PERSIANI
Un popolo magnanimo
Alla fine del VI secolo a.C., Dario il Grande, imperatore dei persiani, regnava su un impero
immenso che si estendeva dall'India alle sponde orientali dell'Europa (fino alle zone orientali della
Tracia).L’impero persiano quindi era composto da una grande quantità di popoli diversi per lingua,
cultura, religione, organizzazione sociale ed economica. I Persiani non furono solo grandi
conquistatori, ma anche vincitori magnanimi. Essi sapevano bene come esercitare il loro potere ed
erano severi nel domare le rivolte, ma il loro dominio rimase famoso per la moderazione. I sovrani
vinti (Astiage, Creso e tanti altri) furono lasciati in vita, le città conquistate non furono distrutte, gli
dèi e i culti locali furono conservati. Le principali lingue (l’elamico, il babilonese, il persiano,
l’egiziano) mantennero pari dignità, e nelle iscrizioni celebrative i sovrani si espressero nelle varie
lingue in rapporto alle regioni. I Persiani erano consapevoli di essere un popolo giovane e di
trovarsi a dominare popoli di cultura più antica ed evoluta della loro. Preferirono quindi assimilare
ed integrare.
La corte
La corte del Gran Re (cosi veniva chiamato il sovrano dei Persiani) non restava fissa in un’unica
città. Essa si spostava tra Susa, Ecbatana, Pasargade e Persepoli. Questa mobilità esprimeva
esigenze di controllo di territori vastissimi, ma anche la tradizione nomadica ereditata, dagli
imperatori persiani, dalla regalità iranica.
L’impero fu organizzato dall’imperatore Dario il Grande in venti province (satrapìe) amministrate
da governatori persiani (sàtrapi). Questa divisione era necessaria sostanzialmente per regolare in un
unico sistema organizzativo i prelievi finanziari. I sàtrapi governavano spesso come veri e propri
sovrani, ma erano allo stesso tempo controllati da funzionari imperiali e da un corpo specifico di
ispettori chiamati “le orecchie del re”. Le terre, pur essendo del sovrano, erano concesse in uso ai
nobili persiani in cambio del loro sostegno in guerra. I Persiani non pagavano le imposte. I soggetti
delle tasse erano gli altri popoli appartenenti all’impero. Essi dovevano versare una tassa fissa del
20% sul ricavato di ogni attività.
La moneta
La moneta fu introdotta dal sovrano Dario il Grande. Si trattava di monete d’oro e d’argento (i
“darici”) garantite dalla stampigliatura del sovrano. La moneta serviva soprattutto al versamento dei
tributi e al pagamento dei soldati mercenari. In un secondo momento essa fu impiegata anche per
scopi commerciali.
La rete stradale
I Persiani riservarono particolare attenzione alla rete viaria, le principali strade (dette “vie regie”)
erano sottoposte ad una manutenzione sistematica ed erano attrezzate con postazioni per il cambio
dei cavalli e con fortezze nelle località meno sicure. L’impero si fece ammirare per la qualità e la
quantità delle sue realizzazioni stradali.
Esplorazioni ed opere
I sovrani persiani erano portati a finanziare esplorazioni che diedero grande impulso alla
conoscenza geografica (circumnavigazione dell’Africa). Dario il Grande fu autore dell’apertura del
canale di Suez conclusa tra il 516 e il 512 a.C. Bisognoso di lavori di manutenzione, che all’epoca
costavano molto, il canale s’interrò presto. Quest’opera ci fa capire lo spirito di questa civiltà che
guardava al mondo con curiosità, desiderosa di un dominio totale del territorio.
La religione
Inizialmente i Persiani erano politeisti e le loro divinità rappresentavano le grandi forze della natura
come il sole (Mitra), il fuoco (Atar) o il vento (Vayu). In seguito praticarono una religione di tipo
monoteistico. Il loro dio, Ahura Mazda (“signore sapiente”), era concepito come una divinità che
possedeva le virtù della giustizia, del buon pensiero e dell’integrità. A questa potenza del bene si
contrapponeva una potenza malefica: Ahiriman. Tra le due, ogni uomo doveva fare la sua scelta.
Solo gli uomini che nella vita terrena avevano contribuito al trionfo della giustizia e quindi di Ahura
Mazda, potevano aspirare alla vita eterna.
La dottrina religiosa dei Persiani era tramandata in un libro sacro, l’Avesta, composto di parti
diverse per epoca e contenuto. Il profeta di questa religione fu Zarathustra. Il mazdeismo divenne la
religione ufficiale dei sovrani persiani soltanto nel VI secolo.
Per adorare il loro dio, i Persiani usavano altari costruiti all’aperto. Non avevano quindi templi, ne
usavano tombe per gli uomini comuni. I corpi venivano esposti all’aria, non sepolti, per non
contaminare la terra.
