Allergopatie respiratorie professionali

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Allergopatie respiratorie professionali
Dott. Giovanni De Vito
Le allergopatie respiratorie professionali si inquadrano all’interno della classificazione delle
reazioni di ipersensibilità secondo Gell e Coombs. Questa classificazione prevede quattro tipologie
di reazione:
A) Reazione di ipersensibilità di TIPO 1: reazioni anafilattiche o da ipersensibilità immediata
dovuta alla presenza di anticorpi di tipo IgE. È una reazione di tipo immediato. Le reazioni di tipo
anafilattico sono rare (ad esempio incidenti nelle industrie farmaceutiche dove sono implicate
sostanze in grado di dare reazioni di tipo massivo). Infatti nelle reazioni anafilattiche, sono
implicate le sostanze quali ad esempio gli antibiotici e gli isocianati contenuti nelle vernici. Tra le
allergopatie respiratorie di tipo 1, il principale quadro clinico è rappresentato dall’asma.
B) Reazione di ipersensibilità di TIPO 2: sono dovute a reazioni citotossiche per presenza di
anticorpi solubili capaci di attivare il complemento, cioè IgG e IgM. Un esempio di questo tipo di
reazione è rappresentato dall’emolisi scatenata da farmaci. Questa reazione è differente da quella
anafilattica. Le emolisi da farmaci sono un evento che si verifica per assunzione di un farmaco per
os e, per questa ragione, questo tipo di reazioni sono le meno frequenti in assoluto in ambito
lavorativo.
C) Reazione di ipersensibilità di TIPO 3: reazioni da immunocomplessi antigene-anticorpo
circolanti. Gli immunocomplessi circolanti si accumulano a livello dei vasi e dei glomeruli
provocando patologie a questo livello. In ambito respiratorio il quadro clinico si manifesta con le
alveoliti allergiche.
D) Reazione di ipersensibilità di TIPO 4: sono reazioni da ipersensibilità ritardata, mediata da
linfociti T, effettori citotossici liberanti linfochine che distruggono cellule e microrganismi e
stimolano macrofagi e neutrofili. Questa reazione si verifica tipicamente come risposta
dell’organismo agli antigeni del Micobatterio tubercolare, ma può avvenire anche nei confronti di
molti altri antigeni di origine professionale, come alcune tipologie di metalli duri. È il tipico
meccanismo della dermatite allergica da contatto
Uno dei maggiori problemi per un medico del lavoro è rappresentato dal saper distinguere le
patologie allergiche da quelle non allergiche. L’identificazione del tipo di sostanza implicata nel
processo, inoltre, non così semplice perché spesso un lavoratore è esposto a molte sostanze
contemporaneamente. Diventa però fondamentale distinguere tra allergia e irritazione perché gli
approcci terapeutici saranno differenti a seconda che siano dovuti a un meccanismo di tipo irritativo
o a un meccanismo di tipo allergico.
Nella pratica della medicina del lavoro, laddove si verifica un’irritazione o un’allergia, togliendo
l’esposizione alla causa, si dovrebbe risolve la problematica. Ma togliere l’esposizione (ovvero
cambiare lavoro) non è sempre possibile. Perciò il medico decide sulla base alla diagnosi di
meccanismo irritativo o allergico. Se è un fenomeno irritativo, sarà sufficiente ridurre l’esposizione
(per es. basta usare una mascherina nel caso di una reazione di tipo polmonare). Se invece si tratta
di un fenomeno allergico, occorrerà togliere totalmente l’agente causale perché, in teoria, basta
anche solo una molecola per scatenare la crisi. Se non è possibile rimuovere l’agente causale, si può
provare a ridurre l’esposizione con la mascherina. Se persiste la sintomatologia il lavoratore dovrà
cambiare mansione. Si procederà quindi con la denuncia di malattia professionale.
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Come è quindi possibile distinguere tra fenomeno irritativo ed allergia? L’analisi della dose soglia è
uno degli elementi più importanti per distinguere tra irritazione e allergia. Nel fenomeno allergico,
bastano dei periodi di esposizione sempre più brevi per scatenare la sintomatologia, cioè la dose
soglia si abbassa. Viceversa nel fenomeno irritativo, la soglia non varia, cioè devo dare sempre la
stessa quantità di sostanza per avere la lesione. Le recidive si hanno con la stessa intensità per pari
durata dell’esposizione. Un’altra analisi fondamentale per distinguere le due tipologie di reazione è
rappresentata dall’indagine anamnestica. Nel fenomeno allergico si ha un certo periodo di latenza; il
fenomeno non insorge appena espongo il lavoratore all’allergene, ma dopo un periodo che può
variare da settimane a anni. Inoltre avrò inizialmente dei sintomi blandi che diventano poi sempre
più ingravescenti; si parla di “pattern in crescendo”. Nel fenomeno irritativo, non esiste il periodo di
latenza e le manifestazioni si hanno subito dopo il contatto. Non viene identificato un pattern “in
crescendo”, anche se ovviamente con l’andare del tempo si ha un peggioramento magari più rapido.
