SOVRACCOPERTA Giovanni Filoramo Settant’anni, e la Chiesa da perseguitata si trasforma in Chiesa di Stato. Settant’anni, e la croce si trasforma in simbolo di vittoria e di potere. 814111 la croce e il potere Giovanni Filoramo insegna Storia del cristianesimo presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Torino. Tra le sue pubblicazioni: Cristianesimo e società antica (con S. Roda), L’attesa della fine. Storia della gnosi, Manuale di storia delle religioni (con M. Massenzio, M. Raveri e P. Scarpi), La Chiesa e le sfide della modernità. Ha curato i quattro volumi della Storia del Cristianesimo con D. Menozzi (L’antichità; Il Medioevo; L’età moderna; L’età contemporanea) e cinque volumi dedicati alle grandi religioni (Cristianesimo; Ebraismo; Islam; Hinduismo; Buddhismo). Giovanni Filoramo la croce e il potere I cristiani da martiri a persecutori In copertina: Claudio Coello, Il trionfo di sant’Agostino, 1664 Madrid, Museo del Prado © Photoservice Electa/Album CL_LA CROCE E IL POTERE_814111_ES «I protagonisti di questa storia sono essenzialmente due: gli imperatori romani da Costantino a Teodosio, da un lato, e vescovi cristiani, da Eusebio e Atanasio ad Ambrogio e Agostino, dall’altro. In sintesi, i rappresentanti del potere politico e del potere ecclesiastico dell’epoca. Mentre gli imperatori in questione non hanno avuto successori, i continuatori del potere ecclesiastico, dopo milleseicento anni, sono ancora tra noi»: sono stati in particolare questi uomini a rendere possibili trasformazioni destinate a condizionare la storia del mondo in cui viviamo. È infatti in un breve periodo, compreso tra l’editto di Costantino nel 313 sulla libertà di culto e il 380, quando Teodosio dichiara il cristianesimo unica religione ufficiale dell’Impero romano, che i cristiani da martiri diventano persecutori e la loro croce, fino a quel momento simbolo della passione e della morte di Cristo, diviene strumento di potere e controllo. Giovanni Filoramo racconta questa straordinaria storia, fatta di conflitti sempre più violenti tra i seguaci dei culti pagani e i cristiani, di divisioni interne tra i vari gruppi cristiani in Oriente, in Europa e in Africa, di relazioni sempre più strette tra capi religiosi e capi del potere politico. Fino a quando la Chiesa cattolica, sconfitti nemici interni ed esterni attraverso una serie di persecuzioni, si affermerà come l’unico potere religioso dell’Impero. SOVRACCOPERTA Giovanni Filoramo Settant’anni, e la Chiesa da perseguitata si trasforma in Chiesa di Stato. Settant’anni, e la croce si trasforma in simbolo di vittoria e di potere. 814111 la croce e il potere Giovanni Filoramo insegna Storia del cristianesimo presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Torino. Tra le sue pubblicazioni: Cristianesimo e società antica (con S. Roda), L’attesa della fine. Storia della gnosi, Manuale di storia delle religioni (con M. Massenzio, M. Raveri e P. Scarpi), La Chiesa e le sfide della modernità. Ha curato i quattro volumi della Storia del Cristianesimo con D. Menozzi (L’antichità; Il Medioevo; L’età moderna; L’età contemporanea) e cinque volumi dedicati alle grandi religioni (Cristianesimo; Ebraismo; Islam; Hinduismo; Buddhismo). Giovanni Filoramo la croce e il potere I cristiani da martiri a persecutori In copertina: Claudio Coello, Il trionfo di sant’Agostino, 1664 Madrid, Museo del Prado © Photoservice Electa/Album CL_LA CROCE E IL POTERE_814111_ES «I protagonisti di questa storia sono essenzialmente due: gli imperatori romani da Costantino a Teodosio, da un lato, e vescovi cristiani, da Eusebio e Atanasio ad Ambrogio e Agostino, dall’altro. In sintesi, i rappresentanti del potere politico e del potere ecclesiastico dell’epoca. Mentre gli imperatori in questione non hanno avuto successori, i continuatori del potere ecclesiastico, dopo milleseicento anni, sono ancora tra noi»: sono stati in particolare questi uomini a rendere possibili trasformazioni destinate a condizionare la storia del mondo in cui viviamo. È infatti in un breve