DI ROSSANA ROSSI
VENERE
PIANETA CRUDELE
Circondato di miti, Venere è invece un mondo
da incubo. Il Venus Express cerca ora di esplorarlo
I
l risplendente oggetto celeste che gli
antichi conoscevano con il duplice nome di “stella del mattino” e “stella della sera”, ma che è in realtà il pianeta Venere, sta per ricevere una visita molto speciale. È quella di Venus Express, la sonda automatica europea lanciata lo scorso novembre dalla base spaziale russa di Baikonur,
in Kazhakstan, che raggiungerà la sua meta il prossimo aprile e per un paio d’anni
“veleggerà” in orbita intorno a quello che i
planetologi considerano uno degli oggetti
più strani e misteriosi del sistema solare.
Le sue “bizzarrie” sono molteplici. Per
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esempio, ruota su se stesso in senso opposto rispetto a tutti gli altri pianeti, per cui
un suo ipotetico abitante osserverebbe il
Sole spuntare a Ovest e tramontare a Est.
Ma per vederlo dovrebbe avere molta
pazienza: la rotazione di Venere è così lenta che viene completata nello stesso tempo
che il pianeta impiega per compiere un giro intero intorno al Sole, e precisamente
234 giorni terrestri. Un giorno venusiano
dura, cioè, quanto un anno intero. Non altrettanto “pigra” è invece la sua atmosfera,
i cui strati superiori viaggiano alla velocità
di 500 chilometri orari e compiono un inte-
ro giro del pianeta in soli 4 giorni. Quali sono le cause di tante stranezze? Non lo sappiamo, perché delle 42 sonde inviate finora
solo poche sono state in grado di darci qualche informazione. E questo proprio a causa
delle condizioni proibitive dell’atmosfera.
L’allestimento di Venus Express, dopo
15 anni dall’ultima missione svolta con successo dalla sonda americana Magellano, è
motivo di orgoglio per l’Europa, che si misura per la prima volta con il secondo pianeta del sistema solare. Un’impresa resa possibile dal fatto che la sonda è quasi un “clone” della Mars Express, che da due anni sta
ottenendo risultati eccezionali sul pianeta
rosso. Cambiano solo gli strumenti: sette
raffinatissimi sensori, due dei quali nati e
in buona parte realizzati in Italia, concepiti
per scandagliare la fitta coltre di nubi che
avvolge il pianeta impedendoci di osservarne la superficie. «Le stesse nubi», spiega
Vittorio Formisano, lo scienziato italiano
ideatore di uno di quegli strumenti, lo spettrometro Pfs, «che dalla Terra fanno apparire il pianeta come una stella di prima grandezza, che ha incuriosito l’uomo fin dalla notte dei
tempi e l’ha indotto ad ammantarla di leggende».
Ma anche in seguito, quando le prime
osservazioni attraverso i telescopi
rivelarono che
씮
[ESPLORAZIONI]
L’UOMO CHE SOGNA MARTE
E AMA LE ORCHIDEE
Vittorio Formisano, 64 anni, “padre” dello
spettrometro Pfs installato a bordo di Venus
Express, è uno scienziato con la passione
del giardinaggio. Come Nero Wolfe, il detective
creato da Rex Stout, coltiva orchidee ma sogna
lo spazio fin da quando, nel 1957, fu
impressionato dal lancio dello Sputnik, il primo
satellite artificiale, e più tardi dalle imprese di
Yuri Gagarin, il primo astronauta della
storia. Direttore di ricerca
all’Istituto di fisica dello spazio
interplanetario, ha provato
la più grande delusione nel
1996, quando la sonda russa
Mars 96, che trasportava
la prima versione del suo
Pfs (su cui aveva lavorato
10 anni, fallì il decollo
e si schiantò a terra.
Uno dei suoi sogni
è riuscire a
dimostrare che
su Marte esiste
o è esistita
qualche forma,
anche se
microscopica,
di vita.
[ESPLORAZIONI]
In queste foto: il razzo che
da Baikonur (Kazhakstan) ha messo
in orbita la sonda Venus Express.
