L`indipendenza dell`America Latina

E
POTERI
CONFLITTI
IPERTESTO
L’indipendenza
dell’America Latina
Lo scenario internazionale
link
i personaggi
Touissaint l’Ouverture
Pierre-Dominique Toussaint (1744-1803) era uno
schiavo impiegato come cocchiere. Diventò uno dei
capi della rivolta di Haiti, alleandosi prima con gli spagnoli contro i francesi e poi (1794) con la Francia, che
nel frattempo aveva abolito la schiavitù. Combatté a
fianco dei francesi per scacciare dall’isola spagnoli e
inglesi e fu nominato comandante in capo delle truppe. Nel 1800 proclamò l’indipendenza di Haiti e divenne presidente, promuovendo numerose riforme e
stipulando accordi commerciali con gli Stati Uniti e con
la Gran Bretagna. Quando le truppe napoleoniche riconquistarono l’isola, nel 1802, fu costretto ad arrendersi e poco dopo morì. Il soprannome L’Ouverture
(“l’apertura”) era dovuto alla sua abilità nell’aprire brecce nelle file nemiche.
Ritratto di Touissant l’Ouverture.
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO A
La dichiarazione
di Monroe
(pag. 4)
1
L’indipendenza dell’America Latina
Per circa quarant’anni, in un periodo compreso approssimativamente tra il 1789 (inizio
della Rivoluzione francese) e il 1823 (dichiarazione di Monroe), la storia dei popoli americani fu strettamente connessa a quella del continente europeo; anzi, dal momento che
le varie regioni d’America si trovarono costrette, spesso, a confrontarsi con la rapida evoluzione che subiva la situazione politica del Vecchio Mondo, la loro storia assunse in primo luogo i tratti di una risposta a quella europea, più che essere l’elaborazione di un autonomo e originale progetto.
Al di là dell’Atlantico, il primo effetto della Rivoluzione si ebbe nella colonia francese
di Santo Domingo, che esportava verso l’Europa enormi quantità di zucchero. Nel 1790,
i proprietari delle grandi piantagioni accolsero molto negativamente la concessione dei
diritti politici ai mulatti e il dibattito sulla soppressione dell’istituto della schiavitù, in nome
dei diritti dell’uomo. Tuttavia, mentre i coloni bianchi erano sul punto di opporsi frontalmente alle autorità di Parigi, la situazione precipitò: gli schiavi neri, infatti, si ribellarono, dando vita a quella che è stato definito «il primo grande scontro tra gli ideali della supremazia bianca e l’uguaglianza razziale» (T. Lothrop Stoddard). Nel 1793, quando
l’Inghilterra entrò in conflitto con la Repubblica francese, i coloni chiesero aiuto all’esercito
britannico per sedare la rivolta degli schiavi; questi, però, trovarono una valida guida in
Touissant l’Ouverture, cosicché gli inglesi (oltretutto decimati dalla febbre gialla) dovettero rinunciare a impadronirsi dell’isola.
IPERTESTO
➔Haiti
Touissant fu sconfitto e catturato nel 1802 dalle truppe di Napoleone, deciso a ripristinare
nelle colonie francesi la schiavitù che la Repubblica democratica aveva abolito; gli schiavi, però,
si diedero altri capi e continuarono la lotta, che neppure l’esercito imperiale riuscì a domare. Infine, preoccupato della situazione europea, Napoleone lasciò Santo Domingo al proprio destino e permise la nascita di Haiti, la prima repubblica nera della storia moderna.
Bonaparte, inoltre, si rese conto che la Francia non aveva i mezzi per valorizzare l’immensa
area che si estendeva dal fiume Mississippi alle Montagne Rocciose; denominato Louisiana, tale territorio era stato assegnato nel 1763 alla Spagna, che a sua volta l’aveva ceduto alla Francia nel 1801. Nella mente di Napoleone, una Louisiana colonizzata avrebbe dovuto fornire cereali e generi alimentari a Santo Domingo e alle altre colonie specializzate
nella monocoltura della canna da zucchero; fallita la riconquista di Haiti, il progetto
cessava di avere significato, mentre era alquanto serio il pericolo di un’occupazione inglese. Pertanto, nel 1803, in cambio di 15 milioni di dollari la Louisiana fu ceduta dalla Francia agli Stati Uniti, che raddoppiarono l’estensione del proprio territorio.