periodo, compreso tra l’editto di Costantino nel 313 sulla libertà di culto e il 380, quando Teodosio dichiara il cristianesimo unica religione ufficiale dell’Impero romano, che i cristiani da martiri diventano persecutori e la loro croce, fino a quel momento simbolo della passione e della morte di Cristo, diviene strumento di potere e controllo. Giovanni Filoramo racconta questa straordinaria storia, fatta di conflitti sempre più violenti tra i seguaci dei culti pagani e i cristiani, di divisioni interne tra i vari gruppi cristiani in Oriente, in Europa e in Africa, di relazioni sempre più strette tra capi religiosi e capi del potere politico. Fino a quando la Chiesa cattolica, sconfitti nemici interni ed esterni attraverso una serie di persecuzioni, si affermerà come l’unico potere religioso dell’Impero. SOVRACCOPERTA Giovanni Filoramo Settant’anni, e la Chiesa da perseguitata si trasforma in Chiesa di Stato. Settant’anni, e la croce si trasforma in simbolo di vittoria e di potere. 814111 la croce e il potere Giovanni Filoramo insegna Storia del cristianesimo presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Torino. Tra le sue pubblicazioni: Cristianesimo e società antica (con S. Roda), L’attesa della fine. Storia della gnosi, Manuale di storia delle religioni (con M. Massenzio, M. Raveri e P. Scarpi), La Chiesa e le sfide della modernità. Ha curato i quattro volumi della Storia del Cristianesimo con D. Menozzi (L’antichità; Il Medioevo; L’età moderna; L’età contemporanea) e cinque volumi dedicati alle grandi religioni (Cristianesimo; Ebraismo; Islam; Hinduismo; Buddhismo). Giovanni Filoramo la croce e il potere I cristiani da martiri a persecutori In copertina: Claudio Coello, Il trionfo di sant’Agostino, 1664 Madrid, Museo del Prado © Photoservice Electa/Album CL_LA CROCE E IL POTERE_814111_ES «I protagonisti di questa storia sono essenzialmente due: gli imperatori romani da Costantino a Teodosio, da un lato, e vescovi cristiani, da Eusebio e Atanasio ad Ambrogio e Agostino, dall’altro. In sintesi, i rappresentanti del potere politico e del potere ecclesiastico dell’epoca. Mentre gli imperatori in questione non hanno avuto successori, i continuatori del potere ecclesiastico, dopo milleseicento anni, sono ancora tra noi»: sono stati in particolare questi uomini a rendere possibili trasformazioni destinate a condizionare la storia del mondo in cui viviamo. È infatti in un breve periodo, compreso tra l’editto di Costantino nel 313 sulla libertà di culto e il 380, quando Teodosio dichiara il cristianesimo unica religione ufficiale dell’Impero romano, che i cristiani da martiri diventano persecutori e la loro croce, fino a quel momento simbolo della passione e della morte di Cristo, diviene strumento di potere e controllo. Giovanni Filoramo racconta questa straordinaria storia, fatta di conflitti sempre più violenti tra i seguaci dei culti pagani e i cristiani, di divisioni interne tra i vari gruppi cristiani in Oriente, in Europa e in Africa, di relazioni sempre più strette tra capi religiosi e capi del potere politico. Fino a quando la Chiesa cattolica, sconfitti nemici interni ed esterni attraverso una serie di persecuzioni, si affermerà come l’unico potere religioso dell’Impero. SOVRACCOPERTA Giovanni Filoramo Settant’anni, e la Chiesa da perseguitata si trasforma in Chiesa di Stato. Settant’anni, e la croce si trasforma in simbolo di vittoria e di potere. 814111 la croce e il potere Giovanni Filoramo insegna Storia del cristianesimo presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Torino. Tra le sue pubblicazioni: Cristianesimo e società antica (con S. Roda), L’attesa della fine. Storia della gnosi, Manuale di storia delle religioni (con M. Massenzio, M. Raveri e P. Scarpi), La Chiesa e le sfide della modernità. Ha curato i quattro volumi della Storia del Cristianesimo con D. Menozzi (L’antichità; Il Medioevo; L’età moderna; L’età contemporanea) e cinque volumi dedicati alle grandi religioni (Cristianesimo; Ebraismo; Islam; Hinduismo; Buddhismo). Giovanni