8 L’ORDINE DOMENICA 21 DICEMBRE 2014 QUEI CANTI ANTICHI SONO INNI ALLA PACE Da “Adeste fideles” a “Tu scendi dalle stelle” passando per le canzoni popolari del Veneto legate alla propria infanzia , un grande cantautore indaga il significato profondo di brani noti a tutti ma di cui pochi conoscono l’origine MASSIMO BUBOLA Siamo qua di una gran Stela par adorare Maria e Gesù per portare una novèla che xe nato el Redentor! Una stella alta, a cinque punte ricoperta di carta velina rossa in­ collata su listelli di legno, attaccata ad una lunga canna di bambù e dietro la stella era un piccolo cero, protetto da una carta trasparente gialla a illuminarla. Eravamo i set­ te fioi della corte Melegaro e gira­ vamo le case e le contrade del no­ stro paese nella “bassa veronese” cantando questa vecchia canzone appena faceva buio nei giorni del Natale. Dovevamo cantarla a voce molto alta, per sovrastare l’abbaia­ re dei cani e le voci all’interno delle abitazioni. La gente ci dava qual­ che spicciolo, uova, qualche fetta di cotechino o di di torta margheri­ ta, carrube, castagne secche, cachi e tutti ci invitavano inevitabil­ mente dentro casa per un bicchie­ re di vino, come si usava nelle cam­ pagne allora con gli ospiti, magari alzandosi dal letto, visto che tanti andavano presto a dormire e non c’era la tv. Ci vestivamo con le tuniche bianche da angeli ereditate dai no­ stri cugini più grandi e dagli zii, che ci andavano troppo larghe e trop­ po lunghe e ci facevano inciampa­ re se non le tenevamo su bene con le mani o con lo spago. Il nonno con la fisarmonica Quando si avvicina il Natale penso spesso a quei pomeriggi a girova­ gare per i campi arruffati dal vento tra frange di brina sui fossi ghiac­ ciati e cinguettii sui rami secchi dei salici. La neve smunta a maculare le stoppie sui campi immobili ed i vapori intorno alle case. Quando si entrava nel caldo greve delle famiglie si andava diretti verso la cucina economica o il camino a girarsi di schiena per scaldarla e sfregarsi le mani. C’è un’altra can­ zone che mi piaceva tanto cantare e che avevo imparato da mio non­ no che ce la insegnava divertito con la sua piccola fisarmonica: “La carovana dei re magi”. Era molto allegra e ben visibile perché la lin­ gua che parlava era la nostra, non era quella aulica delle altre canzo­ ni natalizie. Le immagini erano comuni e la storia della nascita di Gesù e della visita dei Re Magi era ambientata come se tutto questo accadesse a casa nostra o in una delle fattorie dei nostri vicini, dove c’era un viale d’entrata ed un’aia. La reazione del capofamiglia, che vede arrivare questo gruppo di persone sconosciute, è tipica di un contadino che non sa chi s’avanza e si difende dai foresti, che magari hanno male intenzioni, ma poi man mano nella canzone i re magi si fanno riconoscere e tutto finisce in gloria. «Cosa l’è sta carovana che “Astro del ciel” scritta nel ’37 sulla musica di “Stille nacht” da un prete bergamasco Un’invocazione a una luce metaforica e a riconciliarsi con se stessi e col mondo vien vanti al galopo/ San Giuseppe prende el sciòpo, el ghe dixe­ Chi va là?­ / Gnente, gnete stasì boni, che noi semo i tre re magi/ semo onesti e tanto sagi e vegnémo da lontàn/ I camei se insenocia, i de­ smonta da le zerle/ i descarga mile perle, oro e incenso de chel bòn/ I ghe porta tuto quanto al butìn che dorme chieto/ su la grepia po­ vareto, lu che’l gera tanto bòn». Cantare il Natale ha un’antica origine, perché il periodo è legato al solstizio d’inverno, in un mo­ mento dell’anno in cui le giornate si fanno sempre più corte e le po­ polazioni antiche, del nord Euro­ pa specialmente, ed i celti in parti­ colare, temevano che il buio scen­ desse inesorabilmente sulla terra e tutto fosse destinato a morire avvolto in un’oscurità senza fine. Così i riti di fine anno erano legati sempre alla luce, da cui la Chiara Stella col suo lume dietro e così nel mito di Santa Lucia, la Regina della Luce, nei paesi scandinavi in cui vengono posti nelle cerimonie, sulla testa delle fanciulle corone di candele accese. Un coro luminoso Una canzone piena di luce che cantavo in coro da adolescente, senza capire bene le parole latine, era l’“Adeste fideles”, che oggi sap­ piamo essere stata ricavata da un antico canto irlandese, codificato in Francia per i cattolici che sfuggi­ vano dalle persecuzioni prote­ stanti in Gran Bretagna. La canzo­ ne aveva un fascino straordinario e la sua melodia era