MENANDRO
LA COMMEDIA NELL’ETÀ ELLENISTICA
© GSCATULLO
Menandro
L’Età ellenistica
Il termine
Il termine ellenismo fu coniato dallo studioso Droysen1 nel XIX secolo, ed è utilizzato per indicare l'epoca storica
che va dal 323 a.C. (anno della morte di Alessandro Magno) al 31a.C. (battaglia di Azio, scontro definitivo tra
Augusto e Marco Antonio). Esso è anche noto come età alessandrina, o alessandrinismo, quest'ultimo termine
si usa soprattutto in riferimento alla cultura e, in particolare, alla poesia, e fa riferimento alla capitale culturale
di allora, Alessandria d'Egitto, sede della rinomata biblioteca e di un museo.
La radice del termine era già presente in greco, nelle due parole ἑλληνισμός, aggettivo indicante chi si esprime
in greco, indipendentemente dalla sua etnia, e nel sostantivo ἑλληνιστής, che designava, nello specifico, i non
greci che parlavano greco.
Caratteristiche
Questo periodo fu caratterizzato dalla diffusione capillare della cultura greca in tutti i territori che avevano
costituito l'impero di Alessandro, il che portò poi ad un'inevitabile mescolanza (promossa da Alessandro stesso
durante la sua vita) tra elementi greci e, dall'altra parte, orientali. Gli ambiti che più di tutti risentirono di questo
sincretismo furono quello filosofico e, soprattutto, religioso.
Altre caratteristiche di quest'epoca furono:
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1
Urbanizzazione: in età ellenistica, si assiste ad un massiccio processo di urbanizzazione, che i diadochi2
attuarono anche per avere un maggior controllo sui vastissimi territori conquistati da Alessandro; le città
diventano centri culturali particolarmente attivi e punti di riferimento economici; inoltre, si accentua il
divario tra città e campagna, mentre in precedenza esse erano interdipendenti.
Cosmopolitismo: dopo la perdita di libertà delle πόλεις, assoggettati prima ai Macedoni e poi al potere
dei diadochi, i cittadini delle singole πόλεις diventano sudditi e si ritrovano immersi in una realtà molto
più grande di quella cittadina cui erano abituati; aumentano anche i contatti con altre culture. Questi
cambiamenti provocarono uno smarrimento che sfociò nell’individualismo.
Individualismo: non potendo più partecipare in maniera attiva alla vita pubblica, il cittadino si concentra
sugli affetti familiari; la comunità perde di importanza, mentre viene rivalutato l'individuo e la sua
dimensione quotidiana ed interiore (si pensi alle filosofie ellenistiche, quali, ad esempio, stoicismo ed
epicureismo).
Shift culturale: la cultura, da orale/aurale, diventa scritta, libresca, quindi d'élite  i libri erano piuttosto
costosi, bisognava che il pubblico sapesse leggere, e la cultura era tendenzialmente di carattere erudito,
non accessibile a tutti. Il luogo in cui si fruisce della cultura non è più la πόλις, ma la corte o, tutt'al più,
la biblioteca; spesso, inoltre, l'occasione di composizione e fruizione di un'opera è fittizia (tendenza
Johann Gustav Droysen (1808 - 1884): storico e politico tedesco
Generali (luogotenenti) di Alessandro, che si spartiranno il suo impero dopo la sua morte, dopo aver combattuto per
vent'anni (la situazione si assesta solo nel 304a.C.); fonderanno monarchie e nuove dinastie, come i Tolomei in Egitto, i
Seleucidi in Siria. Altri regni furono la Macedonia e Pergamo, dove proprio in età ellenistica venne fondata la pergamena,
forse per un embargo dell'Egitto sul papiro.
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iniziata già da Isocrate), mentre in epoca classica ed arcaica essa era legata ad un'occasione pubblica ben
precisa.
Mecenatismo: le corti dei nuovi stati, per acquisire prestigio e legittimare in tal modo il proprio potere,
offrivano protezione ad intellettuali, studiosi e poeti, che venivano appositamente invitati.
Lingua e società
Anche la lingua in questo periodo cambia. Si utilizza la cosiddetta κοινὴ (διάλεκτος)un greco semplificato, lo
stesso dei Vangeli; l'uso dei dialetti rimane comunque praticato in letteratura, a seconda del genere letterario3.
In quest'epoca è molto diffuso il commercio (tanto che alcuni parlano di società 'borghese') e si assiste ad un
notevole sviluppo delle scienze, le quali, però, restano teoriche e non applicate: nella παιδεία greca, il lavoro
manuale era considerato meno dignitoso della riflessione teorica, del resto l’economia schiavista, non sentiva il
bisogno di innovazioni tecnologiche per facilitare il lavoro degli schiavi.
