcci nei confronti della ammissibilità generale della cessione di crediti
futuri e di consequenziale allontanamento di tale problematica dai confini
imposti da una particolare considerazione del requisito della determinabilità
dell’oggetto quale canone di validità del contratto, sembra imporsi alla luce
di ulteriori considerazioni inerenti al factoring internazionale, regolato dalla
Convenzione Unidroit di Ottawa del 28 maggio 1988, ratificata in Italia con
legge 14 luglio 1993, n. 260 e il cui art. 5 prende in espressa considerazione
la cessione di crediti futuri134.
133
V., in tal senso, CIAN, Legge 21 febbraio 1991, n. 52. Disciplina della cessione
dei crediti di impresa, cit., 252 s., il quale sottolinea come, nel quadro dell’intervento
normativo in parola, il particolare meccanismo di opponibilità previsto all’art. 5, primo
comma, assurga al ruolo di contenuto essenziale; e anche FERRARI, Il factoring
internazionale. Commento alla Convenzione Unidroit sul Factoring Internazionale, Padova,
1999, 200 s. Cfr., altresì, DOLMETTA e PORTALE, Cessione del credito e cessione in
garanzia nell’ordinamento italiano, cit., 90, che se, da un lato, riconducono il limite
temporale dei ventiquattro mesi al ruolo di requisito per l’applicazione dell’accennato
meccanismo semplificato di opponibilità ai terzi della cessione, dall’altro descrivono il dato
della indicazione del debitore ceduto alla stregua di presunzione di determinatezza
dell’oggetto.
134
La traduzione italiana (non ufficiale) dell’art. 5 della Convenzione di Ottawa è
la seguente: «Per quanto concerne i rapporti tra le parti di un contratto di factoring: a) una
clausola del contratto di factoring che preveda la cessione di crediti presenti o futuri non è
91
Per quanto specificamente attiene al contratto di factoring internazionale
avente a oggetto crediti futuri, il giudizio di validità, rectius di non
invalidità, di esso prescinde dalla precipua individuazione dei crediti futuri
ceduti, attesa le sufficienza del requisito della mera riferibilità degli stessi al
contratto al momento della loro costituzione. È dato di rilevare una
maggiore ampiezza di siffatta previsione anche rispetto a quella contenuta
nella legge italiana in materia di cessione dei crediti di impresa di cui si è
detto, stante la considerazione di ciò che il requisito della riferibilità al
contratto di factoring appare suscettibile di essere integrato da una pluralità
resa invalida dall’assenza di una loro specifica individuazione, se alla conclusione del
contratto o al momento della loro nascita siano riferibili al contratto; b) una clausola del
contratto di factoring in base alla quale siano ceduti crediti futuri produce il loro
trasferimento al cessionario al momento della loro nascita, senza che sia necessario un
nuovo atto di trasferimento».
Le versioni ufficiali del testo (in inglese e francese) sono, rispettivamente, le
seguenti: «As between the parties to the factoring contract: a) a provision in the factoring
contract for the assignment of existing or future receivables shall not be rendered invalid
by the fact that the contract does not specify them individually, if at the time of the
conclusion of the contract or when they come into existence they can be identified to the
contract; b) a provision in the factoring contract by which future receivables are assigned
operates to transfer the receivables to the factor when they come into existence without the
need for any new act of transfer»; «Dans les seuls rapports entre les parties au contrat
d’affacturage: a) una clause du contrat d’affacturage prévoyant la cession de créances
existantes ou futures est valuable, même en l’adsence de leur designation individuelle, si
lors de la conclusion du contrat ou à leur naissance elles sont determinable; b) une clause
du contrat d’affacturage en vertu de laquelle des créances futures sont cédées opère leur
transfert au cessionnaire dès leur naissance, sans nécessité d’un nouvel acte de transfert».
92
di previsioni, alcune di natura soggettiva, altre di carattere obbiettivo135, che
possono ben essere differenti rispetto a talune delle soluzioni adottate su
base nazionale per definire l’ambito di operatività delle cessioni di crediti
futuri inerenti all’attività di impresa136.
Ne deriva, in buona sostanza e come meglio si dirà in appresso 137, un
ulteriore elemento nella direzione di affrancare la cessione dei crediti futuri
non certamente dalla determinabilità dell’oggetto ex art. 1346 cod. civ.,
bensì da particolari ricostruzioni della ratio di tale requisito di validità del
contratto che, se tendono a emergere in ordine all’interpretazione dell’art. 3
135
V. TORSELLO, I rapporti tra le parti del contratto di factoring tra disciplina
uniforme e molteplicità delle fonti, cit., 583 s., il quale sottolinea la maggiore frequenza di
criteri soggettivi, come ad esempio la redazione di un elenco dei clienti dell’impresa
fornitrice con sede d’affari all’estero, ovvero l’individuazione di questi ultimi in base
all’appartenenza ad una particolare categoria di operatori economici o ancora sulla scorta
della operatività di essi in determinati Stati esteri. Quanto, invece, ai possibili criteri
oggettivi di riferibilità dei crediti futuri ceduti al contratto di factoring internazionale,
l’Autore pone l’esempio dell’appartenenza di questi a specifiche tipologie di beni e servizi
offerti.
136
Possibili divergenze che si giustificano proprio nell’ottica, espressa nel
Preambolo della Convenzione, di favorire lo sviluppo del contratto di factoring nell’ambito
della prassi commerciale transfrontaliera attraverso l’adozione di regole che siano uniformi
non solo sulla base del dato letterale, ma, altresì, sul piano della interpretazione e
dell’applicazione nei singoli ordinamenti nazionali interessati. Cfr. FERRARI, Il factoring
internazionale. Commento alla Convenzione Unidroit sul Factoring Internazionale, cit., 24
s.
Diversamente, nel senso che la disciplina italiana dettata in materia di cessione dei
crediti di impresa «va nel senso prospettato anche dall’art. 5 della Convenzione sul
factoring internazionale», v. FRIGNANI e BELLA, Il «factoring»: la nuova legge italiana
(con riferimenti alla Convenzione di diritto uniforme), in Giur. it., 1991, IV, 484.
137
V., infra, § 3.4.
93
della legge n. 52 del 1991, paiono di certo superabili nel momento in cui si
sposti l’attenzione alla disciplina uniforme dettata in tema di factoring
internazionale138.
138
In relazione alla maggiore ampiezza delle soluzioni introdotte dalla
Convenzione di Ottawa rispetto a quelle di cui alla legge italiana sulla cessione dei crediti
di impresa, v. ZACCARIA, Il factoring internazionale, in Studium iuris, 1996, 9.
94
2.3 La fideiussione per crediti futuri e la fideiussione omnibus
Che la garanzia personale di natura fideiussoria possa essere prestata
anche a garanzia di crediti futuri è dato indubitabile in quanto espressamente
previsto dal legislatore codicistico a norma dell’art. 1938 139. Disposizione,
questa, che, agli effetti della tematica di cui alla presente trattazione, offre
molteplici spunti di interesse.
In primo luogo, e con riferimento a quanto già detto in precedenza in
ordine alla problematica inerente alla considerazione quali future di una
serie
di
situazioni
giuridiche
soggettive
di
difficile
e
dubbio
inquadramento140, vale la pena di rilevare come, nella disposizione in
parola, il legislatore abbia testualmente operato una distinzione tra
obbligazioni condizionali, da un lato, e future, dall’altro. Si tratta di un dato
che, pur non potendo rivestire portata decisiva in sé e per sé considerato, va
comunque ad aggiungersi a tutte le suesposte ragioni141 che portano a
ritenere del tutto preferibile un approccio teso a escludere i crediti sottoposti
a condizione sospensiva di efficacia dal novero delle obbligazioni future in
senso stretto, atteso, peraltro, che siffatta distinzione non è da ritenere
strumentale solo alla previsione del limite dell’importo massimo garantito,
139
Art. 1938 cod. civ.: «La fideiussione può essere prestata anche per
un’obbligazione condizionale o futura con la previsione, in quest’ultimo caso, dell’importo
massimo garantito».
140
V., supra, §§ 1.4, 1.5, 1.6 e 1.7.
141
V., con particolare riguardo ai crediti sottoposti a condizione sospensiva di
efficacia, supra, § 1.4.
95
di successiva introduzione, come si avrà modo di notare nel prosieguo del
presente paragrafo.
Passando, invece, all’analisi più specifica della figura di cui qui si tratta,
vale la pena, innanzitutto, di notare come l’assenza di una disposizione
quale quella in commento nell’ambito dell’ordinamento codicistico
previgente aveva indotto la dottrina del tempo a discutere intorno alla
ammissibilità di una simile figura, in quanto il carattere della accessorietà,
proprio della garanzia fideiussoria, sembrava incompatibile con la futurità
dell’obbligazione garantita142. Sennonché, aveva finito per prevalere
l’opinione positiva sulla scorta del principio della generale deducibilità in
contratto delle cose future, dato che, in ipotesi di tal sorta, si riteneva così
configurabile la costituzione di una garanzia fideiussoria subordinata alla
nascita dell’obbligazione principale che si intendeva garantire143. E, nel
medesimo ordine di idee, l’attuale norma di cui all’art. 1938 cod. civ. può
142
In relazione all’accennato dibattito, v. RUBINO, La fattispecie e gli effetti
giuridici preliminari, cit., 408 ss.
143
Con riguardo alla ammissibilità della fideiussione prestata a garanzia di
obbligazioni future nell’ordinamento previgente, cfr. Cass. 1° giugno 1936, n. 1187, in
Giur. it., 1936, I, 642, e App. Milano, 6 luglio 1937, in Foro lomb., 1937, 206.
La subordinazione rispetto alla nascita dell’obbligazione principale non vale,
tuttavia, a fondare un meccanismo di mera responsabilità per debito altrui, quindi senza
debito proprio, atteso che, nonostante la mancanza di un elemento utile ai fini della
produzione dell’effetto obbligatorio in capo al fideiussore, è da ritenere che il vincolo di
garanzia esista già, seppure in attesa di operare, con la conseguenza che il garante non può
revocare il consenso già prestato, né porre in essere atti tesi ad impedire che l’obbligazione
principale sorga. Sul punto, v. FOSCHINI, Fideiussione per obbligazione determinabile e per
obbligazione futura, in Riv. dir. comm., 1957, II, 465 ss.
96
essere ritenuta espressione nel campo precipuo delle garanzie fideiussorie
del principio contenuto nell’art. 1348 cod. civ.144.
Preso atto, quindi, della previsione nel sistema codicistico della
fattispecie della fideiussione per obbligazioni future, bisogna interrogarsi
intorno ai confini di ammissibilità di tale figura, sotto il punto di vista della
determinatezza ovvero determinabilità dell’oggetto.
Ora, la fideiussione inerente a singoli crediti futuri offre spunti di
riflessione del tutto simili a quanto si è già avuto modo di notare con
riguardo alla cessione di crediti futuri145, dato che, anche in questo settore,
non è mancata l’affermazione della necessità, ai fini della validità della
fideiussione prestata a garanzia di obbligazioni future, di un rapporto di base
attuale dal quale queste ultime devono scaturire146. È, tuttavia, da ritenere
assolutamente preferibile il diverso orientamento, teso a prescindere dalla
presenza attuale del rapporto di base e, quindi, ben più elastico sul versante
dei requisiti idonei ad assicurare la validità della garanzia personale in
144
Cfr., tuttavia, GIUSTI, La fideiussione e il mandato di credito, in Trattato di dir.
civ. e comm., già diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, XVIII, t. 3, Milano,
1998, 157, secondo cui, sebbene le norme sopra citate possano essere considerate ipotesi
applicative del medesimo principio generale presente nel nostro ordinamento giuridico, tale
corrispondenza non andrebbe comunque irrigidita, poiché la disposizione di cui all’art.
1348 è dettata in tema di oggetto futuro del contratto, mentre l’obbligazione principale della
cui garanzia si tratta non potrebbe essere parimenti considerata oggetto del rapporto
fideiussorio, bensì mero presupposto di quest’ultimo.
145
In ordine all’evoluzione giurisprudenziale e alle posizioni dottrinali emerse con
riferimento ai confini di validità della cessione di crediti futuri, v., supra, § 2.1.
146
Cass. 11 ottobre 1960, n. 2647, in Giust. civ., Mass. 1960, 1004.
97
parola147, sulla scorta di una serie di considerazioni inerenti non solo alla
utilità di non appesantire eccessivamente l’elemento della determinabilità
dell’oggetto contrattuale di significato e scopi che non gli sono
necessariamente propri148, ma, altresì, alla necessità di tracciare una netta
linea di demarcazione tra i crediti futuri in senso stretto e un panorama di
ulteriori ipotesi alle quali non si ritiene di potere riconoscere il carattere
della futurità149.
Diversamente, la fattispecie della fideiussione prestata per obbligazioni
future ha denotato e, sotto punti di vista che saranno anch’essi rimarcati
subito in appresso, continua a denotare i maggiori aspetti di problematicità e
di interesse, per quanto riguarda in maniera più specifica l’oggetto della
presente trattazione, una volta che si sposti l’attenzione sulla ben nota figura
della fideiussione omnibus (o con clausola omnibus), attraverso la quale,
nello specifico, il fideiussore si impegna a garantire, sino alla concorrenza di
un importo massimo, l’adempimento di qualsiasi obbligazione, presente e
futura, del debitore o dei suoi successori nei confronti dell’azienda di
credito, a prescindere dal titolo dell’obbligazione garantita. Trattasi, quindi,
di uno strumento di garanzia particolarmente elastico e rispondente
all’esigenza avvertita nel settore bancario di avere a disposizione un
meccanismo di tale flessibilità al fine di potere assecondare le istanze di
147
Cass. 17 febbraio 1968, n. 570, in Giur. it., 1969, I, 1, 748.
148
V., infra, § 3.4.
149
Considerazioni, sulle quali v., supra, § 2.1.
98
accesso al credito da parte specialmente della piccola e media impresa 150, e
che trae spunto proprio dalla norma di cui all’art. 1938 cod. civ. Senza
dimenticare, peraltro, che siffatti connotati di ampiezza risultano ancor più
accentuati da ciò che oggetto della presente garanzia sono non soltanto i
debiti diretti del debitore, ma anche quelli cosiddetti indiretti o di secondo
grado, ossia le obbligazioni rispetto alle quali il debitore abbia assunto nei
confronti dell’istituto di credito la posizione di fideiussore a sua volta di
altro
debitore
principale151,
e
che
alcun
importo
massimo
era
originariamente previsto, in quanto tale limite è stato introdotto nella
disposizione di cui all’art. 1938 solo successivamente, per mezzo della
novella realizzata dall’art. 10, comma primo, legge 17 febbraio 1992, n.
154, recante «Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari
e finanziari».
Dinanzi a una simile potenziale esposizione debitoria del fideiussore
omnibus152, la clausola in parola è stata fatta oggetto di critiche da parte di
150
Lo schema elaborato dall’Associazione Bancaria Italiana risale ai primi anni
Sessanta e, segnatamente, fu allegato alla circolare ABI – serie tecnica C, n. 24 dell’11
giugno 1964, in Banca, borsa e tit. cred., 1964, I, 461.
151
Cfr. BOZZI, La fideiussione, Milano, 1995, 501.
152
Basti pensare che parte della dottrina ha sollevato il problema della eventuale
idoneità della clausola omnibus a coprire anche eventuali obbligazioni ex delicto suscettibili
di sorgere a carico del debitore garantito nei confronti della banca. Cfr. DOLMETTA, La
fideiussione bancaria attiva nell’evoluzione bancaria giurisprudenziale e dottrinale, in
Banca, borsa e tit. cred., 1992, I, 10.
Per la soluzione positiva a tale interrogativo, seppure in via di principio, v. Trib.
Salerno, 12 novembre 1986, in Banca, borsa e tit. cred., 1987, II, 633, secondo la quale la
99
taluna dottrina e giurisprudenza, segnatamente di merito, sotto più di un
punto di vista.
Così, non si è mancato di dubitare della validità di essa sulla scorta del
ritenuto parziale contrasto con le norme di cui agli artt. 2740 e 2741 cod.
civ., con particolare riguardo alla possibilità che il fideiussore omnibus
risponda anche per le obbligazioni di soggetti non conosciuti o conoscibili al
momento del rilascio della garanzia personale, o diversi dal debitore della
banca e relative a crediti posti nella titolarità di soggetti diversi dalla banca
(si pensi all’estensione della fideiussione sino a ricomprendervi le garanzie
prestate dallo stesso istituto di credito in favore di terzi su indicazione del
debitore). Secondo siffatto approccio, infatti, la conseguenza di creare una
doppia garanzia patrimoniale generica, ossia una generale responsabilità per
critica che, seguendo siffatta impostazione, la clausola omnibus sarebbe nulla per illiceità
della causa, segnatamente perché si trasformerebbe in un incentivo a delinquere nella
misura in cui il debitore principale sarebbe indotto a tenere condotte rilevanti anche sul
piano penale nei confronti dell’istituto di credito garantito confidando nella possibilità di
eludere le conseguenze patrimoniali risarcitorie della propria condotta addossandole
(quantomeno in via immediata) al garante, andrebbe considerata nulla più che un semplice
«argomento ad effetto», dato che la causa di garanzia non muta a seconda della fonte
dell’obbligazione principale.
