MENANDRO LA COMMEDIA NELL’ETÀ ELLENISTICA © GSCATULLO Menandro L’Età ellenistica Il termine Il termine ellenismo fu coniato dallo studioso Droysen1 nel XIX secolo, ed è utilizzato per indicare l'epoca storica che va dal 323 a.C. (anno della morte di Alessandro Magno) al 31a.C. (battaglia di Azio, scontro definitivo tra Augusto e Marco Antonio). Esso è anche noto come età alessandrina, o alessandrinismo, quest'ultimo termine si usa soprattutto in riferimento alla cultura e, in particolare, alla poesia, e fa riferimento alla capitale culturale di allora, Alessandria d'Egitto, sede della rinomata biblioteca e di un museo. La radice del termine era già presente in greco, nelle due parole ἑλληνισμός, aggettivo indicante chi si esprime in greco, indipendentemente dalla sua etnia, e nel sostantivo ἑλληνιστής, che designava, nello specifico, i non greci che parlavano greco. Caratteristiche Questo periodo fu caratterizzato dalla diffusione capillare della cultura greca in tutti i territori che avevano costituito l'impero di Alessandro, il che portò poi ad un'inevitabile mescolanza (promossa da Alessandro stesso durante la sua vita) tra elementi greci e, dall'altra parte, orientali. Gli ambiti che più di tutti risentirono di questo sincretismo furono quello filosofico e, soprattutto, religioso. Altre caratteristiche di quest'epoca furono: 1 Urbanizzazione: in età ellenistica, si assiste ad un massiccio processo di urbanizzazione, che i diadochi2 attuarono anche per avere un maggior controllo sui vastissimi territori conquistati da Alessandro; le città diventano centri culturali particolarmente attivi e punti di riferimento economici; inoltre, si accentua il divario tra città e campagna, mentre in precedenza esse erano interdipendenti. Cosmopolitismo: dopo la perdita di libertà delle πόλεις, assoggettati prima ai Macedoni e poi al potere dei diadochi, i cittadini delle singole πόλεις diventano sudditi e si ritrovano immersi in una realtà molto più grande di quella cittadina cui erano abituati; aumentano anche i contatti con altre culture. Questi cambiamenti provocarono uno smarrimento che sfociò nell’individualismo. Individualismo: non potendo più partecipare in maniera attiva alla vita pubblica, il cittadino si concentra sugli affetti familiari; la comunità perde di importanza, mentre viene rivalutato l'individuo e la sua dimensione quotidiana ed interiore (si pensi alle filosofie ellenistiche, quali, ad esempio, stoicismo ed epicureismo). Shift culturale: la cultura, da orale/aurale, diventa scritta, libresca, quindi d'élite i libri erano piuttosto costosi, bisognava che il pubblico sapesse leggere, e la cultura era tendenzialmente di carattere erudito, non accessibile a tutti. Il luogo in cui si fruisce della cultura non è più la πόλις, ma la corte o, tutt'al più, la biblioteca; spesso, inoltre, l'occasione di composizione e fruizione di un'opera è fittizia (tendenza Johann Gustav Droysen (1808 - 1884): storico e politico tedesco Generali (luogotenenti) di Alessandro, che si spartiranno il suo impero dopo la sua morte, dopo aver combattuto per vent'anni (la situazione si assesta solo nel 304a.C.); fonderanno monarchie e nuove dinastie, come i Tolomei in Egitto, i Seleucidi in Siria. Altri regni furono la Macedonia e Pergamo, dove proprio in età ellenistica venne fondata la pergamena, forse per un embargo dell'Egitto sul papiro. 2 iniziata già da Isocrate), mentre in epoca classica ed arcaica essa era legata ad un'occasione pubblica ben precisa. Mecenatismo: le corti dei nuovi stati, per acquisire prestigio e legittimare in tal modo il proprio potere, offrivano protezione ad intellettuali, studiosi e poeti, che venivano appositamente invitati. Lingua e società Anche la lingua in questo periodo cambia. Si utilizza la cosiddetta κοινὴ (διάλεκτος)un greco semplificato, lo stesso dei Vangeli; l'uso dei dialetti rimane comunque praticato in letteratura, a seconda del genere letterario3. In quest'epoca è molto diffuso il commercio (tanto che alcuni parlano di società 'borghese') e si assiste ad un notevole sviluppo delle scienze, le quali, però, restano teoriche e non applicate: nella παιδεία greca, il lavoro manuale era considerato meno dignitoso della riflessione teorica, del resto l’economia schiavista, non sentiva il bisogno di innovazioni tecnologiche