Untitled - Gruppo Carige

annuncio pubblicitario
Arte e Cultura
Colombo
e i mercanti genovesi alle Canarie
di Sandro Pellegrini
Per organizzare qualsiasi grande impresa servono
mezzi economici, amicizie poderose, uomini devoti al seguito.
Senza questi supporti si va poco lontano.
Cristoforo Colombo riuscì a mettere insieme tutti gli elementi
che gli risultarono necessari per poter organizzare non solo
il primo, ma tutti e quattro i suoi viaggi di scoperta nei mari americani. Poté contare sull’amicizia dei Re Cattolici, su
parte delle loro risorse economiche, su marinai della costa
andalusa, sull’apporto di capitali forniti da alcuni genovesi
che si erano affermati come personaggi poderosi fuori dalla loro città di origine.
I collegamenti di Colombo con l’ambiente socio-economico
genovese presente negli scali portuali da lui frequentati, sia
sulle coste del Portogallo che su quelle della Spagna, sono
stati posti in rilievo da tutti gli studiosi che hanno sfiorato o
approfondito l’argomento.
Cristoforo Colombo, secondo la teoria corrente, era figlio di un
tessitore e cardatore di lana, affiancato alla famiglia dei Fregoso, fra le più potenti dell’epoca. Già nel corso del suo primo viaggio importante effettuato tra il 1474-75 verso l’isola di
Chio, al largo delle coste della Turchia, il giovane figlio di Genova trovò posto su navi della famiglia Spinola destinate al commercio del mastice isolano. Altri viaggi lo portarono con ogni
probabilità in Sicilia, uno dei granai d’Europa, a Tunisi, in Sardegna, in Corsica, sulle coste africane, su quelle della vicina
Provenza e della Spagna aragonese, delle Baleari, sempre imbarcato su navi delle grandi famiglie genovesi che gestivano
i traffici per quei porti. Le condizioni di quasi sempre perenne guerra civile in cui viveva la città natale, dove, nel decennio del 1470 si combatteva addirittura nelle strade cittadine,
spinsero Cristoforo Colombo verso le rotte atlantiche.
Nell’estate del 1476 si imbarcò su una delle cinque navi del
convoglio genovese che aveva preso le mosse dalla rada di
Noli, dove figuravano come armatori e comandanti alcuni deA fronte Siviglia in una antica stampa.
Umberto Piombino: Colombo davanti ai reali di Spagna. (Terracotta).
gli Spinola, dei Di Negro, dei Salvago. Quelle navi dovevano
puntare verso i porti delle Chiuse, sulla costa del Belgio e passare successivamente in Inghilterra. Il convoglio venne attaccato
da una formazione pirata appena lasciato lo stretto di Gibilterra. Alcune navi finirono in fiamme e Colombo, con l’aiuto
provvidenziale di un remo, al quale era riuscito ad aggrapparsi, riuscì a mettere piede tra le scogliere della costa portoghese e a raggiungere la capitale Lisbona.
Matteo Doria e Paolo Di Negro arrivarono in quella stessa città nel dicembre di quell’anno con lo scopo di riunire le due
navi che si erano salvate dall’incursione piratesca con altre
che avevano preso il largo da Genova per rimettere in sesto
la spedizione programmata verso i porti del Nord. Gli armatori di quelle navi avevano a Lisbona il centro dei loro interessi per i commerci atlantici che si sviluppavano fino alle
lontane isole dell’Irlanda e dell’Islanda. Sui loro scafi Colombo
affinò la propria esperienza di marinaio destinata a forgiarne il carattere e a fornirgli un enorme bagaglio di vita vissuta che ne hanno fatto un grande uomo di mare, un “genio
del mare” come lo definì Paolo Emilio Taviani.
Della sua vita nella capitale portoghese si sa poco: è noto
come lì abbia sposato Felipa Moniz Perestrello, figlia di Bartolomeo, capitano donatario dell’isolotto di Porto Santo, al largo di Madera, di origini italiane la cui famiglia aveva dato numerosi ammiragli alla flotta portoghese; Bartolomeo Perestrello
era stato da giovane un grande uomo di mare.