Invece, la conclusione in senso negativo è stata ritenuta preferibile sulla scorta del
comune riferimento della clausola omnibus alle obbligazioni dipendenti da operazioni
bancarie, atteso che la opposta soluzione della presente problematica passa necessariamente
attraverso una novazione mediante “bancarizzazione” delle obbligazioni ex delicto del
debitore principale nei confronti dell’istituto di credito, con conseguente massima
incertezza delle effettiva portata dei confini della garanzia. Cfr., sul punto, CHINÉ,
Fideiussione omnibus, in Le garanzie rafforzate del credito, a cura di Cuffaro, Torino,
2000, 3.
100
i debiti altrui contrasterebbe sia con la norma di cui all’art. 2740, in quanto
interpretata nel senso di vietare l’assunzione di responsabilità per fatto altrui
(da considerare ipotesi del tutto eccezionale alla stregua del nostro
ordinamento), sia con il successivo art. 2741, il quale stabilisce il principio
della par condicio tra creditori salve le cause legittime di prelazione e che,
in tali casi, sarebbe leso dall’attribuzione all’istituto di credito di una
garanzia generica doppia rispetto a quella di cui sarebbe fornito qualsivoglia
altro creditore del medesimo obbligato153.
Ma è sul piano della determinatezza dell’oggetto del contratto di
fideiussione omnibus che si sono maggiormente indirizzate le critiche volte
a revocare in dubbio la validità di siffatto negozio giuridico ed è a tali
orientamenti che bisogna prestare maggiore attenzione agli effetti della
indagine che qui occupa.
Non ci si riferisce soltanto alla più volte ricordata teoria del rapporto di
base, quale presupposto attuale per la validità del negozio su credito futuro e
che è stata presa in esame in ordine alla figura della cessione di crediti
futuri154, che, del resto, è stata ugualmente utilizzata (ma parimenti
superabile per le ragioni più volte ricordate), dato che il tenore della
clausola omnibus ben può prescindere dalla attualità della fonte delle
obbligazioni garantite stante il riferimento anche a operazioni bancarie
153
Cfr. BARBIERA, Inefficacia parziale della fideiussione omnibus, in Riv. dir. civ.,
1991, I, 225 ss.
154
V., supra, § 2.1.
101
successive alla conclusione dell’accordo fideiussorio, dal che deriva che
quest’ultimo vale ad offrire copertura altresì a crediti derivanti da rapporti
anch’essi futuri155.
Assunto, infatti, il dato che la fideiussione può coprire anche crediti
propriamente futuri in quanto derivanti da titoli non ancora in essere al
tempo della prestazione della medesima, dottrina e giurisprudenza si sono
interrogate intorno ai limiti di determinabilità della garanzia personale in
casi di tal sorta156, in relazione non soltanto al motivo anzidetto della
mancanza di un rapporto fondamentale genetico delle obbligazioni garantite,
ma anche sulla base dell’assenza di criteri predeterminati idonei a consentire
una compiuta identificazione dell’oggetto della garanzia stessa. In questo
senso, una impostazione, beninteso minoritaria, ha rilevato come la
genericità della fideiussione universale permetta solo ed esclusivamente una
individuazione postuma delle obbligazioni cui essa si riferisce, ma tale
individuabilità ex post non andrebbe giammai confusa con la determinabilità
dell’oggetto, da verificare ex ante, e che, mancando quest’ultimo requisito
nelle
ipotesi
di
specie,
la
conseguenza
avrebbe
dovuto
essere
necessariamente quella della nullità del contratto di fideiussione. Né
l’istituto di credito ovvero il debitore principale potrebbero essere
155
Cfr. VIALE, Le garanzie bancarie, in Trattato di diritto commerciale e diritto
pubblico dell’economia, diretto da Galgano, XVIII, Padova, 1994, 6.
156
Sui termini del dibattito in esame, v. VIALE, Fideiussione omnibus, in Contr.
impr., 1990, 276 ss.
102
considerati quali terzi cui sarebbe stata rimessa la determinazione della
prestazione dedotta in contratto, a norma dell’art. 1349 cod. civ.
Considerazioni, queste, sulla scorta delle quali è stato rilevato sia da una
parte della dottrina sia da talune pronunce di merito che l’oggetto del
rapporto fideiussorio sarebbe connotato da evidenti tratti di incertezza,
stante la rimessione al sostanziale arbitrio della banca della individuazione
dei crediti effettivamente garantiti157.
157
Cfr. STOLFI, In tema di fideiussione generale, in Riv. dir. civ., 1972, I, 529 ss.;
ID., In tema di fideiussione per debiti futuri, in Riv. dir. comm., 1971, I, 225; LANZILLO,
Regole del mercato e congruità dello scambio contrattuale, in Contr. impr., 1985, 341 ss.;
SIMONETTO, La natura della fideiussione e la nullità della clausola c.d. omnibus, in Riv.
trim. dir. proc. civ.¸ 1987, 544 ss.; VALCAVI, Sulla fideiussione bancaria e i suoi limiti, in
Foro it., 1990, I, 559; ROPPO, Fideiussione “omnibus”: valutazioni critiche e spunti
propositivi, in Banca, borsa e tit. cred., 1987, I, 147, secondo cui, con riguardo alla
normalità dell’attività della banca quale criterio di determinazione dell’oggetto negoziale e
sulla base della considerazione che l’istituto bancario è tanto più portato a elargire credito
quanto maggiori siano le garanzie sul medesimo, nel caso de quo si giungerebbe alla
«paradossale e inammissibile conseguenza che il criterio della determinazione non è esterno
e indipendente rispetto all’oggetto da determinare, ma è in un certo senso conformato da
quest’ultimo»; TARTAGLIA, Limiti alla fideiussione “omnibus” e disciplina della
“trasparenza” bancaria, in Foro it., 1992, I, 1397.
In giurisprudenza, v., nello stesso senso, Trib. Roma, 27 maggio 1985, in Giust.
civ., 1986, I, 2014, con nota di PIAZZA, La giurisprudenza di merito si ribella alla
Cassazione: la fideiussione omnibus è nulla, ove la clausola omnibus è sottoposta a critica
anche in relazione al profilo della funzione economica del meccanismo utilizzato e, quindi,
al supposto contrasto con l’art. 41 Cost.; Trib. Savona, 28 marzo 1988, in Nuova giur. civ.
comm., 1989, I, 39; Pret. Legnano, 13 giugno 1985, in Foro it., 1986, I, 831; App. Milano,
4 ottobre 1988, in Giur. comm., 1989, II, 571; Trib. Pistoia, 17 ottobre 1991, in Fallimento,
1992, 937.
103
Di segno opposto si è costantemente rivelato l’orientamento della
Suprema Corte, peraltro largamente condiviso anche in dottrina e da una
parte della medesima giurisprudenza di merito, secondo il quale la nullità
della
fideiussione
con
clausola
omnibus
per
indeterminatezza
e
indeterminabilità dell’oggetto contrattuale è da escludere in quanto la
presenza dell’anzidetto requisito di validità è assicurata dal riferimento della
garanzia ai futuri rapporti che vengono in essere tra il debitore principale e
l’istituto di credito (cosiddetta determinabilità per relationem), nel senso
che la natura propria dell’attività bancaria in quanto svolta secondo criteri di
normalità vale a circoscrivere l’impegno del fideiussore sul piano precipuo
della sua determinabilità secondo una valutazione propriamente ex ante158.
158
Così, Cass. 29 ottobre 1971, n. 3037, in Banca, borsa e tit. cred., 1972, II, 22;
Cass. 28 aprile 1975, n. 1631, ivi, 1975, II, 246; Cass. 25 ottobre 1979, n. 5572, in Giust.
civ., 1980, I, 640; Cass. 15 marzo 1991, n. 2789, in Foro it., 1991, I, 2060; Cass. 17 ottobre
1991, n. 10945, in Giur. it., 1992, I, 825, con nota di CHINÉ; e, nella giurisprudenza di
merito, Trib. Catania, 24 maggio 1979, in Riv. dir. comm., 1980, II, 121, con nota di
RAGUSA MAGGIORE; App, Milano, 13 gennaio 1981, in Giur. merito, 1983, I, 97; Trib.
Roma, 22 aprile 1981, in Giur. comm., 1982, II, 900; App. Firenze, 18 febbraio 1985, in
Riv. it. leasing, 1985, 496; App. Cagliari, 5 dicembre 1987, in Giust. civ., 1989, I, 2159;
Trib. Pavia, 19 giugno 1989, ivi, 1989, I, 2474; Trib. Milano, 16 ottobre 1989, in Giur. it.,
1990, I, 2, 468; App. Milano, 5 giugno 1990, ivi, 1991, I, 2, 184; Trib. Milano, 18
novembre 1991, ivi, 1992, I, 2, 227.
In dottrina, cfr. TUCCI, Tutela del credito e validità della fideiussione omnibus, in
Foro it., 1988, I, 118; RESCIGNO, Il problema della validità delle fideiussioni c.d. omnibus,
in Banca, borsa e tit. cred., 1972, II, 26, che sottolinea come il meccanismo della relatio
all’attività della banca e ai rapporti tra quest’ultima e il debitore principale importi che la
determinazione dell’obbligazione fideiussoria si verifica all’atto della costituzione dei
debiti garantiti sulla base dello svolgimento dell’attività precedentemente consentita, e
104
Più nello specifico, il pericolo della sottoposizione del fideiussore
all’arbitrio della banca circa l’effettiva estensione della garanzia personale
viene superato dall’argomento fondato sulla soggezione di questa a una
serie di regole e controlli di particolare rigidità, spesso di rilevanza
pubblicistica e di competenza dell’autorità amministrativa159, e, ancora, la
possibilità che l’impegno della parte obbligata si riveli più ampio di quanto
essa poteva aspettarsi al tempo della conclusione del contratto è
caratteristica di ogni sistema di determinazione esterna dell’oggetto
negoziale160.
Nell’ambito di questo panorama di indirizzi inerenti ai confini della
validità della fideiussione con clausola omnibus, si innesta il ricordato
intervento legislativo realizzato, segnatamente, con legge n. 154 del 1992
(cosiddetta legge sulla trasparenza bancaria), il cui art. 10, comma primo, ha
introdotto il limite della previsione dell’importo massimo garantito,
novellando così la disposizione di cui all’art. 1938 cod. civ. È innegabile,
infatti, che, nonostante il carattere maggioritario della tesi della
come tale modo di determinazione non valga a violare i limiti imposti all’autonomia
negoziale in ordine all’oggetto del contratto ogni qualvolta ne rimette l’individuazione a
una fonte esterna al negozio, atteso che i limiti previsti riguardano il mero arbitrio del terzo
(art. 1349 cod. civ.) e la mera volontà dell’obbligato (art. 1355 cod. civ.); BARBIERA,
Inefficacia parziale della fideiussione omnibus, cit., 223 ss.; PIAZZA, La giurisprudenza di
merito si ribella alla Cassazione: la fideiussione omnibus è nulla, cit., 2016; RASCIO, La
fideiussione “omnibus”. Premesse per la discussione del tema, in Riv. dir. comm., 1978, I,
21; RAVAZZONI, La fideiussione generale, in Banca, borsa e tit. cred., 1979, I, 398.
159
Cass. 1° agosto 1987, n. 6656, in Foro it., 1988, I, 127.
160
Cass. 18 luglio 1989, n. 3362, in Giust. civ., 1990, I, 126.
105
determinabilità per relationem (e quindi della validità) dell’impegno del
garante e l’inserimento della clausola inerente all’importo massimo
garantito già negli schemi contrattuali elaborati dall’ABI nel corso degli
anni Ottanta, la novella in parola abbia rappresentato la risposta del
legislatore alle istanze di tutela del fideiussore omnibus che, come già
illustrato, erano state manifestate da più parti. Si impone, tuttavia, di
puntualizzare che la questione inerente alla determinabilità dell’oggetto del
contratto di fideiussione omnibus è da considerare di perdurante validità,
soprattutto agli effetti che qui maggiormente interessano, per le ragioni di
seguito indicate.
Se è vero, per un verso, che all’assenza della previsione dell’importo
massimo garantito andrebbe ricollegata la conseguenza della nullità
dell’intera garanzia, stante la impossibilità di applicare la disciplina della
nullità parziale ex art. 1419, comma secondo, cod. civ., per mancanza di
disposizioni suppletive, non può ritenersi sopita, peraltro, ogni questione
inerente alle determinabilità dell’oggetto della garanzia stessa, atteso che la
tutela legislativa sarebbe agevolmente superabile mediante l’inserimento di
limiti massimi di particolare ampiezza, se non addirittura sproporzionati,
rispetto alle future prevedibili obbligazioni del debitore principale nei
confronti della banca161. E, a tale proposito, è doveroso il riferimento a
quella giurisprudenza, segnatamente di merito, che, anche successivamente
161
Cfr. CHINÉ, Fideiussione omnibus, cit., 21.
106
all’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 1938, ha continuato a
interrogarsi sui limiti di validità della fideiussione omnibus a prescindere
dalla mera indicazione dell’importo massimo garantito, e assai spesso
tacendo su questo punto specifico, in favore del ben noto aspetto della
validità ovvero invalidità della determinabilità per relationem dell’oggetto
della garanzia162. Così come, del resto, ancor prima dell’emanazione della
ricordata legge sulla trasparenza bancaria era stato rilevato come il limite
della somma massima fosse uno degli indici di determinabilità astrattamente
utilizzabili per circoscrivere l’impegno del fideiussore, ma non certamente
l’unico, con la conseguenza che la mancanza di una simile previsione non
avrebbe potuto cagionare, per ciò solo, l’invalidità della garanzia personale
prestata163.
Valutazioni, queste ultime, che, nell’ambito della tematica di cui alla
presente trattazione, spiegano ancora la loro fecondità, in quanto, come si
dirà in appresso164, consentono di inquadrare correttamente la ratio e,
quindi, la portata dell’intervento legislativo anzidetto, anche alla luce di una
più approfondita analisi della giurisprudenza espressasi in materia,
scongiurando il rischio di caricarlo di eccessivo o inesatto significato sul
piano della determinabilità dell’oggetto del negozio su credito futuro.
162
Cfr. App. Milano, 27 ottobre 1992, in Banca, borsa e tit. cred., 1993, II, 237;
Trib. Milano, 14 gennaio 1993, ivi, 1994, II, 60.
163
V., in tal senso, RESCIGNO, Il problema della validità delle fideiussioni c.d.
omnibus, cit., 27 s.
164
V., infra, § 3.4.
107
2.4 Delegazione, accollo ed espromissione di crediti futuri. Differenza
delle soluzioni prospettate
Diversificati tra loro appaiono gli spunti di riflessione che si possono
trarre dall’analisi dell’atteggiarsi delle ipotesi di cosiddetta modificazione
del soggetto passivo dell’obbligazione qualora esse abbiano a oggetto un
credito futuro. Vale la pena, infatti, di anticipare fin da ora che se, per un
verso, anche qualora non paiono esservi ostacoli intorno all’ammissibilità di
negozi di tal sorta su crediti futuri, una più attenta analisi denota comunque
la presenza di aspetti suscettibili di esprimere una qualche problematicità,
per altro verso, la generale diversificazione delle soluzioni adottate,
specialmente in sede giurisprudenziale, è un dato dal quale non si può
prescindere al
fine
di
verificare l’eventuale dipendenza di
tale
differenzazione da una particolare considerazione del requisito della
determinabilità dell’oggetto contrattuale165.
Si rivolga l’attenzione, in primo luogo, al caso della delegazione. Non
paiono, infatti, esservi dubbi in ordine alla circostanza che siffatta figura
negoziale possa validamente avere a oggetto un credito non ancora esistente
al momento della conclusione della medesima166. Tuttavia, è stato
ulteriormente puntualizzato, con riguardo specifico alla delegazione titolata,
165
In ordine all’aspetto da ultimo segnalato, v., infra, § 3.4.
166
Cfr. Cass. 15 luglio 1967, n. 1788, in Foro it., 1967, I, 2354; Cass. 8 aprile
1948, n. 525, in Riv. dir. comm., 1948, II, 252, con nota di GRECO.
In dottrina, v. MAGAZZÙ, voce Delegazione, in Dig. disc. priv., sez. civ., V, Torino,
1989, 165.
108
che ai fini della validità di essa è sufficiente l’esistenza dei rapporti di
provvista e di valuta al momento della scadenza, ma non è ugualmente
necessario che i medesimi sussistano già nel momento precedente della
stipulazione, con la conseguenza che non vi sono ostacoli alla ammissibilità
di una delegazione di crediti futuri «che, pur non potendo ancora
considerarsi esistenti, risultino, tuttavia, collegati ad un non ancora avvenuto
svolgimento di rapporti, che siano già in atto al momento in cui viene
attuato il rapporto di delegazione»167.
