GUITART intervista

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Guitart 70 / pagina 10
Cd Allegato
NOVE
CENTO
A TU PER TU CON ALESSIO NEBIOLO
di Lorenzo Turchi-Floris
Il testo che segue è una conversazione che nasce da una serie
di dialoghi notturni ispirati da una profonda amicizia che mi
lega ad Alessio Nebiolo. Ricordo che ci incontrammo per la prima volta nel 2008 in un’operazione che sembrava impossibile:
Alessio sostituiva un collega sei ore prima del concerto come
solista con l’orchestra da me diretta. L’impresa fu alquanto ardua e da subito fui impressionato dall’enorme talento musicale
e dalla semplicità disarmante con cui Alessio affrontava la situazione. Subito a mio agio, il concerto fu un vero successo.
Era l’inizio di un percorso umano e artistico che ancora ci lega
in mille progetti.
Alessio, ho ascoltato il tuo nuovo disco “novecento”: Rodrigo, Britten, Ginastera, Bogdanovic. Compositori che firmano il secolo passato nel mondo della chitarra e non solo.
Un disco che incolla all’ascolto dell’espressione musicale
del secolo a noi più vicino. Che cos’è “novecento” e che
cos’è il ‘900?
Che domanda… quanto tempo abbiamo?
Meno di un secolo…
Mi sento smarrito solo pensando a come rispondere. L’idea di
“novecento” è un germoglio che nasce già da quando – ragazzo
- ascoltavo musica con il mio amico Matteo Riparbelli a Torino.
In quegli anni di conservatorio conoscevamo il repertorio della
chitarra e filosofeggiavamo sulla musica di Turina, Villa-Lobos,
Tansman, Britten e Rodrigo immaginando di poterci esprimere
attraverso i loro grandi capolavori. Da giovane studente questi brani appaiono come monumenti della storia, una sorta
di montagna invalicabile che incute timore, rispetto e tanto
fascino.
Mi piace quest’immagine del bambino che guarda verso la
montagna che dovrà scalare…
E poi certo… Il repertorio del novecento è la rinascita della
chitarra ed è il momento in cui il nostro strumento entra per
la prima volta nelle grandi sale da concerto. Fenomeno questo
assolutamente stupefacente se pensiamo che è avvenuto in pochi anni e con tutte le conseguenze che ha portato, in particolare la creazione del repertorio della chitarra moderna e il fatto
che per la prima volta grandi compositori non chitarristi si
cimentano nell’ardua impresa della composizione per chitarra.
Qualcosa di simile avviene cento anni prima nella storia
del pianoforte. Presente nelle grandi sale da concerto, lo
strumento viene modificato e adattato alle esigenze timbriche e acustiche di spazi sempre più grandi. I compositori, penso in primis a Liszt, si adattano all’evolversi del
contesto creando partiture che oserei definire al servizio
dello stesso.
Sicuramente il ‘900 è stato un’epoca di grandissime rivoluzioni. La nascita di un interesse diffuso per la chitarra si deve
anche alle sue caratteristiche idiomatiche. Lo strumento ha
un’enorme potenzialità espressiva attraverso la duttilità timbrica. Pensa che quello che da sempre mi affascina è l’idea di
creare il suono con un contatto diretto fra il dito e la corda che
vibra senza alcuna mediazione meccanica o di arco.
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E’ bello pensare che
esiste una continuità
tra il pensiero musicale
dell’interprete e la
realizzazione di un
suono con un timbro
specifico. Non a caso la
tecnica e l’impostazione
della mano destra in
particolare, rimangono
ancora oggi oggetto
di accese discussioni
che identificano scuole
chitarristiche diverse.
Questo si percepisce
molto ascoltandoti e
osservandoti suonare…
Insomma, il suono nelle
dita.
Esatto! E’ bello pensare
che esiste una continuità
tra il pensiero musicale
dell’interprete e la realizzazione di un suono con
un timbro specifico. Non
a caso la tecnica e l’impostazione della mano destra in particolare, rimangono ancora oggi oggetto
di accese discussioni che
identificano scuole chitarristiche diverse.
Sono dettagli sonori per
intime confessioni?