Inoltre, la τύχη, ossia la sorte, nell'ottica greca ebbe un'importanza sempre maggiore, tanto che venne
considerata divina.
Filologia
Nell'ellenismo, si sviluppò anche la filologia, la scienza di analisi, studio ed interpretazione di testi. Si ricordi,
infatti, l'atteggiamento del mecenatismo, che portò alla costruzione di un museo, che, da luogo religioso dedicato
alle Muse, divenne una sorta di università dove si poteva studiare, e della biblioteca di Alessandria, fondata da
Tolomeo Filadelfo.
Nelle corti vi erano poi accesi e violenti dibattiti su questioni letterarie. La filologia era dunque utile per
catalogare, rendere fruibili i testi, ed aveva per obiettivo l'arrivare alla versione più vicina possibile all'archetipo
(il testo originale) dell'opera che si stava studiando.
Quattro dei filologi più noti sono:
 Zenodoto di Alessandria che divise l'Iliade e l'Odissea in XXIV libri ed introdusse l'ὀβελός (lett. spiedo),
un simbolo a forma di linea orizzontale che segnava i versi sulla cui autenticità non si era sicuri;
 Aristofane di Bisanzio che curò edizioni critiche di Omero, Esiodo, tragediografi, Pindaro e lirici, è
ricordato per aver redatto delle ὑπόθεσειςintroduzioni con informazioni, sulle tragedie;
 Aristarco di Samotracia noto per aver stilato dei canoni di eccellenza e per l’introduzione del metodo
ermeneutico di Ὅμερoν ἐξ Ὅμερου σαφηνὶζειν (spiegare Omero con Omero);
 Cratete di Mallo, filosofo stoico e studioso di Omero, propose l'interpretazione dei poemi omerici tramite
l'allegoria. Nella disputa sulla lingua appoggiava gli anomalisti4.
3
Nella letteratura greca, il dialetto in cui una determinata opera veniva scritta era strettamente legato al genere cui questa
apparteneva, secondo la lingua dell’opera che l’aveva iniziato.
4
La Questione della lingua (cfr. Varrone nella prima età imperiale romana) vedeva contrapporsi due diversi modi di
considerare la lingua: gli anomalisti sostenevano essa fosse un organismo fluido soggetto al cambiamento, ritenendo che
l’uso di una parola ne legittima automaticamente la correttezza linguistica; gli analogisti invece ritenevano la lingua fondata
su un insieme di regole, le cui eccezioni devono considerarsi errori o comunque estranee alla lingua “pura”.
Letteratura
È di questo periodo il fenomeno dei poetae docti: poeti che oltre a comporre carmi curavano anche le edizioni di
autori passati. È il caso di Callimaco, che pubblicò le Πίνακες (lett. tavole): un'opera in 120 libri in cui catalogava
tutti gli autori greci più eminenti.
La letteratura ellenistica è ricca di sperimentazione, virtuosismi ed erudizione, a volte si potrebbe quasi
individuare un'implicita sfida al lettore, altrettanto colto, per vedere chi è più erudito. È il principio dell'ars gratia
artis. Si ricercano certezza e sicurezza nell'estetica. Si scrivono, inoltre, manuali riguardo ai generi letterari,
definiti da regole precisissime, che gli scrittori si divertono però ad infrangere, per mostrare quanto bene le
conoscano (tanto che sanno cosa fare per infrangerle), e per desiderio di innovazione.
La Commedia
La commedia di mezzo
Non tutti gli studiosi concordano nell'individuare una commedia di mezzo (μέση κωμῳδία), basandosi anche sul
fatto che Aristotele individuava solo l'antica e la nuova. Una fase intermedia fu individuata solo a partire dall'età
alessandrina.
I limiti temporale della commedia di mezzo sono il 388 a.C., data delle ultime commedie di Aristofane, il Pluto e
le Donne in Assemblea, e il 322 a.C., in cui Menandro, esponente della commedia nuova, pubblicò la sua prima
commedia.
L'ambito in cui essa si sviluppò era quello della crisi delle πόλεις, in cui il dibattito politico era sempre più difficile
e/o inutile. A prova di ciò, l'assenza di nuove opere tragiche, e la riproposta nei teatri solo dei drammi dei tre
grandi tragici dei secoli precedenti. La commedia, invece, sopravvisse, ma cambiò radicalmente. Le tendenze
presenti nella commedia di mezzo, poi, verranno portare all'estremo con la commedia nuova.