Ebbene, non è chi non veda come, nell’ipotesi in esame, al di là
dell’affermazione di principio in ordine alla generale ammissibilità della
fattispecie
delegatoria
avente
a
oggetto
crediti
futuri,
l’arresto
giurisprudenziale pare sottintendere una nozione di credito futuro diversa
rispetto a quella che qui si ritiene di accogliere e, in ogni caso, suscettibile
di fondare pericolosi fraintendimenti tra il dato della futurità, inteso in senso
stretto e quindi proprio, e quello della mera esigibilità della prestazione
derivante da una situazione giuridica soggettiva esistente168. In questo senso,
la definizione di credito futuro validamente deducibile nel momento in cui si
conclude la delegazione viene effettuata dalla citata giurisprudenza
attraverso il recupero della teoria del cosiddetto rapporto sottostante o di
167
Così, Cass.19 maggio 2004, n. 9470, in Giur. it., 2005, 706, e in Foro it., 2005,
168
Sulla nozione generale di credito futuro e sul riferimento ai confini del
I, 823.
fenomeno, v., supra, cap. I.
109
base, che, come si è avuta occasione di notare, ha segnato fortemente
l’indirizzo più datato in tema di cessione di crediti futuri e la successiva
evoluzione degli orientamenti in materia169. Il riferimento al futuro
svolgimento di rapporti già in atto al momento della delegazione, infatti,
postula una considerazione in fieri di quegli stessi rapporti sottostanti al
meccanismo delegatorio che, seppure in corso di svolgimento, manifestano
già una qualche nota di attualità al tempo della stipulazione.
Se quello appena delineato è il panorama generale nel cui ambito la
giurisprudenza ha inteso di potere circoscrivere i confini di ammissibilità
della delegazione di crediti futuri, un ulteriore ordine di considerazioni si
impone, tuttavia, agli effetti della problematica della definizione del
cosiddetto confine remoto del fenomeno credito futuro attraverso l’analisi
dei limiti che valgono a contraddistinguere la valida deducibilità in contratto
di esso in relazione specifica all’elemento essenziale della determinatezza
ovvero determinabilità dell’oggetto del negozio giuridico. Segnatamente, e
rinviando a quanto più diffusamente si dirà in appresso sul punto170, è utile
anticipare sin d’ora come, in primo luogo, la prima attenzione debba essere
rivolta alla futurità del rapporto di valuta attesa la possibilità che la
delegazione venga realizzata allo scoperto assumendo così i tratti della
gratuità tra delegante e delegato, e, inoltre, si tratti di verificare se
169
Sull’evoluzione giurisprudenziale e sulle prese di posizione della dottrina in
materia di cessione di crediti futuri, v., supra, § 2.1.
170
V., infra, § 3.4.
110
l’approccio giurisprudenziale in parola sia la conseguenza diretta della
necessità di caricare il requisito della determinabilità dell’oggetto
contrattuale di un particolare significato a discapito di un’opposta
ricostruzione, ovvero fondi la propria ratio, quantomeno in parte, su aspetti
diversi che si legano a connotati particolari del negozio di delegazione, nello
specifico titolata.
Complesso e articolato, invece, è stato il processo giurisprudenziale che
ha caratterizzato l’emersione della figura dell’accollo di debito futuro.
Se si prescinde, infatti, da una non recente pronuncia che ha ritenuto
ammissibile la figura sulla scorta di un ragionamento del tutto similare
quello di cui si è detto appena sopra in ordine alla delegazione titolata di
crediti futuri, ossia ritenendo necessaria l’esistenza del rapporto sottostante
al tempo della scadenza convenuta171, in varie altre occasioni il dato testuale
del riferimento della disposizione di cui all’art. 1273 cod. civ. all’assunzione
del debito altrui e alla eventuale adesione da parte del creditore è stato
interpretato come tale da imporre la preesistenza del rapporto obbligatorio
oggetto dell’accollo172. Con la conseguenza che la convenzione attraverso la
quale un soggetto si impegna ad assumere i futuri debiti dell’altro
integrerebbe gli estremi della mera promessa di accollo, id est del negozio
preliminare di accollo il cui oggetto consiste nell’obbligo di accollarsi il
171
Cass. 10 luglio 1974, n. 2042, in Mass. Giur. it., 1974.
172
Così, Cass. 22 giugno 1957, n. 2386, in Rep. Foro it., 1957, voce Obbligazioni
e contratti, n. 358; Cass. 6 dicembre 1974, n. 4109, in Foro it., 1975, I, 1141.
111
debito altrui e rispetto al quale l’assunzione effettiva della posizione
debitoria costituisce esecuzione della prestazione dovuta173.
L’indirizzo più elastico inizia a emergere a partire dagli anni Ottanta,
quando la giurisprudenza della Suprema Corte torna ad ammettere l’accollo
di debiti futuri, seppure limitatamente all’accollo meramente interno e con
espressa esclusione della possibilità di estendere la soluzione positiva anche
a quello esterno e senza che tuttavia siffatta apertura fosse ricollegabile al
mutamento dell’approccio ermeneutico nei confronti dell’art. 1273174. Al
contrario, il ricordato arresto giurisprudenziale ricollega l’ammissibilità
dell’accollo
interno
di
debito
futuro
al
principio
dell’autonomia
convenzionale, ponendo peraltro una netta linea distintiva tra quello e
l’accollo esterno, al quale ultimo soltanto la norma di cui all’art. 1273 si
riferirebbe. Sennonché, il superamento dell’argomento da ultimo ricordato,
ossia il riconoscimento che non vi è alcun contrasto tra la futurità del debito
oggetto di accollo e l’art. 1273, non ha impedito, in un primo tempo, di
relegare la convenzione con cui un soggetto si impegni ad assumere i futuri
eventuali debiti di un altro nello schema del negozio preliminare175.
È, quindi, al termine del travagliato iter giurisprudenziale cui si è fatto
cenno sopra che la Suprema Corte, accogliendo la soluzione già da tempo
173
Cfr. Cass. 5 aprile 1966, n. 881, in Giust. civ., 1967, I, 1155, con nota di
FINOCCHIARO, Assunzione di debito altrui nei confronti del non debitore; App. Roma, 5
dicembre 1989, in Giust. civ., 1990, I, 453.
174
Cass. 24 febbraio 1982, n. 1180, in Mass. Giur. it., 1982.
175
Cass. 8 settembre 1988, n. 5102, in Mass. Giust. civ., 1988, 1232.
112
affermatasi in dottrina176, ha concluso nel senso della ammissibilità tanto
dell’accollo, altresì esterno, di un debito futuro, quanto del preliminare di
accollo che, a sua volta, può inerire sia a un debito presente che a un debito
futuro, sottolineando, ulteriormente, come anche nella presente ipotesi,
come del resto in ogni altro caso di contratto avente a oggetto la prestazione
di cose future ex art. 1348 cod. civ., l’attenzione deve essere spostata dal
profilo concernente l’analisi della portata applicativa della norma di cui al
più volte ricordato art. 1273, che non può essere limitata alle sole situazioni
giuridiche presenti, a quello della determinabilità dell’oggetto negoziale177.
Più precisamente, gli argomenti posti a sostegno della tesi appena ricordata
ineriscono, innanzitutto, alla generale ammissibilità del contratto avente a
oggetto la prestazione di cose future a norma dell’art. 1348, stante la
necessità che eventuali particolari divieti di legge debbano essere
sufficientemente specifici, in quanto previsti in via tassativa ovvero
desumibili dalle modalità di perfezionamento o dalla funzione del contratto
di cui si tratta. Ulteriori dati in tal senso sono rintracciati nel riferimento alla
validità della fideiussione per debito futuro, nonché di quella con clausola
176
Cfr. RESCIGNO, Studi sull’accollo, Milano, 1958, 154; CAMPOBASSO, voce
Accollo, in Enc. giur. Treccani, I, Roma, 1988, 4; G. GIACOBBE e D. GIACOBBE, Della
delegazione, dell’espromissione e dell’accollo, in Commentario del codice civile, a cura di
Scialoja e Branca, Artt. 1268-1276, Bologna-Roma, 1992, 109.
177
Così, Cass. 23 settembre 1994, n. 7831, in Contratti, 1995, 16; in Corriere
giur., 1995, 330, con commento di CARINGELLA, L’accollo di debiti futuri torna
all’attenzione della Suprema Corte; in Banca, borsa e tit. cred., 1995, II, 581; in Giur. it.,
1995, I, 1, 1018; in Fallimento, 1995, 363; in Guida al dir., 1995, 25, con nota di SILLA.
113
omnibus178, e nell’ampia autonomia negoziale riconosciuta dall’ordinamento
nella materia in esame, poiché non limitata da specifici vincoli imposti dal
legislatore.
Soluzione positiva, quest’ultima, la cui maggiore bontà è stata
evidenziata anche in relazione a un più ampio principio di non
contraddizione interno all’ordinamento giuridico, in confronto specifico alla
fattispecie della cessione di crediti futuri179. Ancora, sulla scorta della
possibilità di ricondurre l’accollo esterno agli schemi del contratto a favore
di terzi e della configurabilità di quest’ultimo anche in relazione a diritti
futuri180, diversamente argomentando, non sarebbe dato di comprendere il
motivo di una eventuale differenziazione di trattamento ogni qualvolta la
situazione giuridica soggettiva cui l’operazione negoziale si riferisce abbia il
connotato della futurità181.
Diverso ancora è stato l’approccio inerente alla figura della
espromissione in quanto riferita a debiti futuri, ove la soluzione adottata è
stata quella negativa nel senso, più precisamente, che, sulla scorta della
premessa che l’espromissione non può giammai avere a oggetto un debito
178
Sul punto, v., supra, § 2.3.
179
V. CARINGELLA, L’accollo di debiti futuri torna all’attenzione della Suprema
Corte, cit., 335 s.
Sulla cessione di crediti futuri, v., anche, §§ 2.1 e 2.2.
180
181
V., in tal senso, Cass. 5 aprile 1974, n. 952, in Giust civ., 1974, I, 549.
CARINGELLA, L’accollo di debiti futuri torna all’attenzione della Suprema
Corte, cit., 335.
114
non ancora sorto182, l’eventuale inesistenza della precedente obbligazione
vale a cagionare la nullità del contratto concluso tra creditore e terzo
espromittente per difetto della causa183, potendo il negozio concluso al più
integrare gli estremi dell’assunzione di una obbligazione di garanzia per
futuri possibili debiti dell’obbligato184.
Siffatta conclusione negativa, quindi, passa attraverso la presa in esame
dell’elemento causale del contratto di espromissione, il quale andrebbe
rintracciato nell’assunzione di un debito altrui mediante un’attività del tutto
svincolata dagli eventuali rapporti tra terzo espromittente e debitore
espromesso185, che non si inseriscono nello schema causale del contratto di
cui si tratta186. In altri termini, sarebbe sulla base di tale connotato che il
meccanismo negoziale in parola andrebbe distinto rispetto alla delegazione e
all’accollo, nelle cui cause l’interesse dell’assuntore confluisce, nel senso
che se, per un verso, l’assunzione del debito altrui esaurisce il panorama
182
Cass. 27 ottobre 1965, n. 2267, in Rep. Foro it., 1965, voce Obbligazioni e
contratti, n. 400.
183
Una simile argomentazione non può che prendere le mosse dalla considerazione
che il contratto di espromissione trova la sua causa nell’assunzione del debito altrui. Così,
Cass. 13 dicembre 2003, n. 19118, in Contratti, 2004, 653, con commento di MICHETTI, La
causa del contratto di espromissione.
184
Cass. 10 novembre 2008, n. 26863, in Foro it., 2009, I, 1106, con nota di
CASORIA.
185
Cfr. Cass. 5 marzo 1973, n. 609, in Giust. civ., 1973, I, 941; Cass. 7 luglio
1976, n. 2525, in Foro it., 1977, I, 712.
186
G. GIACOBBE e D. GIACOBBE, Della delegazione, dell’espromissione e
dell’accollo, cit., 81.
115
effettuale dell’espromissione, peraltro, delegazione e accollo si prestano
anche a realizzare ulteriori e diversi risultati, rispetto ai quali l’assunzione
dell’altrui posizione debitoria rappresenta solo uno degli effetti187. Di qui
l’incidenza dell’assenza del rapporto obbligatorio sul profilo causale
dell’operazione
negoziale
in
parola
e,
per
tale
via,
l’invalidità
dell’espromissione avente a oggetto un debito futuro per difetto inerente a
quell’elemento essenziale.
187
Cfr. MICHETTI, La causa del contratto di espromissione, cit., 665 s.
116
2.5 Transazione e diritti futuri. L’obbligazione per il risarcimento dei
danni futuri
Un’ultima notazione, per quanto concerne l’indicazione delle ipotesi
dalle quali trarre gli argomenti e spunti necessari a prendere posizione sulla
problematica inerente alla determinabilità del negozio su credito futuro,
deve essere riservata alla fattispecie della transazione di cui agli artt. 1965
ss. cod. civ.
Anche in questo caso è stata da taluno affermata una generale
ammissibilità della figura della transazione avente a oggetto diritti futuri188
e, in via del tutto similare a molte delle ipotesi cui si è fatto riferimento nel
corso del presente capitolo, la soluzione positiva è stata argomentata sulla
scorta del più volte ricordato principio generale contenuto nell’art. 1348
cod. civ. circa la generale deducibilità in contratto della prestazione di cose
future.
L’opposta conclusione, invece, si fonda su di un approccio teso ad
analizzare il corretto significato del concetto di lite di cui al citato art. 1965,
che lo descrive in termini di rapporto tra pretesa e contestazione189. Nello
188
V., in tal senso, VALSECCHI, Il giuoco e la scommessa. La transazione, in
Trattato di dir. civ. e comm., già diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni,
XXXVII, t. 2, Milano, 1986, 311 s.
189
Art. 1965 cod. civ.:«La transazione è il contratto col quale le parti, facendosi
reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che
può sorgere tra loro.
117
specifico, è dato di rilevare come l’effettiva esistenza della situazione
giuridica soggettiva intorno alla quale la pretesa viene affermata svolga un
ruolo del tutto secondario non solo perché l’impulso alla transazione postula
la mera affermazione di un diritto a prescindere da quanto è oggettivamente
dovuto, ma, anche e soprattutto agli effetti che qui maggiormente
interessano, poiché il concetto di pretesa, e quindi di lite transigibile sulla
scorta della contestazione mossa da controparte, deve essere definito
mediante il ricorso a una visuale di tipo processualistico190. Se, infatti, la lite
di cui qui si discute può essere tanto giudiziale quanto extragiudiziale e, in
questo senso, la transazione è funzionale, rispettivamente, a porre fine alla
controversia giudiziale medesima ovvero a prevenirla, essa non può
prescindere dalla azionabilità della pretesa medesima, ossia dall’attualità
dell’interesse ad agire. Ciò in quanto, così come la mancanza di
quest’ultimo requisito impedisce di configurare una lite rilevante ex art.
1965, allo stesso modo vale a impedire che siffatta controversia possa essere
transatta, con la conseguenza che è da escludere che le parti possano
addivenire a una transazione con riguardo a situazioni future e ipotetiche,
quindi eventuali, stante, per l’appunto, l’assenza di un interesse attuale e, in
via consequenziale, la inammissibilità della domanda giudiziale che si
Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche
rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle
parti».
190
V. RUPERTO, Gli atti con funzione transattiva, Milano, 2002, 103 ss.
118
pretenda di fare valere in ipotesi di tal sorta191. Ulteriore corollario di quanto
precede è la nullità di un tale contratto di transazione per impossibilità
dell’oggetto, salvo il caso della conversione, se e in quanto ne ricorrano i
relativi presupposti, in altro negozio modificativo del rapporto di cui si
tratta192.
Ora, si tratta, innanzitutto, di rilevare quale dei due orientamenti
accennati sia da ritenere preferibile, anche e specialmente alla luce delle
conseguenze di una simile presa di posizione in relazione al concetto di
credito futuro da cui la presente trattazione ha inteso di potere prendere le
mosse, e, in secondo luogo, di analizzare l’incidenza dei dati ricavabili da
tale indagine sulla problematica relativa alla determinatezza del negozio su
credito futuro193.
Ebbene, è importante notare che il principio di cui all’art 1348 cod. civ.
vale certamente a costituire il presupposto della generale ammissibilità del
negozio su diritto futuro nell’ordinamento194, tuttavia, ed è questo il punto,
non si tratta di una regola insuscettibile di incorrere in deroghe, attesa la
possibilità, appalesata chiaramente dallo stesso tenore letterale della
disposizione in parola, che essa incontri «particolari divieti della legge».
Formula, quest’ultima, suscettibile di ricomprendere non soltanto le norme
191
GITTI, L’oggetto della transazione, Milano, 1999, 213.
192
Rapporto che, in ogni caso, non potrebbe essere considerato quale litigioso in
senso proprio. Così, GITTI, L’oggetto della transazione, cit. 214.
193
Aspetto, quest’ultimo, sul quale v., infra, § 3.4.
194
Sul punto, v., supra, § 1.1.
119
che esprimono una specifica preclusione nei confronti della deducibilità
della posizione futura, bensì anche i divieti desumibili dalle modalità di
perfezionamento o dalla funzione del contratto considerato195. Sulla base di
queste notazioni, è, quindi, la necessità di attribuire un significato tecnico al
concetto di pretesa idonea a fondare la lite giuridicamente rilevante di cui
all’art. 1965196, che rende del tutto preferibile la tesi che esclude la valida
deducibilità in transazione di un diritto futuro e eventuale, quindi ipotetico.