Anche, ma non solo…
Intendi dire che …
Intendo dire che per me l’intimità non è necessariamente legata a sonorità sussurrate. Penso piuttosto al desiderio del
compositore e dell’interprete di fare della musica un veicolo di emozioni profonde dell’animo e della psicologia umana;
le sfaccettature e i diversi aspetti dell’uomo sono più sinceri,
più veri. Penso in particolare al Nocturnal di Britten: l’ansia,
l’angoscia, l’incertezza, la paura e la speranza sono sensazioni
che il compositore evoca a pelle… Le dissonanze, i contrasti
sonori e ritmici creano nell’ascoltatore quelle stesse sensazioni
vissute dal “protagonista”…
In questo brano si ha la sensazione di essere trasportati in
quel mondo siderale, quasi freddo, dove ragione e psiche
emotiva da sempre si rincorrono… C’è una speranza?
Per me il Nocturnal è il sogno tormentato di uomo che evoca
la morte. Evoca il suicidio, ma non si suiciderà… Il testo della
canzone di John Dowland citata da Britten, Come heavy sleep,
parla di un sogno profondo, immagine della morte ma non della morte stessa. La sua ansia, il suo stato depressivo vengono
inconsapevolmente coltivati al fine di accedere alla conoscenza di quel mondo che non dà risposte razionali, verità oggettive, ma che ci avvicina più di queste alla nostra ragion d’essere.
Forse questo rispecchia anche la ricerca introspettiva tipica dell’epoca in cui Britten scrive il brano?
Certamente. Per la prima volta la scienza comincia a mostrare
come le emozioni non appartengano ad un mondo a parte che
non ha influenze dirette sul corpo umano. Tutto è correlato.
E questo complica le cose perchè spesso non abbiamo i mezzi
per capire cosa succede intorno e dentro di noi. Qui entrano in
gioco la conoscenza e la percezione.
Conoscenza e percezione…
Fino a quei tempi il “Positivismo” aveva offerto verità oggettive in quanto scientificamente inconfutabili. In questo senso
molto rassicuranti: davano fiducia nell’uomo, nelle sue scoperte e nelle sue certezze. Negli anni cinquanta il positivismo
muore confutato nei suoi fondamenti e con esso tutte le sue
certezze. Se la conoscenza è percezione, diventa soggettiva;
ciò che appare non è esattamente la realtà, ma la nostra percezione della stessa. Allora qualunque stato emotivo, anche la
follia, l’ansia e la paura possono diventare mezzi per conoscere e per trascendere. Quando dico che ho l’impressione che il
“personaggio” del Nocturnal coltivi il suo stato depressivo ed
ansioso, mi pare di capire il motivo per cui lo fa, apparentemente assurdo ma forse inconsciamente necessario.
Mi piace pensare che in qualche modo l’esecutore ripercorra quei sentieri, quei percorsi così solitari e introspettivi
che il compositore ha dovuto scavare nella propria mente
per tirar fuori le note da quei buchi spesso ciechi della
nostra psiche. Il ‘900 ci sbatte in faccia questa nuova dimensione: l’inconscio.
Bella riflessione Lorenzo. Io credo che l’esecutore si debba
comportare nei confronti del testo come un attore. Da un lato
il rispetto del testo e la comprensione più profonda possibile
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del linguaggio del compositore. Dall’altro l’esecutore, come
l’attore. Quest’ultimo assume una nuova identità, quella che,
secondo lui, corrisponde al carattere del brano che esegue.
Qui entrano in gioco gli aspetti di stile dell’epoca, per quanto
davvero se ne possa sapere, e tutti gli aspetti legati alla cultura e al contesto sociale del compositore. Per me questa è la
cosa più affascinante e più importante all’interno di un’interpretazione.
E’ ciò che la rende vera?
Guarda, ci sono interpreti dei quali non copierei neppure una
sola frase se dovessi suonare lo stesso brano. Eppure li ascolto
con estremo trasporto perché capisco che quella è la verità,
la loro verità! Naturalmente è una verità tra tante, ma non
ha importanza. In quel preciso momento questa è la realtà
e quindi ci si lascia trasportare in un mondo nel quale non
pensavamo di trovarci. Come accade a teatro o al cinema,…
Per me accade allo stesso modo.
Forse la chitarra si adatta particolarmente a questi linguaggi “inconsci”?
La chitarra certamente si esprime attraverso un linguaggio
ricco di timbri cio’ che offre la possibilità di personalizzare
ogni suono. Poi è anche una piccola orchestra in miniatura.
Questa era anche l’idea di Segovia che ha cercato di esplicarla
anche fisicamente, affidando idealmente ad ogni corda una
sezione dell’orchestra. Sicuramente questa caratteristica ha
ispirato molti compositori, direi che è un po’ l’aspetto più
importante in termini di espressività della chitarra.
