Roberto Weitnauer Gennaio 2008 (5 pagine, 3 figure) www.kalidoxa.com Diritti riservati La lettura neurofisiologica del pensiero Una recente ricerca neuroscientifica eseguita a Boston attesta che le paure che provano delle cavie poste in condizioni ambientali specifiche si riflettono in strutture neurofisiologiche altrettanto specifiche. A ogni tipo di paura corrisponde una configurazione di neuroni che scaricano impulsi nel cervello dei topolini. L’organizzazione funzionale, rilevata mediante elettrodi, statuisce un codice di attivazione generale e interpretabile dall’esterno. La situazione ricalca per taluni versi la gerarchia di archiviazone dei dati all’interno di un database. Non a caso le paure rilevate possono essere trasformate in bit e salvate su supporti informatici. Gli studiosi ritengono che il codice della paura ricalchi almeno in parte uno schema universale di memorizzazione degli eventi ambientali e di corrispondenti rievocazioni. Il passo verso la lettura neurofisiologica dei pensieri umani è lungo tecnicamente, ma non poi così tanto concettualmente, almeno finché si abbia chiaro in mente il vincolo imposto a ogni interpretazione dal retaggio cartesiano. La facoltà di leggere il pensiero evoca pratiche magiche e scenari fantascientifici. Chi predilige il raziocinio sa che sulle prime non vale la pena spendere parole, ma potrebbe nutrire legittime curiosità sul futuro della neuroscienza che indaga nei processi cerebrali. In effetti, l’ambizione di entrare nella mente umana grazie alla tecnologia sembra una fantasia cinematografica, ma riposa oggi su presupposti per nulla irrealistici, come attestano recenti studi del Center for Systems Neurobiology dell’Università di Boston, capitanato da Joe Z. Tsien. Bisogna intendersi subito su una questione: il collegamento immanente tra un pensiero che scruta e un pensiero scrutato non fa parte dell’oggettività scientifica, giacché travalica quell’abisso incolmabile di cartesiana memoria che separa la res cogitans (sfera mentale) dalla res extensa (sfera materiale). In neurobiologia la “lettura del pensiero” deve passare per la materia, ossia per una rilevazione oggettiva dell’attività del substrato cerebrale. A supportare lo studio di Boston vi sono esperimenti su topi nella cui testa sono stati impiantati elettrodi atti a monitorare centinaia di neuroni in tempo reale. Un software che implementa una modellistica matematica ad hoc elabora i molti dati rilevati, al fine di ravvisare nel cervello tipici schemi reattivi. Il resto è interpretazione scientifica, come ora accenneremo. 1/5 Joe Z. Tsien, che recentemente ha fondato lo Shanghai Institute of Brain Functional Genomics presso l’Università Normale della Cina Orientale, ha acquistato fama internazionale nel 1999 quando, all’Università di Princeton, ha realizzato la varietà di topo artificiale battezzata “Doogie”, in grado di imparare più rapidamente e ricordare più a lungo di qualsiasi altro roditore. Pioniere di tecniche per il knockout di geni e proteine in tempi e tessuti specifici, si è trasferito a Boston nel 2004, dove attualmente dirige il Center for Systems Neurobiology e insegna farmacologia ed ingegneria biomedica. Tratto da: http://www.brainmindlife.org/codicememoria.htm Immagine tratta da: http://www.bumc.bu.edu/www/busm/pm/images/pharm.people/tsien_2006.jpg La memorizzazione del vissuto è alla base dei processi mentali di ciascun individuo, animale o uomo che sia. Ciò spiega perché gli studiosi si siano focalizzati sull’ippocampo, una regione encefalica preposta all’archiviazione di luoghi ed eventi. In particolare, le mappe mnemoniche dei pericoli ambientali sono necessarie alla sopravvivenza delle specie superiori e i neuroni dell’ippocampo sono molto abili nel tracciarle in modo duraturo. Lo studio di Boston attesta come esperienze drammatiche indotte sperimentalmente in laboratorio accendano sistematicamente la regione C1 nell’ippocampo. Ma c’è di più. Si nota che la struttura logica degli eventi vissuti s’imprime in una struttura dei neuroni i quali reagiscono in “clan” secondo un vero e proprio codice dei ricordi. Facciamo un esempio. Tra le prove cui vengono sottoposti i topolini ci sono il terremoto e l’ascensore: la scatola contenente le cavie viene agitata oppure lasciata cadere per un tratto. In entrambi i casi un primo clan di neuroni funge da allarme, mentre un secondo clan indica un disturbo del movimento. Un terzo clan differisce, a seconda che si tratti dello scossone o della caduta. Un quarto clan di neuroni specifica infine il tipo di scatola in cui si verifica l’esperienza. Se, per contro, lo stimolo ambientale è uno sbuffo d’aria sul dorso (simulazione dell’attacco di un rapace) il clan dell’allarme continua ad attivarsi, ma non quello del disturbo motorio. Si evince che le reti neurali classificano le esperienze dal generale al particolare, accendendosi in configurazioni tipiche. Tale gerarchia, simile a quella di un database, 2/5 consente d’individuare dall’esterno quale ansia attanagli l’animale e com’essa venga costruita nel cervello. A riprova di ciò, i ricercatori