Tale conclusione, peraltro, risulta maggiormente in linea con la
definizione di credito futuro che ispira la presente analisi e con i confini tra
questo e situazioni giuridiche soggettive che future non possono essere
considerate in quanto derivanti da un titolo certamente in fase di
formazione, ma già approdato a uno stadio idoneo a consentire la
produzione di taluni effetti obbligatori di natura non semplicemente
prodromica197. Il che vale a ridimensionare la persuasività dell’indicazione
dei diritti condizionali e di quelli sottoposti a termine come altrettanti
esempi di transazione avente a oggetto diritti futuri198.
195
Cass. 3 febbraio 1994, n. 7831, cit.
196
Sulla necessità di prendere le mosse da una definizione tecnica del termine
“pretesa”, v. RUPERTO, Gli atti con funzione transattiva, cit., 103.
197
V., supra, §§ 1.4 e 1.5.
198
I diritti condizionali e quelli sottoposti a termine sono considerati esempi di
diritti futuri suscettibili di essere oggetto di transazione da VALSECCHI, Il giuoco e la
scommessa. La transazione, cit., 312.
120
A ulteriore conferma delle considerazioni dinanzi esposte è utile
prendere in esame il caso specifico dell’obbligazione risarcitoria per danni
futuri e la problematica riguardante la transigibilità delle liti a essa inerenti.
Appare, così, di sicura importanza, nell’economia della presente
indagine, ricordare come sia comunemente riconosciuta la risarcibilità di
quei danni, definiti futuri in quanto tali da esprimersi in un momento
successivo alla domanda di risarcimento del nocumento derivante dal fatto
illecito199, che siano conseguenza certa di questo200 o, comunque, siano ad
esso ricollegabili sulla base di un giudizio di regolarità causale201.
Ancora, e con riguardo specifico al contratto di transazione, la
risarcibilità dei danni che si manifestano successivamente alla conclusione
di essa e non prevedibili in quel momento non è esclusa dal riferimento
testuale del negozio transattivo anche ai danni futuri202.
Il panorama così delineato impone una riflessione sulla nozione di
credito futuro siccome riferita all’obbligazione risarcitoria sul piano,
segnatamente, della distinzione tra situazioni giuridiche soggettive
199
Ma è da ritenere che i termini della questione non siano diversi, per quello che
qui interessa, anche in relazione alle conseguenze dannose dell’inadempimento.
200
Cass. 4 febbraio 1992, n. 1147, in Foro it., 1992, I, 2127.
201
Cfr. Cass. 2 giugno 1992, n. 6676, in Giur. it., 1993, I, 1, 1308, con nota di
FABIANI; Cass. 3 aprile 2008, n. 8546, in Giust. civ.¸ Mass. 2008, 508.
V., anche, BIANCA, Diritto civile, 5, La responsabilità, Milano, 1994, 160, il quale
definisce futuri «quei danni di cui si prevede con ragionevole certezza il verificarsi in un
tempo successivo alla domanda di risarcimento o alla scadenza».
202
In questo senso, v. Cass. 31 maggio 2005, n. 11592, in Giust. civ., Mass. 2005,
5; Cass. 5 agosto 1997, n. 7215, in Giust. civ., Mass. 1997, 1334.
121
propriamente future e posizioni idonee già a denotare taluni tratti di attualità
e che, a questa stregua, vanno tenute separate dalle prime.
Se, infatti, la successiva manifestazione del nocumento è il dato che
accomuna tutte le ipotesi alle quali si è fatto cenno appena sopra, non può
sfuggire come sia il modo di atteggiarsi del nesso di causalità a
rappresentare il discrimen tra quei danni di cui può essere fondatamente
richiesto il ristoro e, inoltre, suscettibili di essere validamente dedotti in un
contratto di transazione, e quelle conseguenze pregiudizievoli di cui non può
essere richiesto il risarcimento, né transigibili in veste di danni futuri, in
quanto nel primo caso il nocumento è conseguenza necessaria o, comunque,
prevedibile dell’illecito commesso, laddove nelle ipotesi del secondo tipo il
medesimo giudizio di causalità non consente a siffatte voci di acquistare
rilevanza attuale ai fini risarcitori. Si tratta, in altri termini, di tenere ferma
anche rispetto all’obbligazione risarcitoria la definizione di credito futuro
quale posizione giuridica soggettiva derivante da un titolo non ancora
esistente in tutto o in parte e di potere porre un parallelo tra taluni crediti per
il risarcimento dei danni e quelle situazioni, di cui si è già detto203, di
controverso inquadramento e, rispetto alle quali, il particolare stato di
avanzamento del titolo costitutivo ne postula una considerazione
diversificata rispetto alle posizioni propriamente future, se non addirittura
quali attuali sul piano dell’efficacia giuridica obbligatoria.
203
V., supra, §§ 1.4. e 1.5.
122
In questo senso, il credito per il risarcimento dei danni causalmente
ricollegabili all’illecito con ragionevole certezza può essere considerato alla
stregua di credito futuro soltanto in maniera impropria, stante la rilevanza
meramente descrittiva che finirebbe per assumere tale dizione poiché
strumentale a segnalare il dato materiale della concretizzazione del
nocumento in un tempo successivo. Diversamente, il carattere della futurità
in senso stretto va ricollegato ai soli crediti per i danni non prevedibili al
momento della domanda di ristoro, poiché in quest’ultimo caso l’iter di
formazione della relativa obbligazione non ha ancora raggiunto, sul piano
precipuo dell’elemento del nesso di causalità, uno stadio sufficiente alla
produzione di effetti obbligatori. Di qui la impossibilità giuridica di
addivenire a una valida transazione rispetto a questi ultimi.
Ne risultano così confermate sia la necessità di un approccio tecnico ai
concetti di pretesa e di lite di cui all’art. 1965, sia la compatibilità tra siffatto
indirizzo e la nozione di credito futuro attorno alla quale si svolge la
presente indagine.
123
CAPITOLO III
I CREDITI FUTURI TRA VALIDITÀ ED
EFFICACIA DELL’ATTO
124
3.1 Oggetto del contratto e requisito della determinatezza.
Premesse generali e introduzione
La panoramica svolta nel capitolo che precede consente di notare
come la deduzione in contratto di un credito futuro generalmente importi la
problematica della validità dell’atto di cui si tratta sul piano della
determinatezza o della determinabilità dell’oggetto negoziale204. È questo un
punto di particolare rilevanza nell’economia della presente trattazione, in
quanto strumentale alla descrizione di quello che si è ritenuto di poter
definire come il confine remoto del fenomeno credito futuro, ossia il
minimun di consistenza che siffatta situazione soggettiva deve rivestire
affinché possa essere validamente dedotta in contratto. Non può sfuggire,
infatti, che dilatare la nozione in esame al di là del limite alla cui definizione
ci si appresta equivarrebbe a relegarla sul piano prettamente descrittivo,
svuotandola sul piano giuridico, salvo evidentemente l’argomento di
carattere negativo inerente alla invalidità dell’atto quale conseguenza della
indeterminatezza dell’oggetto, nella misura in cui finirebbe per aprire la
strada a una serie di ipotesi suscettibili di fondare tale conseguenza
invalidante. Se, in altri termini, il cosiddetto confine prossimo è strumentale
a segnare il limite tra il credito propriamente futuro e quello che tale non
può essere considerato poiché già idoneo a esprimere i tratti della attualità, il
discrimen in parola svolge il differente ruolo di selezionare, sempre
204
V., supra, cap. II.
125
beninteso nel quadro della futurità della posizione subiettiva, quei crediti
che, per caratteristiche intrinseche ovvero per sufficiente determinazione
delle parti, consentono al contratto che li abbia a oggetto di sfuggire alla
censura della nullità205.
Ma, prima di apprestarsi alla scioglimento di questo nodo, è bene
procedere per gradi e superare la problematica concernente i rapporti tra
l’art. 1348 e l’art. 1418 cod. civ., con particolare riguardo alla norma di cui
al secondo comma della seconda delle dette disposizioni206, la quale, nello
specifico, impone di affrontare la tematica dei crediti futuri anche in
relazione al vizio dell’inesistenza dell’oggetto. Ciò in quanto l’astratta
possibilità di considerare il negozio su credito futuro quale privo di oggetto
solleva la questione se non della nullità di esso, attesa la regola generale di
cui all’art. 1348, quantomeno della necessità di coordinare le due
disposizioni suddette, ossia il rapporto tra la conseguenza della nullità del
contratto per mancanza di uno dei requisiti essenziali, e segnatamente
205
La finalità che si persegue, tuttavia, non è quella di stilare una lista di connotati
idonei ad assicurare la determinabilità dell’oggetto (elencazione che non potrebbe che
essere incompleta), ma quella di rilevare come le differenti concezioni di oggetto del
contratto e di determinatezza di esso possono incidere sulla tematica inerente alla validità
del negozio su credito futuro.
206
Art. 1418 cod. civ.: «Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative,
salvo che la legge disponga diversamente.
Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall’art.
1325, l’illiceità della causa, l’illiceità dei motivi nel caso indicato dall’art. 1345 e la
mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’art. 1346.
Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge».
126
dell’oggetto, e l’ammissibilità del negozio su diritto futuro, e su credito
futuro nello specifico, con riguardo anche alle norme che ne prevedono
particolari ipotesi207.
Ora, anche senza volere nella presente sede affrontare l’articolato
panorama delle definizioni di oggetto del negozio giuridico che sono state
prospettate208, sia sufficiente rilevare come se il diritto può a giusto titolo
integrare gli estremi del bene in senso giuridico e quindi essere a sua volta
oggetto di un altro diritto209, la deduzione in contratto di un credito futuro
non può non inerire all’elemento obiettivo del negozio stesso, e ciò, come si
avrà occasione di notare in appresso, a prescindere da una considerazione di
esso in termini di bene o utilità ovvero di più ampio contenuto dell’atto, che
comunque quel bene o utilità vale a ricomprendere.
Sennonché, è altrettanto innegabile che la definizione di ciò che
debba intendersi per oggetto del contratto può spiegare importanti
conseguenze sul piano qualificatorio del negozio su diritto futuro,
quantomeno, come si rileverà, nel senso di rendere preferibile una piuttosto
che un’altra ricostruzione.
In questo senso, la identificazione dell’elemento obiettivo del
contratto col termine concreto e reale di incidenza degli effetti, ossia col
207
Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 208 s.
208
Sul tema, v., tra gli altri, ALPA, voce Oggetto del negozio giuridico, in Enc.
giur. Treccani, XXI, Roma, 1990, 1 ss.
209
V., in tal senso, ZENO-ZENCOVICH, Cosa, cit., 448.
127
bene, inteso prima quale cosa in senso stretto in quanto ancorato al dato
della materialità210 e poi, in un’ottica certamente più evolutiva, ritenuto
suscettibile di ricomprendere anche eventuali valori o utilità di natura
incorporale tali da costituire il punto di riferimento oggettivo degli interessi
al cui soddisfacimento il contratto è strumentale211, sembra importarne la
necessaria attualità al momento della conclusione del negozio, con la
conseguenza di porre in discussione la possibilità di ricostruire l’atto su
credito futuro come completo fin dall’inizio. Il che, inoltre, imporrebbe di
spostare l’attenzione decisamente sul profilo della attualità e sulla
giustificazione di un negozio a oggetto non attuale, prima ancora che sulla
determinatezza o determinabilità di quest’ultimo. E, in effetti, in dottrina
non si è mancato di discorrere intorno a un fenomeno di «inversione
dell’ordine cronologico di formazione degli atti giuridici in genere e dei
negozi giuridici in particolare», e di definire la fattispecie della vendita di
cosa futura alla stregua di
«negozio a consenso anticipato»212.
Segnatamente, sulla scorta della premessa che nella normalità dei casi taluni
degli elementi del negozio sussistono già prima della formazione del
210
Si tratta della impostazione più risalente poiché legata alla definizione di bene
rinvenibile all’art. 810 cod. civ. V. MESSINEO, voce Contratto (dir. priv.), in Enc. dir., IX,
Milano, 1961, 836, il quale definisce il bene quale «materia di trasferimento, di godimento
e simile».
211
Nell’ambito di questa concezione più ampia di bene c’è spazio anche per gli
stessi diritti di credito. Così, FERRI, Il negozio giuridico tra libertà e norma, Rimini, 1995,
177 s. e, specificamente, 178, nt. 205.
212
Così, RUBINO, La compravendita, cit., 178.
128
consenso e che tra quelli va ricompreso l’oggetto, attraverso la previsione di
cui all’art. 1348 il legislatore codicistico consentirebbe per l’appunto
l’inversione di tale ordine cronologico. Di qui la considerazione del
contratto su diritto futuro come negozio in corso di formazione213 ovvero
quale figura di carattere procedimentale che, al tempo considerato,
sconterebbe una incompletezza oggettiva214.
È pur vero che, in via astratta, la ricostruzione dell’oggetto come
termine reale e esterno (materiale o giuridico che sia) di riferimento del
negozio potrebbe essere compatibile anche con la diversa idea che il
negozio su credito futuro sia perfetto ab origine, ma, beninteso, nella misura
in cui si sostenga che «il concetto giuridico di oggetto del contratto sia stato,
dal legislatore, esteso non solo alle cose (o ai diritti) attuali, ma anche alle
cose (o ai diritti) in divenire, purché suscettibili di concretizzarsi»215.
Tuttavia, è la stessa previsione in via autonoma del requisito della
possibilità (art. 1346 cod. civ.) che pare suggerire una diversa ricostruzione
della nozione di oggetto del contratto, al fine così di recuperarne altrimenti
l’attualità.
Improntato, invece, a una ben maggiore logica di astrazione
concettuale è il diverso approccio che, pur senza negare che il termine cui
213
Si noti, peraltro, che il corso della formazione dovrebbe essere limitato al solo
requisito oggettivo, laddove il medesimo contratto andrebbe considerato già concluso per
quanto concerne l’elemento del consenso. Così, RUBINO, La compravendita, cit., 178.
214
Salv. ROMANO, Vendita, Contratto estimatorio, cit., 185.
215
Così, TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 226.
129
sono riferiti gli effetti giuridici del negozio sia da collocare all’esterno
dell’atto stesso, focalizza l’attenzione sul meccanismo attraverso il quale
siffatto termine riceve consacrazione nel negozio giuridico e trova
rappresentazione, beninteso sul piano ideale, nell’ambito del contenuto di
esso, ed è a questo secondo aspetto che si deve avere riguardo al fine della
definizione dell’oggetto negoziale. In quest’ottica, si segnalano sia
l’opinione che rintraccia nella previsione volitiva delle parti lo strumento
mediante il quale il termine esterno trova rappresentazione nel negozio e ne
costituisce l’oggetto216, sia l’indirizzo che individua tale ultimo requisito
nella rappresentazione programmatica del bene sul quale l’incidenza
effettuale è destinata a prodursi217.
Ebbene, vale la pena di rilevare come, spostata l’attenzione dalla
frazione di realtà materiale o ideale esterna al negozio alla rappresentazione
che di essa le parti fanno nel quadro del regolamento contrattuale, anche la
ricostruzione dell’atto su diritto futuro deve essere svolta in maniera diversa.
Più precisamente, il negozio contemplato in via generale nell’art. 1348 cod.
civ. non può essere definito in termini di incompletezza per ciò che
216
OPPO, Note sull’istituzione di non concepiti¸ in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948,
217
V. IRTI, voce Oggetto del negozio giuridico, in Noviss. dig. it., XI, Torino,
82 ss.
1975, 799 ss.; e ID., Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, Milano, 1967,
141.
Sulla importanza di questo indirizzo dottrinario agli effetti della tematica di cui
alla presente trattazione, v. anche, infra, §§ 3.2 e 3.4.
130
concerne il requisito obiettivo poiché è proprio la deduzione del bene futuro
che vale di per sé ad assicurare l’attualità dell’oggetto 218 e, per tale via, la
validità del negozio in parola. Che, poi, il termine esterno a quest’ultimo e
sul quale il mutamento giuridico voluto dalle parti sarà prodotto dalla norma
debba ancora venire in essere investe il diverso piano della efficacia 219, ma
non certamente quello della validità ovvero del perfezionamento del
negozio220.
Affermata, sulla scorta delle argomentazioni che precedono, la
completezza già ab initio e, quindi, la validità del negozio su credito futuro
sul piano della esistenza attuale dell’oggetto senza dovere effettuare alcun
tentativo di coordinare siffatta figura con le regole che sanciscono la nullità
del contratto per mancanza dell’oggetto, è ai requisiti che tale elemento
deve avere a norma dell’art. 1346 cod. civ. che può finalmente essere
dedicata l’indagine, con particolare riguardo a quello della determinatezza o
determinabilità che, come le ipotesi esemplificative sopra ricordate
denotano chiaramente221, mostra i maggiori aspetti di problematicità. Questi,
d’altra parte, risultano tanto più comprensibili, quanto maggiore sia la
218
BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 2000, 324.
219
Sul punto, v., infra, § 3.4.
220
Così, IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 805: «mentre nello stadio della
rilevanza il termine esterno interviene solo come punto di riferimento di una
rappresentazione, nello stadio dell’efficacia esso deve mostrarsi quale concreta entità
storica».