Filoramo la croce e il potere I cristiani da martiri a persecutori In copertina: Claudio Coello, Il trionfo di sant’Agostino, 1664 Madrid, Museo del Prado © Photoservice Electa/Album CL_LA CROCE E IL POTERE_814111_ES «I protagonisti di questa storia sono essenzialmente due: gli imperatori romani da Costantino a Teodosio, da un lato, e vescovi cristiani, da Eusebio e Atanasio ad Ambrogio e Agostino, dall’altro. In sintesi, i rappresentanti del potere politico e del potere ecclesiastico dell’epoca. Mentre gli imperatori in questione non hanno avuto successori, i continuatori del potere ecclesiastico, dopo milleseicento anni, sono ancora tra noi»: sono stati in particolare questi uomini a rendere possibili trasformazioni destinate a condizionare la storia del mondo in cui viviamo. È infatti in un breve periodo, compreso tra l’editto di Costantino nel 313 sulla libertà di culto e il 380, quando Teodosio dichiara il cristianesimo unica religione ufficiale dell’Impero romano, che i cristiani da martiri diventano persecutori e la loro croce, fino a quel momento simbolo della passione e della morte di Cristo, diviene strumento di potere e controllo. Giovanni Filoramo racconta questa straordinaria storia, fatta di conflitti sempre più violenti tra i seguaci dei culti pagani e i cristiani, di divisioni interne tra i vari gruppi cristiani in Oriente, in Europa e in Africa, di relazioni sempre più strette tra capi religiosi e capi del potere politico. Fino a quando la Chiesa cattolica, sconfitti nemici interni ed esterni attraverso una serie di persecuzioni, si affermerà come l’unico potere religioso dell’Impero. 1 La religione politica dell’Impero romano 1. Un viaggio immaginario nel passato Che cosa potevano mai pensare i due fedeli seguaci di Cristo, Pietro e Paolo, arrivando a Roma al tempo del crudele imperatore Nerone, di fronte alla straordinaria ricchezza e varietà della religione della città, che si manifestava nello splendore dei suoi innumerevoli templi e delle sue altrettanto numerose feste e cerimonie? A Roma la presenza degli dèi era visibile a ogni angolo di strada. Dai sacelli dedicati ai geni e alle divinità locali lo sguardo del viaggiatore poteva spaziare fino ai grandi templi – posti in zone elevate o particolarmente sacre della città – dedicati alle divinità maggiori, in particolare alle divinità protettrici, come Giove capitolino. La Roma del I secolo dell’era volgare era la capitale di un vasto impero, che spaziava dalla Spagna alla Persia, dai paesi nordici all’Egitto, come testimoniavano i numerosi templi dedicati alle divinità orientali come Iside o Serapide che, proprio in quel torno di tempo, dopo lotte e conflitti, erano riuscite ad impiantare il loro culto anche nella capitale dell’Impero. Grazie alle profonde trasformazioni edilizie che la città aveva conosciuto sotto Cesare e Augusto, in concomitanza con l’avvento del principato – e prima che nel 64 d.C. l’incendio provocato da Nerone la danneggiasse gravemente, distruggendo buona parte delle regioni o quartieri augustei – Roma era diventata non solo la città più grande e popolosa del Mediterraneo, la capitale di un impero potente e solido, ma anche il centro vitale e dinamico della sua vita religiosa, il «tempio del mondo intero». Come aveva osservato nella sua Geografia Strabone, che era vissuto a Roma al tempo di Augusto: 3 LA CROCE E IL POTERE.indd 17 Filoramo.indd 3 23/02/12 19:30 01/08/11 12.56 si potrebbe dire che i primi Romani hanno tenuto in poco conto la bellezza di Roma, volti ad obiettivi importanti e necessari; i successori poi, e specialmente i Romani di oggi e vicini ai nostri tempi, neppure in questo sono rimasti indietro, ma hanno riempito la città di molti bei monumenti. E infatti Pompeo, il divo Cesare, Augusto e i suoi figli, gli amici, la moglie, la sorella hanno dispensato in gran quantità ogni loro cura e ogni spesa per queste opere di abbellimento1. Tra questi edifici spiccavano templi magnifici, che si erano andati ad aggiungere o, in alcuni casi, avevano sostituito