sono riusciti a stabilire un’intrigante interfaccia animale-macchina, convertendo in bit la paura che passa per gli elettrodi e realizzando un programma che apre nella scatola uno sportello di fuga, nonappena la cavia teme di subire un terremoto e solo in quella condizione. René Descartes (Cartesio), 1596-1650, filosofo francese e tra i massimi pensatori di ogni epoca, cofondatore della scienza moderna e della filosofia moderna. Cartesio fece del dubbio un criterio eccelso di conoscenza e distinse categoricamente il mondo oggettivo materiale da quello soggettivo del pensiero. La sua concezione della ghiandola pineale (organo oggi noto per svolgere nel cervello una funzione di controllo nel ritmo sonno-veglia), intesa come sede dell’anima e ponte verso il governo del corpo, costituisce la parte meno chiara e più criticata della sua opera. La ragione principale risiede nella circostanza che tale concezione ibrida contravviene proprio alla rigida spartizione tra pensiero e spazio esteso di cui lo stesso Cartesio si fece promotore. Immagine tratta da: http://www.glafreniere.com/images/Descartes.jpg L’organizzazione piramidale dei clan neurali è probabilmente un processo generale, che si verifica cioè anche fuori dall’ippocampo e che codifica diverse tipologie di pensieri. Il riconoscimento dei volti, ad esempio, si attua nella corteccia visiva secondo un principio simile. L’analisi delle “forme della paura” è insomma un primo passo verso la lettura dei processi cognitivi. Domani, parola di scienziati, si andrà oltre la digitalizzazione delle emozioni di topi impauriti. Si potrebbe ad esempio stabilire al computer se una persona in coma stia pensando qualcosa o fino a che punto un malato grave di Alzheimer afferri quel che gli si dice. 3/5 Non sapremo mai se siano le scariche dei neuroni a creare i pensieri o questi ultimi a produrre le prime. Nondimeno, la ricerca neuroscientifica sta dischiudendo orizzonti tecnologici ricchi d’implicazioni filosofiche ed etiche. Un giorno i nostri pensieri potrebbero essere parcheggiati sui dischi fissi dei computer o, magari, riversati in rete; parte della mente potrà allora sopravvivere al corpo, come dicono a Boston. Forse spiccheremo enormi salti di qualità nello sviluppo di computer intelligenti e d’interfacce uomo-macchina, forse acquisiremo rivoluzionarie conoscenze sulla nostra natura sensibile o sulla volontà. Dovremo d’altronde affrontare minacce alla privacy e rischi di manipolazioni senza precedenti. Roberto Weitnauer Note aggiuntive sul neuroimaging Nel II secolo Galeno deduceva dalle reazioni dei gladiatori feriti al capo che il cervello e non il cuore fosse al centro della volontà e dei movimenti. Nel 1861 il francese Broca localizzava nella corteccia un centro linguistico, accertando un danno preciso al lobo frontale sinistro di un paziente defunto che aveva saputo pronunciare solo: “tan”. Negli anni ’50 il chirurgo canadese Penfield stimolava la corteccia di pazienti a cranio aperto, tracciando mappe topografiche motorie e sensitive. Solo da poco sussistono tecniche per sondare il cervello in vivo e con metodi non invasivi. Poiché la rilevazione si traduce in immagini, si parla di neuroimaging. Il neuroimaging strutturale prevede scansioni grossolane del cervello per il riscontro di rilevanti danni fisici, farmacologici o tumorali. Il neuroimaging funzionale consente invece la ricerca di deficit metabolici o lesioni fini. Registrando ad alta risoluzione la fisiologia cerebrale, il neuroimaging funzionale stabilisce un potentissimo strumento d’indagine nelle scienze cognitive e nello studio d’interfacce cervello-computer. Le tecniche principali sono costituite dalla risonanza magnetica funzionale (fMri), dalla tomografia a emissione protonica (Pet), dalla tomografia computerizzata a emissione di protoni singoli (Spect), dalla spettroscopia funzionale nel vicino infrarosso (fNirs), nonché dalla magnetoencefalografia (Meg) e dall’elettroencefalografia (Eeg). 4/5 Un esempio di neuroimaging. Nella fattispecie si tratta di una risonanza magnetica funzionale (fMri) che evidenzia la reazione del cervello umano durante l’esecuzione di compiti di tipo aritmetico. Immagine tratta da: http://www.unicog.org/images/NumberParietalMap2.jpg I primi quattro strumenti registrano l’intensità delle richieste ematiche o metaboliche dei neuroni e quindi restituiscono il livello di consumo energetico degli stessi. La Meg e l’Eeg rilevano invece direttamente il campo magnetico o elettrico generato dalle scariche dei neuroni. Su tali basi è possibile individuare le mappe cerebrali che si attivano mentre il soggetto esegue taluni compiti. Nella ricerca di Boston non si è potuto fare leva solo su queste metodiche, giacché esse non sono ancora sufficienti per scansionare distintamente centinaia di neuroni di un animale libero di muoversi. È stata così messa in opera una tecnica di rilevamento ad alta densità che implica l’impianto di molti elettrodi transcranici. È chiaro che le ricerche future sul pensiero umano dipenderanno dall’evoluzione del neuroimaging non invasivo. Roberto Weitnauer 5/5