L’ERRORE È UNA CONTRADDIZIONE DIALETTICA Sommario: 1. Definizione concettuale – 2. Riassunto della storia interpretativa: gli antichi – 3. I moderni – 4. Commentando la classificazione – 5. Qualche considerazione contemporanea ed estemporanea – 6. Errore filosofico ed errore scientifico – 7. Il peccato. 1. DEFINIZIONE CONCETTUALE Il termine “errore” proviene dal verbo latino “errare”, che possiede un significato letterale poi ripreso soprattutto in ambito poetico che indica “girovagare”, “peregrinare”. Qui interessa invece l’accezione che indica «allontanamento dal vero, dal giusto, dalla norma e simili»1. Quali sono le cause di tale allontanamento? Come esso si caratterizza? Si distingue da concetti apparentemente vicini come “falso”, “sbaglio” ? Se ne può parlare in chiave filosofica, ha inerenze in altri campi, quale ruolo vi occupa? In che misura si allontana dal vero? Anche la certezza e l’opinione si distinguono dal vero. Ma possono essere vere. La certezza è una presunzione di verità che si fonda sul soggetto più che sull’oggetto; l’opinione viceversa un’approssimazione alla verità che si fonda piuttosto sull’oggetto che sul soggetto. Entrambe possono essere errate, per quanto si conferisca comunemente alla certezza maggiore probabilità di verità che all’opinione. Nella terminologia morale, “errore” è anche sinonimo di “colpa” e, soprattutto in quella cristiana, di “peccato”. Dunque, implica insieme all’atto cognitivo quello intenzionale e volitivo. Presuppone la libertà e la possibilità. Nella scienza fisica, l’”errore” è definito la «differenza fra il valore esatto e quello dedotto dall’osservazione nella misurazione di una grandezza». In generale, comunque, in merito all’errore si potrebbe distinguere un ambito prettamente logico e un ambito pratico. Tuttavia, ogni errore pratico è riconducibile a una logica. Pertanto, una definizione dell’errore non può che essenzialmente fondarsi in ambito logico. Il suo risvolto pratico si può differentemente definire “sbaglio”. L’errore si compie risolvendo problemi, lo sbaglio risolvendo esercizi. In tal senso, possiamo definire l’errore «termine logico, opposto, per contraddizione, a verità»2. Se «l’indice della verità è la non-contraddizione, l’indice dell’errore è la contraddizione: esso attribuisce o oppone al soggetto un predicato che non gli conviene»3. L’errore si distingue dalla falsità, perché assume un’apparenza di contenuto positivo che la falsità non ha. Per una mente che erra, quello che è affermato sembra vero. Dunque, potremmo distinguere l’errore come errata certezza o errata opinione. Pertanto, di solito l’errore ha principio da fonti inconsce e causa o nel soggetto (causa formale) o nell’apparenza dell’oggetto (causa materiale). L’errore non esiste, fin quando non sia stato scoperto. Esso richiama la conoscenza della verità come parametro di giudizio. E’ definito in base ad essa; la presuppone. La verità è una, l’errore molteplice. Esso è un grado di approssimazione alla verità, un preambolo di essa4. Ma l’errore ha dignità ontologica? Se la verità è necessaria, l'errore partecipa della necessità o si colloca nel piano della possibilità? Intanto, si può procedere a qualche classificazione degli errori: - Quanto alle cause: Sistematico: dipendente da difetto dello strumento o da cattivo procedimento. Accidentale: dipendente da cause incontrollabili. - Quanto alla forma: Vocabolario della lingua italiana, Zingarelli, Bologna 1970. Dizionario delle idee, Sansoni, Firenze 1977. 3 Ibidem. 4 Cf. S. Cesellato, Di alcune considerazioni intorno alla verità e all’errore, Cedam, Padova 1958. 1 2 1 Categoriale: definizione dell’oggetto difforme dai suoi attributi naturali. Dei sensi: sostituzione delle sensazioni attuali con sensazioni allotrie (per esempio ricordate). Di scienza: dovuto all’uso di mezzi, strumenti, metodi, compresi i sensi. Di concetto: l’intelligenza non erra in quanto intelligenza, ma in quanto è limitata o provocata ad errare dalla volontà. Pratico: da direzioni o attuazioni imperfette della volontà e dell’azione dal punto di vista del conseguimento dei risultati e dell’identità d’intenzione, azione e fine. Biologico o di natura (per esempio malattie o deformità). 