IL SETTECENTO
La rivoluzione scientifico-matematica
verificatasi nel Seicento fece sentire i
suoi influssi anche nel secolo
successivo, quando il metodo
d’indagine scientifico e razionale venne
esteso a tutti gli ambiti dello scibile
umano.
Il criterio di verifica di ogni fenomeno fu
individuato nella ragione, mentre
l’esperienza, supportata dal riscontro
dei fatti, venne posta alla base della
conoscenza.
Il Settecento fu il secolo dei “lumi”, nel
quale si volle far luce sulle tenebre
dell’ignoranza e della superstizione
attraverso il vaglio della ragione, che si
sostituì alla fede.
In ambito politico, si posero in discussione
le strutture del potere dispotico, esaltando
principi libertari ed egualitari, che posero le
basi per la fondazione di uno stato laico.
In ambito religioso, il vaglio critico a cui fu
sottoposta la religione portò ad
un’emancipazione dagli ideologismi e dai
dogmatismi.
In ambito culturale, si verificò una notevole
circolazione di idee e di scoperte,
soprattutto grazie alla carta stampata.
Uno dei prodotti più significativi del
movimento illuminista fu l’Encyclopédie ou
Dictionnaire raisonné des sciences, des
arts et des métiers in 35 volumi, elaborata
sotto la direzione di Denis Diderot (17131748) e Jean-Baptiste Le Rond
D’Alembert (1717-1783), che si proponeva
di costituire un compendio universale dello
scibile umano.
Dal punto di vista scientifico, venne
compiuto il tentativo di sistematizzare ed
organizzare tutto il bagaglio acquisito
attraverso le scoperte del secolo
precedente.
Si riscontra la tendenza all’osservazione
della natura e alla formulazione di leggi
generali, in particolare nelle scienze
biologiche.
Le vie seguite per il progresso si basarono
sull’uso della ragione e sul metodo
sperimentale di ascendenza galileiana.
L’empirismo baconiano e il razionalismo
cartesiano si fusero nello sperimentalismo di
Leibniz (1646-1716) e, successivamente,
nella visione di Kant (1724-1804), che
considerava la conoscenza come il risultato
della fusione tra l’oggetto osservato e la
mente dell’osservatore.
Queste tendenze sono riscontrabili anche in
ambito medico, con la nascita di grandi
sistemi dottrinali, che costituirono
un’alternativa alla iatrochimica e alla
iatromeccanica del secolo precedente.
All’osservazione macroscopica si era
affiancato il supporto di nuovi strumenti che
moltiplicarono le possibilità di indagine, primo
tra tutti il microscopio.
Si andò diffondendo un ottimismo nelle
possibilità che la medicina aveva di risolvere
molti mali dell’uomo.
Il Settecento si caratterizza per gli scambi
culturali tra gli studiosi, per la diffusione di
centri di studio e per la nascita di pubblicazioni
periodiche, che permisero di far circolare
nozioni e scoperte.
Microscopio mod. Culpeper, 1750
E’ nel corso del Settecento che finalmente la chirurgia abbandonò la posizione
subalterna nei confronti della medicina e acquisì una sua autonomia e una
propria dignità, conquistandosi uno spazio anche nel mondo accademico.
Cominciano a distinguersi anche altre specialità mediche, come l’ostetricia, fino
ad allora affidata alle mani di levatrici senza cultura e ora esercitata da medici
di formazione chirurgica, che migliorarono l’assistenza al parto.
I SISTEMI MEDICI DEL XVIII SECOLO
Durante la prima metà del XVIII secolo vennero elaborati diversi sistemi, nel
tentativo di fornire una visione generale del sapere medico.
I nuovi sistemi medici, rivolti a formulare teorie generali sul funzionamento del
corpo umano, erano talvolta in contrasto tra loro ed erano profondamente legati
alle idee filosofiche circolanti in quel periodo.
Tali sistemi non ebbero che un riflesso secondario sulla medicina pratica, sebbene
alcuni di essi abbiano riscosso notevole successo ed alimentato accesi dibatti.
Un sostenitore della relazione tra sintomi
clinici e alterazioni anatomiche fu
l’olandese Hermann Boerhaave (16681738).
Formatosi all’Università di Leida, diede
enorme lustro a questa istituzione
accademica, che divenne l’ateneo di
riferimento per la medicina, sottraendo il
primato a Padova.