Colombo con la moglie si trasferì nell’isolotto atlantico, chiamata da Taviani “la patria del gran concepimento” dell’idea
di raggiungere l’India navigando verso Occidente e lì nacque
probabilmente suo figlio Diego. Dalla vicina Madera Colombo fece nel 1479 un viaggio sfortunato verso Genova, come
agente dei Di Negro, presenti in quell’isola dove avevano avviato l’industria dello zucchero, con un carico di materia dolce che non venne pagato. La questione finì davanti ai tribu-
21
nali genovesi e di essa si conserva una traccia importante negli archivi di Genova.
Da provetto marinaio Cristoforo Colombo continuò a navigare nell’Atlantico portoghese: dagli arcipelaghi atlantici fino al
Golfo di Guinea. Rientrato a Lisbona, dove si era fatto raggiungere dal fratello Bartolomeo, Cristoforo tentò di convincere re Giovanni II del Portogallo della validità di un suo primo progetto di navigare verso Occidente. Non venne ascoltato perché i Portoghesi preferivano continuare a frequentare una rotta africana che avrebbe aperto le rotte dell’Oceano
Indiano al Sud del Capo di Buona Speranza.
In seguito al gran rifiuto Colombo, rimasto nel frattempo vedovo, si trasferì con il giovanissimo figlio in Spagna; perfezionò
il suo progetto sulla scorta di altre letture e di altri studi e cercò alleati per poter giungere a presentare ai Re Cattolici, occupati nell’ultima fase del completamento della loro opera di
reconquista del regno di Granada, un progetto compiuto.
Colombo si era momentaneamente allontanato dal mare per
perseguire, giorno dopo giorno, sfidando religiosi sapienti, professori universitari, gente di buon senso, un disegno che intendeva convincere la regina Isabella e re Ferdinando della
bontà della sua tesi. Gli erano vicini e lo sostenevano vari religiosi e alcuni personaggi che avevano peso a corte, fra i quali primeggiava l’amministratore della Casa Reale Luis Santangel,
la cui famiglia era in affari con genovesi, milanesi, aragonesi per questioni di imposte e di dogane nei porti catalani. Tra
i genovesi della sua cerchia figuravano Jacopo Di Negro, Luigi Doria, un Rivarolo, Francesco Doria, un Castagnola, Gaspare Spinola e soprattutto Francesco Pinelli, o Pinelo, alla
spagnola. C’era anche il fiorentino Gianotto Berardi.
All’indomani della presa di Granada i Re Cattolici fecero chiamare in fretta il noioso genovese che stava per abbandonare la penisola iberica e stipularono con lui le Capitolazioni di
Santa Fé, in cui vennero esplicitati i premi e le ricompense
che sarebbero spettati a Cristoforo Colombo nel caso in cui
la sua impresa avesse avuto un esito positivo. Naturalmente
si stese anche un primo budget di spesa.
I GENOVESI NELLA SPAGNA MARITTIMA
I Genovesi di Spagna tornarono prepotentemente alla ribalta
al momento di organizzare il primo viaggio, quello della scoperta. Si trattava di centinaia di persone, parenti stretti delle
grandi famiglie genovesi di cui portavano il nome, che si erano installate sulla costa atlantica dell’Andalusia, all’indomani
della conquista castigliana di Siviglia a metà del XIII secolo
per reagire alla chiusura musulmana degli scali dell’Oriente
mediterraneo. I Genovesi avevano iniziato a sviluppare nuove rotte commerciali dal Mediterraneo verso la Francia, le Fiandre, l’Inghilterra passando dai porti dell’Andalusia, destinata
a diventare il secondo polo commerciale castigliano, affiancando quello di Burgos, centro del commercio delle lane. Si
era, in tal modo, avviato una sorta di “splendore mercantile”
andaluso destinato a prodigiosi sviluppi, lungo la rotta delle
Indie americane, all’indomani della scoperta di Colombo.