2. RIASSUNTO DELLA STORIA INTERPRETATIVA: GLI ANTICHI Sia nell’antichità (greca) che nel medioevo (cristiano) erano attribuite all’errore cause prettamente psicologiche e morali. L’errore era ritenuto una forma di prevaricazione passionale che perturba l’uso della volontà, della ragione e della retta opinione. Dunque una sorta di opinione sostituita alla ragione e sottoposta a guidare la volontà secondo la passione. Se dunque è vero che anche la definizione dell’errore pratico si trova in ambito logico, tuttavia la definizione dell’errore logico ha una causa legata a un evento che agisce a livello non meramente logico ma, proprio in quanto agire, a un che di pratico che si traduce in patico. Tuttavia se l’errore tradisce l’esigenza dell’intelletto di giungere alla verità, esso tradisce anche la passione, nella misura in cui la lascia sul piano inconscio, non permettendole di estendersi pienamente fino al concepimento dell’intelletto stesso. L’errore è apàtheia (ignoranza sensibile) o amartìa (errore, colpa, peccato). Assumendo la convenzione che una speculazione razionale autonoma dai miti e dalla religione prende le mosse per l’Occidente nella Grecia del VII secolo a.C., si riscontra già nel pensiero alle origini di tale speculazione una duplice questione: la relazione di contiguità e contrasto dell’attività razionale con la ricezione sensibile della realtà; la giustificazione della limitatezza della dimensione umana nei suoi molteplici aspetti, da quello conoscitivo a quello esistenziale. Il tentativo di soluzione di tali questioni assume diverse forme: dalla sintesi di esse nell’esaltazione della razionalità a scapito della sensibilità, cui è propria l’attestazione del limite, in una dimensione corporea che se non può essere negata va superata dall’interiorità, che ne svela la superficialità e dunque la non piena realtà, ad evitare l’inverso, ovvero che la presenza apparente distolga dall’attenzione per la vera realtà (Parmenide e la scuola di Elea); all’assunzione di giustificazioni di matrice mitico-religiosa che attribuiscono ad una qualche colpa originaria la caduta dell’anima umana nella limitatezza corporea, legata alla conoscenza sensibile e ad un inevitabile finire, almeno della realtà fisica individuale (Pitagora e Platone); alla rivalutazione dell’esperienza sensibile che deve essere assunta come giusta misura dalla razionalità (da Aristotele ai moderni). Da Democrito ad Aristotele l’errore è considerato dipendente da un’insubordinazione della sensibilità e va a consistere in un’opinione sostituita alla ragione che guida la volontà secondo la passione. Secondo Platone l’errore è sempre involontario, in quanto è sinonimo d’ignoranza (Gorgia, 467 E – 480 C). E’ credere di sapere mentre non si sa. E’ in Aristotele che troviamo una definizione dell’errore in quanto negazione del principio d’identità, che tuttavia, non dimostrato, può apparire arbitrario (Metafisica IV, 3, 5, 1005 b; 4, 1, 1006 a; 5, 1, 1009 a). E’ da considerare un’incidenza del tempo: negare il principio d’identità, ovvero cadere nella contraddizione, significa attribuire e non attribuire un predicato al medesimo soggetto nel medesimo tempo e nella medesima relazione. Quindi si tratta non solo di attribuire in astratto un predicato a un soggetto, la cui connotazione predicativa può mutare, o nel caso dell’essere necessario non lo può, ma d’individuare la situazione temporale del soggetto-oggetto, per stabilire una differenza predicativa. A ciò si aggiunge un’autopercezione del soggetto che intende nella definizione in modo da non cadere in una sfasatura che impedisca la coincidenza sì tra concetto e realtà, ma previamente tra il tempo del soggetto e il soggetto-oggetto da definire. L’errore ha una dimensione pratica comunque riconducibile a un’ignoranza dell’universale. 