Università degli Studi di Salerno Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali CORSO DI LAUREA IN FISICA (L30) TESI MISURA DEL PERIODO DI ROTAZIONE DI UN ASTEROIDE TRAMITE LA SUA CURVA DI LUCE Relatore: Candidato: Dr. Valerio Bozza Biagio De Simone Correlatore: Matr. 05126/00217 Prof. Luca Crescentini Anno Accademico 2015/2016 RINGRAZIAMENTI Desidero ringraziare tutti quelli che mi hanno dato il loro prezioso supporto nella stesura della tesi. Ringrazio innanzitutto il dr. Valerio Bozza, relatore e il prof. Luca Crescentini, correlatore per il continuo supporto, le osservazioni, le critiche costruttive al lavoro e per la pazienza dimostratami in un periodo in cui gli impegni extra-didattici si sono sentiti particolarmente. Voglio ricordare inoltre tutto il Personale Docenti, Ricercatori, Tecnico-Amministrativo, Didattico e l’Ufficio Carriere per tutti i consigli e le informazioni fornitemi finora soprattutto nell’ambito delle attività di rappresentanza degli studenti nei Consigli cui ho preso parte. Un pensiero anche al personale della Biblioteca d’Ateneo per aver contribuito a fornirmi i materiali utili alla stesura della tesi. Un caloroso ringraziamento va a tutte le persone care che mi sono state vicino in questo periodo per me molto impegnativo ma che ha visto risultati incoraggianti sul piano umano, didattico e professionale, anche grazie al loro supporto e alla loro indispensabile presenza. Voglio ringraziare tutta la mia famiglia, i miei amici da Faiano a Salerno, tutti coloro che ho conosciuto all’università e con i quali ho intrapreso un percorso di sviluppo, tutti i club – gruppi sportivi ed associazioni di cui faccio parte, i ragazzi con cui ho videogiocato al pc da tutta Italia e infine il negozio Decathlon di Montecorvino Pugliano per l’esperienza umana e professionale che mi sta offrendo tutti i giorni. Infine desidero dedicare questo lavoro ad una persona importante, me stesso, con l’auspicio che sia il primo di una lunga serie e che la vita mi ponga davanti le giuste difficoltà, perché è solo attraverso queste che si può giungere fino alle stelle. Per aspera ad astra. Biagio De Simone INDICE DEI CONTENUTI 0) ABSTRACT .......................................................................................................................................... 1 1) INTRODUZIONE .................................................................................................................................. 2 2) GLI ASTEROIDI .................................................................................................................................... 6 2.1) COSA SONO GLI ASTEROIDI? ......................................................................................................... 6 2.2) LE PROPRIETA’ DEGLI ASTEROIDI ................................................................................................. 10 2.3) BREVE EXCURSUS SULLA STORIA DEGLI ASTEROIDI ....................................................................... 14 2.4) SVILUPPI RECENTI....................................................................................................................... 15 3) INTRODUZIONE ALLA FOTOMETRIA E APPLICAZIONI NELLO STUDIO DEGLI ASTEROIDI .......................... 16 3.1) LA FOTOMETRIA......................................................................................................................... 16 3.2) CENNI ALL’ASTRONOMIA CCD..................................................................................................... 21 3.3) INTERPRETAZIONE FISICA DEI RISULTATI FOTOMETRICI ................................................................ 24 3.4) INTRODUZIONE AL PALOMAR TRANSIENT FACTORY ..................................................................... 28 3.5) STUDIO DEGLI ASTEROIDI CON INFORMAZIONI DA ALTRE FONTI................................................... 29 3.6) ANALISI DELLA CURVA DI LUCE.................................................................................................... 31 3.7) IL MODELLO UTILIZZATO............................................................................................................. 34 4) SVOLGIMENTO DELL’ESPERIENZA ...................................................................................................... 35 4.1) L’ASTEROIDE (451) PATIENTIA ..................................................................................................... 35 4.2) DESCRIZIONE DELL’APPARATO SPERIMENTALE E RACCOLTA DEI DATI ........................................... 37 4.3) ELABORAZIONE DEI DATI RACCOLTI ............................................................................................. 41 4.4) STIMA DEGLI ERRORI COMMESSI NEL PROCESSO ......................................................................... 46 4.5) CONFRONTO CON ALTRI LAVORI ................................................................................................. 49 5) CONCLUSIONI................................................................................................................................... 54 6) BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ............................................................................................................. 55 0) ABSTRACT Gli asteroidi sono dei corpi celesti rocciosi che fanno parte del Sistema Solare interno e ne costituiscono, in massa, una percentuale minore rispetto al Sole e ai pianeti . Nonostante ciò rappresentano un utile metodo di indagine sui primi istanti di vita del Sistema stesso poiché gli asteroidi contengono al loro interno le informazioni sulla composizione fisico chimica degli elementi che avrebbero poi dato forma e costituzione agli attuali pianeti. Lo studio di questi oggetti si effettua prettamente con le analisi fotometriche e, recentemente, con notevole supporto da parte delle esplorazioni spaziali. Dal punto di vista della fotometria, il primo elemento che si può ricavare dalle osservazioni degli asteroidi è la loro curva di luce: essa è un grafico che riporta l'andamento del flusso di un corpo celeste in funzione del tempo. Questo strumento può dare molte informazioni sulla natura fisica dell'oggetto osservato e lo scopo del lavoro è quello di sfruttarlo per misurare il periodo di rotazione di un asteroide attorno al proprio asse. Parte del progetto riguarda proprio la raccolta dei dati tramite l’Osservatorio Astronomico dell’Università di Salerno. 1 1) INTRODUZIONE La massa del Sistema Solare è costituita in grande percentuale dal Sole e dai pianeti ed in minima parte dai corpi minori, quali comete – fasce di detriti ed asteroidi. Nonostante la bassa percentuale in massa del Sistema attribuita ai corpi minori, questi oggetti sono comunque molto interessanti e ricchi di informazioni utili: i parametri orbitali, la composizione superficiale e le proprietà meccaniche forniscono indizi sulla loro origine e sui primordi del Sistema Solare, senza parlare delle informazioni che questi oggetti possono fornire in ambito biologico, vista la grande presenza di acqua ed elementi organici sulle comete. L’interesse per questi corpi viene inoltre alimentato dalla catastrofica ma non irrealistica possibilità di una futura collisione con la Terra da parte di un asteroide. Lo studio di questi corpi celesti è svolto prettamente con strumenti terrestri anche se negli ultimi tempi sono stati effettuati incontri ravvicinati con sonde che hanno raccolto molteplici immagini dettagliate delle superfici delle comete e dei pianeti più lontani (esempio famoso è quello della missione Rosetta, sviluppata dall’ESA e po rtata a termine nel mese di settembre 2016). Tramite le osservazioni fatte da Terra, si raccolgono i dati fotometrici relativi all’oggetto studiato e si sceglie una opportuna modellazione della forma e della superficie del corpo: si possono generalizzare ed estendere i risultati ottenuti da un singolo asteroide studiato a fondo a tutti gli altri della stessa popolazione cui esso appartiene. Da ciò emerge come la fase di selezione del modello sia cruciale per la classificazione degli asteroidi. Prima di proseguire con la trattazione, occorre soffermarsi brevemente su quella che è forse la caratteristica più importante di un corpo soggetto a forza gravitazionale: l’orbita descritta e la sua evoluzione temporale. Per studiare l’evoluzione temporale e spaziale di un sistema in cui i suoi componenti sono soggetti alle interazioni gravitazionali reciproche si ricorre alla formulazione del problema ad n-corpi. Sia dato un sistema di n corpi liberi di muoversi sotto l’azione della forza gravitazionale reciproca; dal punto di vista matematico la formulazione è la seguente ove è il vettore posizione dell’i-esimo elemento nel sistema di riferimento considerato, massa e G la costante di gravitazione universale. la sua 2 Si possono fare varie operazioni per semplificare il problema. Ad esempio, ci si può porre nel sistema del centro di massa, riducendo così il numero di equazioni da risolvere. Inoltre, con l’assunzione che il sistema sia isolato si possono evocare ulteriori quantità vettoriali che si conservano: la quantità di moto ed il momento angolare. Per procedere con la risoluzione del problema, bisogna avere fissate le condizioni iniziali di ogni elemento (in questo caso, la posizione e la velocità iniziale), dopodiché solo in alcuni casi particolari è possibile arrivare ad una soluzione in forma analitica: in tutti gli altri bisogna ricorrere a metodi numerici. A titolo di esempio, si possono risolvere in maniera esatta: Il problema a due corpi Il problema a tre corpi, nel caso di soluzione triangolare – collineare e problema a tre corpi ristretto Quando si analizza un problema a tre corpi ristretto (ovvero dove la massa del terzo corpo è molto più piccola rispetto a quella dei due primari) un aspetto importante da tenere in considerazione è la ricerca dei cosiddetti punti di librazione (detti anche punti di equilibrio o punti stazionari). I punti di librazione sono individuati dal vettore posizione e sono per definizionxe i punti dove la risultante delle forze agenti sul corpo minore si annulla (la risultante contiene anche il contributo centrifugo dato che ci si trova sul sistema non inerziale in rotazione attorno al centro di massa). Ci si chiede ora in quali casi il punto di librazione risulta stabile, ovvero sotto quali condizioni il corpo rimanga nell’intorno del punto qualora soggetto a perturbazioni esterne. Il procedimento richiede di studiare l’andamento della forza vettore , dove in un intorno del punto di equilibrio, considerando come è il vettore che descrive lo spostamento infinitesimo dal punto di equilibrio: si sviluppa in serie di Taylor l’espressione di arrestandosi solitamente al primo ordine e poi si analizzano le possibili soluzioni dell’equazione che si ottiene. Se queste soluzioni danno vita ad equazioni tipo oscillatore armonico allora il punto di equilibrio è stabile mentre se dall’analisi emerge che la forza efficace aumenta in modulo al crescere della distanza dal punto di librazione allora quest’ultimo è instabile. Da ciò emerge che ci sono ben cinque punti, detti punti lagrangiani, dove i corpi possono trovarsi in equilibrio: , , in equilibrio instabile e sotto particolari condizioni di rapporto tra le masse dei corpi ed in equilibrio stabile. Lo studio e l’individuazione dei punti di librazione è fondamentale per scoprire molti aspetti del Sistema Solare, poiché alcuni corpi naturali tendono a stabilizzarsi in molti casi attorno ai punti lagrangiani di un sistema a tre corpi: esempio celebre è quello degli asteroidi Troiani attorno a Giove. In ultima battuta bisogna notare come anche la ricerca spaziale sia benevolmente influenzata da questo ambito di studio, dato che riuscendo ad 3 ubicare un satellite artificiale in un punto di librazione questo rimarrà facilmente nei suoi intorni visto che ci sarà una compensazione da parte di tutte le forze agenti sull’oggetto: sarà quindi possibile, con poco dispendio in termini di energia, farlo stazionare in quel punto senza che si allontani indefinitamente. Altro aspetto importante di un problema ad n corpi è dettato dall’esigenza