Il più grande merito di Boerhaave fu
quello di aver ordinato il sapere medico
del suo tempo, ed averlo esposto in una
didattica chiara ed efficace, influenzando
generazioni di medici e rinnovando la
disciplina soprattutto dal punto di vista
metodologico.
Boerhaave riprese le concezioni meccaniche
di Borelli, secondo le quali il corpo umano è
costituito da una serie di macchine.
Lo considerò come una mescolanza di parti
solide e parti liquide, dal cui scompenso
deriverebbe un’alterazione delle funzioni
fisiologiche e, quindi, la malattia.
Sulla scorta di queste concezioni ordinò la
materia medica, distinguendo i rimedi che
agivano sui solidi dai rimedi che agivano sui
liquidi.
Boerhaave fu un grande estimatore di
Ippocrate, sostenendo l’importanza
dell’osservazione e del ragionamento al letto
del malato; per questo è considerato il
fondatore dell’insegnamento clinico e
dell’ospedale moderno.
Egli eseguiva regolarmente autopsie a scopo
didattico, mettendo in relazione il sintomo
con l’esito anatomico.
Sostenitore di una dottrina
meccanicistica di impronta razionale, in
parte ispirata dal pensiero di Leibniz, fu
anche Friederich Hoffman (16601742), originario di Halle in Germania,
dove tenne la cattedra di medicina per
molti anni.
Similmente alle concezioni sviluppate
da Boerhaave, Hoffmann interpretava il
corpo umano come una macchina
idraulica governata da leggi
meccaniche.
Hoffman riteneva che l’organismo
fosse regolato da un fluido nervoso che
aveva sede nel cervello, il quale si
distribuiva a tutti gli organi attraverso la
rete dei nervi e produceva il tono dei
tessuti.
Un eccesso di questo fluido nervoso
provocherebbe lo spasmo, e sarebbe
all’origine di patologie acute quali
infiammazioni, emorragie, catarri e
nevralgie, da contrastare con l’impiego
di sedativi, antispastici e lassativi.
La carenza di fluido nervoso
produrrebbe atonia, all’origine di malattie
croniche, da curare con l’uso di
stimolanti.
Questa teoria, esposta nella
monumentale opera in nove volumi
Medicina rationalis systematica, usciti
tra il 1718 e il 1740, ebbe grande
influenza sulla fisiologia del periodo,
spostando l’interesse dall’umoralismo
galenico ad un’azione e ad una
sensibilità di tipo neuromuscolare.
Georg Ernst Stahl (1660-1734), medico e
chimico tedesco, si oppose al materialismo
sostenuto da Boerhaave e dal collega
Hoffman, sostenendo una dottrina
animistica, esposta nella Theoria medica
vera del 1708.
L’anima starebbe alla base di ogni funzione
corporea, in particolare come meccanismo
di difesa dagli agenti patogeni, cessando di
agire solo con la morte. Senza l’anima,
che sostiene i processi fisiologici, il corpo
rimane passivo e inerte.
Stahl considerava la pletora (l’aumento
patologico della massa sanguigna o dei
liquidi) una causa frequente di malattia, che
andava perciò combattuta ricorrendo alle
deplezioni (o eliminazioni) naturali.
Per la terapia riteneva opportuno
assecondare la forza medicatrice della
natura (vis medicatrix naturae).
Théophile de Bordeaux (1722-1776) e Paul Joseph
Barthez (1734-1806), formatisi a Montpellier e poi
attivi a Parigi, si opposero sia al meccanicismo, sia
all’animismo di Stahl, dando vita al vitalismo,
secondo il quale i fenomeni organici non possono
essere ricondotti né alla fisica né alla chimica .
Il vitalismo rigettava la concezione di una materia
passiva, incapace di esprimere i processi vitali da
sola, comune sia ai meccanicisti che agli animisti.
Tutte le parti del corpo sono dotate di sensibilità e
alla dicotomia tra corpo e anima va sostituita quella
tra materia vivente e materia morta.
Alla base della dottrina vitalista vi è la convinzione
che anche la più piccola molecola, la più piccola
fibra, e ogni organo del corpo umano sono dotati di
vita propria, di una forza vitale, che è indipendente
dall’anima e, perciò, la vita del tutto è la somma delle
piccole vite particolari.
Théophile de Bordeaux
Il vitalismo contribuì alla formazione del
concetto di organismo inteso come totalità
di funzioni integrate.
Riferendosi poi all’ippocratismo, il vitalismo
riteneva che la malattia fosse una
variazione dello stato di salute e che,
dunque, alcuni sintomi fossero
manifestazioni dell’attività della natura, e
come tali dovessero essere liberi di
manifestarsi.