2 Secondo Epicuro (Ad Erodotum, 50) «l’inganno e l’errore è sempre in quel che col giudizio aggiungiamo a quel che attende di essere confermato o di non aver attestazione contraria, per un moto che sorge in noi congiunto all’atto apprensivo, ma da esso distinto»5. Plotino menziona un “primo errore” (Enneadi IV, 3, 16) da cui consegue la possibilità degli altri, derivanti da una sproporzione tra la potenza dell’anima e quella del corpo. Per Agostino l’errore appartiene al genere della privazione, dunque è per natura ateoretico, convinzione che sarà ripresa da Descartes, Spinoza e Kant. Se c’è una corrispondenza tra la verità e la realtà, l’errore in quanto non verità viene a corrispondere a una non realtà. Tommaso d’Aquino afferma che si ha errore nell’intelletto quando questo esprime un giudizio su ciò che non si sa (De malo, q.3, a 7). 3. I MODERNI «Non è uom sì savio che non pigli qualche volta degli errori» (Guicciardini) e «farà cosa utile agli altri colui che insegnerà quella via per cui errò» (della Casa). Nella filosofia moderna troviamo la prima dottrina sistematica sul’errore, con Francis Bacon e la sua teoria degli “idola” (Novum Organum ed. 1620, I, 38-68; Cogitata et visa, 1606, I-X). I filosofi moderni usano articolare il proprio discorso in una pars destruens, volta a liberare il campo dagli errori e una pars construens. Bacon chiama idola le immagini della fantasia che turbano l’intelletto con false nozioni. Essi sono innati o acquisiti. I cosiddetti idola tribus sono gli errori comuni al genere umano, che provengono da alcune disposizioni naturali della mente, dalla sua limitatezza, dalla tendenza a cercare sempre regolarità e uniformità nella natura anche dove non vi sono, dall’inclinazione a fare anticipazioni, ossia a formulare giudizi non ancora forniti di riprova sperimentale. Gli idola specus sono gli errori che si annidano nella “caverna” che ognuno ha dentro di sé: i raggi della luce, la verità delle cose, vengono deformati in ogni uomo secondo deviazioni particolari che gli sono proprie e sono relative al suo carattere, alle sue particolari abitudini, all’educazione ricevuta, alle passioni da cui è dominato. Gli idola fori sono gli errori che derivano dall’uso del linguaggio, dalla vita sociale: nel linguaggio e nell’ambiguità che esso comporta risiedono innumerevoli possibilità d’incomprensione, di equivoco, di assurdità. Infine, gli idola theatri, eventuali errori derivanti dall’influenza e dal dominio che esercitano sulle menti le teorie antiche e tradizionalmente affermate, le figure di grande autorità e prestigio, i grandi filosofi. Per eliminare gli errori, Bacon proporrà di fare tabula rasa delle conoscenze presenti nella mente, per rifornirla attraverso l’applicazione di un metodo scientifico rigoroso, incentrato sulla classificazione oggettiva dei fenomeni. Tale esigenza critica era sollecitata anche da quelle scoperte scientifiche che tra Cinquecento e Seicento avevano mostrato l’erroneità di un sistema, quello aristotelico-tolemaico, che per secoli era stato tenuto per vero. Così nell’ambito più squisitamente filosofico della metafisica, della gnoseologia e dell’etica, la crisi del medioevo e del sistema scolastico, che giustificava le istanze veritative riconducendole all’assunto teologico, Descartes formulava a propria volta un metodo rigoroso d’indagine, che fungeva da spartiacque della verità e dell’errore. Egli argomentava: «donde nascono i miei errori? Da ciò solo, che la volontà essendo molto più ampia e più estesa dell’intelletto, io non la contengo negli stessi limiti, ma l’estendo anche alle cose che non intendo, alle quali essendo di per sé indifferente, essa si smarrisce assai facilmente, e sceglie il male per il bene, o il falso per il vero». Quindi l’errore è prodotto dall’influsso inconscio della volontà