EFFETTI SANITARI DEI CAMPI A RF Susanna Lagorio Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute Istituto Superiore di Sanità, Roma Esposizioni a campi elettromagnetici a radiofrequenza di sufficiente intensità possono provocare effetti acuti mediante meccanismi biofisici ben conosciuti. Le attuali linee guida internazionali consentono di evitare tali effetti e sono state adottate come norme nazionali da molti paesi. Dalla fine degli anni ’90 ad oggi molti governi si sono interessati all’impatto sulla salute dell’esposizione a campi a radiofrequenza e molti comitati di esperti nazionali ed internazionali hanno effettuato dettagliate revisioni dello stato delle conoscenze. Le loro conclusioni convergono verso una assenza di effetti sulla salute, ma tutti incoraggiano il proseguimento delle ricerche in determinate aree. In parallelo al rapido sviluppo della telefonia mobile, è aumentato anche l’impegno della ricerca in tutto il mondo, ma particolarmente in Europa, grazie anche agli importanti contributi dell’Unione Europea nell’ambito del Quinto Programma Quadro. La maggior parte dei progetti Europei riguarda esposizioni a RF nelle bande di frequenza utilizzate per la telefonia mobile, in sistemi sperimentali di valutazione della cancerogenesi (PERFORM-A), co-cancerogenesi (CEMFEC), genotossicità (REFLEX), effetti sul sistema uditivo delle tecnologie GSM (GUARD) o UMTS (EMFnEAR) ed effetti sul sistema nervoso (RAMP 2001). Merita di essere segnalato, inoltre, un programma di ricerca (PERFORM-B) interamente dedicato alla replicazione di studi che negli anni precedenti avevano prodotti risultati discordanti rispetto alle evidenze precedenti, o di difficile interpretazione. Gli studi su animali non hanno prodotto evidenze consistenti con l’ipotesi che l’esposizione a RF comporti induzione di neoplasie, aggravi l’effetto dell’esposizione a cancerogeni noti, o acceleri lo sviluppo di tumori trapiantati, né che sia in grado di indurre effetti genotossici in vivo. Non vi sono consistenti indicazioni dalla ricerca in vitro che i campi a RF a livelli non-termici di esposizione comportino effetti sulla regolazione del ciclo cellulare, sulla proliferazione, sulla differenziazione, o sull’apoptosi. Per quanto riguarda la ricerca sull’uomo, studi osservazionali e sperimentali non hanno fornito supporto all’ipotesi di un’associazione tra esposizione a RF ed insorgenza di sintomi neurovegetativi, a volte indicati come “ipersensibilità ai campi elettromagnetici”. Studi su possibili effetti neurologici o riproduttivi non hanno indicato rischi sanitari per livelli di esposizione inferiori ai limiti raccomandati internazionalmente; tuttavia, per malattie diverse dai tumori sono attualmente disponibili pochi dati epidemiologici. La ricerca epidemiologica è principalmente focalizzata sul rischio di tumori in relazione all’uso del cellulare tra gli adulti. I risultati degli studi condotti dal 1999 all’inizio del 2006 sono stati oggetto di una recente meta-analisi, ma altri studi più sono stati pubblicati più recentemente. Un primo gruppo di studi ha analizzato i trend temporali di incidenza dei tumori cerebrali o dei melanomi oculari in relazione alla diffusione dell’uso dei telefoni cellulari, senza osservare correlazioni tra i due fenomeni. Due studi di coorte sono stati condotti su titolari di un contratto di telefonia mobile. Il primo, negli Stati Uniti, è stato precocemente interrotto dopo un solo anno di follow-up, mentre il secondo, realizzato in Danimarca ha dato finora luogo a due analisi, relative a latenze medie di circa 3 e 8,5 anni. Nel recente aggiornamento del follow-up della coorte danese non è stato evidenziato alcun incremento di rischio per tumori intracranici (né separatamente per gliomi, meningioma o neurinomi del nervo acustico), né per tumori della parotide, né per leucemia. In una meta-analisi dei risultati di 12 studi (prevalentemente di tipo caso-controllo) pubblicati entro la fine del 2005 e relativi all’incidenza di tumori intracranici in relazione all’uso del cellulare per durate uguali o superiori ai 5 anni, non si osservavano eccessi di rischio per l’insieme dei tumori intracranici o per gliomi, meningiomi e neurinomi del nervo acustico, né emergevano indicazioni di 1 eccessi di rischio in relazione al tipo di cellulare