L’intervento del medico deve essere perciò
volto a risvegliare le forze vitali per favorire
l’azione medicatrice della natura.
Paul Joseph Barthez
Lo scozzese William Cullen (1712-1790),
professore all’università di Edimburgo,
propose un sistema incentrato sul
sistema nervoso che ebbe notevole
successo, e che espose nelle First lines
of the practice of physick del 1778.
Il suo sistema riprese il concetto di
irritabilità di Haller , ma se ne distinse per
l’importanza attribuita al ruolo dei nervi,
sulla scia delle teorie di Hoffmann.
In presenza di un aumento degli stimoli
esterni le funzioni vitali si
intensificherebbero, causando malattie
spastiche, mentre la mancanza di
eccitamento provocherebbe un
rallentamento delle funzioni nervose, con
conseguente insorgenza di malattie
asteniche.
Ideatore di un sistema medico molto seguito fu
infine lo scozzese John Brown (1735-1788),
professore all’Università di Edimburgo.
Allievo di Cullen, inizialmente partì dalle teorie
del maestro per poi distanziarsene e proporre
un proprio sistema, noto come “brunoniano”,
che espose nella sua opera Elementa
Medicinae, apparsa nel 1780 e poi tradotta in
molte lingue.
Al centro della sua dottrina neuropatologica
mise il concetto di “eccitabilità”, intesa come
qualità di base della materia vivente,
consistente nella capacità di ricevere stimoli
dall’esterno e di reagire ad essi.
L’eccitabilità, insita nel cervello e nelle fibre
neuromuscolari, costituirebbe una sorta di “forza
vitale”.
Brown teorizzò che tutti i fenomeni della vita, quindi la
salute come la malattia, consistono in niente altro che
uno stimolo.
La salute è determinata da un equilibrio tra gli stimoli
esterni e l’eccitabilità, mentre la malattia e la
debilitazione sono imputabili ad una deficienza nel
grado di stimolazione.
Per questo ritenne che la maggior parte delle malattie
richiedessero un trattamento stimolante,
contrariamente a quanto aveva fatto la pratica medica
fino ad allora, ricorrendo sistematicamente alla
deplezione e a misure debilitanti, primo tra tutti il
salasso.
Il sistema brunoniano riscosse un vasto successo sia
in America che nei paesi europei di lingua tedesca e in
Italia, dove fu ripresa da Giovanni Rasori.
GIOVANNI BATTISTA MORGAGNI
Dopo i primi passi compiuti verso
un’interpretazione anatomo-patologica dei
fenomeni morbosi ad opera di precursori come
Antonio Benivieni nel XV secolo e Théophile
Bonet nel XVII secolo, è con il Settecento che
prese avvio l’anatomia patologica, il cui
fondatore è unanimemente considerato
Giovanni Battista Morgagni (1682-1771).
Nato a Forlì, Morgagni studiò all’Università di
Bologna, e grazie alla fama raggiunta
precocemente per le sue ricerche di anatomia e
all’attività settoria, ottenne la cattedra di
anatomia nell’ateneo patavino, che tenne fino
alla morte.
La sua attività anatomica, lo portò a numerose
nuove scoperte in questo campo, che gli fecero
acquistare fama in tutta Europa, tanto da
essere definito anatomicorum totius Europae
princeps.
La sua attività più importante si svolse nel
campo dell’anatomia patologica, in quanto
pose le basi di un nuovo sistema di ricerca
fondato su un rigoroso metodo sperimentale.
Il , pubblicato nel 1761, rappresenta un testo
fondamentale per la storia della medicina,
con il quale la dottrina umorale, che aveva
dominato incontrastata dai tempi di Ippocrate
e Galeno, venne definitivamente
abbandonata in favore di una moderna
patologia d’organo.
In questo testo Morgagni raccolse circa 700
casi clinici, per la maggior parte da lui stesso
osservati, per ognuno dei quali fornì una
dettagliata descrizione, completa dell’esame
autoptico finale.
Per ogni caso clinico Morgagni prende in
considerazione fattori quali il sesso, l’età e il
lavoro del paziente, l’epoca di insorgenza
della malattia, la sua evoluzione clinica, e
ricerca le cause prossime del decesso,
osservando poi all’esame autoptico
l’eventuale presenza di danni visibili e ben
localizzati nel cadavere.
La novità proposta dal Morgagni consiste
proprio nella stretta relazione tra i sintomi
clinici e il reperto autoptico.