sull’intelletto. A detta di Malebranche l’errore è «ragione della miseria degli uomini […]; è lui che ha fatto nascere e che nutre nel nostro animo tutti i mali che ci affliggono»6. Esso è conseguenza del peccato originale, che rende doloroso il rapporto obbiettivo tra gli organi di senso e le cose, e porta il libero arbitrio corrotto a cercare il piacere e rifiutare il dolore secondo i suoi istinti e valutare le cose alla loro stregua7. L’uomo preferisce le sensazioni abituali ed è portato a relazionarsi al nuovo secondo quelle, Epicuro, Opere, Torino 1960, p.46. N. Malebranche, Recherche de la vérité, Vrin, Paris 1972 (1674), p.39. 7 Cf. ibi I,5. 5 6 3 anche quando non gli corrispondano veramente. Sul piano culturale è un atteggiamento tipico dei tradizionalisti, che interpretano ogni realtà secondo gli stessi modelli, anche quando non sono più adeguati. Secondo Spinoza, bisogna tener conto di una distinzione tra verità di ragione e verità di fatto. Se per spiegare le seconde, che riguardano appunto i fatti nella loro semplicità, basta ricorrere al principio di ragion sufficiente, ovvero risalire alla causa prossima del fenomeno, la verità di ragione richiedendo una spiegazione ultima della realtà esige un’indagine assai più complessa, poiché per giustificare esaurientemente qualcosa, occorre considerarlo all’interno della relazione con l’intera realtà e l’intera storia, ed individuare il suo rapportarsi con la sostanza unitaria di tutto ciò che esiste. Perciò la ragione non è più soggetto dell’indagine, ma in essa stessa compresa, elevando la verità a un piano d’infinità che solo un’intuizione può raggiungere. Ma «erra l’uomo finchè cerca» faceva affermare Goethe a Faust; secondo Hegel gli errori sono momenti astratti del divenire dell’idea, via via superati e inverati con la dimostrazione della loro necessità logica e storica. Insomma, «errore e ricerca della verità s’intrecciano di continuo» (B. Croce8). 4. COMMENTANDO LA CLASSIFICAZIONE Quanto alle cause: ogni errore è riconducibile a una o più cause. In tale riconducibilità risiede anche la possibilità della sua correzione. Sistematico: dipendente da • difetto dello strumento: per strumento s’intende l’apparato sensitivo-percettivo o altri mezzi scientifici che rilevano i dati, l’intelletto o altri mezzi scientifici per la definizione dei dati provenienti dal rilevamento, la ragione (forse non ancora sostituibile da altri mezzi) per l’unificazione delle definizioni specifiche conseguite o l’intuizione che anticipa in modo immediato tale unificazione. Per difetto s’intende un limite o danno congenito o acquisito dello strumento. Se lo strumento è quello scientifico il difetto va a consistere in un’inadeguatezza dello strumento a conseguire la definizione dell’oggetto considerato. Tale difetto è riconducibile a cause circostanziali o rimanda anch’esso ad una sbagliata o errata produzione dell’uomo. • cattivo procedimento: il procedimento conoscitivo per approdare a una conclusione veritativa, eccetto casi fortuiti, deve rispettare un ordine metodologico. Accidentale: dipendente da cause incontrollabili, ovvero intromissioni nel procedimento conoscitivo esterne o inconsce. Quanto alla forma: indica la tipologia e l’ambito dell’errore. Categoriale: definizione dell’oggetto difforme dai suoi attributi naturali: Per formulare una definizione utilizziamo degli elementi o termini volti a identificare l’oggetto attraverso l’accostamento di predicati a un nome. Ciò presuppone la presenza nel soggetto che si accinge alla definizione di tali elementi, ottenuti attraverso l’apprendimento linguistico e l’educazione logica, rispondenti a una preformazione naturale umana sul piano linguistico e logico. Quindi per una corretta definizione si richiede una sana preformazione naturale; corretti apprendimento ed educazione; adeguata applicazione delle categorie ai dati correttamente recepiti attraverso la percezione, nel rispetto di principi metodologici noti. Dei sensi: sostituzione delle sensazioni attuali con sensazione allotrie: specifica l’errore nell’ambito della conoscenza sensibile. Di scienza: In proposito, W. Cannon ha compilato un inventario di quelli che sarebbero i più comuni errori: della supposizione non provata, della prova incompleta, dell’omesso controllo, della tecnica difettosa, delle cause multiple trascurate, delle conclusioni ingiustificate, del particolare trascurato9. 