UNITÀ IV
La crisi dell’impero spagnolo
POLITICA E CULTURA NELL’ETÀ NAPOLEONICA
2
Nelle colonie spagnole del XVIII secolo crebbe in maniera costante il malcontento dei proprietari terrieri bianchi (i cosiddetti criollos o creoli); nati in Sud America, essi non sopportavano più di essere governati da funzionari di origine castigliana e di essere obbligati a commerciare solo con la Spagna. Per questa ragione, il contrabbando era fiorente e le autorità politiche non erano in grado di fermare la mole imponente delle merci inglesi che arrivava illegalmente nei diversi Paesi, creando una vera e propria economia parallela. Nel 1806, l’Inghilterra tentò, con un atto di forza, di sottomettere al proprio doRiferimento minio l’Argentina: tuttavia, la spedizione militare britannica che provò a impadronirsi di
1 storiografico Buenos Aires fallì, in quanto la popolazione locale si dimostrò fedele al proprio sovrano
spagnolo. A quest’epoca, dunque, il malcontento non era giunto al punto da spingere i copag. 6
loni a una rottura definitiva con la madre patria: né gli inglesi, da parte loro, seppero presentarsi in altra veste diversa da quella dei conquistatori.
La situazione complessiva subì una brusca accelerazione negli anni
1807-1808: fu l’invasione della Penisola iberica da parte dell’esercito francese a mettere in moto il processo di decolonizzazione dell’America Latina. Subito dopo l’arrivo delle truppe napoleoniche, il
re del Portogallo fuggì in Brasile. Nel 1822, l’immenso Paese sudamericano divenne infine un impero indipendente, governato da uno
dei figli del sovrano portoghese.
Il processo di distacco del Brasile dalla madrepatria non ebbe dunque nulla di traumatico. Molto più complesso e sofferto risultò invece l’insieme degli eventi che portò alla completa autonomia delle colonie spagnole. Allorché il sovrano Ferdinando VII fu deposto e costretto ad abdicare in favore di Giuseppe Bonaparte (1808),
l’impero coloniale dipendente da Madrid fu attraversato da un momento di grave confusione: poiché era difficile riconoscere come
legittimo il nuovo re, imposto alla Spagna da Napoleone, numerose colonie americane si ribellarono e, con l’aiuto inglese, cominciarono ad autogovernarsi. Anche se gli storici latinoamericani, fino a qualche decennio fa, amavano presentare il processo di
decolonizzazione dei loro Paesi come una rivoluzione affine a quella delle tredici colonie inglesi che avevano dato vita agli Stati Uniti, oggi la maggior parte degli studiosi ritiene che, a livello ideologico, contarono poco sia il liberalismo anglosassone (il modello
liberale politico inglese) sia le rivoluzioni americana e francese. In
effetti, la cultura politica più diffusa in Spagna e in America era
fortemente arcaica, nel senso che postulava una delega del
ancora
Jean-Baptiste Wicar, Ritratto di Giuseppe
potere
al
re da parte dei nobili, e non un vero contratto sociale conBonaparte, dipinto del XIX secolo (Museo
cepito alla maniera di Locke o di Rousseau.
di Versailles).
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
➔Sostegno inglese
IPERTESTO
I creoli non riconobbero come sovrano Giuseppe Bonaparte, re di dubbia legittimità: i
grandi proprietari terrieri delle colonie spagnole – che ne formavano la nobiltà – si reputavano liberi di provvedere da soli alle funzioni detenute in precedenza dal sovrano.
L’Inghilterra, da parte sua, appoggiò queste azioni ribelli, da cui poteva ricavare soltanto vantaggi: sotto il profilo politico, si poteva affermare che nessuno dei sudditi dei sovrani madrileni riconosceva i cambiamenti dinastici imposti da Napoleone; in ambito
economico, invece, le nuove piccole entità che avessero guadagnato l’autonomia sarebbero
subito diventate dei satelliti del sistema che ruotava intorno a Londra.
San Martin e Bolivar
STATI
UNITI
MESSICO
1821
HAITI
BELIZE
GB
GUATEMALA
REPUBBLICA
DOMINICANA
CUBA
HONDURAS
MOSQUITIA
GB
NICARAGUA
EL SALVADOR
COSTA RICA
PANAMA
L’INDIPENDENZA
DELL’AMERICA
LATINA
OCEANO
PUERTO RICO
ATLANTICO
VENEZUELA
1822
GUYANE
COLOMBIA
NL FR
1816
GB
ECUADOR
1816
BRASILE
1822
PERÙ
1822
OCEANO
BOLIVIA
1825
PACIFICO
PARAGUAY
1811
ARGENTINA
1816
CILE
1818
Già dominio spagnolo
Già dominio portoghese
Province Unite
del Centro America
(1823)
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
URUGUAY
1828
Simon Bolivar, l’eroe
dell’indipendenza
dell’America Latina.
