Allergopatie respiratorie professionali Dott. Giovanni De Vito Le allergopatie respiratorie professionali si inquadrano all’interno della classificazione delle reazioni di ipersensibilità secondo Gell e Coombs. Questa classificazione prevede quattro tipologie di reazione: A) Reazione di ipersensibilità di TIPO 1: reazioni anafilattiche o da ipersensibilità immediata dovuta alla presenza di anticorpi di tipo IgE. È una reazione di tipo immediato. Le reazioni di tipo anafilattico sono rare (ad esempio incidenti nelle industrie farmaceutiche dove sono implicate sostanze in grado di dare reazioni di tipo massivo). Infatti nelle reazioni anafilattiche, sono implicate le sostanze quali ad esempio gli antibiotici e gli isocianati contenuti nelle vernici. Tra le allergopatie respiratorie di tipo 1, il principale quadro clinico è rappresentato dall’asma. B) Reazione di ipersensibilità di TIPO 2: sono dovute a reazioni citotossiche per presenza di anticorpi solubili capaci di attivare il complemento, cioè IgG e IgM. Un esempio di questo tipo di reazione è rappresentato dall’emolisi scatenata da farmaci. Questa reazione è differente da quella anafilattica. Le emolisi da farmaci sono un evento che si verifica per assunzione di un farmaco per os e, per questa ragione, questo tipo di reazioni sono le meno frequenti in assoluto in ambito lavorativo. C) Reazione di ipersensibilità di TIPO 3: reazioni da immunocomplessi antigene-anticorpo circolanti. Gli immunocomplessi circolanti si accumulano a livello dei vasi e dei glomeruli provocando patologie a questo livello. In ambito respiratorio il quadro clinico si manifesta con le alveoliti allergiche. D) Reazione di ipersensibilità di TIPO 4: sono reazioni da ipersensibilità ritardata, mediata da linfociti T, effettori citotossici liberanti linfochine che distruggono cellule e microrganismi e stimolano macrofagi e neutrofili. Questa reazione si verifica tipicamente come risposta dell’organismo agli antigeni del Micobatterio tubercolare, ma può avvenire anche nei confronti di molti altri antigeni di origine professionale, come alcune tipologie di metalli duri. È il tipico meccanismo della dermatite allergica da contatto Uno dei maggiori problemi per un medico del lavoro è rappresentato dal saper distinguere le patologie allergiche da quelle non allergiche. L’identificazione del tipo di sostanza implicata nel processo, inoltre, non così semplice perché spesso un lavoratore è esposto a molte sostanze contemporaneamente. Diventa però fondamentale distinguere tra allergia e irritazione perché gli approcci terapeutici saranno differenti a seconda che siano dovuti a un meccanismo di tipo irritativo o a un meccanismo di tipo allergico. Nella pratica della medicina del lavoro, laddove si verifica un’irritazione o un’allergia, togliendo l’esposizione alla causa, si dovrebbe risolve la problematica. Ma togliere l’esposizione (ovvero cambiare lavoro) non è sempre possibile. Perciò il medico decide sulla base alla diagnosi di meccanismo irritativo o allergico. Se è un fenomeno irritativo, sarà sufficiente ridurre l’esposizione (per es. basta usare una mascherina nel caso di una reazione di tipo polmonare). Se invece si tratta di un fenomeno allergico, occorrerà togliere totalmente l’agente causale perché, in teoria, basta anche solo una molecola per scatenare la crisi. Se non è possibile rimuovere l’agente causale, si può provare a ridurre l’esposizione con la mascherina. Se persiste la sintomatologia il lavoratore dovrà cambiare mansione. Si procederà quindi con la denuncia di malattia professionale. 1 Come è quindi possibile distinguere tra fenomeno irritativo ed allergia? L’analisi della dose soglia è uno degli elementi più importanti per distinguere tra irritazione e allergia. Nel fenomeno allergico, bastano dei periodi di esposizione sempre più brevi per scatenare la sintomatologia, cioè la dose soglia si abbassa. Viceversa nel fenomeno irritativo, la soglia non varia, cioè devo dare sempre la stessa quantità di sostanza per avere la lesione. Le recidive si hanno con la stessa intensità per pari durata dell’esposizione. Un’altra analisi fondamentale per distinguere le due tipologie di reazione è rappresentata dall’indagine anamnestica. Nel fenomeno allergico si ha un certo periodo di latenza; il fenomeno non insorge appena espongo il lavoratore