LILLIAN HELLMAN
Lillian Hellman (1905-1984) è una delle più importanti scrittrici americane del secolo scorso, molto
attenta al sociale. Come moglie di Dashiell Hammett
fu perseguitata durante il Maccartismo. Cresce tra New
Orleans e New York, studia alla NYU e alla Columbia,
lavora con il pubblicitario Horace Liveright, recensisce
libri per il “New York Herald Tribune”, pubblica articoli
e storie, lavora come press-agent per il teatro.
Ottiene il suo primo successo all’età di ventisette
anni con l’opera “The Children’s Hour”, che debutta a
Broadway nel 1934 e va in scena per oltre settecento
repliche. Tre anni più tardi, con tre sceneggiature e una
commedia a Broadway: “Days to Come”, viene invitata a presenziare al Festival di Teatro di Mosca. Conosciamo bene il suo viaggio attraverso la Germania nazista, grazie alla storia del film “Julia”. Prima di raggiungere la Russia, vive per un pò in Francia e va in Spagna, dove è testimone del bombardamento di Valencia e Madrid, durante la guerra civile che andava avanti da un anno. “Watch on the Rhine” fu scritto, provato e messo in scena sul palcoscenico di Broadway già nell’aprile del 1941, nove mesi prima che
l’America dichiarasse guerra e si muovesse in difesa degli alleati.
Nel periodo tra la sua permanenza in Europa e la prima di “Watch on the Rhine”, la Hellman scrive “Le Piccole Volpi”, probabilmente la sua opera più conosciuta e rappresentata, che va in scena
per la prima volta nel 1939 al National Theatre di New York con un enorme successo. Il dramma è
incentrato sulla scaltrezza, crudeltà e arroganza di una famiglia del profondo Sud; ricatto, tradimento e avidità sono alla˘ base del tentativo della famiglia Hubbard di impiantare un’industria di cotone.
Nel 1946 scrive e fa la regia di “Another Part of the Forest” che racconta degli inizi della famiglia
Hubbard, conosciuta già in “Le Piccole Volpi”. Scrive poi “The Autumn Garden” (1951), “Toys in the
Attic” (1960) vincitore per il miglior testo del NY Drama Critics Circle Award, “My Mother, My Father
and Me” (1963); alcuni adattamenti teatrali come “Montserrat” (1949), “The Lark” (1955), e il libretto per il musical “Candide” (1956) in collaborazione con Leonard Bernstein, Richard Wilbur,
John La Touche e Dorothy Parker.
Tra il 1935 e il 1946 scrive, occasionalmente, anche delle sceneggiature per il cinema, inclusa
quella di “Le piccole volpi” da cui il famoso film con Bette Davis, regia di William Whyler. Ha curato l’edizione de “The Letters of Chekhov” e “The Big Knockover” di Dashiell Hammett. Scrive tre volumi autobiografici “The Unfinished Woman” (1969), “Pentimento” (1973), “Scoundrel Time”
(1976). Le ultime sue opere sono “Maybe” del 1980, e “Together” scritto insieme a Peter Feibleman nel 1982.
La Compagnia Stabile del Teatro Ghione
ILEANA GHIONE
con (in ordine alfabetico)
HAROLD BRADLEY
MICO CUNDARI
MASSIMO DI MICHELE
FELICITE’MBEZELE
CLAUDIO PUGLISI
ELISABETTA CARTA
MAURIZIO DI CARMINE
PIERGIORGIO FASOLO
GIADA PRANDI
in
“LE PICCOLE
VOLPI”
“Distruggete le volpi,
le piccole volpi che
devastano i vigneti i
nostri vigneti dai
teneri grappoli...”
di
Lillian Hellman trad. Lea Danesi
Personaggi
Interpreti
Oscar Hubbard
Ben Hubbard
Regina Hubbard
Birdie, moglie di Oscar
Leo, figlio di Oscar e Birdie
Orazio Giddens, marito di Regina
Alessandra Giddens, figlia di Regina e Orazio
Sig. Marshall, uomo d’affari di Chicago
Addie, serva
Cal, servo
CLAUDIO PUGLISI
MICO CUNDARI
ILEANA GHIONE
ELISABETTA CARTA
MASSIMO DI MICHELE
PIERGIORGIO FASOLO
GIADA PRANDI
MAURIZIO DI CARMINE
FELICITE’MBEZELE
HAROLD BRADLEY
regia
GIUSEPPE VENETUCCI
costumi e arredamenti scenici
CABIRIA D’AGOSTINO
direttore di scena MARIA CATTANI direttore tecnico e luci MICHELE LERRO
fonico AYMAN TREIFI macchinista REMO BUDA sarta TIZIANA TOZZI
sartoria G.P. 11 calzature ARDITI foto di scena TOMMASO LE PERA
“Le Piccole Volpi” di Lillian Hellman largamente acclamato come uno dei classici del dramma
americano del 20° secolo, è uno studio magistrale sulla scaltrezza, la crudeltà e l’arroganza di una
famiglia, all’inizio del secolo, nel profondo Sud. Ricatto, tradimento e avidità sono le forze motrici
della famiglia Hubbard nel loro tentativo di impiantare un industria per il cotone nelle loro proprietà,
senza nessun riguardo in termine di costi umani.