per facilitare il lavoro degli schiavi. Inoltre, la τύχη, ossia la sorte, nell'ottica greca ebbe un'importanza sempre maggiore, tanto che venne considerata divina. Filologia Nell'ellenismo, si sviluppò anche la filologia, la scienza di analisi, studio ed interpretazione di testi. Si ricordi, infatti, l'atteggiamento del mecenatismo, che portò alla costruzione di un museo, che, da luogo religioso dedicato alle Muse, divenne una sorta di università dove si poteva studiare, e della biblioteca di Alessandria, fondata da Tolomeo Filadelfo. Nelle corti vi erano poi accesi e violenti dibattiti su questioni letterarie. La filologia era dunque utile per catalogare, rendere fruibili i testi, ed aveva per obiettivo l'arrivare alla versione più vicina possibile all'archetipo (il testo originale) dell'opera che si stava studiando. Quattro dei filologi più noti sono: Zenodoto di Alessandria che divise l'Iliade e l'Odissea in XXIV libri ed introdusse l'ὀβελός (lett. spiedo), un simbolo a forma di linea orizzontale che segnava i versi sulla cui autenticità non si era sicuri; Aristofane di Bisanzio che curò edizioni critiche di Omero, Esiodo, tragediografi, Pindaro e lirici, è ricordato per aver redatto delle ὑπόθεσειςintroduzioni con informazioni, sulle tragedie; Aristarco di Samotracia noto per aver stilato dei canoni di eccellenza e per l’introduzione del metodo ermeneutico di Ὅμερoν ἐξ Ὅμερου σαφηνὶζειν (spiegare Omero con Omero); Cratete di Mallo, filosofo stoico e studioso di Omero, propose l'interpretazione dei poemi omerici tramite l'allegoria. Nella disputa sulla lingua appoggiava gli anomalisti4. 3 Nella letteratura greca, il dialetto in cui una determinata opera veniva scritta era strettamente legato al genere cui questa apparteneva, secondo la lingua dell’opera che l’aveva iniziato. 4 La Questione della lingua (cfr. Varrone nella prima età imperiale romana) vedeva contrapporsi due diversi modi di considerare la lingua: gli anomalisti sostenevano essa fosse un organismo fluido soggetto al cambiamento, ritenendo che l’uso di una parola ne legittima automaticamente la correttezza linguistica; gli analogisti invece ritenevano la lingua fondata su un insieme di regole, le cui eccezioni devono considerarsi errori o comunque estranee alla lingua “pura”. Letteratura È di questo periodo il fenomeno dei poetae docti: poeti che oltre a comporre carmi curavano anche le edizioni di autori passati. È il caso di Callimaco, che pubblicò le Πίνακες (lett. tavole): un'opera in 120 libri in cui catalogava tutti gli autori greci più eminenti. La letteratura ellenistica è ricca di sperimentazione, virtuosismi ed erudizione, a volte si potrebbe quasi individuare un'implicita sfida al lettore, altrettanto colto, per vedere chi è più erudito. È il principio dell'ars gratia artis. Si ricercano certezza e sicurezza nell'estetica. Si scrivono, inoltre, manuali riguardo ai generi letterari, definiti da regole precisissime, che gli scrittori si divertono però ad infrangere, per mostrare quanto bene le conoscano (tanto che sanno cosa fare per infrangerle), e per desiderio di innovazione. La Commedia La commedia di mezzo Non tutti gli studiosi concordano nell'individuare una commedia di mezzo (μέση κωμῳδία), basandosi anche sul fatto che Aristotele individuava solo l'antica e la nuova. Una fase intermedia fu individuata solo a partire dall'età alessandrina. I limiti temporale della commedia di mezzo sono il 388 a.C., data delle ultime commedie di Aristofane, il Pluto e le Donne in Assemblea, e il 322 a.C., in cui Menandro, esponente della commedia nuova, pubblicò la sua prima commedia. L'ambito in cui essa si sviluppò era quello della crisi delle πόλεις, in cui il dibattito politico era sempre più difficile e/o inutile. A prova di ciò, l'assenza di nuove opere tragiche, e la riproposta nei teatri solo dei drammi dei tre grandi tragici dei secoli precedenti. La commedia, invece, sopravvisse, ma cambiò radicalmente. Le tendenze presenti nella commedia di mezzo, poi, verranno portare all'estremo con la commedia nuova. COMMEDIA ANTICA ἀρχάια κωμῳδία Argomento politico ὀνομαστὶ κωμῳδεῖν COMMEDIA DI MEZZO μέση κωμῳδία Evasione, divertimento puro Assenza di attacco personale COMMEDIA NUOVA νέα κωμῳδία Assenza politica, riflessione Assenza di attacco personale Costumi con fallo e