quelli più antichi dedicati agli dèi tradizionali. La religione romana, infatti, e cioè la religione dei cittadini di Roma, consentiva l’ingresso nel suo pantheon, accanto agli dèi della tradizione, agli dèi più significativi dei popoli vinti e sottomessi. Ne risultava, anche dal punto di vista architettonico, un paesaggio variegato e complesso, che comprendeva più strati. In un ipotetico viaggio a ritroso nel tempo, verso quel «centro» ideale rappresentato dalla fondazione della repubblica alla fine del VI secolo a.C., uno spettatore curioso poteva attraversare i vari livelli della vita religiosa romana repubblicana nei suoi cinque secoli di vita. I templi più antichi risalivano al V secolo a.C. ed erano testimonianza del modo in cui la prima repubblica, sostituitasi alla monarchia, aveva cercato forme nuove di legittimazione religiosa in funzione dei due nuovi protagonisti politici: l’aristocrazia e la plebe. Era il caso, ad esempio, del tempio di Cerere, Libero e Libera, dedicato alle divinità greche corrispondenti: Demetra, Dioniso e Persefone; una testimonianza dell’influsso sempre più profondo che il mondo greco, dopo quello etrusco, aveva esercitato anche dal punto di vista religioso sulla potenza crescente di Roma. Realizzato da maestranze greche, esso risaliva ai primi anni del V secolo a.C., quando la plebe aveva incominciato ad emergere come attore politico. A questo santuario, sede degli archivi della plebe, il cui culto per tradizione era stato affidato a sacerdotesse provenienti dalla Magna Grecia, erano collegati i magistrati plebei, i tribuni e gli edili, la cui attività incideva profondamente su tutta la politica di Roma. La costruzione contemporanea del vicino tempio di Mercurio, sede della corporazione dei mercanti, costituiva una conferma dei profondi legami tra l’ascesa della plebe e le attività economiche del Foro Boario, gestite in prevalenza 4 LA CROCE E IL POTERE.indd 18 Filoramo.indd 4 23/02/12 19:30 01/08/11 12.56 Filora da gruppi sociali estranei al patriziato e quindi esclusi per principio dalla piena cittadinanza. Un altro tempio antichissimo, frutto delle prime vittorie dei Romani e insieme del potere delle strutture religiose della città patrizia, era quello dedicato ai Dioscuri, Castore e Polluce. Il loro culto presso la fonte di Giuturna, nel Foro, era in rapporto con la loro apparizione miracolosa nei pressi di quella stessa fonte il giorno della battaglia del lago Regillo, quando i Romani, nel 499 a.C., avevano sconfitto i Latini. Secondo Dionigi di Alicarnasso2, uno scrittore vissuto a Roma all’epoca di Augusto e autore di un’opera sulla storia di Roma arcaica, i Dioscuri in un primo tempo erano intervenuti nella battaglia, ponendosi a capo della cavalleria e sbaragliando i nemici. Poi, quello stesso giorno, verso il crepuscolo, nel Foro sarebbero stati visti due giovani in abito militare: sembravano reduci da uno scontro e i loro cavalli erano madidi di sudore; i giovani li abbeverarono alla fonte di Giuturna, dove si lavarono essi stessi. A quanti si fecero incontro per avere notizie annunciarono la vittoria avvenuta, quindi scomparvero e nessuno li vide mai più. I Romani, compreso che si trattava dei Dioscuri, innalzarono ad essi un tempio nelle vicinanze immediate del luogo dove erano apparsi, che sarebbe stato dedicato loro nel 484 a.C. A ricordo, essi rimasero i protettori degli equites o cavalieri, come testimoniava anche il sacrificio compiuto ogni anno, alle idi di luglio, nel loro tempio in occasione della transvectio equitum: la parata di giovani cavalieri che, partendo dal tempio di Marte fuori dalla porta Capena, attraversava il Foro per giungere fino al Campidoglio. Veniva poi un tempio rettangolare, risalente nelle fasi più antiche al IV o al III secolo a.C. Esso era chiamato tradizionalmente della Fortuna Virile, di quella Fortuna degli uomini alla quale, come dichiaravano i Fasti Prenestini, «spesso fanno supplica le donne», in quanto permette agli uomini di divenire e di conservarsi come tali. Nel Foro Boario era poi