all’allergene, ma dopo un periodo che può variare da settimane a anni. Inoltre avrò inizialmente dei sintomi blandi che diventano poi sempre più ingravescenti; si parla di “pattern in crescendo”. Nel fenomeno irritativo, non esiste il periodo di latenza e le manifestazioni si hanno subito dopo il contatto. Non viene identificato un pattern “in crescendo”, anche se ovviamente con l’andare del tempo si ha un peggioramento magari più rapido. L’asma professionale L’asma da irritanti (Reactive Airway Disease Syndrome = RADS) è dato dall’esposizione acuta ad irritanti respiratori. È importante perciò differenziare un agente irritante da uno sensibilizzante. Irritante, infatti, è una sostanza che per le sue proprietà acide o basiche o qualsiasi altra caratteristica, è in grado di stimolare una reazione da parte di strutture presenti nell’albero respiratorio. Per molti autori, però, l’esistenza di un vero e proprio asma da irritanti è ancora dubbia a differenza invece della certezza sull’asma allergico. L’asma bronchiale allergico è il principale asma riconosciuto come professionale nella maggior parte dei casi. È basato su una reazione di ipersensibilità di tipo 1, con il ruolo delle IgE. Le manifestazioni sono quelle classiche dell’asma. Accanto alla sintomatologia asmatica, possono presentarsi contemporaneamente anche altre manifestazioni allergiche, ad esempio, a carico della cute. Il compito del medico del lavoro sarà quello di capire quali sono le sostanze implicate in ambito lavorativo, se hanno davvero un ruolo patogenetico nell’asma di un certo individuo esposto e come si può agire. Alcune possibili sostanze o eventi fisici, denominati triggers, sono in grado di scatenare l’asma sia allergico che non allergico. Tra questi possiamo ricordare: - aria fredda che dà il tipico asma da stress o asma da freddo - polvere - inquinanti ambientali (es. particolato) - altri irritanti (es. isocianati contenuti nelle vernici) - fumo di tabacco che è un inquinante voluttuario - esercizio fisico (iperventilazione) Un esempio interessante in ambito lavorativo è rappresentato dalle fonderie. Nelle fonderie ci sono enormi spazi coperti da tettoie ma aperti. In questo caso quindi, se un lavoratore di una fonderia accusa una crisi di asma, quale sarà la causa? Potrebbe essere rappresentato semplicemente dall’esposizione al freddo degli spazi aperti e non è detto che il soggetto sia necessariamente allergico. La causa dell’asma può quindi essere naturale, come ad esempio l’aria fredda o la polvere. L’aria fredda è da considerare come un fattore irritante, mentre la polvere può scatenare sia meccanismi allergici (es. polvere con acari) o essere solo un fattore irritativo da ingombro sterico. Accanto ai triggers ci sono poi le vere e proprie sostanze sensibilizzanti, causa di asma allergico. Si parla di almeno 250 sostanze sensibilizzanti! Questi agenti sensibilizzanti vengono classificati in 2 base al loro peso molecolare poiché ad esso è correlato il meccanismo d’azione dell’induzione dell’asma. Si dividono quindi in: - agenti ad alto peso molecolare (>5000 D): provvedono da soli a scatenare il meccanismo allergico perché fungono da antigeni completi capaci di indurre sensibilizzazione e asma con un meccanismo di tipo1 cioè la risposta immediata dell’organismo è quella della produzione di anticorpi IgE. Sono grosse molecole,i solitamente macromolecole proteiche di natura animale o vegetale. - agenti a basso peso molecolare (<5000 D): sono per lo più sostanze di sintesi chimica; spesso sono atomi singoli e non molecole. Solo in piccola parte agiscono con un meccanismo noto di tipo IgE (per es. Sali di platino e anidride ftalica); nella maggior parte dei casi agiscono con meccanismi ancora non del tutto noti. Per alcuni metalli duri si può avere un meccanismo di tipo 4 ma sono possibili anche meccanismi di tipo 3. L’allergia al nichel (che colpisce il 20% circa della popolazione) è un esempio classico: il nichel è infatti un metallo che si presenta sottoforma di atomi singoli e quindi rientra negli agenti a basso PM. Nel dettaglio vengono di seguito elencate alcune sostanze sensibilizzanti, in grado di dare origine ad episodi di asma professionale Tra gli aeroallergeni si riconoscono: - Peli e forfore di animali: possono essere tipici di alcune attività come quella del veterinario, allevatore, venditore