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Magia, Mistica e Philosophia perennis
Il titolo più appropriato di questo studio dovrebbe essere:
Filosofia, Magia, Mistica e Philosophia perennis perché tale
pare la più probabile sequenza degli approcci al Sacro, almeno
sotto il profilo della storia del “pensiero” religioso. Quando si
segua, nello studio della storia, la teoria tradizionale1 che vuole la
sua suddivisione in quattro cicli, ciascuno di una qualità ed
intensità degradata rispetto a quello che lo precede, si può iniziare
questo lavoro premettendo una considerazione riportataci dal
Vishnu-purâna2: “La razza <dei tempi ultimi> sarà incapace di
produrre nascite divine”. Questa considerazione implica una
prima conseguenza, e cioè che la via tra il mondo uranico e divino
e quello terrestre sarà impervia, cosa che, però, non contraddice
quell’altra secondo cui fino alla fine dei tempi all’uomo sarà data
la possibilità di “ascesa” dall’umano al divino genere. Chance del
resto resa implicita da frasi riferite al Buddha o a Gesù Cristo 3. La
“natura” dell’uomo gli permetterà sempre (pena il cessare
d’essere uomo) la possibilità di amare e, con questo, di
“Conoscenza” sacra4. Si usa, è opportuno ricordarlo, del termine
“filosofia” in senso eminente e platonico di “esercizio alla morte”
e non di “pensare” fine a se stesso, come si vedrà ripetuto meglio
sotto. In questa dimensione, quella di conoscenza trascendente a
Tale è l’impostazione chiaramente descritta nella tradizione ebraica piuttosto che in
quella hindu o norrena o greca (solo per citare le principali). A riguardo valgano gli
insegnamenti tramandatici da studiosi moderni come Réné Guénon, Mircea Elade o
Gaston Georgelle
2
Nella traduzione di Horace Hayman Wilson ora disponibile sul web ma già
ricordata, in alcuni tratti salienti al nostro fine, da Julius Evola, nel suo Rivolta contro
il mondo moderno, ed. Mediterranee, Roma 1969, 1976-19785, pag. 445 e ss.
3
Cfr. Daisetz Teitaro Suzuki, Misticismo cristiano e Buddhista,( La via orientale e
occidentale), ed. Ubaldini, Roma 1971, e Raffaella Arrobbio Agostini, Divino
risveglio (Conoscenza e Amore nelle parole di Gotama il Buddha e Gesù il Cristo),
ARS, ed. Chiaramonte, Torino2011.
4
Al riguardo si veda Che cos’è l’Uomo, ARS, a c. di Maurizio Barracano, ed.
Chiaramonte, Torino 2011.
1
1
pragmatica, la filosofia, d’altronde, travasa nella magia come
questa si riversa nella religione. Una linea di demarcazione
davvero netta non pare proprio esistere.
La scoperta più importante relativa a questo contributo la
faremo proprio alla sua conclusione, quando potremo suffragare la
circolarità di quello che Eliade seppe inquadrare come “Eterno
ritorno”5. Dalla malaugurata distruzione dell’Accademia ateniese
opera di Silla (86 a.C.) la Filosofia ed il “tipo” del filosofo si
dovettero stemperare fino ad approdare, di assestamento in
assestamento, alla teoresi della Scolastica. Trascureremo, ai nostri
fini, tutta la serie di involuzioni per cui la pratica spirituale
diventò ipotesi e “pensiero” sostanziato di sola opinione o, peggio
ancora, pura ed esclusiva “storia”.
La frattura tra ragione e fede, drammatizzatasi
definitivamente proprio con la Scolastica, ha prodotto quindi tutta
una congerie di equivoci. Sfociata nei cosiddetti “ideali” della
rivoluzione francese e del Geist weberiano del capitalismo, questa
serie di malintesi ci ha depositati, interiormente frastornati, nella
dèbacle odierna. L’apparente dicotomia tra misticismo e magia è
uno dei segni più significativi della parodia di uomo in cui la
nostra civiltà si dibatte.
Le due immagini odierne, quella del “mistico” e quella del
“mago”, sono perfettamente paradigmatiche. Questo per non dire
dello stereotipo del “filosofo”. Il mago dovrebbe essere colui che
domina la hybris personalizzata della natura per riaverne un
qualche risultato anche catartico, mentre con il mistico si vorrebbe
rappresentare una persona distaccata dal senso di sé (tracotanza,
orgoglio) e volta al Sacro. Stendiamo un pietoso velo sulla figura
caricaturale del “filosofo” che, con la filosofia per come
l’intendeva Platone nel Fedone (“esercizio alla morte”, ib. 67), ha
evidentemente nulla a che spartire. Fondamentalmente, nel primo
caso (del mago) la “ragione” tenderebbe ad avere la meglio sulle
5
Cfr. Il mito dell’eterno ritorno, ed. Borla, Roma 1968.
