Università Mediterranea di Reggio Calabria Facoltà di Architettura CORSO DI ANALISI DEL TERRITORIO 2° anno 4 CFU, 40 ore docente: Dott. Stefania Barillà 5° LEZIONE tratta dalle dispense del corso di : ANALISI E GOVERNO DELLE TRASFORMAZIONI TERRITORIALI Prof. Flavia MARTINELLI 3. FONTI, DATI E METODI PER L’ANALISI TERRITORIALE 3.1. L’indagine statistica Definizione, oggetto e utilità della statistica La statistica come scienza è l’insieme degli studi, dei metodi e delle tecniche finalizzati a raccogliere, ordinare, elaborare, presentare e interpretare le informazioni riguardanti fenomeni collettivi, cioè fenomeni che riguardano numerosi casi. La statistica, quindi, è utile per capire meglio tali fenomeni, siano essi fenomeni fisici, sociali, economici, etc. e anche per prendere decisioni. Tutti, in un modo o nell’altro, in misura elementare o sofisticata, utilizziamo la statistica: le massaie che fanno un indagine sui prezzi di un dato prodotto tra i diversi negozi, così come l’Osservatorio dell Didattica della Facoltà, quando raccoglie, elabora e interpreta le valutazioni della didattica da parte degli studenti. Partizioni della statistica: - Statistica metodologica (o pura, o teorica): a) statistica descrittiva (metodi per descrivere sinteticamente i fenomeni analizzati) b) statistica induttiva o inferenziale (metodi per risalire da un campione alla popolazione) - Statistica applicata (metodi di analisi statistica applicati a particolari discipline (statistica economica, statistica demografica, statistica medica, etc.) Le fasi dell’indagine statistica Innanzitutto, occorre definire l’oggetto e gli obiettivi dell’indagine statistica, rispetto al tempo e alle risorse impegnabili. Queste ultime sono particolarmente importanti perché influenzano la scelta tra indagine ad hoc e indagine su fonti secondarie, cioè su dati già raccolti da altri. Una volta definiti l’oggetto e gli obiettivi generali, l’indagine statistica si articola tipicamente in almeno 4 fasi: 1) rilevazione diretta o raccolta di dati da fonti secondarie 2) elaborazione 3) presentazione/rappresentazione 4) interpretazione La rilevazione statistica La rilevazione statistica si definisce come il complesso delle operazioni mediante le quali si effettua la enumerazione o la misurazione di determinati caratteri delle singole unità di un fenomeno collettivo e costituisce il principale strumento di documentazione statistica. - occorre definire con precisione l’oggetto dell’indagine (l’unità statistica, o unità di rilevazione o unità di osservazione, ad es. la famiglia, i bambini di età ≤ 12 anni, le imprese con ≥ 5 addetti, le abitazioni, etc.). - occorre delimitare la descrizione, cioè identificare con precisione le caratteristiche dell’unità di osservazione che si vogliono rilevare e, quindi, analizzare (ad es., nel caso dei bambini, sesso, età, altezza, peso, reddito dei genitori, tipo di scuola, ….) - nel caso di rilevazione diretta (indagine ad hoc), predisporre il piano di rilevazione (rilevazione totale o campionaria, scelta della popolazione o del campione, scheda o modello di rilevazione, spoglio e tabulazione dei dati). L’analisi campionaria si effettua in genere per due motivi: a) approfondire un particolare “pezzo” di popolazione (detta anche universo); b) risalire dal campione all’universo (metodologia specifica detta statistica inferenziale). La raccolta di dati da fonti secondarie Nella maggior parte dei casi, tuttavia, si utilizzano dati già raccolti da altri (fonti secondarie). Queste possono essere fonti pubbliche, generalmente preposte a questo tipo di attività, fonti private, che vendono o prestano i propri dati e fonti scientifiche (dati raccolti da altri ricercatori). Generalmente è consigliabile cercare di utilizzare la fonte originale dei dati ed evitare –quando è possibile di utilizzare tabelle già elaborate da terzi. 3.2. Le fonti Le fonti secondarie pubbliche Molte informazioni su fenomeni collettivi sono già disponibili in una qualche forma e non necessitano di indagini ad hoc. Si ottengono dalle cosiddette fonti secondarie. Queste ultime possono essere pubbliche o private. Le prime sono istituzioni pubbliche specificamente preposte alla raccolta e diffusione di informazion (ad es. l’Istat) oppure istituzioni pubbliche che raccolgono informazioni nell’esercizio delle loro funzioni e che le rendono pubbliche in qualche misura (spesso su richiesta). Le seconde sono società private che raccolgono informazioni e le vendono. L’Istat La principale fonte pubblica di informazioni statistiche sulla società e l’economia del paese è l’Istat – Istituto Nazionale di Statistica, il cui compito istituzionale è precisamente rilevare, sintetizzare e pubblicare periodicamente tali informazioni. L’Istat effettua periodicamente rilevazioni campionarie (mensili, trimestrali e annuali; una tantum) e ogni dieci anni effettua i censimenti, cioè rilevazioni dell’intero universo (o popolazione) nazionale. Questi dati sono generalmente forniti a 4 diversi livelli di disaggregazione territoriale, anche se non per tutte le statistiche sono disponibili i livelli più bassi: - nazione - regioni - province - comuni I dati di livello comunale sono generalmente disponibili solo per i censimenti. Per questi ultimi, si possono a volte ottenere i dati addirittura al livello della sezione di censimento. Tra i fenomeni più importanti oggetto di rilevazione periodicada parte dell’Istat vi sono: la contabilità nazionale (prodotto interno lordo) forze di lavoro commercio estero turismo trasporti prezzi …….. La maggior parte di queste informazioni sono sintetizzate nell’Annuario Statistico Italiano (ASI), che viene pubblicato ogni anno. Molte delle informazioni raccolte dall’Istat sono liberamente disponibili sul sito internet www.istat.it Le fonti amministrative Le Ammministrazioni locali – provinciali e comunali – sono fonti potenzialmente molto ricche, ma in realtà meno affidabili e confrontabili dell’Istat. Non tutte le Amministrazioni locali, infatti, gestiscono le informazioni con lo stesso rigore metodologico e non sempre tale rigore è continuo negli anni. La qualità e la confrontabilità nel tempo e tra territori diversi di questi dati non sono pertanto garantite. Tra le informazioni più attendibili – ma non necessariamente disponibili in forma accessibile (cioè già tabulata) – presso le Amministrazioni comunali vanno menzionate le statistiche demografiche registrate dalle Anagrafi comunali. Altre rilevanti fonti di informazione pubbliche sono le Camere di Commercio dove sono iscritte per legge tutte le imprese operanti nel paese e si possono quindi ottenere informazioni sulle imprese per settore di attività, per tipologia di imprese, per anno di inizio attività. Anche importante è la fonte Inps, che sulla base dei versamenti contributivi fornisce dati sull’occupazione. Infine, va menzionata la banca dati del Mediocredito Centrale, che raccoglie informazioni sui bilanci delle aziende italiane al di sopra di una certa sogli dimensionale. I Censimenti I censimenti hanno le seguenti caratteristiche: - sono generali, cioè concernono tutte le unità della popolazione o universo oggetto del rilevamento; - sono periodici, sono cioè svolti ad intervalli regolari (in Italia ogni 10 anni circa, salvo eventi eccezionali come guerre, etc.) - sono simultanei, perché la rilevazione è effettuata simultaneamente su tutto il territorio nazionale. I censimenti in Italia sono 3: 1) il Censimento della popolazione e delle abitazioni 2) il Censimento dell’industria e dei servizi 3) il Censimento dell’agricoltura Il Censimento della popolazione e delle abitazioni Il Primo Censimento della popolazione italiana è stato svolto all’indomani dell’unificazione italiana, nel 1861. Da allora il censimento si è svolto regolarmente ogni dieci anni, ad eccezione del 1891 e del 1941 (ma ne era stato effetuato uno nel 1936). L’ultimo è il 14° Censimento della popolazione e delle abitazioni, effettuato il 21 ottobre 2001. Ha come unità di rilevazione le persone, cioè tutti gli individui presenti sul suolo nazionale alla data del censimento, le famiglie e le abitazioni. Le variabili e mutabili rilevate per ogni unità di osservazione sono numerose. Per quanto riguarda la popolazione, i caratteri (variabili e mutabili) rilevati sono: - sesso età condizione professionale (occupato e in quale settore, disoccupato, in cerca di prima occupazione, casalinga, pensionato, studente, etc.) stato civile titolo di studio ………. Per quanto riguarda le famiglie (incluso le convivenze) sono rilevate: - la composizione della famiglia (numero e relazioni) il capofamiglia …. Per quanto riguarda, infine, le abitazioni, sono rilevati: - stato di occupazione (occupata, non occupata, per vacanza, etc.) numero di stanze n. di bagni acqua potabile localizzazione in centro abitato, località abitata o casa sparsa superficie abitabile - …… La definizione specifica di ogni variabile e mutabile è contenuta nel glossario che l’Istat fornisce in appendice ad ogni sua pubblicazione (cfr. anche il menù specifico sul sito dell’Istat) E’ importante sottolineare che tutte le mutabili e variabili rilevate nel Censimento della popolazione e delle abitazioni sono tabulate rispetto al luogo dove individui e famiglie risiedono abitualmente e dove le abitazioni sono localizzate. Il Censimento della popolazione e delle abitazioni è importante per l’analisi e pianificazione territoriale perché fornisce informazioni dettagliate sulle tendenze e sulle caratteristiche della popolazione, sulla struttura dell’occupazione nei luoghi di residenza dei lavoratori, e sulla consistenza e sullo stato del patrimonio abitativo. Il Censimento dell’Industria e dei servizi Il primo Censimento dell’industria e del commercio in Italia si è svolto nel 1927. A partire dal 1951 i Censimenti dell’Industria e del commercio si sono susseguiti