Dopo il successo al National Theatre di New York nel 1939 con Tallulah
Bankhead, è seguito il famoso film di Billy Wyler con Bette Davis e in
teatro, in tempi recenti, da Elizabeth Taylor e Anna Proclemer.
“...Quella è gente che divorerebbe il mondo con tutti quelli
che ci vivono dentro, proprio come le cavallette della Bibbia,
e gli altri intorno, li stanno a guardare mentre divorano. Alle
volte penso che non sia giusto stare lì a guardare...”
ADDIE, la serva, da “Le Piccole Volpi”
“Distruggete le volpi, le piccole volpi che devastano i vigneti i nostri vigneti dai teneri
grappoli...”
da “Il Cantico dei Cantici”
Il versetto biblico da cui trae spunto la Hellman può sembrare anche un blues in bocca ad un negro
del Sud America, luogo in cui è ambientata la commedia. Una commedia d’azione e di violenza in
cui si attua, all’interno di una stessa famiglia, il “gioco al massacro” dei singoli personaggi, sorretti da
un comune denominatore: avidità, rabbia, cupidigia del denaro, corruzione, serpeggiano ovunque.
Ma la commedia, pur nel suo microcosmo familiare, svela anche la crudezza
di una società nella quale le volpi sono cresciute e che segna il trapasso da
una civiltà agricola, indolente e quasi mitica del Sud, qui incarnata dal
vibrante ed intenso Orazio, ad una industriale e speculatrice, in forte ascesa,
del Nord capitalista, dominato dalle macchine che vanno al cotone.
In questa opera dura, concepita con freddo distacco e scritta con forza
aspra e tagliente, tutti i personaggi, ugualmente gelidi e implacabili, sono
assai ben caratterizzati. Regina, incarnata sempre da splendide attrici,
(Bette Davis, Elizabeth Taylor ed in Italia Diana Torrieri, Anna Proclemer)
è oggi Ileana Ghione, personaggio complesso e ricco di sfaccettature, di velenosa dolcezza e di
tagliente cinismo, al tempo stesso borghese ed altera, perfida ma piena di fascino, caparbia e capricciosa,
fredda nel calcolo e scatenata nella sua ira furibonda contro il marito che l’ha tradita. Orazio, malato di
cuore, è visto volutamente ancora giovane in questa edizione, in quanto
incarna la rabbia e l’impotenza di fronte all’ennesimo gioco della vita: rifiutando
di rendersi complice di un’ulteriore impresa di sfruttamento dei più poveri è, di
fatto, destinato a morire. Ben e Oscar, grandemente borghesi e strettamente
coerenti nella loro spasmodica ricerca del denaro, visto naturalmente come
scopo ultimo delle loro esistenze, per ottenere il pieno controllo delle azioni
della società, arrivano ad escludere la sorella e il marito dall’affare. Leo, il figlio
di Oscar, legittimo discendente degli Hubbard, cresciuto in un ambiente così
arido e privo di qualsiasi istanza culturale, si rivela unicamente attratto dal
fascino della corruzione, arrivando a rubare le azioni dello zio. La malinconica e
nostalgica Birdie, figlia di nobili decaduti e moglie di Oscar, quasi fosse
un’intrusa infelice in questo mondo così aggressivo, sembra fare da
contrappunto, con i suoi stupori, al dramma in atto.
Alessandra, la vittima designata, destinata a sposare il cugino Leo, arriva però a ribellarsi, scappando
dalla tana delle volpi, decisa a conquistare una vita diversa. Infine Addie e Cal, i due fedeli servitori
negri, carichi di umanità, sono una costante presenza nella commedia, ben conoscendo le più
risposte ed intime sfaccettature dei loro padroni, dai quali vengono, perlopiù, ignorati.
Anche se datata, la commedia, dopo più di mezzo secolo, denota ancora la sua attualità rivelandosi
una prodigiosa macchina teatrale con le sue perversità, gli intrighi per la sopraff0azione, le feroci risse
interne, i suoi vizi sempre senza maschere.
