Elaborazioni elementari dei dati - Università degli Studi Mediterranea

Università Mediterranea di Reggio Calabria
Facoltà di Architettura
CORSO DI ANALISI DEL TERRITORIO
2° anno
4 CFU, 40 ore
docente: Dott. Stefania Barillà
5° LEZIONE
tratta dalle dispense del corso di :
ANALISI E GOVERNO
DELLE TRASFORMAZIONI TERRITORIALI
Prof. Flavia MARTINELLI
3. FONTI, DATI E METODI PER L’ANALISI
TERRITORIALE
3.1. L’indagine statistica
Definizione, oggetto e utilità della statistica
La statistica come scienza è l’insieme degli studi, dei metodi e delle tecniche finalizzati a
raccogliere, ordinare, elaborare, presentare e interpretare le informazioni riguardanti fenomeni
collettivi, cioè fenomeni che riguardano numerosi casi.
La statistica, quindi, è utile per capire meglio tali fenomeni, siano essi fenomeni fisici, sociali,
economici, etc. e anche per prendere decisioni.
Tutti, in un modo o nell’altro, in misura elementare o sofisticata, utilizziamo la statistica: le massaie
che fanno un indagine sui prezzi di un dato prodotto tra i diversi negozi, così come l’Osservatorio
dell Didattica della Facoltà, quando raccoglie, elabora e interpreta le valutazioni della didattica da
parte degli studenti.
Partizioni della statistica:
-
Statistica metodologica (o pura, o teorica):
a) statistica descrittiva (metodi per descrivere sinteticamente i fenomeni analizzati)
b) statistica induttiva o inferenziale (metodi per risalire da un campione alla
popolazione)
-
Statistica applicata (metodi di analisi statistica applicati a particolari discipline
(statistica economica, statistica demografica, statistica medica, etc.)
Le fasi dell’indagine statistica
Innanzitutto, occorre definire l’oggetto e gli obiettivi dell’indagine statistica, rispetto al tempo e alle
risorse impegnabili. Queste ultime sono particolarmente importanti perché influenzano la scelta tra
indagine ad hoc e indagine su fonti secondarie, cioè su dati già raccolti da altri.
Una volta definiti l’oggetto e gli obiettivi generali, l’indagine statistica si articola tipicamente in
almeno 4 fasi:
1) rilevazione diretta o raccolta di dati da fonti secondarie
2) elaborazione
3) presentazione/rappresentazione
4) interpretazione
La rilevazione statistica
La rilevazione statistica si definisce come il complesso delle operazioni mediante le quali si effettua
la enumerazione o la misurazione di determinati caratteri delle singole unità di un fenomeno
collettivo e costituisce il principale strumento di documentazione statistica.
-
occorre definire con precisione l’oggetto dell’indagine (l’unità statistica, o unità di
rilevazione o unità di osservazione, ad es. la famiglia, i bambini di età ≤ 12 anni, le
imprese con ≥ 5 addetti, le abitazioni, etc.).
-
occorre delimitare la descrizione, cioè identificare con precisione le caratteristiche
dell’unità di osservazione che si vogliono rilevare e, quindi, analizzare (ad es., nel caso dei
bambini, sesso, età, altezza, peso, reddito dei genitori, tipo di scuola, ….)
-
nel caso di rilevazione diretta (indagine ad hoc), predisporre il piano di rilevazione
(rilevazione totale o campionaria, scelta della popolazione o del campione, scheda o
modello di rilevazione, spoglio e tabulazione dei dati).
L’analisi campionaria si effettua in genere per due motivi: a) approfondire un particolare
“pezzo” di popolazione (detta anche universo); b) risalire dal campione all’universo
(metodologia specifica detta statistica inferenziale).
La raccolta di dati da fonti secondarie
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, si utilizzano dati già raccolti da altri (fonti secondarie).
Queste possono essere fonti pubbliche, generalmente preposte a questo tipo di attività, fonti private,
che vendono o prestano i propri dati e fonti scientifiche (dati raccolti da altri ricercatori).
Generalmente è consigliabile cercare di utilizzare la fonte originale dei dati ed evitare –quando è
possibile di utilizzare tabelle già elaborate da terzi.
3.2. Le fonti
Le fonti secondarie pubbliche
Molte informazioni su fenomeni collettivi sono già disponibili in una qualche forma e non
necessitano di indagini ad hoc. Si ottengono dalle cosiddette fonti secondarie. Queste ultime
possono essere pubbliche o private. Le prime sono istituzioni pubbliche specificamente preposte
alla raccolta e diffusione di informazion (ad es. l’Istat) oppure istituzioni pubbliche che raccolgono
informazioni nell’esercizio delle loro funzioni e che le rendono pubbliche in qualche misura (spesso
su richiesta). Le seconde sono società private che raccolgono informazioni e le vendono.
L’Istat
La principale fonte pubblica di informazioni statistiche sulla società e l’economia del paese è l’Istat
– Istituto Nazionale di Statistica, il cui compito istituzionale è precisamente rilevare, sintetizzare e
pubblicare periodicamente tali informazioni.
L’Istat effettua periodicamente rilevazioni campionarie (mensili, trimestrali e annuali; una tantum)
e ogni dieci anni effettua i censimenti, cioè rilevazioni dell’intero universo (o popolazione)
nazionale.
Questi dati sono generalmente forniti a 4 diversi livelli di disaggregazione territoriale, anche se
non per tutte le statistiche sono disponibili i livelli più bassi:
- nazione
- regioni
- province
- comuni
I dati di livello comunale sono generalmente disponibili solo per i censimenti. Per questi ultimi, si
possono a volte ottenere i dati addirittura al livello della sezione di censimento.
Tra i fenomeni più importanti oggetto di rilevazione periodicada parte dell’Istat vi sono:






la contabilità nazionale (prodotto interno lordo)
forze di lavoro
commercio estero
turismo
trasporti
prezzi