possibile trovare anche il tempio antichissimo di Portuno – figlio di Mater Matuta, secondo Ovidio3 –, che dominava sui porti e sulle porte: altra testimonianza di una divinità arcaica e della tendenza della religione romana a conservarne nei secoli memoria. Ulteriore testimonianza di questa fase più antica era un tempio dedicato ad Ercole Vittorioso. Come raccontava nel V secolo d.C. nei suoi Saturnali Macrobio, attingendo ad uno scrittore più anti5 12.56 LA CROCE E IL POTERE.indd 19 Filoramo.indd 5 23/02/12 19:30 01/08/11 12.56 co, Masurio Sabino, esso era stato dedicato alla divinità dal mercante Marco Ottavio Erreno a ricordo della protezione ricevuta: Marco Ottavio Erreno, flautista nella prima giovinezza, dopo che perse fiducia nel suo mestiere, si diede al commercio e, poiché gli affari gli andarono bene, consacrò ad Ercole la decima parte dei suoi guadagni. In seguito, avendo fatto lo stesso mentre compiva un viaggio per mare, fu attaccato dai pirati; si difese con la massima energia e ne uscì vincitore. Ercole gli rivelò in sogno che si era salvato per il suo intervento. Allora Ottavio, ottenuto il terreno dai magistrati, dedicò al dio un tempio e una statua e nell’iscrizione lo chiamò Vittorioso4. Venivano poi i templi di Largo Argentina, innalzati nell’area del Campo Marzio meridionale (e di non sicura attribuzione, per cui gli specialisti fanno ricorso a lettere dell’alfabeto). Il primo edificio eretto (corrispondente a quello denominato C) risaliva ad un periodo compreso tra la fine del IV secolo e gli inizi del III ed era dedicato con buona probabilità a Feronia, la dea proveniente dal territorio sabino dopo la conquista del 290 a.C. Il tempio A era stato invece eretto dopo la sconfitta cartaginese del 241 a.C. e dedicato da Lutazio Catulo verosimilmente a Giuturna, mentre il terzo tempio, quello denominato D, era stato dedicato nel 179 da Antonio Lepido ai Lari Permarini, ovvero i Cabiri di Samotracia che vegliavano sulla navigazione. Nel 106 a.C. M. Minucio Rufo aveva unificato l’area dei tre templi tramite una porticus, nota alle fonti come Porticus Minucia Vetus. Nel 101 a.C., infine, C.Q. Lutazio Catulo aveva fatto erigere il tempio B, connesso alle distribuzioni di frumento e dedicato alla Fortuna huiusce diei («del giorno presente», cioè quello delle frumentationes), un edificio rotondo dalle spiccate forme ellenistiche. Insieme al vicino tempio delle Ninfe, sede delle liste approntate presso l’Ara Martis dai censori con gli aventi diritto alle distribuzioni frumentarie, la Porticus Minucia Vetus funzionava come una grande cassa di risonanza dell’imperialismo romano: le divinità delle acque, «evocate» dai campi nemici, proteggevano i mari controllati dalle navi romane, mentre i templi eretti con le spoglie dei trionfi facevano da scenario alle imponenti frumentationes o donazioni di frumento, rese possibili dall’Impero di Roma, a favore di una plebe parassitaria ormai divenuta la grande massa di manovra delle fazioni politiche. 6 LA CROCE E IL POTERE.indd 20 Filoramo.indd 6 23/02/12 19:30 01/08/11 12.56 Filora Questo viaggio a ritroso poteva concludersi di fronte al tempio di Apollo sul Palatino dedicato da Augusto nel 12 a.C. alla divinità che lo aveva protetto nel suo scontro decisivo contro Antonio e Cleopatra e che doveva celebrare la nuova era di pace, ma che in realtà celebrava l’avvento della restaurazione augustea. Questa complessa stratigrafia religiosa ruotava intorno ad alcuni precisi luoghi, che segnavano i confini della geografia sacra della Roma augustea. Il principale tra questi era certamente il colle del Campidoglio, la roccaforte interna e il centro del culto di Roma. Il grande tempio che lo dominava, costruito per la prima volta nel VI secolo a.C., era dedicato a Giove Ottimo Massimo, che lo divideva con le sue ospiti, Giunone e Minerva, formando così la triade capitolina. Si trattava di un tempio magnifico e grandioso, che rimase anche in periodo imperiale il più grande e maestoso dei templi, il centro della vita politica e