Sotto: la sonda sullo sfondo di uno
dei panorami del pianeta Venere
씮
Venere, a differenza di Marte, è dotata di
una densa atmosfera, l’immaginazione dell’uomo non tardò a considerarla un Eden primordiale, e a crederla popolata da esseri simili a dinosauri aggirantisi in piovose paludi tra
una vegetazione lussureggiante. «Il fatto è
che», commenta Formisano, «con un diametro solo di poco inferiore a quello della Ter-
Nelle nubi di Venere c’è acido solforico: può formarsi
ra, e una massa pari all’82% di quella terrestre, Venere era a buon diritto considerata
quasi un gemello del nostro pianeta: un po’
più caldo, a causa della sua maggior vicinanza al Sole, ma un ottimo candidato per ospitare la vita sotto quelle che si credevano nubi
di vapore acqueo condensato».
Invece le sonde inviate finora a esplorarla
ci hanno dato la più grande delle delusioni:
Venere non solo è ben diversa da quello che
si supponeva, ma è un mondo da incubo, un
mostro sul quale anche un robot d’acciaio corazzato avrebbe una vita estremamente dura.
Il suolo è un deserto rovente: la sua temperatura è compresa fra i 450 e i 500 gradi centigradi, cioè abbastanza alta per sciogliere i metalli e trasformare in vapore molte sostanze
che sulla Terra conosciamo sotto forma solida o liquida. «Inoltre, la pressione al livello
di quel suolo inospitale», dice Formisano,
«supera le 90 atmosfere: è cioè analoga a
quella che un batiscafo incontra negli oceani
intorno ai 900 metri di profondità». Per questo le poche sonde che sono riuscite a toccare la superficie, le sovietiche Venera 9 e 10
nel 1975 e Venera 13 e 14 nel 1982, non so104
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no riuscite a sopravvivere che pochi istanti
trasmettendo appena due immagini del suolo: le sole che possediamo.
Oltre che estremamente densa, infatti, l’atmosfera è quanto di più “alieno” si possa immaginare. Assolutamente irrespirabile, è costituita per il 95-97% da anidride carbonica.
Potenti lampi squarciano in continuazione il
dizio lo ha già fornito la sonda Magellano che,
tra il 1990 e il 1994, ha scandagliato il pianeta
con un radar capace di vedere attraverso le nubi. Le bellissime immagini tridimensionali così ottenute hanno infatti rivelato che la superficie di Venere è stata interamente rimodellata
in tempi geologicamente recenti da una coltre
di lava emessa da almeno 1.600 vulcani. Se fossero ancora attive, sarebbero proprio queste
montagne di fuoco, con le loro emissioni di acqua e anidride solforosa, la principale fonte di
alimentazione delle nubi e quindi dell’effetto
serra che queste inducono. Un processo che ricorda quello in atto anche sulla Terra, dove
oggi non sono tanto i vulcani ma la crescente
produzione di fumi e gas inquinanti di ogni tipo a surriscaldare il pianeta e a produrre i
grandi cambiamenti ambientali e climatici
che stiamo subendo.
Gli scienziati confidano dunque che l’osservazione di Venere possa fornirci una chiave
per interpretare il nostro futuro. Anche per
“
”
Tutta colpa delle nubi,
che lasciano filtrare
solo il 5% delle
radiazioni solari e
intrappolano il calore
solo con l’acqua, che però su questo pianeta è assente
cielo seguiti da altrettanti rombi di tuono.
Piogge calde all’acido solforico con l’aggiunta di un pizzico di acido fluorosolforico (uno
dei corrosivi più potenti che si conoscano) si
scaricano improvvise dal
cielo. A produrre condizioni tanto estreme è un effetto serra che raggiunge le
massime conseguenze.
«Tutta colpa delle nubi», spiega Formisano: «Il
loro elevato spessore, sebbene lasci penetrare solo il
5% della radiazione solare,
ne impedisce poi la dispersione verso l’esterno. E il calore resta intrappolato, toccando le vette che
conosciamo». Quello che intriga di più
gli scienziati è la presenza nelle nubi dell’acido solforico, che può formarsi solo se c’è acqua. Ma poiché l’acqua allo stato liquido
non risulta presente sul pianeta, ciò significa che ne deve esistere una certa quantità
sotto forma di vapore, altrimenti le nubi si
sarebbero già dissolte.
Che cosa può mai produrlo? Un primo in-
questo, forse, sullo scafo di Venus Express è
stata apposta una targa che, assieme ai nomi
di tutte le persone coinvolte nella missione, reca incisa una frase liberamente tratta da un
passo delle Georgiche di
Virgilio: «Felix qui potuit
Veneris rerum cognoscere
causas», «Felice chi poté conoscere le cause dei misteri
di Venere». Speriamo che
왎
porti buono.