2
forze del mondo divenente e nel secondo la “fede” (del mistico)
dovrebbe fare fondamentalmente…lo stesso, sub specie
interioritatis.
Ma allora dov’è il busillis?
La differenza che separa il mistico dal mago, nella comune
visione (che non è assolutamente l’inconscio collettivo), dovrebbe
essere allora teleologica, dovrebbe riguardare i fini.
Passando per il necessario equilibrio psichico, sia il misticismo
che la magia possono portare assai lontano o, forse, terribilmente
vicino, fino all’ hic et nunc (si veda il tempo come Kairos, eterno
presente, qui-e-adesso). Qui la vera Magia è talmente vera da
superarsi ontologicamente.
Ogni dominio è una “vittoria” che libera da una sudditanza, da
un servaggio quale che sia. E’ una legge valida sempre: ogni
conoscenza è, contemporaneamente, un superamento essenziale.
Così il mistico, come lucidamente ci ricordava Meister Eckhart, è
l’uomo nobile per eccellenza, dove questa “nobiltà” è aristocrazia
nel senso più vero ed etimologico. Il “migliore”, nell’interiore
economia, si libera da ogni possesso e si volge, nudo, al
superamento di ogni dicotomia e di ogni di-archia conseguente.
Nel Buddhadharma (Buddhismo) Zen è spesso ricordato un breve
racconto secondo il quale Bodhidharma (introduttore del
Buddhismo in Cina (fine V- prima metà del VI secolo d.C.), dal
quale si originò lo Zen giapponese, si racconta avesse tenuto
questo insegnamento ad un suo discepolo: mentre si stavano
avventurando su di un sentiero sui fianchi di una montagna,
Bodhidharma intimò al suo allievo di gettare via il suo bastone,
cosa che il discente fece subito. Essendo passato qualche tempo, il
Maestro ingiunse al suo seguace di “buttare definitivamente via” il
bastone sottintendendo con ciò che non è tanto alle cose che si
deve rinunciare quanto dall’attaccamento che per esse si prova; ci
si deve affrancare soprattutto all’idea che si possiede della
cosiddetta “realtà”. Di qui prende origine il cammino verso il bene
3
più alto cui l’uomo, ogni uomo, possa tendere: la riconquista della
sua più vera dignità di Uomo.
Questo uomo, l’uomo di tutti, felice summa di spirito, anima e
corpo, vede una necessaria mediazione tra lo spirito (mondo
noumenico) e il corpo (mondo naturale o fisico), realizzata
dall’aspetto “animo” dell’anima6. Questa essenziale forza umana
mediatrice è la medesima forza che anima la natura, forza e
mondo anch’essa intermedia tra il divino e l’insenziente solo
fisico. Questa energia è quella stessa che i greci chiamavano
psyche e che, nell’antica sapienza dell’alchimia spirituale, veniva
simbolicamente indicata con il “mercurio” sotto il segno
dell’ariete. Fuor di metafora: la vita volontaria e non quella basale
ed involontaria7; altrimenti usato, il “nostro” mercurio simbolico,
valeva simbolicamente ad adombrare la forza pensiero
“rettificata”. Questa potenza, quando precedente la rettificazione,
è influenzabile sia dall’ “alto” che dal “basso”; nel primo caso
otterremo il predominanza dello spirito (solfo) ed avremo appunto
il passaggio dalla sudditanza al dominio interno, nel secondo sarà
il sale (la fissità, in questo senso la plumbea identificazione con
l’esistenza, il senso di sé disperatamente orgoglioso e greve,
deprimente) ad avere la meglio e la guida dell’animo.
Insomma: chi ispiri la sua vita alla corporeità, al fascino
mortifero dell’attaccamento ctonio, produrrà una impressione
sull’animo
e, nello stesso tempo, delle vere e proprie
deformazioni dello stesso. E’ immediato il rimando alla biblica
“chi ama la sua vita la perderà…” (Gv, 12, 24-26).
Su questo esiste un importante e specifico studio ne: La lettera d’oro (Lettera ai
fratelli del Monte di Dio) di Guglielmo di Saint-Thierry, ed. a c. di Giovanni
Bacchini, Piemme, Casale Monferrato 1997.