con cadenza decennale. Progressivamente, oltre alle attività commerciali vengono censite anche altre attività terziarie. Dal 1981 il Censimento copre anche molte istituzioni pubbliche (l’amministrazione dello stato). L’ultimo è l’8° Censimento dell’Industria e dei servizi, effettuato il 22 ottobre 2001. Ha come unità di osservazione le unità locali e gli addetti di imprese e istituzioni operanti nelle diverse attività economiche del settore secondario (l’industria) e del settore terziario (i servizi); il settore primario, come vedremo ha un Censimento tutto suo. La classificazione delle attività economiche, cioè il modo in cui sono catalogate e aggregate le diverse attività, è un’ elemento cruciale, in quanto consente di verificare la confrontabilità nel tempo e con altre nazioni delle statistiche. La classificazione, infatti varia nel tempo ed è diversa da paese a paese. Dal 1981, tuttavia, si è avviato un processo di unificazione a livello Europeo, in cui i diversi sistem nazionali si adeguano alla classificazione Europea NACE. Nel censimento del 1991 l’Italia ha adottato il sistema di classificazione ATECO 91; recentemente è stato varato il sistema ATECO 2002. La classificazione delle attività economiche è organizzata in modo gerarchico. La classificazione ATECO 2002 è organizzata in: - SEZIONI (codice alfabetico A, B, C, ….) Divisioni (codice a due cifre XX) Gruppi (codice a tre cifre XX.y) Classi (codice a quattro cifre XX.yy) Categorie (codice a cinque cifre XX.yy.z (Cfr. esempio di classificazione Sezione H: Alberghi e ristoranti) In generale la classificazione delle attività al livello più aggregato (sezioni) è articolata come segue: Industria: - Industria di prima trasformazione dei prodotti dell’agricoltura, silvicoltura e pesca - Industria estrattiva - Industria manifatturiera - Industria di produzione e distribuzione energia elettrica, gas e acqua - Industria delle costruzioni Servizi: - Commercio - Alberghi e ristoranti - Trasporti e comunicazioni - Servizi bancari, finanziari e assicurativi - Servizi alle imprese - Pubblica amministrazione, giustizia, ordine pubblico, protezione civile e difesa Istruzione Sanità e servizi sociali Attività ricreative, culturali e sportive e altri servizi Le variabili e mutabili rilevate per ogni unità di osservazione sono numerose. Per quanto riguarda le imprese e istituzioni, i caratteri (variabili e mutabili) rilevati sono: - forma giuridica unilocalizzata o plurilocalizzata attività principale n. di addetti …. Per quanto riguarda le unità locali sono rilevate: - attività principale n. di addetti …. Per quanto riguarda, infine, gli addetti, sono rilevati: - sesso qualifica (imprenditore, dirigente, tecnico, impiegato, operaio, etc.) …. La definizione specifica di ogni variabile e mutabile è contenuta nel glossario che l’Istat fornisce in appendice ad ogni sua pubblicazione (cfr. menù Glossario) E’ importante sottolineare che tutte le mutabili e variabili relative alle unità locali e agli addetti sono tabulate rispetto al luogo dove le unità locali sono localizzate (gli addetti, quindi, sono censiti nel luogo di lavoro e non di residenza). Il Censimento dell’industria e dei servizi è importante per l’analisi e pianificazione territoriale perché fornisce informazioni dettagliate sulle tendenze e sulla struttura delle attività economiche, in termini di unità produttive e addetti, nel luogo dove sono localizzate. Il Censimento dell’agricoltura Il 22 ottobre 2000 si è svolto il 5° Censimento dell’agricoltura. Il 1° era stato effettuato nel 1950. Date le caratteristiche specifiche e diverse dell’attività di produzione agricola, tali attività sono censite con una rilevazione apposita, tenuta un anno prima degli altri censimenti.Il primo Censimento dell’industria e del commercio in Italia si è svolto nel 1927. Ha come unità di osservazione le aziende agricole, zootecniche e forestali e i loro addetti. Le variabili e mutabili rilevate per ogni unità di osservazione sono numerose. Per quanto riguarda le aziende sono rilevate: - dimensioni, in termini di SAU (superficie agricola utilizzata) e SAT (superficie agricola totale) colture principali (o attività di allevamento principali) tipo di conduzione (conduzione diretta o con salariati) titolo di possesso dei terreni (proprietà, fitto) n. di addetti …. Per quanto riguarda, gli addetti, sono rilevati: - sesso qualifica (…. …. La definizione specifica di ogni variabile e mutabile è contenuta nel glossario che l’Istat fornisce in appendice ad ogni sua pubblicazione (cfr. Glossario E’ importante sottolineare che tutte le mutabili e variabili relative alle aziende agricole e agli addetti sono tabulate rispetto al luogo dove le aziende sono localizzate (gli addetti, quindi, sono censiti nel luogo di lavoro e non di residenza). Occupati e addetti E’ opportuno, a questo punto, soffermarsi su un’importante differenza che riguarda le rilevazioni dei lavoratori. Come abbiamo già sottolineato, le persone che lavorano vengono rilevate sia nel luogo di residenza (censimento della popolazione e rilevazione trimestrale delle forze di lavoro) come occupati, sia nel luogo di lavoro (censimento dell’industria e dei servizi e censimento dell’agricoltura) come addetti. Analizziamo per prime le forze di lavoro (Cfr. Glossario forze di lavoro) La popolazione residente è rilevata nel luogo di residenza e si divide in: Popolazione attiva (forze di lavoro) - Occupati (per settore di attività economica) - lavoratori autonomi - lavoratori dipendenti - Disoccupati - ex occupati o disoccupati in senso stretto (per settore di attività economica) - ex inattivi (in cerca di prima occupazione) Popolazione non attiva (non forze di lavoro) - Inattivi in età lavorativa (15-64 anni) Inattivi in età non lavorativa (< 15 anni e > 64 anni) I dati sulla popolazione attiva e non attiva forniscono anche informazioni su: - sesso età titolo di studio posizione nella professione settore aggregato di attività Gli addetti, invece, sono rilevati nel luogo di lavoro, cioè presso le unità locali dell’industria e dei servizi e presso le aziende agricole e zootecniche dove lavorano. I dati sugli addetti forniscono informazioni anche su: - sesso qualifica professionale tipo di contratto settore dettagliato di attività Le statistiche sul turismo Non fanno parte dei censimenti, ma sono elaborate dall’Istat sulla base: a) di rilevazioni campionarie e di indagini ad hoc; b) sulle dichiarazioni giornaliere che i titolari di esercizi ricettivi sono obbligati a trasmettere agli enti locali del turismo (Apt-Aziende di promozione turistica, EptEnti Provinciali per il turismo, etc.), i quali a loro volta le trasmettono all’Istat. Le rilevazioni campionarie non sono annuali, ma una tantum e vengono pubblicate dall’Istat in fascicoli generalmente intitolati Le vacanze degli italiani. Le informazioni riguardano le preferenze e le modalità di vacanza delle famiglie. I dati raccolti presso gli esercizi ricettivi, oltre che sull’Annuario Statistico Italiano (in forma sintetica), sono pubblicati annualmente in un rapporto specifico sulla domanda e sull’offerta del turimo, chiamato Statistiche del Turismo. Questi ultimi dati (disponibili on-line a partire dall’anno 1998, sono quelli più comunemente usati per analizzare il turismo a livello locale, anche perché sono generalmente disponibili a livello comunale (a meno che il comune abbia meno di 3 esercizi ricettivi, nel qual caso scatta la protezione della privacy). Le Statistiche del turismo forniscono dati su: Domanda turistica (unità di osservazione: i turisti) - n. arrivi - n. presenze - regione e paese di origine degli arrivi e delle presenze Questi dati sono disponibile per mese e per categoria di esercizio Offerta ricettiva (unità di osservazione: esercizi ricettivi) - tipologia di esercizio n. esercizi n. camere n. posti letto n. bagni La tipologia di esercizi include: Esercizi alberghieri - 5 stelle 4 stelle 3 stelle 2 stelle 1 stella residenze turistico-alberghiere Esercizi extra-alberghieri o complementari - campeggi villaggi turistici alloggi agro-turistici alloggi in affitto ostelli per la gioventu rifugi alpini case per ferie La disponibilità di dati sulla domanda suddivisi per mese ha il pregio di consentire l’analisi della distribuzione stagionale (distribuzione di frequenza) e di verificare quanto tale domanda si concentrata nei mesi estivi. Altro indicatore utile nell’analisi della domanda è la permanenza media espressa in giorni (presenze / arrivi), che evidenzia la capoacità di una località di “trattenere” il turismo. Per quanto riguarda l’offerta è utile sottolineare il fatto che l’indicatore più utile per quantificare la consistenza dell’offerta in una località è il numero di posti letto (il numero di camere o di esercizi è viziato dal fatto che le camere possono essere doppie o singole e che gli esercizi possono essere di dimensioni diverse). Un’indicatore utile per capire la struttura imprenditoriale dell’offerta ricettiva è la dimensione media degli esercizi (n.posti letto / n. esercizi) o, meglio ancora, la distribuzione per classi dimensionali degli esercizi. Laddove le dimensioni degli esercizi sono piccole, si ha una struttura dell’offerta polverizzata, ma anche più “radicata” nel territorio. Occorre, infine, sottolineare, che la domanda e l’offerta turistica evidenziati dall’analisi della capacità ricettiva non esauriscono la dimensione del turismo: molta domanda turistica è rappresentata da turisti che alloggiano nelle seconde case in proprietà o case in affitto non rilevate dall’Istat. (Cfr. Glossario Statistiche del turismo) 3.3. L’elaborazione dei dati statistici Generalità I dati possono rappresentare due tipi di caratteristiche dell’unità di osservazione: a) caratteri qualitativi, ossia “attributi” dell’unità, detti mutabili (come ad es. colore, sesso, etc.) b) caratteri