22
Tra le prime famiglie genovesi che si trasferirono in Andalusia troviamo nomi illustri: i successori degli Zaccaria che si
imparentarono con la famiglia dei Villavicencio, gli Spinola,
trasferitisi all’inizio del Quattrocento, i Di Negro, i Boccanegra con incarichi a Gibilterra e nelle terre dei Medina-Sidonia che si legarono con parentela ai Cibo de Sopranis, anch’essi di origine genovese, gli Adorno, radicatisi a Jerez, e
ancora i Negroni, i Maruffo, gli Adorno…
Rilevante fu la concentrazione di genti liguri nella capitale andalusa, Siviglia, nodo portuale dei traffici mercantili fra gli scali mediterranei e quelli dell’Europa settentrionale. La città era
divenuta lo scalo di redistribuzione verso le piazze commerciali mediterranee dei prodotti provenienti dall’Africa, dalla Fiandre e dall’Inghilterra, e di esportazione dei tipici prodotti locali quali grano, olio, vino, lana, pelli, cuoi e pesce conservato.
Per le strade di Granada, già prima della conquista, operavano altri Spinola, dei Vivaldi, dei Marini, altri Grimaldi, dei
Lomellini, dei Negrone, dei Pinelli, alcuni Centurione affiancati da altri Doria, Rivarola, Gentile, Giustiniani.
A questi grandi nomi si deve aggiungere un numero sconosciuto di famiglie di semplici artigiani, di piccoli commercianti,
di persone di fiducia, di gente di mare e di pescatori di cui
non conosciamo i nomi e che si muovevano nella scia dei compatrioti di gran fama. Alcuni di questi Genovesi presenti nel
Sud della Spagna svolsero un ruolo importante nel sostenere tutte le imprese di Colombo, fin dal primo viaggio.
I GENOVESI A FIANCO DI COLOMBO
Una volta decisa l’impresa, Cristoforo Colombo ritornò in Andalusia per organizzare quello che sarebbe stato il viaggio della scoperta, appoggiato e finanziato anche da propri concittadini e da mercanti fiorentini.
Luis de Santangel anticipò alla Corona 1.140.000 maravedies, probabilmente prestatigli da Francesco Pinelli, Colombo mise sul tavolo 500.000 maravedies prestatigli senza interesse dai concittadini Jacopo Di Negro, Luigi Doria, da un
certo “Capatel”, dal Rivarolo, da Francesco Doria, da un Cattaneo e da Gaspare Spinola. Altri 360.000 maravedies vennero da un’imposizione della Corona alla popolazione di Palos obbligata a mettere a disposizione due caravelle e la maggior parte degli equipaggi, coinvolgendo anche i due fratelli Pinzòn, marinai di grande valore. Sull’ammiraglia Santa Maria c’era un mozzo genovese, tale Giacomo sopranominato
“il Ricco”. Non mancavano pochi altri italiani e un negro riscattato alle isole Canarie.
Dopo pochi giorni di navigazione le tre caravelle giunsero alle Canarie, la cui conquista gli Spagnoli stavano completando proprio in quegli anni. Qui fecero una lunga sosta per cambiare il timone e la velatura a una delle imbarcazioni. Colombo
prese senz’altro contatto con le autorità locali e con la colonia genovese che aveva finanziato la “conquista” delle Canarie e promosso, subito dopo, la valorizzazione economica
dell’arcipelago. I Genovesi si installarono soprattutto nell’isola di Gran Canaria e in quella di Tenerife, nelle quali svilup-
Arte e Cultura
parono l’industria saccarifera e successivamente la coltivazione
della vite, inserendo questi prodotti nelle linee commerciali
europee, sviluppando una ricca corrente economica tra le Canarie, Cadice, Siviglia, Anversa, Genova e Livorno, gestendo
un regime di monopolio per quasi un secolo.