……..
La maggior parte di queste informazioni sono sintetizzate nell’Annuario Statistico Italiano (ASI),
che viene pubblicato ogni anno.
Molte delle informazioni raccolte dall’Istat sono liberamente disponibili sul sito internet
www.istat.it
Le fonti amministrative
Le Ammministrazioni locali – provinciali e comunali – sono fonti potenzialmente molto ricche,
ma in realtà meno affidabili e confrontabili dell’Istat. Non tutte le Amministrazioni locali, infatti,
gestiscono le informazioni con lo stesso rigore metodologico e non sempre tale rigore è continuo
negli anni. La qualità e la confrontabilità nel tempo e tra territori diversi di questi dati non sono
pertanto garantite. Tra le informazioni più attendibili – ma non necessariamente disponibili in forma
accessibile (cioè già tabulata) – presso le Amministrazioni comunali vanno menzionate le statistiche
demografiche registrate dalle Anagrafi comunali.
Altre rilevanti fonti di informazione pubbliche sono le Camere di Commercio dove sono iscritte
per legge tutte le imprese operanti nel paese e si possono quindi ottenere informazioni sulle imprese
per settore di attività, per tipologia di imprese, per anno di inizio attività.
Anche importante è la fonte Inps, che sulla base dei versamenti contributivi fornisce dati
sull’occupazione.
Infine, va menzionata la banca dati del Mediocredito Centrale, che raccoglie informazioni sui
bilanci delle aziende italiane al di sopra di una certa sogli dimensionale.
I Censimenti
I censimenti hanno le seguenti caratteristiche:
- sono generali, cioè concernono tutte le unità della popolazione o universo oggetto del
rilevamento;
- sono periodici, sono cioè svolti ad intervalli regolari (in Italia ogni 10 anni circa, salvo eventi
eccezionali come guerre, etc.)
- sono simultanei, perché la rilevazione è effettuata simultaneamente su tutto il territorio
nazionale.
I censimenti in Italia sono 3:
1) il Censimento della popolazione e delle abitazioni
2) il Censimento dell’industria e dei servizi
3) il Censimento dell’agricoltura
Il Censimento della popolazione e delle abitazioni
Il Primo Censimento della popolazione italiana è stato svolto all’indomani dell’unificazione
italiana, nel 1861. Da allora il censimento si è svolto regolarmente ogni dieci anni, ad eccezione del
1891 e del 1941 (ma ne era stato effetuato uno nel 1936). L’ultimo è il 14° Censimento della
popolazione e delle abitazioni, effettuato il 21 ottobre 2001.
Ha come unità di rilevazione le persone, cioè tutti gli individui presenti sul suolo nazionale alla
data del censimento, le famiglie e le abitazioni.
Le variabili e mutabili rilevate per ogni unità di osservazione sono numerose.
Per quanto riguarda la popolazione, i caratteri (variabili e mutabili) rilevati sono:
-
sesso
età
condizione professionale (occupato e in quale settore, disoccupato, in cerca di prima occupazione,
casalinga, pensionato, studente, etc.)
stato civile
titolo di studio
……….
Per quanto riguarda le famiglie (incluso le convivenze) sono rilevate:
-
la composizione della famiglia (numero e relazioni)
il capofamiglia
….
Per quanto riguarda, infine, le abitazioni, sono rilevati:
-
stato di occupazione (occupata, non occupata, per vacanza, etc.)
numero di stanze
n. di bagni
acqua potabile
localizzazione in centro abitato, località abitata o casa sparsa
superficie abitabile
-
……
La definizione specifica di ogni variabile e mutabile è contenuta nel glossario che l’Istat fornisce in
appendice ad ogni sua pubblicazione (cfr. anche il menù specifico sul sito dell’Istat)
E’ importante sottolineare che tutte le mutabili e variabili rilevate nel Censimento della popolazione
e delle abitazioni sono tabulate rispetto al luogo dove individui e famiglie risiedono abitualmente e
dove le abitazioni sono localizzate.
Il Censimento della popolazione e delle abitazioni è importante per l’analisi e pianificazione
territoriale perché fornisce informazioni dettagliate sulle tendenze e sulle caratteristiche della
popolazione, sulla struttura dell’occupazione nei luoghi di residenza dei lavoratori, e sulla
consistenza e sullo stato del patrimonio abitativo.
Il Censimento dell’Industria e dei servizi
Il primo Censimento dell’industria e del commercio in Italia si è svolto nel 1927. A partire dal 1951
i Censimenti dell’Industria e del commercio si sono susseguiti con cadenza decennale.
Progressivamente, oltre alle attività commerciali vengono censite anche altre attività terziarie. Dal
1981 il Censimento copre anche molte istituzioni pubbliche (l’amministrazione dello stato).
L’ultimo è l’8° Censimento dell’Industria e dei servizi, effettuato il 22 ottobre 2001.
Ha come unità di osservazione le unità locali e gli addetti di imprese e istituzioni operanti nelle
diverse attività economiche del settore secondario (l’industria) e del settore terziario (i servizi); il
settore primario, come vedremo ha un Censimento tutto suo.
La classificazione delle attività economiche, cioè il modo in cui sono catalogate e aggregate le
diverse attività, è un’ elemento cruciale, in quanto consente di verificare la confrontabilità nel
tempo e con altre nazioni delle statistiche. La classificazione, infatti varia nel tempo ed è diversa da
paese a paese. Dal 1981, tuttavia, si è avviato un processo di unificazione a livello Europeo, in cui i
diversi sistem nazionali si adeguano alla classificazione Europea NACE. Nel censimento del 1991
l’Italia ha adottato il sistema di classificazione ATECO 91; recentemente è stato varato il sistema
ATECO 2002.
La classificazione delle attività economiche è organizzata in modo gerarchico. La classificazione
ATECO 2002 è organizzata in:
-
SEZIONI (codice alfabetico A, B, C, ….)
Divisioni (codice a due cifre XX)
Gruppi (codice a tre cifre XX.y)
Classi (codice a quattro cifre XX.yy)
Categorie (codice a cinque cifre XX.yy.z
(Cfr. esempio di classificazione Sezione H: Alberghi e ristoranti)
In generale la classificazione delle attività al livello più aggregato (sezioni) è articolata come segue:
Industria:
- Industria di prima trasformazione dei prodotti dell’agricoltura, silvicoltura e pesca
- Industria estrattiva
- Industria manifatturiera
- Industria di produzione e distribuzione energia elettrica, gas e acqua
- Industria delle costruzioni
Servizi:
- Commercio
- Alberghi e ristoranti
- Trasporti e comunicazioni
- Servizi bancari, finanziari e assicurativi
- Servizi alle imprese
-
Pubblica amministrazione, giustizia, ordine pubblico, protezione civile e difesa
Istruzione
Sanità e servizi sociali
Attività ricreative, culturali e sportive e altri servizi
Le variabili e mutabili rilevate per ogni unità di osservazione sono numerose.
Per quanto riguarda le imprese e istituzioni, i caratteri (variabili e mutabili) rilevati sono:
-
forma giuridica
unilocalizzata o plurilocalizzata
attività principale
n. di addetti
….
Per quanto riguarda le unità locali sono rilevate:
-
attività principale
n. di addetti
….
Per quanto riguarda, infine, gli addetti, sono rilevati:
-
sesso
qualifica (imprenditore, dirigente, tecnico, impiegato, operaio, etc.)
….
La definizione specifica di ogni variabile e mutabile è contenuta nel glossario che l’Istat fornisce in
appendice ad ogni sua pubblicazione (cfr. menù Glossario)
E’ importante sottolineare che tutte le mutabili e variabili relative alle unità locali e agli addetti sono
tabulate rispetto al luogo dove le unità locali sono localizzate (gli addetti, quindi, sono censiti nel
luogo di lavoro e non di residenza).
Il Censimento dell’industria e dei servizi è importante per l’analisi e pianificazione territoriale
perché fornisce informazioni dettagliate sulle tendenze e sulla struttura delle attività economiche, in
termini di unità produttive e addetti, nel luogo dove sono localizzate.
Il Censimento dell’agricoltura
Il 22 ottobre 2000 si è svolto il 5° Censimento dell’agricoltura. Il 1° era stato effettuato nel 1950.
Date le caratteristiche specifiche e diverse dell’attività di produzione agricola, tali attività sono
censite con una rilevazione apposita, tenuta un anno prima degli altri censimenti.Il primo
Censimento dell’industria e del commercio in Italia si è svolto nel 1927.
Ha come unità di osservazione le aziende agricole, zootecniche e forestali e i loro addetti.
Le variabili e mutabili rilevate per ogni unità di osservazione sono numerose.
Per quanto riguarda le aziende sono rilevate:
-
dimensioni, in termini di SAU (superficie agricola utilizzata) e SAT (superficie agricola totale)
colture principali (o attività di allevamento principali)
tipo di conduzione (conduzione diretta o con salariati)
titolo di possesso dei terreni (proprietà, fitto)
n. di addetti
….
Per quanto riguarda, gli addetti, sono rilevati:
-
sesso
qualifica (….
….
La definizione specifica di ogni variabile e mutabile è contenuta nel glossario che l’Istat fornisce in
appendice ad ogni sua pubblicazione (cfr. Glossario
E’ importante sottolineare che tutte le mutabili e variabili relative alle aziende agricole e agli addetti
sono tabulate rispetto al luogo dove le aziende sono localizzate (gli addetti, quindi, sono censiti nel
luogo di lavoro e non di residenza).
Occupati e addetti
E’ opportuno, a questo punto, soffermarsi su un’importante differenza che riguarda le rilevazioni
dei lavoratori. Come abbiamo già sottolineato, le persone che lavorano vengono rilevate sia nel
luogo di residenza (censimento della popolazione e rilevazione trimestrale delle forze di lavoro)
come occupati, sia nel luogo di lavoro (censimento dell’industria e dei servizi e censimento
dell’agricoltura) come addetti.
Analizziamo per prime le forze di lavoro (Cfr. Glossario forze di lavoro)
La popolazione residente è rilevata nel luogo di residenza e si divide in:


Popolazione attiva (forze di lavoro)
-
Occupati (per settore di attività economica)
- lavoratori autonomi
- lavoratori dipendenti
-
Disoccupati
- ex occupati o disoccupati in senso stretto (per settore di attività economica)
- ex inattivi (in cerca di prima occupazione)
Popolazione non attiva (non forze di lavoro)
-
Inattivi in età lavorativa (15-64 anni)
Inattivi in età non lavorativa (< 15 anni e > 64 anni)
I dati sulla popolazione attiva e non attiva forniscono anche informazioni su:
-
sesso
età
titolo di studio
posizione nella professione
settore aggregato di attività
Gli addetti, invece, sono rilevati nel luogo di lavoro, cioè presso le unità locali dell’industria e dei
servizi e presso le aziende agricole e zootecniche dove lavorano.
I dati sugli addetti forniscono informazioni anche su:
-
sesso
qualifica professionale
tipo di contratto
settore dettagliato di attività
Le statistiche sul turismo
Non fanno parte dei censimenti, ma sono elaborate dall’Istat sulla base: a) di rilevazioni
campionarie e di indagini ad hoc; b) sulle dichiarazioni giornaliere che i titolari di esercizi ricettivi
sono obbligati a trasmettere agli enti locali del turismo (Apt-Aziende di promozione turistica, EptEnti Provinciali per il turismo, etc.), i quali a loro volta le trasmettono all’Istat.
Le rilevazioni campionarie non sono annuali, ma una tantum e vengono pubblicate dall’Istat in
fascicoli generalmente intitolati Le vacanze degli italiani. Le informazioni riguardano le preferenze
e le modalità di vacanza delle famiglie.
I dati raccolti presso gli esercizi ricettivi, oltre che sull’Annuario Statistico Italiano (in forma
sintetica), sono pubblicati annualmente in un rapporto specifico sulla domanda e sull’offerta del
turimo, chiamato Statistiche del Turismo. Questi ultimi dati (disponibili on-line a partire dall’anno
1998, sono quelli più comunemente usati per analizzare il turismo a livello locale, anche perché
sono generalmente disponibili a livello comunale (a meno che il comune abbia meno di 3 esercizi
ricettivi, nel qual caso scatta la protezione della privacy).
Le Statistiche del turismo forniscono dati su:
Domanda turistica (unità di osservazione: i turisti)
- n. arrivi
- n. presenze
- regione e paese di origine degli arrivi e delle presenze
Questi dati sono disponibile per mese e per categoria di esercizio
Offerta ricettiva (unità di osservazione: esercizi ricettivi)
-
tipologia di esercizio
n. esercizi
n. camere
n. posti letto
n. bagni
La tipologia di esercizi include:
Esercizi alberghieri
-
5 stelle
4 stelle
3 stelle
2 stelle
1 stella
residenze turistico-alberghiere
Esercizi extra-alberghieri o complementari
-
campeggi
villaggi turistici
alloggi agro-turistici
alloggi in affitto
ostelli per la gioventu
rifugi alpini
case per ferie
La disponibilità di dati sulla domanda suddivisi per mese ha il pregio di consentire l’analisi della
distribuzione stagionale (distribuzione di frequenza) e di verificare quanto tale domanda si
concentrata nei mesi estivi.
Altro indicatore utile nell’analisi della domanda è la permanenza media espressa in giorni (presenze
/ arrivi), che evidenzia la capoacità di una località di “trattenere” il turismo.
Per quanto riguarda l’offerta è utile sottolineare il fatto che l’indicatore più utile per quantificare la
consistenza dell’offerta in una località è il numero di posti letto (il numero di camere o di esercizi è
viziato dal fatto che le camere possono essere doppie o singole e che gli esercizi possono essere di
dimensioni diverse). Un’indicatore utile per capire la struttura imprenditoriale dell’offerta ricettiva è
la dimensione media degli esercizi (n.posti letto / n. esercizi) o, meglio ancora, la distribuzione per
classi dimensionali degli esercizi. Laddove le dimensioni degli esercizi sono piccole, si ha una
struttura dell’offerta polverizzata, ma anche più “radicata” nel territorio.
Occorre, infine, sottolineare, che la domanda e l’offerta turistica evidenziati dall’analisi della
capacità ricettiva non esauriscono la dimensione del turismo: molta domanda turistica è
rappresentata da turisti che alloggiano nelle seconde case in proprietà o case in affitto non rilevate
dall’Istat.
(Cfr. Glossario Statistiche del turismo)
3.3. L’elaborazione dei dati statistici
Generalità
I dati possono rappresentare due tipi di caratteristiche dell’unità di osservazione:
a)
caratteri qualitativi, ossia “attributi” dell’unità, detti mutabili (come ad
es. colore, sesso, etc.)
b)
caratteri quantitativi, ossia “valori” dell’unità, detti variabili (come ad
es. altezza, età, etc.)
Questi ultimi possono essere variabili continue o discrete (n. interi)
Vi sono diverse scale di misura:

Nominale, che è la più debole e si usa per le caratteristiche qualitative (ad es. A, B, C, …; SI, NO;
MASCHO, FEMMINA; etc.); con questo tipo di dati si possono tabulare distribuzioni di frequenza
e incroci con altri dati.