Usi e costumi
Inconsueto e curioso era l’uso del saluto tra i Persiani. Quando due di essi, di pari grado, si
incontravano per strada, invece di rivolgersi parole di saluto, si baciavano sulla bocca. Se invece
l’uno era di poco inferiore si baciavano sulle guance, se poi uno era molto meno nobile si
inginocchiava dinanzi all’altro.
Per quanto riguarda i costumi, i Persiani ne adottarono alcuni stranieri usando vesti mede e corazze
egiziane.
Ciascun uomo sposava molte mogli legittime e allo stesso tempo aveva molte concubine. Era
considerato come merito, dopo essere valorosi in battaglia, il poter mostrare più figli. Il numero era
considerato potenza.
Ai bambini venivano insegnate le tecniche di guerra a partire dai cinque anni d’età.
GRECI
La Polis
Nell’VIII secolo a.C. le prime città stato greche erano soltanto dei grandi villaggi senza una
continuità di strutture abitative. Gradualmente però queste realtà crebbero grazie all’afflusso di
popolazioni vicine attirate dalla possibilità di trovare lavoro e assistenza. Tra l’VIII e il VI secolo si
trasformarono in vere e proprie città anche sul piano delle funzioni civiche. Si affermarono Corinto,
Argo, Atene, Sparta.
La polis era una comunità di cittadini, una società politica, intesa anche in senso giuridico, come
comunità di uomini liberi, militarmente e politicamente organizzata per raggiungere scopi comuni.
La polis sorgeva generalmente in prossimità di un’altura, l’acropoli, dove avevano sede gli edifici
pubblici e religiosi. La vita comune dei cittadini si svolgeva prevalentemente nelle piazza, chiamata
agorà, situata al centro della città. Inizialmente l’agorà era un semplice spazio scoperto dove la
gente si ritrovava, poi divenne luogo d’affari, di riunione politica, di amministrazione della
giustizia. Qui si tenevano le assemblee a cui potevano partecipare tutti gli uomini liberi, cioè coloro
che godevano del diritto di cittadinanza (maschi adulti possedenti beni: proprietari di terre,
commercianti, artigiani). Erano esclusi dalla polis, le donne (poco considerate e sottomesse), i
meteci che erano gli stranieri residenti nella polis e gli schiavi.
Il diritto di cittadinanza era anche strettamente connesso al servizio militare.
Poco alla volta due grandi città presero il sopravvento nel mondo greco, due città diverse fra loro:
Atene e Sparta. Esse erano due modelli di organizzazione sociale e politica completamente opposti
e nemici tra loro. Sparta era una città di terraferma dove prevaleva l’aristocrazia chiusa ai rapporti
con altri centri e contraria alle innovazioni. Atene era invece una città commerciale e marittima
ricca e sviluppata, caratterizzata dall’organizzazione politica democratica e dal prevalere delle classi
popolari (anche se con molti limiti di partecipazione alla vita politica).
L’Ellade
Per Ellade i greci intendevano la “grecità” e cioè un insieme di genti accomunate dalla stirpe, dalla
lingua, dalla religione e da alcune usanze (prima fra tutte l’organizzazione delle polis). Non si
pensava neanche lontanamente ad una ipotetica unione politica dell’Ellade. Le migliaia di piccole e
medie comunità erano profondamente gelose della loro reciproca indipendenza. La polis era
inevitabilmente una comunità piccola ed indipendente.
L’idea di creare uno Stato che unificasse la stirpe greca, magari un impero dominato da un unico
uomo, era semplicemente inconcepibile per la mentalità dell’epoca.
La religione
I greci erano politeisti. Immaginavano le loro divinità immortali e dotate di capacità soprannaturali.
Per i greci gli dèi non erano creatori dell’universo, ma erano nati dall’universo in seguito alla lotta
con potenze primordiali e caotiche. Erano immortali ma non eterni (cioè non esistevano da sempre).
Erano simili all’uomo, quindi capaci di provare sentimenti (amore, ira, invidia…) ma più belli ed
eternamente giovani. Erano superiori ai comuni mortali, ma vivevano nello stesso universo e non in
una dimensione ultraterrena. Ciascuna divinità era identificabile per una funzione prevalente. Il
pantheon (l’insieme di tutte le divinità) era molto affollato ma gli dei principali erano dodici. Capo
supremo di tutti gli dei era Zeus. Esso rappresentava la sovranità e garantiva l’ordine del mondo.
Zeus era sposato con Era che rappresentava la coppia e la famiglia. Fratello di Zeus era Positone
padrone del mare, signore delle tempeste e dei terremoti. Tra i tanti figli di Zeus, Atena era la figlia
prediletta, protettrice del lavoro degli artigiani e dell’attività femminile della tessitura. Essa era
venerata dagli Ateniesi come la divinità protettrice della polis. Altro figlio di Zeus, Apollo
proteggeva la musica e la poesia. Altro dio era Dionisio che amava il vino e la sregolatezza, le sue
grandi occasioni erano le feste, le danze e le rappresentazioni teatrali. Comparivano anche la dea dei
cereali (Demetra), la dea per le fanciulle (Artemide), la dea dell’amore (Afrodite), il dio messaggero
(Ermes), il dio della tecnica (Efesto) ed il dio del furore e della forza guerriera distruttrice (Ares).