L’elenco dei nomi genovesi presenti nelle Canarie negli anni
colombini è molto ricco: tra quelli degli esportatori leggiamo
i nominativi di chiara origine genovese, spesso scritti con grafia spagnola, quali Argiroffo, Zoagli, Battista Buglio (cioè Bozzo), Calderone, Canino, Sassolino, Cibo, Cibo de Sopranis, Corona, Danie(le), Spelta, Spinola, Franchi, Interiano, Giustiniani,
Lercaro, Noto, Pellegro, Pinelli, Promontorio, Ratto, Soprani,
Surio, Ginocchio. Tra i consegnatari ancora Argiroffo, Ansaldo, Basilio, Bozzo, Calderoni, Calvi, Casanova, Castelletto, Castrodelfino, Casoli, Cibo, Cibo de Sopranis, Spelta, Spinola,
Franchi, Grimaldi, Giustiniani, Lercaro, Nero, Nobili, Pallavicino, Pellegro, Rosso, i quali operavano principalmente con
la città di Cadice.
Anche nelle Canarie i Genovesi furono i primi ad affiancare
gli spagnoli di Castiglia e i portoghesi nella promozione dello
sviluppo locale. Venivano apprezzati per la loro rapida integrazione nell’ambiente insulare, dove contribuirono a determinare la nascita di una borghesia mercantile.
ALTRI GENOVESI E FAMIGLIARI A FIANCO DI COLOMBO…
Scoperte alcune delle isole dei Caraibi, Colombo tornò in Ispagna nella primavera del 1493 per godersi la gloria dell’impresa.
In pochi mesi venne organizzato, ancora con l’aiuto finanSiviglia. Archivio Historico de Protocolos.
1489, confisca di mercanzie di genovesi insolventi.
Prestito richiesto ai genovesi di Siviglia.
Arte e Cultura
ziario del Pinelli, un secondo viaggio, quello della conferma
e della colonizzazione, con un convoglio di 17 navi. Su una
aveva preso posto anche il fratello dell’Ammiraglio, Ferdinando
Colombo che tanta parte ebbe nella vita coloniale. Le navi fecero uno scalo alle Canarie dove in alcune botti, tagliate a metà e riempite di terra, vennero sistemati dei germogli di canna da zucchero acquistati dai piantatori genovesi di Gran Canaria, che furono trapiantati con enorme successo nelle isole del nuovo mondo.
Nel corso del terzo viaggio (1498), una delle sei navi venne
posta al comando di Giovanni Antonio Colombo, cugino di Cristoforo, mentre suo fratello Andrea partecipò al quarto viaggio, quello del 1502, dove, sulla nave capitana era imbarcato, con il figlio minore dell’Ammiraglio Fernando di 13 anni,
un altro genovese.
Uno scafo era al comando di Bartolomeo Colombo, su un altro navigava un certo “Battista Genovese”. La più piccola nave “la Vizcaina” era al comando di Bartolomeo Fieschi che
assieme a Diego Mendez, riuscì a salvare l’Ammiraglio naufragato alla Giamaica con un mirabolante viaggio in canoa verso l’isola di Haiti. Sulla stessa nave del Fieschi avevano preso posto anche il genovese Giovanni Passano e due mozzi
genovesi. Bartolomeo Fieschi fu legato all’Ammiraglio con grande fedeltà sino agli ultimi giorni e fu presente alla sua morte.
Merita rammentare come il Grande Ammiraglio abbia ricordato nel suo testamento alcuni genovesi che gli furono vicini in Ispagna e che volle venisse conservata nella sua città
natale una copia del libro dei privilegi accordatigli da Isabella
e Ferdinando di Castiglia alla vigilia del suo viaggio di scoperta.
In tal modo risulta dimostrato come Colombo non abbia mai
dimenticato di essere genovese e come abbia goduto dell’appoggio dei concittadini sia in terra che in mare.
23
Scarica