IL SETTECENTO La rivoluzione scientifico-matematica verificatasi nel Seicento fece sentire i suoi influssi anche nel secolo successivo, quando il metodo d’indagine scientifico e razionale venne esteso a tutti gli ambiti dello scibile umano. Il criterio di verifica di ogni fenomeno fu individuato nella ragione, mentre l’esperienza, supportata dal riscontro dei fatti, venne posta alla base della conoscenza. Il Settecento fu il secolo dei “lumi”, nel quale si volle far luce sulle tenebre dell’ignoranza e della superstizione attraverso il vaglio della ragione, che si sostituì alla fede. In ambito politico, si posero in discussione le strutture del potere dispotico, esaltando principi libertari ed egualitari, che posero le basi per la fondazione di uno stato laico. In ambito religioso, il vaglio critico a cui fu sottoposta la religione portò ad un’emancipazione dagli ideologismi e dai dogmatismi. In ambito culturale, si verificò una notevole circolazione di idee e di scoperte, soprattutto grazie alla carta stampata. Uno dei prodotti più significativi del movimento illuminista fu l’Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers in 35 volumi, elaborata sotto la direzione di Denis Diderot (17131748) e Jean-Baptiste Le Rond D’Alembert (1717-1783), che si proponeva di costituire un compendio universale dello scibile umano. Dal punto di vista scientifico, venne compiuto il tentativo di sistematizzare ed organizzare tutto il bagaglio acquisito attraverso le scoperte del secolo precedente. Si riscontra la tendenza all’osservazione della natura e alla formulazione di leggi generali, in particolare nelle scienze biologiche. Le vie seguite per il progresso si basarono sull’uso della ragione e sul metodo sperimentale di ascendenza galileiana. L’empirismo baconiano e il razionalismo cartesiano si fusero nello sperimentalismo di Leibniz (1646-1716) e, successivamente, nella visione di Kant (1724-1804), che considerava la conoscenza come il risultato della fusione tra l’oggetto osservato e la mente dell’osservatore. Queste tendenze sono riscontrabili anche in ambito medico, con la nascita di grandi sistemi dottrinali, che costituirono un’alternativa alla iatrochimica e alla iatromeccanica del secolo precedente. All’osservazione macroscopica si era affiancato il supporto di nuovi strumenti che moltiplicarono le possibilità di indagine, primo tra tutti il microscopio. Si andò diffondendo un ottimismo nelle possibilità che la medicina aveva di risolvere molti mali dell’uomo. Il Settecento si caratterizza per gli scambi culturali tra gli studiosi, per la diffusione di centri di studio e per la nascita di pubblicazioni periodiche, che permisero di far circolare nozioni e scoperte. Microscopio mod. Culpeper, 1750 E’ nel corso del Settecento che finalmente la chirurgia abbandonò la posizione subalterna nei confronti della medicina e acquisì una sua autonomia e una propria dignità, conquistandosi uno spazio anche nel mondo accademico. Cominciano a distinguersi anche altre specialità mediche, come l’ostetricia, fino ad allora affidata alle mani di levatrici senza cultura e ora esercitata da medici di formazione chirurgica, che migliorarono l’assistenza al parto. I SISTEMI MEDICI DEL XVIII SECOLO Durante la prima metà del XVIII secolo vennero elaborati diversi sistemi, nel tentativo di fornire una visione generale del sapere medico. I nuovi sistemi medici, rivolti a formulare teorie generali sul funzionamento del corpo umano, erano talvolta in contrasto tra loro ed erano profondamente legati alle idee filosofiche circolanti in quel periodo. Tali sistemi non ebbero che un riflesso secondario sulla medicina pratica, sebbene alcuni di essi abbiano riscosso notevole successo ed alimentato accesi dibatti. Un sostenitore della relazione tra sintomi clinici e alterazioni anatomiche fu l’olandese Hermann Boerhaave (16681738). Formatosi all’Università di Leida, diede enorme lustro a questa istituzione accademica, che divenne l’ateneo di riferimento per la medicina, sottraendo il primato a Padova. Il più grande merito di Boerhaave fu quello di aver ordinato il sapere medico