In altri termini, le alterazioni morfologiche
rilevate a carico degli organi venivano
correlate alle manifestazioni cliniche riportate
dal paziente nel corso della malattia.
Quindi le malattie non erano più ricondotte ad
uno squilibrio degli umori, ma erano
individuate in un organo preciso durante la
dissezione, evidenziando il rapporto con i
sintomi sul vivente.
Alcuni aspetti di questo approccio
rimanevano ancora oscuri.
Non era sempre possibile stabilire la causa
della morte, e talvolta non era possibile
comprendere in che modo la lesione
osservata in un organo causasse
determinati sintomi o come potesse
coinvolgere l’intero organismo.
Alcune malattie presentavano un quadro
anatomo-patologico simile, di difficile
distinzione in base al solo esame autoptico.
L’idea di verificare la presenza di alterazioni
e lesioni a carico degli organi direttamente
sul vivente, fu acquisita solo nel secolo
successivo.
Tuttavia, grazie a Morgagni, venne
compiuto un passo decisivo verso un
approccio del tutto nuovo alla malattia che,
uscendo definitivamente dagli schemi
umoralistici del passato, si basò sulla
casistica anatomo-clinica delle malattie.
L’ANATOMIA NEL XVIII SECOLO
Nel XVIII secolo gli studi anatomici proseguirono,
con un grande fiorire di scoperte, favorite dalle
nuove possibilità di studio a seguito dei progressi
delle scienze e della strumentazione.
Alcuni allievi del Morgagni si distinsero negli studi
anatomici, in particolare Giovanni Domenico
Santorini (1681-1737) e Antonio Scarpa (17521832).
Dopo gli studi a Bologna, Padova e Pisa, il
Santorini ottenne la cattedra di anatomia a Venezia
e condusse una intensa attività dissettoria, che lo
portò a descrivere per la prima volta molte strutture
del corpo umano che da lui presero il nome, tra cui
alcuni muscoli della faccia coinvolti nelle
espressioni, un dotto accessorio del pancreas e la
cartilagine corniculata della laringe.
La sua opera più importante sono le Observationes
anatomicae del 1724, corredate da splendide
illustrazioni.
Antonio Scarpa (1752-1832) ebbe la
cattedra di anatomia e chirurgia
all’Università di Modena e
successivamente a Pavia, divenuta un
centro di primo piano per gli studi di
medicina in Italia, dove Scarpa allestì il
famoso teatro anatomico.
A Scarpa si devono importanti studi
sull’anatomia dell’orecchio medio ed
interno, e ricerche sull’organo
dell’olfatto e sul nervo olfattivo.
Di grande rilievo le scoperte del nervo
accessorio spinale e soprattutto dei
nervi del cuore.
Scarpa illustrò tutte queste scoperte
anatomiche non solo con pubblicazioni
scientifiche, ma anche attraverso
splendide riproduzioni in cera.
Fondatore dell’anatomia descrittiva e precursore
dell’istologia, che tuttavia doveva svilupparsi
come scienza autonoma solo nel secolo
successivo, fu Marie François Xavier Bichat
(1771-1802), chirurgo e fisiologo francese, attivo
in particolare all’Hôtel-Dieu di Parigi, dove ebbe
modo di acquisire una grande esperienza
settoria.
A lui si deve la scoperta che gli organi del corpo
umano sono costituiti da tessuti, di cui distinse
21 tipi, dal tessuto osseo a quello cartilagineo, a
quello nervoso ecc., che descrisse nel Traité des
membranes en générale et des diverses
membranes en particulier del 1800.
Ma la sua opera fondamentale è l’Anatomie
générale del 1801, in cui pose le basi per lo
studio della funzione biologica dei tessuti, sia in
condizioni normali che patologiche.
Sulla scia del pensiero del Morgagni, ricercava
nelle alterazioni dei tessuti che costituiscono il
corpo l’origine delle malattie, basandosi tuttavia
sulla sola osservazione macroscopica, in quanto
non utilizzava il microscopio.
Fu un sostenitore delle teorie del vitalismo,
distinguendo nei tessuti delle proprietà fisiche
invariabili, che possono essere sottoposte al
calcolo, come l’elasticità e l’estensibilità, e delle
proprietà vitali, ossia la sensibilità e la
contrattilità.
Secondo questa visione la salute dipenderebbe
dal mantenimento della vitalità dei tessuti,
mentre la malattia e la morte sarebbero causate
dalla perdita di questi principi vitali.