8 9 B. Croce, Logica come scienza del concetto puro, Laterza, Bari 1958, p. 305). Cf. W.B. Cannon, La ricerca scientifica. Le esperienze di uno scienziato nel campo delle indagini mediche, Bompiani, Milano 1959. 4 effetto. Un’altra classificazione è quella proposta da Beveridge: La convinzione che tutti i fatti abbiano la loro causa in quello che li ha preceduti. L’assunto che quando due fattori sono correlati, la relazione sia necessariamente di causa ed Costruire ipotesi ingiustificate su dati incompleti. Trascurare le cause multiple di un fenomeno. Generalizzare partendo da rilievi su campioni non rappresentativi. Di concetto: l’intelligenza non erra in quanto intelligenza, ma in quanto è limitata o provocata ad errare dalla volontà: incide particolarmente in questo ambito l’influenza passionale. La relazione del soggetto con eventi interni ed esterni suscita reazioni emotive prerazionali che possono prevaricare l’intelligenza, suscitando rappresentazioni immaginative che hanno l’apparenza del concetto e ricevono contenuto dal desiderio o dalle emozioni, non rispettando l’oggettività della realtà all’origine del processo, ma trasfigurandola per propria mediazione. Pratico: da direzioni o attuazioni imperfette della volontà e dell’azione dal punto di vista del conseguimento dei risultati e dell’identità d’intenzione, azione e fine: come si diceva, l’errore non è semplicemente nell’atto pratico, questo è il caso dello “sbaglio”, ma risiede nella dimensione progettuale dell’azione, che formula concettualmente il rapporto di convergenza d’intenzione, azione e fine. Biologico o di natura (per esempio malattie o deformità). 5. QUALCHE CONSIDERAZIONE CONTEMPORANEA ED ESTEMPORANEA Il conoscere è caratterizzato dalla dialettica della verità e dell’errore 10. Tale dialettica può metterne in risalto il legame, tanto da parlare di “errore intelligente”, o la contrapposizione, tanto da considerare l’errore ateoretico. Anche gli animali commettono errori. Gli angeli e i santi possono commetterne. I vegetali, i minerali e Dio no. «L’uomo che avesse l’impressione di non sbagliare mai, sbaglierebbe sempre»11. Frequentemente è possibile solo grazie agli errori commessi cogliere la soluzione di problemi che altrimenti sarebbero rimasti chissà ancora per quanto tempo insoluti. «Sempre s’impara errando», poetava il Metastasio (Demetrio, atto II, scena 3a). «Il panico dell’errore è la morte del progresso», asseriva Whitehead e, d’altronde, «nessuno può evitare di fare errori; la cosa più importante è imparare da essi» (Popper). Dall’analisi di ogni errore contingente si può trarre un insegnamento di valore permanente. L’analisi della motivazione dell’errore spetta alla psicologia, lo studio della sua qualificazione alla metodologia12. La storia della psicologia e in particolare quella dei processi cognitivi è intrecciata con il problema degli errori. La correzione degli errori può essere empirica o complessiva (intervenendo sui principi). Essa dipende da un perfezionamento del soggetto e da un progresso critico nella determinazione dell’oggetto. Raccontava lo scienziato Herman von Helmotz: «mi sembra d’essere quasi un viandante su delle montagne, che, non conoscendo la via, si arrampica lentamente e affannosamente e spesso deve ritornare sui suoi passi perché non può proseguire; alla fine, o per riflessioni o per fortuna, scopre un nuovo sentiero che lo porta fino al termine; quando egli raggiunge la meta scopre, con sua vergogna, che esiste una strada maestra, per la quale avrebbe potuto salire, se avesse soltanto avuto l’intelligenza di trovare il giusto avvio»13. La critica è «la più efficace profilassi dell’errore»14. Ma anche amare è giustificare gli errori. Per quanto l’errore sia «un’amante con la quale è estremamente sconveniente per lo scienziato farsi vedere Cf. M. Baldini, Epistemologia e pedagogia dell’errore, La Scuola, Brescia 1986. G. Bachelard, La formation de l’esprit sciantifique, Vrin, Paris 1977, p.239. 