221
V., supra, cap. II.
131
considerazione di ciò che si innestano nel tronco di una categoria, quale è
quella della determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto, che,
anche al di fuori della particolare ipotesi del negozio su credito futuro, ha
dato vita ad applicazioni giurisprudenziali le quali, di volta in volta, hanno
piegato il requisito in esame a differenti fini, rendendolo funzionale al
perseguimento di ragioni ben diverse tra loro222.
Di qui, è agevole comprendere come lo svolgimento di una indagine
intorno all’atteggiarsi della determinatezza o determinabilità dell’oggetto
del negozio su credito futuro, alla quale sono dedicate le pagine che
seguono, rivesta una duplice rilevanza. Per un verso, infatti, si tratta di
evitare di caricare il requisito in parola di una ratio che non gli è propria e di
ricondurlo entro i giusti limiti. Per l’altro, logica conseguenza del punto che
precede è la definizione di quello che si è inteso di definire il confine
remoto del fenomeno credito futuro, ossia la problematica inerente alla
maggiore o minore consistenza che il medesimo deve rivestire affinché
possa essere validamente dedotto in contratto, in quanto non contrasti col
più volte ricordato canone della determinatezza o determinabilità
dell’oggetto negoziale.
222
La scarsa chiarezza della regola della nullità del contratto per indeterminatezza
o indeterminabilità dell’oggetto e il carattere equivoco di talune applicazioni
giurisprudenziali di essa sono rimarcati da ROPPO, Sugli usi giudiziali della categoria
«indeterminatezza/indeterminabilità dell’oggetto del contratto», e su una sua recente
applicazione a tutela di «contraenti deboli», nota a Pret. Genova, 27 settembre 1978, in
Giur. it., 1979, I, 2, 146 ss.
132
3.2 La determinatezza dell’oggetto quale requisito logico-formale
dell’atto
La prima delle impostazioni in ordine al problema della
determinatezza o determinabilità dell’oggetto contrattuale, alla quale qui si
intende fare riferimento, è quella che prende le mosse da un approccio di
carattere logico-formale, e quindi ideale, alla tematica inerente alla
definizione di cosa debba intendersi per oggetto del negozio giuridico.
Il riferimento, segnatamente, è a quella dottrina, cui si è già fatto
cenno223, che individua siffatta nozione nella rappresentazione che le parti
effettuano di quel termine esterno alla struttura del negozio sul quale
l’effetto giuridico è destinato a prodursi e che, per mezzo di questo processo
logico, si inserisce nel quadro del contenuto del negozio stesso224.
Tale impostazione, a ben vedere, si innesta nell’ambito di una
particolare visione del rapporto tra negozio giuridico, e quindi volontà delle
parti, da un lato, e norma, dall’altro, in relazione alla produzione
dell’effetto. Ricostruzione, quest’ultima, della quale è importante dare conto
nella presente sede per la rilevanza che essa finisce per spiegare sulla
ricostruzione del concetto di determinatezza e determinabilità dell’oggetto
223
224
V., supra, § 3.1.
V., in tal senso, IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 799 ss.; e ID.,
Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, cit., 123 ss.
133
del negozio su credito futuro, nonché sulla interpretazione di taluni dei dati
ricavabili dall’analisi delle fattispecie considerate225.
Punto di partenza fondamentale dell’orientamento in parola è
l’adozione di una prospettiva di carattere normativistico, secondo cui la
fonte dell’effetto giuridico va rintracciata nella norma, con la conseguenza
di dovere ridimensionare e meglio circoscrivere il ruolo svolto dalla
cosiddetta autonomia convenzionale dei singoli soggetti nel quadro del
meccanismo complessivo di produzione della modificazione portata
dall’effetto medesimo. È, così, nel solco dell’accennata tradizione giuridica
che si inserisce quell’orientamento che ha sottolineato come la regola posta
in essere dai privati per il tramite della conclusione del negozio non è
idonea, isolatamente considerata, a realizzare alcuna impegnatività sul piano
strettamente giuridico, potendo al più spiegare una portata vincolante a
livello di agire sociale, di correttezza, di buona fede o di costume. Qualora,
invece, si passi da questi ambiti, tutti peraltro accomunati dal connotato
della extragiuridicità, a quello più propriamente del diritto, si impone di
riconoscere efficacia vincolante alla sola norma giuridica, con la
conseguenza che è giocoforza riconoscere che la regola pattizia trae il
225
V., supra, cap. II.
134
carattere della obbligatorietà dalla norma medesima che prevede la relativa
fattispecie e ricollega a quest’ultima l’effetto giuridico226.
Sulla scorta di dette premesse, il processo di produzione dell’effetto
giuridico è stato ulteriormente specificato per mezzo della presa in esame
del ruolo svolto dal negozio giuridico nell’ambito di siffatto meccanismo.
La descrizione dell’oggetto negoziale quale rappresentazione ideale del
termine esterno di incidenza dell’effetto si lega inscindibilmente alla
constatazione di ciò che tra realtà, materiale o incorporale che sia, e obietto
non esiste una relazione di coincidenza, bensì la prima si trasforma in
elemento obiettivo ogni qualvolta a essa si riferisca il conoscere o il volere
umano, e, inoltre, risponde all’esigenza di rendere concreto quel punto di
incidenza dell’effetto giuridico che la norma descrive in via meramente
astratta e virtuale227. In altri termini, il ruolo svolto dal negozio giuridico è
quello di indirizzare l’effetto astrattamente previsto dalla norma verso un
dato termine concreto, cosicché se è vero, come dinanzi ricordato, che il
mutamento giuridico è realizzato sempre dalla norma in quanto fornita per
sua natura di energia innovatrice, va, tuttavia, tenuto ben presente che, senza
la necessaria intermediazione dell’atto negoziale, quell’efficacia non
potrebbe concretamente indirizzarsi né sul piano oggettivo né su quello
226
Cfr. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, rist. II ed., Napoli, 1994, 48
ss.; e, anche, FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, cit., 87 ss.; ALLARA,
Le nozioni fondamentali del diritto civile, I, Torino, 1958, 281.
227
IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 801 ss.
135
soggettivo, atteso che è proprio l’atto a riferirsi a una situazione giuridica
iniziale, individuata al fine precipuo di consentire che la norma produca su
di essa l’effetto astrattamente previsto, trasformandola in una nuova e
diversa situazione (rispettivamente, il profilo retrospettivo e prospettivo del
negozio)228.
Ancora, definito l’oggetto del contratto quale rappresentazione del
termine sul quale si dovrà indirizzare l’effetto giuridico dalla norma previsto
in via astratta e virtuale, esso finisce per appalesarsi quale contenuto stesso
dell’atto sotto forma di dichiarazione negoziale229.
Ora, è alla luce dell’insieme delle considerazioni di cui sopra che si
comprende come a un orientamento, quale è quello descritto, che si basa su
di un approccio di tipo formale e normativistico alla tematica del negozio
giuridico e del ruolo svolto da questo nell’ambito del processo di
produzione degli effetti giuridici, corrisponda una considerazione del
requisito della determinatezza o determinabilità dell’oggetto contrattuale
caratterizzata dai medesimi connotati. Si rileva, in questo senso, la
eterogeneità delle caratteristiche richieste dall’art. 1346 cod. civ., nel senso
che i tratti della possibilità e della liceità attengono direttamente al più volte
accennato dato esterno, sul quale la modificazione giuridica statuita dalla
228
Cfr. IRTI, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, cit., 123 ss.; e,
specificamente intorno alla necessità della predeterminazione del soggetto e dell’oggetto
affinché una conseguenza giuridica si produca, FALZEA, La condizione e gli elementi
dell’atto giuridico, cit., 156.
229
IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 803.
136
norma è indirizzata dalla previsione convenzionale, mentre il carattere della
determinatezza o determinabilità si riferisce alla rappresentazione di esso, id
est alla configurazione che le parti ne fanno nell’ambito del contenuto del
negozio230. In altri termini, se l’oggetto del negozio consiste nella
rappresentazione di un dato esterno alla struttura dell’atto stesso e se la
necessità di tale requisito risponde all’esigenza che esso abbia quella
completezza necessaria in mancanza della quale è da escludere che possa
prodursi alcuna modificazione giuridica poiché la previsione astratta
dell’effetto a livello normativo non avrebbe la possibilità di tradursi in
concreta incidenza su di un dato specifico in assenza della indicazione di
quest’ultimo, allora il requisito in parola deve rispondere all’esigenza di
consentire alla norma di spiegare la propria efficacia innovatrice attraverso
l’indicazione della situazione sulla quale essa deve incidere. Il che, vale la
pena di anticipare231, postula, per quanto più specificamente attiene al
discorso circa la validità dell’atto, la sufficienza della riferibilità del bene al
negozio
in
quanto
a
quest’ultimo
ascrivibile
sulla
scorta
della
rappresentazione pattizia ivi contenuta, nonché l’impossibilità di appesantire
la ratio del requisito in parola di significati ulteriori che, come tali, non gli
sono propri e il cui ingresso tra i parametri di valutazione del negozio deve
essere eventualmente realizzato per il tramite di altre categorie
dell’ordinamento giuridico.
230
IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 805.
231
Sul punto, v., infra, § 3.4.
137
L’insieme delle considerazioni dinanzi svolte consente, finalmente,
di appuntare l’attenzione sul negozio su diritto futuro, che qui interessa in
maniera precipua, per verificare come la deduzione in contratto di esso
incida sull’atteggiarsi dell’atto alla stregua delle categorie che lo riguardano.
La corrispondenza dell’oggetto del negozio con la descrizione del
termine esterno di incidenza degli effetti giuridici, come è stato già
notato232, autorizza a superare il vaglio della validità dell’atto sul piano della
esistenza dell’elemento obiettivo e la valutazione di determinatezza o
determinabilità deve essere svolta avuto riguardo alla funzione di tale
carattere delineata nelle pagine immediatamente precedenti. E ciò attiene
allo stadio della rilevanza, ossia al momento logico in cui la norma
riconosce la qualificazione di negozio giuridico a un determinato
accadimento storico che, di converso, là dove non rivestisse i previsti
caratteri, rimarrebbe relegato al piano meramente fattuale senza acquisire
giustappunto rilevanza per l’ordinamento233. Ne deriva, quindi, che,
operando quella rappresentazione sul piano ideale, la deduzione in contratto
di un bene giuridico futuro appare del tutto idonea a consentire al negozio di
superare il giudizio di validità in ordine all’elemento oggettivo, in quanto
232
V., supra, § 3.1.
233
Così, IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 800 e 805.
138
ciò che rileva non è l’esistenza del bene dedotto, bensì l’esistenza della
previsione di esso nella dichiarazione negoziale234.
Sennonché, si impone di notare come bene e rappresentazione di
esso siano fenomeni da non confondere: poiché il primo sta all’esterno della
struttura del negozio giuridico, il secondo è situato all’interno dell’atto;
ancora, perché la rappresentazione costituisce l’oggetto del negozio,
laddove il bene indicato è oggetto del rapporto; poiché, infine, la descrittiva
del termine esterno appartiene alla fase della formazione dell’atto e, quindi,
della rilevanza, mentre il bene attiene al diverso momento della efficacia235.
L’aspetto discretivo da ultimo sottolineato è di particolare importanza
nell’economia della presente trattazione poiché consente di isolare la fase in
cui la futurità del bene giuridico dedotto in contratto (il credito futuro per
quello che qui interessa) rileva. Se, infatti, l’esistenza del termine di
riferimento non è necessaria al fine della validità dell’atto, diversamente,
nello stadio dell’efficacia la sua venuta a esistenza è imprescindibile, atteso
che l’innovazione giuridica non può realizzarsi che su un oggetto (del
rapporto) che sia attuale236.
Le premesse ricostruttive svolte nel corso del presente paragrafo
offrono, infine, l’occasione di distinguere il concetto di determinatezza da
234
V. AURICCHIO, La simulazione nel negozio giuridico, Napoli, 1957, 201.
Osserva IRTI, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, cit., 138: «L’ambito
della previsione non si restringe all’esistente, ma abbraccia anche il possibile».
235
IRTI, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, cit., 140 ss.
236
IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 805.
139
quello di determinabilità dell’oggetto del negozio su credito futuro e su
diritto futuro più in generale.
È stato affermato, infatti, che, con riguardo alla deduzione di un
credito futuro, si impone di esprimersi in termini di determinabilità e non di
determinatezza. La scelta in tal senso è dettata, anch’essa, dalla funzione che
si è inteso di potere attribuire al requisito in esame, nel senso che, se questa
va rintracciata nella indicazione del termine concreto di riferimento
dell’efficacia giuridica, allora di determinazione può parlarsi solo in
relazione all’esistente, laddove un dato non ancora venuto a esistenza
obbliga a esprimersi in termini di determinabilità237.
237
Tuttavia, se, da un lato, l’esistente può essere tanto determinato quanto
determinabile, a seconda, rispettivamente, che la individuazione di esso sia svolta
dall’autore del negozio ovvero devoluta a una fonte esterna, dall’altro, ciò che non esiste
ancora non può che essere determinabile. V., in tal senso, IRTI, Disposizione testamentaria
rimessa all’arbitrio altrui, cit., 218 s. Nel senso che rispetto a una cosa o a un diritto
inesistente si ha soltanto determinabilità, v., anche, RUBINO, La fattispecie e gli effetti
giuridici preliminari, cit., 405 s. Cfr., altresì, VITUCCI, I profili della conclusione del
contratto, Milano, 1968, 231: «la determinatezza deve sussistere solo al momento
dell’efficacia del contratto, per essere necessaria non alla formazione, ma alla realizzazione
di esso».
Contra, invece, OPPO, Note sull’istituzione di non concepiti, cit., 96, nt. 92,
secondo cui la determinabilità non è implicita nella inesistenza attuale e nella necessità
della individuazione. Segnatamente, ogni qualvolta il criterio di determinazione
convenzionalmente previsto sia già attualmente sufficiente a stabilire quale sarà la cosa o la
persona, con la conseguenza che il fatto successivo opera solo ed esclusivamente sulla
esistenza, può parimenti parlarsi di determinatezza. Ne deriva che il concetto di
determinabilità, secondo l’Autore, va limitato alle sole ipotesi in cui l’atto non basti al fine
sopra indicato e, quindi, il fatto successivo svolga un ruolo anche sul piano della
individuazione del termine di riferimento.
140
3.3 La determinatezza dell’oggetto quale presidio a tutela delle
parti contraenti
L’orientamento sopra ricordato238 in tema di determinatezza
dell’oggetto negoziale risponde all’esigenza di assicurare la completezza
strutturale dell’atto per il tramite della raffigurazione del termine interessato
dall’effetto innovatore che le parti intendono procurare.
Vale, tuttavia, la pena di ricordare che affianco al detto indirizzo, che
si è inteso di poter definire logico-formale in quanto incentrato su di una
visione per l’appunto smaterializzante del concetto di oggetto del contratto
cui quel requisito si riferisce, è possibile individuarne un altro teso a
valorizzare, già sul piano della validità del negozio giuridico, la idoneità
della determinatezza a esprimere una ratio ulteriore e differente. In questo
senso, dall’esigenza di concretezza dell’atto contrattuale sottesa al dato della
determinatezza è stato fatto derivare il ruolo strumentale di questa rispetto
alla diversa esigenza che le parti contraenti abbiano cognizione
dell’impegno che le stesse assumono attraverso la conclusione del
contratto239. Cognizione
che, più
precisamente, si
distacca dalla
rappresentazione ideale dei termini oggettivi o soggettivi ai quali
l’operazione negoziale si rivolge, per acquistare i connotati della
consapevolezza dei contorni essenziali della portata impegnativa del
negozio, intesa alla stregua di mezzo strumentale a scongiurare «le insidie
238
V., supra, § 3.2.
239
Cfr. BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto, cit., 327.
141
naturalmente annidantisi in pattuizioni vaghe ed indefinite»240, ossia posto a
tutela di un contraente avverso eventuali abusi della controparte241, che
potrebbero essere agevolati dalla presenza di accordi dai contorni incerti o
vaghi, comunque inidonei a circoscrivere la portata impegnativa del
contratto all’interno di apprezzabili margini di prevedibilità242.
È pur vero che non è mancata l’affermazione di una compatibilità tra
il riconoscimento di una funzione di tutela delle parti contraenti in capo al
requisito della determinatezza o determinabilità dell’oggetto e la visione
normativistica che ricollega il ruolo di fonte degli effetti giuridici
esclusivamente alla norma relegando il negozio alla indicazione del termine
concreto di incidenza di essi243. Nonostante, infatti, si ammetta che la
pretesa di ricollegare all’anzidetto requisito il soddisfacimento dell’esigenza
di assicurare alle parti la prevedibilità dell’impegno che le medesime
assumono si innesti più agevolmente nel tronco di una visione che esalti
maggiormente il ruolo giocato dalla volontà dei contraenti e dall’autonomia
240
Così, CARINGELLA, L’accollo di debiti futuri torna all’attenzione della
Suprema Corte, cit., 336.