I territori che egli
liberò diedero origine,
in seguito, alla
Colombia, alla Bolivia
e al Perù.
IPERTESTO A
➔Bianchi e schiavi
3
L’indipendenza dell’America Latina
Nel luglio 1812, il generale venezuelano Francisco Antonio Gabriel de Miranda (17501816) proclamò l’indipendenza del Venezuela. Si tratta della prima dichiarazione formale di sovranità di un Paese latinoamericano; non tutti i creoli venezuelani, tuttavia, l’appoggiarono, in quanto i latifondisti bianchi erano preoccupati di un’eventuale insurrezione
della popolazione di colore (neri, mulatti, indios). La popolazione bianca dunque si divise e questa spaccatura interna al gruppo dirigente condannò il movimento indipendentista
al fallimento; i moderati consegnarono Miranda agli spagnoli (e il generale, infatti, morì
nel 1816 in una prigione regia) e costrinsero altri leader della fazione opposta – tra cui
Simon Bolivar (1783-1830) – all’esilio.
Dopo la sconfitta di Napoleone, tuttavia, i focolai di lotta per l’indipendenza si moltiplicarono. In Cile, a guida dei ribelli si pose Bernardo O’Higgins, mentre la regione argentina trovò valido comandante nel generale José de San Martin (1778-1850). I due
operarono in stretto collegamento e riuscirono dapprima a conquistare Santiago (1818),
e poi ad attaccare Lima (1821), la capitale del Perù. Questo, però, era il territorio che gli
spagnoli controllavano più saldamente e quindi la completa liberazione del Paese avrebbe richiesto tempi più lunghi e forze assai superiori.
IPERTESTO
➔Bolivar contro
il razzismo
Intanto, Bolivar era tornato dal suo esilio. Consapevole della superiorità degli avversari, accettò il contributo militare della giovane repubblica di Haiti, che inviò sette navi e 6000 uomini. Per l’epoca, si trattò di un gesto clamoroso, in quanto moltissimi bianchi, sia in America del Nord sia nelle colonie spagnole e portoghesi, guardavano a Haiti come a un covo di
sovversivi da isolare e strangolare sotto il profilo economico. Bolivar, al contrario della maggioranza dei bianchi del suo tempo, ebbe il coraggio di presentare la fusione tra etnie diverse (europei, neri, indios) come un valore e un arricchimento; inoltre, respingendo alla
radice il razzismo dilagante e diffuso, proclamò subito (1816) l’abolizione della schiavitù sul
territorio venezuelano. La guerra fu lunga e sanguinosa: si protrasse fino al 1822 e Bolivar
riuscì a sostenerla solo grazie all’importante contributo delle popolazioni indigene (indios).
A quel punto, Bolivar fu in grado di soccorrere San Martin, impegnato in Perù; i due liberatori (libertadores) si incontrarono nel luglio 1822 a Guayaquil, in un contesto in cui
la vittoria pareva imminente. Discutendo dell’assetto dell’America, entrambi concordavano sull’idea di una vasta e forte federazione, analoga a quella statunitense. Tuttavia, San
Martin era favorevole a un governo monarchico, mentre Bolivar preferiva un sistema repubblicano, che egli auspicava però fortemente autoritario e centralizzato.
La dichiarazione di Monroe
UNITÀ IV
Dopo l’incontro di Guayaquil, San Martin scelse di ritirarsi a vita privata e di non dedicarsi più all’azione politica e militare. L’ultimo scontro con l’esercito spagnolo ebbe luogo ad Ayacucho, l’8 dicembre 1824. Dopo questa disfatta, alla Spagna rimasero solo Cuba
e Puerto Rico (che la Corona di Madrid avrebbe perduto nel 1898, a seguito di uno scontro con gli Stati Uniti).
Bolivar era riuscito, come osservò lui stesso, «a rompere le catene» del potere spagnolo.
Tutti gli altri suoi progetti, però, fallirono. Al posto della forte federazione da lui auspicata, nacquero numerose repubbliche, più o meno vaste, rette da oligarchie gelose dell’indipendenza appena conquistata. Nel 1826, fu convocato a Panama un congresso finalizzato a creare gli Stati Uniti del Sud; parteciparono delegati del Perù, della Colombia, della Bolivia, della Plata (Argentina) e del Cile. Sulle questioni
di fondo, non venne trovato alcun accordo: al più tardi nel 1830 il progetto federalista fu quindi definitivamente abbandonato.