quantitativi, ossia “valori” dell’unità, detti variabili (come ad es. altezza, età, etc.) Questi ultimi possono essere variabili continue o discrete (n. interi) Vi sono diverse scale di misura: Nominale, che è la più debole e si usa per le caratteristiche qualitative (ad es. A, B, C, …; SI, NO; MASCHO, FEMMINA; etc.); con questo tipo di dati si possono tabulare distribuzioni di frequenza e incroci con altri dati. Ordinale, che si usa per le caratteristiche qualitative che sono “ordinabili” in termini di intensità (ad es. PER NIENTE, POCO, ABBASTANZA, MOLTO; INSUFFICIENTE, SUFFICIENTE, BUONO, OTTIMO; etc.); anche in questo caso si possono tabulare distribuzioni di frequenza e incroci, ma si possono anche calcolare medie, attribuendo un valore numerico alle intensità (come ad es. nella valutazione della didattica; ma anche nel caso di statistiche sul titolo di studio dei lavoratori o sul livello tecnologico delle imprese). A intervalli, che si usa per le caratteristiche quantitative, identificando degli intervalli a distanza fissa, non necessariamente costante (come ad es. le classi di età o le dimensioni delle imprese in termini di addetti) Serie e seriazioni: Le serie sono successioni di dati qualitativi o mutabili (ad es. la popolazione residente classificate a seconda del titolo di studio) Le seriazioni sono successioni di dati quantitativi o variabili (ad es. la popolazione residente per classi di età) Quando le serie o seriazioni sono cronologiche si chiamano serie o seriazioni storiche (ad es. la popolazione residente di un paese in un certo numero di anni) I dati possono indicare frequenza o intensità: La frequenza misura il numero di volte in cui un carattere si manifesta (ad es. la distribuzione di frequenza della popolazione residente per titolo di studio) L’intensità misura il valore del carattere studiato (ad esempio l’altezza media degli uomini e delle donne). Elaborazioni elementari dei dati Una prima elaborazione dei dati si attua necessariamente nel momento di spoglio e tabulazione dei dati risultati dall’indagine statistica. L’elaborazione vera e propria riguarda però le operazioni matematiche che si operano sui dati in funzione degli obiettivi del lavoro e per sintetizzarli meglio. Tali operazioni matematiche possono essere molto semplici, ma possono anche raggiungere livelli di complessità e sofisticazione notevoli, con l’ausilio di software informatico specializzato (dalle regressioni multiple all’analisi multivariata). E’ importante sottolineare che nell’analisi territoriale si attuano generalmente 2 tipi di analisi dei dati: b) confronti temporali (in inglese time series analysis), cioè quando si confronta lo stesso fenomeno, riferito alla stessa area territoriale, nel tempo (ad es. la popolazione residente della regione Calabria alle date dei 14 censimenti effettuati dal 1861 al 2001); c) confronti trasversali (in inglese cross-section analysis), cioè quando si confronta lo stesso fenomeno, nello stesso momento, tra aree o popolazioni diverse (ad esempio il tasso di disoccupazione nel 2001 tra le diverse regioni italiane). Per ognuna di queste finalità sono più adatti alcuni tipi di elaborazioni piuttosto che altri, specie quando si entra nel campo delle tecniche statistiche più sofisticate (regressioni multiple, analisi multivariata, etc.), ma anche nel caso di elaborazioni elementari. Qui di seguito accenniamo ad alcune delle operazioni elementari di elaborazione dati più frequentemente utilizzate nella statistica descrittiva applicata all’analisi territoriale. - Le medie (spesso dette anche indici di posizione) sono statistiche di intensità ed esprimono sinteticamente il valore “rappresentativo” di una particolare seriazione. Esistono diversi tipi di medie e indici di posizione; le più usate sono: media aritmetica (ad es. l’età media degli studenti di questo corso) mediana (il valore dell’elemento centrale di una seriazione ordinata) moda (il valore più frequente assunto dalle unità statistiche di una serie o seriazione) - Gli indici di variabilità sono misure di variazione (campi di variazione, scostamenti semplici, devianza, scarto quadratico medio, varianza, indici di variabilità, indici di concentrazione). Sono preliminari ad elaborazioni più sofisticate. Non ce ne occuperemo in questa sede. - I rapporti statistici sono quozienti di variabili diverse, ma riferite alla stessa unità di osservazione e unite da un rapporto logico di qualche tipo. Hanno lo scopo di rivelare l’intensità dei fenomeni e di consentire confronti. Sono anche chiamati indicatori. Rapporti di composizione: il numeratore è una porzione o componente del denominatore (ad es. il numero di maschi sul totale della popolazione; il numero di disoccupati sul totale delle forze di lavoro; il numero degli occupati agricoli sul totale degli occupati; etc.). Nel caso, ad esempio, del numero di disoccupati sulla popolazione attiva o del numero di femmine sul totale della popolazione, di bambini che frequentano la scuola sul totale dei bambini, etc., il rapporto di composizione si chiama anche tasso o indice (di disoccupazione, di femminilità, di scolarizzazione, etc.). Rapporti di frequenza o di intensità o di dotazione: rapporto tra due dati diversi di cui il numeratore serve a misurare l’intensità e a rendere confrontabili diverse unità di osservazione (ad es. il numero di abitanti per Kmq) Rapporti di derivazione: il numeratore è legato al denominatore da un nesso di causalità (ad esempio il numero di auto per famiglia sul reddito medio familiare) Rapporti (o saggi) di variazione (incremento o decremento): misurano l’intensità della variazione tra due momenti di riferimento, generalmente indicati in percentuale (ad es. la variazione di popolazione tra il censimento del 1991 e il 2001) Numeri indice: semplificano la comprensione dei saggi di variazione nel caso di seriazioni con più momenti di riferimento, attribuendo il valore 100 al momento iniziale (ad es. se la popolazione italiana nel 1981 era pari a 100, 00, nel 1991 era pari a 102, 07 e nel 2001 era pari a 104,52, vuol dire che, rispetto al 1981, nel 1991 era aumentata del +2,07% e nel 2001 del +4,52%). Rapporti di durata: rispetto a una data unità di tempo, come giorno, mese, anno (ad es. la permanenza media dei turisti, cioè presenze su arrivi) - I quozienti di specializzazione: sono “quozienti di quozienti” e misurano l’intensità di un fenomeno in un particolare sottoinsieme rispetto alla media dell’insieme superiore (ad esempio la percentuale di addetti ai servizi in una regione, rispetto alla percentuale di addetti ai servizi nella nazione: quando il quoziente è superiore all’unità vuol dire che la regione considerata è più specializzata in attività di servizio della media nazionale; quando è inferiore all’unità vuol dire che è meno specializzata)1. - Le distribuzioni di frequenza sono una forma di rapporti di composizione, applicati a tutte le modalità di una mutabile o a classi di valore che coprono tutto l’arco dei possibili valori delle unità di osservazione. Viene cioè tabulata la frequenza con cui le unità di osservazione assumono le diverse modalità di una caratteristica qualitativa (ad es. il colore) oppure il valore compreso nei diversi intervalli considerati (ad es. le classi di età) nel caso di variabili quantitative. Le distribuzioni di frequenza possono essere espresse in valore assoluto (dati grezzi) o in valore percentuale (il numero di unità di osservazione ricadente in una particolare categoria o classe, diviso il totale delle unità di osservazione, moltiplicato 100). E’ opportuno, a questo punto, evidenziare la differenza tra valori assoluti (v.a.), rapporti e valori percentuali (%). I valori assoluti sono i dati grezzi, cioè i valori numerici delle variabili, senz’alcun trattamento. I rapporti (e quindi tutti i tassi e gli indici di posizione come le medie) sono quozienti, e quindi spesso numeri con cifre decimali. I valori percentuali, cioè il risultato di quozienti moltiplicati per 100, si applicano nel caso dei saggi di variazione e delle distribuzioni di frequenza. I valori assoluti hanno il pregio di evidenziare le dimensioni effettive dei fenomeni. Tuttavia, soprattutto nel caso di confronti trasversali (cross section), quando si confrontano aree di dimensioni anche molto diverse (ad esempio la regione Lombardia e la regione Basilicata), l’uso dei valori assoluti può essere fuorviante o poco significativo. Si utilizzano allora i rapporti o i valori percentuali. Questi ultimi rappresentano, in effetti, un modo di “standardizzare” le variabili, cioè di renderle confrontabili, uniformando l’intervallo di variazione. (Se ad esempio confrontiamo la variazione assoluta della popolazione in Lombardia con quella della Basilicata tra il 1991 e il 2001, non riusciamo ad apprezzare quale regione è cresciuta più velocemente: occorre confrontare il saggio di variazione, ovvero la variazione percentuale, che sarà compresa tra –100 e +100; allo stesso modo, confrontare il numero di residenti di età superiore a 50 anni di un comune montano con quello di un comune costiero nella provincia di Reggio Calabria al 2001 in valore assoluto non è significativo: occorre confrontare il tasso di invecchiamento della popolazione dei due comuni, cioè il rapporto vecchi/popolazione totale, che oscillerà tra 0 e 100). Delle ultime due fasi dell’indagine statistica (rappresentazione e interpretazione dei dati) ci occuperemo dopo aver esaminato le principali fonti secondarie. 