di animali. - Graminacee e altri pollini: riguardano gli agricoltori - Acari della polvere : riguardano tutti. Spesso gli impiegati che non hanno nessun rischio, hanno però questo problema quando lavorano in archivio. - Polveri: tra cui si ricorda quelle dovute al • legno: i legni autoctoni non sono allergizzanti, ma alcuni legni esotici importati oltre ad essere allergizzanti sono addirittura classificati come cancerogeni per le vie respiratorie. In realtà non esiste un legno specifico riconosciuto come cancerogeno ma è il processo di lavorazione del legno che lo è. Infatti l’allergia è considerata spesso come la prima parte di un processo che sommando i vari effetti irritanti, arriva fino alla cancerogenesi. • Farine: le allergie alle farine sono molto importanti in ambiente lavorativo perché sono delle realtà difficilmente modificabili: il panificatore è infatti sempre immerso nella farina e quindi se è allergico non può fare altro che cambiare lavoro. • Caffè: la produzione di caffè non interessa molto l’Italia perché nel nostro paese non avvengono quelle parti della lavorazione che sono le più pericolose. - Vernici: le vernici vengono molto usate nelle industrie del legno (dove si è visto c’è anche molta polvere dovuta al fatto che il legno prima di essere verniciato va carteggiato per essere reso liscio ). Le tinture di capelli e le resine sono assimilabili alle vernici. - Micofiti (alternaria, candida, aspergillus): interessano soprattutto il settore agricolo. Esistono poi gli allergeni di origine alimentare, ma questi agiscono solo se ingeriti! Quindi non è un problema che interessa la medicina del lavoro. È perciò molto difficile che gli allergeni alimentari determinino la necessità di spostare il lavoratore. I farmaci sono un problema all’interno delle aziende farmaceutiche ed con minor frequenza nell’ambiente sanitario. Tra questi ricordiamo: - Beta e alfa bloccanti: sono farmaci molto usati e quindi molto prodotti - Aspirina e FANS: ASA è responsabile del tipico “asma da aspirina”, non IgE mediato - Gli antiblastici: sono un problema per il personale sanitario e vanno trattati con estrema attenzione 3 Altre sostanze chimiche che se inalate danno asma allergico sono costituite da: - Toluene DiIsocianato (TDI, un componente delle vernici, usato per produrre alcune plastiche) - Enzimi specifici per accelerare le reazioni (prodotti dal BACILLUS subtilis) in aziende alimentari o nella produzione di detersivi. - Gluteraldeide e formaldeide che sono un problema tipico dell’ambito sanitario Di seguito viene presentata una tabella riassuntiva di alcune attività allergizzanti: AGENTI Isocianati Grano e farina Animali di laboratorio Resine epossidiche (anidride ftalica) Enzimi proteolitici Sali di platino Crostacei Legno Farmaci Lattice Tinture (per es. hennè) Altri metalli (per es. nichel e cobalto) Altre sostanze chimiche (per es. azodicarbonamide) PROFESSIONE A RISCHIO Lavoratori a contatto con sostanze plastiche,vernici,colle e inchiostri Panettieri, mugnai, agricoltori Lavori da laboratorio o a contatto con topi, porcellini d’India, etc.. Lavoratori a contatto con sostanze plastiche, vernici e colle Lavoratori a contatto con detersivi, chi produce detersivi, birra, cuoio e pane Tecnici a contatto con il platino Addetti alla lavorazione di granchi, gamberi Lavoratori di vari tipi di legno Lavoratori addetti alla produzione di farmaci (soprattutto cimetidina, penicillina, sulfamidici e tetracicline, cefalosporine) Personale sanitario Parrucchieri Lavoratori industria metallurgica Personale medico, lavoratori a contatto con gomma e plastiche, addetti allo sviluppo di fotografie) A seconda delle aree, del tipo di industria più presente sul territorio, la causa principale di asma professionale varia. Nella zona di Siena si ha una forte prevalenza di asma per isocianati. In Lombardia non si hanno dati specifici relativi alla patologia allergica professionale, ma esistono i dati raccolti dall’ospedale di Desio dove il lattice è estremamente rappresentato (24%). Il lattice è molto sensibilizzante è può dare molte allergie (ci sono casi di reazioni allergiche vaginali in conseguenza di visita ginecologica) però non è una causa così frequente nella popolazione generale che non usa il lattice quotidianamente. Dopo il lattice, la causa più frequente ritorna ad essere