241
In ordine alla funzione di tutela di una parte avverso il pericolo di
determinazioni unilaterali a opera dell’altra, v. ROPPO, Fideiussione “omnibus”:
valutazioni critiche e spunti propositivi, cit., 147.
242
Pongono l’accento sul criterio della prevedibilità dell’impegno, come idoneo a
informare il requisito della determinabilità dell’oggetto, TROIANO, La cessione di crediti
futuri, cit., 297 ss.; GRANA, Determinabilità dell’oggetto e giudizio di buona fede nella
fideiussione omnibus, in Contr. impr., 1985, 758. Cfr., anche, SACCO e DE NOVA, Il
contratto, t. 2, in Trattato di dir. civ., diretto da Sacco, Torino, 2004, 119.
243
Su tale orientamento, v., supra, § 3.2.
142
convenzionale che essi esprimono mediante la predisposizione del
regolamento pattizio nel quadro del meccanismo di produzione degli effetti
giuridici, si è notato come, da un lato, potrebbe dirsi che, ferma restando la
produzione dell’effetto da parte della norma, quest’ultima non possa che
ricollegarlo a una espressione di volontà che sia sufficientemente
consapevole e informata, così come, dall’altro, l’esigenza di evitare la
genericità del contenuto negoziale non è incompatibile con la riconduzione
dell’efficacia alla volontà delle parti244. Al riguardo, è certamente da
riconoscere che l’interesse a evitare la vaghezza delle pattuizioni è
trasversale a entrambi gli indirizzi in esame, ma, ed è questo il punto,
l’informare il requisito della determinatezza dell’uno piuttosto che dell’altro
degli anzidetti significati incide in maniera decisiva sui confini della
eventuale censura di genericità dell’oggetto e, quindi, delle obbligazioni
assunte, con la conseguenza che quest’ultima rischierebbe di restare un
limite di sicura meritevolezza in via astratta, bensì dai contorni piuttosto
sfumati nella misura in cui essa non venga analizzata sotto la lente di uno
specifico approccio ricostruttivo intorno alla teoria del negozio giuridico e,
segnatamente, dell’oggetto di questo, in rapporto alla volontà che le parti ivi
esprimono. Nel medesimo ordine di idee, che l’ordinamento tuteli la
genuinità della volizione non è revocabile in dubbio, tuttavia situare siffatta
istanza di protezione sul piano della determinatezza dell’oggetto, e quindi
244
Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 296 s.
143
della nullità dell’atto, postula già una presa di posizione in ordine alla ratio
generale riconducibile al detto requisito, senza, però, che le premesse di
partenza lo consentano per ciò solo.
In ogni caso, la tesi della determinatezza o determinabilità
dell’oggetto quale limite all’impegno delle parti sulla scorta di un parametro
di prevedibilità è stata fondata sulle seguenti argomentazioni, che traggono
spunto da alcune delle fattispecie in cui la deduzione di un credito futuro è
piuttosto frequente o, comunque, ha sensibilmente stimolato la riflessione al
riguardo di dottrina e giurisprudenza.
La prima attenzione viene generalmente rivolta all’ipotesi della
cessione di crediti futuri, con particolare riguardo all’evoluzione delle
soluzioni elaborate a livello giurisprudenziale245. Nello specifico, l’esigenza
di assicurare la prevedibilità entro margini di sufficiente approssimazione è
stata rilevata, innanzitutto, nell’adozione per lungo tempo del più volte
ricordato limite del cosiddetto rapporto di base, ossia della presenza attuale
del titolo costitutivo del diritto della cui disposizione si tratta246. La
medesima finalità è stata intravista anche negli sviluppi successivi della
giurisprudenza in materia, nel senso che, nonostante il riconoscimento della
valida cedibilità anche dei diritti di credito sperati ed eventuali in quanto
derivanti da fonti anch’esse future, è stato parimenti sottolineato il
245
Sul punto, v., supra, § 2.1.
246
V. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 297 ss.
144
riferimento della Suprema Corte alla presenza di ben precisi elementi di
determinabilità delle ragioni creditorie trasferite247.
Ma è in relazione alla fideiussione con clausola omnibus248 che
l’indirizzo in parola ha ritenuto di potere rintracciare le argomentazioni
maggiormente incisive al fine di rilevare un’esigenza di tutela delle parti
contraenti sottesa alla previsione della necessaria determinatezza o
determinabilità dell’oggetto.
Con rinvio a quanto già sottolineato intorno ai contrasti
giurisprudenziali e alle posizioni dottrinarie che hanno caratterizzato
l’emersione e la successiva evoluzione di tale figura negoziale249, la prima
attenzione viene appuntata sulla ratio di tutela del garante sottesa a
quell’indirizzo che, in contrasto con l’orientamento della Corte di
Cassazione, ha rilevato come il meccanismo della determinazione per
relationem dell’obbligazione gravante sul fideiussore omnibus non potrebbe
ritenersi idoneo ad assicurare il rispetto dell’art. 1346 cod. civ. sul piano
specifico del requisito di cui qui si tratta. Ciò in quanto la mera riferibilità
delle future obbligazioni al contratto costitutivo della garanzia personale
247
V. Cass. 8 maggio 1990, n. 4040, cit., ove è stata esclusa la nullità della
cessione per indeterminatezza, attesa la presenza, nel caso di specie, di elementi diversi dal
rapporto genetico di base, ma ritenuti ugualmente suscettibili di scongiurare la conseguenza
della invalidità. Si trattava dell’ammontare del credito, della indicazione del debitore ceduto
e del tempo entro cui il credito sarebbe venuto presumibilmente a esistenza.
248
In ordine alla fideiussione prestata a garanzia di crediti futuri e alla fideiussione
con clausola omnibus, v., supra, § 2.3.
249
V., supra, § 2.3.
145
non consente, secondo il presente punto di vista, alcuna preventiva
valutazione dell’impegno che graverà effettivamente sul fideiussore
universale. Il che, per l’appunto, postula una presa di posizione in ordine al
dato della determinatezza o determinabilità del contratto che, a questa
stregua, non è da intendersi quale semplice requisito di completezza
dell’atto, bensì va riempito di ulteriore e più ampio significato per il tramite
del canone della prevedibilità della reale portata che il vincolo obbligatorio
del fideiussore universale andrà ad assumere nel corso dello svolgimento del
rapporto250.
Anche dal consolidato e tradizionale orientamento della Corte di
Cassazione nel senso della validità della fideiussione omnibus, la tesi in
esame ha ritenuto di potere trarre argomenti da porre a fondamento della
ricostruzione
del
requisito
della
determinatezza
o
determinabilità
dell’oggetto del contratto su bene futuro quale presidio a tutela della parti
contraenti secondo canoni di prevedibilità degli effettivi contorni della
prestazione che sarà successivamente dovuta. Considerazioni che,
segnatamente, si muovono in due direzioni e convergono nell’esaltazione
250
Con rinvio sempre a quanto detto, supra, § 2.3., cfr., tra gli altri, BIANCA,
Diritto civile, 5, La responsabilità, cit., 487; STOLFI, In tema di fideiussione per debiti
futuri, cit., 234, che rileva l’importanza che le parti indichino quantomeno il titolo o i titoli
da cui potranno derivare le obbligazioni garantite, al fine di assicurare la determinatezza
attuale del vincolo assunto dal fideiussore universale.
In giurisprudenza, cfr. Trib. Savona, 28 marzo 1988, in Nuova giur. civ. comm.,
1989, I, 39.
146
dell’anzidetto criterio di valutazione dell’obbligo assunto dal garante
universale.
In primo luogo, l’analisi è stata rivolta all’indirizzo costantemente
affermato dalla giurisprudenza di legittimità e favorevole alla validità della
fideiussione con clausola omnibus per rilevare come, anche nell’ambito di
tali pronunce, l’esigenza di rendere prevedibile l’impegno gravante sul
fideiussore è sottesa all’indicazione di una serie di indici di determinabilità
della prestazione dovuta, quali la natura di essa, l’individuazione delle parti
del rapporto principale e della loro qualità, l’appartenenza delle operazioni
al panorama di quelle rientranti nell’attività bancaria secondo criteri di
normalità251.
Medesimo approccio, e si tratta del secondo degli accennati ordini di
considerazioni, è stato riservato ai più recenti sviluppi della giurisprudenza
di legittimità nella tematica de qua.
Il riferimento è, fermo quanto più diffusamente si dirà in appresso
sul punto252, alla dissociazione tra il piano della validità della fattispecie in
parola, che non viene nemmeno in questo caso posto in discussione, e quello
dello svolgimento successivo del rapporto di garanzia, attraverso cui si è
inteso di localizzare le istanze di sostanziale protezione del contraente da
251
TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 300.
Per una più compiuta descrizione dell’indirizzo giurisprudenziale e dottrinario
favorevole fin dall’inizio alla validità del contratto di fideiussione universale, v., supra, §
2.3.
252
V., infra, § 3.4.
147
incognite e potenziali condotte arbitrarie tenute da controparte nell’ambito
della fase propriamente esecutiva. Per il tramite, infatti, del giudizio di
buona fede ex artt. 1175 e 1375 cod. civ.253, il comportamento dell’istituto
di credito successivo alla costituzione del rapporto di garanzia viene
sottoposto al vaglio del suddetto parametro di correttezza al fine di
sanzionare, come regola di responsabilità, quei comportamenti da ritenere
scorretti e, a questa stregua, di circoscrivere gli effettivi confini
dell’obbligazione di garanzia gravante sul fideiussore universale254. Sia
sufficiente, per il momento, rilevare come l’accento sia stato posto proprio
sull’anzidetta ratio di protezione dell’obbligato dinanzi a eventuali
comportamenti scorretti perpetrati dalla banca allo scopo o, comunque,
prestando affidamento sulla tendenziale comprensività della garanzia
personale rilasciata a favore di essa255.
Un’ultima notazione è stata dedicata alla novella dell’art. 1938 cod.
civ. realizzata con legge n. 154 del 1992, che, come ricordato, ha introdotto
253
Art. 1175 cod. civ.: «Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le
regole della correttezza».
Art. 1375 cod. civ.: «Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede».
254
In relazione a tale più recente orientamento, v., tra le altre, Cass. 18 luglio
1989, n. 3362, in Foro it., 1989, I, 2750, con note di DI MAJO, La fideiussione “omnibus” e
il limite della buona fede, e di MARICONDA, Fideiussione “omnibus” e principio di buona
fede.
Per una più attenta analisi dell’indirizzo accennato, nell’ottica della problematica
inerente alla determinabilità dell’oggetto del negozio su credito futuro, e per ulteriori
riferimenti di dottrina e giurisprudenza, v., infra, § 3.4.
255
Cfr. TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 300 ss.
148
il limite della previsione dell’importo massimo garantito nella fideiussione
per obbligazioni future. Vale la pena di rimarcare come quest’ultimo
assunto spieghi rilevanza, agli effetti dell’orientamento in commento, non
solo e non tanto nella misura in cui il detto limite venga ricondotto al profilo
dell’oggetto del contratto256, quanto, anche e soprattutto, per la ritenuta
possibilità di trarre una indicazione decisiva nel senso della scelta del
legislatore codicistico di attribuire al requisito della determinatezza o
determinabilità dell’oggetto la più volte ricordata funzione di tutela,
anticipandola dal momento dello svolgimento del rapporto negoziale a
quello della valida formazione del contratto257.
256
Con la conseguenza della nullità della fideiussione prestata senza indicazione
del limite massimo dell’esposizione debitoria per mancanza nell’oggetto dei requisiti di cui
all’art. 1346 cod. civ. (art. 1418, secondo comma, cod. civ.). Così, GIUSTI, La fideiussione e
il mandato di credito, cit., 168.
257
V., in tal senso, TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 303 s.
149
3.4 La determinabilità del negozio su credito futuro alla luce dei
dati derivanti dai diversi ambiti di fattispecie. Riconduzione a unità delle
soluzioni elaborate
L’excursus dinanzi svolto in ordine sia all’atteggiarsi di talune
particolari fattispecie in quanto abbiano a oggetto crediti futuri258 che ai
principali orientamenti in tema di determinatezza o determinabilità
dell’oggetto del contratto259 consente finalmente di prendere posizione sulla
problematica inerente all’incidenza sul negozio della deduzione di un
credito futuro e, per tale via, di meglio definire i contorni del fenomeno in
esame alla stregua del cosiddetto confine remoto. Sotto quest’ultimo punto
di vista, infatti, il limite ultimo di siffatta posizione soggettiva è quello oltre
il quale esso non può più validamente integrare gli estremi di oggetto
dell’atto che lo riguarda, salvo, evidentemente, la rilevanza meramente
negativa sottesa a un giudizio di nullità per indeterminatezza.
È bene, quindi, procedere per gradi e dedicare la prima attenzione
allo scioglimento del nodo attinente al significato da attribuire al requisito
della determinatezza dell’oggetto e, in questo senso, appare di sicura utilità
svolgere la presente indagine sulla scorta degli elementi di valutazione
offerti dalle fattispecie applicative già prese in esame.
In via di prima approssimazione, è innegabile che l’adozione del
punto di vista teso a individuare nel requisito della determinatezza o
258
V., supra, cap. II.
259
V., supra, §§ 3.2 e 3.3.
150
determinabilità un presidio a tutela delle parti contraenti, poiché strumentale
ad assicurare la consapevolezza della portata dell’impegno assunto secondo
un parametro di prevedibilità, postula una maggiore articolazione nella
descrizione dell’oggetto negoziale. Ciò in quanto il pericolo di condotte
arbitrarie, se non addirittura fraudolente, del creditore in danno della parte
obbligata è inversamente proporzionale al numero dei margini ritenuti
sufficienti a tenere ferma la validità del negozio in relazione all’elemento in
parola. Là dove, di converso, la determinatezza sia da considerare quale
preordinata alla sola indicazione del bene sul quale gli effetti giuridici
devono prodursi, può concludersi nel senso della minore quantità di
indicazioni necessarie, atteso che, come si avrà modo di sottolineare260, le
istanze di tutela del debitore possono essere collocate diversamente e,
quindi, soddisfatte per il tramite di altri istituti dell’ordinamento.
Tanto basta, per il momento, al fine di condurre l’analisi intorno alla
figura della cessione di crediti futuri e al contratto di factoring, nel cui
ambito il meccanismo traslativo svolge di certo un ruolo preponderante.
Come è stato già puntualizzato261, l’evoluzione giurisprudenziale in
materia si è sviluppata, dietro peraltro la spinta delle sollecitazioni rivolte
dalla dottrina, nel senso del superamento della tradizionale teoria del
cosiddetto rapporto di base. Prescindendo da una più approfondita presa in
260
V., infra, § 3.5.
261
V., supra, §§ 2.1 e 2.2.
151
esame di tali orientamenti262, sia sufficiente rammentare come l’ancorare la
validità della cessione alla necessaria attualità del titolo costitutivo del
credito della cui disposizione si trattava e il diretto collegamento tra
quest’ultimo presupposto e la determinatezza dell’elemento obbiettivo del
negozio giuridico finivano per disegnare una quadro di particolare rigidità,
nella misura in cui la futurità riferita non solo alla posizione soggettiva
ceduta, bensì anche alla fonte costitutiva di essa, avrebbe importato la
nullità del negozio di cessione per indeterminabilità dell’oggetto.
È in un simile quadro che si inserisce però un duplice ordine di
considerazioni.
In primo luogo, si rivolga l’attenzione all’abbandono di tale
approccio per mezzo dell’affermazione della valida cedibilità anche dei
crediti sperati e, quindi eventuali263. Tale apertura, infatti, è passata
attraverso l’esplicita esclusione del contrasto tra la cessione di una
situazione giuridica soggettiva che abbia gli anzidetti connotati e la
consistenza oggettiva imposta al negozio dall’art. 1346 cod. civ., atteso che,
pur senza negare che l’attualità del rapporto di base possa assurgere al ruolo
262
In ordine all’evoluzione giurisprudenziale in tema di cessione di crediti futuri,
v., supra, § 2.1.
263
Cass. 8 maggio 1990, n. 4040, cit.
In ordine alla fluidità che a tutt’oggi caratterizza il trattamento delle cessioni di
crediti futuri in relazione al requisito della presenza attuale del rapporto di base e che
impedisce di affermare il superamento in toto del tradizionale approccio giurisprudenziale,
v., supra, § 2.1.
152
di criterio di determinabilità dell’oggetto del contratto, la Suprema Corte ha
ritenuto che siffatto ruolo possa essere parimenti svolto da ulteriori
circostanze suscettibili di realizzarlo a prescindere dalla fonte genetica. Non
è chi non veda come, nel passaggio dalla necessità alla mera eventualità del
carattere attuale del rapporto di base, si afferma una svolta di grande
importanza agli effetti della tematica che qui interessa 264, poiché il minimum
del requisito della determinabilità viene spostato ben più in là rispetto
all’indirizzo maggiormente datato e tradizionale, con risultati di certo
estensivi per ciò che concerne la portata generale da riconoscere alla figura
del credito futuro quanto al ventaglio delle situazioni potenzialmente
ricomprese.