1 Formula del quoziente di specializzazione: addetti settorej regionei / addetti settorej nazione addetti totali regionej addetti totali nazione 3.4. La rappresentazione dei dati: tipologie e formati di tabelle e grafici Presentare e rappresentare i dati non è operazione banale. Una volta svolta la fase di elaborazione dei dati, il ricercatore deve utilizzare queste elaborazioni per scrivere il suo rapporto di ricerca. Deve, cioè, selezionare le risultanze più significative di queste elaborazioni e sintetizzarle nel modo più efficace, per: a) interpretarle e descriverle; b) presentarle e rappresentarle, dall’altra. Il modo più esaustivo – e tradizionalmente più usato nella ricerca scientifica – per presentare i dati è quello delle tabelle. Tuttavia, molto spesso, specie se si voglione rendere più immediatamente ed efficacemente visibili alcune risultanze particolari delle elaborazioni, le tabelle sono accompagnate da rappresentazioni grafiche degli stessi dati. Queste ultime sono meno precise e meno esaustive, ma di più immediata comprensione. Generalità In ogni caso, che si tratti di tabelle o di grafici, vi sono 3 regole generali da seguire obbligatoriamente: 1) Numerazione. Tutte le tabelle e i grafici devono essere numerati progressivamente. La numerazione deve seguire un modello predefinito e coerente. In prima istanza occorre decidere se si abbreviano o meno le denominazioni e se si usa il maiuscolo o il minuscolo (Tabella, TAB., Graf. GRAFICO, etc.). Poi occorre scegliere il tipo di numerazione. In genere le tabelle e i grafici vengono numerati indipendentemente le une dagli altri (Tabella 1, Tabella 2, …; Grafico 1, 2, …). Occorre, però, decidere se fare una numerazione semplice o gerarchizzata (TAB. 1., TAB. 2, …; oppure Tabella 1.1., Tabella 1.2., …. Tabella 2.1., etc.). Questo dipenderà da quanto è lungo il rapporto di ricerca e se è composto di più capitoli (nel qual caso può essere utile numerare tabelle e grafici in modo gerarchico, utilizzando la prima cifra del capitolo cui le tabelle si riferiscono). In genere i separatori nella numerazione sono punti (evitare le lineette). 2) Titolo. Subito dopo il numero progressivo, tutte le tabelle e i grafici devono avere un titolo, che deve essere sintetico, ma esaustivo. Deve obbligatoriamente contenere: l’indicazione della o delle unità di osservazione (“cosa” la tabella descrive) l’indicazione dell’operazione matematica effettuata (distribuzione di frequenza, media, saggio di variazione) l’indicazione delle modalità, delle classi, delle aree e/o dei periodi temporali in cui le unità di osservazione sono classificate L’area territoriale a cui si riferiscono i dati la forma in cui sono presentati i valori numerici (valori assoluti, migliaia, percentuali, etc.) l’anno o gli anni cui si riferiscono i dati Esempio: Tabella 2.1. Distribuzione degli addetti alle unità locali dell’industria manifatturiera, per classi di ampiezza delle unità locali e per regione, anno 2001 (valori %). Numero e titolo di tabelle e grafici sono generalmente in grassetto 3) Fonte. Nella parte inferiore di ogni tabella o grafico deve essere obbligatoriamente riportata la fonte dei dati e delle elaborazioni. , con la massima precisione possibile. Chi legge le tabelle e i grafici deve essere in grado di verificare le informazioni alla fonte. Generalmente, si presentano due situazioni: a) Se la tabella o il grafico sono semplicemente ricopiati o riprodotti da una fonte secondaria (ad es. una tavola dell’Istat) o da un’altra ricerca (ad es. un libro o un documento), nella fonte si riporterà semplicemente l’autore, il titolo dell’opera o del documento, l’editore, il luogo e l’anno di pubblicazione, indicandoo tra parentesi il numero della tabella o del grafico, oppure della pagina da cui sono stati riprodotti i dati. Esempio: Fonte: Istat, 14° Censimento della Popolazione e delle abitazioni - Dati nazionali, Istat, Roma 2003 (tavola 26.3) b) Se la tabella o il grafico sono frutto di elaborazioni proprie su dati ricavati da fonti secondarie o da indagini ad hoc, nella fonte si riporterà la notazione “Ns. elaborazioni su dati …..”, seguita dall’indicazione della fonte secondaria riportata come sopra o dell’indagine originale effettuata (senza dimenticare l’anno) . Esempio: Fonte: Ns. elaborazioni su dati ricavati dalle interviste effettuate ad un campione di …., nel dicembre 2003 oppure Fonte: Ns. elaborazioni su dati Istat, 14° Censimento della Popolazione e delle abitazioni - Dati nazionali, Istat, Roma 2003 (tavola 26.3) Per quanto riguarda la fonte è anche importante precisare che nel caso di dati scaricati da Internet, valgono gli stessi principi sopra delineati: al posto dell’autore va indicata l’organizzazione cui si riferisce il sito (ad es. Istat, Università di Roma 3, Organizzazione Mondiale del Turismo, Regione Calabria, etc.), l’eventuale titolo del documento, la denominazione del sito per esteso (con tutti i punti e i separatori (ad ese la data completa di consultazione (giorno, mese, anno; questo perché i siti evolvono e un’informazione presente oggi può non esserci tra un mese). Esempio: Fonte: Istat, Dati del 5° Censimento dell’agricoltura, www.istat.it/index/censagr/, (Tavola 33.1) sito consultato il 3 novembre 2003 Le tabelle Generalmente, le righe delle tabelle rappresentano le unità di osservazione, mentre le colonne rappresentano le variabili o mutabili, oppure le classi, gli intervalli, le modalità, etc. in cui esse variano. Tuttavia, spesso questa regola viene invertita per motivi di spazio. Inoltre, la stessa nozione di unità di osservazione, è elusiva. Le regioni, ad esempio, sono aggregazioni di unità di osservazioni in un’analisi cross-section, così come gli anni lo sono in una serie storica. Le tabelle possono essere: - primitive: quando rappresentano i dati grezzi così come sono stati rilevati; - derivate: quando sono una selezione e/o rielaborazione delle tabelle primitive. Da un altro punto di vista le tabelle possono ancora essere: - semplici: quando i dati sono ordinati secondo le modalità di un solo carattere; - multiple: quando sono ordinate secondo le modalità di due o più caratteri; - a doppia entrata: quando sono ordinate secondo le modalità di più di due caratteri, per cui devono essere lette sia nel senso verticale (colonne), che nel senso orizzontale (righe). Nel testo di un rapporto di ricerca si inseriscono generalmente solo tabelle di tipo derivato, cioè le tabelle che si riferiscono ai fenomeni e alle caratteristiche che si voglione evidenziare e che presentano le informazioni in forma rielaborata e/o sintetica. Le tabelle nel testo devono contenere relativamente poche colonne e righe (da 3 a 10-12), tutte attinenti la stessa elaborazione, per non essere pesanti (l’Istat, infatti, pubblica “TAVOLE” di dati primitivi, che possono essere anche molto grandi). Nonostante i moderni fogli di lavoro elettronico (Excel) consentano variazioni anche molto colorate e fantasiose dei formati tabellari, esiste un formato scientifico standard delle tabelle, che è opportuno seguire. Ha il pregio di essere chiaro, leggibile e, soprattutto facilmente riproducibile in fotocopia in bianco e nero. In questo formato, non vi è alcuna griglia nella parte riguardante i dati. Le sole righe orizzontali sono quelle che delimitano l’intestazione delle colonne e la parte inferiore della tabella. All’interno dell’intestazione vi possono essere ulteriori righe orizzontali per separare intestazioni complesse. Tali righe intermedie si interrompono per delimitare il campo delle diverse intestazioni. I dati della tabella devono avere tutti le stesse dimensioni e lo stesso stile; è possibile evidenziare in corsivo e/o grassetto i subtotali e/o i totali. Il formato dei numeri decimali deve essere arrotondato ad una o massimo due cifre decimali, per tutta la colonna o riga dei numeri decimali. I numeri devono essere allineati a destra. I grafici Spesso, come si è detto, alle tabelle vengono affiancate delle rappresentazioni grafiche dei dati, per facilitare e rendere di più immediata percezione alcune caratteristiche dei fenomeni. Ogni forma di rappresentazione grafica, tuttavia, è adatta a rappresentare alcune elaborazioni dei dati e non altre. Con i programmi informatici, grande varietà di rappresentazione (3D, colorate, etc.). Scegliere modalità che massimizzano la chiarezza e la riproducibilità (in bianco e nero). Attenzione ad evitare errori metodologici. Le principali forme di rappresentazione grafica sono: - Grafici lineari o diagrammi cartesiani (variabili) - Diagrammi di mutabili - Istogrammi - Grafico o diagramma circolare (a torta) - Cartogrammi - Ideogrammi Grafici lineari o diagrammi cartesiani (variabili) Sono quelle rappresentazioni grafiche che servono ad illustrare i valori (elementi quantitativi), del fenomeno, “in funzione” di variabili e/o di mutabili ordinabili, per mezzo di figure geometriche (punti, rette, spezzate, rettangoli, curve) riferite ad un sistema di assi cartesiani. Sono utilizzate principalmente per le seriazioni storiche, cioè per rappresentare l’andamento nel tempo di una o più variabili. Se vogliamo, ad esempio, rappresentare l’andamento della popolazione degli Stati Uniti, in funzione degli anni, possiamo utilizzare un sistema di assi cartesiani con il numero di persone (espresso in milioni) rappresentato sull’asse delle ordinate e gli anni rappresentati sull’asse delle ascisse. Possiamo utilizzare indifferentemente un grafico lineare (una spezzata con o senza punti) o un diagramma a rettangoli (a barre). Nel caso di due o più variabili, il grafico lineare può riportare due o più tipi di spezzate e/o di simboli, mentre il diagramma a rettangoli può riportare due o più rettangoli, affiancati o sovrapposti (composti). E’ importante sottolineare, che nel caso di più variabili riportate nello stesso grafico, occorre che l’intervallo di variazione delle diverse variabili no sia troppo diverso, altrimenti la scala del grafico diventa troppo ampia e alcune variabili risultano appiattite. I diagrammi in funzione di mutabili Quando la variabile è tabulata in funzione di una o più mutabili non ordinabili, si possono usare solo i diagrammi a rettangoli (affiancati e/o sovrapposti) di