di classificare il tipo di orbita dei suoi elementi. Uno dei modi per effettuare questa classificazione riguarda lo studio dell’energia dei singoli corpi. Dalla meccanica analitica si può ricavare un quadro che contempla i vari casi (denotando con K l’energia cinetica e U l’energia potenziale, ovviamente l’energia totale è E = K + U). Di seguito sono riportati i vari casi. E < 0 , ovvero l’energia potenziale prevale sulla cinetica => orbita chiusa, ellittica e periodica E = 0 , l’energia potenziale e quella cinetica si compensano => orbita parabolica E > 0 , l’energia cinetica prevale sulla potenziale => orbita aperta, iperbolica e aperiodica Spesso bisogna ricostruire orbite di oggetti esterni al Sistema Solare e in questo processo non si deve perdere di univocità. Ad esempio, se si vuole ricostruire l’orbita di una stella secondaria attorno alla primaria in un sistema binario è chiaro che vi sono effetti prospettici sul sistema di cui raccogliamo i dati. Attraverso alcune considerazioni analitiche, si può arrivare ad una corrispondenza biunivoca tra il problema a due corpi e il set di parametri utilizzabili per determinare univocamente l’orbita. Questi prendo no il nome di parametri orbitali e vengono di seguito elencati: Semiasse maggiore dell’orbita (a) Longitudine del nodo ascendente (Ω) Angolo di inclinazione dell’orbita (i), il quale insieme ad Ω determina univocamente il piano dell’orbita Argomento del pericentro (ω), che specifica l’orientazione dell’orbita nel piano Eccentricità (e) Anomalia vera (θ), questa restituisce la posizione sull’orbita in funzione del tempo Periodo orbitale (T) In molti casi il sistema binario non è perfettamente isolato dalle perturbazioni esterne e di conseguenza questi parametri variano nel tempo (difatti nell’esempio si è assunti di analizzare un sistema binario semplice, vale a dire problema a due corpi). 4 Tutta la trattazione relativa alle proprietà orbitali dei corpi interni si applica equivalentemente anche agli asteroidi. Nel capitolo 2 verranno messe in luce le caratteristiche fisiche principali di questi corpi e nel capitolo 3 si darà un’introduzione alla fotometria, vista anche sul piano tecnico ed operativo, analizzando in particolare i risultati che questa permette di ottenere nello studio dei corpi rocciosi. A partire dal capitolo 4 si farà un’applicazione pratica delle informazioni prima introdotte, osservando un particolare asteroide e tracciandone la curva di luce per poi confrontarla con quelle trovate in precedenza. 5 2) GLI ASTEROIDI 2.1) COSA SONO GLI ASTEROIDI? Gli asteroidi, insieme con le comete, sono i residui della formazione primordiale del Sistema Solare, iniziata circa 4,5 miliardi di anni fa. Mentre le comete sono note ormai da millenni, gli asteroidi sono oggetto di scoperte relativamente recenti avvenute soltanto negli ultimi tre secoli [1]. Durante questo arco di tempo vastissimo, gli asteroidi e le comete hanno rivelato agli occhi degli osservatori caratteristiche profondamente diverse, dal momento che gli asteroidi sono oggetti puntiformi di debole luminosità principalmente ubicati tra le orbite di Marte e Giove e più simili ai pianeti per quanto riguarda le caratteristiche visive, mentre le comete hanno al loro seguito una scia molto più luminosa del corpo centrale che la emette e a differenza dei precedenti hanno orbite molto eccentriche o aperte, che portano questi oggetti anche al di fuori del Sistema Solare – ben oltre l’orbita di Giove. Solo a partire dagli anni Novanta si è acquisita la consapevolezza che i due oggetti in realtà non sono tanto diversi tra loro: difatti è emerso dagli studi che le comete non sono altro che asteroidi principalmente composti prevalentemente da ghiaccio, a differenza degli asteroidi in cui predomina la percentuale di materiali rocciosi. Si stima che attualmente ne risiedano ben 380.000 nella fascia principale (tra Marte e Giove), mentre ve ne sono circa altri 260.000 ancora da catalogare e a cui assegnare dei ben precisi parametri orbitali, di modo da poterne prevedere la posizione a distanza di decadi senza commettere grossi errori. Alcuni asteroidi si dicono Earth-crossers se si avvicinano al Sole più di quanto non faccia la Terra e Mars-crossers se si avvicinano invece più di Marte. Esiste inoltre la categoria degli asteroidi Near-Earth (NEA), i quali hanno una distanza al perielio inferiore alle 1,3 U.A. e che si suddivide nelle famiglie degli Amor, degli Apollo, degli Atene e degli Atira (famiglie che prendono il loro nome da quello degli omonimi asteroidi che ne fanno parte). Tuttavia non si effettua più questa distinzione visto che tendenzialmente i vari asteroidi migrano e si scambiano con quelli di altri gruppi vicini. Per quanto riguarda l’origine degli asteroidi e, più in generale, dei vari componenti del Sistema Solare la teoria più accreditata è quella secondo cui la nebulosa che diede vita al Sole avesse anche un disco protoplanetario, da dove nacquero i pianeti e tutti gli altri corpi che attualmente si osservano. Sono attualmente oggetto di continui studi la forma di questo disco e il meccanismo che ha portato all’attuale configurazione del Sistema. 6 Il modello più accettato nonostante i numerosi dibattiti ancora aperti è il cosiddetto modello di Nizza [1], che parte dall’ipotesi secondo cui i pianeti più esterni si siano originati molto più vicini al Sole di quanto non lo siano oggi. Grazie alla diffusione dei materiali del disco protoplanetario, questi pianeti si sono progressivamente allontanati dal Sole . All’incirca dopo 800-900 milioni di anni dopo la loro formazione, Saturno e Giove si sono trovati in risonanza gravitazionale 2:1, ovvero i loro periodi orbitali sono stati in questo stesso rapporto per cui gli allineamenti dei pianeti hanno provocato notevoli effetti sui corpi minori e persino su Urano e Nettuno. Si pensa inoltre che sia stato l’effetto gravitazionale del gigante Giove ad impedire la formazione di un altro pianeta nella fascia principale, lasciando tutti i detriti non compattati. All’atto della classificazione degli asteroidi, è uso comune quello di suddividerli in base alle caratteristiche spettrali – ergo in base alla composizione chimica e mineralogica del corpo. Qui di seguito vengono riportate le principali categorie ad oggi identificate [2]. Asteroidi di tipo C Appartengono a questo gruppo gli asteroidi carboniosi, i quali sono anche i più comuni della fascia principale dal momento che costituiscono circa il 60% della sua massa totale. Sono posizionati principalmente nella zona mediana (2.5-2.8 U.A.) e quella esterna (2.8-3.3 U.A.) della fascia. Questo è a sua volta composto da 6 sottoclassi: B, C, Cb, Cg, Cgh, Ch. Per quanto riguarda la loro composizione interna, bisogna stare attenti alle misure di densità degli asteroidi, poiché nel caso di asteroidi piccoli la loro densità dipende dalla storia collisionale: difatti quando il diametro è inferiore ai 100 km ci si aspetta una percentuale di “vuoti” al loro interno molto elevata (circa il 50-60%), rendendo fuorviante lo studio della composizione tramite densità [2]. Dalle misure su asteroidi grandi emerge che quelli di tipo Ch e Cgh hanno densità nell’ordine di 1.9*103 - 2.4*103 kg/m3 mentre i rimanenti nell’ordine di 0.8*103 – 1.5*103 kg/m3 . Questo basso valore di densità si spiega alla luce del fatto che questi corpi non possono contenere soltanto silicati ma posseggono anche una rilevante percentuale di ghiacci; questa ipotesi è supportata anche dalle misure spettroscopiche nei 3 micron, poiché da queste ultime emerge che i ghiacci possano addirittura essere i costituenti degli strati superficiali e non solo di quelli interni. Esempio famoso in questa categoria è 1 Cerere (recentemente promosso a pianeta nano). Asteroidi di tipo S Fanno parte di questa categoria gli asteroidi composti prevalentemente di silicati e rappresentano in percentuale circa l’8% della fascia principale. Sono la famiglia dominante nella parte interna della fascia (2-2.5 U.A.) e secondo studi recenti sulle loro caratteristiche di assorbimento delle radiazioni solo questi risultano compatibili con i campioni di meteoriti raccolti sulla Terra (detti condriti ordinarie, OC). Il problema del collegare gli S con le OC deriva dal diverso spettro misurato nelle due categorie e questo paradosso è durato parecchi anni, trovando graduale risoluzione solo negli ultimi tempi: ad oggi si 7 pensa che siano le condizioni “meteo” dello spazio aperto a determinare la variazione nella composizione degli asteroidi S rispetto alle condriti ordinarie. Si possono fare ulteriori suddivisioni all’interno dello stesso gruppo S: gli H e gli LL (dagli asteroidi 6 Hebe e 8 Flora). Il discorso fatto per gli asteroidi di tipo C vale anche per tutti gli altri: si può quindi dare una descrizione precisa della loro composizione interna solo nel caso di asteroidi grandi (diametro superiore ai 100 km) e in particolare nei sistemi binari di asteroidi, dove un asteroide piccolo orbita attorno ad uno molto più grande. Un particolare esempio di asteroide di tipo S è quello di 243 Ida, con il suo asteroide satellite 243 I Dattilo. Asteroidi di tipo P e di tipo D Queste due categorie rappresentano l’11% della fascia principale e fanno parte dei Troiani di Giove, di cui si parlerà a breve. Finora solo due asteroidi di tipo P, 87 Silvia e 107 Camilla, hanno dato prova di avere dei satelliti per cui solo di questi due sono state calcolati i valori di densità, rispettivamente (1.4 ± 0.2)*103 kg/m3 e (1.5 ± 0.2)*103 kg/m3 , da cui si deduce la presenza di ghiacci. Altre classi di asteroidi (A, K, L, M O, R, V, Xe, Xc, Xk) Escluso Vesta, queste categorie rappresentano il 7% della fascia principale per cui non sono molto comuni. Sono tutte imparentate con i meteoriti che si osservano, escluse le categorie OC, Ch e Cgh. La maggior parte di questi corpi sono acondriti e sono frammenti di corpi già compattati e differenziati. Nel caso di 2 Vesta e 21 Lutetia sono state calcolate le densità, rispettivamente di 3.46*103 kg/m3 e 3.4*103 kg/m3 . Asteroidi Troiani di Giove Questi asteroidi si trovano in corrispondenza dei punti L 4 ed L5 del sistema Sole-Giove e includono come sottocategorie le classi P e D. Le misure spettroscopiche di riflettanza nel vicino infrarosso hanno escluso la presenza di acqua e materiali organici, mentre per lunghezze d’onda maggiori emergono caratteristiche mineralogiche simili ai silicati anidri. Da questi studi inoltre si possono dedurre due possibili caratteristiche: superficie molto porosa o, in alternativa, grani di materiali immersi in una matrice di materia trasparente ai medi infrarossi. Fino ad ora solo per due Troiani sono state misurate le densità, ovvero (1.1 ± 0.3)*103 kg/m3 per 617 Patroclo e (1.0 ± 0.3)*103 kg/m3 per 624 Ettore. Anche in questo caso la bassa densità rivela la presenza di ghiacci al loro interno. Esistono, allo stesso modo, i Troiani di Nettuno ma al momento non sono stati fatti ulteriori studi oltre quelli ottici per cui la maggior parte delle loro caratteristiche risultano ancora sconosciute [2]. Per quanto riguarda le comete risultano il principale costituente della fascia di Kuiper, la quale si estende ben oltre l’orbita di Nettuno fino a 50 U.A. dal Sole e non sono oggetto di studio nell’ambito di questo lavoro. Vengono di seguito riportati alcuni esempi di asteroidi. 