L’asma professionale
L’asma da irritanti (Reactive Airway Disease Syndrome = RADS) è dato dall’esposizione acuta ad
irritanti respiratori. È importante perciò differenziare un agente irritante da uno sensibilizzante.
Irritante, infatti, è una sostanza che per le sue proprietà acide o basiche o qualsiasi altra
caratteristica, è in grado di stimolare una reazione da parte di strutture presenti nell’albero
respiratorio. Per molti autori, però, l’esistenza di un vero e proprio asma da irritanti è ancora dubbia
a differenza invece della certezza sull’asma allergico.
L’asma bronchiale allergico è il principale asma riconosciuto come professionale nella maggior
parte dei casi. È basato su una reazione di ipersensibilità di tipo 1, con il ruolo delle IgE. Le
manifestazioni sono quelle classiche dell’asma. Accanto alla sintomatologia asmatica, possono
presentarsi contemporaneamente anche altre manifestazioni allergiche, ad esempio, a carico della
cute. Il compito del medico del lavoro sarà quello di capire quali sono le sostanze implicate in
ambito lavorativo, se hanno davvero un ruolo patogenetico nell’asma di un certo individuo esposto
e come si può agire.
Alcune possibili sostanze o eventi fisici, denominati triggers, sono in grado di scatenare l’asma sia
allergico che non allergico. Tra questi possiamo ricordare:
- aria fredda che dà il tipico asma da stress o asma da freddo
- polvere
- inquinanti ambientali (es. particolato)
- altri irritanti (es. isocianati contenuti nelle vernici)
- fumo di tabacco che è un inquinante voluttuario
- esercizio fisico (iperventilazione)
Un esempio interessante in ambito lavorativo è rappresentato dalle fonderie. Nelle fonderie ci sono
enormi spazi coperti da tettoie ma aperti. In questo caso quindi, se un lavoratore di una fonderia
accusa una crisi di asma, quale sarà la causa? Potrebbe essere rappresentato semplicemente
dall’esposizione al freddo degli spazi aperti e non è detto che il soggetto sia necessariamente
allergico. La causa dell’asma può quindi essere naturale, come ad esempio l’aria fredda o la
polvere. L’aria fredda è da considerare come un fattore irritante, mentre la polvere può scatenare sia
meccanismi allergici (es. polvere con acari) o essere solo un fattore irritativo da ingombro sterico.
Accanto ai triggers ci sono poi le vere e proprie sostanze sensibilizzanti, causa di asma allergico. Si
parla di almeno 250 sostanze sensibilizzanti! Questi agenti sensibilizzanti vengono classificati in
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base al loro peso molecolare poiché ad esso è correlato il meccanismo d’azione dell’induzione
dell’asma. Si dividono quindi in:
- agenti ad alto peso molecolare (>5000 D): provvedono da soli a scatenare il meccanismo
allergico perché fungono da antigeni completi capaci di indurre sensibilizzazione e asma con
un meccanismo di tipo1 cioè la risposta immediata dell’organismo è quella della produzione
di anticorpi IgE. Sono grosse molecole,i solitamente macromolecole proteiche di natura
animale o vegetale.
- agenti a basso peso molecolare (<5000 D): sono per lo più sostanze di sintesi chimica;
spesso sono atomi singoli e non molecole. Solo in piccola parte agiscono con un
meccanismo noto di tipo IgE (per es. Sali di platino e anidride ftalica); nella maggior parte
dei casi agiscono con meccanismi ancora non del tutto noti. Per alcuni metalli duri si può
avere un meccanismo di tipo 4 ma sono possibili anche meccanismi di tipo 3.
L’allergia al nichel (che colpisce il 20% circa della popolazione) è un esempio classico: il
nichel è infatti un metallo che si presenta sottoforma di atomi singoli e quindi rientra negli
agenti a basso PM.
Nel dettaglio vengono di seguito elencate alcune sostanze sensibilizzanti, in grado di dare origine ad
episodi di asma professionale
Tra gli aeroallergeni si riconoscono:
- Peli e forfore di animali: possono essere tipici di alcune attività come quella del veterinario,
allevatore, venditore di animali.
