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L'impresa eccellente socialmente capace
di Federico Butera* e Maurizio Catino**
Presidente Irso e Butera Partners, Professore ordinario di Sociologia dell'organizzazione presso la Facoltà di
Sociologia dell'Università di Milano-Bicocca.
** Direttore di ricerca all'Irso, insegna Sociologia delle professioni e dell'impresa presso la Facoltà di Sociologia
dell'Università di Milano-Bicocca.
E' davvero vantaggioso per le aziende coniugare il proprio interesse economico con il perseguimento di
finalità sociali?
L’impresa per essere eccellente economicamente, ossia per conseguire i propri obiettivi di redditività,
competitività e valore per gli azionisti, deve perseguire esclusivamente finalità economiche, massimizzando i
ricavi e minimizzando i propri costi, inclusi quelli derivanti dal rispetto di vincoli normativi e sociali esterni?
Perseguire finalità sociali comporta un aumento dei costi a scapito dell’efficienza ed è dunque un fattore di
“svantaggio” competitivo? Oppure l’eccellenza dell’impresa può meglio essere raggiunta se l’impresa programma
e attua anche pratiche che aumentino la propria “capacità sociale” che include la protezione e lo sviluppo delle
persone nell’impresa, il fissare e rispettare solidi criteri in tema di salute e sicurezza dei clienti, il preoccuparsi
della cura dell’ambiente esterno, il favorire l’integrazione dell’impresa nella comunità locale sostenendone la vita
sociale e lo sviluppo? In una parola, l’azione combinata d’eccellenza nelle prestazioni economiche e nelle
capacità sociali migliora anche i rendimenti economici?
In sintesi ha ragione Milton Freedman quando afferma che l’impresa deve dedicarsi soltanto al profitto oppure
Amartya Sen quando sostiene che anche nella produzione di merci private può esservi un aspetto di bene pubblico
nel processo di produzione?
Il tema della responsabilità sociale dell’impresa è sempre più dibattuto anche in Italia1 (Magatti, 1999; Gallino,
2001) ed è più che mai attuale dopo la pubblicazione da parte della Commissione Europea del Libro verde sulla
Responsabilità Sociale delle Imprese CSR (Corporate Social Responsability), Commissione Europea 18.7.2001,
che ha l’obiettivo di definire concettualmente il tema e di determinare, quantificare, qualificare e codificare norme
e buone prassi in materia.
Amartya Sen (2000a) ha affrontato il problema della responsabilità degli amministratori dell’impresa. Egli
afferma che è diffusa l’argomentazione che i dirigenti d’impresa debbano essere impegnati nel perseguimento
esclusivo dell’interesse degli azionisti e quindi nella massimizzazione dei profitti. Deviare dal percorso, anche se
moralmente può essere considerato giusto, significherebbe “disertare le responsabilità morali” del mandato di
tutela degli interessi. Quest’impostazione: “è gravemente carente, perché non considera il danno che un
comportamento così orientato può provocare alla collettività in senso lato (danni ambientali o distorsioni
monopolistiche, ad esempio) e anche perché trascura l’esigenza di riconoscere gli obblighi nei confronti di altri
soggetti coinvolti nell’impresa” (Sen, 2000a: 83).
Un’altra angolazione per esaminare lo stesso aspetto è quello della stakeholder view. Per gli autori che hanno sviluppato questo approccio2 (cfr. Osterman, 1996), il successo dell’impresa dipende dall’equilibrio
della soddisfazione offerta ai vari soggetti partecipanti all’impresa (azionisti ma anche lavoratori, dirigenti,
consumatori, membri della comunità, ecc.).
Sono diffuse imprese come istituzioni (cfr. Galbraith, Powell e Di Maggio) e imprese built to last (Colin and
Porras). Vi sono esempi celebri in Italia di questi casi di imprese che hanno saputo interpenetrare con successo
obiettivi economici e sociali, come la Olivetti di Adriano Olivetti, impresa insieme modernissima nell’adozione di
tutte le soluzioni allora più avanzate di strategia, tecnologia e organizzazione e anticipatrice nella cura delle
proprie risorse umane, del territorio, della cultura con pratiche e artefatti memorabili. Da diversi anni, in molti
Paesi, si stanno diffondendo pratiche ed esperienze d’imprese, di diversa natura istituzionale e attive in mercati
molto differenti, che coniugano l’agire economico con il perseguimento di capacità sociali. Esempi di questa
tendenza sono imprese come la Semco, la Grameen Bank, la Cooperative Home Associates; The Body Shop, The
Cooperative Bank, Ben Jerrys; Modatex e molte altre ancora (cfr. Butera e Catino, 2000).