8 Cerere: è l’asteroide più grande del Sistema Solare e si trova nella fascia principale. Dal 2006 è stato promosso a pianeta nano. Fu inoltre il primo asteroide in assol uto ad essere scoperto nel 1801. Il suo diametro è di 950 km e costituisce il 32% della massa di tutta la fascia principale. Poiché la sua magnitudine varia tra 6.7 e 9.3 è troppo debole per essere visto ad occhio nudo. Il semiasse maggiore della sua orbita è di 2.765 U.A. e il periodo orbitale è di 4.60 anni. Il periodo di rotazione attorno al proprio asse è di circa 9h 4min 28sec . Cerere è composto da ghiacci e presenta un nucleo roccioso: si pensa addirittura che possa ospitare un oceano al di sotto della superficie. Appartiene alla classe C. Nel 2015 un incontro ravvicinato della sonda Dawn con Cerere ha fornito interessanti informazioni sulla sua composizione superficiale, dal momento che sembra avere bacini di acqua ghiacciata sulla superficie. Vesta: il secondo asteroide più massiccio del Sistema Solare, con un diametro di 530 km e una massa pari al 12% di quella dell’intera fascia principale. Fu scoperto nel 1807 dall’astronomo tedesco Heinrich Wilhelm Olbers. Il semiasse maggiore dell’orbita di Vesta è 2.361 U.A. e il periodo orbitale è di 3.63 anni. Il periodo di rotazione attorno al proprio asse è di 5.342 ore. La sua struttura è data da un nucleo metallico, circondato da un mantello di olivina a sua volta sovrastato da una superficie di roccia basaltica. Fa parte della classe V. Eros: è un asteroide Near-Earth, difatti ha un perielio di 1.1 U.A. ed appartiene alla famiglia di asteroidi Amor – un gruppo di asteroidi NE che sfiora esternamente l’orbita terrestre senza intersecarla mentre invece interseca quella di Marte. Fu scoperto nel 1898 e rientra nella classe S di asteroidi. La dimensione più grande è di circa 34 km e possiede una forma che ricorda le arachidi. Ida e Dattilo (sistema binario): Ida è un asteroide di tipo S situato nella fascia principale. Scoperto nel 1884, ha la dimensione maggiore pari a 32 km. Fu effettivamente il primo asteroide binario mai osservato poiché nel 1993, grazie alla sonda Galileo, fu fotografato il suo satellite, chiamato Dattilo e largo solo 1.4 km. (a) 1 Cerere (b) 2 Vesta (c) 243 Ida e 243 I Dattilo (d) 433 Eros 9 2.2) LE PROPRIETA’ DEGLI ASTEROIDI Nello studio delle proprietà dei corpi celesti (e degli asteroidi in particolar modo) la fotometria ha un’importanza cruciale. Questa tecnica si concentra sulla misura dell’intensità della radiazione proveniente da un oggetto astronomico (che sia brillante di luce propria o che la rifletta). Visto che questo lavoro si basa sullo studio di asteroidi è chiaro che la luce da loro “emessa” in realtà proviene dal Sole. Bisogna considerare i fattori fisici che descrivono la misura in cui una radiazione elettromagnetica incidente su di una superficie venga riflessa. Nei contenuti che seguono, la parola “diffusione” verrà spesso sostituita dal corrispondente inglese “scattering” e sono da intendersi allo stesso modo. Luminosità e flusso Per luminosità di un oggetto si intende l’energia che questo emette in tutte le direzioni ed in tutte le lunghezze d’onda per unità di tempo (si misura quindi in Watt). Poiché ai fini delle misurazioni va tenuto conto dell’energia effettivamente assorbita dal rilevatore, si definisce flusso l’energia che per unità di tempo attraversa l’unità di superficie perpendicolare alla direzione di propagazione della radiazione. Magnitudine apparente ed assoluta La magnitudine apparente (m) di un corpo celeste è la misura del suo flusso rispetto ad un punto di osservazione arbitrario, che per ovvi motivi è la Terra. La magnitudine assoluta (M) è invece la magnitudine apparente che un corpo interno al Sistema Solare avrebbe se fosse messo ad una distanza convenzionale di 1 U.A. rispetto all’osservatore. Si ricorda inoltre che esiste la seguente relazione tra magnitudine e flusso, detta formula di Pogson: dove , sono le magnitudini apparenti di due corpi ed , i rispettivi flussi. Albedo L’albedo è per definizione il rapporto tra l’intensità luminosa riflessa da una superficie e quella incidente sulla stessa e fa riferimento ad una superficie ideale che diffonde la luce isotropicamente in tutte le direzioni (superficie di Lambert) [3]. Poiché si esprime come un rapporto tra la luce riflessa da una superficie e quella incidente sulla superficie stessa l’albedo varia tra 0 ed 1 (casi limite). Nel caso degli asteroidi, come già detto in precedenza, questo fattore può variare tra 0.03 e 0.22. Albedo geometrica ( ) L’albedo geometrica [3] è definita rispetto ad una superficie di Lambert e semplifica la modellazione della luminosità di un corpo celeste a prescindere dall’angolo di fase, essa 10 può essere espressa come il prodotto di per la funzione di fase - che viene ovviamente normalizzata all’unità in corrispondenza dell’angolo di fase zero. Albedo di Bond ( Questa quantità è più specifica e riveste un ruolo chiave nel misurare quanto un corpo riesca ad assorbire la luce incidente; anche questa non può superare l’unità ed è una quantità integrale della riflettanza, più precisamente Riflettanza Nelle definizioni precedenti si consideravano superfici perfettamente riflettenti, ovvero con la proprietà di far “rimbalzare” la luce in arrivo in tutte le direzioni. Spesso questa assunzione risulta troppo ideale e si preferisce introdurre una quantità che esprime sempre il rapporto tra radiazione diffusa e radiazione incidente, però mettendo in risalto la collimazione della radiazione incidente e le condizioni di misura della radiazione riflessa. Si possono ad esempio avere la riflettanza bidirezionale, riflettanza direzionaleemisferica e altre. Ci si sofferma sulla riflettanza bidirezionale poiché per una distanza di 1 U.A. o più la dimensione angolare del Sole è inferiore a 0.5° e quindi l’ipotesi di luce collimata per la radiazione incidente è soddisfatta tranne che nell’intorno dell’angolo di fase zero, dove l’andamento del parametro è “piccato”. Dal punto di vista dimensionale la riflettanza bidirezionale si misura in steradianti (sr). Una volta introdotti i parametri fotometrici si può passare alle caratteristiche vere e proprie degli asteroidi intesi come corpi celesti rocciosi, le quali risultano più intuitive e pragmatiche. Forma Questa caratteristica è talmente comprensibile da non doverne dare definizione ma piuttosto da classificarne, per quanto possibile, i vari casi: difatti le forme degli asteroidi sono generalmente irregolari e varie. Cerere è sferico e rappresenta un’eccezione, visto che questi oggetti sono frammenti di materiali pesanti che non si sono compattati per dare vita ad un pianeta. Tutti gli altri hanno shape variabili e risulta quindi fuorviante classificarli in base alle forme, vista anche la tendenza a collidere tra loro e frammentarsi in continuazione. Dimensioni Per quanto riguarda le dimensioni, prevalgono in numero gli asteroidi più piccoli e i modelli elaborati insieme alle osservazioni portano alla conclusione che tutti quelli con 11 diametro inferiore ai 10 km appartenenti alla fascia principale sono frammenti d ovuti alle collisioni. Quelli più grandi di 30-50 km sono vecchi di 4,5 miliardi di anni ca. e si crede possano essere i superstiti della formazione dei pianeti. Ad ogni modo non è stato messo in evidenza il collegamento tra la distribuzione degli asteroidi più piccoli e la distribuzione delle polveri nel Sistema Solare [1]. Superficie Le esplorazioni planetarie avute di recente hanno convertito gli asteroidi osservati da vicino in oggetti geologici piuttosto che astronomici: grazie alle immagini ravvicinate raccolte dalle sonde si è arrivati a poter distinguere i particolari delle superfici di alcuni delle migliaia di asteroidi ad oggi conosciuti. Nonostante le piccole dimensioni e i deboli campi di forza gravitazionale, gli asteroidi presentano comunque tantissime caratteristiche superficiali – quali crateri, massi, solchi, canali, creste, presenza di regolite, frane, terreni ruvidi e lisci. Dal momento che questi corpi sono geologicamente inattivi, ciò che domina sulla loro superficie sono i crateri da impatto, i quali hanno dimensioni e proprietà correlate alla risposta della superficie su cui è avvenuto l’urto; da questa risposta della superficie è possibile ricavare indizi sulla natura fisica e chimica della stessa. Si può ad esempio tenere conto del rapporto d/D che mette in relazione il diametro del cratere alla profondità, alla luce anche della degradazione del cratere da impatto dovuto alle erosioni o agli altri impatti nelle vicinanze. Purtroppo non è facile misurare questo rapporto, dato che il processo di ricostruzione topografica in 3-D della superficie è soggetto a notevoli errori [1]. Spin Dal momento che gli asteroidi sono corpi estesi dinamicamente attivi è immediato capire che posseggono un moto di rotazione attorno al proprio asse di inerzia, vale a dire uno spin. Nello studio di questi oggetti risulta interessante capire l’orientazione dell’asse di rotazione passante per i due poli, avendo come riferimento il piano dell’eclittica. Prendendo in esame gli asteroidi della fascia principale ciò che emerge è una forte mancanza di asteroidi con i poli giacenti sul piano dell’eclittica [4], specialmente nel caso di oggetti piccoli. Tutto ciò si spiega ricordando l’effetto YORP, di cui si parlerà a breve. Per gli asteroidi più grandi (diametro oltre i 60 km) i rotatori progradi dominano in numero sui retrogradi, tendenza che si crede derivata direttamente dai primordi del Si stema Solare. Il periodo di rotazione Ai fini della trattazione si preferisce mettere in risalto questa caratteristica. Per definizione, il periodo di rotazione è il tempo impiegato da un corpo celeste per compiere una rotazione completa attorno al proprio asse. Nel caso degli asteroidi il periodo di rotazione è inferiore 12 alle 24 ore, anche se non mancano eccezioni. Qui di seguito un elenco con i periodi di rotazione degli asteroidi principali [5]. Nome dell’asteroide 1 Ceres 2 Pallas 3 Juno 4 Vesta 5 Astraea 7 Iris 38 Leda 433 Eros 451 Patientia 1010 Marlene Periodo di rotazione (ore) 9.074 7.813 7.210 5.342 16.806 7.139 12.838 5.270 9.727 31.065 Effetto YORP L’effetto Yarkovsky-O’Keefe-Radzievskii-Paddack (YORP) consiste nella variazione dell’orbita e della velocità degli asteroidi indotta dalla radiazione solare , la quale riscalda il corpo roccioso e viene riemessa sotto forma di calore. La differenza di emissione delle varie zone dell’asteroide genera una forza che nel caso di asteroidi piccoli (diametro inferiore ai 30 km) è sufficiente a farli disporre in modo che la loro obliquità sul piano risulti di 0° oppure 180° circa: vale a dire, un’inclinazione dell’asse di rotazione di circa 90° rispetto all’eclittica. L’effetto agisce in maniera secolare, vale a dire che risulta comunque lento ma nonostante ciò è stato efficacemente misurato su svariati asteroidi, almeno per quel che riguarda la variazione del periodo di rotazione. Poiché il cambio di orientazione dell’asse di spin è troppo piccolo da apprezzare con i dati a disposizione sino ad oggi, non è ancora possibile mettere in evidenza l’azione dell’effetto YORP su questo. Si ricorda infine che l’effetto è inversamente proporzionale al quadrato delle dimensioni lineari dell’asteroide, ragion per cui lo si osserva facilmente sugli asteroidi piccoli [4]. Rotazioni “eccitate” Vi sono alcuni casi in cui lo stato di rotazione di un asteroide non è identificabile semplicemente dai parametri di orientazione iniziale, velocità di rotazione e orientazione dell’asse: in questo caso il corpo celeste si trova in uno stato eccitato ed è simile nel comportamento ad una trottola [3]. Poiché l’oggetto si trova in uno stato diverso dal precedente c’è bisogno di più parametri per poterlo descrivere univocamente. Il motivo fisico che sta alla base delle rotazioni eccitate risiede probabilmente nella storia primordiale o collisionale degli stessi oggetti. 