Per i greci elementi di sacralità erano presenti in quasi tutti gli atti della vita quotidiana. Sacro era
considerato il focolare domestico, il matrimonio, la nascita, la morte. L’incontro tra mortali ed
immortali poteva avvenire ovunque e anche fuori dalla città i luoghi sacri non mancavano: foreste,
sorgenti, grotte, montagne. Gli spazi sacri dei Greci non erano luoghi chiusi e inaccessibili come
quelli di molte religioni orientali. Erano aperti a chiunque li volesse frequentare, a chiunque
intendesse entrare in contatto con le divinità. La religione greca non aveva libri sacri, non aveva
profeti, non esisteva una precisa dottrina religiosa, di conseguenza non necessitavano di sacerdoti
professionisti e specializzati. Le funzioni sacerdotali erano teoricamente accessibili a qualsiasi
cittadino.
Giochi Olimpici
Nella mentalità dell’uomo greco era radicato un forte spirito agonistico. La ricerca del primato, il
successo personale, la vittoria erano ideali molto diffusi. Durante le festività si svolgevano nei
santuari, giochi composti da gare agonistiche. Nel 500 a.C. se ne contavano circa cinquanta.
C’erano quelli di Delfi, di Corinto, di Nemea e soprattutto quelli di Olimpia. Istituiti nel 776 a.C. i
giochi Olimpici si svolgevano ogni quattro anni. A questi giochi era presente un enorme numero di
pubblico che accorreva da tutto il mondo greco. In un mondo caratterizzato da guerre continue era
indispensabile garantire la sicurezza degli spostamenti, così prima dei giochi veniva proclamata una
tregua generale. I giochi si aprivano con la corsa dei carri, tra le altre gare figuravano la corsa dei
cavalli, le gare del pèntathlon (“cinque gare”: lancio del disco, salto in lungo da fermo, lancio del
giavellotto, corsa nei 200 metri, lotta), la gara di fondo (4800 metri), il pugilato ed il pancrazio (uno
scontro fisico in cui quasi nulla era vietato).
In questa mentalità fortemente agonistica non esisteva il gioco di squadra, si gareggiava sempre da
soli. La vittoria non era divisa con nessuno ma poteva mettere in risalto la famiglia del vincitore e
soprattutto la città a cui apparteneva.
Teatro
Le rappresentazioni teatrali erano organizzate e gestite dalla polis nel quadro delle feste in onore di
Dionisio. Durante queste occasioni gareggiavano tre tragediografi e cinque commediografi che
componevano un programma imponente che occupava il pubblico per varie giornate consecutive.
Della sterminata produzione teatrale greca ci è rimasta una parte minima ma di alto livello artistico.
I principali autori che conosciamo sono i tragediografi Eschilo, Sofocle ed Euripide e il
commediografo Aristofane. I temi trattati nelle tragedie si rifacevano soprattutto al repertorio mitico
dei Greci, anche se non mancavano rari casi di storia recente (“I Persiani” di Eschilo). I temi della
commedia erano invece più liberi ed offrivano un rapporto diretto con l’attualità.
A partire dal V secolo a.C. il teatro divenne un fenomeno di massa e uno dei cardini del
funzionamento politico della comunità. Assistevano agli spettacoli una media di circa 15.00020.000 spettatori. Assistendo alle rappresentazioni i cittadini si riconoscevano in un solo universo,
comunicavano, socializzavano. Chi non andava a teatro era considerato un cattivo cittadino.
Usi
L’alimentazione degli antichi greci era composta prevalentemente da grano, farro e segale. Con essi
si facevano pane, focacce e zuppe. Fra i legumi erano diffusi i ceci e le fave. Tra i frutti erano
apprezzati i fichi, le pesche, le mele e le pere. Negli elenchi dei tributi agli dèi compare anche la
carne di agnelli, capre e suini. I prodotti alimentari considerati di maggior pregio erano olio, vino,
latte e miele.
I due popoli in questione avevano concezioni estremamente diverse del dominio politico.
I Persiani avevano una concezione territoriale dello stato, cioè esercitavano il loro dominio sul
territorio indipendentemente dai popoli che lo abitavano. Perciò ritenevano che i Greci non avessero
avuto nessun diritto ad intervenire in un conflitto che era avvenuto sul loro territorio.
I Greci invece avevano una concezione etnica dello stato. Indipendentemente da dove si trovasse
questo territorio, se era abitato da greci, era territorio greco.