COMMEDIA ANTICA
ἀρχάια κωμῳδία
Argomento politico
ὀνομαστὶ κωμῳδεῖν
COMMEDIA DI MEZZO
μέση κωμῳδία
Evasione, divertimento puro
Assenza di attacco personale
COMMEDIA NUOVA
νέα κωμῳδία
Assenza politica, riflessione
Assenza di attacco personale
Costumi con fallo e linguaggio forte
e salace (ancora legami con le
falloforie)
Linguaggio moderato,
“borghese” (riso --> sorriso)
Parabasi (dibattito politico)
Assenza di parabasi
Coro (=collettività) commenta la
vicenda
Assenza di coro, presenti
intermezzi musicali senza
battute che separano gli atti
Temi privati, quotidiani, affetti
familiari (individui)
Linguaggio e ambientazione medioborghese, che allontanava dalla
commedia il pubblico non colto,
appartenente a classi sociali più
basse.
Assenza di parabasi, chiusura della
quarta parete
Assenza di coro, intermezzi
Questioni sociali, che riguardano la
πόλις (cittadini)
Trame talvolta complesse e
paradossali
Trame schematiche
Individualismo (personaggi=persone
qualunque, talvolta senza identità
precisa, per indicare l'universalità
della loro situazione)
Trame schematiche ma verisimili,
paradosso accettato perché reso
Educativa, politicamente impegnata
Eroe singolo
Presa in giro dei contadini per
evidenziare rapporto tra città e
campagna
Parodia mitologica
Polimetria (più metri diversi)
Donna assente o di poca importanza,
mero oggetto del desiderio
Elemento gastronomico: utopia
Personaggi --> Tipi (Teofrasto,
pupillo di Aristotele, che
cataloga i tipi di personaggi)
Puro divertimento
Pluralità di personaggi
Presa i giro campagna per
gusto dello scherno
Parodia mitologica
No polimetria; trimetro
giambico; κοινή
Importanza alla famiglia=alla
donna
Gastronomia solo per piacere
dell'abbuffata
possibile dalla τύχη cheè parte della
quotidianità
Tipi, ma problematici
Morale “consolatrice”
Attenzione all'humanitas e ai
rapporti tra i vari personaggi
Presa in giro dei contadini: segno di
gap tra città e campagna
Parodia mitologica (si conserva)
Trimetro giambico
Donne: protagoniste positive, si
indaga la loro psicologia
Come nella commedia di mezzo
I maggiori esponenti della commedia di mezzo furono:
 Antifane di Rodi o Smirne (IV sec. - 310 a.C.): autore prolifico di cui possediamo solo titoli e frammenti,
ricorre spesso alla parodia mitologica, in cui univa mito e attualità, e dei mestieri; nella sua opera emerge
un’attenzione per la donna e lo scherno dei filosofi e del loro parlare aulico. Non ebbe molto successo,
fu anche autore di una Ποίησις (poetica), in cui fa differenza fra tragedia e commedia, dato importante
perché è un indizio dei dibattiti letterari in corso.
 Alessi (372-270 a.C.): ne parla il lessico di Suda (un’enciclopedia bizantina), che lo cita come zio di
Menandro, secondo altri, invece, fu suo maestro. Ha uno stile raffinato e leggero, sarà imitato da Plauto,
le sue opere che conosciamo sono:
o il Fedro, che contiene una presa in giro di Platone;
o il Cavaliere, che esalta Demetrio Poliercete, governatore di Atene, per aver scacciato i filosofi;
o l’Odisseo tessitore, in cui Ulisse tesse la tela al posto di Penelope;
o il Lino, cantore mitico che cerca di insegnare la poesia ad Eracle, che però preferisce leggere di
gastronomia.
 Anassandride di Rodi, ma operante ad Atene, scrive le prime scene di seduzione, le Città, in cui tratta le
differenze tra Greci ed Egizi, ed un elenco di gastronomie.
 Eubulo, in cui possiamo vedere ancora retaggi della commedia antica, con tematiche di attualità, ad
esempio nel Dionigi, commedia contro l'omonimo tiranno, ricorre al dialetto, al linguaggio pesante e alla
polimetria (es. Antiope).
 Rintone (323 - 285 a.C.) di Siracusa o di Taranto, fu considerato l'inventore di un nuovo genere,
l'ilarotragedia, che univa alla farsa la tragedia, per altri, invece, compose fliaci tragici, dando dignità
letteraria ai fliaci5, che porteranno alla nascita del mimo a Roma.
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Con il termine ϕλύαξ, nella Grecia antica si indicava un demone della fecondità legato a Dioniso, che passò poi ad
indicare l'attore comico, in particolare l'attore delle farse fliaciche, per lo più comiche deformazioni della trattazione di
miti da parte di determinati poeti tragici, che erano caratterizzate da vivacità e realismo.