Giuseppe Venetucci
Perversità allo stato puro
In obbedienza alle generali prescrizioni della consuetudine romantica e in omaggio alla propria
personale fiducia nelle virtù positive del genere umano, lo scrittore d’una volta scriveva avendo
cura di tener sempre aperto nell’anima nera dei suoi personaggi felloni un orifizio sentimentale, uno
sfiatatoio di bontà: vantaggiosa valvoletta attraverso cui – esalati al terz’atto o all’ultimo capitolo i
vapori satanici – tempestivamente filtrava uno spiffero d’aria rigeneratrice che, sia pure in extremis,
abilitava il peccatore a presentarsi senza soverchie preoccupazioni al tribunale celeste.
Ligio, ottimista e indulgente, lo scrittore d’una volta sentiva vivissimo lo scrupolo di consegnare al
fuoco eterno un’anima immortale, anche se di sostanza puramente letteraria e, in genere,
all’ultimo momento preferiva dichiararla ricuperata: il che, oltre a riuscire di pregevole effetto
spettacolare, non giungeva affatto sgradito – anzi piuttosto rassicurante – al grosso delle platee.
Perchè peccatori siamo: e la segreta speranza che, in fondo in fondo, esiste la possibilità di una
transazione metafisica fa sempre bene.
Nient’affatto ottimisti e pochissimo indulgenti, gli scrittori d’adesso si mostrano sempre meno
inclini a coltivare illusioni di possibili resipiscenze preagoniche nei loro pubblici. Niente più sfiatatoi
e valvolette: le anime dannate che frequentano i palcoscenici moderni sono
diabolici involucri a tenuta perfetta, ermeticamente chiusi. Il male che nelle
anime antenate dei perversi d’una volta – protagonisti e comprimari – si
presentava corretto da schizzetti di bene più o meno consistenti, in queste
contemporanee è contenuto allo stato puro e nella concentrazione più
virulenta. La chimica spirituale fa progressi, e la losca famiglia Hubbard
intorno alla quale Lillian Hellman ha costruito la vicenda drammatica di
Piccole volpi ne costituisce la esemplare testimonianza.
I personaggi affaccendati e ingrati di questa splendida commedia svolazzano
fior da fiore (du mal) sulla più velenosa botanica da codice penale che si
possa dare. Miseria morale ambiguità bassezza raggiro, si chiama il miele
amaro dei loro favi e precisando, appropriazione indebita e omicidio colposo.
E non c’è ombra di ragione più o meno ideale che giustifichi l’orribile prodotto: diversi e peggiori
dei “cattivi con sfiatatoio” della tradizione, così ermeticamente perversi da legittimare l’impietoso
pessimismo della Hellman, queste creature – Oscar, Leo, Benjamin, Regina Hubbard – costituiscono
evidentemente i casi-limite, l’esemplificazione estrema dell’iniquità: e poichè, poco o tanto, in esse
siamo costretti a riconoscerci in quanto riflettono la realtà perversa che ci è costituzionale
nonostante il parere contrario di Gian Giacomo Rosseau, diciamo che c’è da arrossire della nostra
condizione umana, da deplorare la nostra esistenza stessa. Già Piccole
volpi fu rappresentata in Italia quando per disposizione di legge,
eravamo tutti virtuosi e fu scelta, credibilmente, per darci il piacere di
paragonare la nostra virtù ai vizi del resto del mondo. Nella
rappresentazione allestita il 5 dicembre 1941 al Teatro Carignano di
Torino dalla Compagnia delle Arti – prima dell’opera per l’Italia e
l’Europa – gli Hubbard erano diventati Isaacs; Oscar, Leo, Benjamin e
Regina Hubbard si chiamavano Salomone, Samuele, Davide e
Rebecca Isaacs. Una piccola ma ragguardevolmente sudicia speculazione demagogica diretta a
erudire il pubblico intorno alla predicata perversità della razza ebraica, o un espediente – non
sarebbe stato il primo – per chiudere la bocca al Minculpop che altrimenti avrebbe alzato altissimi
barriti e in nessun caso avrebbe dato il permesso di circolazione ad un prodotto della corrotta e
decadente democrazia americana.
Forse le due cose insieme. Comunque, si sia trattato allora di calcolo politico o di compromesso
artistico, l’episodietto è piuttosto lusinghiero per la commedia in quanto serve a dimostrare che la
Hellman nella sua aspra pittura di questa gente obliqua ci ha azzeccato in pieno: al punto che
Piccole volpi, riveduta e corretta, fu scelta per edificazione nostra, di noi quand’eravamo buoni per
disposizione superiore.
Gigi Cane