del suo tempo, ed averlo esposto in una didattica chiara ed efficace, influenzando generazioni di medici e rinnovando la disciplina soprattutto dal punto di vista metodologico. Boerhaave riprese le concezioni meccaniche di Borelli, secondo le quali il corpo umano è costituito da una serie di macchine. Lo considerò come una mescolanza di parti solide e parti liquide, dal cui scompenso deriverebbe un’alterazione delle funzioni fisiologiche e, quindi, la malattia. Sulla scorta di queste concezioni ordinò la materia medica, distinguendo i rimedi che agivano sui solidi dai rimedi che agivano sui liquidi. Boerhaave fu un grande estimatore di Ippocrate, sostenendo l’importanza dell’osservazione e del ragionamento al letto del malato; per questo è considerato il fondatore dell’insegnamento clinico e dell’ospedale moderno. Egli eseguiva regolarmente autopsie a scopo didattico, mettendo in relazione il sintomo con l’esito anatomico. Sostenitore di una dottrina meccanicistica di impronta razionale, in parte ispirata dal pensiero di Leibniz, fu anche Friederich Hoffman (16601742), originario di Halle in Germania, dove tenne la cattedra di medicina per molti anni. Similmente alle concezioni sviluppate da Boerhaave, Hoffmann interpretava il corpo umano come una macchina idraulica governata da leggi meccaniche. Hoffman riteneva che l’organismo fosse regolato da un fluido nervoso che aveva sede nel cervello, il quale si distribuiva a tutti gli organi attraverso la rete dei nervi e produceva il tono dei tessuti. Un eccesso di questo fluido nervoso provocherebbe lo spasmo, e sarebbe all’origine di patologie acute quali infiammazioni, emorragie, catarri e nevralgie, da contrastare con l’impiego di sedativi, antispastici e lassativi. La carenza di fluido nervoso produrrebbe atonia, all’origine di malattie croniche, da curare con l’uso di stimolanti. Questa teoria, esposta nella monumentale opera in nove volumi Medicina rationalis systematica, usciti tra il 1718 e il 1740, ebbe grande influenza sulla fisiologia del periodo, spostando l’interesse dall’umoralismo galenico ad un’azione e ad una sensibilità di tipo neuromuscolare. Georg Ernst Stahl (1660-1734), medico e chimico tedesco, si oppose al materialismo sostenuto da Boerhaave e dal collega Hoffman, sostenendo una dottrina animistica, esposta nella Theoria medica vera del 1708. L’anima starebbe alla base di ogni funzione corporea, in particolare come meccanismo di difesa dagli agenti patogeni, cessando di agire solo con la morte. Senza l’anima, che sostiene i processi fisiologici, il corpo rimane passivo e inerte. Stahl considerava la pletora (l’aumento patologico della massa sanguigna o dei liquidi) una causa frequente di malattia, che andava perciò combattuta ricorrendo alle deplezioni (o eliminazioni) naturali. Per la terapia riteneva opportuno assecondare la forza medicatrice della natura (vis medicatrix naturae). Théophile de Bordeaux (1722-1776) e Paul Joseph Barthez (1734-1806), formatisi a Montpellier e poi attivi a Parigi, si opposero sia al meccanicismo, sia all’animismo di Stahl, dando vita al vitalismo, secondo il quale i fenomeni organici non possono essere ricondotti né alla fisica né alla chimica . Il vitalismo rigettava la concezione di una materia passiva, incapace di esprimere i processi vitali da sola, comune sia ai meccanicisti che agli animisti. Tutte le parti del corpo sono dotate di sensibilità e alla dicotomia tra corpo e anima va sostituita quella tra materia vivente e materia morta. Alla base della dottrina vitalista vi è la convinzione che anche la più piccola molecola, la più piccola fibra, e ogni organo del corpo umano sono dotati di vita propria, di una forza vitale, che è indipendente dall’anima e, perciò, la vita del tutto è la somma delle piccole vite particolari. Théophile de Bordeaux Il vitalismo contribuì alla formazione del concetto di organismo inteso come totalità di funzioni integrate. Riferendosi poi all’ippocratismo, il vitalismo riteneva che la malattia fosse una variazione dello stato di salute e che, dunque, alcuni sintomi fossero manifestazioni dell’attività della