13 2.3) BREVE EXCURSUS SULLA STORIA DEGLI ASTEROIDI Cerere fu il primo asteroide ad essere scoperto il 1° gennaio 1801 ad opera dell’astronomo italiano Giuseppe Piazzi, presso l’Osservatorio astronomico di Palermo. All’inizio considerato asteroide e poi classificato come pianeta nano, questo oggetto rispond eva al fatto che ci dovesse essere un altro corpo tra Marte e Giove, come previsto dalla formula empirica di Titius-Bode – la quale fornisce con buona approssimazione la lunghezza dei semiassi maggiori delle orbite dei pianeti in relazione alla loro numerazione in ordine di distanza dal Sole. Da Cerere in poi si sono susseguite numerose scoperte di altri asteroidi, ad opera soprattutto di singoli astronomi che lavoravano con strumenti personali. Nel ventesimo secolo si è avuto un vero e proprio salto di qualità nell’ambito della ricerca dei corpi del Sistema Solare che non fossero i già noti pianeti. Fino al 1998 si è lavorato con le fotografie, fatte da un telescopio a grande campo, di una stessa regione del cielo e separate da intervalli di un’ora circa: attraverso il confronto tra una lastra fotografica e la successiva si poteva individuare quale corpo fosse mobile rispetto al sistema delle stelle fisse. In questo modo si individuava un potenziale asteroide. In seguito doveva essere il Minor Planet Center (ovvero l’organo dell’Unione Astronomica Internazionale che si occupa dei corpi minori) a riconoscere ed ufficializzare la scoperta. Dal 1998 in poi l’onere di ricercare altri asteroidi e di seguire automaticamente tutte le fasi prima enunciate venne affidato a telescopi automatizzati, con l’ausilio di camere CCD e di computer collegati agli stessi telescopi. Questi sistemi sono ormai gestiti da vari gruppi di astronomi e tecnici, tra i quali si menzionano il LINEAR (acronimo di Lincoln Near-Earth Asteroid Research) e l’Asiago DLR Asteroid Survey (in Italia). Parlando brevemente delle convenzioni sui nomi degli asteroidi, la nomenclatura degli asteroidi è tradizionalmente la seguente ‘numero progressivo’ + ‘nome dell’asteroide’ Il numero progressivo fa ovviamente riferimento all’istante in cui è stata annunciata la scoperta e il nome può essere deciso solo qualora l’oggetto candidato risulta effettivamente un asteroide e ne vengono calcolati tutti i parametri orbitali. Per esempio, il nome di Cerere viene dato come 1 Cerere. Ad oggi il sistema è divenuto più efficace anche in risposta all’aumento del numero di scoperte, per cui si affianca l’anno della scoperta a due lettere dell’alfabeto, ove la prima indica la metà del mese di scoperta (ad esempio, la prima metà di gennaio => A , la prima metà di marzo => C) e la seconda indica la progressione, alla stregua del numero nella nomenclatura tradizionale. 14 2.4) SVILUPPI RECENTI Il passaggio dalle osservazioni a terra alle esplorazioni spaziali è automatico se si prende in considerazione lo sviluppo dell’industria aerospaziale e l’evoluzione delle tecnologie che si sono avuti nella seconda metà del ventesimo secolo. Negli ultimi progressi in questo settore non si può fare a meno di citare le seguenti missioni: 1971: la sonda Mariner 9 fotografa i due satelliti di Marte Phobos e Deimos (menzionati qui poiché si pensa siano due asteroidi catturati dal pianeta) 1991 & 1993: la sonda Galileo fotografa Gaspra e Ida 2001: la sonda NEAR Shoemaker, prima missione dedita allo studio di un asteroide (lanciata dalla NASA), atterra sull’asteroide Eros, misurandone la densità 2007: viene lanciata dalla NASA la missione Dawn, diretta verso Cerere e Vesta 2011: la sonda Dawn si staziona in orbita attorno a Vesta e ne analizza le proprietà spettrali 2015: la sonda Dawn raggiunge Cerere e ne studia i dettagli della superficie 15 3) INTRODUZIONE ALLA FOTOMETRIA E APPLICAZIONI NELLO STUDIO DEGLI ASTEROIDI 3.1) LA FOTOMETRIA La fotometria, come già detto in precedenza, si concentra sulla misura dell’intensità luminosa (e, più in generale, dell’intensità delle radiazioni) che provengono da un corpo celeste. Nell’ambito degli asteroidi la fotometria assume un ruolo chiave per tre principali motivi. In primo luogo, questa tecnica fornisce indizi sulla composizione superficiale degli oggetti osservati. Il modo in cui la riflettanza di una superficie risponde alla luce incidente e all’angolo di osservazione dipende interamente dalle proprietà ottiche e meccaniche della superficie stessa, come ad esempio la grandezza – porosità – presenza di scanalature e altri fattori [3]. In secondo luogo, poiché la riflettanza spettrale di una superficie dipende dall’illuminazione e dall’angolo di osservazione, bisogna correggere le osservazioni con una geometria comune di riferimento al fine di confrontare aree differenti dello stesso asteroide. Sperimentalmente, lo scopo delle correzioni fotometriche è quello di far confrontare le osservazioni degli asteroidi veri e propri con le misure di laboratorio, fatte in base a geometrie standard. Per descrivere formalmente questo processo, vanno introdotte alcune definizioni di base [3]. Facendo riferimento alla figura seguente (e) angoli di incidenza, emissione e fase 16 si definiscono come angolo di incidenza (i) l’angolo tra la sorgente luminosa (Sole) e la normale alla superficie locale dell’oggetto osservato, angolo di emissione (e) l’angolo tra l’osservatore e la normale alla superficie locale e angolo di fase (a) quello tra la sorgente luminosa e l’osservatore. La dipendenza della luminosità di una superficie da questi tre parametri (i, e, a) è correlata alle proprietà ottiche e meccaniche della superficie. In generale questi angoli sono da intendersi in tre dimensioni. La procedura più generale per le correzioni fotometriche è quella di eseguire un fit della riflettanza con le osservazioni della stessa , per poi sfruttare l’equazione seguente al fine di calcolare la riflettanza corretta avendo una geometria di riferimento : dove è la geometria di diffusione della riflettanza misurata. Le geometrie di riferimento più usate sono , ovvero la riflettanza normale e , configurazione di laboratorio molto comune. Il terzo motivo per cui la fotometria applicata agli asteroidi è importante riguarda la capacità di previsione del valore di riflettanza che si osserva sotto arbitrarie condizioni di osservazione e di illuminazione, dando così modo alle missioni spaziali e agli atterraggi effettuati con le sonde di essere programmati in modo efficace. Prima di proseguire con la trattazione c’è bisogno di introdurre un’altra quantità fisica, oltre quelle già viste nel paragrafo 2.2, quando sono state presentate le proprietà fotometriche degli asteroidi. In quest’occasione si definiscono il fattore di radianza (RADF) e il fattore di riflettanza (REFF), quantità di estrema importanza poiché mettono in rapporto la luce riflessa da una superficie campione con quella di una superficie di riferimento, quest’ultima molto prossima ad un disco di Lambert. Una superficie di Lambert ha una riflettanza bidirezionale in tutte le direzioni e come dimensioni [sr-1 ] – per cui RADF e REFF sono adimensionali. Negli scattering non isotropici, soprattutto quando si verifica l’effetto di opposizione (ovvero, quando ci si avvicina all’angolo di fase zero) una superficie può apparire più luminosa di una superficie di Lambert e quindi i fattori prima annunciati possono superare l’unità. La fotometria moderna ha a che fare con due diversi tipi di dati: le osservazioni a disco integrato e le osservazioni a disco risolto. Le prime si basano su dati fotometrici molto basilari, avendo a disposizione solo l’intensità luminosa dell’oggetto osservato e le relative intensità nelle frequenze dello spettro elettromagnetico, mentre le seconde consistono nel risolvere l’asteroide, in modo da ottenere vere e proprie immagini di ciò che si sta osservando. Negli ultimi tempi, grazie alle missioni spaziali, si sono avute anche osservazioni a superficie risolta, rivelando dettagli degli asteroidi mai visti in precedenza. 17 Per quanto riguarda quest’ultime lo scopo è quello di mettere in relazione la vista locale su un punto della superficie e la geometria di illuminazione con il RADF. Nella trattazione semplificata di Lambert o Minnaert [3] si fattorizza la dipendenza del RADF da i, e con la dipendenza da a. L’espressione del RADF o, più semplicemente R, diventa quindi la seguente: dove è detta funzione del disco e funzione di fase della superficie. A volte si introduce un fattore di scala in modo che la funzione RADF venga normalizzata all’unità attorno all’angolo di fase zero. Le teorie fotometriche più recenti indicano che questa fattorizzazione risulta un buon ansatz qualora lo scattering multiplo della luce sia trascurabile, come accade per le superfici relativamente scure [3]. Molti dei tanti modelli fotometrici esistenti specificano la funzione del disco, lasciando indefinita o implicita la funzione di fase. Esempi del genere sono i modelli di Lambert, Lommel-Seeliger, Minnaert e Lambert-lunare. Generalmente, gli oggetti con riflettanza elevata quindi con albedo geometrica vicina all’unità sono ben descritti dal modello di Lambert, mentre quelli caratterizzati da albedo geometrica inferiore allo 0.2 seguono la legge di scattering di Lommel-Seeliger. La maggior parte degli asteroidi rientra nella seconda di queste suddivisioni, specialmente le categorie C, D, P e gran parte degli S. I modelli fotometrici a disco integrato calcolano la luminosità di tutto il disco dell’asteroide ad una data osservazione integrando il fattore di radianza previsto relativo alla superficie risolta sulla frazione di superficie illuminata e visibile all’osservatore. Una funzione di fase a disco integrato, , si può calcolare come segue, nella quale è generalmente normalizzata all’unità nell’intorno dell’angolo di fase zero. Quando non si conosce la forma dell’asteroide oppure si vuole dare una prima approssimazione può essere presa una superficie sferica come riferimento nell’integrale. Un altro tipo di modello empirico a disco integrato prevede una semplice parametrizzazione della luminosità totale dell’oggetto osservato sotto diversi angoli di fase, come nel caso del modello a tre parametri di Shevchenko. Quest’ultimo è stato usato per descrivere l’effetto di opposizione di 4 Vesta e si esprime in termini della magnitudine ridotta: 18 con M(0°) magnitudine ridotta all’angolo zero di fase, b parametro che caratterizza l’effetto di opposizione e c indica il coefficiente angolare della parte lineare della curva di fase. Un modello fotometrico analitico che si rispetti deve essere assemblato da vari componenti matematici, ognuno dei quali mira a descrivere un determinato effetto o una determinata causa fisica nel fenomeno osservato: il primo pezzo descrive l’albedo e la riflettanza bidirezionale avendo come riferimento una superficie di regolite, il secondo spiega come i fronti d'onda vengano diffusi in maniera multipla dai grani di materiali, il terzo componente è una parametrizzazione che restituisce l’effetto sulla luce dovuto alla struttura della superficie ed il quarto inerente il ben noto effetto di opposizione [3]. Ad oggi, i modelli che hanno fornito più applicazioni pratiche sia in ambito fotometrico che spettroscopico sono quello di Hapke (1981; … 2012a), di Shkuratov (1999) e Lumme-Bowell (1981; … 1989). Nello studio ravvicinato degli asteroidi tramite missioni spaziali, le modellazioni della forma giocano un ruolo chiave sul campionamento di osservazioni fotometriche a disco risolto: è quindi importante determinare la geometria locale per ogni punto della superficie, in modo da poter ottenere informazioni preziose come il vettore normale alla superficie in quel punto – facilitando la riuscita delle missioni spaziali di approccio ai corpi rocciosi. L’uso delle modellazioni di forma presenta però dei rischi, poiché per angoli di incidenza molto grandi il fit del modello può essere soggetto a errori molto rilevanti, nonostante gli errori sulla misura dell’angolo di incidenza risultino relativamente piccoli. Per questo si preferisce escludere le osservazioni a grandi angoli di incidenza o, qualora ciò non fosse possibile, di ridurre il peso statistico delle osservazioni nelle condizioni cui sopra [3]. Alla luce di tutto quello che è stato detto finora c’è bisogno di confrontare i vari approcci possibili nell’ambito dello studio fotometrico degli asteroidi. Concentrandosi sulle osservazioni a disco integrato, la prima grande differenza si ha nel numero di serie di dati raccolte sul sistema in esame. Nel caso si voglia determinare soltanto il periodo di rotazione di un asteroide, una singola curva di luce è più che sufficiente, a patto che sia stata raccolta per un tempo tale da poter ricoprire un intero periodo [4]. Se si vogliono invece determinare caratteristiche più specifiche come la forma dell’asteroide e lo stato di spin c’è ovviamente bisogno di più osservazioni e quindi di più curve di luce. C’è inoltre un aspetto importante che non va trascurato in queste analisi ed è la ricerca di una soluzione univoca, poiché va rimossa qualsiasi ambiguità su ciò che si ottiene: per garantire l’univocità ci vogliono molteplici osservazioni nelle