POLITICA E CULTURA NELL’ETÀ NAPOLEONICA
4
La dottrina Monroe
I principi fondamentali che ispirarono la politica estera statunitense fino alla prima guerra mondiale vennero formulati da James Monroe, in un messaggio presidenziale del 2 dicembre 1823, indirizzato al Congresso.
William James
Hubbard, Ritratto
di James Monroe,
1832 ca. (Museo
di Versailles).
Degli eventi di quella parte del globo [l’Europa, n.d.r.], con cui noi abbiamo tanti rapporti e dalla quale deriviamo la nostra origine, noi siamo
sempre stati ansiosi e interessati spettatori. I cittadini degli Stati Uniti nutrono i sentimenti più amichevoli a favore della libertà e della felicità dei loro
amici al di là dell’Atlantico. Nelle guerre fra le potenze europee relative a questioni di loro pertinenza noi non abbiamo preso alcuna parte, né la nostra politica lo consentirebbe. Soltanto quando i nostri diritti sono lesi o sono seriamente minacciati, noi ci risentiamo o ci prepariamo alla difesa. Necessariamente
siamo più direttamente interessati agli sviluppi che si verificano in questo emisfero
[in America, n.d.r.], e ciò per ragioni che debbono sembrare ovvie a tutti gli osservatori imparziali e illuminati.
Sotto questo aspetto il sistema politico delle potenze alleate [le principali potenze europee, impegnate a difendere l’ordine stabilito al Congresso di Vienna, n.d.r.] è essenzialmente
diverso da quello dell’America. Questa differenza deriva da quella esistente nei rispettivi governi; e alla difesa del nostro sistema, acquisito con la perdita di tanto sangue e di tanta ricchezza, maturato dalla saggezza dei cittadini più illuminati, nel quale abbiamo goduto di una
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
Data
Eventi politici statunitensi
1793-1815
Scontro tra Francia e Inghilterra
1803
Cessione della Louisiana agli USA da parte
della Francia
1806-1822
Indipendenza dei Paesi latinoamericani dal
dominio coloniale spagnolo
1823
Dichiarazione del presidente Monroe contro
le ingerenze europee in America
Anche sul piano sociale le speranze di riforma di Bolivar si rivelarono perdenti: nei nuovi Stati, la maggioranza della popolazione (composta da indiani e/o da neri) restò lontana dal potere, oppressa, sfruttata e asservita ai grandi proprietari, anche se la schiavitù vera
e propria, nel corso degli anni Venti, fu abolita in tutta l’America Latina, tranne che in
Brasile e a Cuba.
Politicamente deboli, i nuovi Stati si trovarono per qualche tempo esposti al rischio di una
rinnovata conquista da parte delle potenze europee; i principali pericoli venivano sia dall’Inghilterra (che in breve tempo riuscì a trasformare l’America del Sud in una periferia del
proprio sistema economico), sia dalla Francia, disponibile ad agire in alleanza con la Spagna.
Nel 1823, tali minacce spinsero il presidente degli Stati Uniti James Monroe a dichiarare
i principi che, per circa un secolo, avrebbero guidato la politica estera del suo Paese. Egli, da
un lato, dichiarò che gli USA non avevano alcuna intenzione di immischiarsi nei conflitti politici europei; ma, nel medesimo tempo, con estrema fermezza Monroe affermò che gli Stati Uniti non avrebbero tollerato ingerenze politiche nel continente americano: «Data la
libera e indipendente condizione da essi assunta e mantenuta, non dovranno più considerarsi da ora in poi oggetto di futura colonizzazione da parte di qualsiasi potenza europea».
Gli Stati Uniti restarono fuori dalla politica europea fino alla prima guerra mondiale e fino
ai primi del Novecento non si preoccuparono neppure, più di tanto, del fatto che Francia e
Inghilterra si spartissero l’Asia e l’Africa. In America Latina, invece, la loro politica si fece ben
presto aggressiva, dapprima a spese del Messico (divenuto a sua volta indipendente nel 1821)
e poi di altri Paesi della regione centrale. Fino al 1918, tuttavia, la potenza economica dominate in America del Sud fu la Gran Bretagna, incontrastata e vera regina del commercio
internazionale e delle rotte navali, da Trafalgar fino agli anni Venti del XX secolo.