linguaggio forte e salace (ancora legami con le falloforie) Linguaggio moderato, “borghese” (riso --> sorriso) Parabasi (dibattito politico) Assenza di parabasi Coro (=collettività) commenta la vicenda Assenza di coro, presenti intermezzi musicali senza battute che separano gli atti Temi privati, quotidiani, affetti familiari (individui) Linguaggio e ambientazione medioborghese, che allontanava dalla commedia il pubblico non colto, appartenente a classi sociali più basse. Assenza di parabasi, chiusura della quarta parete Assenza di coro, intermezzi Questioni sociali, che riguardano la πόλις (cittadini) Trame talvolta complesse e paradossali Trame schematiche Individualismo (personaggi=persone qualunque, talvolta senza identità precisa, per indicare l'universalità della loro situazione) Trame schematiche ma verisimili, paradosso accettato perché reso Educativa, politicamente impegnata Eroe singolo Presa in giro dei contadini per evidenziare rapporto tra città e campagna Parodia mitologica Polimetria (più metri diversi) Donna assente o di poca importanza, mero oggetto del desiderio Elemento gastronomico: utopia Personaggi --> Tipi (Teofrasto, pupillo di Aristotele, che cataloga i tipi di personaggi) Puro divertimento Pluralità di personaggi Presa i giro campagna per gusto dello scherno Parodia mitologica No polimetria; trimetro giambico; κοινή Importanza alla famiglia=alla donna Gastronomia solo per piacere dell'abbuffata possibile dalla τύχη cheè parte della quotidianità Tipi, ma problematici Morale “consolatrice” Attenzione all'humanitas e ai rapporti tra i vari personaggi Presa in giro dei contadini: segno di gap tra città e campagna Parodia mitologica (si conserva) Trimetro giambico Donne: protagoniste positive, si indaga la loro psicologia Come nella commedia di mezzo I maggiori esponenti della commedia di mezzo furono: Antifane di Rodi o Smirne (IV sec. - 310 a.C.): autore prolifico di cui possediamo solo titoli e frammenti, ricorre spesso alla parodia mitologica, in cui univa mito e attualità, e dei mestieri; nella sua opera emerge un’attenzione per la donna e lo scherno dei filosofi e del loro parlare aulico. Non ebbe molto successo, fu anche autore di una Ποίησις (poetica), in cui fa differenza fra tragedia e commedia, dato importante perché è un indizio dei dibattiti letterari in corso. Alessi (372-270 a.C.): ne parla il lessico di Suda (un’enciclopedia bizantina), che lo cita come zio di Menandro, secondo altri, invece, fu suo maestro. Ha uno stile raffinato e leggero, sarà imitato da Plauto, le sue opere che conosciamo sono: o il Fedro, che contiene una presa in giro di Platone; o il Cavaliere, che esalta Demetrio Poliercete, governatore di Atene, per aver scacciato i filosofi; o l’Odisseo tessitore, in cui Ulisse tesse la tela al posto di Penelope; o il Lino, cantore mitico che cerca di insegnare la poesia ad Eracle, che però preferisce leggere di gastronomia. Anassandride di Rodi, ma operante ad Atene, scrive le prime scene di seduzione, le Città, in cui tratta le differenze tra Greci ed Egizi, ed un elenco di gastronomie. Eubulo, in cui possiamo vedere ancora retaggi della commedia antica, con tematiche di attualità, ad esempio nel Dionigi, commedia contro l'omonimo tiranno, ricorre al dialetto, al linguaggio pesante e alla polimetria (es. Antiope). Rintone (323 - 285 a.C.) di Siracusa o di Taranto, fu considerato l'inventore di un nuovo genere, l'ilarotragedia, che univa alla farsa la tragedia, per altri, invece, compose fliaci tragici, dando dignità letteraria ai fliaci5, che porteranno alla nascita del mimo a Roma. 5 Con il termine ϕλύαξ, nella Grecia antica si indicava un demone della fecondità legato a Dioniso, che passò poi ad indicare l'attore comico, in particolare l'attore delle farse fliaciche, per lo più comiche deformazioni della trattazione di miti da parte di determinati poeti tragici, che erano caratterizzate da vivacità e realismo. Commedia nuova Abbiamo traccia di concorsi teatrali pubblici fino al 120 a.C., anche se venivano rappresentate opere anche in occasioni private. C’erano anche compagnie di attori girovaghi, come ad esempio gli Artisti di Dioniso. Di tutti i commediografi della νέα κωμῳδία, il solo le cui opere ci sono giunte per intero è Menandro che era infatti il più famoso. Insieme a lui compaiono