In questi casi la responsabilità sociale non appare solo una posizione etica dell’imprenditore o del manager, una
lodevole e appropriata preoccupazione aggiuntiva dell’impresa per evitare contraccolpi negativi esterni o
un’azione di equilibrio nell’arena politica in cui l’impresa si muove ma una “componente istituzionale” di una
condotta imprenditoriale innovativa orientata al successo e alla sopravvivenza dell’impresa sul lungo periodo e
che valorizza insieme il proprio capitale economico e il proprio capitale sociale. Si tratta di un fenomeno
emergente, che tende a coniugare economia e società nell’impresa.
Questi casi sfatano con esempi concreti la convinzione che la capacità sociale sia soltanto un costo: la società
americana di fondi d’investimento Wiesenberg mette in evidenza, in un suo studio, come i titoli “socialmente
selezionati” offrano in borsa rendimenti mediamente più elevati degli altri.
La società Dow Jones, che rileva l’indice azionario più famoso al mondo, ha realizzato un apposito indice
specializzato, denominato Dow Jones Sustainability Index, basato sulla quantificazione della performance di
sostenibilità sociale.
Dall’analisi di quest’indice emerge che le imprese al top della sostenibilità sono allo stesso tempo eccellenti
economicamente e mediamente migliori della concorrenza. L’eccellenza economica e la capacità sociale sono
perseguite congiuntamente e non sono un “ossimoro” manageriale o, peggio, una “bestemmia”, come sostenuto da
alcuni economisti americani.
È vero anche il discorso inverso. Le imprese meno attente agli aspetti di capacità sociale, come ad esempio la
Nike e la Mattel, hanno avuto un forte calo d’immagine, con il conseguente danno alle vendite, a causa delle
pessime condizioni di lavoro in alcune delle loro fabbriche.
Il problema dell’impresa socialmente capace è allora non quella di aggiungere vincoli né di definire modelli
astratti ma di sviluppare strategie, organizzazioni e sistemi di gestione e controllo che aiutino l’impresa a
beneficiare delle opportunità della combinazione di economia e società appropriata alle caratteristiche
dell’impresa.
Profilo dell’impresa socialmente capace
In una recente ricerca (cfr. Butera F., Catino M. et al., Ripensare l’impresa cooperativa. Successo economico e
legittimazione sociale dell’impresa socialmente capace, Documento di lavoro Irso, 2000) sulla base di una ricerca
su casi internazionali e italiani, sono state individuate alcune caratteristiche dell’impresa socialmente capace
(ISC). Essa è stata definita quell’impresa che, indipendentemente dall’assetto giuridico formale o istituzionale,
produce ricchezza, benessere e socialità, contribuisce a generare contesti istituzionali economici e sociali idonei
allo sviluppo, assicura remunerazione a tutti gli stakeholders, inclusi ovviamente gli shareholders.
Un’impresa socialmente capace è un’impresa normale che assume come obiettivo d’azione e come pratica
quotidiana il perseguimento congiunto dell’eccellenza economica e della capacità sociale. Non è una tipologia
formale di impresa e non coincide neppure con una modalità di management eticamente ispirata. Secondo una
concezione pragmatica la capacità sociale di un’impresa è resa visibile e manifesta dalla mission esplicitamente
dichiarata ma, soprattutto dalle azioni concretamente agite. Essa è data non da dichiarazioni ma da “meccanismi
organizzativi” che perseguono congiuntamente gli aspetti economici e sociali e che permettono inoltre di
includere la realtà esterna nella realtà dell’impresa. La sua missione primaria è quella di produrre ricchezza per
tutti gli stakeholders e per la società e di essere competitiva sul piano nazionale e internazionale.
Nella nostra ricerca vengono avanzate due ipotesi sulle ragioni e la natura dello sviluppo di imprese con queste
caratteristiche:
1) l’importanza crescente del capitale intellettuale e sociale; quando un’impresa ha un controllo efficace sui
processi sociali generati o associati al proprio core business, ha maggiori possibilità di valorizzare, oltre a
quello economico, il proprio capitale intellettuale e sociale (che ha un crescente impatto sul valore complessivo
della società);
2) la geometria variabile nella relazione fra economia e società nell’impresa: le dimensioni sociali non sono mai
curate nello stesso modo e nello stesso grado dall’impresa ma sono indicatori delle variabili nelle relazioni
positive dell’impresa con la società, nelle sue diverse determinazioni, esattamente come avviene nelle relazioni
dell’impresa con l’economia (varietà delle condotte strategiche di costo, differenziazione, innovazione, lock-in
ecc.).