tipo non cartesiano. Per rappresentare, ad esempio, l’altezza media annua delle precipitazioni atmosferiche (la nostra variabile) in funzione della stagione e delle città (le nostre mutabili), utilizziamo un diagramma a rettangoli affiancati o sovrapposti. Istogrammi e poligoni di frequenza (distribuzioni di frequenza) Sono due rappresentazioni grafiche di distribuzioni di frequenza. Gli istogrammi sono dei diagrammi a rettangoli utilizzati per rappresentare distribuzioni di frequenza (in valore assoluto o %), che hanno: a) base sull’asse orizzontale, con centro sul valore centrale, lunghezza uguale all’ampiezza della classe e altezza uguale al valore della frequenza (numero o percentuale dei casi); b) area uguale alla frequenza. I poligoni di frequenza sono grafici lineari che unisce i valori centrali delle classi stesse, può essere ottenuto unendo i punti centrali della base superiore dei rettangoli dell’istogramma. Ad esempio, se vogliamo rappresentare graficamente la distribuzione di frequenza della popolazione italiana per classidi età, utilizzeremo un istogramma. Anche con gli istogrammi si possono rappresentare due o più variabili (affiancate o sovrapposte). Grafico o diagramma circolare (a torta) Si utilizza per rappresentare distribuzioni di frequenza in termini percentuali: la torta intera rappresenta il 100% del fenomeno e gli spicchi le diverse componenti. I cartogrammi Sono rappresentazioni grafiche utilizzate per “mappare”, cioè riportare graficamente su una mappa, l’intensità del fenomeno osservato nelle diverse porzioni di territorio considerate, attraverso diversi colori (o “retini” o gradazioni dello stesso colore). E’la rappresentazione delle analisi territoriali per eccellenza. Occorre preliminarmente determinare gli intervalli di variazione dell’intensità e poi attribuire un colore (o retino o gradazione di colore) ad ogni intervallo. Ogni porzione di territorio verrà “colorata” con il colore corrispondente all’intervallo in cui ricade il suo valore. Generalmente, proprio perché si tratta di intensità, si associano il colore o la gradazione più scura alla classe di maggiore intensitrà e quello più chiaro a quella di minore intensità. Sono rappresentazioni grafiche di effetto, ma poco precise. E’ importante riportare la legenda sul cartogramma, per spiegare i vari colori/motivi. Gli ideogrammi Sono grafici che rappresentano l’intensità o la distribuzione di frequenza del fenomeno, attraverso l’uso di icone, che sono di fatto l’unità di misura. Sono un tipo di rappresentazione molto usato nei testi di tipo divulgativo. Per concludere, è opportuno ricordare che in qualsiasi lavoro di ricerca o documentazione è opportuno non appesantire eccessivamente il testo con troppe tabelle e grafici. Per il testo occorre selezionare le tabelle e i grafici più significativi, ed eventualmente riportare in un’Appendice statistica le tabelle con i dati primitivi completi e dettagliati. 3.5. L’interpretazione dei dati Una volta che i dati sono stati sintetizzati e rappresentati nei modi più opportuni, occorre interpretarli. Nell’analisi territoriale, il commento alle tabelle e ai grafici è una parte altrettanto importante dell’elaborazione e rappresentazione dei dati. Molto spesso il ricercatore “fa parlare” le tabelle e i grafici, cioè si accontenta di rimandare il lettore alla lettura di tali tabelle e grafici. Questo è un errore: in primo luogo perché non sempre il lettore è in grado di interpretare correttamente le tabelle o i grafici; in secondo luogo, perché il lettore spesso non ha tempo di analizzare i dati e vuole precisamente evincere dal testo quali sono i risultati della ricerca. Nel commentare le tabelle il ricercatore, tuttavia, non deve commentare meccanicamente tutti i dati: egli deve selezionare/identificare e descrivere le “emergenze”, cioè le differenze, le intensità, le variazioni, che emergono con maggiore forza. Deve, in altre parole, cercare il fenomeno “diverso” o più rilevante. Se non ci sono emergenze particolari, allora la stessa stazionarietà o piattezza del fenomeno diventa la caratteristica rilevante. L’arte del ricercatore sta proprio nell’identificare i fatti più importanti e nel sintetizzarli in un commento comprensibile, esaustivo, ma essenziale. 3.6. Prospetto delle fonti e degli indicatori per l’analisi territoriale Fonti e indicatori per l’analisi demografica e delle forze di lavoro Le dinamiche demografiche sono il primo fenomeno da considerare nell’analisi territoriale. L’aumento della popolazione nelle aree costiere e, viceversa, l’abbandono delle aree interne, infatti, hanno rilevanti conseguenze in termini di pressione antropica sul territorio. Le principali fonti per l’analisi demografica sono le Anagrafi comunali e i Censimenti della popolazione e delle abitazioni. Le Anagrafi comunali Le anagrafi comunali, laddove rendano accessibili i loro archivi e/o forniscano serie storiche opportunamente tabulate, sono la fonte prima per ottenere informazione sulle tendenze demografiche nei territori comunali, su base annuale. L’unità di osservazione, in questo caso sono le persone, cioè la popolazione residente. Per ogni anno (al 31 dicembre) dovrebbero essere disponibili: il numero di nati vivi e il numero di morti (la cui differenza è il saldo naturale annuale), così come il numero di persone che si sono iscritte (gli immigrati ufficiali) e di quelle che si sono cancellate (emigrati), per origine e per destinazione (la cui differenza è il saldo migratorio annuale). La somma del saldo naturale e di quello migratorio è il saldo demografico annuale. Le serie storiche delle anagrafi comunali – laddove accessibili – sono estremamente utili in quanto consentono di monitorare con grande precisione le tendenze demografiche su base annuale e comunale, identificando il contributo delle dinamiche naturali e di quelle migratorie. Nel caso della Calabria, ad esempio, può consentire di verificare come i comuni montani abbiano sofferto una forte emorragia di popolazione, sia verso le coste, sia verso l’esterno della regione, specie nel dopoguerra, mentre nei comuni costieri e nei centri maggiori il fenomeno migratorio sia stato meno intenso e si sia, per contro, verificato un fenomeno di inurbamento dall’entroterra. Allo stesso modo – e per quanto l’entità del fenomeno resti sottostimata – tale fonte consente di verificare come, sempre in Calabria, si siano verificati negli ultimi tre decenni fenomeni di migrazione “di ritorno” e nuova immigrazione dai paesi meno sviluppati. I Censimenti della popolazione e delle abitazioni I Censimenti della popolazione e delle abitazioni effettuati dall’Istat sono una fonte molto articolata di informazioni a scala provinciale e comunale. Risentono tuttavia del fatto che sono svolti a distanza decennale l’uno dall’altro. Anche in questo caso l’unità di osservazione principale è data dalle persone, cioè la popolazione, distinta in presente e residente; altre unità di osservazione sono le famiglie e le abitazioni. Per quanto riguarda la popolazione residente le principali informazioni disponibili sono: sesso, età, stato civile, titolo di studio, condizione professionale; per quanto riguarda le famiglie le principali informazioni disponibili sono: numero di componenti e caratteristiche del capofamiglia. Particolarmente utili per l’analisisocio-economica del territorio sono le informazioni sulla condizione professionale della popolazione residente (persone occupate, in cerca di occupazione, non attive), che consentono di analizzare composizione e caratteristiche delle forze di lavoro. Per quanto riguarda popolazione e famiglie, gli indicatori più utili ai fini dell’analisi territoriale sono: La distribuzione della popolazione per classi di età. Questo tipo di elaborazione può fornire utili indicazioni sulle esigenze in termini di servizi (istruzione, salute, assistenza sociale). Generalmente si raggruppano le classi quinquennali fornite dall’Istat nelle seguenti classi: bambini in età prescolare (0-5 anni), minori in età da scuola dell’obbligo (6-14), persone in età da istruzione superiore e universitaria (15-24), persone in età lavorativa (25-64) e persone in età da pensionamento (65 e oltre). Sulla base delle classi di età si costruiscono anche alcuni indici molto utilizzati, quali: a) l’indice di vecchiaia2, che misura il rapporto tra anziani e bambini; b) l’indice di dipendenza , che misura il rapporto tra popolazione in età non lavorativa (anziani e bambini) e popolazione potenzialmente attiva3. La distribuzione per titolo di studio (analfabeti, alfabeti senza titolo di studio, persone con licenza elementare, scuola dell’obbligo, diploma superiore, laurea, post-laurea). Questa elaborazione fornisce utili indicazioni sul livello e sull’evoluzione del capitale umano di un territorio. La distribuzione delle famiglie per numero di componenti il nucleo famigliare e/o il numero medio di componenti il nucleo famigliare. Questi indicatori forniscono utili informazioni sulla struttura e sull’evoluzione delle famiglie. Meno utili, per contro, sono gli indici di femminilità o i rapporti femmine/maschi – che non si discostano mai molto dalle medie nazionali – e gli indici di densità della popolazione (residenti per Kmq) – il cui valore è fortemente influenzato dall’orografia del territorio considerato. Per quanto riguarda l’analisi delle forze di lavoro, si utilizzano le informazioni sulla condizione professionale della popolazione residente in un dato territorio. Le forze di lavoro sono costituite dalle persone occupate e da quelle attivamente in cerca di lavoro (sia disoccupate perché hanno perso il lavoro, sia in cerca di prima occupazione). Le non forze di lavoro sono invece le persone che non lavorano e non cercano lavoro (i minori di 15 anni, gli studenti, le casalinghe, gli inabili, le persone che ottemperano agli obblighi di leva, i ritirati dal lavoro). Gli indicatori sulle forze di lavoro più utilizzati ai fini dell’analisi territoriale sono: La composizione delle forze di lavoro o popolazione attiva, cioè la percentuale di occupati (e in quale settore di attività), di disoccupati (e provenienti da quale settore) e di persone in cerca di prima occupazione. Particolarmente utile è la distribuzione percentuale degli attivi per settore di attività (agricoltura, industria e servizi), come indicatore di specializzazione produttiva del territorio (anche se questo dato include i disoccupati e si riferisce al luogo di residenza delle persone). La composizione delle non forze di lavoro o popolazione non attiva (minori, casalinghe, pensionati, studenti, etc.). 