natura, e come tali dovessero essere liberi di manifestarsi. L’intervento del medico deve essere perciò volto a risvegliare le forze vitali per favorire l’azione medicatrice della natura. Paul Joseph Barthez Lo scozzese William Cullen (1712-1790), professore all’università di Edimburgo, propose un sistema incentrato sul sistema nervoso che ebbe notevole successo, e che espose nelle First lines of the practice of physick del 1778. Il suo sistema riprese il concetto di irritabilità di Haller , ma se ne distinse per l’importanza attribuita al ruolo dei nervi, sulla scia delle teorie di Hoffmann. In presenza di un aumento degli stimoli esterni le funzioni vitali si intensificherebbero, causando malattie spastiche, mentre la mancanza di eccitamento provocherebbe un rallentamento delle funzioni nervose, con conseguente insorgenza di malattie asteniche. Ideatore di un sistema medico molto seguito fu infine lo scozzese John Brown (1735-1788), professore all’Università di Edimburgo. Allievo di Cullen, inizialmente partì dalle teorie del maestro per poi distanziarsene e proporre un proprio sistema, noto come “brunoniano”, che espose nella sua opera Elementa Medicinae, apparsa nel 1780 e poi tradotta in molte lingue. Al centro della sua dottrina neuropatologica mise il concetto di “eccitabilità”, intesa come qualità di base della materia vivente, consistente nella capacità di ricevere stimoli dall’esterno e di reagire ad essi. L’eccitabilità, insita nel cervello e nelle fibre neuromuscolari, costituirebbe una sorta di “forza vitale”. Brown teorizzò che tutti i fenomeni della vita, quindi la salute come la malattia, consistono in niente altro che uno stimolo. La salute è determinata da un equilibrio tra gli stimoli esterni e l’eccitabilità, mentre la malattia e la debilitazione sono imputabili ad una deficienza nel grado di stimolazione. Per questo ritenne che la maggior parte delle malattie richiedessero un trattamento stimolante, contrariamente a quanto aveva fatto la pratica medica fino ad allora, ricorrendo sistematicamente alla deplezione e a misure debilitanti, primo tra tutti il salasso. Il sistema brunoniano riscosse un vasto successo sia in America che nei paesi europei di lingua tedesca e in Italia, dove fu ripresa da Giovanni Rasori. GIOVANNI BATTISTA MORGAGNI Dopo i primi passi compiuti verso un’interpretazione anatomo-patologica dei fenomeni morbosi ad opera di precursori come Antonio Benivieni nel XV secolo e Théophile Bonet nel XVII secolo, è con il Settecento che prese avvio l’anatomia patologica, il cui fondatore è unanimemente considerato Giovanni Battista Morgagni (1682-1771). Nato a Forlì, Morgagni studiò all’Università di Bologna, e grazie alla fama raggiunta precocemente per le sue ricerche di anatomia e all’attività settoria, ottenne la cattedra di anatomia nell’ateneo patavino, che tenne fino alla morte. La sua attività anatomica, lo portò a numerose nuove scoperte in questo campo, che gli fecero acquistare fama in tutta Europa, tanto da essere definito anatomicorum totius Europae princeps. La sua attività più importante si svolse nel campo dell’anatomia patologica, in quanto pose le basi di un nuovo sistema di ricerca fondato su un rigoroso metodo sperimentale. Il , pubblicato nel 1761, rappresenta un testo fondamentale per la storia della medicina, con il quale la dottrina umorale, che aveva dominato incontrastata dai tempi di Ippocrate e Galeno, venne definitivamente abbandonata in favore di una moderna patologia d’organo. In questo testo Morgagni raccolse circa 700 casi clinici, per la maggior parte da lui stesso osservati, per ognuno dei quali fornì una dettagliata descrizione, completa dell’esame autoptico finale. Per ogni caso clinico Morgagni prende in considerazione fattori quali il sesso, l’età e il lavoro del paziente, l’epoca di insorgenza della malattia, la sua evoluzione clinica, e ricerca le cause prossime del decesso, osservando poi all’esame autoptico l’eventuale presenza di danni visibili e ben localizzati nel cadavere. La novità proposta dal Morgagni consiste proprio nella stretta relazione tra i sintomi clinici