Queste concezioni gli permisero di comprendere
che, in certi casi, le condizioni patologiche
dovevano essere cercate al di là delle singole
lesioni locali.
Diverse scoperte anatomiche sono legate al suo
nome, come ad esempio la fossa pterigopalatina, detta fossa di Bichat, la parte inferiore
del legamento sacroiliaco, o legamento di
Bichat, la scissura del cervello sotto il corpo
calloso, chiamata scissura di Bichat, e la tunica
intima dei vasi sanguigni, detta tunica di Bichat.
LA FISIOLOGIA NEL XVIII SECOLO
Durante il XVIII secolo la fisiologia, intesa
come studio del funzionamento del corpo
umano in condizioni normali, si andò
sempre più distaccando dall’anatomia, per
acquisire i caratteri di disciplina autonoma.
In particolare, si verificò un tentativo di
unificare i singoli concetti e di elaborare
sistemi medici che fossero in grado di
spiegare i fenomeni biologici nella loro
generalità e complessità.
In questo periodo si possono distinguere
due indirizzi principali a cui aderirono i
rappresentanti della disciplina, uno
prettamente sperimentale e l’altro
improntato su concezioni vitalistiche.
Uno dei fondatori della moderna fisiologia fu
Albrecht von Haller (1708-1777), originario di
Berna e poi professore di anatomia, chirurgia
e botanica a Göttingen, università allora
appena fondata.
Per quanto riguarda la medicina, fu autore
delle Icones anatomicae, tavole di anatomia
vascolare, in cui descrisse in dettaglio la
circolazione arteriosa del corpo umano.
Ma il contributo più notevole di Haller è
rappresentato dagli Elementa physiologiae
corporis umani, opera in otto volumi
pubblicata nel 1766, in cui raccolse e ordinò
sistematicamente le conoscenze fisiologiche
del tempo.
Con questo lavoro la fisiologia si
distaccava per la prima volta
dall’anatomia, caratterizzandosi come
disciplina scientifica autonoma e
anticipando gli sviluppi del secolo
successivo.
Le ricerche di Haller si indirizzarono in
particolare al sistema nervoso, le cui
conoscenze erano ancora limitate agli
effetti delle lesioni della corteccia
cerebrale e della resezione dei nervi.
Erano ancora accettate le teorie
secondo le quali il sistema nervoso era
regolato da spiriti vitali che, trasportati
attraverso il flegma dal cervello al
midollo, arrivavano poi ai nervi
dell’intero organismo tramite sottili
tubuli.
Haller applicò il modello
meccanicistico agli studi di fisiologia,
in contrasto alle dottrine vitalistiche
dell’epoca, e condusse una serie di
esperimenti su animali, osservando
che la stimolazione, meccanica,
elettrica o chimica, provocava in
alcune parti del corpo contrazione e in
altre dolore.
Questi risultati lo portarono a
suddividere le strutture del corpo in
due gruppi, quelle irritabili, individuate
nella materia muscolare, e quelle
sensibili, identificabili con la fibra
nervosa.
Queste intuizioni furono riprese agli
inizi del secolo successivo, portando a
fondamentali scoperte nel campo della
neurologia.
In Italia l’opera di Francesco Redi fu ripresa,
nel XVIII secolo, da Lazzaro Spallanzani
(1729-1799), gesuita che si interessò di
scienze naturali e che diede importanti
contributi nel campo della fisiologia.
Spallanzani è noto soprattutto per i suoi studi
sulla generazione spontanea, teoria che
ancora era molto dibattuta tra i naturalisti e
che egli confutò definitivamente attraverso
una serie di prove sperimentali e l’uso del
microscopio.
Spallanzani fece dell’esperimento la base
delle sue ricerche, che condusse anche nel
settore della fisiologia, raggiungendo
importanti risultati per quanto riguarda la
fecondazione, la digestione e la circolazione.
Riguardo alla fecondazione scoprì la natura animale
degli spermatozoi, e l’influenza della temperatura
sulla loro mobilità e motilità.
Condusse il primo esperimento di fecondazione
artificiale negli animali, con uova di rana e di rospo,
dimostrando che lo sviluppo dell’uovo non poteva
avvenire senza la fecondazione maschile.
Pur avendo scoperto la funzione fecondante del
liquido seminale, non comprese il ruolo degli
spermatozoi, che considerò parassiti dello sperma.