impareggiabi­ le quando saliva su Natum videte Regem angelorum. A tutti veniva la pelle d’oca, sotto la cotta bianca e la tunica rossa dei cantoretti, dietro l’altare maggiore nell’inter­ minabile messa solenne di mezza­ notte e ci sentivamo, anche noi così assonnati, di dare un grande contributo allo rappresentazione della Notte Santa. “Tu scendi dalle stelle” è una canzone arcadica sullo stupore dei pastori ed anche qui la luce è il leitmotiv; la scia splendente che plana lenta dal cielo a celebrare il Bambino, seguita a ruota dalla co­ meta dei Magi. Era una canzone che mi lasciò una profonda emo­ zione, quando da ragazzino la sen­ tii cantare a Campobasso, ospite coi miei genitori da una famiglia di amici. Nel capoluogo molisano, i pastori ed i presepi erano un’anti­ ca e sentita tradizione. Ricordo che si camminava su e giù per le strade strette tra muri di neve e davanti all’entrata delle chiese, c’erano sempre dei pastori con cornamusa e ciaramelle. Tu scendi dalle stelle la sentii cantare davan­ ti ad un grande presepe di statue ad altezza naturale, posto davanti all’altare, da un coro vigorosissi­ mo, cui partecipavano gli astanti, accompagnato dagli strumenti dei pastori che nel frattempo erano entrati e si erano posizionati da­ vanti al bambino Gesù. Solo le can­ zoni avevano la forza misteriosa di creare una così avvolgente sugge­ stione e questo mi fece probabil­ mente già allora riflettere sulla segreta forza evocativa che hanno. C’è poi un motivo della tradi­ zione austriaca di primi Ottocen­ L’“Adeste fideles” annuncia la nascita di Gesù come questo affresco del tedesco Martin Schongauer L’AUTORE CANZONI E POESIE STORIE POPOLARI «Per me, quando uno ha messo mano a Fiume Sand Creek e Don Raffaè (in panchina Il cielo d’Irlanda) è in regola col mondo». Così Gianni Mura sintetizzò su “Repubblica” la carriera di Massimo Bu­ bola. Classe 1954, in trentacinque anni di atti­ vità, ha sfornato venti album e scritto più di 300 brani. Musicista, poeta e pro­ duttore, ha composto a quattro mani con De Andrè due dei dischi più belli di que­ st’ultimo, “Rimini” e “Fabrizio De An­ drè” (meglio noto come “L’Indiano”). Ha scritto inoltre molte canzoni portate al successo da varie interpreti femminili, fra cui “Il cielo d’Irlanda”,resa popolare da Fiorella Mannoia. E ha anche collabo­ rato con i due principali quotidiani italia­ ni, “Il Corriere della sera” e “Repubbli­ ca”. Il suo album più recente, “Il testamento del capitano”, il dedicato alla Prima guerra mondiale. Bubola riarrangia con sensibilità e stile personali alcuni canti classici della Grande guerra: “Ta pum”, “Il Testamento del Capitano”, “Sul ponte di Perati”, “Monti Scarpazi”,” Bombar­ dano Cortina” e “ La tradotta”. E propone Massimo Bubola 60 ANNI, MUSICISTA un pugno di pezzi nuovi (“Da Caporetto al Piave”,” L’alba che verrà”, “Neve su neve”, “Vita di trincea”), che riprendono nei testi (sempre molto umani e poetici) e nelle sonorità il dramma del primo conflitto mondiale. Chiudono il disco due brani storici scritti da Bubola sul primo conflitto mondiale ­” Rosso su verde” e “Noi veniam dalle pianure”­ cantati dal prestigioso coro Ana di Mila­ no. Info sul sito www.massimobubola.it. to, che mio padre sapeva in tedesco e che ci cantava la notte di Natale nella nostra cameretta, quando tornavamo dalla messa dopo aver bevuto il canonico bicchiere di lat­ te con una punta di marsala insie­ me al pandoro. Era “Stille nacht”. Mio padre aveva una voce da basso e ce la cantava avvicinandosi di volta in volta ai nostri volti. Rammento ancora il suo fiato al profumo di chiodi di garofano del vin brulé che aveva bevuto fuori di chiesa e le vibrazioni toccanti di quelle note basse in quella lingua sconosciuta e suadente. Una natura semplice “Astro del ciel” che era stata scritta sulla stessa musica, non ne era la traduzione, ma un testo nuovo in italiano scritta da un prete berga­ masco Angelo Mei nel ’37 e finisce anch’esso con… “Luce dona alle menti, pace infondi nei cuor”. An­ cora un’invocazione ad una luce metaforica e alla riconciliazione interiore e col mondo. La purezza rimane una prero­ gativa di questi canti che hanno una natura semplice e rappacifica­ trice che ci trasporta, alla fine di un altro anno, a riconsiderare il no­ stro tempo, i nostri sentimenti ed i nostri sogni per una riflessione necessaria in un’occasione unica come il Santo Natale che ci perdo­ na ancora e ci induce ancora a per­ donare.