APPROFONDIMENTO SU NAPOLEONE Una questione fondamentale, dibattuta dagli storici, è sicuramente quella che ci pone di fronte ad un dilemma: Napoleone fu l’esportatore degli ideali della Rivoluzione francese o il suo traditore? La risposta è complessa e ambivalente. Indubbiamente, le armate napoleoniche esportarono le fondamentali conquiste della rivoluzione, prima fra tutte quel Codice civile che è l’eredità più significativa del dominio napoleonico. Applicato in gran parte degli stati conquistati, cambiò per sempre il volto dell’Europa; peraltro, a partire dal 1808, gli eserciti napoleonici si trovarono a dover fare i conti con un fenomeno imprevisto: la reazione nazionale contro il dominio francese. Tale ribellione era stata indotta dalla propaganda francese, che aveva sfruttato gli ideali rivoluzionari per ottenere l’appoggio delle popolazioni locali contro i loro sovrani e i loro governi, in genere poco amati dal popolo. Pertanto, sin dai tempi della prima campagna d’Italia, Napoleone seppe infiammare l’opinione pubblica, soprattutto giovanile e borghese, attraverso parole d’ordine inneggianti alla libertà dei popoli, al superamento dell’antico regime e alla costruzione di una società più libera e moderna. Se la guerra divenne strumento ideologico, in grado di esportare gli ideali rivoluzionari, con i girondini prima e con il Direttorio poi, il Bonaparte ne fu sicuramente degno prosecutore. Nei decenni a cavallo tra la Rivoluzione e il dominio napoleonico, si formò in Europa quella coscienza nazionale, che è innegabilmente in rapporto con gli eventi dell’epoca ora richiamati. Perciò, in almeno due occasioni decisive, cioè in Spagna e in Russia, le armate napoleoniche furono sconfitte da eserciti che potevano contare sul deciso appoggio della popolazione; anche negli stati tedeschi il sentimento nazionale si plasmò a diretto contatto con l’invasione francese dopo la battaglia di Jena. I contadini spagnoli o russi, ma anche gli stessi tedeschi, furono spinti a combattere in nome della loro identità culturale e nazionale contro l’invasore francese in quanto tale, ossia in quanto straniero. Napoleone, in definitiva, fu costretto a combattere contro forze che egli stesso aveva involontariamente evocato. Paradossalmente, governi legati al vecchio regime, come in Spagna e Russia, poterono trarre vantaggio dal principio di identità nazionale, che di per sé era di origine rivoluzionaria. Un processo ambivalente, dunque, sia di natura reattiva che imitativa: i vecchi ceti dirigenti reagiscono contro le armate francesi, ma al contempo ne imitano modalità fondamentali, facendo leva proprio su quella ‘nazione’ evocata dai francesi dai tempi della Rivoluzione. Guardiamo adesso brevemente l’opposizione a Napoleone, nel contesto specifico dei vari paesi. Iniziamo dal contesto tedesco. A partire dal 1807, dopo la sconfitta di Jena, furono attuate dal barone von Stein in Prussia riforme di stampo liberale, volte all’abolizione della servitù della gleba, all’introduzione della libera compravendita della terra, al libero accesso alle professioni. Nel 1813 fu anche introdotta la leva obbligatoria. Il coinvolgimento di giovani e intellettuali sarà decisivo per la sconfitta di Napoleone. Un ruolo di primo piano fu esercitato dai filosofi Herder e Fichte: il primo affermò che l’identità nazionale è strettamente legata alla lingua, perché essa incarna lo Spirito del popolo, il suo carattere fondamentale. Il secondo scrisse i celebri Discorsi alla nazione tedesca, con l’intento di risvegliare la coscienza nazionale germanica contro l’invasore francese. Anche Fichte si richiama all’importanza della lingua, proclamando la superiorità del tedesco sul francese, visto che la lingua germanica non ha, a differenza di quest’ultima, contaminato