7
Che verrà sempre simboleggiata col Mercurio ma sotto gli influssi della luna (luxnaturae in Cesare della Riviera, Il mondo magico de gli heroi).
6
4
Nell’altro caso, speculare, l’indiamento, la continua tensione verso
l’universo metafisico, condurrà alla sapienza, quella stessa di cui
sant’Agostino ebbe a dire: “fac sapias et liber eris”, procura di
sapere e sarai libero, mentre Giovanni evangelista, proseguendo
la frase di cui sopra, insegnerà che: “…chi odia la sua vita in
questo mondo, la conserverà per la vita eterna”8. E’ un fatto di
pragmatismo spirituale, non una delle solite fole “spiritualistiche”:
la consapevolezza che si “volge” all’ esperienza senza ritorno (la
caratteristica essenziale dell’umiltà pratica).
Nell’antico persiano come in greco, l’etimologia di “magia”
indicava (mageia) la grandezza. Di qui s’originarono sia il
“magnanimus” latino che il “mahatma” sanscrito9, ad adombrare
la grandezza d’animo, evidentemente non quella fisica10. Qui era
in questione la grandezza come qualità, innanzitutto, perciò
sinonimo di lustro, onore, regalità, fasto. Inoltre, la parentela
etimologica con l’arabo majid11, il grande, il glorioso,
l’onorevole, non può non far riflettere.
La magia per eccellenza, insomma, era scienza del distacco e del
solare dominio (che deve essere sempre umile pena il suo
fallimento) delle forze intermedie tra natura e divino per
raggiungere fini simultaneamente catartici.
La mistica (il termine nasce dal greco -myo, myein, per
chiudere, tacere, da cui anche il termine mistero) è sempre e
dovunque stata l’arte e la scienza di superare l’egoità, la brama
d’esistenza, giusta una frase di Angelo Silesio:
“Non ottiene l’uomo perfetta beatitudine
8
Ibidem.
E’ immediato il rimando ad Alessandro “Magno” od al “Mahatma” Gandhi.
10
Non è quasi mai esistita, nell’antichità, una visione ridutivamente fisicistica se non
in alcuni particolari sistemi di pensiero hindu (darsana) o, ad ulteriore esempio,
presso i filosofi cirenaici.
11
Al-Majid è il quarantanovesimo dei novantanove nomi-attributi coranici di Allah
(Corano Sûra XI, hûd 73).
9
5
Prima che l’unità abbia inghiottito l’alterità”12.
Mistico si può dire di colui che stia per superare o abbia
superato il “male” attraverso alcune particolari “vie” alla
trascendenza, che dapprima distaccano e poi ridispongono l’animo
in una nuova attitudine verso la vita.
Anche la mistica, come oramai pare evidente, procedeva da un
medesimo assunto (cioè che l’uomo sia impastato di sonno e di
tracotanza) e muoveva verso un fine spesso analogo
(l’affrancamento dell’uomo da ogni forma di accidia e di
attaccamento psichico) per restituirlo alla Bellezza e, attraverso
questa, al Bene13. Questo anche se, è opportuno ricordarlo, la
magia può anche avere altri sbocchi tutt’altro che “solari”.
Si può dunque serenamente sostenere che tra magia e mistica
esista una oggettiva parentela che passa, si perdoni l’espressione,
per gradini “tecnici”, per disposizioni di forte pragmatismo, al fine
di sortire in stati “totalmente altri”. Qui, secondo gli arcaici
insegnamenti tradizionali della Philosophia perennis14, si può
decisamente comprendere ed affermare in tutti i sensi che “si
diventa ciò che si pensa”.
Un mistico buddhista insegnava, a proposito della “Via di
mezzo” secondo cui i fenomeni sono illusione, privi di realtà in sé
ma in continua coproduzione condizionata: “La vacuità –han detto
i Vittoriosi- è l’eliminazione di tutte le opinioni. Coloro poi per
12
Cfr. Il pellegrino cherubico, (IV, 10) ed. a c. di Giovanna Fozzer e di Marco
Vannini, ed. Paoline, Cinisello Balsamo, 1989, pag.252.
13
Cfr. Che cosa è l’Uomo, atti del convegno tenutosi recentemente a Torino per ARS,
Associazione Ricerche Spirituali, il 29 ottobre 2011.
14
Il termine Philosophia perennis venne coniato dal canonico agostiniano regolare
Agostino Steuco (Gubbio 1497 – Venezia 1548) che, nel 1542, così intitolò
l’omonimo libro edito a Basilea. Questo testo è digitalizzato per intero e disponibile
on line presso Google Books.