2 3 Formula dell’indice di vecchiaia: popolazione≥65 anni / popolazione 0-14 anni (eventualmente x 100) Formula dell’indice di dipendenza: (popolazione≥65 anni + popolazione 0-14 anni) / popolazione 15-64 anni. Sulla base di queste categorie (si vedano i Glossari disponibili sul sito dell’Istat al menù “Strumenti” per le definizioni puntuali) sono inoltre costruiti alcuni indici di larga utilizzazione, quali: a) il tasso di attività4, che misura la propensione della popolazione in età da lavoro a lavorare; b) il tasso di disoccupazione5 che misura la percentuale di persone in cerca di occupazione sulla popolazione attiva6. E’ utile sottolineare che le informazioni sulle forze di lavoro si riferiscono alla popolazione residente. Pertanto, identificano le caratteristiche degli occupati nel loro luogo di residenza e NON nel luogo dove lavorano. Fonti e indicatori per l’analisi del sistema urbano e del patrimonio edilizio Le dimensioni, la struttura e l’evoluzione del patrimonio edilizio sono indicatori fondamentali di pressione sull’ambiente. Riflettono in larga misura le tendenze demografiche (i processi di inurbamento negli anni ’50 e ’60, l’urbanizzazione “diffusa” negli anni ’80 e ’90), ma anche l’evoluzione dei sistemi produttivi (creazione e dismissione di aree industriali, proliferazione di centri commerciali in periferia) e lo sviluppo turistico (la costruzione di seconde case). La principale fonte di informazioni sul patrimonio edilizio abitativo sono i Censimenti della popolazione e delle abitazioni, che forniscono dati sulla quantità e qualità delle abitazioni. Altre fonti utili possono essere gli Uffici tecnici o Assessorati all’urbanistica dei comuni, che curano la predisposizione e l’aggiornamento degli strumenti urbanistici (Programmi di fabbricazione, Piani regolatori generali, etc.). Anche molto utili – benché non forniscano informazioni statistiche – sono, infine, i rilievi aerofotogrammetrici. I Censimenti della popolazione e delle abitazioni Le informazioni disponibili a scala comunale e provinciale sulle abitazioni sono: lo stato di occupazione (occupate e non occupate e per quest’ultima categoria anche l’eventuale destinazione non residenziale), il numero di stanze, la presenza di bagni, la presenza di acqua potabile, il tipo di localizzazione (centro abitato, località abitata o casa sparsa). Gli indicatori più utili per analizzare la struttura e i processi urbani sono: Il saggio o indice di variazione del numero di stanze tra censimenti (le stanze sono un indicatore più accurato del numero di abitazioni, in quanto queste ultime possono essere di dimensioni anche molto diverse). Esprime la crescita del patrimonio abitativo e misura l’intensità dei processi di inurbamento o di sviluppo turistico (nel caso di seconde case) di un territorio. Può essere calcolato separatamente per il numero di stanze occupate e non occupate; queste ultime possono indicare sia abbandono, che seconde case. Il numero di stanze per abitazione, il numero di stanze in abitazioni occupate per persona residente e il numero di bagni in case occupate per residente. Questi rapporti evidenziano la struttura e l’evoluzione qualitativa dell’offerta. Il numero di stanze in abitazioni non occupate per persona residente. E’ un indicatore di abbandono oppure di domanda turistica non residenziale. 4 5 Formula del tasso di attività: forze di lavoro / popolazione > 15 anni. Formula del tasso di disoccupazione: persone in cerca di occupazione / forze di lavoro. Per quanto riguarda le forze di lavoro, oltre alle informazioni raccolte in occasione dei censimenti della popolazione, l’Istat effettua e pubblica indagini trimestrali sulla composizione delle forze di lavoro in Italia e ne calcola le medie annuali. Tuttavia, trattandosi di indagini campionarie, il livello di disaggregazione territoriale non arriva alla scala comunale e quindi tale fonte non è utilizzabile per l’analisi territoriale di dettaglio. 6 La percentuale di stanze nei centri abitati, nelle località abitate e nelle case sparse. E’ un indicatore della struttura urbana (più o meno concentrata o diffusa) e della sua evoluzione. Fonti e indicatori per l’analisi delle attività produttive: il sistema agricolo L’analisi delle attività produttive insediate su un territorio è fondamentale per valutare sia il modello di sviluppo locale, sia la sua sostenibilità ambientale. Anche in questo caso le fonti utili a scala comunale sono essenzialmente i censimenti: il Censimento dell’agricoltura e il Censimento dell’industria e dei servizi. Il settore agricolo (che include le attività di coltivazione e di allevamento) condiziona in modo diretto il territorio, sia per quanto riguarda il paesaggio, sia per quanto riguarda l’ambiente. Il tipo di colture e il tipo di conduzione delle aziende agricole, infatti, influisconoin modo determinante sui caratteri del paesaggio. L’utilizzazione agricola dei terreni, inoltre, può rappresentare un freno al dissesto idrogeologico. D’altro canto, l’agricoltura è anche un elemento di pressione sull’ambiente in termini di consumi idrici e di inquinamento (attraverso pesticidi, erbicidi e fertilizzanti). Le principali fonti per l’analisi del settore agricolo sono l’Istat (con il Censimento dell’agricoltura e gli studi di settore); L’Inea - Istituto nazionale di economia agraria (studi di settore); gli Uffici o Assessorati all’agricoltura regionali, provinciali e comunali; le Associazioni di categoria. Anche in questo caso, l’effettiva disponibilità e affidabilità di dati a livello comunale dipende dalle istituzioni locali. La fonte più utilizzata, ancora una volta, sono i Censimenti decennali. Il Censimento dell’agricoltura A causa delle loro specificità le attività agricole e dell’allevamento sono oggetto di un censimento apposito, il Censimento dell’agricoltura. La principale unità di osservazione è l’azienda agricola, zootecnica e/o forestale. Le informazioni più utili e disponibili a scala provinciale e anche comunale riguardano: le dimensioni aziendali in termini di SAU (superficie agricola utilizzata) e SAT (superficie agricola totale), le principali colture o i tipi di allevamento, il tipo di conduzione dell’azienda (conduzione diretta, con manodopera famigliare, con salariati, a colonia parziaria), il titolo di possesso dei terreni, il numero di addetti e la loro tipologia. E’ importante sottolineare che molte informazioni qualitative (tipo di coltura, tipo di conduzione, titolo di possesso dei terreni) vengono fornite dall’Istat sia in termini di aziende (numero di), sia in termini di superficie utilizzata o totale (ettari). Nel primo caso gli indicatori riflettono la struttura aziendale; nel secondo le estensioni di terreno coinvolte. Gli indicatori più comunemente utilizzati per l’analisi territoriale delle attività agricole e dell’allevamento sono: La percentuale di aziende e/o di superficie per classe di ampiezza della superficie agricola aziendale. Generalmente si utilizzano le seguenti classi di SAU o SAT: meno di 1 ettaro (microaziende), da 1 a 5 ettari, da 5 a 20, da 20 a 100, da 100 a 500 e oltre 500 (grandissime aziende). La concentrazione della superficie agricola nelle classi dimensionali minori è generalmente indice di un’agricoltura frammentata, tendenzialmente poco industrializzata e poco orientata ai mercati extra-regionali. Non esclude, tuttavia, la presenza di attività imprenditoriali specializzate di nicchia, laddove esistano produzioni caratterizzate da marchi o denominazioni controllate. D’altra parte, la presenza di agricoltura marginale può rappresentare anche un elemento di salvaguardia ambientale e paesaggistica. La percentuale di aziende e/o di superficie agricola per tipo di coltura o allevamento. Questo indicatore esprime la specializzazione produttiva delle aziende e/o dei territori analizzati. Un indicatore più raffinato può essere il quoziente di specializzazione colturale7, che misura la specializzazione del territorio considerato rispetto alla media della regione che lo contiene. Di particolare importanza per identificare il grado di integrazione della produzione agricola locale nei mercati extraregionali è la presenza di colture specializzate e/o industriali. La percentuale di aziende e/o superficie agricola per tipo di conduzione. Questo indicatore, assieme a quello relativo alle classi dimensionali, è utile per stimare l’estensione dell’agricoltura marginale orientata prevalentemente all’autoconsumo (le piccolissime aziende a conduzione diretta), rispetto all’agricoltura capitalistica (aziende di dimensioni medio-grandi, con manodopera salariata). Il rapporto tra addetti all’agricoltura e popolazione residente e/o tra addetti all’agricoltura e superficie agricola. Il primo indicatore misura la specializzazione agricola del territorio; il secondo misura il contenuto di lavoro della superficie coltivata e può quindi, con qualche cautela, rappresentare un indice di struttura organizzaztiva. Fonti e indicatori per l’analisi delle attività produttive: industria e servizi Anche le altre attività produttive –attività industriali e servizi – hanno impatti