e il reperto autoptico. In altri termini, le alterazioni morfologiche rilevate a carico degli organi venivano correlate alle manifestazioni cliniche riportate dal paziente nel corso della malattia. Quindi le malattie non erano più ricondotte ad uno squilibrio degli umori, ma erano individuate in un organo preciso durante la dissezione, evidenziando il rapporto con i sintomi sul vivente. Alcuni aspetti di questo approccio rimanevano ancora oscuri. Non era sempre possibile stabilire la causa della morte, e talvolta non era possibile comprendere in che modo la lesione osservata in un organo causasse determinati sintomi o come potesse coinvolgere l’intero organismo. Alcune malattie presentavano un quadro anatomo-patologico simile, di difficile distinzione in base al solo esame autoptico. L’idea di verificare la presenza di alterazioni e lesioni a carico degli organi direttamente sul vivente, fu acquisita solo nel secolo successivo. Tuttavia, grazie a Morgagni, venne compiuto un passo decisivo verso un approccio del tutto nuovo alla malattia che, uscendo definitivamente dagli schemi umoralistici del passato, si basò sulla casistica anatomo-clinica delle malattie. L’ANATOMIA NEL XVIII SECOLO Nel XVIII secolo gli studi anatomici proseguirono, con un grande fiorire di scoperte, favorite dalle nuove possibilità di studio a seguito dei progressi delle scienze e della strumentazione. Alcuni allievi del Morgagni si distinsero negli studi anatomici, in particolare Giovanni Domenico Santorini (1681-1737) e Antonio Scarpa (17521832). Dopo gli studi a Bologna, Padova e Pisa, il Santorini ottenne la cattedra di anatomia a Venezia e condusse una intensa attività dissettoria, che lo portò a descrivere per la prima volta molte strutture del corpo umano che da lui presero il nome, tra cui alcuni muscoli della faccia coinvolti nelle espressioni, un dotto accessorio del pancreas e la cartilagine corniculata della laringe. La sua opera più importante sono le Observationes anatomicae del 1724, corredate da splendide illustrazioni. Antonio Scarpa (1752-1832) ebbe la cattedra di anatomia e chirurgia all’Università di Modena e successivamente a Pavia, divenuta un centro di primo piano per gli studi di medicina in Italia, dove Scarpa allestì il famoso teatro anatomico. A Scarpa si devono importanti studi sull’anatomia dell’orecchio medio ed interno, e ricerche sull’organo dell’olfatto e sul nervo olfattivo. Di grande rilievo le scoperte del nervo accessorio spinale e soprattutto dei nervi del cuore. Scarpa illustrò tutte queste scoperte anatomiche non solo con pubblicazioni scientifiche, ma anche attraverso splendide riproduzioni in cera. Fondatore dell’anatomia descrittiva e precursore dell’istologia, che tuttavia doveva svilupparsi come scienza autonoma solo nel secolo successivo, fu Marie François Xavier Bichat (1771-1802), chirurgo e fisiologo francese, attivo in particolare all’Hôtel-Dieu di Parigi, dove ebbe modo di acquisire una grande esperienza settoria. A lui si deve la scoperta che gli organi del corpo umano sono costituiti da tessuti, di cui distinse 21 tipi, dal tessuto osseo a quello cartilagineo, a quello nervoso ecc., che descrisse nel Traité des membranes en générale et des diverses membranes en particulier del 1800. Ma la sua opera fondamentale è l’Anatomie générale del 1801, in cui pose le basi per lo studio della funzione biologica dei tessuti, sia in condizioni normali che patologiche. Sulla scia del pensiero del Morgagni, ricercava nelle alterazioni dei tessuti che costituiscono il corpo l’origine delle malattie, basandosi tuttavia sulla sola osservazione macroscopica, in quanto non utilizzava il microscopio. Fu un sostenitore delle teorie del vitalismo, distinguendo nei tessuti delle proprietà fisiche invariabili, che possono essere sottoposte al calcolo, come l’elasticità e l’estensibilità, e delle proprietà vitali, ossia la sensibilità e la contrattilità. Secondo questa visione la salute dipenderebbe dal mantenimento della vitalità dei tessuti, mentre la malattia e la morte sarebbero causate dalla perdita di questi principi vitali. Queste concezioni