- Graminacee e altri pollini: riguardano gli agricoltori
- Acari della polvere : riguardano tutti. Spesso gli impiegati che non hanno nessun rischio, hanno
però questo problema quando lavorano in archivio.
- Polveri: tra cui si ricorda quelle dovute al
• legno: i legni autoctoni non sono allergizzanti, ma alcuni legni esotici importati oltre ad essere
allergizzanti sono addirittura classificati come cancerogeni per le vie respiratorie. In realtà non
esiste un legno specifico riconosciuto come cancerogeno ma è il processo di lavorazione del
legno che lo è. Infatti l’allergia è considerata spesso come la prima parte di un processo che
sommando i vari effetti irritanti, arriva fino alla cancerogenesi.
• Farine: le allergie alle farine sono molto importanti in ambiente lavorativo perché sono delle
realtà difficilmente modificabili: il panificatore è infatti sempre immerso nella farina e quindi se
è allergico non può fare altro che cambiare lavoro.
• Caffè: la produzione di caffè non interessa molto l’Italia perché nel nostro paese non avvengono
quelle parti della lavorazione che sono le più pericolose.
- Vernici: le vernici vengono molto usate nelle industrie del legno (dove si è visto c’è anche molta
polvere dovuta al fatto che il legno prima di essere verniciato va carteggiato per essere reso liscio ).
Le tinture di capelli e le resine sono assimilabili alle vernici.
- Micofiti (alternaria, candida, aspergillus): interessano soprattutto il settore agricolo.
Esistono poi gli allergeni di origine alimentare, ma questi agiscono solo se ingeriti! Quindi non è un
problema che interessa la medicina del lavoro. È perciò molto difficile che gli allergeni alimentari
determinino la necessità di spostare il lavoratore.
I farmaci sono un problema all’interno delle aziende farmaceutiche ed con minor frequenza
nell’ambiente sanitario. Tra questi ricordiamo:
- Beta e alfa bloccanti: sono farmaci molto usati e quindi molto prodotti
- Aspirina e FANS: ASA è responsabile del tipico “asma da aspirina”, non IgE mediato
- Gli antiblastici: sono un problema per il personale sanitario e vanno trattati con estrema attenzione
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Altre sostanze chimiche che se inalate danno asma allergico sono costituite da:
- Toluene DiIsocianato (TDI, un componente delle vernici, usato per produrre alcune plastiche)
- Enzimi specifici per accelerare le reazioni (prodotti dal BACILLUS subtilis) in aziende alimentari
o nella produzione di detersivi.
- Gluteraldeide e formaldeide che sono un problema tipico dell’ambito sanitario
Di seguito viene presentata una tabella riassuntiva di alcune attività allergizzanti:
AGENTI
Isocianati
Grano e farina
Animali di laboratorio
Resine epossidiche (anidride ftalica)
Enzimi proteolitici
Sali di platino
Crostacei
Legno
Farmaci
Lattice
Tinture (per es. hennè)
Altri metalli (per es. nichel e cobalto)
Altre sostanze chimiche
(per es. azodicarbonamide)
PROFESSIONE A RISCHIO
Lavoratori a contatto con sostanze plastiche,vernici,colle e
inchiostri
Panettieri, mugnai, agricoltori
Lavori da laboratorio o a contatto con topi, porcellini
d’India, etc..
Lavoratori a contatto con sostanze plastiche, vernici e
colle
Lavoratori a contatto con detersivi, chi produce detersivi,
birra, cuoio e pane
Tecnici a contatto con il platino
Addetti alla lavorazione di granchi, gamberi
Lavoratori di vari tipi di legno
Lavoratori addetti alla produzione di farmaci (soprattutto
cimetidina, penicillina, sulfamidici e tetracicline,
cefalosporine)
Personale sanitario
Parrucchieri
Lavoratori industria metallurgica
Personale medico, lavoratori a contatto con gomma e
plastiche, addetti allo sviluppo di fotografie)
A seconda delle aree, del tipo di industria più presente sul territorio, la causa principale di asma
professionale varia. Nella zona di Siena si ha una forte prevalenza di asma per isocianati. In
Lombardia non si hanno dati specifici relativi alla patologia allergica professionale, ma esistono i
dati raccolti dall’ospedale di Desio dove il lattice è estremamente rappresentato (24%). Il lattice è
molto sensibilizzante è può dare molte allergie (ci sono casi di reazioni allergiche vaginali in
conseguenza di visita ginecologica) però non è una causa così frequente nella popolazione generale
che non usa il lattice quotidianamente. Dopo il lattice, la causa più frequente ritorna ad essere
rappresentata dalle vernici-isocianati e, a seguire, da farine di cereali, persolfati (presenti in molti
detergenti), vari altri allergeni tra cui profumi e gomme (che sono state assimilate al lattice).