rappresentata dalle vernici-isocianati e, a seguire, da farine di cereali, persolfati (presenti in molti detergenti), vari altri allergeni tra cui profumi e gomme (che sono state assimilate al lattice). Un problema molto importante da tenere a mente è che la popolazione extracomunitaria si sensibilizza spesso molto più della popolazione autoctona e fra queste in particolare si ha nella popolazione dell’America Latina, delle Filippine e dello Sri Lanka. Le persone provenienti dall’America Latina e dalle Filippine non sono molto visibili nelle aziende perché fanno maggiormente lavori domestici o autotrasporto quindi non sono soggetti a questo tipo di problemi professionali in modo rilevante. La popolazione proveniente dallo Sri Lanka è invece più facilmente visibile nelle aziende e quindi soggetta all’asma allergico professionale Patologie respiratorie allergiche meno comuni 4 Di seguito sono presentate patologie allergiche relativamente rare ma che vanno sospettate ogni volta che si ha di fronte una fibrosi polmonare. L’alveolite allergica estrinseca è il risultato di una reazione allergica a sostanze esogene presenti in ambiente lavorativo, costituite da particelle di diametro inferiore ai 5 micron in grado di penetrare a livello dell’alveolo. Le categorie più a rischio sono quelle che lavorano in atmosfere contaminate da polveri organiche di varia origine (sono tutte forme che interessano principalmente agricoltori/allevatori): - Farmer’s lung: il “polmone del contadino” è dovuto al fieno ammuffito e fermentato che è ricco di spore fungine. Queste spore sono piccole, vengono respirate e giungono fino all’alveolo (Micropolyspora faeni) - Lavoratori di cereali: anche i cereali fermentano dentro i silos e i lavoratori sono esposti a questi derivati proteici dei cereali e alla microflora che li contamina (Cladosporium, Altemaria, ecc.). I lavoratori a rischio sono gli agricoltori, mugnai, insilatori. - Lavoratori del malto: anche il malto è un cereale che quindi può essere contaminato e si possono poi inalare i contaminanti. I lavoratori di distillerie, fabbriche di birra, sono esposti ad Aspergillus elavatus che si sviluppa sui grani di segale mantenuti ad alta temperatura - Allevatori di uccelli: esposti a proteine aviarie - Coltivatori di funghi: lavorano con spore che vengono seminate e quando sono tante possono essere inalate (per es. esposizione a Termoactinomiceti) - Altre categorie: lavoratori del sughero, del piretro (insetticida vegetale), del legno, pulitori di saune, ecc. Il meccanismo alla base dell’alveolite allergica estrinseca è una reazione di tipo 3 (immunocomplessi) o di tipo 4 (linfociti T) Le manifestazioni possono essere: - acute: dopo 4 h dall’inalazione di polvere si hanno manifestazioni simil-influenzali = cefalea, algie, tosse con scarso espettorato, febbre. Dopo 2-3 gg la sintomatologia si risolve spontaneamente. - croniche: l’alveolite è un’infiammazione che, se si perpetua nel tempo, porta all’alterazione morfologica degli alveoli, quindi nella fase cronica si può arrivare ad avere una vera e propria dispnea da sforzo. La diagnostica strumentale utile per fare diagnosi è rappresentata da: - Rx torace: si avranno opacità pseudonodulari reticolari perché è presente una certa fibrosi. La particolarità di queste lesioni è di essere pseudonodulari e di interessare tutti gli alveoli, cioè sono generalmente diffuse a tutti i campi polmonari anche se maggiormente ai campi medi. - Prove di funzionalità respiratoria: essendoci una continua sostituzione fibrotica del parenchima polmonare, si avrà un quadro di tipo restrittivo. Conseguentemente e oltre a ciò si avrà una diminuzione della diffusione alveolo-capillare. A causa della fibrosi infatti, l’alveolo non ha più la struttura sottile della parete alveolare che permette lo scambio di gas e quindi si ha un’alterazione dello scambio dei gas che è possibile misurare con i test di funzione. Oltre a questi test, sono fondamentali per la diagnosi: - la presenza di precipitine specifiche nel sangue circolante - BAL (lavaggio bronco-alveolare) È ovviamente necessaria un’anamnesi professionale per cercare il nesso cronologico tra esposizione e sintomi. La bissinosi è dovuta anch’essa alla macerazione in ambiente umido di fibre (cotone, lino e canapa) usate nelle industrie tessili. In ambienti umidi con molta