Per quanto riguarda gli studi sulla digestione,
Spallanzani dimostrò che questo processo non
consisteva solamente in un’ azione meccanica di
triturazione del cibo, né nella fermentazione degli
alimenti, ma anche in un processo chimico ad opera
di un liquido secreto dallo stomaco, il succo
gastrico.
Riguardo alla circolazione sanguigna scoprì i
capillari negli animali a sangue caldo, e osservò per
la prima volta i globuli bianchi; dimostrò per via
sperimentale l’esistenza di uno scambio tra
ossigeno e anidride carbonica nel sangue.
Accanto allo Spallanzani, tra le figure di
studiosi italiani che si distinsero per gli
studi di fisiologia ricordiamo Luigi Galvani
(1737-1798), professore di anatomia
all’Università di Bologna.
Galvani è ricordato soprattutto per essere
stato il fondatore dell’elettrofisiologia,
grazie ai suoi studi sperimentali
sull’elettricità animale, che espose nel De
viribus electricitatis in motu musculari
commentarius del 1791.
Partendo dall’osservazione, già nota in
fisiologia, che la stimolazione di un nervo
provoca la contrazione del muscolo ad
esso collegato, condusse una serie di
esperimenti sui muscoli e i nervi delle
rane, dimostrando che nei tessuti animali
esistono forze bioelettriche.
LA CHIRURGIA NEL XVIII SECOLO
Con il XVIII secolo la figura del chirurgo si
emancipò dalla posizione subalterna che
aveva ricoperto fino a quel momento rispetto
al medico, acquisendo una pari dignità e
dando alla disciplina chirurgica lo stesso
lustro riservato agli altri insegnamenti
universitari.
Questo processo avvenne in Francia, dove
era già stato avviato due secoli prima da
Ambroise Parè e dove l’intervento regio
aveva provveduto a riabilitare il ruolo dei
chirurghi-barbieri a partire dal Luigi XIV
(1638-1715) e si diffuse in seguito anche
negli altri paesi europei.
Ebbe un particolare rilievo la fondazione, nel
1731, dell’Académie Royale de Chirurgie.
Uno dei massimi rappresentanti della
chirurgia del periodo fu Jean-Louis Petit
(1674-1750), che inventò un meccanismo
laminare a vite per effettuare l’emostasi,
fornì la prima descrizione clinica
dell’ematoma extra-durale, diede il nome
alla parte inferiore della regione lombare,
chiamato infatti “triangolo di Petit”.
Di grande valore sono la sua opera sul
trattamento delle malattie delle ossa, l’Art
de guérir les maladies des os del 1705, e
soprattutto la sua monumentale opera
postuma Traité des maladies
chirurgicales, et des opérations qui leur
conviennent, pubblicata nel 1790, frutto di
molti anni di lavoro.
Nella seconda metà del XVIII secolo fece
scuola Pierre Desault (1738-1795), capo
chirurgo all’Hôtel Dieu di Parigi, al quale si
attribuisce il merito di aver fondato la chirurgia
clinica.
Desault si occupava di chirurgia nel senso più
ampio del termine, con tecniche di alto livello;
diede il nome a nuove tecniche di bendaggio
delle fratture, di legatura degli aneurismi e di
sutura intestinale.
Molti suoi allievi si ritrovarono, come chirurghi
militari, al seguito delle armate di Napoleone.
In Inghilterra la chirurgia conobbe un periodo di
fioritura, che vide tra i suoi più rilevanti
protagonisti lo scozzese John Hunter (17201793), definito il padre della chirurgia
sperimentale.
La sua abilità chirurgica si basava su profonde
conoscenze anatomiche, che aveva appreso
insieme al fratello William (1718-1783), celebre
anatomico ed ostetrico del periodo.
Divenuto chirurgo capo dell’esercito inglese,
acquisì una notevole esperienza sul campo,
occupandosi in particolare dei processi
infiammatori e della guarigione delle ferite.
Ritornato alla vita civile, si dedicò completamente
alla pratica chirurgica, insistendo sulla necessità
del rigore scientifico.
Hunter fu il primo a dimostrare il principio della
circolazione collaterale; grazie ad alcuni
esperimenti condotti sui cervi, scoprì che se un
vaso principale era obliterato, nuovi vasi più
piccoli si formavano per irrorare i tessuti
compromessi.
In Italia si distinse Antonio Scarpa (1752-1832),
anche famoso anatomico. Notevole fu il suo
contributo nel campo della chirurgia, a cui si
dedicò a partire dall’inizio del XIX secolo.