gli permisero di comprendere che, in certi casi, le condizioni patologiche dovevano essere cercate al di là delle singole lesioni locali. Diverse scoperte anatomiche sono legate al suo nome, come ad esempio la fossa pterigopalatina, detta fossa di Bichat, la parte inferiore del legamento sacroiliaco, o legamento di Bichat, la scissura del cervello sotto il corpo calloso, chiamata scissura di Bichat, e la tunica intima dei vasi sanguigni, detta tunica di Bichat. LA FISIOLOGIA NEL XVIII SECOLO Durante il XVIII secolo la fisiologia, intesa come studio del funzionamento del corpo umano in condizioni normali, si andò sempre più distaccando dall’anatomia, per acquisire i caratteri di disciplina autonoma. In particolare, si verificò un tentativo di unificare i singoli concetti e di elaborare sistemi medici che fossero in grado di spiegare i fenomeni biologici nella loro generalità e complessità. In questo periodo si possono distinguere due indirizzi principali a cui aderirono i rappresentanti della disciplina, uno prettamente sperimentale e l’altro improntato su concezioni vitalistiche. Uno dei fondatori della moderna fisiologia fu Albrecht von Haller (1708-1777), originario di Berna e poi professore di anatomia, chirurgia e botanica a Göttingen, università allora appena fondata. Per quanto riguarda la medicina, fu autore delle Icones anatomicae, tavole di anatomia vascolare, in cui descrisse in dettaglio la circolazione arteriosa del corpo umano. Ma il contributo più notevole di Haller è rappresentato dagli Elementa physiologiae corporis umani, opera in otto volumi pubblicata nel 1766, in cui raccolse e ordinò sistematicamente le conoscenze fisiologiche del tempo. Con questo lavoro la fisiologia si distaccava per la prima volta dall’anatomia, caratterizzandosi come disciplina scientifica autonoma e anticipando gli sviluppi del secolo successivo. Le ricerche di Haller si indirizzarono in particolare al sistema nervoso, le cui conoscenze erano ancora limitate agli effetti delle lesioni della corteccia cerebrale e della resezione dei nervi. Erano ancora accettate le teorie secondo le quali il sistema nervoso era regolato da spiriti vitali che, trasportati attraverso il flegma dal cervello al midollo, arrivavano poi ai nervi dell’intero organismo tramite sottili tubuli. Haller applicò il modello meccanicistico agli studi di fisiologia, in contrasto alle dottrine vitalistiche dell’epoca, e condusse una serie di esperimenti su animali, osservando che la stimolazione, meccanica, elettrica o chimica, provocava in alcune parti del corpo contrazione e in altre dolore. Questi risultati lo portarono a suddividere le strutture del corpo in due gruppi, quelle irritabili, individuate nella materia muscolare, e quelle sensibili, identificabili con la fibra nervosa. Queste intuizioni furono riprese agli inizi del secolo successivo, portando a fondamentali scoperte nel campo della neurologia. In Italia l’opera di Francesco Redi fu ripresa, nel XVIII secolo, da Lazzaro Spallanzani (1729-1799), gesuita che si interessò di scienze naturali e che diede importanti contributi nel campo della fisiologia. Spallanzani è noto soprattutto per i suoi studi sulla generazione spontanea, teoria che ancora era molto dibattuta tra i naturalisti e che egli confutò definitivamente attraverso una serie di prove sperimentali e l’uso del microscopio. Spallanzani fece dell’esperimento la base delle sue ricerche, che condusse anche nel settore della fisiologia, raggiungendo importanti risultati per quanto riguarda la fecondazione, la digestione e la circolazione. Riguardo alla fecondazione scoprì la natura animale degli spermatozoi, e l’influenza della temperatura sulla loro mobilità e motilità. Condusse il primo esperimento di fecondazione artificiale negli animali, con uova di rana e di rospo, dimostrando che lo sviluppo dell’uovo non poteva avvenire senza la fecondazione maschile. Pur avendo scoperto la funzione fecondante del liquido seminale, non comprese il ruolo degli spermatozoi, che considerò parassiti dello sperma. Per quanto riguarda gli studi sulla digestione, Spallanzani