varie geometrie (vale a dire, sotto diversi angoli di fase e inquadrando diverse zone di vista, in modo da coprire per bene tutto l’asteroide) e ciò all’atto pratico si traduce spesso in decadi di osservazioni e raccolta dati. In ultimo luogo esiste anche la possibilità di “osservazioni sporadi che”, vale a dire compiute per svariate notti consecutive nel limite però di una o poche più misure di 19 luminosità per notte, pregiudicando nella maggior parte dei casi la qualità fotometrica dei dati ottenuti. Per ciò che concerne la precisione dei risultati ottenibili con le osservazioni a disco integrato, sul periodo di rotazione si ha una precisione nell’ordine di 10 -5 o addirittura migliore, a seconda del tempo coperto nella raccolta dati. Ben diversa è la questione che riguarda la ricerca dell’orientazione dello spin, poiché la luminosità a disco integrato di un oggetto descritto dal vettore posizione e avente la direzione del polo in (in coordinate eclittiche) è la stessa di un oggetto descritto stavolta da e direzione del polo in e l’ambiguità può essere rimossa solo tramite proiezioni nel cielo della forma del corpo - per esempio con occultazioni stellari – oppure tramite immagini a disco risolto [4]. A tal proposito, si parla ora delle osservazioni a disco risolto. Poiché riguardano proprio la cattura di un’istantanea degli asteroidi, rappresentano la maniera più diretta per ottenere informazioni sulla loro forma. Poiché un corpo del Sistema Solare è spesso caratterizzato dal fatto che possiede una forma apparente dovuta alla porzione illuminata dello stesso e una linea di divisione tra lato oscuro e lato illuminato (come per la Luna), una sequenza di osservazioni multiple fatte mentre il corpo ruota permette di ricostruire appieno la geometria 3D dell’oggetto [4]. C’è tuttavia l’esigenza di risolvere il piccolo diametro angolare degli asteroidi, inferiore ai 0,5’’, per cui sono richieste attrezzature molto grandi. Nella risoluzione angolare degli oggetti risiede un problema critico per le osservazioni a disco risolto: ogni immagine che si ottiene è il risultato della convoluzione tra la luminosità dell’oggetto e la risposta dello strumento utilizzato, vale a dire la Point Spread Function (PSF). La PSF è costante nello spazio, poiché corrisponde al pattern di diffrazione del telescopio, mentre sulla Terra varia in maniera casuale per via delle turbolenze atmosferiche e in questo caso sono richieste le ottiche adattive (AO). Al giorno d’oggi, gli strumenti permettono una risoluzione angolare con precisione nell’ordine dei 30 -50 mas (millisecondi d’arco), a seconda della lunghezza d’onda. 20 3.2) CENNI ALL’ASTRONOMIA CCD In questo paragrafo vengono introdotte le principali caratteristiche dei dispositivi CCD e si commenta brevemente la tecnica usata per correggere i dati fotometrici raccolti nell’ambito dell’esperienza di laboratorio. Nel successivo capitolo queste nozioni verranno messe in pratica, in occasione dello studio di un particolare asteroide mediante l’Osservatorio Astronomico dell’Università di Salerno. L’astronomia CCD rappresenta il più recente sviluppo nello studio del cielo sia in ambito professionale che amatoriale. I dispositivi di seguito presentati permettono di effettuare misure fotometriche e spettroscopiche di ciò che si osserva nella volta celeste. I dispositivi ad accoppiamento di carica (in inglese, Charge-Coupled Device, acronimo CCD) consistono in una griglia di elementi semiconduttori in grado di accumulare una carica elettrica proporzionale all’intensità di radiazione elettromagnetica che incide sugli stessi. Questi elementi (che corrispondono ai pixel del quadro) vengono accoppiati in modo che il precedente – sotto influenza di un segnale elettrico – possa trasferire la sua carica al successivo, e così via. In definitiva, tramite una sequenza di impulsi inviati a tutto il dispositivo, si può leggere il segnale in uscita con cui viene ricostrui ta la matrice dei pixel, i.e. l’immagine finale da elaborare. Le righe dei CCD consistono in una serie di capacitori MIS (Metal-Insulator Semiconductor) che accumulano un numero di elettroni proporzionale all’intensità della radiazione incidente su essi. Alla fine della lettura il numero di elettroni rilevato per pixel viene convertito in un segnale digitale da inviare alla macchina per costruire l’immagine [6]. Il funzionamento di un CCD è descrivibile in maniera semplice tramite il seguente esempio. Si pensi ad una tempesta che si abbatte su un campo dove si trovano dei nastri di secchi, i quali si riempiono e dopo la fine della tempesta vengono raccolti in una serie di altri secchi misuratori per mezzo dello scorrimento del nastro. (f) il funzionamento di un CCD paragonato ad un campo pieno di secchi in cui piove 21 I misuratori sono quelli che vengono letti per determinarne la quantità d’acqua e quindi il numero di gocce raccolte (Janesick & Blouke, 1987). Negli ultimi venti anni la tecnologia CCD ha fatto passi da giganti, rendendo questi dispositivi poco rumorosi e riducendo notevolmente i tempi di lettura per le immagini, al punto da diventare una presenza fissa nella strumentazione degli astronomi e dei semplici appassionati. Affinché le immagini raccolte durante una serata osservativa possano essere sfruttate per ottenere tutte le informazioni fisiche desiderate bisogna lavorarle da “grezze” seguendo un metodo, detto riduzione. La riduzione fa uso di un set basilare di immagini, utili alla calibrazione dei frames che contengono l’oggetto di interesse: si hanno i bias, i dark ed i flat field. Vengono di seguito descritte le proprietà di questi frames [6]. Bias Questa immagine viene presa con un tempo di esposizione praticamente nullo, l’otturatore rimane chiuso e si effettua una semplice scansione del CCD. Lo scopo del bias è quello di determinare il livello del rumore sottostante ogni frame di dati, dovuti agli amplificatori montati sul CCD sfruttati per amplificare il segnale prima della lettura. Il valore del rumore dovrebbe rimanere costante nel tempo, anche se il DC offset delle singole colonne contrasta quest’ultima aspettativa. Dal momento che anche sulle righe si può avere uno spostamento dallo zero del segnale in uscita sarebbe opportuna una scansione 2D per effettuare il bias pixel per pixel, ma per fare ciò non basta u n solo bias ma ci vorrebbe una media di almeno 10 bias frames. Dark Anche il dark frame nel CCD viene effettuato ad otturatore chiuso ma a differenza del precedente ha una durata non nulla, di solito uguale al tempo di esposizione usato nella raccolta dati. I dark frames permettono di misurare il rumore termico del CCD, di rilevare la presenza di “pixel caldi” e di valutare la quantità di raggi cosmici che interessano il campo di cielo inquadrato. Anche per i dark è opportuno fare una media. Si noti che i dark, contenendo naturalmente le informazioni sul bias, soppiantano la necessità di ottenere questi ultimi. Flat field Si usa per correggere la variazione da pixel a pixel della risposta del CCD e dell’illuminazione non uniforme del detector stesso. I flat vengono presi inquadrando il CCD con uno schermo bianco oppure una zona di cielo uniformemente colpita dalla luce (ad esempio, al tramonto - ponendosi lontani dal disco solare). Le calibrazioni flat sono necessarie per ogni colore o zona dello spettro utile allo studio dei corpi. Di flat ne vanno presi almeno 5 e vanno mediati. 22 Si espone adesso brevemente il procedimento di riduzione. I) Sottrarre il frame bias medio (o il dark, se necessario) dal frame grezzo dell’oggetto/degli oggetti celesti di interesse; Dividere l’immagine risultante per il frame flat medio (già privato del bias). II) In maniera simbolica, si descrive il procedimento attraverso la seguente formula: dove O indica l’immagine grezza dell’oggetto/i astronomico/i, B indica il bias medio, F il flat field medio (già biased) e R l’immagine finale ridotta. Si noti che il bias può essere sostituito con il dark a seconda dei casi. Per quel che concerne il rumore di fondo del cielo (background) non si effettua una correzione con dei frames a parte ma viene effettuata in occasione della ripresa dei frames grezzi: solitamente, per ogni frame degli oggetti si fa una media del rumore di fondo del campo inquadrato e si sottrae nelle zone non contenenti corpi utili del frame stesso. Fotometria assoluta e fotometria differenziale Nell’ambito dell’astronomia CCD sono particolarmente diffuse due diverse tecniche di studio fotometrico del cosmo: la fotometria assoluta (detta anche standard) e la fotometria differenziale. La prima si basa sull’utilizzo di appositi filtri fotometrici insieme con la configurazione di base dello strumento ottico con CCD e permette – a valle della calibrazione sfruttando alcune stelle di riferimento (standard) - di stimare la magnitudine delle stelle anche nei diversi colori oppure costruire il diagramma H-R degli ammassi stellari. La fotometria assoluta risulta comunque più dispendiosa e complicata da mettere in pratica rispetto alla seconda tecnica, ovvero la fotometria differenziale, la quale permette di misurare non la magnitudine di un oggetto ma la sua variazione di flusso nel tempo avendo come riferimento una o più stelle di paragone (reference stars) nell’ipotesi che queste ultime abbiano flusso costante. Dopodiché la curva di luce viene costruita mettendo in ascissa il tempo di osservazione e in ordinata il flusso relativo dell’oggetto studiato. La fotometria differenziale si può realizzare anche con programmi gratuiti reperibili sul web ed è la tecnica che verrà sfruttata più avanti. 23 3.3) INTERPRETAZIONE FISICA DEI RISULTATI FOTOMETRICI Prima di presentare il collegamento tra i risultati fotometrici e la modellazione degli asteroidi bisogna parlare del processo di correzione fotometrica al modello utilizzato per descrivere l’oggetto. La maggior parte dei cambi nella riflettanza di un asteroide sono dovuti alla variazione dell’angolo di osservazione e non sono intrinseci. Introducendo la descrizione di una mappa fotometrica della superficie, tutte le variazioni non intrinseche possono essere rimosse e si può produrre una mappa della riflettanza normale. Il procedimento descritto in precedenza richiede che i tre parametri i, e, a siano noti a priori (ovvero che il modello della forma dell’asteroide sia abbastanza accurato) e una volta garantito ciò basta eseguire un fit della funzione fotometrica con i dati ottenuti per apportare le dovute correzioni. Si riporta adesso una descrizione del metodo standard per apportare le correzioni fotometriche: Utilizzare i dati osservativi per “fittare” un modello fotometrico medio dell’intero oggetto; Calcolare il rapporto tra la riflettanza misurata e quella del modello per ogni elemento di superficie; Moltiplicare il rapporto per la riflettanza del modello e per la geometria di riferimento prescelta. In quest’ottica, il rapporto calcolato è una misura di quanto la riflettanza della superficie descritta dal modello con il best-fit sia diversa da quella effettiva, per cui si ha modo di scegliere la geometria più efficace ai fini della corretta descrizione dell’oggetto. A monte di questo procedimento ci sono però delle assunzioni di base da fare prima di procedere: 1. Ogni deviazione del modello best-fit dalla riflettanza misurata deve essere reale e non legata ad imperfezioni nel modello fotometrico o nel modello della forma; 2. Il fattore di deviazione non dipende dalla geometria di diffusione della luce. Vanno ora discusse le implicazioni che derivano da queste assunzioni: La prima assunzione può essere verificata in maniera empirica da vari fit di diversi modelli con la stessa serie di dati e confrontando le correzioni fotometriche risultanti, ma questo metodo è spesso limitato dalla disponibilità dei dati. Per cui non si può prescindere da un giudizio caso per caso su quali caratteris tiche nella mappa fotometrica siano reali e quali siano dovute alla conformazione della superficie. Per la seconda assunzione, esistono due casi diversi. Nel primo caso, la variazione di riflettanza proveniente dal best-fit è dominata dalla variazione di albedo dovuta allo scattering semplice e non