Concordo pienamente con te. Quando ascolto suonare la
chitarra ho l’impressione che le si possano confessare i
segreti più intimi dell’anima. Rodrigo, Britten, Ginastera,
Bogdanovic… A chi ti senti più vicino?
Bene, diciamo che ho avuto il piacere di conoscere Dusan Bogdanovic che è un collega presso il Conservatorio di Ginevra
dove entrambi insegniamo. Abbiamo lavorato insieme sull’interpretazione della Jazz Sonata ed è stato un grande momento. L’incontro con il compositore permette sempre di andare
più a fondo sulle intenzioni che spesso si celano dietro le idee
musicali espresse attraverso le note della partitura. Alle volte
si scopre che esiste una libertà maggiore di quello che credevamo. Pensa che il IV tempo della Jazz Sonata di Dusan Bogdanovic si basa su un tema che il compositore ideò inizialmente
per un gruppo rock, riutilizzato poi come tema per la sonata.
Ah ah, pensa a volte come un aneddoto possa spiegare
con quale semplicità vengono fatte alcune scelte musicali
che poi teorici e storici della musica trasformano in vere
e proprie elucubrazioni mentali… Per Ginastera invece?
Per Ginastera è stato differente. Molto affascinante l’incontro
con la moglie, che viveva fino a pochissimi anni fa a Ginevra.
La conobbi quando fui invitato a suonare la Sonata op. 47
in occasione di una cerimonia ufficiale in onore di Alberto
Ginastera voluta dal municipio di Ginevra, che gli dedicò una
targa ad indicare il suo ultimo domicilio in città. Incontrai la
Sig.ra Ginastera in diverse successive occasioni; ebbe modo di
raccontarmi aneddoti ed esperienze di vita legate alla composizione di questo brano. Mi scrisse anche una bellissima
lettera riguardo alla mia interpretazione, che conservo con
grande cura.
Incontri importanti, incontri storici… Passare tante ore
con uno spartito, leggere note e immaginare mondi lontani che si avvicinano. Dev’essere una strana sensazione poi
incontrare l’autore in persona. Forse sfata anche la figura
del compositore stesso che diviene uomo come… “tanti
altri”… Non è cosi? Hai un aneddoto da raccontarci legato
agli incontri sopracitati?
Aneddoti ce ne sono tanti, uno in particolare mi ha colpito:
ricordo che Aurora Ginastera mi raccontò che suo marito, che
non era chitarrista, si costruì una chitarra in cartone, che usava per testare le posizioni sul manico e valutare la concreta
possibilità di realizzare le note che aveva scritto servandosi
del pianoforte.
Mi hanno sempre affascinato gli aneddoti. E’ come se in
qualche modo avvicinassero la storia, i personaggi alla
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LORENZO TURCHI-FLORIS
Pianista, compositore e direttore d’orchestra.
Fondatore dell’Orchestre Symphonique
du Mont-Blanc e dell’Organizzazione
Internazionale Musicfor. Ha interpretato un
vasto repertorio dal barocco al ‘900. Le sue
composizioni vengono regolarmente eseguite
in Europa e America. Suona con importanti
istituzioni musicali, tiene numerose conferenze
e per ben due volte, nel 2010 e nel 2012, i
suoi meriti artistici vengono riconosciuti dal
Congresso degli Stati Uniti d’America.
nostra dimensione, alla nostra quotidianità…
Sicuramente è molto affascinante conoscere le storie e gli
aneddoti legati alla composizione del brano che si suona e
alla vita del compositore. Per questo amo confrontarmi con
la musica contemporanea soprattutto quando posso lavorare
con il compositore e magari dare il mio contributo per avvicinarlo alla composizione per chitarra. Molti compositori amano
la chitarra ma hanno paura di scrivere perché non conoscono abbastanza bene lo strumento e sono restii a cimentarsi
nell’impresa. Da sempre i chitarristi sono vicini ai compositori
aiutandoli personalmente in tutte le fasi dell’elaborazione del
brano. Dopo Tempo di Concerto e Tarantango, che hai scritto
negli ultimi due anni, riscontrando per altro un grande successo, approfitto dell’occasione per rinnovarti il mio invito a comporre un concerto per chitarra e orchestra. Quanto ne abbiamo
parlato! Così almeno l’invito è ufficiale, potrò sempre mostrarti
la copia del giornale!