Si occupò delle operazioni chirurgiche più
complesse, che allora erano demandate agli
empirici e trascurate dagli universitari, e basò la
chirurgia sulla conoscenza pratica
dell’anatomia, introducendo esercitazioni sul
vivente, mentre fino allora gli studenti facevano
pratica solo sul cadavere.
Fece importanti studi sulla chirurgia dell’occhio,
che contribuirono al progresso dell’oculistica, su
alcune malformazioni congenite, come il piede
torto e sulle ernie, che lo portarono a descrivere
accuratamente il triangolo anatomico femorale
alla radice della coscia, denominato triangolo
dello Scarpa.
Importante per la tecnica chirurgica, fu
l’introduzione del taglio ipogastrico per
l’estrazione dei calcoli vescicali.
Il XVIII secolo vide la nascita dell’ostetricia, la
quale, emersa già nel secolo precedente in
particolare in Francia, si rese ora pienamente
indipendente dalla chirurgia, configurandosi
come disciplina autonoma.
Gli ostetrici cominciarono ad interessarsi non
solo ai parti difficili, ma anche a quelli
normali, e ad assistere le donne anche
durante la gravidanza.
Si diffuse l’uso del forcipe, che era stato
inventato da poco, mentre il taglio cesareo,
già praticato con qualche successo sulla
donna vivente fin dal secolo precedente,
rimase ancora una modalità di parto piuttosto
pericolosa sia per la vita della madre che del
bambino fino agli inizi del XIX secolo, a causa
delle infezioni post-operatorie.
I maggiori contributi nel campo
dell’ostetricia durante il XVIII secolo
vennero fatti in Francia e in Inghilterra.
Tra gli ostetrici più rilevanti del periodo
ricordiamo André Levret (1703-1780)
attivo a Parigi, al quale si deve l’apporto
di numerose migliorie al forcipe, tra cui la
curvatura pelvica, la fenestratura dei
cucchiai, che permettevano di accogliere
più opportunamente la testa del feto, e
un allungamento dello strumento, che
permise di raggiungere il bambino anche
quando si trovava in una posizione alta.
Diede contributi anche sul taglio cesareo
e sulla procedura per estrarre il feto che
si presentava in posizione podalica.
Altra figura di primo piano in Francia
fu Jean-Louis Baudelocque (17451810), attivo nella seconda metà del
XVIII secolo, che operò
principalmente a Parigi.
Oltre ad aver modificato il forcipe di
Levret, allungandolo ulteriormente,
ideò il pelvimetro, strumento atto a
misurare il diametro esterno del
bacino.
Studiò dettagliatamente il parto,
descrivendo il meccanismo più
comune di distacco della placenta, e
fu un sostenitore del taglio cesareo.
Si sforzò di istruire le levatrici, grazie
alla pubblicazione di molti testi di
riferimento, tra cui "L’Art des
accouchemens" del 1781, le quali
fino ad allora, essendo ignorate dai
medici, avevano svolto il loro lavoro
guidate unicamente dall’esperienza.
Il padre dell’ostetricia inglese è considerato
William Smellie (1697-1763), che fondò la
disciplina su basi scientifiche.
Descrisse in dettaglio i meccanismi del
parto, ideò un sistema per misurare le
dimensioni interne del bacino e inventò
nuovi tipi di forcipe, fra cui il più noto, dotato
di cucchiai più lunghi, prese il suo nome.
Egli teneva in maggior considerazione la
vita della madre piuttosto di quella del
nascituro e ricorse al taglio cesareo solo nei
casi estremi di bacino troppo stretto.
IL CONCETTO DI CONTAGIO
E’ con il XVIII secolo che si fece strada il
concetto di contagium vivum, già suggerito
da alcune scoperte avvenute nel secolo
precedente e sostenuto ora da diversi
ricercatori, sebbene non si fosse ancora
arrivati ad una sua dimostrazione sul piano
sperimentale.
Carlo Francesco Cogrossi (1682-1769)
pubblicò, nel 1714, un volumetto intitolato
Nuova idea del male contagioso de' buoi,
nel quale attribuiva l’epidemia che stava
decimando le mandrie all’azione di
parassiti di piccolissime dimensioni che
denominò “atometti”; questi erano tanto
piccoli che non erano visibili ai microscopi
di allora, ma ne postulò l’esistenza sulla
base di un’analogia con le scoperte di
Bonomo e Cestoni sull’origine acarica
della scabbia.