Ordinale, che si usa per le caratteristiche qualitative che sono “ordinabili” in termini di intensità
(ad es. PER NIENTE, POCO, ABBASTANZA, MOLTO; INSUFFICIENTE, SUFFICIENTE,
BUONO, OTTIMO; etc.); anche in questo caso si possono tabulare distribuzioni di frequenza e
incroci, ma si possono anche calcolare medie, attribuendo un valore numerico alle intensità (come
ad es. nella valutazione della didattica; ma anche nel caso di statistiche sul titolo di studio dei
lavoratori o sul livello tecnologico delle imprese).

A intervalli, che si usa per le caratteristiche quantitative, identificando degli intervalli a
distanza fissa, non necessariamente costante (come ad es. le classi di età o le dimensioni delle
imprese in termini di addetti)
Serie e seriazioni:

Le serie sono successioni di dati qualitativi o mutabili (ad es. la popolazione residente classificate
a seconda del titolo di studio)

Le seriazioni sono successioni di dati quantitativi o variabili (ad es. la popolazione residente per
classi di età)
Quando le serie o seriazioni sono cronologiche si chiamano serie o seriazioni storiche (ad es. la popolazione
residente di un paese in un certo numero di anni)
I dati possono indicare frequenza o intensità:

La frequenza misura il numero di volte in cui un carattere si manifesta (ad es. la distribuzione di
frequenza della popolazione residente per titolo di studio)

L’intensità misura il valore del carattere studiato (ad esempio l’altezza media degli uomini e delle
donne).
Elaborazioni elementari dei dati
Una prima elaborazione dei dati si attua necessariamente nel momento di spoglio e tabulazione dei
dati risultati dall’indagine statistica. L’elaborazione vera e propria riguarda però le operazioni
matematiche che si operano sui dati in funzione degli obiettivi del lavoro e per sintetizzarli meglio.
Tali operazioni matematiche possono essere molto semplici, ma possono anche raggiungere livelli
di complessità e sofisticazione notevoli, con l’ausilio di software informatico specializzato (dalle
regressioni multiple all’analisi multivariata).
E’ importante sottolineare che nell’analisi territoriale si attuano generalmente 2 tipi di analisi
dei dati:
b) confronti temporali (in inglese time series analysis), cioè quando si confronta lo stesso fenomeno,
riferito alla stessa area territoriale, nel tempo (ad es. la popolazione residente della regione Calabria
alle date dei 14 censimenti effettuati dal 1861 al 2001);
c) confronti trasversali (in inglese cross-section analysis), cioè quando si confronta lo stesso
fenomeno, nello stesso momento, tra aree o popolazioni diverse (ad esempio il tasso di
disoccupazione nel 2001 tra le diverse regioni italiane).
Per ognuna di queste finalità sono più adatti alcuni tipi di elaborazioni piuttosto che altri, specie
quando si entra nel campo delle tecniche statistiche più sofisticate (regressioni multiple, analisi
multivariata, etc.), ma anche nel caso di elaborazioni elementari. Qui di seguito accenniamo ad
alcune delle operazioni elementari di elaborazione dati più frequentemente utilizzate nella statistica
descrittiva applicata all’analisi territoriale.
-
Le medie (spesso dette anche indici di posizione) sono statistiche di intensità ed
esprimono sinteticamente il valore “rappresentativo” di una particolare seriazione. Esistono
diversi tipi di medie e indici di posizione; le più usate sono:



media aritmetica (ad es. l’età media degli studenti di questo corso)
mediana (il valore dell’elemento centrale di una seriazione ordinata)
moda (il valore più frequente assunto dalle unità statistiche di una
serie o seriazione)
-
Gli indici di variabilità sono misure di variazione (campi di variazione, scostamenti
semplici, devianza, scarto quadratico medio, varianza, indici di variabilità, indici di
concentrazione). Sono preliminari ad elaborazioni più sofisticate. Non ce ne occuperemo in
questa sede.
-
I rapporti statistici sono quozienti di variabili diverse, ma riferite alla stessa unità di
osservazione e unite da un rapporto logico di qualche tipo. Hanno lo scopo di rivelare
l’intensità dei fenomeni e di consentire confronti. Sono anche chiamati indicatori.

Rapporti di composizione: il numeratore è una porzione o componente del denominatore (ad
es. il numero di maschi sul totale della popolazione; il numero di disoccupati sul totale delle
forze di lavoro; il numero degli occupati agricoli sul totale degli occupati; etc.). Nel caso, ad
esempio, del numero di disoccupati sulla popolazione attiva o del numero di femmine sul
totale della popolazione, di bambini che frequentano la scuola sul totale dei bambini, etc., il
rapporto di composizione si chiama anche tasso o indice (di disoccupazione, di femminilità, di
scolarizzazione, etc.).

Rapporti di frequenza o di intensità o di dotazione: rapporto tra due dati diversi di cui il
numeratore serve a misurare l’intensità e a rendere confrontabili diverse unità di osservazione
(ad es. il numero di abitanti per Kmq)

Rapporti di derivazione: il numeratore è legato al denominatore da un nesso di causalità (ad
esempio il numero di auto per famiglia sul reddito medio familiare)

Rapporti (o saggi) di variazione (incremento o decremento): misurano l’intensità della
variazione tra due momenti di riferimento, generalmente indicati in percentuale (ad es. la
variazione di popolazione tra il censimento del 1991 e il 2001)

Numeri indice: semplificano la comprensione dei saggi di variazione nel caso di seriazioni
con più momenti di riferimento, attribuendo il valore 100 al momento iniziale (ad es. se la
popolazione italiana nel 1981 era pari a 100, 00, nel 1991 era pari a 102, 07 e nel 2001 era pari
a 104,52, vuol dire che, rispetto al 1981, nel 1991 era aumentata del +2,07% e nel 2001 del
+4,52%).

Rapporti di durata: rispetto a una data unità di tempo, come giorno, mese, anno (ad es. la
permanenza media dei turisti, cioè presenze su arrivi)
-
I quozienti di specializzazione: sono “quozienti di quozienti” e misurano l’intensità di un
fenomeno in un particolare sottoinsieme rispetto alla media dell’insieme superiore (ad
esempio la percentuale di addetti ai servizi in una regione, rispetto alla percentuale di
addetti ai servizi nella nazione: quando il quoziente è superiore all’unità vuol dire che la
regione considerata è più specializzata in attività di servizio della media nazionale; quando
è inferiore all’unità vuol dire che è meno specializzata)1.
-
Le distribuzioni di frequenza sono una forma di rapporti di composizione, applicati a
tutte le modalità di una mutabile o a classi di valore che coprono tutto l’arco dei possibili
valori delle unità di osservazione. Viene cioè tabulata la frequenza con cui le unità di
osservazione assumono le diverse modalità di una caratteristica qualitativa (ad es. il colore)
oppure il valore compreso nei diversi intervalli considerati (ad es. le classi di età) nel caso
di variabili quantitative. Le distribuzioni di frequenza possono essere espresse in valore
assoluto (dati grezzi) o in valore percentuale (il numero di unità di osservazione ricadente
in una particolare categoria o classe, diviso il totale delle unità di osservazione,
moltiplicato 100).
E’ opportuno, a questo punto, evidenziare la differenza tra valori assoluti (v.a.), rapporti e valori
percentuali (%).

I valori assoluti sono i dati grezzi, cioè i valori numerici delle variabili, senz’alcun
trattamento.

I rapporti (e quindi tutti i tassi e gli indici di posizione come le medie) sono quozienti, e
quindi spesso numeri con cifre decimali.