Commedia nuova
Abbiamo traccia di concorsi teatrali pubblici fino al 120 a.C., anche se venivano rappresentate opere anche in
occasioni private. C’erano anche compagnie di attori girovaghi, come ad esempio gli Artisti di Dioniso. Di tutti i
commediografi della νέα κωμῳδία, il solo le cui opere ci sono giunte per intero è Menandro che era infatti il più
famoso. Insieme a lui compaiono nel canone ellenistico dei commediografi anche certi Filèmone e Dìfilo, di cui
abbiamo, però, solo titoli e frammenti.
Per quanto riguarda la struttura, le commedie 'nuove' erano suddivise in 5 atti, divisi da intermezzi (χορόυ
μερός), slegati dalla trama. Si assiste in età ellenistica alla chiusura della quarta parete: mentre nella commedia
antica gli attori, con la parabasi, si rivolgevano direttamente al pubblico, rompendo lo 'schermo' che li divideva,
in età ellenistica ciò non avviene. Questo indica un distacco fra vita reale e rappresentazione. Anche lingua e
costumi di scena sono più sobri e moderati. Inoltre, si perde la polimetria e si predilige il trimetro giambico.
Filèmone e Difilo
Questi due nomi, di cui si conservano solo pochi frammenti, compaiono nel canone alessandrino insieme a
Menandro, anche se, dalle fonti, sappiamo che non furono tanto apprezzati quanto quest'ultimo: Filèmone, ad
esempio, era considerato pesante e prolisso. Effettivamente, entrambi appaiono ancora molto legati alla
commedia di mezzo e possono pertanto essere considerati ancora degli autori di transizione. Nati entrambi
attorno al 360 a.C., pertanto almeno vent'anni più grandi di Menandro, furono attivi ad Atene, nonostante
provenissero da luoghi piuttosto lontani, il che testimonia l'ampia diffusione del teatro greco.
Filemone, infatti, era originario o di Siracusa o di Soli, in Cilicia. Nelle sue commedie sono ancora presenti dei
riferimenti all'attualità, caratteristica addirittura della commedia arcaica, ad esempio nella commedia Filosofi, in
cui prende di mira un filosofo stoico del suo tempo.
Quanto a Difilo, invece, egli era probabilmente originario di Sinobe. Sua caratteristica era la parodia mitologica
(tipica della commedia di mezzo), in particolare della figura di Eracle. Inoltre, i suoi personaggi hanno psicologie
da tipi, poco approfondite. Entrambi sarebbero poi stati ripresi, con il processo della contaminatio, da Plauto.
Menandro
Vita
Menandro nacque da nobile famiglia ateniese tra il 341 e il 340 a.C. Fu efebo con Epicuro, allievo di Teofrasto,
peripatetico che stilò un canone sui tipi di personaggi teatrali, e amico di Demètrio Falèreo. Quest'amicizia dà
qualche indicazione sull'orientamento politico di Menandro, poiché Demetrio, che fu governatore di Atene dal
308 al 307 a.C., era un oligarca moderato. Inoltre, quando a Falerèo successe Demetrio Poliercete, Menandro
venne perseguito. In generale, condusse una vita ritirata; si dice che fosse follemente innamorato di un’etèra,
Glìcera, tra l'altro nome di una sua commedia, il che spiegherebbe la funzione moralmente positiva delle etere
nelle sue commedie.
Rapporto con Teofrasto
Quanto al suo rapporto con il maestro Teofrasto, invece, ci sono due scuole di pensiero:
 Secondo A. Körte, Teofrasto ha influenzato Menandro nella creazione di caratteri, lo studioso adduce
come prova il fatto che la psicologia dei personaggi menandrei sia più approfondita di quella dei tipi di
Teofrasto, ipotizzando quindi che Menandro l'abbia rielaborata in un secondo momento partendo dal
lavoro del peripatetico.

Dall'altro lato, invece, la scuola di O. Regenbogen, adducendo come prova i titoli delle commedie
menandree, che a volte riprendono i tipi catalogati da Teofrasto;
Ad ogni modo, a favore della prima scuola (Menandro riprende Teofrasto e poi approfondisce le peronalità,
sempre senza esagerare l'introspezione psicologica), si può dire che già Aristotele aveva studiato, nell'Etica
Nicomachea, i tipi teatrali.
Fortuna
Sicuramente molto letto ed apprezzato nell'antichità, tanto da essere invitato a corte da Tolomeo Soter, scrisse
circa cento commedie, per occasioni pubbliche e non, ma, nonostante ciò, riportò solo 8 vittorie, secondo alcuni
per brogli, oppure perché semplicemente non ritenuto abbastanza comico.