dimostrò che questo processo non consisteva solamente in un’ azione meccanica di triturazione del cibo, né nella fermentazione degli alimenti, ma anche in un processo chimico ad opera di un liquido secreto dallo stomaco, il succo gastrico. Riguardo alla circolazione sanguigna scoprì i capillari negli animali a sangue caldo, e osservò per la prima volta i globuli bianchi; dimostrò per via sperimentale l’esistenza di uno scambio tra ossigeno e anidride carbonica nel sangue. Accanto allo Spallanzani, tra le figure di studiosi italiani che si distinsero per gli studi di fisiologia ricordiamo Luigi Galvani (1737-1798), professore di anatomia all’Università di Bologna. Galvani è ricordato soprattutto per essere stato il fondatore dell’elettrofisiologia, grazie ai suoi studi sperimentali sull’elettricità animale, che espose nel De viribus electricitatis in motu musculari commentarius del 1791. Partendo dall’osservazione, già nota in fisiologia, che la stimolazione di un nervo provoca la contrazione del muscolo ad esso collegato, condusse una serie di esperimenti sui muscoli e i nervi delle rane, dimostrando che nei tessuti animali esistono forze bioelettriche. LA CHIRURGIA NEL XVIII SECOLO Con il XVIII secolo la figura del chirurgo si emancipò dalla posizione subalterna che aveva ricoperto fino a quel momento rispetto al medico, acquisendo una pari dignità e dando alla disciplina chirurgica lo stesso lustro riservato agli altri insegnamenti universitari. Questo processo avvenne in Francia, dove era già stato avviato due secoli prima da Ambroise Parè e dove l’intervento regio aveva provveduto a riabilitare il ruolo dei chirurghi-barbieri a partire dal Luigi XIV (1638-1715) e si diffuse in seguito anche negli altri paesi europei. Ebbe un particolare rilievo la fondazione, nel 1731, dell’Académie Royale de Chirurgie. Uno dei massimi rappresentanti della chirurgia del periodo fu Jean-Louis Petit (1674-1750), che inventò un meccanismo laminare a vite per effettuare l’emostasi, fornì la prima descrizione clinica dell’ematoma extra-durale, diede il nome alla parte inferiore della regione lombare, chiamato infatti “triangolo di Petit”. Di grande valore sono la sua opera sul trattamento delle malattie delle ossa, l’Art de guérir les maladies des os del 1705, e soprattutto la sua monumentale opera postuma Traité des maladies chirurgicales, et des opérations qui leur conviennent, pubblicata nel 1790, frutto di molti anni di lavoro. Nella seconda metà del XVIII secolo fece scuola Pierre Desault (1738-1795), capo chirurgo all’Hôtel Dieu di Parigi, al quale si attribuisce il merito di aver fondato la chirurgia clinica. Desault si occupava di chirurgia nel senso più ampio del termine, con tecniche di alto livello; diede il nome a nuove tecniche di bendaggio delle fratture, di legatura degli aneurismi e di sutura intestinale. Molti suoi allievi si ritrovarono, come chirurghi militari, al seguito delle armate di Napoleone. In Inghilterra la chirurgia conobbe un periodo di fioritura, che vide tra i suoi più rilevanti protagonisti lo scozzese John Hunter (17201793), definito il padre della chirurgia sperimentale. La sua abilità chirurgica si basava su profonde conoscenze anatomiche, che aveva appreso insieme al fratello William (1718-1783), celebre anatomico ed ostetrico del periodo. Divenuto chirurgo capo dell’esercito inglese, acquisì una notevole esperienza sul campo, occupandosi in particolare dei processi infiammatori e della guarigione delle ferite. Ritornato alla vita civile, si dedicò completamente alla pratica chirurgica, insistendo sulla necessità del rigore scientifico. Hunter fu il primo a dimostrare il principio della circolazione collaterale; grazie ad alcuni esperimenti condotti sui cervi, scoprì che se un vaso principale era obliterato, nuovi vasi più piccoli si formavano per irrorare i tessuti compromessi. In Italia si distinse Antonio Scarpa (1752-1832), anche famoso anatomico. Notevole fu il suo contributo nel campo della chirurgia, a cui si dedicò a partire dall’inizio del XIX secolo. Si occupò delle operazioni chirurgiche più complesse, che allora