I valori percentuali, cioè il risultato di quozienti moltiplicati per 100, si applicano nel caso dei
saggi di variazione e delle distribuzioni di frequenza.
I valori assoluti hanno il pregio di evidenziare le dimensioni effettive dei fenomeni. Tuttavia,
soprattutto nel caso di confronti trasversali (cross section), quando si confrontano aree di
dimensioni anche molto diverse (ad esempio la regione Lombardia e la regione Basilicata), l’uso dei
valori assoluti può essere fuorviante o poco significativo. Si utilizzano allora i rapporti o i valori
percentuali. Questi ultimi rappresentano, in effetti, un modo di “standardizzare” le variabili, cioè
di renderle confrontabili, uniformando l’intervallo di variazione. (Se ad esempio confrontiamo la
variazione assoluta della popolazione in Lombardia con quella della Basilicata tra il 1991 e il 2001,
non riusciamo ad apprezzare quale regione è cresciuta più velocemente: occorre confrontare il
saggio di variazione, ovvero la variazione percentuale, che sarà compresa tra –100 e +100; allo
stesso modo, confrontare il numero di residenti di età superiore a 50 anni di un comune montano
con quello di un comune costiero nella provincia di Reggio Calabria al 2001 in valore assoluto non
è significativo: occorre confrontare il tasso di invecchiamento della popolazione dei due comuni,
cioè il rapporto vecchi/popolazione totale, che oscillerà tra 0 e 100).
Delle ultime due fasi dell’indagine statistica (rappresentazione e interpretazione dei dati) ci
occuperemo dopo aver esaminato le principali fonti secondarie.
1
Formula del quoziente di specializzazione: addetti settorej regionei / addetti settorej nazione
addetti totali regionej
addetti totali nazione
3.4. La rappresentazione dei dati: tipologie e formati di
tabelle e grafici
Presentare e rappresentare i dati non è operazione banale. Una volta svolta la fase di elaborazione
dei dati, il ricercatore deve utilizzare queste elaborazioni per scrivere il suo rapporto di ricerca.
Deve, cioè, selezionare le risultanze più significative di queste elaborazioni e sintetizzarle nel modo
più efficace, per: a) interpretarle e descriverle; b) presentarle e rappresentarle, dall’altra.
Il modo più esaustivo – e tradizionalmente più usato nella ricerca scientifica – per presentare i dati è
quello delle tabelle. Tuttavia, molto spesso, specie se si voglione rendere più immediatamente ed
efficacemente visibili alcune risultanze particolari delle elaborazioni, le tabelle sono accompagnate
da rappresentazioni grafiche degli stessi dati. Queste ultime sono meno precise e meno esaustive,
ma di più immediata comprensione.
Generalità
In ogni caso, che si tratti di tabelle o di grafici, vi sono 3 regole generali da seguire
obbligatoriamente:
1) Numerazione. Tutte le tabelle e i grafici devono essere numerati progressivamente. La
numerazione deve seguire un modello predefinito e coerente. In prima istanza occorre decidere
se si abbreviano o meno le denominazioni e se si usa il maiuscolo o il minuscolo (Tabella, TAB.,
Graf. GRAFICO, etc.). Poi occorre scegliere il tipo di numerazione. In genere le tabelle e i grafici
vengono numerati indipendentemente le une dagli altri (Tabella 1, Tabella 2, …; Grafico 1, 2, …).
Occorre, però, decidere se fare una numerazione semplice o gerarchizzata (TAB. 1., TAB. 2, …;
oppure Tabella 1.1., Tabella 1.2., …. Tabella 2.1., etc.). Questo dipenderà da quanto è lungo il
rapporto di ricerca e se è composto di più capitoli (nel qual caso può essere utile numerare
tabelle e grafici in modo gerarchico, utilizzando la prima cifra del capitolo cui le tabelle si
riferiscono). In genere i separatori nella numerazione sono punti (evitare le lineette).
2) Titolo. Subito dopo il numero progressivo, tutte le tabelle e i grafici devono avere un titolo, che
deve essere sintetico, ma esaustivo. Deve obbligatoriamente contenere:

l’indicazione della o delle unità di osservazione (“cosa” la tabella descrive)

l’indicazione dell’operazione matematica effettuata (distribuzione di frequenza, media,
saggio di variazione)

l’indicazione delle modalità, delle classi, delle aree e/o dei periodi temporali in cui le unità
di osservazione sono classificate

L’area territoriale a cui si riferiscono i dati

la forma in cui sono presentati i valori numerici (valori assoluti, migliaia, percentuali, etc.)