➔Abolizione della
schiavitù
Riferimento
storiografico
2
pag. 8
DOCUMENTI
felicità senza confronti, questa intera nazione è del tutto devota. È quindi per franchezza, e
per le amichevoli relazioni esistenti fra gli Stati Uniti e quelle potenze, che dobbiamo dichiarare
che considereremmo qualsiasi tentativo da parte loro di estendere il loro sistema a qualsiasi
parte di questo emisfero, come pericoloso per la nostra pace e sicurezza. In faccende riguardanti le attuali colonie o dipendenze di qualsiasi potenza europea noi non abbiamo mai
interferito, né lo faremo in futuro. Ma noi non potremmo vedere alcun intervento contro i Governi che hanno dichiarato la loro indipendenza e l’hanno sostenuta, e che noi abbiamo riconosciuto con grande considerazione e sulla base di giusti principi, intervento compiuto
allo scopo di opprimerli o di controllarne in altri modi il destino, da parte di qualsiasi potenza Quale atteggiamento
assumono gli Stati
europea, se non come la manifestazione di un atteggiamento non amichevole verso gli Stati
Uniti, nei confronti
Uniti. […]
delle vicende
È impossibile che le potenze alleate possano estendere il loro sistema politico ad alcuna
politiche europee?
parte dell’uno o dell’altro continente [l’America del Nord e l’America del Sud, n.d.r.] senza
mettere in pericolo la nostra pace e felicità, né alcuno può credere che i nostri fratelli me- Come reagirebbero,
di fronte al tentativo
ridionali, se lasciati a se stessi, l’adotterebbero mai di propria iniziativa. È parimenti imdi una potenza
possibile pertanto che noi possiamo assistere ad una simile interferenza, in qualsiasi
straniera di
forma, con indifferenza.
intervenire nelle
M. BENDISCIOLI, A. GALLIA, Documenti di storia contemporanea 1815-1970, Mursia,
questioni
Milano 1970, pp. 277-279
americane?
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO A
Eventi politici europei
5
L’indipendenza dell’America Latina
Data
IPERTESTO
POLITICA EUROPEA E POLITICA STATUNITENSE
IPERTESTO
Riferimenti storiografici
1
La crisi dell’impero coloniale spagnolo
UNITÀ IV
La crisi del dominio spagnolo in America affonda le proprie radici nel XVIII secolo, ma esplose in occasione dell’invasione francese della Penisola iberica. Alla metà del Settecento, la Spagna governava
ancora un impero immenso, ma non aveva più le risorse e la forza né per sfruttarne la ricchezza, dal
punto di vista economico, né per rifornirlo di beni di consumo o di prodotti europei, che la rigida legislazione introdotta al momento della conquista vietava di fabbricare oltreoceano.
POLITICA E CULTURA NELL’ETÀ NAPOLEONICA
6
Le truppe spagnole
fanno irruzione in
un’abitazione per
arrestare un gruppo di
patrioti venezuelani,
dipinto del XIX secolo.
I possedimenti coloniali iberici nell’America Latina sono scossi con intensità e frequenza
sempre maggiori, nella seconda metà del Settecento, da agitazioni e da rivolte a carattere
autonomista, fomentate dalla aristocrazia locale. La reazione dei governi metropolitani è ormai affannosa: soprattutto essi non sono in grado di offrire, al di là della repressione immediata, prospettive per una ricomposizione del rapporto su basi nuove. Spagna e Portogallo sono assolutamente estranee alla prima fase della rivoluzione industriale, e non hanno
la possibilità di dare incremento agli scambi gettando sui mercati coloniali prodotti di una
industria manifatturiera concorrenziale e stimolando di converso l’esportazione dalle colonie di materie prime. Il rinnovamento che i sovrani cercano di mettere in atto sul finire del
secolo XVIII si limita ad una progressiva abolizione dei monopoli ed all’attenuazione del regime dell’esclusivo: ma questo non è che il formale riconoscimento di una situazione da
tempo esistente, nella quale lo scambio commerciale passava per il 70% per la via del contrabbando. I porti meridionali si aprono in compenso ora non solo alle merci, ma anche alle
influenze culturali provenienti dall’Europa illuminista e dalle colonie ribelli del Nord. La vittoriosa riuscita di queste ultime offre ai latinoamericani l’indicazione e l’esempio di una scelta
traumatica, ma necessaria, mentre è la rivoluzione francese, con le sue complicazioni internazionali, a far precipitare la situazione.