Nel Medioevo, il suo stile, a tratti sentenzioso fece sì che venissero tramandate soltanto delle massime morali,
sfortunatamente per il resto dei testi, che non vennero trascritti. Nonostante ciò, di recente sono stati ritrovati
dei papiri che conservano alcune commedie per intero.
La datazione delle commedie menandree è una questione aperta, ma in generale si possono annoverare tra le
commedie giovanili quelle ricche di elementi osceni, attacchi personali e metri diversi dal trimetro giambico,
mentre sono attribuite al periodo della maturità le commedie moralmente più impegnate, riflessive, prive di
elementi osceni e che trattano temi più seri.
Caratteristiche del teatro menandreo
L’umanesimo
In Menandro si può parlare sia di umanesimo sia, in un certo senso, di realismo. Perché Menandro è umanista?
In primis, ovviamente, per la centralità che l'uomo ha nelle sue commedie. In esse, infatti, vi è una visione
antropocentrica dell'uomo presa da Euripide, mentre né gli dèi né i fatti in sé hanno più un ruolo centrale. In
Menandro, ciò che conta sono l'individuo, visto nella sua dimensione quotidiana e privata, e il suo carattere, che
viene messo in risalto dalle vicende. Interessante notare, poi, come Menandro scelga determinati tipi a seconda
del messaggio che vuole veicolare.
Il cosmopolitismo
Inoltre, nonostante l'introspezione psicologica non venga ma spinta all'estremo con Menandro, rispetto agli altri
autori, i suoi personaggi hanno una psicologia più approfondita, tra l'altro anche in maniera raffinata; si assiste
in Menandro anche ad un radicale cambio di prospettiva: non c'è più, infatti, il cittadino ateniese che si sente
superiore al resto del mondo, bensì un individuo singolo, cittadino del mondo, appartenente non ad una pòlis in
particolare, ma all'umanità. Sotto questo punto di vista, Menandro ha molto in comune con i sofisti, che
affermavano già da tempo l'eguaglianza degli uomini, accomunati dalla loro natura. D'altronde, anche Menandro
dà importanza alla φύσις piuttosto che, ad esempio al censo o al lignaggio nobile. C'è da dire, però, che cambia
il modo di trattare questo tema: mentre i sofisti facevano delle vere e proprie analisi intellettuali di fatti e
situazioni, in Menandro questo non avviene.
La funzione pedagogica
Altre caratteristiche del teatro menandreo sono la sua funzione pedagogica, c'è sempre un messaggio trasmesso
dalle commedie, e la componente razionale, che alla fine fa trionfare il buon senso, tanto che persino la τύχη alla
fine, premia il più saggio.
Ciò però non faccia pensare che Menandro sia un ottimista: “Muore giovane colui che è caro al cielo” afferma,
sa che il male è connaturato all’uomo e non si può sfuggirgli ma, riprendendo Eschilo, crede nel πάθει μάθος, la
possibilità di imparare dalla sofferenza, di redimersi per l’uomo. Del resto lo stesso lieto fine è spesso imposto
dal genere letterario: le situazioni che nella realtà quotidiana non trovano soluzione la trovano però nella
commedia.
I personaggi e i valori
I personaggi menandrei non sono politici ma quotidiani, innestati sui rapporti familiari. La società rappresentata
è borghese, priva di preconcetti (sul censo, ecc.) che mira ad un’esistenza piana. Persino l’etera è resa neutra,
priva di alcun giudizio morale, anzi spesso personaggio positivo. Non si consideri questo un segno di femminismo
ante litteram: la donna è rivalutata sì, ma nella sfera del rapporto familiare, Menandro è un conservatore in
questo.
Lo scioglimento finale delle vicende che prevede spesso una scena familiare è un messaggio chiaro del
commediografo, in un periodo di crisi della polis: la famiglia è l’istituzione più solida. Sono assenti le divinità
tradizionali e tutto è dominato dalla τύχη e dai rapporti umani.
Lo scopo di Menandro non è quello di insegnare circa grandi temi ma di produrre un intrattenimento gradevole,
che resta comunque impegnato nella trasmissione di valori quali la filantropia, la solidarietà, l’amicizia, il rispetto,
l’umiltà ed il riconoscimento dei propri difetti, il tutto legato ad una sfera individuale e familiare. C’è orrore per
la trasgressione e per la palingenesi d’Aristofane, la struttura e ripetitiva negli schemi perché tranquillizzante: è,
come detto, una commedia borghese.
Il realismo
Per quanto riguarda il realismo, invece, già nell'antichità si riscontrava questa caratteristica. Plutarco, infatti,
descrive le commedie menandree come realistiche, ma anche Aristotele di Bisanzio, che si chiede retoricamente
se sia Menandro ad imitare la vita o viceversa.