da altre variazioni delle proprietà fotometriche quali 24 funzioni di fase e rugosità della superficie. Se l’albedo è bassa e lo scattering multiplo è trascurabile, allora la riflettanza è proporzionale all’albedo di scattering semplice e il fattore di deviazione rappresenta quanto l’albedo di una particolare regione della superficie si discosta dalla media globale dell’asteroide. Quando invece l’albedo è elevata e lo scattering multiplo non è trascurabile, bisogna tenere conto degli effetti non lineari. Nel secondo caso si ha la situazione opposta, poiché la variazione della funzione di fase e/o la conformazione superficiale dominano sui fattori di deviazione: stavolta le correzioni fotometriche non posso no essere applicate in maniera affidabile. Esempio tipico è quello della Luna, dove c’è bisogno di molti più modelli geometrici per le varie regioni della superficie osservate [3]. Le quantità fisiche più basilari di un asteroide sono proprio il periodo di rotazione e lo stato di spin. Il primo, come già detto in precedenza, può essere ricavato anche a partire da una singola curva di luce, sfruttando un opportuno periodogramma che metta in evidenza le componenti in frequenza della curva. Sarà poi un’analisi delle frequenze a permettere di ricavare le quantità fisiche di interesse. L’ovvio motivo fisico per cui ci si aspetta ci ò è che data la rotazione sul proprio asse dell’asteroide anche la curva di luce, la quale sommariamente descrive il modo in cui una singola zona della superficie dell’asteroide riflette la luce incidente, presenta la stessa periodicità. Tutto ciò vale a p atto che il periodo di rotazione sia relativamente molto più piccolo di quello di rivoluzione, condizione soddisfatta dalla maggioranza degli asteroidi conosciuti. Negli altri casi, dove i corpi ruotano in maniera molto lenta, c’è bisogno di tener conto an che della geometria di osservazione e di illuminazione dell’oggetto in quell’istante di tempo. Un effetto che caratterizza i corpi senza atmosfera è l’arrossamento della fase, che si verifica quando l’angolo di fase aumenta: questo è più pronunciato negli asteroidi di tipo S e si crede sia dovuto all’aumento della riflettanza spettrale con la lunghezza d’onda. Il motivo fisico risiede probabilmente nell’importanza relativa dello scattering multiplo: all’aumentare dell’albedo aumenta anche la diffusione multipla, la quale a differenza della radiazione a singola diffusione è isotropica. Per cui, ad angoli di fase molto grandi il contributo dello scattering multiplo prevale su quello singolo [3]. La fotometria permette di ottenere descrizioni anche sulle proprietà geologiche degli oggetti osservati. Rugosità Lo studio della rugosità delle superfici degli asteroidi fornisce indizi sui processi geofisici avvenuti su questi corpi celesti. Le superfici con molti crateri presentano grandi angoli di inclinazione mentre quelle soggette ad un rinnovo dello strato superiore per via del vulcanismo sono più lisce. Purtroppo anche il processo di accrescimento delle polveri e altri materiali volatili su una superficie tendono a riempire i vari buchi e crateri e quindi a 25 far mostrare un andamento fotometrico liscio. Esempio famoso è quello di 4 Vesta, dove le pareti dei crateri sono più lisce dei fondali degli stessi per via dell’accumulo di materiali. Stato di impacchettamento Il modello di Irvine (1996) sugli effetti di ombra in opposizione assume che le particelle costituenti la regolite rientrino nel limite dell’ottica geometrica (r » λ), siano sferiche e dotate di albedo sufficientemente piccola da poter trascurare lo scattering multiplo. L’ampiezza della sorgente è determinata da un parametro di impacchettamento, definito da , dove è la densità della parte interna delle particelle costituenti regoliti e la densità interna di una singola particella. All’aumentare del parametro di impacchettamento si riduce la porosità della superficie e quindi diminuisce il picco di luminosità in opposizione. Diversa è la storia che riguarda il modello di Hapke: l’ampiezza dell’effetto di opposizione, , dipende dalla trasparenza dei grani di regolite: per grani perfettamente opachi e per grani idealmente trasparenti. Quindi per un insieme di grani non affetti da scattering multiplo, il parametro di ampiezza angolare è il seguente, il quale risulta inversamente proporzionale alla presenza di vuoti (Hapke, 2012b). Dal punto di vista geofisico, la porosità si spiega alla luce di bombardamenti micrometeorici, ricaduta di materiali congelati o polveri vulcaniche. Superfici mediamente porose sono dovute a processi di scorrimento di polveri analoghi a quelli dei fluidi e al ristagno di particelle regolitiche. Superfici molto compatte, invece, sono generalmente effetto di estrusione di fluidi e fanghi oppure di interazioni con particelle ad al ta energia, che fanno “cuocere” i materiali superficiali [3]. Effetto YORP Anche il ben noto effetto YORP è oggetto di indagine fotometrica. Se la variazione del periodo di rotazione dovuta a quest’effetto è più grande dell’incertezza sul calcolo dei periodi stessi, allora la variazione stessa può essere tracciata apparizione dopo apparizione dell’asteroide [4]. Per inserire l’effetto YORP nel modello prescelto, si assume che la velocità di rotazione ω vari in maniera lineare nel tempo, secondo la relazione dove , è un parametro libero confrontabile con quello calcolato a partire dai parametri di forma, spin, dimensioni e dalle proprietà termiche del corpo studiato. Asteroidi binari Gli asteroidi binari costituiscono circa il 15% della popolazione della fascia principale ed il loro studio risulta spesso più complicato di quello degli asteroidi singoli. Tuttavia, in 26 alcuni casi, ci si può ricondurre per approssimazione allo stesso approccio [4]. Qualora l’asteroide principale sia molto più grande di quello satellite, si può omettere il segnale fotometrico proveniente da quest’ultimo e il primario può essere modellato come un singolo corpo. L’orbita del secondario può aiutare a studiare la distribuzione di densità del primario. Ben diverso è il caso di un sistema binario di asteroidi in cui i componenti sono paragonabili tra loro. Può succedere che il sistema sia asincrono, ovvero il periodo di rotazione del primario è diverso rispetto a quello del secondario, costringendo all’uso di un modello che preveda due ellissoidi. Se invece il sistema è sincrono, la coppia di asteroidi può essere approssimata come un corpo singolo se la separazione tra i due non è molto grande, mentre nell’eventualità di una separazione rilevante si considera un sistema a due componenti. L’approssimazione ad un solo corpo del sistema sincrono non largamente separato serve solo allo scopo di fornire una stima del periodo di rotazione e dello stato di spin, dato che quest’approssimazione non rispecchia appieno la vera natura dell’asteroide binario [4]. Occultazioni stellari L’osservazione di un’occultazione stellare consiste nel registrare la durata della “scomparsa” di una stella dietro un asteroide. Attraverso le effemeridi dell’asteroide si conosce il suo moto apparente nella volta celeste e quindi la durata temporale della copertura può essere convertita in una dimensione lineare dell’asteroide, detta corda. Nel caso in cui diversi osservatori da diverse zone della Terra osservino la stessa occultazione da parte dello stesso corpo roccioso si può ricostruire un profilo 2D dell’asteroide, così come ci appare proiettato sul piano del cielo nel momento in cui è s tata fatta l’osservazione [4]. Le misure del tempo di occultazione sono molto affidabili, poiché un’incertezza di 50 ms sui tempi si converte in un’incertezza di circa 300 m nel caso degli asteroidi della fascia principale. In ultima battuta, va discussa la trattazione degli errori nel caso in cui si applichino modelli per fittare i dati fotometrici. Lo studio degli asteroidi e delle loro proprietà fisiche è a tutti gli effetti un problema inverso, vale a dire che si cercano informazioni su una quantità non direttamente osservabile in maniera indiretta (come ad esempio il caso in cui si debba determinare la densità interna di alcuni asteroidi dotati di un satellite si studi il periodo orbitale di quest’ultimo, in modo da risalire alla massa del principale senza aver raccolto alcun campione tramite sonde spaziali). E’ risaputo che nei problemi inversi gli errori sistematici e gli errori del modello dominano su quelli casuali dovuti alle misurazioni, ragione per cui la stabilità delle soluzioni trovate e la stima degli errori commessi si possono portare a termine applicando successivamente diversi modelli allo stesso oggetto e studiandone le variazioni volta per volta [4]. 27 3.4) INTRODUZIONE AL PALOMAR TRANSIENT FACTORY Il Palomar Transient Factory (PTF) è un metodo di indagine del cosmo che monitora e tiene conto della variazione di luminosità di determinati fenomeni nella volta celeste, scansionandola volta per volta ad intervalli di tempo regolari, al fine di trovare fenomeni transitori quali possono essere l’esplosione di una supernova o il passaggio di un asteroide. Questo metodo si utilizza sui campi che sono stati osservati svariate volte per notte, per più notti, al fine di trovare asteroidi e determinarne i relativi periodi di rotazione [7]. Qui di seguito verrà data una descrizione generale della procedura da seguire, poiché i vari parametri quali la dimensione del campo – i tempi di campionamento etc. possono variare a discrezione degli esaminatori e a seconda delle esigenze e delle strumentazioni a disposizione [7]. 1. Dapprima si individuano quelli che, tra i vari fenomeni transitori registrati con il PTF, sono effettivamente degli asteroidi. Per fare ciò bisogna lavorare sulle immagini raccolte effettuando il biasing, le calibrazioni astrometriche e di magnitudine e tutti gli altri procedimenti che verranno in seguito discussi. In questa fase vengono esclusi anche altri fenomeni transitori non-asteroidali, quali raggi cosmici o artefatti di altra natura. 2. In seguito si associano tra loro le istantanee di quelli che sono i “candidati” asteroidi, raggruppandole in base alla comune sorgente fisica. Queste associazioni si operano tra una istantanea e quella successiva, cercando in quella che segue una traccia dello stesso oggetto osservato nella prima – spostato entro un range dato dalla velocità massima (specificata dall’utente) moltiplicata per l’intervallo di tempo del campionamento. Questa velocità massima può andare dai 0,01’’ sec -1 degli asteroidi nella fascia principale fino agli 0,1’’ sec -1 degli asteroidi Near-Earth [7]. 3. Una volta che è stata identificata una sorgente con una traccia di immagini ne viene eseguito un best-fit polinomiale nelle coordinate utilizzate (le quali sono, di solito, ascensione retta e declinazione). Questa informazione viene infine corredata con le posizioni, i tempi, i parametri di esposizione e gli errori commessi nel processo e quindi sottoposta all’analisi del Minor Planet Center. 4. Per quanto riguarda i falsi allarmi, ci sono varie tecniche che permettono di scartarli a favore dei candidati cercati. Un esempio, estratto da [7], è quello di fare una scansione manuale di tutte le immagini per rimuovere i pixel attivati in maniera radiale da una stella che satura nell’esposizione. 