12 Cf. E. Poli, Metodologia medica. Principi di logica e pratica clinica, Rizzoli, Milano 1966. 13 W.I.B. Beveridge, The Art of Scientific Investigation, Heinemann, 1950; trad. it. L’arte della ricerca scientif ica, Armando, Roma 1981, p.72. 14 A. Murri, Quattro lezioni e una perizia. Il problema del metodo in medicina e biologia, Zanichelli, Bologna 1973, pp. 87-88. 10 11 5 in pubblico»15. Invece «i medici hanno dedicato all’errore ben più pagine degli scienziati»16. Non esiste opera di metodologia medica che non abbia una parte dedicata a questa tematica. 6. ERRORE FILOSOFICO ED ERRORE SCIENTIFICO La parentela della conoscenza filosofica con quella scientifica è stata ed è storicamente e teoreticamente al contempo stretta e conflittuale. Nell’antichità le figure del filosofo e dello scienziato non erano pressochè distinte, bensì unificate in quella unica di sapiente o ricercatore della sapienza. Modello eccelso di tale unità fu Aristotele, che per primo formulò criteri scientifici per la filosofia e trattò filosoficamente la scienza. In che senso? La ricerca conoscitiva assume valore scientifico nella misura in cui assume un metodo rigoroso d’indagine e ragionamento, che muove dal binomio di esperienza e principi primi, per edificare sistematicamente il proprio discorso. Ma l’atteggiamento critico dell’attività conoscitiva umana, che procede dialetticamente criticando ogni modello una volta che sia stato definito, non si smentisce nella considerazione del sistema aristotelico operata nel periodo successivo, quello ellenistico. In virtù di tale spirito dialettico, di una reale insoddisfazione nei confronti di un discorso che unificando tutti gli aspetti del reale nell’egida di una logica comune non rendeva giustizia esplicativa alle specificità dei diversi ambiti della realtà, in virtù infine del progredire delle conoscenze in specie fisiche e dunque del complessificarsi dell’indagine conoscitiva, nell’epoca ellenistica troviamo già una separazione tra filosofi che si dedicano prevalentemente all’indagine ontologica, etica, metafisica, pur non trascurando le questioni cosmologiche, e scienziati che rivolgono la propria attenzione specifica alle questioni della fisica, della matematica, dell’astronomia, della medicina. Aristotele aveva distinto le scienze, in teoretiche, la metafisica in quanto scienza o filosofia prima che tratta dell’essere in quanto essere, la fisica e la matematica; pratiche, ’letica e la politica; poietiche, quelle che hanno per risultato un’opera distinta dal soggetto agente. Ma lo spirito sistematico le riconduceva tutte al metodo della logica formale da lui inventata e alla struttura metafisica che comunque soggiaceva. Sono tuttavia i moderni a rompere più profondamente l’unità aristotelica, sia per l’ormai grado avanzato e dunque complesso delle conoscenze e dei problemi, sia per una svalutazione delle questioni metafisiche che reggevano tutto il discorso aristotelico, soprattutto perché la credenzialità di quel sistema, che si materializzava in quella visione cosmologica ricordata come sistema aristotelicotolemaico, venne meno con le scoperte copernicane. Dunque nella concezione aristotelica l’errore era riconducibile a natura univoca, come contraddizione del primo principio logico-metafisico d’identità. Ogni errore di carattere scientifico o anche pratico era a quell’origine riconducibile. Collocandosi pertanto l’errore su tale piano di originarietà, non poteva essere tollerato dal filosofo, che