Infezione da citomegalovirus (CMV)
Infezione da citomegalovirus (CMV)
Definizione e prevalenza
Il CMV è un virus a DNA della famiglia degli Herpes virus. Il 50-80% delle donne in età
riproduttiva ha avuto contatto con il virus e, pertanto, è immune. Il tasso di sieropositività per
CMV aumenta con l’età della donna e la parità. In un’indagine condotta in Italia (10), la
sieroprevalenza per CMV è stata del 71%, con il 2,3% di sieroconversione in gravidanza e lo
0,6% di infezione fetale. La sieroprevalenza passava dal 28% a 2 anni di età al 95% nella fascia
45-54 anni. L’infezione è asintomatica nella maggior parte della popolazione sana, ma il virus
viene spesso eliminato per lungo tempo con i vari liquidi biologici (saliva, urine, secrezioni
vaginali, liquido seminale, latte e sangue) che, pertanto, rappresentano la primaria fonte di
contagio.
Diagnostica
Il gold standard per la diagnosi di infezione da CMV è rappresentato dall’isolamento del virus in
colture cellulari. Tuttavia, come già accennato a proposito della rosolia, tale tipo di tecnica è
lenta e costosa e, pertanto, nella pratica clinica, soprattutto in gravidanza, quando una risposta
celere è di fondamentale importanza per un corretto management materno-fetale, si fa
riferimento alla valutazione quantitativa dell’antigenemia mediante ELISA o IFA (Immuno-Fluore
scent Assay
).
In alternativa, la determinazione del DNA virale mediante PCR, messa a punto negli ultimi anni,
permette anch’essa una valutazione quantitativa della carica virale con un’attendibilità che
supera il 90% e con una sensibilità altrettanto elevata (11), che però rappresenta anche il limite
di questa metodica, laddove talvolta la positività per DNA virale non corrisponde sempre al dato
clinico. Pertanto, anche in questo caso, come per la rosolia, è opportuno che la valutazione
mediante PCR e tecniche correlate sia sempre effettuata presso i centri di riferimento di II livello
per gravidanza a rischio.
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Trasmissione verticale
Al contrario di quanto accade per la maggior parte delle infezioni in gravidanza, per le quali la
trasmissione verticale con possibili sequele fetali avviene solo per l’infezione primaria e quasi
mai nelle reinfezioni, il coinvolgimento fetale da CMV può avvenire sia nel corso di una
primoinfezione materna che in caso di riattivazione dell’infezione (il CMV è un herpes virus e,
pertanto, si comporta come gli altri virus della stessa classe, andando incontro a riattivazioni
periodiche di una pregressa infezione).
Danni fetali
In caso di infezione primaria, il 30-40% delle donne trasmette il virus al proprio feto ed il 10% di
questi feti infetti andrà incontro
alla nascita a morte o a gravi
sequele cerebrali con ritardo mentale (7). Del restante 90% dei feti infetti che sono però
asintomatici alla nascita, il 5-15% svilupperà tardive sequele neuro-sensoriali che per lo più
consistono in sordità di grado medio elevato (12). L’epoca gestazionale alla quale avviene
l’infezione materna non influisce sull’incidenza della trasmissione verticale ma, probabilmente,
sulla gravità delle sequele, dal momento che la maggior parte dei neonati sintomatici nascono
da donne che hanno contratto la primoinfezione nel I trimestre (12). Delle donne IgG-positive
per CMV, solo l’1-2% va incontro a
reinfezione
in gravidanza, ma considerando l’elevata prevalenza dell’infezione, questa evenienza è
relativamente frequente. Fortunatamente, le IgG materne, che oltrepassano la barriera
placentare, sembrano fornire adeguata protezione al feto. In un recente studio, è stato
paragonato un gruppo di 127 feti nati da donne con primoinfezione ad un gruppo di 64 feti nati
da madre con reinfezione. Alla nascita, il 18% dei neonati del I gruppo e nessun neonato del II
gruppo (reinfezione materna) era sintomatico. A quasi 5 anni di follow-up medio, il 25% dei
neonati asintomatici (alla nascita) del I gruppo (primoinfezione materna) sviluppava una o più
sequele tardive contro il 18% dei neonati del II gruppo (reinfezione). Tuttavia, sequele cerebrali
gravi erano presenti a 5 anni solo nei neonati con malattia da CMV da primoinfezione materna
(13% di ritardo mentale), mentre nessun neonato che aveva contratto l’infezione in corso di
reinfezione materna sviluppava ritardo mentale. Sempre a 5 anni, l’incidenza di ipoacusia
medio-grave era del 23% vs 5%, rispettivamente (13).
Per ciò che concerne i danni fetali evidenziabili in utero mediante ecografia (14), questi sono
rappresentati da ritardo di crescita intrauterina (IUGR), microcefalia, calcificazioni cerebrali,
ventricolomegalia, ascite, iperecogenicità delle anse intestinali, cardiomegalia (miocardite).
Anche l’epato-splenomegalia può essere talvolta evidenziata in utero.