l’anno o gli anni cui si riferiscono i dati
Esempio:
Tabella 2.1. Distribuzione degli addetti alle unità locali dell’industria manifatturiera, per classi di
ampiezza delle unità locali e per regione, anno 2001 (valori %).
Numero e titolo di tabelle e grafici sono generalmente in grassetto
3) Fonte. Nella parte inferiore di ogni tabella o grafico deve essere obbligatoriamente riportata la
fonte dei dati e delle elaborazioni. , con la massima precisione possibile. Chi legge le tabelle e i
grafici deve essere in grado di verificare le informazioni alla fonte. Generalmente, si presentano
due situazioni:
a) Se la tabella o il grafico sono semplicemente ricopiati o riprodotti da una fonte secondaria
(ad es. una tavola dell’Istat) o da un’altra ricerca (ad es. un libro o un documento), nella
fonte si riporterà semplicemente l’autore, il titolo dell’opera o del documento, l’editore, il
luogo e l’anno di pubblicazione, indicandoo tra parentesi il numero della tabella o del
grafico, oppure della pagina da cui sono stati riprodotti i dati. Esempio:
Fonte: Istat, 14° Censimento della Popolazione e delle abitazioni - Dati nazionali, Istat, Roma 2003
(tavola 26.3)
b) Se la tabella o il grafico sono frutto di elaborazioni proprie su dati ricavati da fonti
secondarie o da indagini ad hoc, nella fonte si riporterà la notazione “Ns. elaborazioni su
dati …..”, seguita dall’indicazione della fonte secondaria riportata come sopra o
dell’indagine originale effettuata (senza dimenticare l’anno) . Esempio:
Fonte: Ns. elaborazioni su dati ricavati dalle interviste effettuate ad un campione di …., nel dicembre
2003 oppure
Fonte: Ns. elaborazioni su dati Istat, 14° Censimento della Popolazione e delle abitazioni - Dati
nazionali, Istat, Roma 2003 (tavola 26.3)
Per quanto riguarda la fonte è anche importante precisare che nel caso di dati scaricati da
Internet, valgono gli stessi principi sopra delineati: al posto dell’autore va indicata
l’organizzazione cui si riferisce il sito (ad es. Istat, Università di Roma 3, Organizzazione
Mondiale del Turismo, Regione Calabria, etc.), l’eventuale titolo del documento, la
denominazione del sito per esteso (con tutti i punti e i separatori (ad ese la data completa di
consultazione (giorno, mese, anno; questo perché i siti evolvono e un’informazione presente
oggi può non esserci tra un mese). Esempio:
Fonte: Istat, Dati del 5° Censimento dell’agricoltura, www.istat.it/index/censagr/, (Tavola 33.1) sito
consultato il 3 novembre 2003
Le tabelle
Generalmente, le righe delle tabelle rappresentano le unità di osservazione, mentre le colonne
rappresentano le variabili o mutabili, oppure le classi, gli intervalli, le modalità, etc. in cui esse
variano. Tuttavia, spesso questa regola viene invertita per motivi di spazio. Inoltre, la stessa nozione
di unità di osservazione, è elusiva. Le regioni, ad esempio, sono aggregazioni di unità di
osservazioni in un’analisi cross-section, così come gli anni lo sono in una serie storica.
Le tabelle possono essere:
-
primitive: quando rappresentano i dati grezzi così come sono stati rilevati;
-
derivate: quando sono una selezione e/o rielaborazione delle tabelle primitive.
Da un altro punto di vista le tabelle possono ancora essere:
-
semplici: quando i dati sono ordinati secondo le modalità di un solo carattere;
-
multiple: quando sono ordinate secondo le modalità di due o più caratteri;
-
a doppia entrata: quando sono ordinate secondo le modalità di più di due caratteri, per cui devono
essere lette sia nel senso verticale (colonne), che nel senso orizzontale (righe).
Nel testo di un rapporto di ricerca si inseriscono generalmente solo tabelle di tipo derivato, cioè le
tabelle che si riferiscono ai fenomeni e alle caratteristiche che si voglione evidenziare e che
presentano le informazioni in forma rielaborata e/o sintetica. Le tabelle nel testo devono contenere
relativamente poche colonne e righe (da 3 a 10-12), tutte attinenti la stessa elaborazione, per non
essere pesanti (l’Istat, infatti, pubblica “TAVOLE” di dati primitivi, che possono essere anche molto
grandi).
Nonostante i moderni fogli di lavoro elettronico (Excel) consentano variazioni anche molto colorate
e fantasiose dei formati tabellari, esiste un formato scientifico standard delle tabelle, che è
opportuno seguire. Ha il pregio di essere chiaro, leggibile e, soprattutto facilmente riproducibile in
fotocopia in bianco e nero.
In questo formato, non vi è alcuna griglia nella parte riguardante i dati. Le sole righe orizzontali
sono quelle che delimitano l’intestazione delle colonne e la parte inferiore della tabella. All’interno
dell’intestazione vi possono essere ulteriori righe orizzontali per separare intestazioni complesse.
Tali righe intermedie si interrompono per delimitare il campo delle diverse intestazioni.
I dati della tabella devono avere tutti le stesse dimensioni e lo stesso stile; è possibile evidenziare in
corsivo e/o grassetto i subtotali e/o i totali.
Il formato dei numeri decimali deve essere arrotondato ad una o massimo due cifre decimali, per
tutta la colonna o riga dei numeri decimali.
I numeri devono essere allineati a destra.
I grafici
Spesso, come si è detto, alle tabelle vengono affiancate delle rappresentazioni grafiche dei dati, per
facilitare e rendere di più immediata percezione alcune caratteristiche dei fenomeni. Ogni forma di
rappresentazione grafica, tuttavia, è adatta a rappresentare alcune elaborazioni dei dati e non altre.
Con i programmi informatici, grande varietà di rappresentazione (3D, colorate, etc.). Scegliere
modalità che massimizzano la chiarezza e la riproducibilità (in bianco e nero). Attenzione ad evitare
errori metodologici.
Le principali forme di rappresentazione grafica sono:
- Grafici lineari o diagrammi cartesiani (variabili)
- Diagrammi di mutabili
- Istogrammi
- Grafico o diagramma circolare (a torta)
- Cartogrammi
- Ideogrammi
Grafici lineari o diagrammi cartesiani (variabili)
Sono quelle rappresentazioni grafiche che servono ad illustrare i valori (elementi quantitativi), del
fenomeno, “in funzione” di variabili e/o di mutabili ordinabili, per mezzo di figure geometriche
(punti, rette, spezzate, rettangoli, curve) riferite ad un sistema di assi cartesiani. Sono utilizzate
principalmente per le seriazioni storiche, cioè per rappresentare l’andamento nel tempo di una o
più variabili.
Se vogliamo, ad esempio, rappresentare l’andamento della popolazione degli Stati Uniti, in
funzione degli anni, possiamo utilizzare un sistema di assi cartesiani con il numero di persone
(espresso in milioni) rappresentato sull’asse delle ordinate e gli anni rappresentati sull’asse delle
ascisse. Possiamo utilizzare indifferentemente un grafico lineare (una spezzata con o senza punti) o
un diagramma a rettangoli (a barre).
Nel caso di due o più variabili, il grafico lineare può riportare due o più tipi di spezzate e/o di
simboli, mentre il diagramma a rettangoli può riportare due o più rettangoli, affiancati o sovrapposti
(composti). E’ importante sottolineare, che nel caso di più variabili riportate nello stesso grafico,
occorre che l’intervallo di variazione delle diverse variabili no sia troppo diverso, altrimenti la scala
del grafico diventa troppo ampia e alcune variabili risultano appiattite.
I diagrammi in funzione di mutabili
Quando la variabile è tabulata in funzione di una o più mutabili non ordinabili, si possono usare solo
i diagrammi a rettangoli (affiancati e/o sovrapposti) di tipo non cartesiano.
Per rappresentare, ad esempio, l’altezza media annua delle precipitazioni atmosferiche (la nostra
variabile) in funzione della stagione e delle città (le nostre mutabili), utilizziamo un diagramma a
rettangoli affiancati o sovrapposti.
Istogrammi e poligoni di frequenza (distribuzioni di frequenza)
Sono due rappresentazioni grafiche di distribuzioni di frequenza.
Gli istogrammi sono dei diagrammi a rettangoli utilizzati per rappresentare distribuzioni di
frequenza (in valore assoluto o %), che hanno: a) base sull’asse orizzontale, con centro sul valore
centrale, lunghezza uguale all’ampiezza della classe e altezza uguale al valore della frequenza
(numero o percentuale dei casi); b) area uguale alla frequenza.
I poligoni di frequenza sono grafici lineari che unisce i valori centrali delle classi stesse, può essere
ottenuto unendo i punti centrali della base superiore dei rettangoli dell’istogramma.
Ad esempio, se vogliamo rappresentare graficamente la distribuzione di frequenza della
popolazione italiana per classidi età, utilizzeremo un istogramma.
Anche con gli istogrammi si possono rappresentare due o più variabili (affiancate o sovrapposte).
Grafico o diagramma circolare (a torta)
Si utilizza per rappresentare distribuzioni di frequenza in termini percentuali: la torta intera
rappresenta il 100% del fenomeno e gli spicchi le diverse componenti.
I cartogrammi
Sono rappresentazioni grafiche utilizzate per “mappare”, cioè riportare graficamente su una mappa,
l’intensità del fenomeno osservato nelle diverse porzioni di territorio considerate, attraverso diversi
colori (o “retini” o gradazioni dello stesso colore). E’la rappresentazione delle analisi territoriali per
eccellenza. Occorre preliminarmente determinare gli intervalli di variazione dell’intensità e poi
attribuire un colore (o retino o gradazione di colore) ad ogni intervallo. Ogni porzione di territorio
verrà “colorata” con il colore corrispondente all’intervallo in cui ricade il suo valore.
Generalmente, proprio perché si tratta di intensità, si associano il colore o la gradazione più scura
alla classe di maggiore intensitrà e quello più chiaro a quella di minore intensità.
Sono rappresentazioni grafiche di effetto, ma poco precise.
E’ importante riportare la legenda sul cartogramma, per spiegare i vari colori/motivi.
Gli ideogrammi
Sono grafici che rappresentano l’intensità o la distribuzione di frequenza del fenomeno, attraverso
l’uso di icone, che sono di fatto l’unità di misura. Sono un tipo di rappresentazione molto usato nei
testi di tipo divulgativo.
Per concludere, è opportuno ricordare che in qualsiasi lavoro di ricerca o documentazione è
opportuno non appesantire eccessivamente il testo con troppe tabelle e grafici. Per il testo occorre
selezionare le tabelle e i grafici più significativi, ed eventualmente riportare in un’Appendice
statistica le tabelle con i dati primitivi completi e dettagliati.
3.5. L’interpretazione dei dati
Una volta che i dati sono stati sintetizzati e rappresentati nei modi più opportuni, occorre
interpretarli. Nell’analisi territoriale, il commento alle tabelle e ai grafici è una parte altrettanto
importante dell’elaborazione e rappresentazione dei dati. Molto spesso il ricercatore “fa parlare” le
tabelle e i grafici, cioè si accontenta di rimandare il lettore alla lettura di tali tabelle e grafici. Questo
è un errore: in primo luogo perché non sempre il lettore è in grado di interpretare correttamente le
tabelle o i grafici; in secondo luogo, perché il lettore spesso non ha tempo di analizzare i dati e
vuole precisamente evincere dal testo quali sono i risultati della ricerca.
Nel commentare le tabelle il ricercatore, tuttavia, non deve commentare meccanicamente tutti i dati:
egli deve selezionare/identificare e descrivere le “emergenze”, cioè le differenze, le intensità, le
variazioni, che emergono con maggiore forza. Deve, in altre parole, cercare il fenomeno “diverso”
o più rilevante. Se non ci sono emergenze particolari, allora la stessa stazionarietà o piattezza del
fenomeno diventa la caratteristica rilevante. L’arte del ricercatore sta proprio nell’identificare i fatti
più importanti e nel sintetizzarli in un commento comprensibile, esaustivo, ma essenziale.