Ma
non
è
certamente
possibile
arrestarsi
alle
anzidette
considerazioni, dato che l’allentamento della originaria rigidità fornisce un
argomento di sicura utilità e che pare suggerire già l’adozione di una
ricostruzione del requisito della determinabilità piuttosto che dell’altro,
tuttavia non decisivo. Basti pensare, infatti, che l’affievolimento
dell’iniziale
contenuto
di
un
supposto
presidio
non
comporta
necessariamente il venire meno del ruolo di protezione che allo stesso viene
ricollegato.
264
Vale la pena di rilevare, peraltro, come il superamento della necessità del
rapporto di base importi apprezzabili conseguenze anche sul piano della distinzione tra
crediti propriamente futuri e diritti cui non si ritiene di potere riconoscere tale connotato in
quanto la derivazione da un rapporto in corso di svolgimento ne consente la più agevole
descrizione in termini di mera inesigibilità.
153
Si inserisce così, e si tratta del secondo ordine di valutazioni cui si
accennava appena sopra, nel quadro della presente questione la tematica
concernente lo schema negoziale del factoring, da prendere in esame con
riguardo sia alla disciplina nazionale dettata in tema di cessione di crediti di
impresa, che a quella internazionale rivolta alla regolamentazione delle
operazioni di tal sorta che abbiano carattere transfrontaliero.
L’analisi va riferita alla norma di cui all’art. 3 della legge n. 52 del
1991 per notare, innanzitutto, il superamento anche nell’ambito di
applicazione della disciplina ivi contenuta della teoria del rapporto di base,
stante la valida cedibilità dei crediti già prima della conclusione dei contratti
da cui essi deriveranno.
Inoltre, si impone di tornare nuovamente sulla problematica
riguardante l’interpretazione delle disposizioni di cui ai commi terzo e
quarto del medesimo articolo265, atteso che da più parti è stato sostenuto che
i limiti costituiti dal periodo biennale per la stipulazione dei detti contratti e
dalla indicazione del debitore ceduto, anziché integrare altrettanti requisiti
di determinabilità della cessione di crediti futuri di impresa, sono
strumentali alla applicazione del particolare meccanismo di opponibilità di
essa previsto a norma del successivo art. 5266, con la conseguenza che la
265
266
Sul punto, più diffusamente, v., supra, § 2.2.
V., in tal senso, CIAN, Legge 21 febbraio 1991, n. 52. Disciplina della cessione
dei crediti di impresa, cit., 252 s.; e anche FERRARI, Il factoring internazionale. Commento
alla Convenzione Unidroit sul Factoring Internazionale, cit., 200 s. Cfr., altresì, DOLMETTA
154
mancata osservanza di essi non produce alcuna conseguenza in termini di
nullità, parziale ovvero totale, del contratto, bensì la mera inapplicabilità
della disciplina speciale sul punto, in favore di quella comune di cui all’art.
1265 cod. civ.
Ma è la disciplina in materia di factoring internazionale di cui alla
Convenzione Unidroit di Ottawa del 28 maggio 1988, ratificata in Italia con
legge 14 luglio 1993, n. 260, il cui art. 5 prende in espressa considerazione
la cessione di crediti futuri, a offrire spunti decisivi in ordine alla
problematica della ricostruzione del significato da attribuire al requisito
essenziale della determinabilità dell’oggetto. La mera riferibilità del credito
futuro ceduto (ma, del resto, la medesima norma si applica anche alle
cessioni di crediti presenti) al contratto, da potersi valutare anche al
momento della nascita di essi e non necessariamente al tempo precedente
della conclusione del negozio traslativo, che vale a escludere la sanzione
della invalidità, è un vincolo certamente più elastico anche rispetto a quanto
previsto della legge nazionale appena sopra ricordata267 e che, ai fini che qui
e PORTALE, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, cit., 90,
che se, da un lato, riconducono il limite temporale dei ventiquattro mesi al ruolo di
requisito per l’applicazione dell’accennato meccanismo semplificato di opponibilità ai terzi
della cessione, dall’altro descrivono il dato della indicazione del debitore ceduto alla
stregua di presunzione di determinatezza dell’oggetto.
267
In ordine alla maggiore ampiezza delle soluzioni introdotte dalla Convenzione
di Ottawa rispetto a quelle di cui alla legge italiana sulla cessione dei crediti di impresa, v.
ZACCARIA, Il factoring internazionale, cit., 9.
155
interessano più nello specifico, pare maggiormente compatibile con una
visione dell’oggetto del contratto, e del relativo carattere della
determinatezza o determinabilità, inteso quale descrizione formale del bene
destinatario degli effetti giuridici della cui produzione si tratta. Peraltro,
impostando la questione in termini diametralmente opposti, non si
comprenderebbe come un requisito di validità ampio come quello della
riferibilità al contratto possa essere conciliato con una supposta ratio di
tutela della parte cedente. E, infatti, anche quell’indirizzo che ritiene
preferibile tale ultima conclusione è costretto a riconoscere, in linea
generale, l’ampiezza del ricordato carattere della riferibilità, perché
suscettibile di essere soddisfatto da un qualsivoglia criterio oggettivo ovvero
soggettivo che consenta di porre la situazione giuridica ceduta in relazione
col negozio di cessione, salvo, tuttavia, ridimensionarne la portata sulla
scorta della considerazione dell’ambito di applicazione della Convenzione
di Ottawa. Segnatamente, attesa l’applicabilità della disciplina ivi contenuta
ai (soli) contratti di factoring aventi a oggetto cessioni di crediti derivanti da
compravendita di merci o prestazione di servizi che abbiano carattere
transfrontaliero, siffatta delimitazione dell’ambito applicativo andrebbe
considerata alla stregua di criterio normativo di determinazione dell’oggetto
del contratto integrativo della volontà delle parti268. Sennonché, l’argomento
da ultimo accennato non pare decisivo non solo e non tanto perché il campo
268
Così, TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 357.
156
di applicazione della disciplina internazionale non sembra definito in
un’ottica di particolare limitatezza, bensì, anche e soprattutto, in quanto
passa
attraverso
un’estensione
dei
confini
dell’elemento
della
determinatezza dell’oggetto negoziale eccessiva, avuto riguardo al rapporto
tra norma giuridica e autonomia convenzionale. È dato di ribadire, in questo
senso, come non si possa sfuggire dalla necessità di tenere distinto il piano
della previsione legale della fattispecie da quello della raffigurazione
dell’oggetto a opera dei contraenti, ove, più precisamente, l’autonomia
convenzionale non può che esplicarsi, anche in ordine alla individuazione
del concreto termine di riferimento degli effetti giuridici, all’interno dei
confini segnati dalla norma, che, beninteso, hanno riguardo alla rilevanza
del fatto considerato, e non alla anticipazione del giudizio di validità intorno
a un elemento, quale è quello obbiettivo, che sono le parti a riempire di
contenuto nel momento del passaggio dalla sfera della descrizione
normativa generale e astratta a quella della efficacia, intesa nel senso
proprio della idoneità del negozio alla produzione di effetti giuridici.
Nella
medesima
direzione
conduce
l’analisi
intorno
alla
determinabilità della fideiussione con clausola omnibus, che, peraltro,
rappresenta la figura sulla quale la teoria della determinatezza quale presidio
a protezione delle parti contraenti focalizza particolarmente l’attenzione.
L’esame, peraltro, non si limita alle censure tradizionalmente mosse
da una parte della dottrina e della giurisprudenza nei confronti della validità
157
della presente garanzia personale sul ben noto piano della pretesa
indeterminabilità269, ma si estende anche all’orientamento giurisprudenziale,
inaugurato dalla Suprema Corte con una serie di pronunce del 1989270, al
quale, quindi, è utile fare riferimento in questa sede.
Nell’economia del tema di indagine di cui qui si tratta, è di
fondamentale importanza (nonché sufficiente) rimarcare ciò che l’effettiva
portata dello strumento di garanzia in parola è stata ridimensionata
prescindendo da ogni considerazione in ordine alla validità di esso, che, di
converso, è stata ribadita sulla scorta del costante riferimento al meccanismo
della determinabilità per relationem271. Fermo restando, così, tale ultimo
assunto, sono state sottratte dalla responsabilità del fideiussore generale
quelle obbligazioni derivanti da anticipazioni effettuate dall’istituto di
credito in violazione dei canoni di correttezza e buona fede di cui agli artt.
1175 e 1375 cod. civ. L’analisi, impostata nei termini che precedono, si
sposta dal campo della validità del meccanismo negoziale in parola a quello
269
In tema, v., supra, § 2.3.
Inoltre, v., in senso particolarmente critico nei riguardi della clausola omnibus,
SIMONETTO, La fideiussione prestata da privati, Padova, 1985, 142 s.
270
Cfr. Cass. 18 luglio 1989, n. 3362, cit.; Cass. 20 luglio 1989, n. 3385, e Cass.
20 luglio 1989, n. 3386, in Foro it., 1989, I, 3100 ss., con nota di MARICONDA,
Fideiussione «omnibus» e principio di buona fede: la Cassazione a confronto; Cass. 20
luglio 1989, n. 3387, in Corriere giur., 1989, 1085, con nota di CARBONE.
271
Cfr., supra, § 2.3.
158
della esecuzione e dello svolgimento del rapporto che ne deriva272, nel senso
di escludere dalla copertura offerta dalla garanzia fideiussoria quelle
obbligazioni derivanti da anticipazioni poste in essere dalla banca quale
esplicazione fraudolenta dell’attività creditizia poiché sorrette dal proposito
di recare pregiudizio (con conseguente opponibilità della exceptio doli dal
parte del fideiussore273) o, comunque, contrarie alla diligenza e alla
correttezza imposta dal dovere di salvaguardia che vincola ciascuno dei
contraenti ad assicurare l’utilità dell’altro nei limiti in cui ciò non comporti
un apprezzabile sacrificio del proprio interesse274. Di certo consapevole
della necessità di offrire una guarentigia a protezione del garante e della
possibilità di individuare siffatta tutela nel requisito della prevedibilità
dell’impegno gravante su questo, la ricordata giurisprudenza di legittimità –
272
Cfr. DI MAJO, La fideiussione «omnibus» e il limite della buona fede, cit., 2756,
il quale, peraltro, ricollega la necessaria attinenza del canone della buone fede alla fase
dello svolgimento del rapporto negoziale allo stesso tenore letterale della disposizione di
cui all’art. 1375 cod. civ., nonché alla relativa collocazione sistematica, ossia sotto il capo
dedicato agli effetti del contratto.
273
V., in tal senso, Cass. 18 marzo 1991, n. 2890, in Giur. it., 1992, I, 1, 282, con
nota di VALLE, Controllo giudiziale della fideiussione «omnibus» (buona fede e correttezza
nell’integrazione contrattuale e nell’esecuzione del rapporto); in Dir. fall., 1991, II, 236,
con nota di DEL CORE, Fideiussione omnibus e fallimento.
In generale sulla exceptio doli generalis, v., tra gli altri, DOLMETTA, Exceptio doli
generalis, in Banca, borsa e tit. cred., 1998, I, 147 ss.; e RANIERI, voce Eccezione di dolo
generale, in Dig. disc. priv., sez. civ., VII, Torino, 1991, 311 ss.
274
V. Cass. 18 luglio 1989, n. 3362, cit. Cfr., anche, Cass. 5 gennaio 1966, n. 89,
in Foro it., Rep. 1966, voce Obbligazioni e contratti, n. 171; e Cass. 15 marzo 1991, n.
2790, in Foro it., 1991, I, 2060.
159
ed è questo il punto che qui preme sottolineare – situa tale discorso nella
fase propriamente esecutiva del rapporto fideiussorio, investendo non la
valutazione preventiva del meccanismo in esame in punto di validità, ma
l’efficacia della copertura rispetto alle obbligazioni potenzialmente
suscettibili di rientrarvi275.
Ne deriva la necessità di liberare il requisito della determinabilità
dell’oggetto del contratto su credito futuro dalla ratio di protezione del
soggetto obbligato, data la estraneità di essa alla sfera della validità dell’atto
considerato.
È pur vero che è stato rilevato in dottrina come i due piani della
validità per determinatezza o determinabilità e della efficacia del vincolo
costituito siano interdipendenti poiché entrambi finalizzati a delimitare
l’oggetto dell’impegno, sì da potere ritenere il vaglio alla luce del canone
della buona fede quale criterio successivo di determinazione276, e come
l’accennata svolta giurisprudenziale valga, in ogni caso, ad attestare che
l’esigenza di protezione di una parte nei confronti di eventuali condotte
fraudolente perpetrate dall’altra deve superare i limiti di una concezione
logico-formale del requisito della determinabilità277. Ciò nondimeno,
275
276
Cfr. Cass. 18 luglio 1989, n. 3362, cit.; e Cass. 20 luglio 1989, n. 3386, cit.
Cfr. NIGRO, Corretto esercizio del credito e fideiussione «omnibus», in
Fideiussione omnibus e buona fede, a cura di Munari, Milano, 1992, 102; e CANTILLO, La
buona fede nella fideiussione «omnibus» secondo l’attuale orientamento della Corte di
Cassazione, ivi, 59 e 63.
277
Così, TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 302 s.
160
entrambi gli argomenti da ultimo accennati non paiono consentire sic et
simpliciter l’accoglimento dell’indirizzo teso ad attribuire all’anzidetto
requisito obbiettivo del contratto la funzione di baluardo a tutela della parte
obbligata in quanto strumentale alla delimitazione dell’impegno assunto.
Quanto al primo, infatti, non si disconosce che tanto la determinabilità
quanto il giudizio di buona fede incidano sulla portata quantitativa
dell’obbligazione di garanzia gravante sul fideiussore universale, ma
quest’affermazione sarebbe destinata a rimanere enunciazione del tutto
generale e meramente descrittiva qualora non fosse accompagnata dalla
constatazione che oggetto del negozio e oggetto del rapporto sono concetti
che vanno tenuti distinti. E questa differenziazione investe non solo
l’aspetto contenutistico di ciascuna nozione, poiché il primo coincide con la
prefigurazione ideale del bene in contratto (si pensi alla rappresentazione
dell’obbligazione di garanzia, futura in quanto dipendente dalla successiva
costituzione dell’obbligazione principale) e il secondo consiste invece nel
bene stesso, ma, altresì, il piano all’interno del quale ciascuno di essi è
chiamato a operare. Ciò in quanto quella prefigurazione pattizia, come tale
finalizzata ad assicurare la completezza strutturale dell’atto, incide sulla
validità di esso, mentre la considerazione del rapporto entra in gioco in un
momento successivo, quello dello svolgimento del medesimo, nel quale
l’attenzione deve essere appuntata sul diverso profilo della portata
161
effettuale, id est dell’efficacia, di un accordo di per sé valido278. In ordine,
invece, al secondo degli accennati argomenti, teso a sottolineare
l’insufficienza della ricostruzione formale del requisito della determinabilità
ai fini di assicurare la tutela della parte obbligata avverso eventuali abusi di
controparte, esso appare profondamente influenzato dalla presa di posizione
a priori sul punto del significato da riconoscere al detto connotato, atteso
che il riconoscimento giurisprudenziale di un’esigenza di protezione del
contraente non impone di localizzare la stessa a quel livello, potendo
ugualmente trovare collocazione in altra sede.
Né, peraltro, il riferimento al limite della correttezza e buona fede,
inteso alla stregua di «norma di ordine pubblico, sovraordinata ai poteri
dispositivi delle parti»279, può consentire di ricondurre nuovamente
l’indagine all’interno dei binari della validità della fattispecie. In disparte,
infatti, la considerazione di ciò che, sulla scorta della natura imperativa che
sarebbe da riconoscere alla regola in questione, si tratterebbe pur sempre di
nullità virtuale, e non di un’ipotesi di indeterminatezza o indeterminabilità
dell’oggetto, è stata comunque affermata l’attinenza del giudizio di buona
fede alla fase della esecuzione del rapporto e, quindi, allo stadio
dell’efficacia, con esclusione della incidenza di esso sulla stessa esistenza
278
V. Cass. 18 luglio 1989, n. 3362, cit.
In dottrina, per la distinzione tra oggetto del negozio e oggetto del rapporto e per
l’attinenza del primo alla materia della fattispecie e del secondo a quella degli effetti, v.
IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 804.
279
Così, Cass. 20 luglio 1989, n. 3386, cit.
162
dell’obbligazione280. E, del resto, è proprio nel senso della riconduzione
della problematica alla sfera dell’inefficacia, in luogo della nullità, che la
giurisprudenza in parola ha interpretato il riferimento ai casi in cui «la legge
disponga diversamente», contenuto nell’art. 1418, comma primo, cod.
civ.281.
Non depongono in senso contrario alla ricostruzione della
determinabilità dell’oggetto quale requisito logico-formale di completezza
strutturale del negozio giuridico, ma, al contrario, consentono di ricondurre
il sistema descritto a unità nell’ottica della norma di cui all’art. 1348 cod.
civ., neppure le ulteriori fattispecie sopra esaminate282, rispetto alle quali si
è giunti a delle conclusioni maggiormente restrittive in ordine alla
280
Ne deriva che la rilevanza della clausola di buona fede può esplicarsi o nel
senso della efficacia costitutiva della responsabilità per danni, ovvero della efficacia
estintiva dell’impegno fondato su di una condotta fraudolenta o, comunque, scorretta di
controparte. Cfr. MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. critica dir.
priv., 1986, 9; e MARICONDA, Fideiussione «omnibus» e principio di buona fede: la
Cassazione a confronto, cit., 3105.