nel canone ellenistico dei commediografi anche certi Filèmone e Dìfilo, di cui abbiamo, però, solo titoli e frammenti. Per quanto riguarda la struttura, le commedie 'nuove' erano suddivise in 5 atti, divisi da intermezzi (χορόυ μερός), slegati dalla trama. Si assiste in età ellenistica alla chiusura della quarta parete: mentre nella commedia antica gli attori, con la parabasi, si rivolgevano direttamente al pubblico, rompendo lo 'schermo' che li divideva, in età ellenistica ciò non avviene. Questo indica un distacco fra vita reale e rappresentazione. Anche lingua e costumi di scena sono più sobri e moderati. Inoltre, si perde la polimetria e si predilige il trimetro giambico. Filèmone e Difilo Questi due nomi, di cui si conservano solo pochi frammenti, compaiono nel canone alessandrino insieme a Menandro, anche se, dalle fonti, sappiamo che non furono tanto apprezzati quanto quest'ultimo: Filèmone, ad esempio, era considerato pesante e prolisso. Effettivamente, entrambi appaiono ancora molto legati alla commedia di mezzo e possono pertanto essere considerati ancora degli autori di transizione. Nati entrambi attorno al 360 a.C., pertanto almeno vent'anni più grandi di Menandro, furono attivi ad Atene, nonostante provenissero da luoghi piuttosto lontani, il che testimonia l'ampia diffusione del teatro greco. Filemone, infatti, era originario o di Siracusa o di Soli, in Cilicia. Nelle sue commedie sono ancora presenti dei riferimenti all'attualità, caratteristica addirittura della commedia arcaica, ad esempio nella commedia Filosofi, in cui prende di mira un filosofo stoico del suo tempo. Quanto a Difilo, invece, egli era probabilmente originario di Sinobe. Sua caratteristica era la parodia mitologica (tipica della commedia di mezzo), in particolare della figura di Eracle. Inoltre, i suoi personaggi hanno psicologie da tipi, poco approfondite. Entrambi sarebbero poi stati ripresi, con il processo della contaminatio, da Plauto. Menandro Vita Menandro nacque da nobile famiglia ateniese tra il 341 e il 340 a.C. Fu efebo con Epicuro, allievo di Teofrasto, peripatetico che stilò un canone sui tipi di personaggi teatrali, e amico di Demètrio Falèreo. Quest'amicizia dà qualche indicazione sull'orientamento politico di Menandro, poiché Demetrio, che fu governatore di Atene dal 308 al 307 a.C., era un oligarca moderato. Inoltre, quando a Falerèo successe Demetrio Poliercete, Menandro venne perseguito. In generale, condusse una vita ritirata; si dice che fosse follemente innamorato di un’etèra, Glìcera, tra l'altro nome di una sua commedia, il che spiegherebbe la funzione moralmente positiva delle etere nelle sue commedie. Rapporto con Teofrasto Quanto al suo rapporto con il maestro Teofrasto, invece, ci sono due scuole di pensiero: Secondo A. Körte, Teofrasto ha influenzato Menandro nella creazione di caratteri, lo studioso adduce come prova il fatto che la psicologia dei personaggi menandrei sia più approfondita di quella dei tipi di Teofrasto, ipotizzando quindi che Menandro l'abbia rielaborata in un secondo momento partendo dal lavoro del peripatetico. Dall'altro lato, invece, la scuola di O. Regenbogen, adducendo come prova i titoli delle commedie menandree, che a volte riprendono i tipi catalogati da Teofrasto; Ad ogni modo, a favore della prima scuola (Menandro riprende Teofrasto e poi approfondisce le peronalità, sempre senza esagerare l'introspezione psicologica), si può dire che già Aristotele aveva studiato, nell'Etica Nicomachea, i tipi teatrali. Fortuna Sicuramente molto letto ed apprezzato nell'antichità, tanto da essere invitato a corte da Tolomeo Soter, scrisse circa cento commedie, per occasioni pubbliche e non, ma, nonostante ciò, riportò solo 8 vittorie, secondo alcuni per brogli, oppure perché semplicemente non ritenuto abbastanza comico. Nel Medioevo, il suo stile, a tratti sentenzioso fece sì che venissero tramandate soltanto delle massime morali, sfortunatamente per il resto dei testi, che non vennero trascritti. Nonostante ciò, di recente sono stati ritrovati dei papiri che conservano alcune commedie per intero. La datazione delle commedie menandree è una questione aperta, ma in generale si possono annoverare tra le commedie giovanili quelle ricche di elementi osceni, attacchi personali e metri diversi dal trimetro giambico, mentre