Un problema molto importante da tenere a mente è che la popolazione extracomunitaria si
sensibilizza spesso molto più della popolazione autoctona e fra queste in particolare si ha nella
popolazione dell’America Latina, delle Filippine e dello Sri Lanka. Le persone provenienti
dall’America Latina e dalle Filippine non sono molto visibili nelle aziende perché fanno
maggiormente lavori domestici o autotrasporto quindi non sono soggetti a questo tipo di problemi
professionali in modo rilevante. La popolazione proveniente dallo Sri Lanka è invece più facilmente
visibile nelle aziende e quindi soggetta all’asma allergico professionale
Patologie respiratorie allergiche meno comuni
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Di seguito sono presentate patologie allergiche relativamente rare ma che vanno sospettate ogni
volta che si ha di fronte una fibrosi polmonare.
L’alveolite allergica estrinseca è il risultato di una reazione allergica a sostanze esogene presenti
in ambiente lavorativo, costituite da particelle di diametro inferiore ai 5 micron in grado di
penetrare a livello dell’alveolo. Le categorie più a rischio sono quelle che lavorano in atmosfere
contaminate da polveri organiche di varia origine (sono tutte forme che interessano principalmente
agricoltori/allevatori):
- Farmer’s lung: il “polmone del contadino” è dovuto al fieno ammuffito e fermentato che è
ricco di spore fungine. Queste spore sono piccole, vengono respirate e giungono fino
all’alveolo (Micropolyspora faeni)
- Lavoratori di cereali: anche i cereali fermentano dentro i silos e i lavoratori sono esposti a
questi derivati proteici dei cereali e alla microflora che li contamina (Cladosporium,
Altemaria, ecc.). I lavoratori a rischio sono gli agricoltori, mugnai, insilatori.
- Lavoratori del malto: anche il malto è un cereale che quindi può essere contaminato e si
possono poi inalare i contaminanti. I lavoratori di distillerie, fabbriche di birra, sono esposti
ad Aspergillus elavatus che si sviluppa sui grani di segale mantenuti ad alta temperatura
- Allevatori di uccelli: esposti a proteine aviarie
- Coltivatori di funghi: lavorano con spore che vengono seminate e quando sono tante
possono essere inalate (per es. esposizione a Termoactinomiceti)
- Altre categorie: lavoratori del sughero, del piretro (insetticida vegetale), del legno, pulitori
di saune, ecc.
Il meccanismo alla base dell’alveolite allergica estrinseca è una reazione di tipo 3
(immunocomplessi) o di tipo 4 (linfociti T)
Le manifestazioni possono essere:
- acute: dopo 4 h dall’inalazione di polvere si hanno manifestazioni simil-influenzali =
cefalea, algie, tosse con scarso espettorato, febbre. Dopo 2-3 gg la sintomatologia si risolve
spontaneamente.
- croniche: l’alveolite è un’infiammazione che, se si perpetua nel tempo, porta all’alterazione
morfologica degli alveoli, quindi nella fase cronica si può arrivare ad avere una vera e
propria dispnea da sforzo.
La diagnostica strumentale utile per fare diagnosi è rappresentata da:
- Rx torace: si avranno opacità pseudonodulari reticolari perché è presente una certa fibrosi.
La particolarità di queste lesioni è di essere pseudonodulari e di interessare tutti gli alveoli,
cioè sono generalmente diffuse a tutti i campi polmonari anche se maggiormente ai campi
medi.
- Prove di funzionalità respiratoria: essendoci una continua sostituzione fibrotica del
parenchima polmonare, si avrà un quadro di tipo restrittivo. Conseguentemente e oltre a ciò
si avrà una diminuzione della diffusione alveolo-capillare. A causa della fibrosi infatti,
l’alveolo non ha più la struttura sottile della parete alveolare che permette lo scambio di gas
e quindi si ha un’alterazione dello scambio dei gas che è possibile misurare con i test di
funzione.
Oltre a questi test, sono fondamentali per la diagnosi:
- la presenza di precipitine specifiche nel sangue circolante
- BAL (lavaggio bronco-alveolare)
È ovviamente necessaria un’anamnesi professionale per cercare il nesso cronologico tra esposizione
e sintomi.