3.6. Prospetto delle fonti e degli indicatori per l’analisi
territoriale
Fonti e indicatori per l’analisi demografica e delle forze di lavoro
Le dinamiche demografiche sono il primo fenomeno da considerare nell’analisi territoriale.
L’aumento della popolazione nelle aree costiere e, viceversa, l’abbandono delle aree interne, infatti,
hanno rilevanti conseguenze in termini di pressione antropica sul territorio. Le principali fonti per
l’analisi demografica sono le Anagrafi comunali e i Censimenti della popolazione e delle abitazioni.
Le Anagrafi comunali
Le anagrafi comunali, laddove rendano accessibili i loro archivi e/o forniscano serie storiche
opportunamente tabulate, sono la fonte prima per ottenere informazione sulle tendenze
demografiche nei territori comunali, su base annuale.
L’unità di osservazione, in questo caso sono le persone, cioè la popolazione residente. Per ogni
anno (al 31 dicembre) dovrebbero essere disponibili: il numero di nati vivi e il numero di morti (la
cui differenza è il saldo naturale annuale), così come il numero di persone che si sono iscritte (gli
immigrati ufficiali) e di quelle che si sono cancellate (emigrati), per origine e per destinazione (la
cui differenza è il saldo migratorio annuale). La somma del saldo naturale e di quello migratorio è il
saldo demografico annuale.
Le serie storiche delle anagrafi comunali – laddove accessibili – sono estremamente utili in quanto
consentono di monitorare con grande precisione le tendenze demografiche su base annuale e
comunale, identificando il contributo delle dinamiche naturali e di quelle migratorie. Nel caso della
Calabria, ad esempio, può consentire di verificare come i comuni montani abbiano sofferto una
forte emorragia di popolazione, sia verso le coste, sia verso l’esterno della regione, specie nel
dopoguerra, mentre nei comuni costieri e nei centri maggiori il fenomeno migratorio sia stato meno
intenso e si sia, per contro, verificato un fenomeno di inurbamento dall’entroterra. Allo stesso modo
– e per quanto l’entità del fenomeno resti sottostimata – tale fonte consente di verificare come,
sempre in Calabria, si siano verificati negli ultimi tre decenni fenomeni di migrazione “di ritorno” e
nuova immigrazione dai paesi meno sviluppati.
I Censimenti della popolazione e delle abitazioni
I Censimenti della popolazione e delle abitazioni effettuati dall’Istat sono una fonte molto articolata
di informazioni a scala provinciale e comunale. Risentono tuttavia del fatto che sono svolti a
distanza decennale l’uno dall’altro. Anche in questo caso l’unità di osservazione principale è data
dalle persone, cioè la popolazione, distinta in presente e residente; altre unità di osservazione sono
le famiglie e le abitazioni. Per quanto riguarda la popolazione residente le principali informazioni
disponibili sono: sesso, età, stato civile, titolo di studio, condizione professionale; per quanto
riguarda le famiglie le principali informazioni disponibili sono: numero di componenti e
caratteristiche del capofamiglia. Particolarmente utili per l’analisisocio-economica del territorio
sono le informazioni sulla condizione professionale della popolazione residente (persone occupate,
in cerca di occupazione, non attive), che consentono di analizzare composizione e caratteristiche
delle forze di lavoro.
Per quanto riguarda popolazione e famiglie, gli indicatori più utili ai fini dell’analisi territoriale
sono:
La distribuzione della popolazione per classi di età. Questo tipo di elaborazione può fornire utili
indicazioni sulle esigenze in termini di servizi (istruzione, salute, assistenza sociale). Generalmente
si raggruppano le classi quinquennali fornite dall’Istat nelle seguenti classi: bambini in età prescolare (0-5 anni), minori in età da scuola dell’obbligo (6-14), persone in età da istruzione superiore
e universitaria (15-24), persone in età lavorativa (25-64) e persone in età da pensionamento (65 e
oltre).
Sulla base delle classi di età si costruiscono anche alcuni indici molto utilizzati, quali: a) l’indice di
vecchiaia2, che misura il rapporto tra anziani e bambini; b) l’indice di dipendenza , che misura il
rapporto tra popolazione in età non lavorativa (anziani e bambini) e popolazione potenzialmente
attiva3.
La distribuzione per titolo di studio (analfabeti, alfabeti senza titolo di studio, persone con licenza
elementare, scuola dell’obbligo, diploma superiore, laurea, post-laurea). Questa elaborazione
fornisce utili indicazioni sul livello e sull’evoluzione del capitale umano di un territorio.
La distribuzione delle famiglie per numero di componenti il nucleo famigliare e/o il numero medio
di componenti il nucleo famigliare. Questi indicatori forniscono utili informazioni sulla struttura e
sull’evoluzione delle famiglie.
Meno utili, per contro, sono gli indici di femminilità o i rapporti femmine/maschi – che non si
discostano mai molto dalle medie nazionali – e gli indici di densità della popolazione (residenti per
Kmq) – il cui valore è fortemente influenzato dall’orografia del territorio considerato.
Per quanto riguarda l’analisi delle forze di lavoro, si utilizzano le informazioni sulla condizione
professionale della popolazione residente in un dato territorio. Le forze di lavoro sono costituite
dalle persone occupate e da quelle attivamente in cerca di lavoro (sia disoccupate perché hanno
perso il lavoro, sia in cerca di prima occupazione). Le non forze di lavoro sono invece le persone
che non lavorano e non cercano lavoro (i minori di 15 anni, gli studenti, le casalinghe, gli inabili, le
persone che ottemperano agli obblighi di leva, i ritirati dal lavoro). Gli indicatori sulle forze di
lavoro più utilizzati ai fini dell’analisi territoriale sono:
La composizione delle forze di lavoro o popolazione attiva, cioè la percentuale di occupati (e in
quale settore di attività), di disoccupati (e provenienti da quale settore) e di persone in cerca di
prima occupazione. Particolarmente utile è la distribuzione percentuale degli attivi per settore di
attività (agricoltura, industria e servizi), come indicatore di specializzazione produttiva del territorio
(anche se questo dato include i disoccupati e si riferisce al luogo di residenza delle persone).
La composizione delle non forze di lavoro o popolazione non attiva (minori, casalinghe, pensionati,
studenti, etc.).
2
3
Formula dell’indice di vecchiaia: popolazione≥65 anni / popolazione 0-14 anni (eventualmente x 100)
Formula dell’indice di dipendenza: (popolazione≥65 anni + popolazione 0-14 anni) / popolazione 15-64 anni.
Sulla base di queste categorie (si vedano i Glossari disponibili sul sito dell’Istat al menù
“Strumenti” per le definizioni puntuali) sono inoltre costruiti alcuni indici di larga utilizzazione,
quali: a) il tasso di attività4, che misura la propensione della popolazione in età da lavoro a lavorare;
b) il tasso di disoccupazione5 che misura la percentuale di persone in cerca di occupazione sulla
popolazione attiva6.
E’ utile sottolineare che le informazioni sulle forze di lavoro si riferiscono alla popolazione
residente. Pertanto, identificano le caratteristiche degli occupati nel loro luogo di residenza e NON
nel luogo dove lavorano.
Fonti e indicatori per l’analisi del sistema urbano e del patrimonio
edilizio
Le dimensioni, la struttura e l’evoluzione del patrimonio edilizio sono indicatori fondamentali di
pressione sull’ambiente. Riflettono in larga misura le tendenze demografiche (i processi di
inurbamento negli anni ’50 e ’60, l’urbanizzazione “diffusa” negli anni ’80 e ’90), ma anche
l’evoluzione dei sistemi produttivi (creazione e dismissione di aree industriali, proliferazione di
centri commerciali in periferia) e lo sviluppo turistico (la costruzione di seconde case).
La principale fonte di informazioni sul patrimonio edilizio abitativo sono i Censimenti della
popolazione e delle abitazioni, che forniscono dati sulla quantità e qualità delle abitazioni. Altre
fonti utili possono essere gli Uffici tecnici o Assessorati all’urbanistica dei comuni, che curano la
predisposizione e l’aggiornamento degli strumenti urbanistici (Programmi di fabbricazione, Piani
regolatori generali, etc.). Anche molto utili – benché non forniscano informazioni statistiche – sono,
infine, i rilievi aerofotogrammetrici.
I Censimenti della popolazione e delle abitazioni
Le informazioni disponibili a scala comunale e provinciale sulle abitazioni sono: lo stato di
occupazione (occupate e non occupate e per quest’ultima categoria anche l’eventuale destinazione
non residenziale), il numero di stanze, la presenza di bagni, la presenza di acqua potabile, il tipo di
localizzazione (centro abitato, località abitata o casa sparsa).
Gli indicatori più utili per analizzare la struttura e i processi urbani sono:
Il saggio o indice di variazione del numero di stanze tra censimenti (le stanze sono un indicatore più
accurato del numero di abitazioni, in quanto queste ultime possono essere di dimensioni anche
molto diverse). Esprime la crescita del patrimonio abitativo e misura l’intensità dei processi di
inurbamento o di sviluppo turistico (nel caso di seconde case) di un territorio. Può essere calcolato
separatamente per il numero di stanze occupate e non occupate; queste ultime possono indicare sia
abbandono, che seconde case.
Il numero di stanze per abitazione, il numero di stanze in abitazioni occupate per persona residente
e il numero di bagni in case occupate per residente. Questi rapporti evidenziano la struttura e
l’evoluzione qualitativa dell’offerta.
Il numero di stanze in abitazioni non occupate per persona residente. E’ un indicatore di abbandono
oppure di domanda turistica non residenziale.
4
5
Formula del tasso di attività: forze di lavoro / popolazione > 15 anni.
Formula del tasso di disoccupazione: persone in cerca di occupazione / forze di lavoro.
Per quanto riguarda le forze di lavoro, oltre alle informazioni raccolte in occasione dei censimenti della popolazione,
l’Istat effettua e pubblica indagini trimestrali sulla composizione delle forze di lavoro in Italia e ne calcola le medie
annuali. Tuttavia, trattandosi di indagini campionarie, il livello di disaggregazione territoriale non arriva alla scala
comunale e quindi tale fonte non è utilizzabile per l’analisi territoriale di dettaglio.
6
La percentuale di stanze nei centri abitati, nelle località abitate e nelle case sparse. E’ un
indicatore della struttura urbana (più o meno concentrata o diffusa) e della sua evoluzione.
Fonti e indicatori per l’analisi delle attività produttive: il sistema
agricolo
L’analisi delle attività produttive insediate su un territorio è fondamentale per valutare sia il
modello di sviluppo locale, sia la sua sostenibilità ambientale. Anche in questo caso le fonti utili a
scala comunale sono essenzialmente i censimenti: il Censimento dell’agricoltura e il Censimento
dell’industria e dei servizi.
Il settore agricolo (che include le attività di coltivazione e di allevamento) condiziona in modo
diretto il territorio, sia per quanto riguarda il paesaggio, sia per quanto riguarda l’ambiente. Il tipo di
colture e il tipo di conduzione delle aziende agricole, infatti, influisconoin modo determinante sui
caratteri del paesaggio. L’utilizzazione agricola dei terreni, inoltre, può rappresentare un freno al
dissesto idrogeologico. D’altro canto, l’agricoltura è anche un elemento di pressione sull’ambiente
in termini di consumi idrici e di inquinamento (attraverso pesticidi, erbicidi e fertilizzanti).
Le principali fonti per l’analisi del settore agricolo sono l’Istat (con il Censimento dell’agricoltura e
gli studi di settore); L’Inea - Istituto nazionale di economia agraria (studi di settore); gli Uffici o