il suo idioma con il latino, ma ha mantenuto una sorta di purezza originaria. Qui nasce e si fa strada il nazionalismo germanico, sebbene in tale contesto l’opera di Fichte abbia lo scopo di innalzare lo spirito teutonico contro un invasore (e la superiorità di cui parla il filosofo tedesco è di tipo culturale e spirituale, non biologica o militare). Il pangermanesimo della seconda metà dell’800, pur guardando a Fichte come ad un maestro, ne deformerà 1 l’insegnamento con scopi ed esiti ben diversi. Le stesse riforme cui accennavamo prima avevano il preciso scopo di trasformare dei sudditi piuttosto separati dal loro sovrano, in cittadini dediti alla propria patria (specie borghesi e contadini), in modo da rinsaldare il fragile rapporto tra popolo e stato. Mentre l’aspetto liberal – nazionale è decisivo nella rivolta tedesca (si è già ricordato il ruolo giocato da intellettuali e studenti), che culminerà nella battaglia di Lipsia, in Spagna convivono due anime nella guerriglia anti – francese: una tradizionalista, in nome dell’Ancien regime e l’altra progressista. Indubbiamente, gli Spagnoli combatterono in nome dell’identità nazionale, e tuttavia su questa protesta si insinuò, cavalcandola, la propaganda del clero e della nobiltà, di marca antifrancese e antirivoluzionaria. Il cattolicesimo fu qui un collante essenziale e a tal proposito va ricordato che la politica di concordati realizzata da Napoleone con la Chiesa non portò mai ad una vera alleanza, dettata com’era più che altro da reciproca convenienza: troppo diverse le reciproche idee e la Chiesa vedeva negli ideali rivoluzionari francesi un attentato al cattolicesimo. Vi è però anche una componente progressista e liberale in questa ribellione, che culminerà nel 1812 con la Costituzione di Cadice, che le Cortes riuscirono a strappare a Ferdinando VII: i borghesi giocarono un ruolo essenziale, per promulgare una costituzione moderata, ispirata a quella francese del 1791 e al modello britannico, e che prevedeva la separazione dei poteri, l’istituzione di una monarchia costituzionale, un sistema elettorale censitario e l’abolizione della feudalità (carattere simile ebbe anche quella adottata in Sicilia sotto l’influenza del comandante delle truppe inglesi Lord Bentinck). La Costituzione di Cadice, sebbene sia poi stata abolita con l’avvento della Restaurazione, costituì un modello a cui guardarono nella prima metà dell’800 i liberali moderati di tutta Europa. Anche in Russia l’opposizione ai Francesi ebbe caratteri simili a quelli spagnoli: identità nazionale, cattolicesimo e difesa del vecchio regime andarono di pari passo e anzi lo zar Alessandro fu abile nel presentare Napoleone come una sorta di anticristo. Gli stessi intellettuali francesi si opposero a Napoleone, sebbene in modi assai diversi: De Maistre, diplomatico savoiardo, sostenne che la Rivoluzione era una punizione che Dio aveva inviato agli uomini del ‘700 per punirli della loro mancanza di fede (sarà lui l’ideologo fondamentale della Restaurazione); contro l’imperatore francese si schierò anche il nascente movimento romantico europeo, che esaltò le individualità oppresse dal dominio della Francia. La scrittrice ginevrina Madame de Stael vide in Napoleone un despota, anzi il despota per antonomasia ed esaltò la cultura e la filosofia tedesca al di sopra di quelle francesi, che in tutto il ‘700 erano state viste come modello irraggiungibile. Le seguenti parole della de Stale sono emblematiche: “Per lui non esiste che se stesso: il resto delle creature sono cifre. E’ un abile giocatore di scacchi, il cui avversario è il genere umano”. Lo stesso Constant, liberale moderato, criticò l’involuzione autoritaria di Napoleone, sebbene poi abbia sostenuto il tentativo dei Cento giorni. 2