polvere si sviluppano contaminazioni con spore e affini delle fibre tessili e il risultato è che il lavoratore manifesta quella che viene chiamata 5 “la febbre del lunedì”. La reazione simil-influenzale (la febbre del lunedì) è simile a quella delle alveoliti e ovviamente all’inizio è solo di lunedì, poi peggiora e si cronicizza. Tutto questo avviene perché si ha la liberazione diretta di istamina provocata da endotossine prodotte da batteri Gramnegativi contenute nella polvere del cotone, canapa e lino che rappresentano sostanze pirogene e mediatori chimici della flogosi La pneumopatia da metalli duri è una patologia molto seria e ancora parzialmente presente in ambito lavorativo perché difficile da eliminare e poco sospettata. I metalli duri sono, per esempio, il tungsteno, il cromo e il vanadio che sono usati in tutti gli strumenti da taglio. Il sistema migliore per indurire il punto di contatto dove avviene il taglio è sempre stato l’uso della polvere di diamante, ma nella seconda guerra mondiale i tedeschi non l’avevano perché c’erano gli embarghi e quindi trovarono una soluzione alternativa: utilizzarono delle polveri di metalli duri mischiate al cobalto nel cosiddetto processo di sinterizzazione. La sinterizzazione è proprio il processo che serve a incollare queste polveri di metalli duri sul punto di contatto. Dato che ancora oggi non tutti usano la polvere di diamante, esiste il rischio di pneumopatia dovuta all’utilizzo dei metalli duri. Il lavoratore esposto a questo rischio è colui che è addetto alla sinterizzazione e all’affilatura degli utensili. Il manutentore delle punte è infatti esposto alla miscela di cobalto + metalli duri. Fortunatamente le fabbriche dove avviene la sinterizzazione sono molto poche. La patologia si manifesta inizialmente solamente con disturbi di tipo irritativo che scompaiono 1-2 giorni dopo l’allontanamento dall’ambiente di lavoro. Le forme meno gravi hanno solo l’asma e hanno evoluzione favorevole con il precoce allontanamento dall'esposizione, mentre le forme più gravi comprendono l’alveolite con fibrosi interstiziale diffusa. Il meccanismo dell’alveolite è quello dell’alveolite linfocitaria con inversione del rapporto linfociti T helper/suppressor nei lavoratori addetti alla sinterizzazione o di alveolite macrofagico gigantocellulare con eosinofilia nei soggetti esposti a umido (addetti mole diamantate). Nei casi peggiori l'evoluzione è verso l’alveolite sclerosante e la fibrosi. Esiste anche la possibilità di forme miste con combinazione di asma e alveolite. La diagnostica strumentale utile per fare diagnosi è rappresentata da: - BAL (lavaggio bronco-alveolare) con indagini citologiche - RX torace: opacità irregolari diffuse (come la bissinosi) - test di funzionalità respiratoria: quadro restrittivo con alterazione della diffusione - Se si ha un’allergia, si possono ricercare le IgE specifiche Co-Hsa (essendo il cobalto l’agente responsabile) ed è possibile anche fare un test di provocazione bronchiale specifico mettendo il soggetto in cabina e facendolo respirare dosi controllate di cloro-cobalto (che è leggero e quindi rimane in sospensione più a lungo). La berilliosi colpisce le persone che maneggiano il berillio che è presente nelle miscele di fosfori che servono per accendere le insegne luminose, ma è una patologia molto rara. 6 Il rischio allergologico per gli operatori sanitari I problemi allergici specifici che colpiscono gli operatori sanitari possono essere principalmente scatenati da: 1. manufatti in gomma. Con questo termine si intende anche e soprattutto il latice dei guanti anche se ormai per fortuna si hanno a disposizione dei guanti ipoallergenici come quelli di vinile, che sono i guanti trasparenti oppure i guanti in nitrile, che sono quelli azzurri. Purtroppo però i guanti sterili sono spesso in latice perché i guanti sterili non in latice costano ancora troppo. 