Assessorati all’agricoltura regionali, provinciali e comunali; le Associazioni di categoria. Anche in
questo caso, l’effettiva disponibilità e affidabilità di dati a livello comunale dipende dalle istituzioni
locali. La fonte più utilizzata, ancora una volta, sono i Censimenti decennali.
Il Censimento dell’agricoltura
A causa delle loro specificità le attività agricole e dell’allevamento sono oggetto di un censimento
apposito, il Censimento dell’agricoltura. La principale unità di osservazione è l’azienda agricola,
zootecnica e/o forestale. Le informazioni più utili e disponibili a scala provinciale e anche comunale
riguardano: le dimensioni aziendali in termini di SAU (superficie agricola utilizzata) e SAT
(superficie agricola totale), le principali colture o i tipi di allevamento, il tipo di conduzione
dell’azienda (conduzione diretta, con manodopera famigliare, con salariati, a colonia parziaria), il
titolo di possesso dei terreni, il numero di addetti e la loro tipologia. E’ importante sottolineare che
molte informazioni qualitative (tipo di coltura, tipo di conduzione, titolo di possesso dei terreni)
vengono fornite dall’Istat sia in termini di aziende (numero di), sia in termini di superficie utilizzata
o totale (ettari). Nel primo caso gli indicatori riflettono la struttura aziendale; nel secondo le
estensioni di terreno coinvolte.
Gli indicatori più comunemente utilizzati per l’analisi territoriale delle attività agricole e
dell’allevamento sono:
La percentuale di aziende e/o di superficie per classe di ampiezza della superficie agricola
aziendale. Generalmente si utilizzano le seguenti classi di SAU o SAT: meno di 1 ettaro
(microaziende), da 1 a 5 ettari, da 5 a 20, da 20 a 100, da 100 a 500 e oltre 500 (grandissime
aziende). La concentrazione della superficie agricola nelle classi dimensionali minori è
generalmente indice di un’agricoltura frammentata, tendenzialmente poco industrializzata e poco
orientata ai mercati extra-regionali. Non esclude, tuttavia, la presenza di attività imprenditoriali
specializzate di nicchia, laddove esistano produzioni caratterizzate da marchi o denominazioni
controllate. D’altra parte, la presenza di agricoltura marginale può rappresentare anche un elemento
di salvaguardia ambientale e paesaggistica.
La percentuale di aziende e/o di superficie agricola per tipo di coltura o allevamento. Questo
indicatore esprime la specializzazione produttiva delle aziende e/o dei territori analizzati. Un
indicatore più raffinato può essere il quoziente di specializzazione colturale7, che misura la
specializzazione del territorio considerato rispetto alla media della regione che lo contiene. Di
particolare importanza per identificare il grado di integrazione della produzione agricola locale nei
mercati extraregionali è la presenza di colture specializzate e/o industriali.
La percentuale di aziende e/o superficie agricola per tipo di conduzione. Questo indicatore, assieme
a quello relativo alle classi dimensionali, è utile per stimare l’estensione dell’agricoltura marginale
orientata prevalentemente all’autoconsumo (le piccolissime aziende a conduzione diretta), rispetto
all’agricoltura capitalistica (aziende di dimensioni medio-grandi, con manodopera salariata).
Il rapporto tra addetti all’agricoltura e popolazione residente e/o tra addetti all’agricoltura e
superficie agricola. Il primo indicatore misura la specializzazione agricola del territorio; il secondo
misura il contenuto di lavoro della superficie coltivata e può quindi, con qualche cautela,
rappresentare un indice di struttura organizzaztiva.
Fonti e indicatori per l’analisi delle attività produttive: industria e servizi
Anche le altre attività produttive –attività industriali e servizi – hanno impatti ambientali rilevanti.
Entrambe utilizzano risorse quali energia e acqua; quelle industriali, inoltre, possono anche avere
impatti in termini di inquinamento (scarichi gassosi, liquidi e solidi). Entrambe, inoltre,
determinano carichi ambientali in termini di flussi di trasporto.
Le fonti più utili per l’analisi di queste attività a scala comunale sono i Censimenti dell’industria e
dei servizi e le Camere di commercio.
Il Censimento dell’industria e dei servizi
Le attività produttive industriali e terziarie sono oggetto di uno specifico censimento, il Censimento
dell’industria e dei servizi (Cis). Originariamente limitato al solo settore industriale, questo
censimento ha successivamente ampliato il suo campo di osservazione, includendo
progressivamente il commercio, i trasporti e le telecomunicazioni, gli altri servizi delle imprese
private e infine – a partire dal 1981 – anche i servizi delle istituzioni pubbliche e non profit.
Gli ultimi Censimenti dell’industria e dei servizi hanno pertanto come unità di osservazione le
imprese e le istituzioni, (cioè i soggetti giuridici), le loro unità locali (cioè i luoghi fisici di
produzione, siano essi uffici, capannoni, magazzini, officine, negozi, etc.) e gli addetti (cioè tutte le
persone che lavorano nelle imprese e nelle loro unità locali).
-
La Classificazione delle attività economiche, cioè il modo in cui sono catalogate e aggregate le
diverse attività, è un elemento cruciale quando si utilizzano i dati dei Cis, in quanto consente di
verificare la confrontabilità dei dati tra censimenti (e con altre nazioni). La classificazione delle
attività, infatti, evolve nel tempo ed è diversa da paese a paese. Dal 1981, tuttavia, si è avviato un
processo di unificazione a livello Europeo, in cui i diversi sistemi nazionali si sono adeguati alla
classificazione Europea NACE. Nel censimento del 1991 l’Italia ha adottato il sistema di
classificazione ATECO 91; dopo il censimento 2001 è stato varato il sistema ATECO 2002. La
classificazione delle attività economiche è generalmente organizzata in modo gerarchico. La
classificazione ATECO 91 utilizzata per gli ultimi due censimenti è tipicamente organizzata in:
SEZIONI e SOTTOSEZIONI (codici alfabetici A, B, C, ….; CA, CB, …)
Divisioni (codice a due cifre XX)
Gruppi (codice a tre cifre XX.y)
Classi (codice a quattro cifre XX.yy)
Categorie (codice a cinque cifre XX.yy.z
7
Formula del quoziente di specializzazione: superficie colturaj comunei /
superficie totale comunej
superficie colturaj regione
superficie totale regione
La sezione A riguarda le attività di prima trasformazione di materie prime dell’agricoltura e
dell’allevamento svolte presso le aziende agricole; la sezione B riguarda le attività della pesca e
della piscicoltura; la sezione C riguarda le attività estrattive; la sezione D include tutti i settori
manifatturieri (classificati in sottosezioni); la sezione E include le attività di produzione e
distribuzione di elettricità, gas e acqua; la sezione F include infine l’industria delle costruzioni. Le
sezioni dalla G alla O riguardano invece le attività dei servizi.
Per quanto riguardal’unità di osservazione imprese e istituzioni, le caratteristiche rilevate sono: la
forma giuridica (dalla ditta individuale alla società per azioni); il carattere unilocalizzato o
plurilocalizzato; il numero e le caratteristiche degli addetti. Per quanto riguarda le unità locali viene
rilevato il numero di addetti e le loro caratteristiche (in particolare sesso e qualifica). E’ importante
sottolineare che tutte le informazioni relative alle unità locali riguardano il luogo dove è localizzata
l’attività produttiva e non il luogo della sede legale dell’impresa o istituzione. Pertanto, a differenza
degli occupati che sono rilevati nel luogo di residenza dei lavoratori, gli addetti delle unità locali si
riferiscono al luogo dove è effettivamente localizzata l’attività.
Gli indicatori più utili per l’analisi delle attività industriali e terziarie operanti in un territorio sono:
La percentuale delle unità locali (u.l.) delle imprese e delle istituzioni e/o degli addetti delle unità
locali delle imprese e delle istituzioni per settori di attività economica (con grado di
disaggregazione settoriale da definire in funzione degli obiettivi dell’analisi)8. Va sottolineato che
l’uso del numero di addetti come indicatore di effettiva consistenza delle attività è preferibile al
numero delle unità locali, in quanto queste ultime possono essere di dimensioni anche molto
diverse. Anche in questo caso è particolarmente utile calcolare il quoziente di specializzazione9 del
territorio in esame, rispetto alla provincia o alla regione che lo contiene o all’intera nazione.
La percentuale delle u.l. e/o degli addetti per classe dimensionale delle u.l. e la dimensione media
delle u.l. Questi indicatori sono utili per apprezzare la struttura organizzativa delle imprese nel
territorio in esame, cioè la presenza di un tessuto di piccole e medie imprese piuttosto che di grandi
impianti o uffici.
La percentuale delle u.l. e/o degli addetti delle imprese e delle istituzioni per tipologia giuridica (in
particolare è utile distinguere tra l’insieme delle società di persone e l’insieme delle società di
capitali per quanto riguarda le imprese; e tra istituzioni pubbliche e non profit per quanto riguarda le
istituzioni). Anche questi indicatori sono utili per identificare le caratteristiche organizzative della
struttura produttiva locale e il rapporto tra settore privato e settore pubblico.
Il rapporto tra addetti all’industria e/o ai servizi e popolazione residente. Questo indicatore misura,
da una parte la specializzazione industriale o terziaria del territorio; dall’altro – quando si
analizzano i servizi pubblici e alle persone – la dotazione di servizi del territorio considerato,
rispetto alla popolazione.
Per gli ultimi tre Censimenti dell’industria e dei servizi l’Istat ha anche identificato i Sistemi locali
di lavoro (SLL), cioè aggregazioni di comuni contigui legati da flussi di pendolarismo casa-lavoro.
Per il censimento 2001 sono state identificate diverse tipologie di SLL, in base alle loro
caratteristiche produttive.
Le Camere di commercio
Le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (Cciaa) possono rappresentare una
fonte preziosa di informazione sulle imprese a livello provinciale e anche comunale. L’effettiva
disponibilità e confrontabilità di dati nel tempo dipende dagli uffici. L’unità di osservazione sono le
E’ importante ribadire che per evidenziare la consistenza delle attività su un territorio devono essere utilizzati i dati sulle
unità locali, cioè quelle effettivamente localizzate su quel territorio, piuttosto che i dati sulle imprese.
9
Formula del quoziente di specializzazione: addetti settorej comunei / addetti settorej regione o nazione
8
addetti totali comunej
addetti totali regione o nazione
imprese private iscritte. Le informazioni raccolte dalle Cciaa riguardano: forma giuridica
dell’impresa, principale settore di attività, anno di costituzione, località della sede legale, eventuale
anno di cessazione dell’impresa. Oltre che sulla struttura e sull’evoluzione delle suddette
caratteristiche delle imprese, tali dati, quando siano disponibili serie storiche attendibili, possono
consentire interessanti analisi sulla natalità e mortalità delle imprese. Generalmente le Cciaa non
registrano informazioni sugli addetti.
Fonti e indicatori per l’analisi del turismo
Il turismo non è un settore in senso stretto, in quanto comporta l’offerta congiunta e complementare
di beni e servizi e, pertanto, le attività turistiche appartengono a tutti e tre i settori della contabilità
nazionale: agricoltura, industria e servizi. Tuttavia, a causa delle sue specificità e del suo crescente
ruolo economico, il turismo viene generalmente denominato “settore” o “industria” e trattato in
modo indipendente. Può essere analizzato dal lato della domanda (i flussi turistici) e dal lato
dell’offerta (risorse e attività).