Al lettore moderno ciò potrebbe sembrare un'esagerazione, viste le trame artificiose e dai risvolti decisamente
improbabili. Effettivamente, dal punto di vista dei luoghi e dell'ambientazione spazio-temporale, si parla
piuttosto di atmosfere, poiché, nonostante gli individui agiscano nella propria quotidianità, lo spazio in cui si
muovono non è ben contestualizzato nel tempo o nei luoghi, procedimento che nella letteratura classica verrà
portato all’estremo nel Satyricon di Petronio.
Piuttosto, è dal punto di vista della psicologia che si può parlare di vero realismo: i personaggi sono approfonditi,
anche quelli secondari hanno una propria coerenza di fondo, e non sono mai solamente riempitivi. Inoltre, il
linguaggio, non essendo né alto né volgare, è caratterizzato da un tono medio di uso quotidiano.
Opere di Menandro
Δύσκολος – il burbero
Trama6
La commedia è messa in moto dal dio Pan, che fa innamorare Sostrato, un ricco ed elegante giovane di città di
una ragazza di campagna, figlia di un vecchio misantropo, Cnemone. Il ragazzo si innamora di lei mentre è a
caccia. Cnemone è un vecchio bisbetico contadino che vive in casa con la sua unica figlia e una serva. La moglie,
stanca di lui si è trasferita a casa del figlio di primo letto, il serio e laborioso Gorgia, che abita nella casa accanto.
Cnemone vive coltivando il suo podere e evitando il più possibile ogni forma di contatto con gli estranei. Sostrato
vuole chiedere in sposa la fanciulla, Gorgia sospetta di ciò, ma l'altro si conquista la sua amicizia, dichiarando la
sua intenzione di sposare la ragazza offrendosi di lavorare con il futuro suocero nei campi per conoscerlo meglio.
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Paragrafo tratto da https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Il_misantropo_(Menandro)&oldid=77739841
Nel frattempo giunge la madre di Sostrato che ha preparato un sacrificio in onore di Pan nella grotta accanto alla
casa di Cnemone. Il vecchio, vedendo la folla, decide di restare in casa a sorvegliare la situazione. Sostrato torna
deluso dalla campagna e si unisce ai commensali. Ad un certo punto si viene a conoscenza del fatto che Cnemone
nel tentativo di recuperare un'anfora sfuggita alla sua serva, è caduto in un pozzo. Sostrato e Gorgia corrono a
salvarlo. Cnemone dopo il pericolo che ha corso, si mostra più ragionevole, e concede la mano della figlia a
Sostrato. Avviene anche un secondo matrimonio tra la sorella di Sostrato e Gorgia. La commedia si conclude con
il doppio banchetto nuziale, a cui Geta (un servo) e Sicone (il cuoco) trascinano a forza il riluttante Cnemone,
beffandosi di lui.
Caratteristiche
La commedia è stata rappresentata per la prima volta nel 317 a.C. in occasione delle Lenee, e valse a Menandro
il primo premio. Il prologo è recitato da Pan, cui è devota la figlia del protagonista, e non fornisce informazioni
essenziali agli spettatori, differenziandosi così dagli altri delle commedie menandree. Commedia giovanile di
Menandro, presenta bruschi passaggi tra le scene di realismo e quelle di comicità e sono in scena figure comiche
fine a se stesse come il servus currens o il cuoco.
Il cambiamento interiore – tipico dei protagonisti delle sue commedie - non è generato da una maturazione
intima del personaggio ma piuttosto da un intervento esterno della τύχη, altro segno che si è davanti ad una
delle prime produzioni del commediografo. L’idea di fondo nel testo è la condannda della δυσκολία: l’uomo non
è un animale politico ma un animale tendente alla φιλία, il suo obbiettivo è l’humanitas.
Περικειρομένη – la ragazza tosata
Trama7
Moschione e Glicera sono abbandonati in tenera età dai genitori e vengono cresciuti separati: Moschione viene
adottato dalla ricca Mirrina mentre Glicera diventa la concubina del soldato Polemone. Glicera è consapevole di
essere la sorella di Moschione, ma il fratello ne è ignaro e si innamora di lei. I due vengono colti da Polemone
mentre si abbracciano e ciò suscita l'ira di Polemone, il quale, per vendicarsi, rasa i capelli di Glicera, per umiliarne
la bellezza. La giovane si rifugia quindi nella casa di Mirrina, rivelandole la verità. Dopo numerose complicazioni
(tra cui un tentativo di assalto alla casa di Mirrina da parte di Polemone), la situazione inizia a chiarirsi grazie
all'intervento di Pateco, un vicino di casa di Mirrina. Egli, spinto dalla curiosità, si interessa alla faccenda e alla
fine scopre di essere il padre dei due fratelli. La commedia termina con un lieto fine: Glicera e Polemone possono
riappacificarsi e convolare a nozze, mentre Moschione, ritrovata la sorella, ottiene a sua volta una sposa grazie
al padre Pateco.