28 3.5) STUDIO DEGLI ASTEROIDI CON INFORMAZIONI DA ALTRE FONTI Al di là della fotometria, vi sono altri metodi di studio dei corpi celesti che ne indagano la natura sfruttando le informazioni da altre fonti. In questa sezione se ne dà una breve descrizione. Interferometria Questa tecnica si propone di superare la difficoltà derivante dalla piccola dimensione angolare degli asteroidi sulla sfera celeste, in modo da poter misurare le dimensioni e la forma dei corpi. Un interferometro astronomico combina la luce di due aperture diverse dello stesso telescopio (oppure due telescopi diversi) messi a distanza tra loro in maniera coerente, i.e. conservando l’informazione sulla fase [4]. La risoluzione di questo apparato sperimentale è nell’ordine di , ove è la lunghezza d’onda della radiazione. Gli interferometri misurano la funzione di coerenza della sorgente, detta anche visibilità interferometrica, la quale è data dal rapporto tra il flusso correlato – ovvero la quantità di flusso nelle frange di interferenza - ed il flusso totale. Quando sfruttata nel medioinfrarosso, l’interferometria risulta molto sensibile alla forma globale dell’asteroide e alle caratteristiche superficiali. Radiometria a disco integrato Questa tecnica si basa su osservazioni in particolare tra i 4 - 5 μm e i 20 – 30 μm. Analogamente all’interferometria nell’infrarosso, la radiometria permette di ottenere informazioni sulle proprietà superficiali, quali l’inerzia termica e la rugosità. Quando mancano informazioni sullo spin e sulla forma globale dell’asteroide ci si basa su un modello semplice, ovvero una sfera con superficie di Lambert. Ad ogni modo, c’è comunque bisogno di modelli appositi, detti modelli termo fisici, che mirano a calcolare la distribuzione delle temperature su tutta la superficie degli asteroidi in funzione di diversi parametri, inclusa l’inerzia termica: solitamente la forma dell’asteroide è fissata come un oggetto a sfaccettature planari e la temperatura di ogni sfaccettatura è calcolata risolvendo numericamente l’equazione di diffusione del calore in una dimensione, date le condizioni al contorno dovute alla radiazione emessa dal Sole e assorbita dalla superficie, a seconda anche della geometria di illuminazione, della distanza eliocentrica e dell’albedo dell’oggetto [4]. Analisi a basse frequenze dell’interno degli asteroidi Si discute brevemente la possibilità di indagare sull’interno degli asteroidi attraverso onde a basse frequenze. L’opzione più pratica è quella di impiantare trasmettitori e ricevitori radio sulla superficie di un asteroide con dimensioni nell’ordine dei km e misurare segnali di circa 100 MHz tra questi e una stazione orbitante quando i segnali stessi passano all’interno dello stesso asteroide [4]. Tramite queste misure si possono ottenere 29 informazioni sulla permettività dei materiali interni, ergo sulla composizione dell’asteroide. In condizioni ideali ci vorrebbe addirittura un sistema di quattro trasmettitori ai vertici di un tetraedro al fine di determinare con sufficiente precisione la struttura 3D dell’interno dell’asteroide. 30 3.6) ANALISI DELLA CURVA DI LUCE In tantissime branche dell’astronomia, si pone il problema di trovare la periodicità che caratterizza determinati fenomeni osservati (come la variazione di luminosità di una stella Delta Scuti o la rotazione di un asteroide attorno al proprio asse). Per lo scopo è molto utile uno strumento matematico che trova la sua applicazione nello studio dei segnali periodi ci: il periodogramma. Se i dati raccolti hanno la stessa spaziatura temporale, lo strumento di base per trovarne lo spettro di potenza è il periodogramma di Schuster. Purtroppo questa condizione è molto stringente nell’ambito astronomico, poiché l’alternanza del giorno e della notte, le variazioni climatiche ed altri fattori impediscono osservazioni omogeneamente distribuite nel tempo. Si può quindi sfruttare un altro stimatore che si basa sul fit sinusoidale dei minimi quadrati, ottenendo lo spettro-LS, che prende il nome da Lomb (1976) e Scargle (1982). Per quanto la loro trattazione risulti diversa, il periodogramma di Schuster e lo spettro-LS coincidono in molti casi. Si introducono adesso le definizioni per gli stimatori dello spettro di potenza [8]. Dato un set di modello dove osservazioni e , con , si può costruire il . Lo stimatore classico dello spettro di potenza, detto anche periodogramma di Schuster, deriva da formula quest’ultima che deriva dalla definizione di trasformata discreta di Fourier. Se il segnale osservato contiene una funzione seno di frequenza allora il prodotto contribuisce in larga misura alla quantità nel punto in cui . Ciò vuol dire che il periodogramma di Schuster è il quadrato del coefficiente di correlazione tra i dati e una funzione armonica, nei limiti imposti dal coefficiente di normalizzazione [8]. Per quanto riguarda invece il periodogramma di Lomb-Scargle ci si basa sull’introduzione di nuovi punti temporali, definiti come segue di modo che le funzioni e siano ortogonali. 31 In base a questa assunzione, lo spettro assume la forma e prende il nome di spettro-LS. Volendo operare un confronto tra i due stimatori appena definiti si possono enunciare le condizioni in cui questi sono uguali tra loro. Teorema. Nel set di frequenze che soddisfa l’equazione avendo per definizione , il periodogramma di Schuster e lo spettro- LS coincidono. Detto ciò, si considerano ora due tipiche distribuzioni di punti per cui le frequenze soddisfacenti l’equazione esistono. Osservazioni con gap periodici Poiché in astronomia i gap periodici sono molto comuni, per modellare questa situazione si suppone che nel set di osservazioni con intervallo costante si abbiano osservazioni e punti mancanti, di modo che il gruppo di punti si ripeta volte ed il periodo dei gap sia . In precedenza [8] è stato visto che la finestra spettrale si presenta nella forma: E’ facile vedere che le frequenze soddisfano l’equazione , a patto che Osservazioni con gap lunghi Si prende in considerazione la situazione in cui due set di osservazioni (ognuno fatto di punti successivi) siano separati da punti mancanti che formano il gap. Come in precedenza, si suppone che i punti siano equispaziati con intervallo . Ora, per la finestra spettrale si ha che 32 Anche in questo caso si può vedere rapidamente che le frequenze soddisfano l’equazione . Lo scopo finale del periodogramma è quello di identificare le frequenze fondamentali della funzione periodica che si sta studiando: una volta che questo viene plottato metterà in evidenza vari “picchi”, che si trovano in corrispondenza delle frequenze relative alle armoniche costituenti il segnale. 33 3.7) IL MODELLO UTILIZZATO Nel capitolo 2 sono state introdotte le caratteristiche di base degli asteroidi in merito alla natura fisica ed alla loro classificazione e nel capitolo 3 vi sono presentate le connessioni che le stesse caratteristiche hanno con la fotometria ed i suoi risultati, in particolare per quello che riguarda il periodo di rotazione degli asteroidi. Si ricorda che quest’ultimo è ricavabile a partire da una singola curva di luce che possa quantomeno ri coprire il tempo di un periodo: con l’ausilio del periodogramma si possono mette re in evidenza le frequenze principali delle varie armoniche che compongono il segnale studiato. Ora è giunto il momento di presentare il modello preso come riferimento per l’esperienza osservativa svoltasi in occasione del lavoro di tesi. L’applicazione pratica che è stata portata a termine si inquadra nell’ottica di voler dare un esempio pratico delle nozioni finora presentate, semplificando notevolmente le ipotesi di base sul sistema osservato. Per il sistema da analizzare scelto in questo caso si formulano le seguenti assunzioni di base: 1. Si trascura l’analisi della geometria di osservazione poiché per il sistema vale la condizione , ove è il periodo di rivoluzione orbitale e il periodo di rotazione dell’asteroide attorno al proprio asse. Dato che la cattura di immagini fotometriche ricopre un tempo paragonabile a , si può trascurare il contributo alle immagini della variazione dell’angolo di fase visto che l’asteroide è “quasi fermo” rispetto al Sole. Lo stesso discorso vale per il moto della Terra attorno al Sole, per cui facendo riferimento alla figura (e) si può considerare l’angolo di fase a come costante. 2. La quantità fisica di interesse in questo caso è il flusso relativo dell’asteroide rispetto alle stelle nel campo prese come riferimento (reference stars). Ciò deriva dal fatto che per ricavare la curva di luce dell’oggetto in esame si applica la fotometria differenziale sulla serie di immagini raccolte. 3. In merito alle reference stars del campo non è stato tenuto conto della loro classificazione spettrale. Dal momento che le stelle di colore blu vengono estinte più facilmente dall’atmosfera rispetto a quelle rosse si otterrebbe un effetto della riduzione dei conteggi nelle osservazioni, effetto che emerge in maniera significativa negli strati più bassi dell’atmosfera, vale a dire vicino al tramonto del campo contenente gli oggetti studiati. Questa problematica affligge in maniera rilevante solo i dati finali dell’osservazione, per cui non pregiudica la qualità delle osservazioni effettuate. 4. Valgono tutte le considerazioni fatte sulla raccolta di una singola curva di luce di un asteroide, con la finalità di ricavare al più il periodo di rotazione dell’asteroide. 34 4) SVOLGIMENTO DELL’ESPERIENZA Prima di descrivere l’esperimento portato a termine si presenta l’asteroide protagonista dell’osservazione. 4.1) L’ASTEROIDE (451) PATIENTIA Ecco la “carta d’identità” dell’asteroide osservato. Si ricorda che le informazioni di seguito riportate provengono in larga parte dai portali del Minor Planet Center [5] e del Jet Propulsion Laboratory [9]. (451) PATIENTIA = 1899 EY = 1902 MB Quest’asteroide fu scoperto a Nizza (Francia) alla data 1899-12-04 da A.Charlois [5] ed appartiene alla fascia principale. Vengono di seguito riportate le tabelle dati relative ai parametri fisici ed orbitali dell’asteroide. - Parametri orbitali [9] Elemento e a Distanza al perielio i Nodo Argomento del perielio Anomalia media Passaggio al perielio Periodo Moto medio Distanza all’afelio Valore .07547545009828616 3.061748870794427 2.830661996683299 15.23632913086012 89.2456559047092 337.0061293764151 316.1397725815165 2458038.908181346209 (2017-Oct-12.40818135) 1956.828551428486 5.36 .1839711505319154 3.292835744905556 Incertezza (1-sigma) 2.6425e-08 7.2012e-09 8.0719e-08 3.1734e-06 1.1982e-05 2.2091e-05 1.8948e-05 Unità 0.0001032 JED 6.9037e-06 1.89e-08 6.4905e-10 7.7447e-09 d yr deg/d au au au deg deg deg deg Orbital Elements at Epoch 2457800.5 (2017-Feb-16.0) TDB Reference: JPL 102 (heliocentric ecliptic J2000) 35 - Parametri fisici [9] Parametro Simbolo Valore Unità Sigma Magnitudine (alla distanza di 1 UA dal Sole e dall’osservat ore) H 6.65 mag n/a Slope di magnitudine G 0.19 Diametro diameter 253.900 km 2.780 Periodo di rotazione rot_per 9.727 h n/a Albedo geometrica albedo 0.085 B-V BV .666 mag .010 U-B UB .310 mag .044 spec_T CU Classe spettrale di Tholen n/a 0.006 n/a Qui di seguito un modello della forma di 451 Patientia ricavato da studi fotometrici [10]. (g) modello 3D dell’asteroide 451 Patientia Per quel che concerne le curve di luce dell’asteroide già presenti in letteratura se ne parlerà più avanti, in occasione dell’analisi dei dati raccolti durante l’esperienza osservativa. 36 4.2) DESCRIZIONE DELL’APPARATO SPERIMENTALE E RACCOLTA DEI DATI Ecco la descrizione dell’osservatorio sfruttato per la raccolta delle immagini. Università degli Studi di Salerno, Dipartimento di Fisica “E. R. Caianiello” Observatory (h) osservatorio situato all’interno del campus di Fisciano (UNISA) Coordinate geografiche: lat. 40°46’30’’ N, lon. 14°47’20’’E La cupola (Sirius University Observatory, diametro di 6.7 m) è stata montata il 30/04/2010. Ad oggi è la cupola più larga ospitata all’interno di un campus universitario in Italia. Il telescopio utilizzato per l’esperienza ed attualmente in funzione è un PRO RC600 fabbricato da Officina Stellare (diametro 0.60 m, f/8), installato il 26/11/2015. La montatura del telescopio è una GM-4000 HPS da 10 micron, con precisione di puntamento di 15’’. La CCD è una FingerLakes Instrument Proline L230 da 2480x2480 pixel. Il campo inquadrabile è di 21’x21’. La CCD è equipaggiata con un Rotofocuser e una ruota per i filtri dotata di un set Bessel UBVRI e di un reticolo di diffrazione per gli studi spettroscopici. Maggiori informazioni sono disponibili sulla pagina web dedicata all’osservatorio [11]. 