Le dimensioni dell’Impresa Socialmente Capace
Un’impresa socialmente capace (ISC) coniuga economia e società nell’organizzazione, azione economica e
struttura sociale (Granovetter, 1985). Ma attraverso quali mezzi, modalità, pratiche l’impresa eccellente può
esprimere la propria capacità sociale? Identifichiamo cinque modalità principali:
1) la mission e il governo dell’impresa;
2) il valore dei prodotti e la sostenibilità dei processi;
3) le persone nell’impresa: pratiche di cooperazione e qualità della vita lavorativa;
4) la comunità e il territorio;
5) il mercato e la rete (fornitori, clienti).
La mission e governo dell’impresa riguarda gli obiettivi di impegno in favore dei valori sociali, inclusi nella
mission dell’impresa e trasformati in pratiche operative di comunicazione e di coordinamento. Questa dimensione
riguarda non la “retorica delle buone intenzioni” ma il processo reale attraverso cui un impegno concreto e
misurabile è definito, implementato e comunicato. Nella pratica di verifica possono essere utilizzate le forme di
rendicontazione extracontabile come il bilancio sociale, il bilancio ambientale, il bilancio dell’intellectual capital
ed altri supporti di raccolta e comunicazione di informazioni.
Il valore dei prodotti e sostenibilità dei processi: l’ISC è una impresa attenta all’innovazione di prodotto e di
processo sia in ottica di business, per mantenersi competitiva nel lungo periodo, sia in ottica sociale, per
migliorare la sostenibilità e l’impatto sull’ambiente. Vi sono prodotti e servizi essenziali per il benessere e la
qualità della vita, che riguardano l’istruzione, la cura delle persone, la sicurezza e così via: l’ingegnosità, il costo,
l’usabilità degli output delle imprese di produzione brain intensive e di servizi hanno un impatto fondamentale
sulla qualità della vita. I 9/10 del mondo, poi, mancano anche di prodotti e servizi essenziali: la capacità
dell’impresa di concepire, produrre e distribuire prodotti e servizi a basso costo in cui sia richiesto non solo una
spesa ma anche un contributo alle capacità produttive e alla prosperità dei Paesi meno sviluppati è una delle
frontiere più rilevanti del business in una società globalizzata.
Le persone nell’impresa: pratiche di cooperazione e qualità della vita lavorativa. L’ISC ha una organizzazione
che favorisce stabilmente la delega, la cooperazione, la partecipazione e l’empowerment delle persone e dei
gruppi che operano nei processi produttivi dell’impresa come dipendenti, consulenti, fornitori.
Questo porta allo sviluppo di un contesto lavorativo in cui l’autonomia e la collaborazione prevalgono sulla
strutturazione, la formalizzazione ed il controllo gerarchico.
Il rispetto e lo sviluppo dell’integrità fisica, psicologica, sociale, professionale delle persone (in una parola della
qualità della vita di lavoro) sviluppano un ambiente attento alla sicurezza e professionalizzazione sul posto di
lavoro, ma sono attente alle differenze, alla vita privata, alla socialità e alla professionalità.
Comunità e territorio: l’ISC è attiva nella gestione delle relazioni con la comunità in quanto stimola ed accresce la
fiducia e il capitale sociale (Bourdieu, 1980; Bagnasco et al., 2001) del contesto in cui si sviluppa. Esporta nella
società che la circonda, oltre che al valore economico anche i valori e le conoscenze, sia attraverso le persone ed i
prodotti, sia sviluppando iniziative e progetti sociali. Questo avviene sia in maniera indiretta, attraverso l’attività
caratteristica dell’impresa, sia mediante azioni finalizzate all’utilità sociale. Questa dimensione, quindi, valuta
l’insieme delle azioni non necessariamente direttamente connesse al business, che hanno impatto positivo sullo
sviluppo economico o culturale della comunità in cui l’azienda si trova.
Il mercato e la rete: una ISC, le cui attività sono limitate territorialmente e concentrate in settori definiti, sviluppa
prosperità e capitale sociale nel territorio: è ciò che avviene nei distretti industriali tradizionali.
Ma vi sono anche “imprese reti” che fanno la regia di processi che sono distribuiti spazialmente in contesti
territoriali sia locali sia globali. La ISC considera l’importanza della componente sociale, adotta criteri etici e
trasparenti nella scelta, nella relazione con i propri fornitori e distributori. Ad esempio crea sistemi di controllo
della qualità, e adotta principi di accreditamento e di certificazione etica e per i nodi della rete, rifiutandone
l’accesso a imprese che violano norme sul lavoro minorile, sul rispetto delle norme nazionali, sul trattamento del
personale e dell’ambiente.