6
cui anche la vacuità è un’opinione questi li han detti
inguaribili”15. Proprio in questa dimensione si colloca la magia
perché lavora sulla “materia illusoria” e intermedia imprimendole
delle forme utili al conseguimento di un fine, quale che possa
essere.
Un secondo corpus di considerazioni va fatto su alcune
direttrici originarie della magia. Nella cultura occidentale, in
particolar modo, è fondamentale il rimando a Proclo ed ai suoi
testi magico-teurgici. Già oggetto di un approfondito studio di
Giovanni Reale16, questi trattati introducevano un elemento chiave
che avrebbe mutato profondamente l’ottica del neo-platonismo di
Plotino: la fede.
Elemento fondamentale di “partecipazione” del mago alle
operazioni, la fede era vista, da Proclo, integrare la volontà
dell’operatore. Una sottile considerazione potrebbe animare queste
righe: nella fatale decadenza del tipo umano17, siamo nel quinto
secolo, ha forte motivo d’esistere un atteggiamento più
“femminile” nell’approccio magico. Di qui, il passo ad un
riposizionamento della pratica e dell’impostazione dei rituali
potrebbe essere relativamente breve. C’è però da considerare un
ulteriore elemento: in fine dei conti una certa qual “fides” esiste eo
ipso nel rituale magico e, di più, pare abbastanza inutile e
fuorviante l’atteggiamento da laudator temporis acti. Il trapasso
cui si accennava sopra, in pratica, conta poco o nulla.
Pragmaticamente: ogni uomo si trova a dover fare i conti col suo
15
Cfr. Nâgârjuna, Le stanze del cammino di mezzo (Madhyamaka Kârikâ, XIII, 8), a
c. di Raniero Gnoli, ed. Boringhieri, Torino 1979, pag.82,
16
Cfr. I manuali, trad. pref. note e indici a c. di Chiara Faraggiana di Sarzana, ed.
Rusconi, Milano 1985 pag. 239 ss.
17
Cfr. la teoria degli Yuga hindu piuttosto che nelle età dell’uomo bibliche o
nell’Edda, ritorna un medesimo réfrain che vuole un costante e progressivo diminuire
nello scorrere del tempo della qualità e della quantità della vita umana. Sul tema cfr.
gli studi di Réné Guénon (in part. Forme tradizionali e cicli cosmici, ed.
Mediterranee, Roma 1970) e il lavoro di Gaston Géorgel: Le quattro età
dell’umanità, ed. Il Cerchio, Rimini 1982.
7
tipo storico e qui s’innesta il suo albero della conoscenza. Quando
Angelo Silesio sottolineava l’importanza di conoscere senza
discriminare e di amare senza sentimento questo proprio stava
ponendo in evidenza. Conoscenza e amore sono metastorici e
metafisici, assoluti, e sono necessariamente in opposizione con la
mente discriminante (la dianoesi aristotelica) e con il
sentimentalismo che separa, di sua natura, il soggetto conoscente
dall’atto di conoscenza e dall’oggetto conosciuto. Proprio in
questa dimensione, separativa, si attua l’altro tipo di magia, che
potremmo definire “nera”: qui la potenza delle forze intermedie è
usata per fini certamente non nobili. Tutto lo strame umano ci
trova ricetto, e ne sono prove certe forme popolari di stregoneria
utili ad appagare il più basso e vile sentire di una schiatta di
“uomini” in tutto sradicati dalla dignitas primordiale.
“Come quelli che amano, partendo da ciò che di bello
appartiene al mondo sensibile e compiendo un’ascesa
progressiva, arrivano a incontrarsi con l’unico Principio stesso di
tutti gli esseri belli e intelligibili, così anche coloro che praticano
l’arte ieratica, capendo, in base alla simpatia che esiste in tutte le
cose visibili e le unisce le une alle altre e con le potenze invisibili,
che tutto è in tutto, fondarono la scienza ieratica, ammirati al
vedere che i termini ultimi sono presenti nei primi e negli ultimi i
primi, che in cielo le cose terrestri esistono contenute nelle cause
da cui traggono origine e secondo la modalità celeste, mentre
sulla terra le cose celesti esistono il modo terrestre.”18.