religiosa romana, dove i nuovi consoli pronunciavano il loro giuramento in occasione dell’assunzione della carica annuale, che poteva servire in occasioni determinate come luogo di raduno del senato, ma famoso soprattutto perché costituiva il punto di arrivo delle processioni trionfali e del sacrificio che le concludeva. Lì accanto c’era una costruzione ancora più antica, dedicata a Giove Feretrio: il significato di questo culto è incerto, ma il tempio conteneva una pietra focaia sacra che si usava per stringere i trattati. Esattamente sotto, nel Foro, era poi possibile ammirare il tempio di Saturno, forse dedicato nel 497 a.C. e restaurato da L. Munazio Planco nel 47 a.C., che ospitava il Tesoro dello Stato. Ma il Foro era pieno di monumenti sacri. La pietra nera vulcanica, chiamata Lapis Niger, su cui è iscritta la più antica epigrafe latina5, era circondata da divieti sacri; forse consacrata agli dèi dell’oltretomba, intorno ad essa si dovevano compiere dei giri scaramantici. Veniva poi la Regia, il quartiere generale del pontifex maximus, la massima autorità sacerdotale. Essa conteneva gli scudi e le lance sacre di Marte, e un altare su cui veniva spruzzato il sangue di un cavallo sacrificato sul Campo Marzio. Il tempio di Vesta, infine, rotondo come un focolare e ogni volta ricostruito sul progetto originario, il Bosco sacro e le case delle Vestali, le sacerdotesse vergini consacrate per trent’anni al suo culto, formavano un complesso molto antico e di grande valore sacro. Lungo il Foro si stendeva il colle Palatino, un’altra zona ricca di 7 12.56 LA CROCE E IL POTERE.indd 21 Filoramo.indd 7 23/02/12 19:30 01/08/11 12.56 luoghi sacri. Qui si trovava l’altare-grotta dei Lupercali, associato alla leggenda della lupa che allattò Romolo e Remo, e al rito di purificazione dei Lupercali. Qui stava la capanna di Romolo, conservata come altare; qui c’era un albero di fico sacro; qui fu anche fondato il tempio della Grande Madre proveniente dalla Frigia, quando il culto di questa potente divinità straniera nel 204 a.C. venne introdotto dai Romani, alla ricerca di un importante alleato religioso per sconfiggere il generale dei Cartaginesi, Annibale. Già agli occhi di un contemporaneo come Strabone, però, il luogo che più colpiva per le trasformazioni architettoniche che aveva conosciuto in tempi recenti era il Campo Marzio, che univa alla bellezza naturale quella dei monumenti, in particolare i templi, che i nuovi dinasti di Roma vi avevano fatto costruire: E infatti l’ampiezza del piano è ammirevole e offre contemporaneamente, senza alcun impedimento, spazio per effettuare le corse dei carri e una serie di altre manifestazioni ippiche e insieme anche spazio per il gran numero di quanti si esercitano con la palla, al cerchio e alla lotta. Inoltre le opere d’arte che stanno lì intorno, la terra che è coperta tutto l’anno d’erba, le corone di colli circostanti, che da sopra il fiume giungono fino alle sue rive presentando alla vista l’aspetto di una scenografia, rendono difficile distogliere lo sguardo altrove. Vicino a questo campo c’è poi un altro campo [sc. la parte del Campo Marzio detta Prata Flaminia o Flaminius Campus] con portici che lo circondano tutt’intorno e ci sono inoltre boschi sacri, tre teatri [di Pompeo, di Balbo e di Marcello], un anfiteatro [il Circus Flaminius] e templi ricchi e contigui tra loro, così che sembrerebbe che il resto della città abbia un ruolo accessorio6. 