La bissinosi è dovuta anch’essa alla macerazione in ambiente umido di fibre (cotone, lino e canapa)
usate nelle industrie tessili. In ambienti umidi con molta polvere si sviluppano contaminazioni con
spore e affini delle fibre tessili e il risultato è che il lavoratore manifesta quella che viene chiamata
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“la febbre del lunedì”. La reazione simil-influenzale (la febbre del lunedì) è simile a quella delle
alveoliti e ovviamente all’inizio è solo di lunedì, poi peggiora e si cronicizza. Tutto questo avviene
perché si ha la liberazione diretta di istamina provocata da endotossine prodotte da batteri Gramnegativi contenute nella polvere del cotone, canapa e lino che rappresentano sostanze pirogene e
mediatori chimici della flogosi
La pneumopatia da metalli duri è una patologia molto seria e ancora parzialmente presente in
ambito lavorativo perché difficile da eliminare e poco sospettata.
I metalli duri sono, per esempio, il tungsteno, il cromo e il vanadio che sono usati in tutti gli
strumenti da taglio. Il sistema migliore per indurire il punto di contatto dove avviene il taglio è
sempre stato l’uso della polvere di diamante, ma nella seconda guerra mondiale i tedeschi non
l’avevano perché c’erano gli embarghi e quindi trovarono una soluzione alternativa: utilizzarono
delle polveri di metalli duri mischiate al cobalto nel cosiddetto processo di sinterizzazione. La
sinterizzazione è proprio il processo che serve a incollare queste polveri di metalli duri sul punto di
contatto. Dato che ancora oggi non tutti usano la polvere di diamante, esiste il rischio di
pneumopatia dovuta all’utilizzo dei metalli duri. Il lavoratore esposto a questo rischio è colui che è
addetto alla sinterizzazione e all’affilatura degli utensili. Il manutentore delle punte è infatti esposto
alla miscela di cobalto + metalli duri. Fortunatamente le fabbriche dove avviene la sinterizzazione
sono molto poche. La patologia si manifesta inizialmente solamente con disturbi di tipo irritativo
che scompaiono 1-2 giorni dopo l’allontanamento dall’ambiente di lavoro. Le forme meno gravi
hanno solo l’asma e hanno evoluzione favorevole con il precoce allontanamento dall'esposizione,
mentre le forme più gravi comprendono l’alveolite con fibrosi interstiziale diffusa. Il meccanismo
dell’alveolite è quello dell’alveolite linfocitaria con inversione del rapporto linfociti T
helper/suppressor nei lavoratori addetti alla sinterizzazione o di alveolite macrofagico gigantocellulare con eosinofilia nei soggetti esposti a umido (addetti mole diamantate). Nei casi peggiori
l'evoluzione è verso l’alveolite sclerosante e la fibrosi. Esiste anche la possibilità di forme miste con
combinazione di asma e alveolite.
La diagnostica strumentale utile per fare diagnosi è rappresentata da:
- BAL (lavaggio bronco-alveolare) con indagini citologiche
- RX torace: opacità irregolari diffuse (come la bissinosi)
- test di funzionalità respiratoria: quadro restrittivo con alterazione della diffusione
- Se si ha un’allergia, si possono ricercare le IgE specifiche Co-Hsa (essendo il cobalto
l’agente responsabile) ed è possibile anche fare un test di provocazione bronchiale specifico
mettendo il soggetto in cabina e facendolo respirare dosi controllate di cloro-cobalto (che è
leggero e quindi rimane in sospensione più a lungo).
La berilliosi colpisce le persone che maneggiano il berillio che è presente nelle miscele di fosfori
che servono per accendere le insegne luminose, ma è una patologia molto rara.
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Il rischio allergologico per gli operatori sanitari
I problemi allergici specifici che colpiscono gli operatori sanitari possono essere principalmente
scatenati da:
1. manufatti in gomma. Con questo termine si intende anche e soprattutto il latice dei guanti
anche se ormai per fortuna si hanno a disposizione dei guanti ipoallergenici come quelli di
vinile, che sono i guanti trasparenti oppure i guanti in nitrile, che sono quelli azzurri.
Purtroppo però i guanti sterili sono spesso in latice perché i guanti sterili non in latice
costano ancora troppo.
2. disinfettanti (gluteraldeide, formaldeide e la clorexidina)
3. farmaci (questo tipo di allergia interessa più gli infermieri; se per esempio un infermiere è
allergico a un farmaco ma lo deve somministrare al paziente, deve usare i guanti. I medici di
solito non fanno questo tipo di operazioni). Si vedranno in dettaglio gli antiblastici.
I guanti in latice di gomma presentano al loro interno:
- Latex: che è la gomma vegetale estratta dal caucciù.