Questa scoperta fu avvallata da Antonio
Vallisnieri (1661-1730), che aveva la
cattedra di medicina a Padova, il quale, in
una lettera di risposta a Cogrossi datata al
1714, sostenne il concetto del contagio
vivo per azione di “vermicelli” che
passano facilmente da un individuo ad un
altro.
Arrivò a formulare l’idea del periodo di
incubazione e a supporre l’esistenza di
specie diverse di animaletti, che
sarebbero responsabili dell’insorgenza di
malattie diverse.
Lo sloveno Marcus Antonius Plenciz
(1705-1786), professore di medicina
a Vienna, nella sua Opera medicophysica del 1762, scrisse, un secolo
prima della moderna batteriologia,
che ogni infezione ha un proprio
agente causativo specifico e che un
individuo è contagiato solo se la sua
costituzione è suscettibile a quella
determinata malattia.
Discusse inoltre di incubazione, di
immunità, e descrisse alcune
malattie infettive, come il vaiolo,
formulando la prima teoria coerente
sul contagium vivum, ancora priva,
però, di dimostrazioni sperimentali.
Infine si deve al naturalista danese
Otto Friedrich Müller (1730-1784),
una prima classificazione di
microrganismi in generi e specie
seguendo il metodo di Linneo,
esposta nel Animacula infusoria et
marina.
Fu tuttavia solo con il XIX, con la
distinzione anatomo-clinica delle
diverse malattie infettive, che
questo campo della medicina vide i
suoi sviluppi più fecondi.
Keratella quadrata (Muller 1786)
JENNER E LA VACCINAZIONE
Mentre nel XVIII secolo molte
malattie infettive che avevano
imperversato in precedenza, come la
peste e il tifo, subivano una riduzione
della loro incidenza, il vaiolo
conosceva una notevole diffusione
nel mondo occidentale, in particolare
nelle aree altamente urbanizzate.
La sua estrema contagiosità rese il
vaiolo una malattia tipica dell’età
infantile, con un’incidenza e un tasso
di mortalità particolarmente elevati.
In quel periodo era stata introdotta una pratica
volta ad evitare di contrarre la forma letale
della malattia, consistente nell’inoculare nei
soggetti sani polveri ottenute dalle croste
prelevate da pazienti affetti o guariti da una
forma lieve della malattia.
Questa pratica, probabilmente originaria della
Cina, dove era nota già fin dal X secolo, era
chiamata variolizzazione e fu diffusa in Europa
ad opera di lady Mary Wortley Montagu (16891762), una letterata inglese moglie
dell’ambasciatore inglese in Turchia, che
l’aveva osservata in questo paese.
Nonostante fosse piuttosto efficace, si rivelò in
alcuni casi pericolosa; infatti poteva indurre
una forma mite della malattia, ma anche
causare casi gravi e ondate epidemiche, per
cui molti medici si opposero a questa pratica.
I più importanti progressi sulla profilassi del
vaiolo si devono all’inglese Edward Jenner
(1749-1823), considerato il padre della
vaccinazione.
Questo medico di campagna aveva osservato
che i contadini addetti alla mungitura, i quali
contraevano la forma bovina del vaiolo, ad esito
benigno, si immunizzavano contro il vaiolo
umano, molto più pericoloso.
Jenner volle verificare la fondatezza di queste
osservazioni e, nel 1796, eseguì il primo
esperimento di immunizzazione inoculando il
vaiolo vaccino (da cui deriva il nome di
vaccinazione), in un bambino di 8 anni.
Questi sviluppò il vaiolo bovino, guarendo
completamente dopo alcune settimane; a
questo punto Jenner effettuò un secondo
inoculo, utilizzando il vaiolo umano.
Il bambino non mostrò nessun sintomo della
malattia, dimostrando l’efficacia
dell’immunizzazione contro il vaiolo umano
tramite il vaiolo bovino.
I risultati di questa scoperta furono
pubblicati nel 1798 nel libro An inquiry into
the causes and effects of the variolae
vaccinae, a disease discovered in some of
the Western counties of England,
particularly Gluchestershire, and known by
the name of “The cow pox”.
Da quel momento iniziò una campagna di
vaccinazione che coinvolse prima l’Europa
e poi il resto del mondo; entro la fine del
1802 tutti i paesi europei introdussero la
vaccinazione, e alcuni la resero
obbligatoria.
La malattia è stata debellata dalla faccia
della terra nel corso del XX secolo ed è
stata considerata ufficialmente scomparsa
nel 1980.
Inoltre, il principio della vaccinazione,
scoperto da Jenner, fu esteso
progressivamente anche ad altre malattie
infettive.