La pelle, Gian Antonio Gilli, tratto da Membra vagavano, Torino 2013 Fra tutte le membra, la Pelle è forse quella che ha subìto, nel processo antropologico che stiamo ricostruendo, le maggiori trasformazioni. I lavori di due partecipanti a Membra vagavano – Nicola Genovese e Manuela Macco – colgono alcuni aspetti (rispettivamente) dell’inizio e della fine di tale processo. Nella prima parte di questa pubblicazione avevamo parlato di Membra orientate-al-Crepuscolo, a una lenta traiettoria discendente, e di altre invece orientate-al-Meriggio. E’ appunto il caso della Pelle, e il Meriggio che essa configura sembra, per molti aspetti, eterno: una crescita infinita, e un’infinita dissoluzione. Questa condizione era consentita dalla struttura della Pelle: la quale si caratterizzava per il suo essere-perstrati. Ogni strato si alimentava da quello immediatamente inferiore, e alimentava il sovrastante. Quanto allo strato più basso, esso si alimentava da ciò su cui era posato; il più alto, necessariamente si dissolveva in secchezza. (Di questa condizione originaria è ancora traccia oggi, nel lieve ma incessante turnover cui è sottoposto lo strato superficiale della pelle, l’epidermide). Non era tuttavia questa struttura per strati, questo alimentarsi per strati, l’essenza della Pelle. L’essenza della Pelle era la Fedeltà. Fedeltà a ciò su cui si posava, rimanendovi abbarbicata, e traendone alimento. E forse il termine ‘fedeltà’ è improprio, se si pensa a qualcosa fatto per altri: la fedeltà della Pelle, infatti, era un lavoro svolto per se stessa. Nessuna fonte antica a nostra conoscenza esprime così bene questa condizione come una poesia romantica, Oh com’è fedele l’edera ! (Clemens Brentano, 1835; la poesia, ovviamente, non riguarda l’edera, riguarda la fedeltà). Ecco i primi e gli ultimi versi: Oh com’è fedele l’edera! Non sa da se stessa elevarsi, non sa, come la vite, metter tralci, ma pure sa così amabilmente avvincersi ai poveri ai malati, tendere alla vera vita ! Oh come è buona l’edera, dove solo per un attimo si posa subito le radici si abbarbicano, così che il distacco le dà dolore [..................] Nel deserto c’era una roccia così sola sola sola. Venne l’edera tenace e crespa, costruì intorno una casa verde, sempre verde è rimasta anche se la roccia non dovesse amarla. Per molto tempo la Fedeltà della Pelle – ossia, la sua indisgiungibilità da un sottostante, pena morire – venne vissuta come una legge di natura, che orientava quindi anche il comune vissuto percettivo. (Altrimenti, come avrebbe potuto l’asino ingannare tutti ?) Un asino aveva indossato la pelle di un leone, e tutti lo scambiavano per un leone; di qui, fuga di uomini, fuga di armenti. Ma ecco che un soffio di vento gli portò via la pelliccia, e l’asino restò nudo [...] (Esopo, favola 279 Chambry) Sicchè lo scuoiamento – il togliere la pelle agli animali uccisi – rappresentò uno dei congedi più radicali dal mondo delle origini. Non per tutti, però: Metrodoro narra infatti che gli Smirnei, i quali appartenevano anticamente agli Eoli, sacrificano a Bubrosti un toro nero, e, tagliandolo a pezzi senza togliergli la pelle, ne fanno olocausto (Plutarco, in DK 70B6) La Pelle stessa, del resto, per molto tempo non riuscì a rendersene conto. Un fiume, scorgendo una pelle di bue trascinata dalla sua corrente, le chiese: “come ti chiami ?”. “Mi chiamo dura”, rispose quella, E il fiume, investendola con la sua corrente: “Cercati un altro nome – le disse – ché io farò presto a renderti molle”. (Esopo, fav.320 Chambry) La subordinazione della Pelle al Corpo, cioè a un’entità complessa, con potenti capacità di controllo sulle proprie Parti, avviò una fase del processo completamente diversa. La Fedeltà della Pelle, che era a vantaggio di se stessa, divenne qualcosa di diverso, a vantaggio altrui, Divenne contenimento, protezione. Contenimento e protezione anche contro minacce formidabili a un’intera città. Così, per esempio, il già noto Empedocle [...] venne anche chiamato ‘domatore dei venti’ per