Caratteristiche
La commedia è posteriore al 314 a.C., lo sappiamo da un accenno interno al testo all’assassinio del figlio del
generale macedone Poliperconte, Alessandro, ci è giunta in maniera incompleta in cinque papiri per un totale di
cinquecento versi tramandati. I temi trattati sono il riconoscimento finale e l’amore. Il prologo è recitato da
Ἄγνοια, dea dell’ignoranza, anticipando in qualche modo il finale, che genera l’intero intreccio. Glicera sopporta
con dignità l’umiliazione pur di tutelare il fratello dalla condizione di schiavo cui sarebbe incorso se la donna
avesse rivelato la verità. L’amore fraterno e quello matrimoniale alla fine della commedia ne escono in definitiva
rafforzati dalla volontà umana e dall’intervento della τύχη, che annulla ogni altra forza divina.
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Paragrafo tratto da https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=La_donna_tosata&oldid=76784550
Έπιτρέποντες – l’arbitrato
Trama8
Il pastore Davo, trovato il giorno precedente un neonato esposto, si fa convincere dal carbonaio Sirisco ad
affidargli il pargolo, ma trattiene per sé i suoi effetti personali; Sirisco reclama questi per il trovatello: per dirimere
la controversia, i due stabiliscono di rivolgersi ad un arbitro, scegliendo casualmente il vecchio Smicrine. Costui
è in realtà, senza saperlo, nonno, del piccolo, in quanto sua figlia Panfile, pochi mesi prima di sposare Carisio, era
stata violentata da uno sconosciuto. Il vecchio, dopo aver ascoltato le ragioni di entrambi, assegna gli oggetti a
Sirisco, che ha ricordato come nelle tragedie questi sono essenziali perché il trovatello, cresciuto, possa un giorno
rendersi conto dei propri natali e di esser figlio di potenti o di nobili.
Onesimo, schiavo di Carisio casualmente presente, riconosce tra gli oggetti un anello del padrone, rivelandolo ad
Abrotono, etera dal buon cuore presso cui Carisio si era consolato dopo aver scoperto lo stupro della moglie; la
donna, sospettando che Carisio sia il padre del piccolo, gli mostra l'anello, fingendosi la vittima della violenza e
ottenendo da lui, ubriaco al momento dello stupro, una confessione. A questo punto Smicrine insiste perché la
figlia lasci il marito infedele, ma questa, innamorata, si rifiuta; intanto il marito, riconosciutosi colpevole dello
stupro, lui crede, nei confronti di Abrotono, è pronto a perdonare la moglie per essere stata violentata,
riflettendo sul fatto che lei è vittima di una colpa analoga a quella che lui stesso ha commesso. Infine Abrotono
rivela la verità sulla maternità del bambino, cosicché Panfile e Carisio scoprano di non essere mai stati infedeli
(infatti il marito ha stuprato la moglie, non un'altra) e si possano riconciliare.
Caratteristiche
Scritta dopo il 304 a.C., da indizi interni al testo, il titolo prende spunto dalla contesa tra i due protagonisti Davo
e Sirisco. Nella commedia emerge un pensiero di parità tra i sessi (es. il marito che riflette sulle sue responsabilità
verso la moglie), tra i primi casi nella letteratura greca. L’intervento della τύχη è esteriore mentre il cambiamento
avviene in realtà all’interno dei personaggi, in particolare emerge la bontà d’animo e la solidarietà di Abrotono,
un’etera, cosa non nuova in Menandro.
Σαμία – la ragazza di Samo
Trama9
Moschione, figlio adottivo di Demea, ama la figlia di Nicerato, la giovane Plangone, con la quale si è unito
carnalmente durante la festa delle Adonie: la giovane è rimasta incinta e Moschione ha giurato di sposare la
donna. Tuttavia, dal momento che Moschione non vuole per il momento rivelare la propria paternità, il figlio,
ormai nato, viene fatto passare per quello della concubina di Demea, Criside (la donna di Samo del titolo), la
quale in effetti aveva da poco dato alla luce un bimbo morto dopo pochi giorni. Al suo ritorno, Demea cade
vittima di equivoci che lo portano a credere che il piccolo sia davvero nato dall'unione tra il figlio e Criside. L'uomo
allora, cieco di gelosia, caccia di casa la concubina accusandola di tradimento, e la donna tace sulla verità per
difendere l'onore di Plangone.