ambientali rilevanti. Entrambe utilizzano risorse quali energia e acqua; quelle industriali, inoltre, possono anche avere impatti in termini di inquinamento (scarichi gassosi, liquidi e solidi). Entrambe, inoltre, determinano carichi ambientali in termini di flussi di trasporto. Le fonti più utili per l’analisi di queste attività a scala comunale sono i Censimenti dell’industria e dei servizi e le Camere di commercio. Il Censimento dell’industria e dei servizi Le attività produttive industriali e terziarie sono oggetto di uno specifico censimento, il Censimento dell’industria e dei servizi (Cis). Originariamente limitato al solo settore industriale, questo censimento ha successivamente ampliato il suo campo di osservazione, includendo progressivamente il commercio, i trasporti e le telecomunicazioni, gli altri servizi delle imprese private e infine – a partire dal 1981 – anche i servizi delle istituzioni pubbliche e non profit. Gli ultimi Censimenti dell’industria e dei servizi hanno pertanto come unità di osservazione le imprese e le istituzioni, (cioè i soggetti giuridici), le loro unità locali (cioè i luoghi fisici di produzione, siano essi uffici, capannoni, magazzini, officine, negozi, etc.) e gli addetti (cioè tutte le persone che lavorano nelle imprese e nelle loro unità locali). - La Classificazione delle attività economiche, cioè il modo in cui sono catalogate e aggregate le diverse attività, è un elemento cruciale quando si utilizzano i dati dei Cis, in quanto consente di verificare la confrontabilità dei dati tra censimenti (e con altre nazioni). La classificazione delle attività, infatti, evolve nel tempo ed è diversa da paese a paese. Dal 1981, tuttavia, si è avviato un processo di unificazione a livello Europeo, in cui i diversi sistemi nazionali si sono adeguati alla classificazione Europea NACE. Nel censimento del 1991 l’Italia ha adottato il sistema di classificazione ATECO 91; dopo il censimento 2001 è stato varato il sistema ATECO 2002. La classificazione delle attività economiche è generalmente organizzata in modo gerarchico. La classificazione ATECO 91 utilizzata per gli ultimi due censimenti è tipicamente organizzata in: SEZIONI e SOTTOSEZIONI (codici alfabetici A, B, C, ….; CA, CB, …) Divisioni (codice a due cifre XX) Gruppi (codice a tre cifre XX.y) Classi (codice a quattro cifre XX.yy) Categorie (codice a cinque cifre XX.yy.z 7 Formula del quoziente di specializzazione: superficie colturaj comunei / superficie totale comunej superficie colturaj regione superficie totale regione La sezione A riguarda le attività di prima trasformazione di materie prime dell’agricoltura e dell’allevamento svolte presso le aziende agricole; la sezione B riguarda le attività della pesca e della piscicoltura; la sezione C riguarda le attività estrattive; la sezione D include tutti i settori manifatturieri (classificati in sottosezioni); la sezione E include le attività di produzione e distribuzione di elettricità, gas e acqua; la sezione F include infine l’industria delle costruzioni. Le sezioni dalla G alla O riguardano invece le attività dei servizi. Per quanto riguardal’unità di osservazione imprese e istituzioni, le caratteristiche rilevate sono: la forma giuridica (dalla ditta individuale alla società per azioni); il carattere unilocalizzato o plurilocalizzato; il numero e le caratteristiche degli addetti. Per quanto riguarda le unità locali viene rilevato il numero di addetti e le loro caratteristiche (in particolare sesso e qualifica). E’ importante sottolineare che tutte le informazioni relative alle unità locali riguardano il luogo dove è localizzata l’attività produttiva e non il luogo della sede legale dell’impresa o istituzione. Pertanto, a differenza degli occupati che sono rilevati nel luogo di residenza dei lavoratori, gli addetti delle unità locali si riferiscono al luogo dove è effettivamente localizzata l’attività. Gli indicatori più utili per l’analisi delle attività industriali e terziarie operanti in un territorio sono: La percentuale delle unità locali (u.l.) delle imprese e delle istituzioni e/o degli addetti delle unità locali delle imprese e delle istituzioni per settori di attività economica (con grado di disaggregazione settoriale da definire in funzione degli obiettivi dell’analisi)8. Va sottolineato che l’uso del numero di addetti come indicatore di effettiva consistenza delle attività è preferibile al numero delle unità locali, in quanto queste ultime possono essere di dimensioni anche molto diverse. Anche in questo caso è particolarmente utile calcolare il quoziente di specializzazione9 del territorio in esame, rispetto alla provincia o alla regione che lo contiene o all’intera nazione. La percentuale delle u.l. e/o degli addetti per classe dimensionale delle u.l. e la dimensione media delle u.l. Questi indicatori sono utili per apprezzare la struttura organizzativa delle imprese nel territorio in esame, cioè la presenza di un tessuto di piccole e medie imprese piuttosto che di grandi impianti o uffici. La percentuale delle u.l. e/o degli addetti delle imprese e delle istituzioni per tipologia giuridica (in particolare è utile distinguere tra l’insieme delle società di persone e l’insieme delle società di capitali per quanto riguarda le imprese; e tra istituzioni pubbliche e non profit per quanto riguarda le istituzioni). Anche questi indicatori sono utili per identificare le caratteristiche organizzative della struttura produttiva locale e il rapporto tra settore privato e settore pubblico. Il rapporto tra addetti all’industria e/o ai servizi e popolazione residente. Questo indicatore misura, da una parte la specializzazione industriale o terziaria del territorio; dall’altro – quando si analizzano i servizi pubblici e alle persone – la dotazione di servizi del territorio considerato, rispetto alla popolazione. Per gli ultimi tre Censimenti dell’industria e dei servizi l’Istat ha anche identificato i Sistemi locali di lavoro (SLL), cioè aggregazioni di comuni contigui legati da flussi di pendolarismo casa-lavoro. Per il censimento 2001 sono state identificate diverse tipologie di SLL, in base alle loro caratteristiche produttive. Le Camere di commercio Le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (Cciaa) possono rappresentare una fonte preziosa di informazione sulle imprese a livello provinciale e anche comunale. L’effettiva disponibilità e confrontabilità di dati nel tempo dipende dagli uffici. L’unità di osservazione sono le E’ importante ribadire che per evidenziare la consistenza delle attività su un territorio devono essere utilizzati i dati sulle unità locali, cioè quelle effettivamente localizzate su quel territorio, piuttosto che i dati sulle imprese. 9 Formula del quoziente di specializzazione: addetti settorej comunei / addetti settorej regione o nazione 8 addetti totali comunej addetti totali regione o nazione imprese private iscritte. Le informazioni raccolte dalle Cciaa riguardano: forma giuridica dell’impresa, principale settore di attività, anno di costituzione, località della sede legale, eventuale anno di cessazione dell’impresa. Oltre che sulla struttura e sull’evoluzione delle suddette caratteristiche delle imprese, tali dati, quando siano disponibili serie storiche attendibili, possono consentire interessanti analisi sulla natalità e mortalità delle imprese. Generalmente le Cciaa non registrano informazioni sugli addetti. Fonti e indicatori per l’analisi del turismo Il turismo non è un settore in senso stretto, in quanto comporta l’offerta congiunta e complementare di beni e servizi e, pertanto, le attività turistiche appartengono a tutti e tre i settori della contabilità nazionale: agricoltura, industria e servizi. Tuttavia, a causa delle sue specificità e del suo crescente ruolo economico, il turismo viene generalmente denominato “settore” o “industria” e trattato in modo indipendente. Può essere analizzato dal lato della domanda (i flussi turistici) e dal lato dell’offerta (risorse e attività). Caratteristica principale del “settore” turistico è il suo forte contenuto di territorio: l’offerta turistica è costituita in primo luogo da risorse territoriali (naturali, naturalistiche, storiche, culturali) che rappresentano l’elemento di “attrattività” di una località – e giustificano lo “spostamento” della domanda verso quel territorio – attorno alle quali si sviluppano le attività. Attività e flussi hanno, a loro volta, un forte impatto sul territorio. Il turismo, dunque, è in primo luogo un forte elemento di pressione antropica sull’ambiente: gli investimenti necessari per soddisfare la domanda turistica (infrastrutture di trasporto, strutture ricettive, strutture per il tempo libero) possono compromettere l’ambiente, cosi come i flussi turistici stessi possono rappresentare un carico ambientale insostenibile (usura, inquinamento). D’altro canto, lo sviluppo turistico – se opportunamente pianificato – può anche rappresentare uno strumento di salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente. Di conseguenza, ogni strategia di sviluppo turistico deve necessariamente coniugarsi con una strategia di salvaguardia delle risorse territoriali che los sostengono. Le principali fonti per l’analisi territoriale del turismo sono L’Istat e le Apt – Aziende di promozione turistica (regionali, provinciali, comunali). Entrambe forniscono informazioni su domanda e offerta turistica fino alla scala comunale. Altre fonti possono essere l’Enit – Ente nazionale italiano turismo, l’Assoturismo, i Parchi, le Pro Loco. Le statistiche sul turismo predisposte dall’Istat sono di tre tipi: a) in primo luogo le informazioni riguardanti imprese, unità locali e addetti per alcuni settori di offerta turistica nei Censimenti dell’industria e dei servizi (alberghi e pubblici esercizi; agenzie di viaggio e operatori turistici); b) in