I primi veri tentativi insurrezionali, appoggiati dagli americani (Mirando in Venezuela nel
1806) o dagli inglesi (Popham a la Plata nel 1807) falliscono per la reazione delle popolazioni stesse, ancora orientate in senso lealista. Le condizioni per un distacco dalla ma-
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
P. REPETTO, Le nuove forme del dominio europeo sul mondo,
in M. GUIDETTI (a cura di), L’Europa della borghesia,
Jaca Book, Milano 1982, pp. 71-74
Per quali ragioni fallì la prima ondata di tentativi separatisti, negli anni 1810-1815?
Per quali ragioni l’Inghilterra, dopo il 1816, sostenne il movimento indipendentista?
Che interesse aveva l’Inghilterra a impedire la nascita di una vasta federazione
comprendente tutti i nuovi Stati divenuti indipendenti?
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO
IPERTESTO A
7
L’indipendenza dell’America Latina
drepatria si verificano soltanto con l’occupazione del Portogallo e della Spagna da parte
di Napoleone, il quale si illude di ottenere l’appoggio delle colonie sudamericane in cambio della concessione di ampie autonomie. Il risultato è invece opposto: il Brasile, dove si
è rifugiata la famiglia reale portoghese, apre i suoi porti alle flotte inglesi, e i vicereami spagnoli rifiutano di riconoscere il nuovo re Giuseppe ribadendo la propria lealtà allo spodestato Ferdinando VII. […] Nel luglio del 1811 a Caracas un congresso di cablidos [consigli municipali, n.d.r.] delle città venezoelane proclama l’indipendenza. Nel dicembre è
la volta dell’Ecuador, mentre in Argentina una giunta separatista agiva già dalla fine del
1810. Non tardano a seguirne l’esempio il Cile, l’Uruguay, il Paraguay. Solo il Perù rimase
spagnolo.
La situazione è però tutt’altro che definitiva. Essa evolve assieme alle sorti della guerra
in Europa, e soprattutto in relazione agli orientamenti delle grandi potenze che ne tengono
le fila. Inoltre, non appena proclamata l’indipendenza si manifesta un intrico di rivalità che
oppongono le varie etnie, le diverse classi sociali e le grandi famiglie creole in lotta per il
potere. Quasi ovunque la rivoluzione è opera di minoranze aristocratiche, e la reazione spagnola ha buon gioco nel mobilitare contro di essa masse di meticci, di indios e di disperati che nella nuova situazione politica rischiano di trovarsi anche peggio. Tra le nuove repubbliche, poi, manca assolutamente il coordinamento e l’unità d’intenti, ed anzi trionfa quel
particolarismo che la natura selvaggia e accidentata del continente e le difficoltà delle comunicazioni terrestri avevano sviluppato nei secoli della dominazione. Allorché viene loro
meno l’appoggio navale degli Stati Uniti, impegnati nel 1812 nella seconda guerra contro
l’Inghilterra, e quest’ultima si allea con la corona spagnola per la riconquista della penisola
iberica, gli insorti sono completamente isolati e non possono tener testa alla controffensiva
spagnola. A tre anni dall’inizio della lotta, solo La Plata riesce a conservare la sua indipendenza.
L’ultima fase della guerra rivoluzionaria ha inizio dopo il 1816. Ancora una volta arbitri della
situazione sono i britannici, interessati alla formazione di repubbliche indipendenti in vista dei
vantaggi economici che un libero mercato sudamericano può offrire. Durante gli anni della
guerra europea, nella totale vacanza di un controllo metropolitano sull’economia delle colonie, il commercio inglese ha potuto allacciare rapporti diretti con l’economia latinoamericana, eliminando finalmente le mediazioni ed i problemi connessi al contrabbando. Non è
pertanto disponibile ora ad accettare una restaurazione del sistema protezionistico, sia pure
mitigato da accordi preferenziali. Lo stesso ordine di motivazioni, cui comincia ad affiancarsi
anche una ambizione di egemonia politica sul continente, determina l’appoggio statunitense
ai nuovi moti insurrezionali. Quando nel 1817 Bolivar muove dalla valle dell’Orinoco per passare le Ande e dare vita agli Stati Uniti di Columbia, il suo esercito è formato in gran parte
di reduci inglesi delle guerre napoleoniche, e la flotta americana incrocia lungo le coste,
pronta ad appoggiarlo. […] La guerra ha termine solo nel 1824, con la caduta delle ultime
postazioni spagnole nel Perù: nel frattempo anche la Nuova Spagna si è sollevata, e dopo
il tentativo di instaurare una monarchia indigena viene proclamata nel 1823 la repubblica
messicana. […]
Nei confronti dell’America del sud l’impero britannico adotta una politica di protezione
indiretta, che non si concretizza in interventi o nella creazione di dipendenze ufficializzate,
ma non per questo è meno attenta e decisa. Allorché ad esempio i governi della Santa Alleanza [stipulata dai vincitori di Napoleone, per mantenere l’ordine in Europa e prevenire qualsiasi moto rivoluzionario, n.d.r.] restituiscono il potere al sovrano spagnolo, dopo i moti costituzionali del 1821, Londra li dissuade tempestivamente da ogni tentativo di restaurazione
nelle ex colonie. Ed è ancora l’Inghilterra ad esercitare le sue pressioni sulle singole province
indipendenti per impedire la costituzione di un grande stato panamericano (congresso di Panama, 1826) e per favorire invece un frazionamento che va molto al di là delle vecchie suddivisioni coloniali.