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Management clinico (Tab. II)
Dal momento che l’infezione materna è inapparente, solo ripetuti prelievi in donne IgG-negative
riescono ad identificare un’eventuale sieroconversione durante la gravidanza, che rappresenta
una delle due indicazioni principali alla diagnosi prenatale di infezione da CMV. L’altra
indicazione è costituita dal riscontro ecografico di alcune anomalie fetali che più spesso sono
associate ad infezione da CMV (vedi sopra). Tali anomalie, se presenti nei feti a rischio di
trasmissione verticale, rappresentano un segno quasi certo di infezione fetale. Al contrario, la
loro assenza non esclude assolutamente la presenza del virus nel distretto fetale. Dall’analisi
dei vari studi pubblicati in letteratura, emerge che attualmente l’amniocentesi eseguita dopo le
20-21 settimane, eventualmente ripetuta a distanza di una settimana, rappresenta la tecnica più
affidabile. Sul liquido amniotico sia l’isolamento del virus da coltura che la PCR hanno mostrato
un’accuratezza diagnostica elevata, che, a parità di risultati, fa preferire il secondo metodo per
la maggior rapidità ed il minor costo. Inferiore attendibilità (25-70%) è data dalla valutazione su
sangue fetale delle IgM specifiche di produzione fetale. Prima delle 21 settimane l’attendibilità
delle varie metodiche sopra riportate è ancora controversa: un’amniocentesi negativa prima di
tale epoca gestazionale non rappresenta un criterio affidabile di assente infezione fetale, anche
se una positività, al contrario, depone inequivocabilmente per un avvenuto passaggio
trans-placentare. Il problema tutt’altro che trascurabile che sorge a questo punto è che, in caso
di accertata infezione fetale, nessuna delle tecniche menzionate ha valore prognostico. In altri
termini, non è ancora possibile determinare quali tra i feti infetti sarà sintomatico alla nascita e
quale no. Gli unici parametri che hanno mostrato qualche valore prognostico sono rappresentati
dalla trombocitopenia e dalla valutazione degli enzimi epatici fetali sul sangue. Allo stato
attuale, solo il riscontro ecografico di anomalie fetali (ascite, calcificazioni cerebrali,
iperecogenicità delle anse intestinali, ecc.) rappresenta segno pressoché certo di
compromissione severa feto-neonatale.
Pertanto, la valutazione generale deve tener conto in primo luogo del tipo di infezione materna
(primoinfezione o riattivazione), che rappresenta uno dei principali fattori prognostici. Prima
delle 21 settimane, in assenza di chiari segni ecografici di compromissione fetale che
depongano per l’avvenuta infezione, si può tentare un’amniocentesi con PCR (eventualmente
ripetendo il prelievo dopo una settimana), avendo ben presente che un risultato negativo non è
conclusivo. Dalle 22 settimane in poi, l’attendibilità della stessa amniocentesi (PCR) e della
cordocentesi (ricerca delle IgM fetali) è massima. Per ciò che concerne il management della
gestazione, l’opzione dell’interruzione di gravidanza deve essere offerta in caso di chiara
evidenza ecografica di malformazione CMV-correlata (elevatissima incidenza di sequele gravi
alla nascita, con il 30% di mortalità). In caso di infezione accertata con tecniche invasive ed in
assenza di segni ecografici, tale opzione va discussa in sede di counselling, valutando quale
fattore prognostico principale il tipo di infezione (primaria o recidiva) e sottolineando che,
comunque, non è possibile prevedere se un feto con infezione accertata ma senza segni
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ecografici di compromissione sarà sintomatico o meno alla nascita. Per infezioni materne
tardive (oltre le 24 settimane), esiste la possibilità, almeno teorica, della terapia farmacologica
con gancyclovir. Infatti, nell’adulto immunodepresso con infezione da CMV e nel neonato
sintomatico, l’utilizzo di questo antivirale ha permesso di ottenere buoni risultati nel controllo
dell’infezione sia da solo che in associazione ad immunoglobuline iperimmuni anti-CMV (7).
Non esiste però a tutt’oggi alcuno studio pubblicato di farmacocinetica e di tossicità
materno-fetale. Pertanto, l’utilizzo del gancyclovir nel trattamento di infezione fetale è da
ritenersi attualmente assolutamente sperimentale. Non è noto se l’utilizzo di immunoglobuline
iperimmuni per attenuare l’entità del danno d’organo in utero sia efficace. Sicuramente, le IgG
oltrepassano la barriera placentare e, pertanto, sono disponibili nel compartimento fetale;
tuttavia, che esse siano realmente capaci di ridurre le sequele da CMV nel feto è un’ipotesi
attraente ma ancora da dimostrare.
Profilassi dell’infezione da CMV in gravidanza
Esiste un vaccino contenente virus vivo attenuato (Towne) che è stato utilizzato con successo
in pazienti a rischio (AIDS e trapiantati), conferendo un’immunità sovrapponibile a quella
post-infezione. Sono attualmente in corso trials clinici che hanno come obiettivo quello di
immunizzare le donne CMV-negative, allo scopo di prevenire l’infezione feto-neonatale. Inoltre,
è in corso di sperimentazione un vaccino contenente gli antigeni glicoproteici di superficie che
appare ancora più promettente.
INFEZIONE DA CMV - COSA FARE IN CASO DI:
Controllo clinico in donna non gravida
Prescrivere sierologia (eventuale vaccinazione)*
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Suscettibilità in gravidanza iniziale
Prescrivere sierologia mensilmente
Sieroconversione 3-12 settimane
-
Informare che non esistono metodi per accertare un'eventuale infezione fetale precoce
Possibilità di IVG solo su base volontaria,
ex lege
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Attendere almeno le 16 settimane per ecografia di II livello** ed eventuale amniocentesi (PCR)***
Sieroconversione 13-21 settimane
-
Attendere almeno le 16 settimane per ecografia di II livello** ed eventuale amniocentesi (PCR)***
Possibilità di interruzione
ex lege
194 per anomalie
Sieroconversione 22-24 settimane
-
PCR su liquido amniotico**** e PCR****, emocromo ed enzimi epatici su sangue fetale
Ecografia di II livello**
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-
Possibilità di interruzione
ex lege
194 per anomalie
Sieroconversione dopo le 24 settimane
In caso di infezione fetale accertata, ecografie seriate per il riscontro di eventuali anomalie
* = Qualora divenga disponibile, vedi testo; ** = Il riscontro di anomalie CMV-correlate è prognosticamen
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