secondo luogo le indagini campionarie sulla domanda turistica (le vacanze degli italiani); c) infine, le informazioni su domanda e offerta turistica raccolte dalle Apt presso gli esercizi ricettivi (arrivi e presenze, capacità ricettiva), che l’Istat raccoglie e pubblica annualmente in forma omogenea. La metodologia per l’analisi delle attività turistiche rilevate dai Censimenti è già stata trattata. Le indagini campionarie sulla domanda di vacanza delle famiglie italiane sono svolte dall’Istat una tantum e, benché interessanti, forniscono informazioni territorialmente poco disaggregate. I più utili sono i dati raccolti presso gli esercizi ricettivi dalle Apt e pubblicati annualmente dall’Istat in un rapporto specifico intitolato Statistiche del Turismo, disponibile anche on line a partire dall’anno 1998. Le statistiche del turismo Istat e Apt I dati forniti dall’Istat hanno il pregio di essere omogenei e confrontabili nel tempo e nello spazio. Ma non sono tutti disponibili a livello comunale (in particolare, non sono disponibili a scala comunale i dati sulla domanda per mese). I dati comunali dettagliati possono essere ottenuti presso le Apt10 (comunali e provinciali), ma anche in questo caso effettiva disponibilità e affidabilità dipendono dagli uffici. Le statistiche sulla domanda turistica hanno come unità di osservazione i turisti e forniscono informazioni su: numero di arrivi (persone) e di presenze (pernottamenti), per regione e paese di origine dei turisti e per tipologia di esercizio ricettivo, su base mensile e annuale. La disponibilità di dati per mese ha il pregio di consentire l’analisi della distribuzione stagionale di arrivi e presenze. Le statistiche sull’offerta turistica hanno come unità di osservazione gli esercizi ricettivi e forniscono informazioni su: tipologia dell’esercizio (alberghiero o extra-alberghiero e rispettive sottocategorie11), numero di camere, letti e bagni. Per quanto riguarda la domanda, è opportuno sottolineare come, ai fini dell’effettiva quantificazione della domanda di ricettività e servizi turistici in un territorio, il numero di presenze sia evidentemente più significativo di quello degli arrivi. Gli indicatori più utili per l’analisi territoriale della domanda turistica sono: Il saggio o indice di variazione degli arrivi e/o delle presenze annuali nel tempo. Tali indicatori identificano le tendenze della domanda turistica negli anni. Le serie storiche dell’Istat (pubblicazioni cartacee) risalgono fino agli anni ’70 e le tendenze possono essere calcolate per le diverse tipologie di domanda: italiana e straniera, e per categorie di esercizio. La permanenza media, espressa in giorni, come rapporto tra arrivi e presenze. Esprime la capacità di un territorio di “trattenere” i flussi turistici. La distribuzione mensile delle presenze. Generalmente – ed efficacemente – espressa con l’ausilio di un grafico lineare (con il numero o la percentuale di presenze sull’asse delle ordinate e i dodici mesi dell’anno sull’asse delle ascisse), la distribuzione mensile delle presenze esprime la stagionalità dei flussi turistici. Quanto più concentrate sono le presenze nei mesi estivi (luglio e agosto) e/o nel mese di dicembre, tanto più stagionale è la domanda turistica verso il territorio considerato. Elevati livelli di stagionalità hanno implicazioni negative per l’offerta, in quanto riducono i margini di redditività e sostenibilità dell’occupazione. E’ anche utile confrontare la distribuzione stagionale delle presenze per i turisti stranieri e quelli italiani: questi ultimi mostrano in genere più elevati livelli di concentrazione stagionale. Il rapporto tra presenze turistiche annuali e popolazione residente e/o superficie territoriale (Kmq). Il primo indicatore viene usato per misurare la specializzazione turistica di un territorio, rendendola confrontabile con quella di altri territori; il secondo, misura il “carico turistico territoriale”, ma è fortemente influenzato dall’orografia del territorio. Per il turismo balneare, spesso si usa come denominatore i Km di costa. Per quanto riguarda l’offerta, occorre sottolineare che l’indicatore più efficace di effettiva consistenza dell’offerta di ricettività in una località è il numero di posti letto (il numero di camere o di esercizi è viziato dal fatto che le camere possono essere doppie o singole e che gli esercizi possono essere di dimensioni diverse). Il numero di posti letto è anche l’indicatore comune a tutte le tipologie di esercizio alberghiero ed extra-alberghiero. Gli indicatori maggiormente utilizzati per l’analisi territoriale sono: Il saggio o indice di variazione di esercizi e posti letto nel tempo. Tali indicatori identificano le tendenze dell’offerta negli anni e possono essere calcolate per le diverse tipologie di offerta: alberghiera ed extra-alberghiera e loro sottocategorie. Il primo riflette le tendenze della struttura Tranne nel caso di un numero di esercizi ricettivi inferiore a 3, nel qual caso scatta la protezione della privacy. Gli esercizi ricettivi alberghieri includono gli alberghi da 1 a 5 stelle e le residenze turistico alberghiere; gli esercizi extra-alberghieri includono i campeggi, i villaggi turistici, gli alloggi agro-turistici, gli alloggi in affitto, gli ostelli, i rifugi alpini e le case per ferie. 10 11 imprenditoriale; il secondo, come si è detto, riflette l’effettiva evoluzione dell’offerta di capacità ricettiva. La dimensione media degli esercizi. E’ dato dal rapporto tra posti letto ed esercizi. Riflette la struttura e l’evoluzione organizzativa dell’offerta (prevalenza di piccole e medie imprese familiari, piuttosto che grandi alberghi). Una struttura “polverizzata” è spesso più “radicata” nel territorio di una grande catena alberghiera. Il rapporto tra bagni e posti letto. Misura il livello qualitativo dell’offerta e la sua evoluzione. Il rapporto tra posti letto e popolazione residente. Misura la specializzazione turistica di un territorio dal lato dell’offerta, rendendola confrontabile con quella di altri territori. L’indice di sfruttamento o utilizzazione della capacità ricettiva. E’ dato dal rapporto tra presenze annuali negli esercizi ricettivi e numero di posti letto disponibili sull’arco dell’anno (posti letto moltiplicati per 365). Esprime il livello di utilizzazione dell’infrastruttura ricettiva. Quanto più è basso, tanto più stagionale è la domanda e limitata la redditività dell’investimento. E’ importante sottolineare che la domanda e l’offerta turistica evidenziati dall’analisi dei dati raccolti presso gli esercizi ricettivi non esauriscono la dimensione complessiva del turismo: larga parte della domanda turistica – specie quella balneare nel Mezzogiorno – viene soddisfatta attraverso l’offerta di case in affitto non rilevate dalle Apt o nelle seconde case in proprietà. Un indicatore indiretto dell’offerta di queste ultime si può ottenere dal Censimento delle abitazioni (si veda la sezione sul patrimonio edilizio). 3.7. Fonti, citazioni e riferimenti Nella ricerca scientifica il contributo veramente originale del ricercatore è quasi sempre una porzione alquanto ridotta del sapere scientifico proposto: la maggior parte delle informazioni e delle conoscenze raccolte e elaborate sono tratte dal lavoro di altri ricercatori o istituzioni di ricerca. Per questo motivo, è preciso dovere – e carattere distintivo – del “vero” ricercatore citare le proprie fonti. Quanto più un testo è ricco di riferimenti bibliografici e fonti di informazioni, tanto più autorevole e rigoroso si dimostra l’autore. Pertanto, nell’elaborare un testo – ad esempio la vostra antologia critica – è necessario indicare il riferimento bibliografico tutte le volte che presentate un pensiero, un concetto, un’informazione, una tabella, un immagine tratti da un altro studio o documento. Esistono diversi sistemi e convenzioni. Io vi propongo quello anglosassone che sta diventando il più diffuso. Riferimenti nel testo a scritti di altri autori Se il pensiero dei un altro autore è sintetizzato con vostre parole, alla fine del periodo in cui si presenta questa sintesi si indica tra parentesi il cognome dell’autore o degli autori, seguito dall’anno di pubblicazione dello scritto (Rossi, 1997; Rossi e Bianchi 2001). Alla fine del vostro testo vi sarà una sezione apposita, denominata Riferimenti bibliografici, in cui saranno elencati in ordine alfabetico e cronologico tutti gli autori cui avete fatto riferimento nel testo, con il dettaglio delle loro opere (cognome, nome, anno di pubblicazione, titolo volume o saggio, titolo rivista e numero oppure autore e titolo volume collettaneo). Per il formato dei riferimenti potete scegliere tra diversi modelli: basta aprire la sezione rilevante in alcuni libri e scegliere lo stile che più vi aggrada. ATTENZIONE: i Riferimenti bibliografici sono diversi da una Bibliografia. Citazioni nel testo Se riportate frasi o periodi interi di un altro autore, parola per parole, generalmente si mette questo testo tra virgolette e in corsivo, a volte in carattere più piccolo. Il riiferimento all’’autore, in questo caso deve essere seguito anche dal numero di pagina dacui è tratto il brano (Rossi, 1998 pag. 35). In generale Qualunque grafico, immagine, tabella, cartografia, oltre a numero progressivo e titolo, dovrà sempre riportare l’indicazione della Fonte. Parte integrante della fonte è l’anno cui si riferiscono i dati, l’immagine, la cartografia. Nel caso di cartografia è indispensabile indicare anche scala e orientamento. Tabella 3.1. Classificazione dei riferimenti bibliografici Autore/i Anno di Titolo completo (eventualmente pubblicazi a cura di) one Nome rivista o Numero, Editore giornale o tipo mese o di documento data di pubblica zione Città dell’editore Sito web Data di consultazion e in caso di sito web Titolo, editore, anno di pubblicazione opera originale