Rispetto alle dimensioni fin qui presentate, un’azienda può risultare posizionata in modo differente rispetto alle
cinque dimensioni di analisi in relazione al suo ambiente, alla sua storia ed al contesto socio-economico in cui
opera, oltre che per esplicite scelte strategiche ed operative. Abbiamo già affermato che l’ISC non è un modello,
una norma, una filosofia ma un modo di vedere e gestire con successo la crescente interpenetrazione fra economia
e società che tocca tutte le imprese. L’approccio che presentiamo allora tende ad accompagnare un processo di
crescente sviluppo delle dimensioni sociali della condotta dell’impresa coerenti con la propria struttura e
appropriate alle loro strategie. Ciò che risulta più apprezzabile è il progresso nel gestire con successo queste
dimensioni più che la soluzione in sé. L’ISC non è un’impresa che ha trasformato un ente economico in un
paradiso ideale, né un’impresa modello che è riuscita ad essere eccellente in tutte le dimensioni ma un’impresa
che tende a governare queste dimensioni e ha valori e strumenti per farlo concretamente.
È possibile e prevedibile la moltiplicazione del numero delle imprese eccellenti socialmente orientate e la qualità
e l’efficacia della loro azione. Innanzi tutto le imprese si stanno già muovendo nella direzione che stiamo
profilando. In secondo luogo variabili ambientali e sociali interne alle imprese le spingeranno ad accelerare il
passo in questa direzione. In terzo luogo sono possibili progetti in cui diverse imprese (per settore, per problema,
per ispirazione culturale) si associno fra loro e con altri enti come università e istituzioni funzionali come le
Camere di Commercio, per scambiarsi apprendimenti e accelerare questi processi. Le politiche pubbliche possono
agevolare e incentivare in questa direzione le imprese e i soggetti che operano all’interno della loro “arena
sociale” (i componenti dell’impresa, i sindacati, le istituzioni, la pubblica amministrazione, le forze culturali e
scientifiche, ecc.) per promuovere e sviluppare la capacità sociale delle imprese.
Riferimenti bibliografici
Bagnasco A., Piselli F., Pizzorno A., Trigilia C. (2001), Il capitale sociale. Istruzioni per l’uso, Bologna, il Mulino.
Barrington Moore jr. (1998), Moral Aspects of Economic Growth and Other Essays, Cornell University Press, Ithaca and
London (trad. it. Aspetti morali delllo sviluppo economico, Milano, Edizioni di Comunità, 1999).
Bourdieu P. (1980), “Le capital social: notes provisoires”, Actes de la Recherche en Science Sociales, n. 31: 2-3.
Butera F. (1999), “Economia e Società nell’impresa: l’impresa eccellente socialmente capace”, Studi Organizzativi, n. 1: 1139.
Butera F., Catino M. et al. (2000), Ripensare l’impresa cooperativa. Successo economico e legittimazione sociale
dell’impresa socialmente capace, Documento di Lavoro Irso.
Granovetter M. (1985), “Economic action and social structure: The problem of embeddedness”, American Journal of
Sociology, n. 91: 481-510.
Magatti M., Monaci M. (1999) (a cura di), L’impresa responsabile, Torino, Bollati Boringhieri.
Osterman P. (1996), ed. Broken Ladders: Managerial Careers in the New Economy, New York, Oxford University Press.
Sen A. (2000a), La ricchezza della ragione. Denaro, valori, identità, Bologna, il Mulino.
Id. (2000b), Etica ed economia, Roma-Bari, Laterza.
Weber M. (1995), Economia e Società, Milano, Comunità, 5 voll. (ed. or. 1922).
Note
1. L’Irso (Istituto di Ricerca Intervento sui Sistemi Organizzativi) sta avviando un laboratorio di ricerca e formazione diretto da Maurizio
Carbognin e Maurizio Catino con l’intento di attivare una comunità di organizzazioni (Imprese/Enti) e di persone che stanno attuando o
intendono implementare pratiche di gestione congiunta di aspetti economici e sociali; avviare una riflessione sulle esperienze eccellenti
italiane e internazionali; conoscere, approfondire e condividere metodologie gestionali, approcci e sistemi di certificazione etica.
2. Il concetto di stakeholder risale al 1963 (Stanford Research Institute) e indica coloro che hanno un interesse nell’attività dell’azienda, in
quanto portatori di interesse (stake significa posta, scommessa).