utilizzato (analogici o digitali) o per particolari localizzazioni intracraniche delle neoplasie (tumori temporali o occipitali). Dei 13 centri nazionali partecipanti allo studio Interphone, 6 (Danimarca, Germania, Giappone, Norvegia, Svezia e Inghilterra) hanno già pubblicato analisi a base nazionale sul rischio di tumori intracranici o della parotide e uso del cellulare; sono anche state pubblicate analisi combinate di sottoinsiemi di risultati. Si noti tutti questi studi riguardano popolazioni leggermente più ampie di quelle che confluiranno nell’analisi combinata della IARC (ristretta ai soggetti d’età compresa tra 30 e 59 anni); in quanto il range d’età dei casi e controlli considerati è più esteso (in genere 20-69 anni). Nell’analisi combinata degli studi sui neurinomi del nervo acustico condotti in 6 centri NordEuropei partecipanti ad Interphone sono stati inclusi 678 casi e 3553 controlli. Non si osservavano incrementi di rischio in relazione all’uso regolare del cellulare, né associazioni del rischio con la durata d’uso, il numero di telefonate cumulative, le ore cumulative d’uso. Nel sottogruppo degli utilizzatori di lunga durata (10 anni o più) si notava un incremento del rischio per tumori ipsilaterali rispetto all’uso dichiarato del cellulare, d’incerta interpretazione in quanto accompagnato ad un deficit di tumori ipsilaterali tra gli utilizzatori con durata d’uso minore. Nell’analisi combinata degli studi sui gliomi condotti in 5 centri Nord-Europei partecipanti ad Interphone, a fronte della completa mancanza di associazione con l’uso regolare del cellulare, con la durata totale d’uso, il tempo trascorso dall’inizio d’uso e l’intensità d’uso, si è osservato un aumento del rischio al limite della significatività statistica tra gli utilizzatori di lunga durata (oltre 10 anni) per tumori ipsilaterali,. Un gruppo svedese non partecipante allo studio Interphone ha recentemente pubblicato una sintesi dei diversi studi caso-controllo sui tumori e l’uso del cellulare da loro condotti. Questi autori, in 3 successivi studi caso-controllo condotti (1994-96, 1997-2000 e 2000-03) hanno osservato incrementi di rischio per tumori intracranici in relazione all’uso di tutti i tipi di telefoni mobili studiati (cellulari analogici, cellulari digitali e telefoni cordless) e incrementi del rischio in funzione del tempo trascorso dall’inizio d’uso, particolarmente evidenti per gli astrocitomi di grado elevato. Questi risultati sono nettamente in contrasto con il resto delle evidenze epidemiologiche pubblicate. Per quanto riguarda altre neoplasie in relazione all’uso del cellulare, gli studi sono scarsi e includono pochi utilizzatori di lunga durata; sono comunque stti recentemente pubblicati i risultati di due studi su tumori della parotide, due su linfomi non-Hodgkin ed uno su tumori del testicolo. In conclusione, l’insieme dell’evidenza epidemiologica indica che l’uso del telefono cellulare per durate inferiori ai 10 anni non comporta incrementi del rischio di tumori cerebrali o di neurinomi del nervo acustico; per quanto riguarda durate d’uso più elevate, i dati sono scarsi e le conclusioni sono di conseguenza incerte e preliminari. Restano aperti diversi problemi interpretativi di questa prima generazione di studi sulla relazione tra uso del cellulare e rischio di tumori negli organi e tessuti in maggiore contiguità con l’antenna dei cellulari, in particolare non è chiara la corrispondenza tra gli indicatori di uso del cellulare sinora utilizzati (durata della titolarità di un contratto di telefonia mobile negli studi di coorte e intensità d’uso riferita dal soggetto negli studi caso-controllo) e dose di RF a livello degli organi d’interesse. Inoltre i risultati finora pubblicati vanno interpretati con cautela, tenendo conto di errori (casuali, sistematici e differenziali) nella stima dell’esposizione e di altre sorgenti di distorsione nelle misure di associazione, quali bias di selezione e accertamento. In conclusione, ad oggi nessun effetto d’interesse sanitario è stato consistentemente dimostrato per livelli di esposizione a RF inferiori ai limiti raccomandati internazionalmente. Tuttavia, la base di dati scientifici utili a tale valutazione è ancora limitata, in special modo per quanto concerne le esposizioni a bassi livelli di lunga durata. 2