sono attribuite al periodo della maturità le commedie moralmente più impegnate, riflessive, prive di elementi osceni e che trattano temi più seri. Caratteristiche del teatro menandreo L’umanesimo In Menandro si può parlare sia di umanesimo sia, in un certo senso, di realismo. Perché Menandro è umanista? In primis, ovviamente, per la centralità che l'uomo ha nelle sue commedie. In esse, infatti, vi è una visione antropocentrica dell'uomo presa da Euripide, mentre né gli dèi né i fatti in sé hanno più un ruolo centrale. In Menandro, ciò che conta sono l'individuo, visto nella sua dimensione quotidiana e privata, e il suo carattere, che viene messo in risalto dalle vicende. Interessante notare, poi, come Menandro scelga determinati tipi a seconda del messaggio che vuole veicolare. Il cosmopolitismo Inoltre, nonostante l'introspezione psicologica non venga ma spinta all'estremo con Menandro, rispetto agli altri autori, i suoi personaggi hanno una psicologia più approfondita, tra l'altro anche in maniera raffinata; si assiste in Menandro anche ad un radicale cambio di prospettiva: non c'è più, infatti, il cittadino ateniese che si sente superiore al resto del mondo, bensì un individuo singolo, cittadino del mondo, appartenente non ad una pòlis in particolare, ma all'umanità. Sotto questo punto di vista, Menandro ha molto in comune con i sofisti, che affermavano già da tempo l'eguaglianza degli uomini, accomunati dalla loro natura. D'altronde, anche Menandro dà importanza alla φύσις piuttosto che, ad esempio al censo o al lignaggio nobile. C'è da dire, però, che cambia il modo di trattare questo tema: mentre i sofisti facevano delle vere e proprie analisi intellettuali di fatti e situazioni, in Menandro questo non avviene. La funzione pedagogica Altre caratteristiche del teatro menandreo sono la sua funzione pedagogica, c'è sempre un messaggio trasmesso dalle commedie, e la componente razionale, che alla fine fa trionfare il buon senso, tanto che persino la τύχη alla fine, premia il più saggio. Ciò però non faccia pensare che Menandro sia un ottimista: “Muore giovane colui che è caro al cielo” afferma, sa che il male è connaturato all’uomo e non si può sfuggirgli ma, riprendendo Eschilo, crede nel πάθει μάθος, la possibilità di imparare dalla sofferenza, di redimersi per l’uomo. Del resto lo stesso lieto fine è spesso imposto dal genere letterario: le situazioni che nella realtà quotidiana non trovano soluzione la trovano però nella commedia. I personaggi e i valori I personaggi menandrei non sono politici ma quotidiani, innestati sui rapporti familiari. La società rappresentata è borghese, priva di preconcetti (sul censo, ecc.) che mira ad un’esistenza piana. Persino l’etera è resa neutra, priva di alcun giudizio morale, anzi spesso personaggio positivo. Non si consideri questo un segno di femminismo ante litteram: la donna è rivalutata sì, ma nella sfera del rapporto familiare, Menandro è un conservatore in questo. Lo scioglimento finale delle vicende che prevede spesso una scena familiare è un messaggio chiaro del commediografo, in un periodo di crisi della polis: la famiglia è l’istituzione più solida. Sono assenti le divinità tradizionali e tutto è dominato dalla τύχη e dai rapporti umani. Lo scopo di Menandro non è quello di insegnare circa grandi temi ma di produrre un intrattenimento gradevole, che resta comunque impegnato nella trasmissione di valori quali la filantropia, la solidarietà, l’amicizia, il rispetto, l’umiltà ed il riconoscimento dei propri difetti, il tutto legato ad una sfera individuale e familiare. C’è orrore per la trasgressione e per la palingenesi d’Aristofane, la struttura e ripetitiva negli schemi perché tranquillizzante: è, come detto, una commedia borghese. Il realismo Per quanto riguarda il realismo, invece, già nell'antichità si riscontrava questa caratteristica. Plutarco, infatti, descrive le commedie menandree come realistiche, ma anche Aristotele di Bisanzio, che si chiede retoricamente se sia Menandro ad imitare la vita o viceversa. Al lettore moderno ciò potrebbe sembrare un'esagerazione, viste le trame artificiose e dai risvolti decisamente improbabili. Effettivamente, dal punto di vista dei luoghi e dell'ambientazione spazio-temporale, si parla piuttosto di atmosfere, poiché, nonostante gli individui