281
V., in questo senso, Cass. 20 luglio 1989, n. 3385, cit., che giunge all’anzidetta
conclusione per il tramite dell’accostamento tra l’anticipazione bancaria, successiva alla
prestazione di fideiussione per crediti futuri, ma effettuata in mancanza della speciale
autorizzazione di cui all’art. 1956 cod. civ. (che, infatti, prevede la conseguenza della
liberazione del garante e non della invalidità della sua obbligazione accessoria), e
l’anticipazione di credito contraria al canone della buona fede, seppure posta in essere sulla
scorta di una clausola in deroga al meccanismo della preventiva autorizzazione sopra
ricordato.
282
V., supra, §§ 2.4 e 2.5.
163
deducibilità in esse di un credito futuro che, beninteso, non traggono
fondamento dalla considerazione dell’elemento obiettivo del contratto.
Si volga lo sguardo, in questo senso, alle cosiddette modificazioni
del soggetto passivo dell’obbligazione283 per rammentare la descritta
diversità delle soluzioni adottate in tema di delegazione e di espromissione
in quanto riferite a un credito futuro. Se, infatti, l’indirizzo negativo della
validità della espromissione avente a oggetto un credito futuro si fonda su
considerazioni attinenti al profilo causale della fattispecie considerata 284, il
diverso indirizzo affermatosi in ordine alla delegazione, a una più attenta
analisi, pare giustificarsi secondo il medesimo punto di vista. È appena il
caso di ricordare che quest’ultimo, rispetto all’ipotesi della espromissione,
manifesta di certo una maggiore elasticità, stante l’ammissibilità della
delegazione di crediti futuri, ridimensionata, tuttavia, dalla affermata
necessità della sussistenza dei rapporti sottostanti al momento successivo
della scadenza e dal riferimento a situazioni collegate allo svolgimento di
rapporti già in atto al tempo della costituzione del rapporto delegatorio285.
Ora, fermo restando che l’indagine deve indirizzata alla futurità del rapporto
di valuta dato che la delegazione può essere anche realizzata allo
283
Sulle quali, v., supra, § 2.4.
284
V., in quest’ottica, Cass. 10 novembre 2008, n. 26863, cit., ove la Suprema
Corte focalizza l’esame sul profilo attinente all’an del debito, prescindendo dal quantum del
relativo ammontare. Cfr., anche, Cass. 13 dicembre 2003, n. 19118, cit.
285
Cass. 19 maggio 2004, n. 9470, cit.
164
scoperto286, si ritiene di potere evidenziare come la soluzione affermatasi sul
piano giurisprudenziale sia coerente con l’analisi del suddetto meccanismo
negoziale quanto al profilo causale, e non dei requisiti dell’oggetto. Sia,
infatti, che l’approccio al fenomeno delegatorio venga svolto secondo un
punto di vista unitario, teso a esaltare l’incontro, rectius la convergenza,
trilaterale delle volontà delle parti e quindi la funzione unitaria di quello, sia
che la fattispecie in parola subisca una scomposizione in tante funzioni
quanti sono i rapporti sottostanti, che valgono a descrivere i motivi
dell’operazione ma non a informare la causa della stessa poiché sarebbero
da ravvisare tante cause quanti sono gli interessi sottesi ai rapporti
sottostanti287, i termini della questione di cui alla presente trattazione non
paiono cambiare in maniera apprezzabile. La rilevanza dei rapporti
sottostanti, da considerare il fondamento dell’indirizzo giurisprudenziale
che ne impone la attualità al momento della scadenza e comunque il
collegamento con rapporti già in corso di svolgimento al tempo della
delegazione, si lega all’elemento causale dell’operazione sia che in essa si
voglia riscontrare una funzione autonoma e unitaria, sia che si preferisca
286
Sulla eventualità che il delegato non sia legato al delegante da un preesistente
rapporto obbligatorio, ben potendo il primo volere porre in essere un atto di liberalità nei
confronti del secondo, ovvero essere previsto un corrispettivo per l’assunzione
dell’obbligazione, v. MANCINI, La delegazione, l’espromissione e l’accollo, in Trattato di
dir. priv., diretto da Rescigno, 9, Obbligazioni e contratti, I, Torino, 1999, 488.
287
Per la descrizione delle due teorie in materia di delegazione e dell’incidenza
delle medesime sul profilo causale di essa, v. BIANCA, Diritto civile, 4, L’obbligazione,
Milano, 1993, 637 ss.
165
isolare tanti profili funzionali quanti sono i negozi sottesi al meccanismo
delegatorio. Così come, in altri termini, si nega l’ammissibilità della
espromissione di debito futuro poiché la causa di tale fattispecie viene
generalmente rintracciata nell’assunzione della posizione debitoria altrui288,
allo stesso modo, i limiti apposti alla delegazione avente a oggetto un
credito futuro, consistenti nella necessaria attualità del rapporto sottostante
al momento successivo della scadenza e in una considerazione in fieri del
diritto futuro, si giustificano alla luce della rilevanza, parimenti causale,
degli interessi sottesi, a prescindere dalla idoneità di questi ultimi a integrare
una causa unitaria dell’operazione negoziale di cui si tratta ovvero dalla
necessità di riferire ciascuno di essi a uno specifico negozio giuridico.
Un’ultima notazione deve essere riferita alla fattispecie della
transazione289, per ricordare come la migliore interpretazione del concetto di
lite di cui all’art. 1965 cod. civ. imponga di escludere la valida deduzione in
un contratto di transazione di diritti futuri ed eventuali, quindi ipotetici290.
Di qui, la nullità di un siffatto negozio per impossibilità giuridica
dell’oggetto291, a prescindere da ogni considerazione in ordine alla
determinabilità di esso.
288
Cfr. G. GIACOBBE e D. GIACOBBE, Della delegazione, dell’espromissione e
dell’accollo, cit., 80.
289
V., più diffusamente, supra, § 2.5.
290
Cfr. RUPERTO, Gli atti con funzione transattiva, cit., 103 ss.; e GITTI, L’oggetto
della transazione, cit., 213.
291
GITTI, L’oggetto della transazione, cit., 214.
166
Si delinea, così, la possibilità di ricondurre a unità il sistema
descritto secondo la logica sottesa alla norma di cui all’art. 1348 cod. civ.
Più
nello
specifico,
sia
consentito
sottolineare
come
il
riconoscimento generale dell’ammissibilità del negozio su diritto futuro sia
mitigato dal riferimento a «particolari divieti di legge». Espressione,
quest’ultima, idonea a ricomprendere non solo le preclusioni espressamente
previste (si pensi al caso della donazione a norma dell’art. 771 cod. civ.), ma
anche i divieti desumibili dalle modalità di perfezionamento ovvero dalla
funzione del contratto considerato292.
Ora, sulla base di quanto precede, se, da un lato, la logica di
progressiva estensione dei margini di ammissibilità della cessione di crediti
futuri e l’affermazione della validità della fideiussione universale paiono
proprio rispondere alla ratio generale che informa la disposizione accennata,
dall’altro, le preclusioni anzidette inerenti all’espromissione e alla
transazione si giustificano nel quadro di quei particolari divieti di legge, che,
nelle ipotesi in parola, attengono, rispettivamente, al profilo funzionale del
contratto e alla possibilità dell’oggetto dello stesso.
292
Cfr. Cass. 3 febbraio 1994, n. 7831, cit.
167
3.5 Conclusioni sul confine “remoto” del fenomeno credito futuro:
la validità e l’efficacia del negozio su credito futuro nell’ottica della
determinatezza quale requisito logico-formale
L’insieme dei dati raccolti e delle considerazioni svolte consente di
prendere posizione in ordine alla problematica di quello che si è ritenuto di
potere definire il confine remoto del credito futuro293.
Giova ricordare, al riguardo, che se il limite cosiddetto prossimo
segna la demarcazione tra la situazione soggettiva propriamente futura e
quella che, per caratteristiche sue intrinseche, non è da ritenere tale in
quanto, seppure con diversa intensità a seconda dei casi, manifesta spiccati
tratti di attualità294, di converso, il discrimen di cui qui si tratta investe la
presa in esame dei connotati che il credito futuro deve rivestire per poter
essere validamente dedotto in contratto. Il che passa attraverso la
considerazione dell’incidenza del carattere futuro della situazione giuridica
soggettiva sull’elemento dell’oggetto negoziale, con particolare, ma non
esclusivo295, riguardo al connotato della determinatezza o determinabilità, la
cui analisi, per i motivi anzidetti, riveste particolare importanza
nell’economia generale della presente trattazione.
293
In relazione ai confini del fenomeno credito futuro, v., supra, § 1.3.
294
Su tali ipotesi, v., supra, §§ 1.4, 1.5 e 1.6.
295
V., infra, in questo §.
168
La disamina dell’atteggiarsi di una serie di fattispecie nel momento
in cui esse abbiano a oggetto un credito futuro296 ha favorito l’emersione di
un duplice ordine di valutazioni.
In primo luogo, il tendenziale affrancamento della tematica da talune
strettoie che sono state storicamente fondate sull’anzidetto requisito della
determinatezza fornisce un primo decisivo argomento nel senso di
accogliere una ricostruzione di carattere logico-formale del medesimo,
atteso che l’attribuzione a esso di una diversa ratio, segnatamente nel senso
della protezione della parte obbligata avverso eventuali condotte di
controparte tese a procurare un’estensione dell’impegno gravante sulla
prima oltre i limiti della preventiva prevedibilità, sarebbe maggiormente
compatibile con un approccio tendente a restringere i margini di
determinabilità del negozio su credito futuro. Ciò in quanto la
rappresentazione ideale del bene giuridico, idonea ad assicurare la
completezza strutturale ab initio del contratto, consente di spostare
l’incidenza della deduzione in atto di un credito futuro su di un piano
diverso da quello della validità. In buona sostanza, la distinzione tra oggetto
del negozio e oggetto del rapporto impone di canalizzare il discorso intorno
alla categoria della efficacia per sottolineare come la futurità del credito
incida sulla nascita di una data situazione effettuale e, quindi, operi a livello
di rapporto e non di fattispecie, la cui determinabilità è assicurata dalla
296
V., supra, cap. II.
169
prefigurazione ideale che le parti fanno nell’ambito del contenuto del
contratto concluso297.
Quanto precede, beninteso, non equivale a disconoscere che
l’ordinamento possa farsi carico di apprestare idonea tutela della parte
obbligata nei confronti del pericolo di abusi da parte del creditore. Tuttavia,
siffatto ruolo di protezione non sembra connotato proprio del requisito della
determinabilità298, ossia caratteristica minima ed essenziale di esso, bensì,
piuttosto,
si
è
dinanzi
a
un’esigenza
suscettibile
di
riguardare
trasversalmente diversi istituti dell’ordinamento. Il più recente orientamento
giurisprudenziale in tema di fideiussione omnibus, come detto299, offre
interessanti spunti di riflessione in tal senso, mediante il ruolo strumentale
svolto dal principio di buona fede e correttezza al fine di limitare la portata
effettivamente impegnativa dell’obbligazione di garanzia. Non si ignora di
certo che, talvolta, una ratio di tutela del contraente debole possa informare
lo stesso istituto della validità (è il caso, ad esempio, della annullabilità per
297
Cfr. IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 805; e, anche, SCOGNAMIGLIO,
Dei contratti in generale, cit., 371.
298
Cfr.
ROPPO,
Sugli
usi
giudiziali
della
categoria
«indeterminatezza/indeterminabilità dell’oggetto del contratto», e su una recente
applicazione a tutela di «contraenti deboli», cit., 148 s., che, peraltro, distingue la funzione
di garantire la serietà del volere dall’esigenza di tutelare una parte nei confronti di eventuali
comportamenti vessatori dell’altra, e, in particolar modo, affermata la residualità di
quest’ultima, sottolinea come alla prima finalità possa attendersi mediante altri strumenti
del diritto dei contratti (come le regole sulla formazione dello stesso), meglio di quanto
consenta l’istituto della indeterminabilità dell’oggetto.
299
V., supra, § 3.4.
170
dolo o per violenza psichica, ovvero delle forme della cosiddetta nullità di
protezione), ma riconoscere come talune ipotesi di invalidità possano
sottintendere l’anzidetto significato non può valere a informarne lo schema
generale a tal punto da far assurgere questo aspetto a funzione propria e
caratteristica di esse. Con particolare riguardo alla determinabilità
dell’oggetto del negozio su credito futuro, che qui interessa in maniera
precipua, si pensi alla introduzione del limite dell’importo massimo
garantito per la fideiussione prestata a garanzia di obbligazioni future ex art.
1938 cod. civ.300. Che esso vada riferito all’oggetto del presente contratto di
garanzia è dato generalmente accolto301, così come è stata sottolineata
l’attinenza di questa necessaria indicazione al panorama dei criteri di
determinabilità dell’oggetto del negozio nell’ottica della protezione del
fideiussore generale secondo criteri tesi ad assicurare la prevedibilità della
prestazione dovuta302. Ciò nondimeno, non si ritiene possa essere revocata
in dubbio l’anzidetta trasversalità, né dimostrata una diversa ratio sottesa al
più volte ricordato elemento obbiettivo, se solo si tenga in debita
considerazione ciò che la previsione convenzionale di un importo massimo
di gran lunga superiore all’ammontare delle somme che il creditore ritiene
di erogare, da un lato, finirebbe per disattendere l’esigenza di tutela del
garante, e, dall’altro, potrebbe consentire la riemersione di quel giudizio di
300
V., supra, § 2.3.
301
Cfr. GIUSTI, La fideiussione e il mandato di credito, cit., 168.
302
TROIANO, La cessione di crediti futuri, cit., 303 s.
171
correttezza e buona fede svolto sulla fase esecutiva del rapporto, e non su
quella antecedente della formazione del vincolo.
Né, peraltro, la norma di cui all’art. 1348 cod. civ. consente di
esaltare il ruolo svolto dalla determinatezza o determinabilità dell’oggetto,
atteso che il carattere futuro e non attuale di questo impone di porre siffatta
eventualità in correlazione diretta col diverso requisito della possibilità303.
Ancora, e si tratta del secondo ordine di considerazioni cui sopra si
accennava, è il caso di notare come la futurità del credito trova di nuovo nel
panorama effettuale il limite proprio e necessario di esso. Così come, infatti,
è la presa in esame dell’efficacia del titolo costitutivo a offrire dati decisivi
al fine di sciogliere il nodo inerente al carattere futuro ovvero attuale di
talune situazioni giuridiche soggettive (si pensi ai crediti sospensivamente
condizionati e a quelli sottoposti a termine304), è, parimenti, attraverso la
303
Secondo GABRIELLI, L’oggetto del contratto, cit., 157, la norma in parola
costituisce «un doppione, da un lato, del requisito di validità (la possibilità) già indicato
nell’art. 1346 c.c.; dall’altro, del contenuto precettivo negativo delle norme (ad es. artt. 458
e 771 c.c.) disseminate nel sistema che, con riguardo a particolari ipotesi, precludono di
impegnarsi per il futuro». Continua l’Autore: «La portata dell’art. 1348 c.c. non appare
infatti possa essere estesa oltre il ristretto ambito espressamente delineato dalla lettura della
norma medesima, e consistente nella possibilità di una cosa futura, quale prestazione
dedotta in contratto. È dunque alla disciplina dell’impossibilità dell’oggetto che va
ricondotto il significato normativo dell’art. 1348 c.c.».
304
Sulla esclusione di tali posizioni soggettive dal novero di quelle propriamente
future, v., supra, §§ 1.4 e 1.5.
172
inidoneità del titolo alla produzione effettuale, e non per il tramite della
invalidità di esso, che si sanziona la inattualità del bene giuridico305.
Che poi taluni effetti, segnatamente obbligatori306, possano essere
anticipati a un momento precedente la venuta in essere del termine futuro di
riferimento non vale a mutare i termini della questione attinente alla
distinzione tra situazioni soggettive future e posizioni che tali non possono
essere considerate, poiché un simile fenomeno di produzione effettuale si
giustifica alla luce di caratteri interni al negozio su credito futuro
considerato nel caso specifico, che, quindi, non riguardano la fonte genetica
dello stesso, bensì il diverso titolo mediante il quale di quel diritto si
dispone o che, comunque, lo ha a oggetto. E, sull’altro versante, neppure
incide sulla inefficacia del negozio su credito futuro nei termini di cui si è
detto, dato che siffatta preclusione alla produzione di effetti giuridici deve
essere riferita a quelli direttamente dipendenti e influenzati dalla futurità del
credito.
305
La idealità della prefigurazione del bene, sufficiente ad assicurare la validità
nello stadio della rilevanza, non può valere, altresì, a consentire la produzione degli effetti
giuridici rispetto a un termine che non abbia il connotato della storicità. V., in tal senso,
IRTI, Oggetto del negozio giuridico, cit., 805.
306
Si pensi all’ipotesi della cessione di crediti futuri, alla quale, a fronte della
inefficacia reale fintanto che il diritto ceduto non venga a esistenza, possono essere
ricollegati effetti di natura obbligatoria.
173
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