Queste tue richieste mi lusingano sempre molto. Non sono
ancora pronto per cimentarmi nella scrittura per chitarra
che, come del resto tu sottolineavi poc’anzi, resta davvero
difficile per un non chitarrista. Forse dovrei chiedere alla
Sig.ra Ginastera la chitarra di cartone…
Alessio, gli interpreti del passato interpretavano la loro
epoca, il concerto era un momento per conoscere musica
e scambiare convivialità sociale… Oggi i tempi sono cambiati. Mai come oggi si può ascoltare tanta musica… In
macchina, al bar, al ristorante, in televisione, ovunque!
Siamo quasi aggrediti dalla musica…. Eppure ho l’impressione che mai come oggi non si ascolta musica. Chi sono
gli interpreti di oggi? Qual è il loro ruolo?
Guarda, io continuo a credere che ci debba essere una relazione tra l’interprete ed il suo pubblico. Voglio dire che non mi
piacciono molto quei musicisti che vogliono porsi al di sopra di
tutti gli altri e auto investirsi della missione di educare il mondo, come se loro fossero depositari di una sorta di conoscenza
superiore. Non vuol dire che si deve suonare musica commerciale adatta per la sala da concerto come per il supermarket.
Bisogna essere sinceri nel proporre musica che ci tocca e nella
quale crediamo perché dobbiamo interpretarla come l’attore fa
con il suo personaggio, ma anche avere voglia di comunicare. E
comunicare significa parlare alle persone con l’intento di farci
capire!
Si ma l’attore si confronta con un personaggio. Si confronta quindi con qualcosa di reale, anche se immaginario. Noi
musicisti con cosa ci confrontiamo? La musica non è un
personaggio. La musica è solo il carattere del personaggio
quando ci dice bene…
E’ vero, ma secondo me le due situazioni non sono poi cosi
diverse. Dietro il personaggio reale che l’attore impersona, si
cela il suo carattere. E’ proprio qui che l’attore, se è bravo, riesce, anche in poche battute, a farlo emergere. Poi certamente
esistono personaggi un po’ stereotipati e musiche altrettanto
banali. E questo non c’entra con il genere, lo stile e nemmeno
con tutti i risvolti commerciali. Siamo anche in un’epoca in cui
le categorie stilistiche cui siamo abituati si stanno deformando
e fondendo. Il jazz si fonde con la classica, la musica popolare
e il rock. La chitarra è particolarmente coinvolta in questo terreno di scambi, è un po’ come il melting pot in questo senso.
Io sono felice di tutto questo e vedo in questa commistione
ancora un po’ confusa - pensa anche alle strutture depositarie
dell’insegnamento musicale - una grandissima potenzialità di
evoluzione della musica. In fondo il rock è il linguaggio del
Novecento; anche chi non possiede un solo disco di rock nel
proprio catalogo, non può essere immune dalla sua influenza.
Tutto molto vero! Condivido. Per concludere, il tuo disco
attraversa tutte quelle sonorità, quei ritmi e quelle attese
che narrano di un’epoca che più di altre si racconta con
immagini. Qual è l’immagine del ‘900 che porterai nella
tua memoria?
Le immagini del ‘900 sono davvero tante. Talmente tante che
ho avuto enorme difficoltà a trovarne una adatta alla copertina del disco. Ne ho sfogliate non so quante, poi come per
incanto ne è apparsa una che per caso si è insinuata nella mia
ricerca. Può apparire strano scegliere un divano come copertina di un disco di chitarra. Mi è parso di capire che in molti
si siano chiesti se fosse uno scherzo. Eppure c’era qualcosa
che mi attirava in modo particolare, non so nemmeno bene
che cosa. Forse nel design di quest’oggetto si celano elementi
che mi fanno pensare al novecento, in particolare alla seconda
metà che riguarda le opere registrate. I tratti di un’epoca che
ha già smussato gli angoli, ha già alleggerito gli ornamenti e
i fronzoli; la Belle Époque è ormai lontana! Rimane la forma
nella sua purezza naturale. Quale miglior punto di partenza
per ascoltare?
La musica è una forma d’arte che non è interattiva. Di fronte
ad un quadro, puoi decidere di soffermarti più o meno a lungo;
lo spettatore resta sempre libero di gestire il proprio tempo in
relazione all’opera d’arte. Invece la musica ha il suo proprio
tempo, gestito dal compositore una volta per tutte e per tutti
gli spettatori. Quindi necessita di ascolto, nel senso che ci si
deve porre nella predisposizione mentale e fisica e lasciarsi
guidare dall’interprete lungo la via di un cammino tracciato
dal compositore.
Dai, in fondo che c’è di meglio di un divano per sentirsi a proprio agio e ascoltare un po’ di musica?
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