Caratteristica principale del “settore” turistico è il suo forte contenuto di territorio: l’offerta turistica
è costituita in primo luogo da risorse territoriali (naturali, naturalistiche, storiche, culturali) che
rappresentano l’elemento di “attrattività” di una località – e giustificano lo “spostamento” della
domanda verso quel territorio – attorno alle quali si sviluppano le attività. Attività e flussi hanno, a
loro volta, un forte impatto sul territorio.
Il turismo, dunque, è in primo luogo un forte elemento di pressione antropica sull’ambiente: gli
investimenti necessari per soddisfare la domanda turistica (infrastrutture di trasporto, strutture
ricettive, strutture per il tempo libero) possono compromettere l’ambiente, cosi come i flussi
turistici stessi possono rappresentare un carico ambientale insostenibile (usura, inquinamento).
D’altro canto, lo sviluppo turistico – se opportunamente pianificato – può anche rappresentare uno
strumento di salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente. Di conseguenza, ogni strategia di
sviluppo turistico deve necessariamente coniugarsi con una strategia di salvaguardia delle risorse
territoriali che los sostengono.
Le principali fonti per l’analisi territoriale del turismo sono L’Istat e le Apt – Aziende di
promozione turistica (regionali, provinciali, comunali). Entrambe forniscono informazioni su
domanda e offerta turistica fino alla scala comunale. Altre fonti possono essere l’Enit – Ente
nazionale italiano turismo, l’Assoturismo, i Parchi, le Pro Loco.
Le statistiche sul turismo predisposte dall’Istat sono di tre tipi: a) in primo luogo le informazioni
riguardanti imprese, unità locali e addetti per alcuni settori di offerta turistica nei Censimenti
dell’industria e dei servizi (alberghi e pubblici esercizi; agenzie di viaggio e operatori turistici); b)
in secondo luogo le indagini campionarie sulla domanda turistica (le vacanze degli italiani); c)
infine, le informazioni su domanda e offerta turistica raccolte dalle Apt presso gli esercizi ricettivi
(arrivi e presenze, capacità ricettiva), che l’Istat raccoglie e pubblica annualmente in forma
omogenea.
La metodologia per l’analisi delle attività turistiche rilevate dai Censimenti è già stata trattata. Le
indagini campionarie sulla domanda di vacanza delle famiglie italiane sono svolte dall’Istat una
tantum e, benché interessanti, forniscono informazioni territorialmente poco disaggregate. I più utili
sono i dati raccolti presso gli esercizi ricettivi dalle Apt e pubblicati annualmente dall’Istat in un
rapporto specifico intitolato Statistiche del Turismo, disponibile anche on line a partire dall’anno
1998.
Le statistiche del turismo Istat e Apt
I dati forniti dall’Istat hanno il pregio di essere omogenei e confrontabili nel tempo e nello spazio.
Ma non sono tutti disponibili a livello comunale (in particolare, non sono disponibili a scala
comunale i dati sulla domanda per mese). I dati comunali dettagliati possono essere ottenuti presso
le Apt10 (comunali e provinciali), ma anche in questo caso effettiva disponibilità e affidabilità
dipendono dagli uffici.
Le statistiche sulla domanda turistica hanno come unità di osservazione i turisti e forniscono
informazioni su: numero di arrivi (persone) e di presenze (pernottamenti), per regione e paese di
origine dei turisti e per tipologia di esercizio ricettivo, su base mensile e annuale. La disponibilità di
dati per mese ha il pregio di consentire l’analisi della distribuzione stagionale di arrivi e presenze.
Le statistiche sull’offerta turistica hanno come unità di osservazione gli esercizi ricettivi e
forniscono informazioni su: tipologia dell’esercizio (alberghiero o extra-alberghiero e rispettive
sottocategorie11), numero di camere, letti e bagni.
Per quanto riguarda la domanda, è opportuno sottolineare come, ai fini dell’effettiva quantificazione
della domanda di ricettività e servizi turistici in un territorio, il numero di presenze sia
evidentemente più significativo di quello degli arrivi. Gli indicatori più utili per l’analisi territoriale
della domanda turistica sono:
Il saggio o indice di variazione degli arrivi e/o delle presenze annuali nel tempo. Tali indicatori
identificano le tendenze della domanda turistica negli anni. Le serie storiche dell’Istat
(pubblicazioni cartacee) risalgono fino agli anni ’70 e le tendenze possono essere calcolate per le
diverse tipologie di domanda: italiana e straniera, e per categorie di esercizio.
La permanenza media, espressa in giorni, come rapporto tra arrivi e presenze. Esprime la capacità
di un territorio di “trattenere” i flussi turistici.
La distribuzione mensile delle presenze. Generalmente – ed efficacemente – espressa con l’ausilio
di un grafico lineare (con il numero o la percentuale di presenze sull’asse delle ordinate e i dodici
mesi dell’anno sull’asse delle ascisse), la distribuzione mensile delle presenze esprime la
stagionalità dei flussi turistici. Quanto più concentrate sono le presenze nei mesi estivi (luglio e
agosto) e/o nel mese di dicembre, tanto più stagionale è la domanda turistica verso il territorio
considerato. Elevati livelli di stagionalità hanno implicazioni negative per l’offerta, in quanto
riducono i margini di redditività e sostenibilità dell’occupazione. E’ anche utile confrontare la
distribuzione stagionale delle presenze per i turisti stranieri e quelli italiani: questi ultimi mostrano
in genere più elevati livelli di concentrazione stagionale.
Il rapporto tra presenze turistiche annuali e popolazione residente e/o superficie territoriale
(Kmq). Il primo indicatore viene usato per misurare la specializzazione turistica di un territorio,
rendendola confrontabile con quella di altri territori; il secondo, misura il “carico turistico
territoriale”, ma è fortemente influenzato dall’orografia del territorio. Per il turismo balneare, spesso
si usa come denominatore i Km di costa.
Per quanto riguarda l’offerta, occorre sottolineare che l’indicatore più efficace di effettiva
consistenza dell’offerta di ricettività in una località è il numero di posti letto (il numero di camere o
di esercizi è viziato dal fatto che le camere possono essere doppie o singole e che gli esercizi
possono essere di dimensioni diverse). Il numero di posti letto è anche l’indicatore comune a tutte le
tipologie di esercizio alberghiero ed extra-alberghiero. Gli indicatori maggiormente utilizzati per
l’analisi territoriale sono:
Il saggio o indice di variazione di esercizi e posti letto nel tempo. Tali indicatori identificano le
tendenze dell’offerta negli anni e possono essere calcolate per le diverse tipologie di offerta:
alberghiera ed extra-alberghiera e loro sottocategorie. Il primo riflette le tendenze della struttura
Tranne nel caso di un numero di esercizi ricettivi inferiore a 3, nel qual caso scatta la protezione della privacy.
Gli esercizi ricettivi alberghieri includono gli alberghi da 1 a 5 stelle e le residenze turistico alberghiere; gli esercizi
extra-alberghieri includono i campeggi, i villaggi turistici, gli alloggi agro-turistici, gli alloggi in affitto, gli ostelli, i rifugi
alpini e le case per ferie.
10
11
imprenditoriale; il secondo, come si è detto, riflette l’effettiva evoluzione dell’offerta di capacità
ricettiva.
La dimensione media degli esercizi. E’ dato dal rapporto tra posti letto ed esercizi. Riflette la
struttura e l’evoluzione organizzativa dell’offerta (prevalenza di piccole e medie imprese familiari,
piuttosto che grandi alberghi). Una struttura “polverizzata” è spesso più “radicata” nel territorio di
una grande catena alberghiera.
Il rapporto tra bagni e posti letto. Misura il livello qualitativo dell’offerta e la sua evoluzione.
Il rapporto tra posti letto e popolazione residente. Misura la specializzazione turistica di un
territorio dal lato dell’offerta, rendendola confrontabile con quella di altri territori.
L’indice di sfruttamento o utilizzazione della capacità ricettiva. E’ dato dal rapporto tra presenze
annuali negli esercizi ricettivi e numero di posti letto disponibili sull’arco dell’anno (posti letto
moltiplicati per 365). Esprime il livello di utilizzazione dell’infrastruttura ricettiva. Quanto più è
basso, tanto più stagionale è la domanda e limitata la redditività dell’investimento.
E’ importante sottolineare che la domanda e l’offerta turistica evidenziati dall’analisi dei dati
raccolti presso gli esercizi ricettivi non esauriscono la dimensione complessiva del turismo: larga
parte della domanda turistica – specie quella balneare nel Mezzogiorno – viene soddisfatta
attraverso l’offerta di case in affitto non rilevate dalle Apt o nelle seconde case in proprietà. Un
indicatore indiretto dell’offerta di queste ultime si può ottenere dal Censimento delle abitazioni (si
veda la sezione sul patrimonio edilizio).
3.7. Fonti, citazioni e riferimenti
Nella ricerca scientifica il contributo veramente originale del ricercatore è quasi sempre una
porzione alquanto ridotta del sapere scientifico proposto: la maggior parte delle informazioni e delle
conoscenze raccolte e elaborate sono tratte dal lavoro di altri ricercatori o istituzioni di ricerca. Per
questo motivo, è preciso dovere – e carattere distintivo – del “vero” ricercatore citare le proprie
fonti. Quanto più un testo è ricco di riferimenti bibliografici e fonti di informazioni, tanto più
autorevole e rigoroso si dimostra l’autore.
Pertanto, nell’elaborare un testo – ad esempio la vostra antologia critica – è necessario indicare il
riferimento bibliografico tutte le volte che presentate un pensiero, un concetto, un’informazione,
una tabella, un immagine tratti da un altro studio o documento.
Esistono diversi sistemi e convenzioni. Io vi propongo quello anglosassone che sta diventando il più
diffuso.
Riferimenti nel testo a scritti di altri autori
Se il pensiero dei un altro autore è sintetizzato con vostre parole, alla fine del periodo in cui si
presenta questa sintesi si indica tra parentesi il cognome dell’autore o degli autori, seguito dall’anno
di pubblicazione dello scritto (Rossi, 1997; Rossi e Bianchi 2001). Alla fine del vostro testo vi sarà
una sezione apposita, denominata Riferimenti bibliografici, in cui saranno elencati in ordine
alfabetico e cronologico tutti gli autori cui avete fatto riferimento nel testo, con il dettaglio delle
loro opere (cognome, nome, anno di pubblicazione, titolo volume o saggio, titolo rivista e numero
oppure autore e titolo volume collettaneo). Per il formato dei riferimenti potete scegliere tra diversi
modelli: basta aprire la sezione rilevante in alcuni libri e scegliere lo stile che più vi aggrada.
ATTENZIONE: i Riferimenti bibliografici sono diversi da una Bibliografia.
Citazioni nel testo
Se riportate frasi o periodi interi di un altro autore, parola per parole, generalmente si mette questo
testo tra virgolette e in corsivo, a volte in carattere più piccolo. Il riiferimento all’’autore, in questo
caso deve essere seguito anche dal numero di pagina dacui è tratto il brano (Rossi, 1998 pag. 35).
In generale
Qualunque grafico, immagine, tabella, cartografia, oltre a numero progressivo e titolo, dovrà
sempre riportare l’indicazione della Fonte. Parte integrante della fonte è l’anno cui si riferiscono i
dati, l’immagine, la cartografia. Nel caso di cartografia è indispensabile indicare anche scala e
orientamento.
Tabella 3.1. Classificazione dei riferimenti bibliografici
Autore/i
Anno di
Titolo completo
(eventualmente pubblicazi
a cura di)
one
Nome rivista o Numero, Editore
giornale o tipo mese o
di documento data di
pubblica
zione
Città
dell’editore
Sito web
Data di
consultazion
e in caso di
sito web
Titolo, editore,
anno di
pubblicazione
opera originale