2. disinfettanti (gluteraldeide, formaldeide e la clorexidina) 3. farmaci (questo tipo di allergia interessa più gli infermieri; se per esempio un infermiere è allergico a un farmaco ma lo deve somministrare al paziente, deve usare i guanti. I medici di solito non fanno questo tipo di operazioni). Si vedranno in dettaglio gli antiblastici. I guanti in latice di gomma presentano al loro interno: - Latex: che è la gomma vegetale estratta dal caucciù. - Acceleranti, ossidanti e coloranti: sono sostanze a basso PM che sono utilizzate nel processo di vulcanizzazione, cioè di lavorazione della gomma. La gomma estratta dal caucciù viene infatti cotta a 180° C per essere poi modellata. La semplice cottura è sufficiente per ottenere grossi oggetti in gomma (per es. le ruote delle macchine), ma per poter ottenere dei guanti sottilissimi, è necessario aggiungere delle sostanze chimiche che fanno sì che la cottura avvenga uniformemente in tutti i punti; oltre alla gomma si avranno quindi degli acceleranti della reazione, degli ossidanti per bloccare la degradazione della gomma nel tempo, e dei coloranti (già si è visto come le vernici abbiano proprietà sensibilizzanti). Queste sostanze chimiche aggiunte sono fondamentali per ottenere materiali elastici, resistenti e sottili - Polvere di mais: polvere che facilita l’indosso, facendo scivolare meglio il guanto. Questa polvere è ritenuta più irritante che allergizzante. Ognuno dei componenti sopraindicati presenta un proprio meccanismo patogenetico: - Latex: è una molecola ad alto PM e quindi può scatenare un meccanismo IgE di tipo 1 ed è in grado di scatenare da solo sia un fenomeno di orticaria (cutaneo) che di asma\rinite allergico (respiratorio). - Coloranti, ossidanti, acceleranti: sono piccole molecole con PM<5000 D e quindi scatenano un meccanismo allergico di tipo 4 dando una dermatite allergica da contatto. - Amido di mais: è irritativo più che allergizzante e quindi provoca una dermatite irritativa. È irritativo perché provoca un’eccessiva sudorazione e insieme al sudore dà una reazione di tipo alcalino e l’alcalino come l’acido si sa essere irritativo. Quindi riassumendo, solo il Latex è in grado di provocare l’asma allergico, mentre le altre componenti danno reazioni solo cutanee! Tra i fattori predisponesti esistono atopie, precedenti dermatiti allergiche da contatto (DAC), allergie crociate con alimenti (banana, castagna, kiwi, avocado). Prima di indicare quali test saranno necessari per arrivare ad una diagnosi, bisogna capire se il meccanismo è di tipo 1 o di tipo 4. Infatti il test cambia a seconda del meccanismo: Prick test (cutaneo intradermico, ago sotto cute): indaga un fenomeno immediato (ipersensibilità di tipo 1 dove sono implicate le IgE) e si ha quindi una lettura veloce entro 20 minuti. In questo caso il prick test misura la reazione alla sostanza iniettata in grado di dare reazione allergico con meccanismo di tipo 1. Essendo l’asma la reazione più grave è anche quella che deve essere subito indagata. Dopo 20 minuti dall’iniezione si va a cercare il “pomfo” perché l’area dell’eritema non è significativa. Di solito si prende una matita e la si fa scorrere sulla pelle: quando la matita si 7 inchioda è dove inizia il pomfo ovvero la parte rilevata. Si disegnano le due aree delimitandole e si misurano poi i due diametri del pomfo e dell’eritema. Patch test (epicutaneo, cerotto con sostanza messo a contatto con la cute): indaga invece un fenomeno ritardato (ipersensibilità di tipo 4, cioè la dermatite allergica da contatto) e ha una lettura di 48-96 ore. Esistono poi altri test: - Dosaggio delle IgE totali circolanti: se sono elevate si può immaginare che il soggetto sia allergico. - RAST test è il dosaggio delle IgE specifiche per un determinato allergene che si è considerato la “causa scatenante” - Test d’uso (si fa indossare il guanto al soggetto): ovviamente questo test lo si fa solo per quegli allergeni non pericolosi che non scatenano anafilassi - Test di provocazione bronchiale per patologie respiratorie o specifico: si espone il soggetto alla sostanza che si ritiene la causa in una cabina apposita chiamata cabina di esposizione dove degli erogatori fanno uscire quantità dosate di sostanza a livelli crescenti per valutare la risposta del soggetto o aspecifico (con metacolina) - PEF ovvero il picco espiratorio di flusso in attività lavorativa: è un test poco costoso e può essere utile nel valutare la variabilità di risposta del singolo lavoratore allergico nel tempo. Una volta eseguiti i test, se risultano positivi, il medico del lavoro decreta che il soggetto risultato allergico al latex ha bisogno di guanti anallergici o ipoallergenici (cioè per es. guanti di vinile o guanti sterili non di latice come quelli in nitrile). Ormai per fortuna in quasi tutti