erano demandate agli empirici e trascurate dagli universitari, e basò la chirurgia sulla conoscenza pratica dell’anatomia, introducendo esercitazioni sul vivente, mentre fino allora gli studenti facevano pratica solo sul cadavere. Fece importanti studi sulla chirurgia dell’occhio, che contribuirono al progresso dell’oculistica, su alcune malformazioni congenite, come il piede torto e sulle ernie, che lo portarono a descrivere accuratamente il triangolo anatomico femorale alla radice della coscia, denominato triangolo dello Scarpa. Importante per la tecnica chirurgica, fu l’introduzione del taglio ipogastrico per l’estrazione dei calcoli vescicali. Il XVIII secolo vide la nascita dell’ostetricia, la quale, emersa già nel secolo precedente in particolare in Francia, si rese ora pienamente indipendente dalla chirurgia, configurandosi come disciplina autonoma. Gli ostetrici cominciarono ad interessarsi non solo ai parti difficili, ma anche a quelli normali, e ad assistere le donne anche durante la gravidanza. Si diffuse l’uso del forcipe, che era stato inventato da poco, mentre il taglio cesareo, già praticato con qualche successo sulla donna vivente fin dal secolo precedente, rimase ancora una modalità di parto piuttosto pericolosa sia per la vita della madre che del bambino fino agli inizi del XIX secolo, a causa delle infezioni post-operatorie. I maggiori contributi nel campo dell’ostetricia durante il XVIII secolo vennero fatti in Francia e in Inghilterra. Tra gli ostetrici più rilevanti del periodo ricordiamo André Levret (1703-1780) attivo a Parigi, al quale si deve l’apporto di numerose migliorie al forcipe, tra cui la curvatura pelvica, la fenestratura dei cucchiai, che permettevano di accogliere più opportunamente la testa del feto, e un allungamento dello strumento, che permise di raggiungere il bambino anche quando si trovava in una posizione alta. Diede contributi anche sul taglio cesareo e sulla procedura per estrarre il feto che si presentava in posizione podalica. Altra figura di primo piano in Francia fu Jean-Louis Baudelocque (17451810), attivo nella seconda metà del XVIII secolo, che operò principalmente a Parigi. Oltre ad aver modificato il forcipe di Levret, allungandolo ulteriormente, ideò il pelvimetro, strumento atto a misurare il diametro esterno del bacino. Studiò dettagliatamente il parto, descrivendo il meccanismo più comune di distacco della placenta, e fu un sostenitore del taglio cesareo. Si sforzò di istruire le levatrici, grazie alla pubblicazione di molti testi di riferimento, tra cui "L’Art des accouchemens" del 1781, le quali fino ad allora, essendo ignorate dai medici, avevano svolto il loro lavoro guidate unicamente dall’esperienza. Il padre dell’ostetricia inglese è considerato William Smellie (1697-1763), che fondò la disciplina su basi scientifiche. Descrisse in dettaglio i meccanismi del parto, ideò un sistema per misurare le dimensioni interne del bacino e inventò nuovi tipi di forcipe, fra cui il più noto, dotato di cucchiai più lunghi, prese il suo nome. Egli teneva in maggior considerazione la vita della madre piuttosto di quella del nascituro e ricorse al taglio cesareo solo nei casi estremi di bacino troppo stretto. IL CONCETTO DI CONTAGIO E’ con il XVIII secolo che si fece strada il concetto di contagium vivum, già suggerito da alcune scoperte avvenute nel secolo precedente e sostenuto ora da diversi ricercatori, sebbene non si fosse ancora arrivati ad una sua dimostrazione sul piano sperimentale. Carlo Francesco Cogrossi (1682-1769) pubblicò, nel 1714, un volumetto intitolato Nuova idea del male contagioso de' buoi, nel quale attribuiva l’epidemia che stava decimando le mandrie all’azione di parassiti di piccolissime dimensioni che denominò “atometti”; questi erano tanto piccoli che non erano visibili ai microscopi di allora, ma ne postulò l’esistenza sulla base di un’analogia con le scoperte di Bonomo e Cestoni sull’origine acarica della scabbia. Questa scoperta fu avvallata da Antonio Vallisnieri (1661-1730), che aveva la cattedra di medicina a Padova, il quale, in una lettera di risposta a Cogrossi