agiscano nella propria quotidianità, lo spazio in cui si muovono non è ben contestualizzato nel tempo o nei luoghi, procedimento che nella letteratura classica verrà portato all’estremo nel Satyricon di Petronio. Piuttosto, è dal punto di vista della psicologia che si può parlare di vero realismo: i personaggi sono approfonditi, anche quelli secondari hanno una propria coerenza di fondo, e non sono mai solamente riempitivi. Inoltre, il linguaggio, non essendo né alto né volgare, è caratterizzato da un tono medio di uso quotidiano. Opere di Menandro Δύσκολος – il burbero Trama6 La commedia è messa in moto dal dio Pan, che fa innamorare Sostrato, un ricco ed elegante giovane di città di una ragazza di campagna, figlia di un vecchio misantropo, Cnemone. Il ragazzo si innamora di lei mentre è a caccia. Cnemone è un vecchio bisbetico contadino che vive in casa con la sua unica figlia e una serva. La moglie, stanca di lui si è trasferita a casa del figlio di primo letto, il serio e laborioso Gorgia, che abita nella casa accanto. Cnemone vive coltivando il suo podere e evitando il più possibile ogni forma di contatto con gli estranei. Sostrato vuole chiedere in sposa la fanciulla, Gorgia sospetta di ciò, ma l'altro si conquista la sua amicizia, dichiarando la sua intenzione di sposare la ragazza offrendosi di lavorare con il futuro suocero nei campi per conoscerlo meglio. 6 Paragrafo tratto da https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Il_misantropo_(Menandro)&oldid=77739841 Nel frattempo giunge la madre di Sostrato che ha preparato un sacrificio in onore di Pan nella grotta accanto alla casa di Cnemone. Il vecchio, vedendo la folla, decide di restare in casa a sorvegliare la situazione. Sostrato torna deluso dalla campagna e si unisce ai commensali. Ad un certo punto si viene a conoscenza del fatto che Cnemone nel tentativo di recuperare un'anfora sfuggita alla sua serva, è caduto in un pozzo. Sostrato e Gorgia corrono a salvarlo. Cnemone dopo il pericolo che ha corso, si mostra più ragionevole, e concede la mano della figlia a Sostrato. Avviene anche un secondo matrimonio tra la sorella di Sostrato e Gorgia. La commedia si conclude con il doppio banchetto nuziale, a cui Geta (un servo) e Sicone (il cuoco) trascinano a forza il riluttante Cnemone, beffandosi di lui. Caratteristiche La commedia è stata rappresentata per la prima volta nel 317 a.C. in occasione delle Lenee, e valse a Menandro il primo premio. Il prologo è recitato da Pan, cui è devota la figlia del protagonista, e non fornisce informazioni essenziali agli spettatori, differenziandosi così dagli altri delle commedie menandree. Commedia giovanile di Menandro, presenta bruschi passaggi tra le scene di realismo e quelle di comicità e sono in scena figure comiche fine a se stesse come il servus currens o il cuoco. Il cambiamento interiore – tipico dei protagonisti delle sue commedie - non è generato da una maturazione intima del personaggio ma piuttosto da un intervento esterno della τύχη, altro segno che si è davanti ad una delle prime produzioni del commediografo. L’idea di fondo nel testo è la condannda della δυσκολία: l’uomo non è un animale politico ma un animale tendente alla φιλία, il suo obbiettivo è l’humanitas. Περικειρομένη – la ragazza tosata Trama7 Moschione e Glicera sono abbandonati in tenera età dai genitori e vengono cresciuti separati: Moschione viene adottato dalla ricca Mirrina mentre Glicera diventa la concubina del soldato Polemone. Glicera è consapevole di essere la sorella di Moschione, ma il fratello ne è ignaro e si innamora di lei. I due vengono colti da Polemone mentre si abbracciano e ciò suscita l'ira di Polemone, il quale, per vendicarsi, rasa i capelli di Glicera, per umiliarne la bellezza. La giovane si rifugia quindi nella casa di Mirrina, rivelandole la verità. Dopo numerose complicazioni (tra cui un tentativo di assalto alla casa di Mirrina da parte di Polemone), la situazione inizia a chiarirsi grazie all'intervento di Pateco, un vicino di casa di Mirrina. Egli, spinto dalla curiosità, si interessa alla faccenda e alla fine scopre di essere il padre dei due fratelli. La commedia termina con un lieto fine: Glicera e Polemone possono riappacificarsi e convolare a nozze, mentre Moschione, ritrovata la sorella, ottiene a sua volta una sposa