i reparti c’è almeno una scatola di guanti ipoallergenici e non è più necessario che il soggetto porti con se i propri guanti. Solitamente l’ospedale compra partite enormi di guanti in latice normali e il soggetto allergico viene gestito personalmente caso per caso. Le categorie a rischio per allergie al latice sono: - personale sanitario, operatori del blocco operatorio o di manovre specifiche - pazienti (per es. bimbi con patologie congenite) In alcuni ospedali soprattutto pediatrici sono stati istituite aree latex-free con la bonifica degli ambienti e degli impianti di condizionamento mediante la rimozione delle polveri depositate negli anni. L’aldeide formica viene usata in quantità importanti soprattutto in anatomia patologica. La formaldeide non è poi così irritante, sensibilizzante e cancerogena, ma dato che il rischio lo ha comunque anche se in misura minore rispetto ad altre sostanze, va usata con attenzione. La formaldeide indurita, solida che si ha sui vetrini non è assolutamente un problema. Il rischio della formaldeide è correlato solo alla sua forma liquida che può evaporare. La formaldeide in alcuni casi viene anche scaldata e per questo si usa sotto cappa. La formaldeide è irritante per le mucose, la pelle e ovviamente per le vie respiratorie. È anche sensibilizzante e quindi colpisce entrambi i distretti (sia cute che apparato respiratorio). Inoltre la formaldeide è considerata come gruppo 2A della classificazione IARC dei cancerogeni, cioè non è una sostanza cancerogena certa ma solo sospetta. In ogni caso se la quantità di formaldeide maneggiata è elevata, è opportuno usare occhiali e mascherine. Se invece per quantità minime, si può anche non usare protezioni. Riassumendo la formaldeide è cancerogena, irritante e sensibilizzante. La gluteraldeide è usata soprattutto nelle endoscopie, tutte le volte che c’è uno strumento a fibre ottiche che deve essere disinfettato. Lo strumento a fibre ottiche è delicato e quindi non si può sterilizzare a caldo; ecco perché si usano delle bacinelle di gluteraldeide. Ormai si è scoperta la 8 tossicità della gluteraldeide e sempre di più negli ambulatori dove l’uso delle fibre ottiche è strutturale (per es. negli ambulatori di colonscopie) ci sono delle lavatrici chiuse con aspirazioni localizzate per fare questo tipo di sterilizzazione. In ambulatori dove invece si usano le fibre ottiche solo occasionalmente, si utilizzano ancora le bacinelle di gluteraldeide. In questo caso è importante da parte di tutti gli operatori tenere chiuse le bacinelle per evitare l’evaporazione della gluteraldeide. La gluteraldeide è irritante (anche se relativamente debole), sensibilizzante ma non è cancerogena. Per evitare pericoli, si lavora sotto cappa se le quantità sono importanti, si usano lavatrici, si deve garantire una ventilazione adeguata. Se si lavora in sala operatoria la ventilazione è già presente perché di solito si hanno 15 ricambi l’ora, ma negli ambulatori non è così e quindi bisogna prestare attenzione al ricambio d’aria ogni tanto per evitare l’aumento della concentrazione della sostanza nell’ambiente. Il problema degli antiblastici si presenta soprattutto nei reparti di oncologia dove si maneggiano questi farmaci. Sono sostanze allergizzanti con il medesimo meccanismo precedentemente descritto (prima irritativo e poi allergizzante). È infatti difficile che un sensibilizzante sia solo allergizzante ma ha di solito quasi sempre un iniziale effetto irritativo. Gli antiblastici sono ovviamente cancerogeni e hanno effetti genotossici e mutageni (perché fa parte delle loro proprietà farmacologiche); essendo genotossici, non devono assolutamente essere maneggiati in gravidanza e durante l’allattamento (sostanze passano nel latte). Presentano effetti irritanti su cute e mucose, per cui occorre prestare particolare attenzione alle congiuntiviti e alle ulcere corneali. L’effetto irritativo si esplica nei punti di contatto con la cute o nel caso di inalazione, nell’albero respiratorio. Si hanno, inoltre, effetti tossici locali: flebiti e necrosi dei tessuti che di solito tendono a non rimarginarsi facilmente perché le cellule sono morte. Effetti allergici, generalmente locali e raramente sistemici Per questo tipo di sostanze le modalità di contaminazione più frequenti sono il contatto cutaneo e l’inalazione, quando ci sono polveri