Da qui nascono una serie di fraintendimenti, durante i quali Nicerato afferma addirittura di voler uccidere Criside,
e Demea per placarlo gli racconta che la concubina non sarebbe incinta di Moschione ma nientemeno che di
Zeus. Quando la tensione è al culmine, finalmente Moschione racconta al padre che il figlioletto non è nato da
Criside ma da Plangone. Chiarito l’equivoco, Moschione fa l’offeso per i sospetti di cui è stato oggetto, ma alla
fine tutto si aggiusta e si possono celebrare le nozze tra lui e Plangone.
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Paragrafo tratto da https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=La_donna_di_Samo&oldid=74532781
Caratteristiche
La Samia è una commedia degli equivoci, pretesto per mostrare i comportamenti umani, scritta in epoca della
maturità: la trama infatti è compatta e calzante. Il monologo iniziale di un Moschione mortificato lo mostrano
subito come immaturo e poco responsabile. Anche in questa commedia la concubina ha una figura positiva,
Criside, che si assume responsabilità non proprie. Il carattere di Demea invece non può essere stereotipato: si
vergogna persino di essere geloso della concubina, legittimando in qualche modo il rapporto extraconiugale.
Ἀσπίς – lo scudo
Trama10
Secondo Davo, il guerriero Cleostrato è morto in battaglia in Asia Minore. Egli si è invece salvato da un agguato
dei barbari nell'accampamento greco, perché il suo padrone lo aveva allontanato col bottino e le ricchezze
accumulate durante i saccheggi dei greci, affinché lo ponesse in salvo. Racconta Davo che dopo l'assedio, egli era
tornato sul campo di battaglia e tra i cadaveri aveva scoperto Cleostrato. Il riconoscimento era stato possibile
solo grazie al ritrovamento del suo scudo danneggiato gravemente, perché il corpo era tutto carbonizzato,
bruciato dagli assalitori dopo la carneficina.
Smicrine è disperato alla notizia e corre subito dai familiari con Davo per recare la triste notizia. Usciti di scena,
entra silenziosamente la Dea Fortuna e spiega al pubblico l'enorme equivoco: infatti Davo aveva scambiato il
cadavere di Cleostrato con quello di un altro combattente che, nella confusione dello scontro, aveva preso lo
scudo di Cleostrato. Appunto la dea spiega che in quel preciso momento Cleostrato sta tornando nella città.
Intanto Smicrine ha dato la notizia ai familiari, ma in realtà l'animo dell'uomo è tutt'altro che infelice per la
perdita del nipote. Avidissimo e crudele, Smicrine vuole infatti approfittare della morte di Cleostrato per
appropriarsi del bottino del soldato che ora spetta alla sorella del defunto, da questi affidata prima di partire a
un altro zio, il ricco e generoso Cherestrato. Così subito si fa avanti per sposarla, nonostante lei sia più giovane
di molti anni: la legge ateniese - che prescrive che una ragazza rimasta senza congiunti maschi vada in sposa al
parente più prossimo - glielo consente. L'avido vecchio cerca l'aiuto di Davo per compiere la sua opera,
affermando di esser stato estromesso quando Cleostrato aveva promesso la nipote a Cherea, figlio di primo letto
di sua moglie, ma Davo si tira indietro, adducendo come pretesto il fatto di essere ignorante in materia. In realtà
Davo ha in mente un piano per soccorrere Cherestrato che, di fronte alle pretese di Smicrine, è precipitato nello
sconforto. Il piano di Davo è questo: per distogliere Smicrine dall'idea delle nozze con la sorella di Cleostrato,
Cherestrato - che è molto ricco - deve fingersi morto, in modo che sua figlia diventi l'erede di un patrimonio ben
più consistente del bottino di guerra di Cleostrato, attirando su di sé l'attenzione del vecchio avido. Per dare
maggior valore alla messinscena, arriva anche un (falso) medico, che diagnostica l'imminente morte di
Cherestrato. Qui, purtroppo, il papiro presenta una lacuna, dopo la quale si assiste al ritorno di Cleostrato. La
commedia si conclude con doppie nozze: quelle di Cherea con la sorella di Cleostrato, e quelle di quest'ultimo
con la figlia di Cherestrato. L'avido Smicrine rimane così a bocca asciutta.
Caratteristiche
Nella commedia, mutila di gran parte della seconda metà, ruolo dominante lo ha la τύχη. Ricorrono i temi della
filantropia intesa come universale e destinata a tutti, in una società intesa come cosmopolita.
Appunti realizzati da Erica Trotta e Paolo Franchi, VBC (A.S. 2015/2016).
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