- Acceleranti, ossidanti e coloranti: sono sostanze a basso PM che sono utilizzate nel
processo di vulcanizzazione, cioè di lavorazione della gomma. La gomma estratta dal
caucciù viene infatti cotta a 180° C per essere poi modellata. La semplice cottura è
sufficiente per ottenere grossi oggetti in gomma (per es. le ruote delle macchine), ma per
poter ottenere dei guanti sottilissimi, è necessario aggiungere delle sostanze chimiche che
fanno sì che la cottura avvenga uniformemente in tutti i punti; oltre alla gomma si avranno
quindi degli acceleranti della reazione, degli ossidanti per bloccare la degradazione della
gomma nel tempo, e dei coloranti (già si è visto come le vernici abbiano proprietà
sensibilizzanti). Queste sostanze chimiche aggiunte sono fondamentali per ottenere materiali
elastici, resistenti e sottili
- Polvere di mais: polvere che facilita l’indosso, facendo scivolare meglio il guanto. Questa
polvere è ritenuta più irritante che allergizzante.
Ognuno dei componenti sopraindicati presenta un proprio meccanismo patogenetico:
- Latex: è una molecola ad alto PM e quindi può scatenare un meccanismo IgE di tipo 1 ed è
in grado di scatenare da solo sia un fenomeno di orticaria (cutaneo) che di asma\rinite
allergico (respiratorio).
- Coloranti, ossidanti, acceleranti: sono piccole molecole con PM<5000 D e quindi
scatenano un meccanismo allergico di tipo 4 dando una dermatite allergica da contatto.
- Amido di mais: è irritativo più che allergizzante e quindi provoca una dermatite irritativa.
È irritativo perché provoca un’eccessiva sudorazione e insieme al sudore dà una reazione di
tipo alcalino e l’alcalino come l’acido si sa essere irritativo.
Quindi riassumendo, solo il Latex è in grado di provocare l’asma allergico, mentre le altre
componenti danno reazioni solo cutanee!
Tra i fattori predisponesti esistono atopie, precedenti dermatiti allergiche da contatto (DAC),
allergie crociate con alimenti (banana, castagna, kiwi, avocado).
Prima di indicare quali test saranno necessari per arrivare ad una diagnosi, bisogna capire se il
meccanismo è di tipo 1 o di tipo 4. Infatti il test cambia a seconda del meccanismo:
Prick test (cutaneo intradermico, ago sotto cute): indaga un fenomeno immediato (ipersensibilità
di tipo 1 dove sono implicate le IgE) e si ha quindi una lettura veloce entro 20 minuti. In questo
caso il prick test misura la reazione alla sostanza iniettata in grado di dare reazione allergico con
meccanismo di tipo 1. Essendo l’asma la reazione più grave è anche quella che deve essere subito
indagata. Dopo 20 minuti dall’iniezione si va a cercare il “pomfo” perché l’area dell’eritema non
è significativa. Di solito si prende una matita e la si fa scorrere sulla pelle: quando la matita si
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inchioda è dove inizia il pomfo ovvero la parte rilevata. Si disegnano le due aree delimitandole e
si misurano poi i due diametri del pomfo e dell’eritema.
Patch test (epicutaneo, cerotto con sostanza messo a contatto con la cute): indaga invece un
fenomeno ritardato (ipersensibilità di tipo 4, cioè la dermatite allergica da contatto) e ha una
lettura di 48-96 ore.
Esistono poi altri test:
- Dosaggio delle IgE totali circolanti: se sono elevate si può immaginare che il soggetto sia
allergico.
- RAST test è il dosaggio delle IgE specifiche per un determinato allergene che si è
considerato la “causa scatenante”
- Test d’uso (si fa indossare il guanto al soggetto): ovviamente questo test lo si fa solo per
quegli allergeni non pericolosi che non scatenano anafilassi
- Test di provocazione bronchiale per patologie respiratorie
o specifico: si espone il soggetto alla sostanza che si ritiene la causa in una cabina
apposita chiamata cabina di esposizione dove degli erogatori fanno uscire quantità
dosate di sostanza a livelli crescenti per valutare la risposta del soggetto
o aspecifico (con metacolina)
- PEF ovvero il picco espiratorio di flusso in attività lavorativa: è un test poco costoso e può
essere utile nel valutare la variabilità di risposta del singolo lavoratore allergico nel tempo.