grazie al padre Pateco. Caratteristiche La commedia è posteriore al 314 a.C., lo sappiamo da un accenno interno al testo all’assassinio del figlio del generale macedone Poliperconte, Alessandro, ci è giunta in maniera incompleta in cinque papiri per un totale di cinquecento versi tramandati. I temi trattati sono il riconoscimento finale e l’amore. Il prologo è recitato da Ἄγνοια, dea dell’ignoranza, anticipando in qualche modo il finale, che genera l’intero intreccio. Glicera sopporta con dignità l’umiliazione pur di tutelare il fratello dalla condizione di schiavo cui sarebbe incorso se la donna avesse rivelato la verità. L’amore fraterno e quello matrimoniale alla fine della commedia ne escono in definitiva rafforzati dalla volontà umana e dall’intervento della τύχη, che annulla ogni altra forza divina. 7 Paragrafo tratto da https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=La_donna_tosata&oldid=76784550 Έπιτρέποντες – l’arbitrato Trama8 Il pastore Davo, trovato il giorno precedente un neonato esposto, si fa convincere dal carbonaio Sirisco ad affidargli il pargolo, ma trattiene per sé i suoi effetti personali; Sirisco reclama questi per il trovatello: per dirimere la controversia, i due stabiliscono di rivolgersi ad un arbitro, scegliendo casualmente il vecchio Smicrine. Costui è in realtà, senza saperlo, nonno, del piccolo, in quanto sua figlia Panfile, pochi mesi prima di sposare Carisio, era stata violentata da uno sconosciuto. Il vecchio, dopo aver ascoltato le ragioni di entrambi, assegna gli oggetti a Sirisco, che ha ricordato come nelle tragedie questi sono essenziali perché il trovatello, cresciuto, possa un giorno rendersi conto dei propri natali e di esser figlio di potenti o di nobili. Onesimo, schiavo di Carisio casualmente presente, riconosce tra gli oggetti un anello del padrone, rivelandolo ad Abrotono, etera dal buon cuore presso cui Carisio si era consolato dopo aver scoperto lo stupro della moglie; la donna, sospettando che Carisio sia il padre del piccolo, gli mostra l'anello, fingendosi la vittima della violenza e ottenendo da lui, ubriaco al momento dello stupro, una confessione. A questo punto Smicrine insiste perché la figlia lasci il marito infedele, ma questa, innamorata, si rifiuta; intanto il marito, riconosciutosi colpevole dello stupro, lui crede, nei confronti di Abrotono, è pronto a perdonare la moglie per essere stata violentata, riflettendo sul fatto che lei è vittima di una colpa analoga a quella che lui stesso ha commesso. Infine Abrotono rivela la verità sulla maternità del bambino, cosicché Panfile e Carisio scoprano di non essere mai stati infedeli (infatti il marito ha stuprato la moglie, non un'altra) e si possano riconciliare. Caratteristiche Scritta dopo il 304 a.C., da indizi interni al testo, il titolo prende spunto dalla contesa tra i due protagonisti Davo e Sirisco. Nella commedia emerge un pensiero di parità tra i sessi (es. il marito che riflette sulle sue responsabilità verso la moglie), tra i primi casi nella letteratura greca. L’intervento della τύχη è esteriore mentre il cambiamento avviene in realtà all’interno dei personaggi, in particolare emerge la bontà d’animo e la solidarietà di Abrotono, un’etera, cosa non nuova in Menandro. Σαμία – la ragazza di Samo Trama9 Moschione, figlio adottivo di Demea, ama la figlia di Nicerato, la giovane Plangone, con la quale si è unito carnalmente durante la festa delle Adonie: la giovane è rimasta incinta e Moschione ha giurato di sposare la donna. Tuttavia, dal momento che Moschione non vuole per il momento rivelare la propria paternità, il figlio, ormai nato, viene fatto passare per quello della concubina di Demea, Criside (la donna di Samo del titolo), la quale in effetti aveva da poco dato alla luce un bimbo morto dopo pochi giorni. Al suo ritorno, Demea cade vittima di equivoci che lo portano a credere che il piccolo sia davvero nato dall'unione tra il figlio e Criside. L'uomo allora, cieco di gelosia, caccia di casa la concubina accusandola di tradimento, e la donna tace sulla verità per difendere l'onore di Plangone. Da qui nascono una serie di fraintendimenti, durante i quali Nicerato afferma addirittura di voler uccidere Criside, e Demea per placarlo gli racconta che la concubina non sarebbe incinta di Moschione ma nientemeno che di Zeus. Quando la tensione è al culmine, finalmente Moschione racconta al padre che il figlioletto non è nato da Criside ma da Plangone. Chiarito l’equivoco, Moschione fa l’offeso per i sospetti di cui è stato oggetto, ma alla fine tutto si aggiusta e si possono celebrare le nozze tra lui e Plangone. 