Le religioni naturalmente non andarono esenti da forme di
magia. Tipico esempio è quello che si ricava da alcune frasi di
sant’Antonio abate che, nella sua opera compresa nella Filocalia,
allude a “mente e parole” come via al Divino, dunque non solo ad
un atto interiore ma anche ad un’opera esteriore che poteva
Questa pagina viene attribuita ad “un cristiano” compilatore dell’estratto; cfr. I
manuali, cit. supra, pag. 239.
18
8
portare all’esperienza, alla prova, alla verifica per eccellenza.
Anche se non ammesse, vi furono pratiche importanti che
trapassarono dai cosiddetti “pagani” ai posteriori cristiani come
nell’Islam o nella tradizione ebraica si sono protratti metodi
“tecnici” che dovevano servire da supporto a itinerari puramente
gnostici. Dati i necessari limiti del presente intervento ci
limiteremo a ricordare le pratiche qabbalistiche (e, ad esempio,
Gustav Meyrink ci riporta importanti suggestioni in materia) fino
a certi rituali “angelologici” nel mondo cristiano o in quello
islamico. Le tradizioni sciamaniche non poterono necessariamente
andare esenti da una loro peculiare e importante forma di magia, e
le vestigia di questo approccio sono ancora tramandate da studi
antropologici fissati da ricercatori dello scorso XIX secolo. Qui si
mescolano rituali di origine zoroastriana con insegnamenti corrotti
del Buddhismo fino a forme residuali di rituali caldaici e greci. In
più, si può anche scorgere una serie di apporti egizi (al cui
riguardo Francois Lexa ha realizzato importanti studi19).
In realtà si può sostenere che la magia ha da sempre una sua
importanza e incidenza nell’approccio all’“Altro mondo”.
Diretta o indiretta che possa essere definita, l’azione magica è
fondamentale e imprescindibile nel moto umano, anche religioso,
verso il divino e, molto probabilmente, fecondo alimento della
comunicazione necessaria che vuole certo divino in relazione con
il mondo umano, messa particolarmente in evidenza dalla stessa
etimologia di Angelo: Messaggero20.
Non esiste un misticismo senza la magia: “magica”
(dignificante, esaltante) è l’azione del mistico come “mistica”
(intima, profonda, poetica) è l’azione del mago. Ambedue,
Cfr. La Magie dans l’Egypte antique, III voll., Librairie orientaliste Paul Geuthner,
Parigi, 1925.
20
Uno dei pochi studi seriamente affidabili è, di Marco Bussagli, Storia degli Angeli,
ed. Rusconi, Milano 1995.
19
9
superata l’impellenza della stupidità, cercano il Tutto dell’Uno e
l’Uno del Tutto. E’ l’unico senso della Vita.
Maurizio Barracano
BIBLIOGRAFIA
Raffaella Arrobbio Agostini, Divino risveglio (Conoscenza e
Amore nelle parole di Gotama il Buddha e Gesù il Cristo), ARS,
ed. Chiaramonte, Torino 2011;
Che cosa è l’Uomo, atti del convegno tenutosi recentemente a
Torino per ARS, Associazione Ricerche Spirituali, il 29 ottobre
2011;
Marco Bussagli, Storia degli Angeli, ed. Rusconi, Milano 1995.
Gaston Géorgel, Le quattro età dell’umanità, ed. Il Cerchio,
Rimini 1982;
Réné Guénon, Forme tradizionali e cicli cosmici, a c. di Giuseppe
Del Ninno, ed. Mediterranee, Roma 1970;
Francois Lexa, La Magie dans l’Egypte antique, III voll., Librairie
orientaliste Paul Geuthner, Parigi, 1925;
Nâgârjuna, Le stanze del cammino di mezzo (Madhyamaka
Kârikâ), a c. di Raniero Gnoli, ed. Boringhieri, Torino 1979;
Oracoli caldaici, a c. di Angelo Tonelli, ed. BUR, 1995;
Proclo, I manuali, c. di Chiara Faraggiana di Sarzana, ed. Rusconi,
Milano 1985;
Michele Psello, Oracoli caldaici, a c. di Silvia Lanzi, ed. Mimesis,
Milano 2001;
Guglielmo di Saint-Thierry, La lettera d’oro (Lettera ai fratelli
del Monte di Dio) a c. di Giovanni Bacchini, ed. Piemme, Casale
Monferrato 1997;
Angelo Silesio, Il pellegrino cherubico, a c. di Giovanna Fozzer e
di Marco Vannini, ed. Paoline, Cinisello Balsamo, 1989;
10
Daisetz Teitaro Suzuki, Misticismo cristiano e buddhista (La via
orientale e occidentale), ed. Ubaldini, Roma 1971.
11