Una volta eseguiti i test, se risultano positivi, il medico del lavoro decreta che il soggetto risultato
allergico al latex ha bisogno di guanti anallergici o ipoallergenici (cioè per es. guanti di vinile o
guanti sterili non di latice come quelli in nitrile). Ormai per fortuna in quasi tutti i reparti c’è
almeno una scatola di guanti ipoallergenici e non è più necessario che il soggetto porti con se i
propri guanti. Solitamente l’ospedale compra partite enormi di guanti in latice normali e il soggetto
allergico viene gestito personalmente caso per caso.
Le categorie a rischio per allergie al latice sono:
- personale sanitario, operatori del blocco operatorio o di manovre specifiche
- pazienti (per es. bimbi con patologie congenite)
In alcuni ospedali soprattutto pediatrici sono stati istituite aree latex-free con la bonifica degli
ambienti e degli impianti di condizionamento mediante la rimozione delle polveri depositate negli
anni.
L’aldeide formica viene usata in quantità importanti soprattutto in anatomia patologica. La
formaldeide non è poi così irritante, sensibilizzante e cancerogena, ma dato che il rischio lo ha
comunque anche se in misura minore rispetto ad altre sostanze, va usata con attenzione.
La formaldeide indurita, solida che si ha sui vetrini non è assolutamente un problema. Il rischio
della formaldeide è correlato solo alla sua forma liquida che può evaporare. La formaldeide in
alcuni casi viene anche scaldata e per questo si usa sotto cappa. La formaldeide è irritante per le
mucose, la pelle e ovviamente per le vie respiratorie. È anche sensibilizzante e quindi colpisce
entrambi i distretti (sia cute che apparato respiratorio). Inoltre la formaldeide è considerata come
gruppo 2A della classificazione IARC dei cancerogeni, cioè non è una sostanza cancerogena certa
ma solo sospetta. In ogni caso se la quantità di formaldeide maneggiata è elevata, è opportuno usare
occhiali e mascherine. Se invece per quantità minime, si può anche non usare protezioni.
Riassumendo la formaldeide è cancerogena, irritante e sensibilizzante.
La gluteraldeide è usata soprattutto nelle endoscopie, tutte le volte che c’è uno strumento a fibre
ottiche che deve essere disinfettato. Lo strumento a fibre ottiche è delicato e quindi non si può
sterilizzare a caldo; ecco perché si usano delle bacinelle di gluteraldeide. Ormai si è scoperta la
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tossicità della gluteraldeide e sempre di più negli ambulatori dove l’uso delle fibre ottiche è
strutturale (per es. negli ambulatori di colonscopie) ci sono delle lavatrici chiuse con aspirazioni
localizzate per fare questo tipo di sterilizzazione. In ambulatori dove invece si usano le fibre ottiche
solo occasionalmente, si utilizzano ancora le bacinelle di gluteraldeide. In questo caso è importante
da parte di tutti gli operatori tenere chiuse le bacinelle per evitare l’evaporazione della
gluteraldeide. La gluteraldeide è irritante (anche se relativamente debole), sensibilizzante ma non è
cancerogena. Per evitare pericoli, si lavora sotto cappa se le quantità sono importanti, si usano
lavatrici, si deve garantire una ventilazione adeguata. Se si lavora in sala operatoria la ventilazione è
già presente perché di solito si hanno 15 ricambi l’ora, ma negli ambulatori non è così e quindi
bisogna prestare attenzione al ricambio d’aria ogni tanto per evitare l’aumento della concentrazione
della sostanza nell’ambiente.
Il problema degli antiblastici si presenta soprattutto nei reparti di oncologia dove si maneggiano
questi farmaci. Sono sostanze allergizzanti con il medesimo meccanismo precedentemente descritto
(prima irritativo e poi allergizzante). È infatti difficile che un sensibilizzante sia solo allergizzante
ma ha di solito quasi sempre un iniziale effetto irritativo.
Gli antiblastici sono ovviamente cancerogeni e hanno effetti genotossici e mutageni (perché fa parte
delle loro proprietà farmacologiche); essendo genotossici, non devono assolutamente essere
maneggiati in gravidanza e durante l’allattamento (sostanze passano nel latte). Presentano effetti
irritanti su cute e mucose, per cui occorre prestare particolare attenzione alle congiuntiviti e alle
ulcere corneali. L’effetto irritativo si esplica nei punti di contatto con la cute o nel caso di
inalazione, nell’albero respiratorio. Si hanno, inoltre, effetti tossici locali: flebiti e necrosi dei tessuti
che di solito tendono a non rimarginarsi facilmente perché le cellule sono morte. Effetti allergici,
generalmente locali e raramente sistemici
Per questo tipo di sostanze le modalità di contaminazione più frequenti sono il contatto cutaneo e
l’inalazione, quando ci sono polveri e aerosol (la polvere si genera dalle eventuali gocce che
fuoriescono dalla siringa quando si fa uscire l’aria). Meno frequente è il contatto oculare. Quando si
maneggiano gli antiblastici è importante evitare che un eventuale stravaso accidentale crei dei
danni. Bisogna proteggersi con pantaloni e giacche impermeabili. Se l’ antiblastico cade per terra,
bisogna usare i guanti adatti, cioè in latice spesso. Gli antiblastici infatti passano due paia di guanti
e un guanto regge solo 30 minuti l’antiblastico.