8 9 Paragrafo tratto da https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=L%27arbitrato&oldid=76394558 Paragrafo tratto da https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=La_donna_di_Samo&oldid=74532781 Caratteristiche La Samia è una commedia degli equivoci, pretesto per mostrare i comportamenti umani, scritta in epoca della maturità: la trama infatti è compatta e calzante. Il monologo iniziale di un Moschione mortificato lo mostrano subito come immaturo e poco responsabile. Anche in questa commedia la concubina ha una figura positiva, Criside, che si assume responsabilità non proprie. Il carattere di Demea invece non può essere stereotipato: si vergogna persino di essere geloso della concubina, legittimando in qualche modo il rapporto extraconiugale. Ἀσπίς – lo scudo Trama10 Secondo Davo, il guerriero Cleostrato è morto in battaglia in Asia Minore. Egli si è invece salvato da un agguato dei barbari nell'accampamento greco, perché il suo padrone lo aveva allontanato col bottino e le ricchezze accumulate durante i saccheggi dei greci, affinché lo ponesse in salvo. Racconta Davo che dopo l'assedio, egli era tornato sul campo di battaglia e tra i cadaveri aveva scoperto Cleostrato. Il riconoscimento era stato possibile solo grazie al ritrovamento del suo scudo danneggiato gravemente, perché il corpo era tutto carbonizzato, bruciato dagli assalitori dopo la carneficina. Smicrine è disperato alla notizia e corre subito dai familiari con Davo per recare la triste notizia. Usciti di scena, entra silenziosamente la Dea Fortuna e spiega al pubblico l'enorme equivoco: infatti Davo aveva scambiato il cadavere di Cleostrato con quello di un altro combattente che, nella confusione dello scontro, aveva preso lo scudo di Cleostrato. Appunto la dea spiega che in quel preciso momento Cleostrato sta tornando nella città. Intanto Smicrine ha dato la notizia ai familiari, ma in realtà l'animo dell'uomo è tutt'altro che infelice per la perdita del nipote. Avidissimo e crudele, Smicrine vuole infatti approfittare della morte di Cleostrato per appropriarsi del bottino del soldato che ora spetta alla sorella del defunto, da questi affidata prima di partire a un altro zio, il ricco e generoso Cherestrato. Così subito si fa avanti per sposarla, nonostante lei sia più giovane di molti anni: la legge ateniese - che prescrive che una ragazza rimasta senza congiunti maschi vada in sposa al parente più prossimo - glielo consente. L'avido vecchio cerca l'aiuto di Davo per compiere la sua opera, affermando di esser stato estromesso quando Cleostrato aveva promesso la nipote a Cherea, figlio di primo letto di sua moglie, ma Davo si tira indietro, adducendo come pretesto il fatto di essere ignorante in materia. In realtà Davo ha in mente un piano per soccorrere Cherestrato che, di fronte alle pretese di Smicrine, è precipitato nello sconforto. Il piano di Davo è questo: per distogliere Smicrine dall'idea delle nozze con la sorella di Cleostrato, Cherestrato - che è molto ricco - deve fingersi morto, in modo che sua figlia diventi l'erede di un patrimonio ben più consistente del bottino di guerra di Cleostrato, attirando su di sé l'attenzione del vecchio avido. Per dare maggior valore alla messinscena, arriva anche un (falso) medico, che diagnostica l'imminente morte di Cherestrato. Qui, purtroppo, il papiro presenta una lacuna, dopo la quale si assiste al ritorno di Cleostrato. La commedia si conclude con doppie nozze: quelle di Cherea con la sorella di Cleostrato, e quelle di quest'ultimo con la figlia di Cherestrato. L'avido Smicrine rimane così a bocca asciutta. Caratteristiche Nella commedia, mutila di gran parte della seconda metà, ruolo dominante lo ha la τύχη. Ricorrono i temi della filantropia intesa come universale e destinata a tutti, in una società intesa come cosmopolita. Appunti realizzati da Erica Trotta e Paolo Franchi, VBC (A.S. 2015/2016). 10 Paragrafo tratto da https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Lo_scudo&oldid=74529127