2. La rivoluzione di Augusto Augusto si vantava orgogliosamente di aver trovato Roma di mattoni e di averla lasciata di marmo. Non aveva tutti i torti. La Roma che egli lasciò alla sua morte, nel 14 d.C., al suo successore Tiberio era profondamente diversa da quella che egli aveva ricevuto dal padre adottivo, Cesare, soprattutto dal punto di vista dell’edilizia religiosa, a testimonianza della profonda svolta intervenuta nonostante i ripetuti proclami di voler restaurare la religione tradizionale. Già sotto Cesare l’ampliamento del Foro si era accompagnato con l’inserzione della divinità dinastica dei Giulii, Venere Genitrice, il cui tempio fu costruito a nord del Foro, tra questo e 8 LA CROCE E IL POTERE.indd 22 Filoramo.indd 8 23/02/12 19:30 01/08/11 12.56 Filora il Campo Marzio, in seguito a un voto fatto da Cesare a Farsalo, dove il 9 agosto del 48 a.C. si era svolta la battaglia decisiva contro Pompeo. Secondo lo storico Svetonio, fu proprio ricevendo il senato seduto sopra il podio del tempio, in posa ieratica, e rifiutandosi di alzarsi in segno di rispetto, secondo l’uso tradizionale, che Cesare «eccitò nei suoi confronti un odio profondo e mortale»7, che doveva poco dopo provocarne la morte. Fu però Ottaviano, dopo la battaglia di Azio del 31 a.C., la sconfitta di Antonio e Cleopatra e la conquista dell’Egitto, a dar vita a un programma edilizio che doveva tradurre nella forma urbana e nella sua particolare «economia delle immagini» il nuovo assetto sociopolitico. La svolta imperiale portò, infatti, non solo a un chiarimento dei rapporti di forza in sede politica, ma alla creazione di un ordine sociale stabile, gerarchicamente organizzato. Le lotte tra i «grandi» per la conquista del potere erano finite: il ceto dirigente appariva ora compatto al servizio dell’imperatore, impegnato a distribuirsi le cariche dell’amministrazione. La vecchia classe dominante – quella che dettava legge in materia di gusto – non avvertiva più l’esigenza di coltivare la propria immagine pubblica con sontuosi edifici di rappresentanza: l’epoca della concorrenza sfrenata, ed economicamente rovinosa, era giunta al termine. Ognuno prendeva posto al proprio livello della gerarchia, adeguandosi senza problemi alle relative consuetudini. I nuovi percorsi urbani, opportunamente ristrutturati, erano disegnati in modo da far partecipare i visitatori e gli stessi cittadini alla scala dei valori socialmente approvati e opportunamente graduati. L’interno della città era marcato dai segni del sacro: si passava dagli altari compitali, collocati agli angoli delle vie (compita), fino ai grandi templi delle divinità protettrici della città, in una sorta di ascesa graduale ma continua dei valori sacrali via via proposti dal percorso. Su questa nuova forma urbana si stendeva onnipresente la lunga ombra del princeps e della domus divina, una tela di ragno costruita dalla paziente opera del fondatore dell’Impero, che ne celebrava l’invisibile onnipotenza. Dapprima, quest’operazione, che era nel contempo urbanistica, sociale, politica e religiosa, si tradusse nella costruzione di edifici come il Mausoleo (chiaramente ispirato al sepolcro del grande Alessandro) e il Pantheon, derivati dai santuari del culto dinastico che Ottaviano, ormai diventato Augusto8 nel 27 a.C., aveva cono9 12.56 LA CROCE E IL POTERE.indd 23 Filoramo.indd 9 23/02/12 19:30 01/08/11 12.56 sciuto nei suoi viaggi in Oriente. Il fatto stesso che il testo delle Res Gestae, le sue ultime volontà espresse nel rotolo contenente le sue imprese e da lui affidato alle Vestali assieme al testamento, alle disposizioni per il suo funerale e ad un bilancio dello Stato redatto un anno prima di morire, fosse fatto incidere su tavole di bronzo da porre davanti al Mausoleo rivela la forte carica ideologica di questa costruzione, in cui, prima di Augusto, erano stati già sepolti tutti coloro che in qualche modo erano connessi alla nuova dinastia. In parallelo venne costruito, a nord-est di quello cesariano, il Foro di Augusto, inaugurato il 1° agosto del 2 a.C. La piazza augustea aveva la forma di un grande rettangolo, con ampi portici sui lati lunghi, secondo lo schema già inaugurato da Cesare e ricollegabile probabilmente ai recinti monumentali di tradizione ellenistica. Sul lato breve nord-orientale, su un alto podio di tipo italico, si innalzava il tempio dedicato a Marte Ultore («vendicatore» dell’assassinio di Cesare), la cui cella, che aveva i muri scanditi da pilastri preceduti da colonne, terminava in un’ampia abside sopraelevata su cui si ergevano le statue di culto: accanto a Marte vi si trovavano i simulacri di Venere e del divo