datata al 1714, sostenne il concetto del contagio vivo per azione di “vermicelli” che passano facilmente da un individuo ad un altro. Arrivò a formulare l’idea del periodo di incubazione e a supporre l’esistenza di specie diverse di animaletti, che sarebbero responsabili dell’insorgenza di malattie diverse. Lo sloveno Marcus Antonius Plenciz (1705-1786), professore di medicina a Vienna, nella sua Opera medicophysica del 1762, scrisse, un secolo prima della moderna batteriologia, che ogni infezione ha un proprio agente causativo specifico e che un individuo è contagiato solo se la sua costituzione è suscettibile a quella determinata malattia. Discusse inoltre di incubazione, di immunità, e descrisse alcune malattie infettive, come il vaiolo, formulando la prima teoria coerente sul contagium vivum, ancora priva, però, di dimostrazioni sperimentali. Infine si deve al naturalista danese Otto Friedrich Müller (1730-1784), una prima classificazione di microrganismi in generi e specie seguendo il metodo di Linneo, esposta nel Animacula infusoria et marina. Fu tuttavia solo con il XIX, con la distinzione anatomo-clinica delle diverse malattie infettive, che questo campo della medicina vide i suoi sviluppi più fecondi. Keratella quadrata (Muller 1786) JENNER E LA VACCINAZIONE Mentre nel XVIII secolo molte malattie infettive che avevano imperversato in precedenza, come la peste e il tifo, subivano una riduzione della loro incidenza, il vaiolo conosceva una notevole diffusione nel mondo occidentale, in particolare nelle aree altamente urbanizzate. La sua estrema contagiosità rese il vaiolo una malattia tipica dell’età infantile, con un’incidenza e un tasso di mortalità particolarmente elevati. In quel periodo era stata introdotta una pratica volta ad evitare di contrarre la forma letale della malattia, consistente nell’inoculare nei soggetti sani polveri ottenute dalle croste prelevate da pazienti affetti o guariti da una forma lieve della malattia. Questa pratica, probabilmente originaria della Cina, dove era nota già fin dal X secolo, era chiamata variolizzazione e fu diffusa in Europa ad opera di lady Mary Wortley Montagu (16891762), una letterata inglese moglie dell’ambasciatore inglese in Turchia, che l’aveva osservata in questo paese. Nonostante fosse piuttosto efficace, si rivelò in alcuni casi pericolosa; infatti poteva indurre una forma mite della malattia, ma anche causare casi gravi e ondate epidemiche, per cui molti medici si opposero a questa pratica. I più importanti progressi sulla profilassi del vaiolo si devono all’inglese Edward Jenner (1749-1823), considerato il padre della vaccinazione. Questo medico di campagna aveva osservato che i contadini addetti alla mungitura, i quali contraevano la forma bovina del vaiolo, ad esito benigno, si immunizzavano contro il vaiolo umano, molto più pericoloso. Jenner volle verificare la fondatezza di queste osservazioni e, nel 1796, eseguì il primo esperimento di immunizzazione inoculando il vaiolo vaccino (da cui deriva il nome di vaccinazione), in un bambino di 8 anni. Questi sviluppò il vaiolo bovino, guarendo completamente dopo alcune settimane; a questo punto Jenner effettuò un secondo inoculo, utilizzando il vaiolo umano. Il bambino non mostrò nessun sintomo della malattia, dimostrando l’efficacia dell’immunizzazione contro il vaiolo umano tramite il vaiolo bovino. I risultati di questa scoperta furono pubblicati nel 1798 nel libro An inquiry into the causes and effects of the variolae vaccinae, a disease discovered in some of the Western counties of England, particularly Gluchestershire, and known by the name of “The cow pox”. Da quel momento iniziò una campagna di vaccinazione che coinvolse prima l’Europa e poi il resto del mondo; entro la fine del 1802 tutti i paesi europei introdussero la vaccinazione, e alcuni la resero obbligatoria. La malattia è stata debellata dalla faccia della terra nel corso del XX secolo ed è stata considerata ufficialmente scomparsa nel 1980. Inoltre, il principio della vaccinazione, scoperto da Jenner, fu esteso progressivamente anche ad altre malattie infettive.