vedeva in esso uno dei peggiori avversari dell’accrescimento conoscitivo. Il divorzio della scienza dalla metafisica, della pratica dalla teoretica, doveva mutare tale considerazione? Sembra di sì. Mentre per il filosofo l’errore è il male intellettuale da evitare, da ritenere anche impossibile dati i principi e il corretto metodo di ragionare dai principi, o da negargli dignità d’esistenza, in quanto mera privazione di verità, dunque di realtà, concettuale e tanto più fisica, non essere; per lo scienziato, che considera i principi ipotesi, che procede per esperienze, esperimenti e tentativi, l’errore diviene interlocutore abituale del processo conoscitivo, assume in quanto probabilità dignità gemella alla verità, è inevitabile gradino nella salita verso la scoperta, tanto che in molti hanno inteso il progresso scientifico all’insegna del falsificazionismo, ovvero la scienza progredisce non quando una nuova teoria è affermata, ma quando una teoria è confutata. 15 16 M. Baldini p. 54. M. Baldini p. 71. 6 7. IL PECCATO Nella fi losofia cristiana l’errore assume valenze analoghe a quelle della speculazione pagana. I grandi maestri, come Agostino d’Ippona e Tommaso d’Aquino ne sono un esempio. Agostino s’inserisce nella tradizione di stampo platonico, che negava dignità logico-ontologica all’errore. Esso è privazione di verità e d’essere. Tommaso s’inserisce invece piuttosto nella tradizione di stampo aristotelico, che tiene maggiormente conto della relazione tra il ragionamento e le interferenze sensibili, considerando l’errore dunque un atto del ragionare che non scaturisce da un’autonomia del ragionare stesso, ma da un condizionamento di natura sensuale o volitiva. Tuttavia, il pensiero cristiano si caratterizza anche per il questionare ulteriormente le cause della possibilità stessa dell’errare, della limitatezza dell’attività conoscitiva umana, assumendo come dato il principio dell’esistenza divina trascendente e trinitaria che appunto specifica come cristiano tale indirizzo speculativo. Dunque la possibilità dell’errore deriva dall’imperfezione umana, determinata dal fatto che l’uomo è creato da Dio, perfetto. L’uomo non può essere creato dotato della stessa perfezione divina in quanto altrimenti Dio creerebbe così un altro se stesso, infinitamente perfetto, il che è impossibile, perchè in tal modo creatura e creatore si limiterebbero, contraddicendo la natura originaria del creatore stesso. L’uomo è altresì perfetto in quanto uomo, differentemente da Dio, dunque godendo di una perfezione finita. All’interno di questo limite l’uomo può non errare; ma può errare mancandogli la conoscenza della totalità che è anche oltre il limite o ancora di più, può errare nella misura in cui pretende di superare quel limite che gli è costitutivo. Tuttavia la filosofia cristiana, come pone un’inda gine specifica sulla causa prima, pone anche un’indagine sul fine ultimo, che nello specifico è per l’uomo la dimensione salvifica, appunto quale possibile superamento del limite costitutivo della natura umana nel raggiungimento infinito della divinità, partecipando illimitatamente della sua perfezione, per suo dono. In questo senso il limite umano è un limite mobile e la questione della verità e dell’errore diviene una questione di adeguato riconoscimento del limite. Inoltre tale limite costituisce positivamente la soglia di contiguità del rapporto tra uomo e Dio, nel quale entrambi concorrono a favore dell’uomo nell’azione sostanzialmente partecipativa. In questo senso il corretto riconoscimento del limite è attribuire all’uomo ciò che è dell’uomo e a Dio ciò che è di Dio. Nel senso cristiano, il limite, la soglia dell’incontro tra l’uomo e Dio, è Gesù Cristo. La questione della verità e dell’errore diviene così la questione del riconoscimento di Gesù Cristo. Michele Cataluddi Dottore di ricerca in Filosofia Università Gregoriana di Roma e Professore di storia e filosofia Istituto De Merode - Roma 7