37 Qui di seguito vengono riportati i programmi utilizzati per la cattura delle immagini e l’elaborazione dei dati. FASE OSSERVATIVA TheSkyX: programma che contiene la mappa stellare, gestisce il telescopio e la CCD AscomDome: gestione della cupola dell’osservatorio Rotofocuser: focheggiatore SUObot: programma generale per la gestione dell’osservatorio FASE DI ELABORAZIONE DATI CCDSoft: programma per la riduzione delle immagini AstroImageJ: programma il cui scopo è l’analisi fotometrica della sequenza di immagini L’esperienza è stata effettuata nelle seguenti condizioni. Punto di osservazione: lat. 40°46’30’’ N, lon. 14°47’20’’E Data: 2016-12-23 Orario UT della prima immagine raccolta: 16:37 Orario UT dell’ultima immagine raccolta: 20:35 [Data Giuliana della prima immagine raccolta: 2457746.192 ca.] [Data Giuliana dell’ultima immagine raccolta: 2457746.357 ca.] Condizioni meteo: tolta qualche nube iniziale prima del tramonto il cielo è stato sereno durante tutto il periodo osservativo Nella pagina successiva due screenshot del programma open source Stellarium che mostrano le posizioni nella sfera celeste di (451) Patientia approssimativamente nell’istante iniziale e in quello finale dell’osservazione (le immagini fanno riferimento alla latitudi ne ed alla longitudine di Salerno nella finestra temporale di interesse; l’asteroide è indicato dal cursore rosso a croce). 38 START (i) sito dell’osservazione all’orario della prima immagine STOP (j) sito dell’osservazione all’orario della prima immagine 39 SVOLGIMENTO DELL’ESPERIENZA Data: 2016-12-23 1) Al momento del tramonto, tra le 16:58 e le 17:00 (orario locale), sono stati catturati i 5 flat necessari a creare il master flat da utilizzare in seguito. La zona di cielo inquadrata era approssimativamente in corrispondenza del Sud, abbastanza lontana dal disco solare da evitare una disomogeneità della luce proveniente dal campo. 2) Dalle 17:02 alle 17:03 sono stati raccolti i 5 dark relativi ai flat poiché i dark correlati ai dati osservativi hanno un tempo di esposizione più lungo. 3) A partire dalle 17:37 in poi sono state raccolte immagini di dati con tempo di esposizione di 2 minuti circa fino all’ultima immagine delle 21:35, per un totale di 109 catture in 3 h 58 min. 4) Nella parte finale dell’osservazione sono stati catturati i 5 dark da 2 min, in modo da poter ridurre in maniera corretta i dati. (k) immagine n.38 grezza (Patientia è quello nel cerchio verde) 40 4.3) ELABORAZIONE DEI DATI RACCOLTI Data: 2017-01-10 1) Dapprima è stato ottenuto il master flat da poter utilizzare nella riduzione, considerando anche il contributo dei dark flat che sostituiscono i bias in quest’esperienza. 2) Stessa operazione effettuata per quanto riguarda i dark in modo da ottenere il master dark. 3) Tramite il programma CCDSoft è stata effettuata la riduzione delle 109 immagini dei dati tramite il master flat ed il master dark; con lo stesso programma, sfruttando come riferimento 3 stelle presenti nello stesso campo dell’asteroide, è stata infine ottenuta la curva di luce e la stima degli errori numerici commessi nel processo. Ecco il master flat. Si possono notare le “ciambelle” dovute ad impurità presenti sulle superfici ottiche, quali granelli di polvere o altri piccoli elementi. (l) master flat ottenuto 41 (m) immagine n.38 ridotta (Patientia è quello nel cerchio blu) Come si può vedere, l’immagine ridotta è il risultato della “sottrazione” del master flat all’immagine grezza; solo una volta effettuata la riduzione delle immagini queste possono essere sfruttate per l’analisi fisica degli oggetti contenuti. 42 Di seguito un’istantanea del finder chart che mostra etichettate le stelle prese come riferimento. (n) screenshot del finder chart L’asteroide è stato etichettato come T1 dal programma AstroImageJ. 43 Infine, uno stack con sei immagini che riprendono l’asteroide in sei orari diversi. 17:37 18:01 18:38 19:37 20:38 20:56 (o) stack che mostra il movimento dell’asteroide nella sfera celeste 44 Ecco il grafico finale nella figura (p) che riporta, nell’ordine: o In blu, la curva di luce di 451 Patientia; in ascissa c’è la data Juliana UTC mentre in ordinata viene riportato il flusso relativo dell’asteroide espresso in magnitudini (cioè come -2.5*log10 (flusso relativo)) o In viola, rosa e rosso la misura del flusso proveniente dalle 3 stelle principali del campo prese come riferimento o In giallo, il numero totale dei conteggi di ogni immagine o In grigio, la massa d’aria del sito nei vari istanti di cattura delle immagini (p) grafico finale ottenuto grazie a CCDSoft Si utilizzano solo 3 delle varie stelle prese come reference poiché le altre non comportano una grande variazione dei valori finali. 45 4.4) STIMA DEGLI ERRORI COMMESSI NEL PROCESSO La raccolta dei dati e la successiva elaborazione non sono esenti da e rrori casuali e qui di seguito si fa un’analisi di quelli commessi finora. Errori fotometrici: attraverso il processo di riduzione delle immagini sono state eliminate le fonti di errore sistematici quali il rumore termico dei componenti della CCD e la differenza nella risposta dei singoli pixel. Errori posizionali: come detto in precedenza nella descrizione dell’apparato sperimentale, la precisione nel posizionamento del campo è nell’ordine di 15’’, abbastanza d a poterne trascurare l’errore ed analizzare senza problemi la sequenza di immagini raccolte. Il problema dell’estinzione atmosferica: l’effetto di estinzione dell’atmosfera sulla luce proveniente dal campo aumenta man mano che il campo stesso si avvicina all’orizzonte dell’osservatore, dove il contributo della massa d’aria aumenta e di conseguenza si riduce il numero di conteggi utili. L’errore sul flusso relativo dell’asteroide (come si può vedere a breve) diventa consistente solo nelle fasi finali dell’osservazione, motivo per cui la raccolta dati nella sua totalità non viene invalidata dall’estinzione atmosferica. Il rapporto segnale/rumore (S/N): dal momento che le immagini fotometriche si basano sul conteggio dei fotoni provenienti dagli oggetti di interesse, per la trattazione degli errori si fa riferimento alla statistica della distribuzione di Poisson. Quello che interessa in questo caso è il rapporto segnale-rumore (S/N) delle osservazioni, la cui equazione [6] è Il termine relativo al segnale rappresenta il numero totale dei fotoni raccolti provenienti dall’oggetto (sia esso puntiforme, contenuto all’interno del profilo di una stella o una sezione rettangolare), è il numero di pixel considerato nel calcolo del rapporto S/N, il numero totale di fotoni per pixel nel fondo campo, i fotoni per pixel dovuti alla corrente termica e tiene conto del read-noise. In previsione che il rumore si comporti così come prevede la statistica di Poisson, il rapporto S/N può essere semplificato come segue assunzione valida nel caso in cui la sorgente sia molto più luminosa del fondo cielo , come nel caso dell’asteroide studiato. 46 La quantità fisica di interesse da calcolare è il flusso relativo della sorgente rispetto alle stelle di riferimento, che è data dal rapporto . L’errore relativo su questa quantità viene dalla teoria della propagazione degli errori e risulta Come detto sopra, il rumore aumenta con la radice del segnale quindi al crescere del numero di stelle di riferimento il termine diventa trascurabile ed in definitiva l’errore sul flusso relativo si riduce solo a (q) errore relativo sul flusso dell’asteroide 47 Quindi la stima dell’errore sul flusso ad opera del programma di calcolo AstroImageJ si rivela sufficiente ai fini dell’esperienza. Nel grafico viene riportata in ascissa il numero dell’istantanea (da 1 a 109) e in ordinata l’entità dell’errore sul flusso relativo dell’asteroide. Se non per le ultime fasi di osservazione, l’errore rimane stabile attorno allo 0,1% per poi arrivare massimo allo 0,2% circa. Solitamente una buona osservazione ha un S/N di circa 100 o più [6], per cui alla luce delle considerazioni fatte finora i dati ottenuti dall’esperimento sono validi. 48 4.5) CONFRONTO CON ALTRI LAVORI La serie di dati fotometrici raccolti non è sufficiente per determinare il periodo di rotazione dell’asteroide (451) Patientia poiché si hanno a disposizione poco meno di 4 ore di osservazioni contro le 9.727 necessarie. Tuttavia si può tentare di collocare nella letteratura scientifica la curva di luce elaborata, confrontandola con i lavori precedenti. Si prendono come riferimento le curve di luce presenti nell’archivio dell’ALCDEF [5], le quali vengono specificate in base alla mid-date e all’autore. 2009-05-05 08:10:00, J. W. Brinsfield 2009-05-06 08:00:00, J. W. Brinsfield 49 2009-05-07 08:00:00, J. W. Brinsfield 2009-06-18 04:51:00, J. W. Brinsfield 50 2009-07-07 05:20:00, J. W. Brinsfield Ecco la curva di luce ricavata nell’esperienza (attenendosi alla convenzione delle precedenti curve di luce che non contengono le barre di errore). JD UTC +2457746 (First obs: 2016-12-23 17:37) Mag Range: 0,0807 … 0,0892 (r) curva di luce di (451) Patientia 51 Facendo riferimento ad altre curve di luce [10], si può tentare un overlap “ad occhio” dei punti trovati nell’esperienza. > In rosso i punti trovati 2016-12-23 (s) overlap dei dati con la curva di luce costruita nel 1998 [10] ^ In rosso i punti trovati 2016-12-23 (t) overlap dei dati con la curva di luce costruita nel 2002 [10] 52 Le due curve di luce prese come riferimento per la sovrapposizione risultano diverse tra loro poiché la prima è stata costruita nel 1998 e la seconda nel 2002, per cui è evidente l’effetto di cambiamento dell’asse di rotazione dell’asteroide: dal momento che cambia la linea di vista con l’asteroide ci si aspetta una variazione anche nelle condizioni di illuminazione dello stesso oggetto, effetto che si traduce in una diversa forma delle curve di luce. A fronte di ciò è legittimo assumere che persino l’orientazione dell’asse nel 2016 sia diversa dai casi precedenti, dando come risultato un profilo diverso nei dati elaborati in questa esperienza. Nonostante la quantità di dati raccolti non sia sufficiente per calcolare il p eriodo di rotazione, si è potuta tentare la sovrapposizione dei dati per confrontare direttamente le curve di luce. In maniera empirica si può dire che è stata probabilmente osservata la fase che segue il picco centrale della curva di luce, ipotesi legittimata dall’effettiva durata dell’intervallo di fase raccolto (che corrisponde allo 0.4 di tutta la fase di rotazione), dalla piccola variazione del flusso relativo (comportamento che si osserva nei tratti della curva considerati) e dall’andamento decrescente dei dati se non per gli ultimi istanti di osservazione in cui si nota un accenno di risalita del flusso relativo. La stima degli errori ha mostrato che il rapporto S/N è comunque sufficiente per validare i dati raccolti. In merito al range di variazione dell’ampiezza di magnitudine questo rientra appieno nell’intervallo tipico dell’asteroide considerato nell’interezza del periodo di rotazione: (0,0807 … 0,0892) mag è l’intervallo rilevato in questa occasione, rivelandosi consistente con quello riportato negli altri lavori – nell’ordine di 0,05 … 0,10 mag circa [5]. Il fatto che è stato inquadrato l’asteroide solo per meno della metà del tempo necessario fa sì che non si possa apprezzare tutto l’intervallo. 53 5) CONCLUSIONI Nella prima fase del lavoro di tesi è stata fatta una review sulle proprietà di base degli asteroidi, la fotometria ed i risultati che può fornire in merito allo studio di questi corpi celesti. Nella seconda fase sono stati messi in pratica parte dei contenuti presentati nella prima fase, prendendo in esame l’asteroide (451) Patientia e basandosi sullo studio di una singola curva di luce. L’analisi degli errori ha mostrato che la raccolta e l’elaborazione dei dati è rimasta su un range più che accettabile di qualità, ovvero il rapporto S/N non è diminuito in maniera drastica se non per le ultime fasi di osservazione, dato l’avvicinarsi dell’oggetto all’orizzonte astronomico con conseguente effetto di estinzione. Nonostante i dati raccolti non siano sufficienti per poter ricavare direttamente il periodo di rotazione dell’asteroide si è riusciti a confrontare la curva di luce ottenuta con quelle raccolte in precedenza da altri autori, in modo da poter dare riscontro positivo alla parte sperimentale del lavoro di tesi ed inoltre arricchire le fonti di dati che si hanno a disposizione su questo oggetto. 54 6) BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA [1] Y. R. Fernández, J.-Y. Li, E. S. 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