Giulio. La coppia Marte-Venere compariva anche sul frontone del tempio, dove erano effigiati pure la dea Fortuna e Romolo e Remo, fondatori dell’Urbe. I contrappunti ideologici continuavano nelle absidi dove erano collocati ancora Romolo, nelle vesti di trionfatore, e il pio Enea nella classica formulazione dell’eroe che fugge da Troia con il padre Anchise e il figlioletto Ascanio; accanto a lui erano i Giulii, suoi discendenti, e i re di Alba Longa, attraverso i quali si saldava il legame con Romolo e Remo. Funzione principale del complesso, oltre a quella normale di sede dei tribunali e delle contrattazioni finanziarie, era la celebrazione della Vittoria romana, divenuta ormai un monopolio del principe, sottratta definitivamente al controllo dei magistrati repubblicani. In effetti, con Augusto gli auspicia – proprietà religiosa che determinava la capacità di comando – appartenevano ormai esclusivamente all’imperatore, che solo conservava il diritto di trionfare. I trofei della vittoria imperiale furono da allora in poi deposti (a cominciare dalle insegne di Crasso restituite dai Parti) all’interno del nuovo complesso, che finì per costituire una sorta di sintesi simbolica dei poteri militari del principe. A tutto ciò si accompagnò un’imponente politica di restaurazione edilizia: come lo stesso Augusto afferma nelle sue Res Gestae, 10 LA CROCE E IL POTERE.indd 24 Filoramo.indd 10 23/02/12 19:30 01/08/11 12.56 Filora già nel 28 a.C. egli restaurò nella sola Roma ottantadue templi9. Il fulcro dell’innovazione fu dato però dall’aggiunta al calendario delle festività romane di una lunga serie di festività «augustee», ognuna con un preciso messaggio politico, con le quali venivano ringraziati gli dèi per determinate tappe della carriera del princeps. Il pubblico ringraziamento per gli anniversari augustei equivaleva al riconoscimento da parte di tutti i partecipanti al rito dell’importanza eccezionale rivestita da Augusto per lo Stato romano. A sigillo di quest’operazione il visitatore poteva contemplare quanto scolpito nell’Ara Pacis, l’altare dedicato da Augusto nel 9 a.C. alla Pace nella nuova età augustea, intesa come dea romana e posta in una zona del Campo Marzio consacrata alla celebrazione delle vittorie. Si trattava di un luogo emblematico, perché collocato a un miglio dal pomerium, limite della città dove il console di ritorno da una spedizione militare perdeva i poteri relativi (imperium militiae) e rientrava in possesso dei propri poteri civili (imperium domi). Il suo significato era evidente: il valore eccezionale rappresentato da Augusto per Roma era dinastico, derivava da Enea, suo antenato, e si sarebbe trasmesso ai discendenti di Augusto. Tutti i membri della famiglia imperiale, inclusi donne e bambini, erano effigiati sull’altare, ma rappresentati come semplici cittadini tra cittadini, in accordo con la ribadita asserzione di Augusto d’essere il primo tra pari, non un monarca. In realtà, il linguaggio architettonico di Augusto era molto più apertamente monarchico di quanto non fossero le sue opere politiche: il Pantheon, il Mausoleo, l’Ara Pacis, tutti orientati in modo da guardarsi l’un l’altro, rappresentavano in certo senso un unico grande monumento alla dinastia. A partire dal 12 a.C., quando egli assunse anche la massima carica sacerdotale, quella di pontifex maximus, questa operazione edilizia, che fino ad allora si era concentrata nella fissazione e celebrazione della nuova famiglia Giulia assurta ai vertici del potere, si tradusse in una più complessa operazione nel contempo urbanistica e religiosa. Assumendo la massima carica sacerdotale, il princeps ritornava a un modello monarchico che riuniva sacerdotium e regnum, potere religioso e potere politico. Lo stesso uomo poteva ora esercitare il potere di un magistrato, controllare i processi decisionali del senato e assumere un ruolo determinante negli incontri di ogni collegio ai quali egli decidesse di partecipare. 11 12.56 LA CROCE E IL POTERE.indd 25 Filoramo.indd 11 23/02/12 19:30 01/08/11 12.56