e aerosol (la polvere si genera dalle eventuali gocce che fuoriescono dalla siringa quando si fa uscire l’aria). Meno frequente è il contatto oculare. Quando si maneggiano gli antiblastici è importante evitare che un eventuale stravaso accidentale crei dei danni. Bisogna proteggersi con pantaloni e giacche impermeabili. Se l’ antiblastico cade per terra, bisogna usare i guanti adatti, cioè in latice spesso. Gli antiblastici infatti passano due paia di guanti e un guanto regge solo 30 minuti l’antiblastico. Le manovre a rischio sono principalmente l’immagazzinamento, la preparazione e la somministrazione. L’immagazzinamento: deve avvenire in aree specifiche perché se cade una goccia di antiblastico, bisogna avere a disposizione i kit di inattivazione, i kit di emergenza (di solito è ipoclorito di sodio ma non sempre; oltre alla candeggina si può usare anche il sodio bicarbonato contro l’antiblastico). La preparazione è tra le manovre più pericolose; avviene in condizioni specifiche, con manovre predefinite, sotto cappa. Solitamente è effettuata da personale preparato, infermieri specializzati (addirittura in alcuni ospedali, come il San Gerardo, si tende a non mandare più gli infermieri a preparare le dosi di antiblastico ma i tecnici di laboratorio che sono più abituati a gestire sostanze rischiose e a lavorare sottocappa). La diluizione va sempre fatta sotto cappa. Lavorando sotto cappa si può evitare maschera e copricapo. I guanti in latice spesso sono da cambiare ogni 30 minuti. La cappa deve essere lasciata accesa 20 minuti prima e dopo l’uso per favorire la completa uniformità del flusso all’inizio ed evitare contaminazioni al termine del processo Alla cappa si lavora a 15cm d’apertura frontale. Per gestire bene le manovre a rischio, negli ospedali ci devono essere aree centralizzate per la diluizione dell’antiblastico; sono aree isolate, chiuse, protette e segnalate. In 9 queste aree si ha la presenza di una stanza filtro, in cui conservare i dispositivi di protezione individuale, e di punti di decontaminazione. Per la somministrazione (che è la parte che interessa maggiormente i medici) esistono dei presidi particolari, le “luer lock” che sono delle siringhe appositamente ideate per non disperdere l’antiblastico; sono siringhe che difficilmente si raccordano. A volte si preparano addirittura delle flebo già deflussate, cioè si riempie un tubicino di fisiologica e poi lo si raccorda di modo che se dovesse aprirsi accidentalmente, inizialmente dal tubo esce fisiologica e non antiblastico. Le manovre da evitare sono infatti tutte quelle in cui è possibile una dispersione della sostanza anche minima: il momento più pericoloso della somministrazione è l’espulsione dell’aria dalla siringa. Quando si somministra l’antiblastico, ci deve essere sempre un telino impermeabile sottostante. In caso di somministrazione bisogna indossare: camice impermeabile, guanti, occhiali o visiera, cuffie e soprascarpe; si può evitare di mettere la maschera. Se un soggetto è stato esposto ad antiblastici, dovremo indagare la funzionalità epatica e renale e valutare l’emocromo perché ci si aspetta come prima azione un effetto sul sangue circolante. Il personale a cui è controindicato l’impiego di antiblastici è rappresentato dai soggetti allergici gravi, persone che hanno già avuto dei tumori (soprattutto se tumori del tessuto emopoietico) e i soggetti con deficit enzimatici particolari per cui i globuli rossi possono essere maggiormente sensibili. Bisogna inoltre ricordarsi che laddove c’è un agente allergizzante o irritante non è mai ammesso il periodo della gestazione e del puerperio. Infine si ricorda che la maschera è la prima protezione efficace soprattutto per alcune patologie come la tubercolosi. In caso di esposizione ad un caso di TBC la prima cosa che si deve fare è andare a recuperare questo dispositivo (la FFP2) e indossarlo. La FFP2 è la maschera facciale filtrante per la polvere di classe 2 ed è il minimo indispensabile per la protezione contro la tubercolosi (potere filtrante 99%). La maschera FFP3 protegge maggiormente (potere filtrante 99,9%) e deve essere usata solo se c’è un rischio di contaminazione ambientale aumentato da manovre che generano aerosol (intubazione/estubazione endotracheale, applicazione di sondini naso-gastrici, somministrazioni di aerosolterapia). 10