IPERTESTO
UNITÀ IV
POLITICA E CULTURA NELL’ETÀ NAPOLEONICA
8
2
Gli Stati Uniti di fronte all’indipendenza delle
colonie spagnole
Nei confronti del movimento indipendentista diretto contro la Spagna, gli Stati Uniti tennero un atteggiamento ambiguo. Da un lato, temendo l’intervento europeo, sostennero le colonie ribelli; d’altra
parte, fin dall’inizio, coloro che detenevano il potere a Washington si consideravano nettamente superiori alle classi dirigenti dei Paesi latini, e quindi si candidarono al dominio dell’intero continente americano.
La crisi dell’impero spagnolo e il suo prossimo tracollo nell’America Latina s’intrecciarono peraltro con le mire di alcuni paesi europei sulle Americhe e con le volontà restauratrici delle monarchie reazionarie – Austria, Prussia e Russia – unite nella Santa Alleanza. Gli
Stati Uniti furono costretti a dare risposta a questa nuova situazione. Nel farlo, consolidarono e raffinarono alcune delle categorie fondative di un modo peculiarmente statunitense
di fare politica e di considerare il sistema internazionale. […] A cavallo tra gli anni Dieci e gli
anni Venti dell’Ottocento nacquero varie repubbliche indipendenti. Una parte della leadership e dell’opinione pubblica degli Stati Uniti salutò con entusiasmo questa ondata decolonizzatrice e indipendentista: perché sembrava replicare il modello statunitense e costituire
un ulteriore passaggio nel processo di palingenesi [mutamento radicale, dalle fondamenta,
n.d.r.] dell’ordine internazionale invocato dagli Stati Uniti; perché apriva profittevoli opportunità commerciali in Sudamerica; perché la fine del dominio spagnolo poteva offrire una
nuova direttrice, meridionale, all’espansionismo statunitense. Già nel 1818 Henry Clay, influente senatore del Kentucky e futuro candidato presidenziale, introdusse una risoluzione
nella quale si chiedeva il riconoscimento degli Stati nati in America Latina. «I patrioti del Sud
stanno combattendo per la libertà e l’indipendenza, esattamente ciò per cui noi combattemmo», affermò Clay, non omettendo peraltro di ricordare che gran parte dei «metalli preziosi» mondiali si trovavano nella regione e che questi «avrebbero attratto i prodotti richiesti dal Sudamerica»: «La nostra navigazione si avvantaggerebbe da tali trasporti – affermò
Clay – e il nostro paese ne trarrebbe dei vantaggi mercantili».