Le manovre a rischio sono principalmente l’immagazzinamento, la preparazione e la
somministrazione. L’immagazzinamento: deve avvenire in aree specifiche perché se cade una
goccia di antiblastico, bisogna avere a disposizione i kit di inattivazione, i kit di emergenza (di
solito è ipoclorito di sodio ma non sempre; oltre alla candeggina si può usare anche il sodio
bicarbonato contro l’antiblastico).
La preparazione è tra le manovre più pericolose; avviene in condizioni specifiche, con manovre
predefinite, sotto cappa. Solitamente è effettuata da personale preparato, infermieri specializzati
(addirittura in alcuni ospedali, come il San Gerardo, si tende a non mandare più gli infermieri a
preparare le dosi di antiblastico ma i tecnici di laboratorio che sono più abituati a gestire sostanze
rischiose e a lavorare sottocappa). La diluizione va sempre fatta sotto cappa. Lavorando sotto cappa
si può evitare maschera e copricapo. I guanti in latice spesso sono da cambiare ogni 30 minuti. La
cappa deve essere lasciata accesa 20 minuti prima e dopo l’uso per favorire la completa uniformità
del flusso all’inizio ed evitare contaminazioni al termine del processo Alla cappa si lavora a 15cm
d’apertura frontale. Per gestire bene le manovre a rischio, negli ospedali ci devono essere aree
centralizzate per la diluizione dell’antiblastico; sono aree isolate, chiuse, protette e segnalate. In
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queste aree si ha la presenza di una stanza filtro, in cui conservare i dispositivi di protezione
individuale, e di punti di decontaminazione.
Per la somministrazione (che è la parte che interessa maggiormente i medici) esistono dei presidi
particolari, le “luer lock” che sono delle siringhe appositamente ideate per non disperdere
l’antiblastico; sono siringhe che difficilmente si raccordano. A volte si preparano addirittura delle
flebo già deflussate, cioè si riempie un tubicino di fisiologica e poi lo si raccorda di modo che se
dovesse aprirsi accidentalmente, inizialmente dal tubo esce fisiologica e non antiblastico. Le
manovre da evitare sono infatti tutte quelle in cui è possibile una dispersione della sostanza anche
minima: il momento più pericoloso della somministrazione è l’espulsione dell’aria dalla siringa.
Quando si somministra l’antiblastico, ci deve essere sempre un telino impermeabile sottostante. In
caso di somministrazione bisogna indossare: camice impermeabile, guanti, occhiali o visiera, cuffie
e soprascarpe; si può evitare di mettere la maschera.
Se un soggetto è stato esposto ad antiblastici, dovremo indagare la funzionalità epatica e renale e
valutare l’emocromo perché ci si aspetta come prima azione un effetto sul sangue circolante. Il
personale a cui è controindicato l’impiego di antiblastici è rappresentato dai soggetti allergici gravi,
persone che hanno già avuto dei tumori (soprattutto se tumori del tessuto emopoietico) e i soggetti
con deficit enzimatici particolari per cui i globuli rossi possono essere maggiormente sensibili.
Bisogna inoltre ricordarsi che laddove c’è un agente allergizzante o irritante non è mai ammesso il
periodo della gestazione e del puerperio.
Infine si ricorda che la maschera è la prima protezione efficace soprattutto per alcune patologie
come la tubercolosi. In caso di esposizione ad un caso di TBC la prima cosa che si deve fare è
andare a recuperare questo dispositivo (la FFP2) e indossarlo. La FFP2 è la maschera facciale
filtrante per la polvere di classe 2 ed è il minimo indispensabile per la protezione contro la
tubercolosi (potere filtrante 99%). La maschera FFP3 protegge maggiormente (potere filtrante
99,9%) e deve essere usata solo se c’è un rischio di contaminazione ambientale aumentato da
manovre che generano aerosol (intubazione/estubazione endotracheale, applicazione di sondini
naso-gastrici, somministrazioni di aerosolterapia).
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