avere liberato Agrigento da un vento molto impetuoso, facendo disporre pelli d’asino intorno alla città (Suidas, in DK 31A2) Contenimento e protezione del Corpo che racchiudeva contro le innumerevoli minacce cui esso era sottoposto. E non solo le minacce più prevedibili, quelle dall’ambiente esterno, ma anche quelle che provenivano dall’interno. Il Corpo doveva fare i conti, infatti, con possibili episodi di insorgenza delle Parti, e la Pelle poteva, paradossalmente, funzionare anche qui da difesa. [...] Sono completamente a pezzi, non c’è terreno sotto i piedi quando non si è sulla terra. Molto raramente senti il terreno.[...] Quando mi disciolgo non ho mani, entro in un portone per non essere calpestata. Ogni cosa vola via da me. Nel portone posso raccogliere insieme i pezzi del mio corpo.[...] E’ come se qualcosa fosse buttato dentro di me, mi facesse esplodare in pezzi. Perchè devo dividermi in vari pezzi? Sento di essere senza equilibrio, che la mia personalità si dissolve, che il mio io scompare e che non esisto più. Ogni cosa mi tira in disparte, perciò non mi piace il detto ‘non stare più nella pelle’. La pelle è l’unico mezzo possibile per tenere insieme i differenti pezzi. Non c’è connessione tra le differenti parti del mio corpo. Talvolta la calotta del mio cranio vola via. Quando non torna indietro, mi reggo immediatamente sulla testa e ciò mi manda in pezzi. Quando l’angoscia mi afferra in strada non sento niente, allora mi ferisco con le unghie per sentirmi. (P.Schilder, Immagine di sé e schema corporeo, pp. 196-197 Con la subordinazione al Corpo, si aggiunsero per la pelle altre funzioni: disperdere il calore interno; informare il sistema nervoso su di una serie di condizioni ambientali. Egualmente importanti le funzioni simboliche assegnate alla Pelle. La quale contribuiva alla forma del corpo, ed era il destinatario della visività. La pelle quindi, oltre che fonte di informazioni (per il corpo) sull’ambiente, diventa anche un informatore dell’ambiente sul corpo, e sul soggetto in esso contenuto.. Tutte le emozioni come l’ira, la vergogna, l’eccitazione, lo scoramento doloroso vanno sulla Pelle, e si vedono. La Pelle lascia capire il tipo di vita che il possessore di quel corpo ha condotto e sta conducendo. La Pelle ‘denuncia’ l’età. L’attenzione alla propria pelle diventa un’operazione preparatoria dell’auto-presentazione, quasi di conservazione dell’identità. Si crea, nella società, un riferimento valido per tutti i Corpi, e ad esso le pelli tendono, omogeneizzandosi. (Il riferimento, ovviamente, è ai Corpi che cercano di stare-sul-mercato, e di competervi). Inutile insistere su questo punto, ormai ovvio, così come sulla personificazione dell’Apparenza che la pelle rappresenta, sul suo frequente antagonismo con l’essenza. Il lavoro di Nicola Genovese, si è detto, evoca le origini di questo processo, il carattere a strati della Pelle, la sua singolare alimentazione ascendente, il ricambio senza fine. Contenimento e protezione sono ancora lontanissimi. Ci si potrebbe attendere una crescente purificazione dei livelli, a mano a mano che ascendono. Il loro apparente capriccio suggerisce la possibilità che la Pelle delle origini non si limitasse ad alimentarsi dal sottostante, ma ne incorporasse robusti frammenti, destinati a salire – incorrotti - da un livello all’altro, per essere poi lasciati cadere al termine del percorso. Al termine opposto del processo fa riferimento il lavoro di Manuela Macco. Ora la pelle si indossa. Le funzioni di contenere e proteggere sono dimenticate, il rapporto con un calore interno da disperdere sembra interrotto. Ma il congedo maggiore dalla ‘naturalità’ della Pelle è rappresentato dall’indifferenza, da parte della pelle stessa, alla propria ‘tradizionale’ topografia, e alla diversità delle sue trame locali. Moduli di ‘pelle’ coprono il corpo, senza alcuna corrispondenza tra il tipo di pelle ivi riprodotto e l’area corporea sottostante. Pelle fungibile (perchè simbolizzata); pelle indifferente; site-generic skin.