Adams [a quell’epoca segretario di Stato, cioè ministro degli Esteri degli Stati Uniti; il presidente era invece James Monroe, n.d.r.] era però contrario a qualsiasi riconoscimento immediato dei nuovi Stati e, ancor più, a un intervento in loro appoggio. Varie ragioni spiegano
la posizione assunta dal segretario di Stato. Innanzitutto bisognava evitare di irritare la Spagna prima della ratifica del trattato transcontinentale [che fu stipulato nel 1819 e prevedeva
la cessione della Florida spagnola agli Stati Uniti, n.d.r.]. In secondo luogo gli Stati Uniti non
disponevano dei mezzi per intraprendere delle crociate globali («gli americani non vanno in
giro in cerca di mostri da distruggere», avrebbe dichiarato Adams in una delle sue massime
più note, citate e fraintese). Infine, le popolazioni latine, cattoliche e spesso meticce dell’America Latina non sembravano predisposte a fare proprie quelle libertà e quell’indipendenza
che aveva trovato invece un fertile terreno in Nordamerica. I latino-americani – affermò Adams
nel 1821 – non disponevano «degli elementi di base di un governo libero e capace. Il potere arbitrario, militare ed ecclesiastico» era stato «impresso sulle loro consuetudini e sulle
loro istituzioni». Dalla «materia spagnola» – affermò il senatore della Virginia John Randolph –
non era possibile «estrarre la libertà». La «violenza e pigrizia» delle popolazioni sud-americane erano, secondo l’influente North American Review, «le conseguenze naturali della degenerazione di una razza ibrida, rovinata dalla tirannia e afflitta dalla malvagia influenza delle
condizioni climatiche tropicali».
Nei decenni successivi questo discorso razzista avrebbe vieppiù dominato l’atteggiamento statunitense verso il Sudamerica. Nondimeno, la situazione apertasi nell’area allettava [attirava, n.d.r.] la dirigenza statunitense. I mercati e le ricche risorse naturali dell’America Latina sembravano offrire straordinarie occasioni di profitto per una nazione, quella
statunitense, in cui il peso relativo degli interessi commerciali era particolarmente forte. All’inizio degli anni Venti dell’Ottocento, l’America Latina assorbiva il 13% delle esportazioni
statunitensi: una cifra già rilevante e destinata a crescere esponenzialmente una volta scardinato il sistema mercantilistico imposto da Madrid. Un intervento europeo a difesa dell’impero spagnolo, quale quello invocato dalle potenze della Santa Alleanza, e dalla Russia
di Alessandro I in particolare, poteva mettere a repentaglio questa opportunità. Sappiamo
oggi che molte delle paure statunitensi erano prive di fondamento: le potenze del concerto
europeo non avevano i mezzi, la coesione e la volontà per promuovere un’iniziativa finalizzata alla restaurazione del dominio spagnolo in America Latina. La Gran Bretagna era contraria e si era già creata una prima frattura nel blocco di Vienna [il gruppo delle potenze che,
dopo aver sconfitto Napoleone, aveva deciso al Congresso di Vienna, nel 1815, il nuovo asF.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO
IPERTESTO A
setto territoriale dell’Europa, n.d.r.]. La posta economica in palio, l’agitarsi russo e l’intervento
del concerto [le potenze del blocco di Vienna, n.d.r.] nella crisi spagnola del 1820-22 alimentarono però il timore genuino di un intervento europeo anche nell’emisfero occidentale.
[…]
Il messaggio – che negli anni sarebbe divenuto noto come Dottrina Monroe – affermava
[che] Washington s’impegnava a non interferire nelle questioni europee, ma sottolineava altresì di considerare «qualsiasi tentativo» da parte dell’Europa di «estendere il suo sistema
su una parte di questo emisfero» come «pericoloso per la pace e la sicurezza» degli Stati
Uniti. […] Vi era una certa ingenua arroganza nel messaggio di Monroe e Adams. Gli Stati
Uniti – un paese ancora debole, la cui Marina militare era, per dimensioni e capacità di fuoco,
più o meno equivalente a quella del Cile – intimavano al resto del mondo di restare fuori dall’emisfero occidentale. In cambio, offrivano magnanimamente di evitare un intervento nelle
questioni europee che era assolutamente al di là della loro portata. La reazione europea fu
un misto di sorpresa, indignazione e sufficienza: «Gli Stati Uniti – affermò il cancelliere Klemens von Metternich – tornavano a sorprendere l’Europa con un nuovo atto di rivolta», «audace e non provocato» come lo erano stati altri del passato.
M. DEL PERO, Libertà e impero. Gli Stati Uniti e il mondo. 1776-2006,
Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 107-112
Come furono salutate, da gran parte dell’opinione pubblica statunitense, le ribellioni e le vittorie
delle repubbliche sudamericane, contro il dominio spagnolo?
Quali pregiudizi di tipo razzista nutriva una parte importante del mondo politico statunitense,
nei confronti degli spagnoli? Com’era valutato il contributo culturale della Chiesa cattolica?
Per quali motivi il messaggio del presidente Monroe poteva essere letto come un gesto
di ingenua arroganza?
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
Dipinto del XIX secolo
che celebra
l’indipendenza del
Messico, avvenuta
il 27 settembre 1821.
L’indipendenza dell’America Latina
9