Il maiale e il grattacielo. Chicago: una storia del nostro futuro

“Ti aspetti la città di Al
Capone e trovi viali sereni,
tra gli edifìci neoclassici
dell’Esposizione universale
del 1893. Letture giovanili ti
parlano dei mattatoi di
Chicago; invece ti appaiono
fantasticigrattacieli.Ilcentro
città ti si dispiega miracolo
d’architettura,
che
sta
all’urbanisticadelNovecento
come Venezia a quella del
Quattrocento. Ti aspettavi
una città continentale, al
centrodelNordamericaetisi
paraunacittàmarina.”Sullo
sconfinato Lago Michigan,
Chicago è la più americana
delle città statunitensi (basti
pensare che McDonald’s è
una sua multinazionale) e,
diversamente da New York,
SanFranciscooLosAngeles,
a Chicago si ha il reality
check,ovveroilpolsodiquel
che pensa l’America vera,
profonda.Comeundetective,
Marco d’Eramo si addentra
nellacittàelainvestiga.Vive
l’avventura dell’esplorazione
diuneuropeotrapiantatocon
tutto il suo bagaglio
concettuale dal Vecchio
Mondo nella sconosciuta
Chicago, conservando lo
sguardo alieno e lo stupore
da straniero. Arriva così a
riconoscereilfamiliarepuzzo
dimodernitàchecaratterizza
questa città. Qui, si sono
verificati
tanti
episodi
centrali della modernità: la
nascita dei grattacieli, la
standardizzazione dei sapori,
il sorgere della sociologia
urbana, il primo reattore
atomico,lascuolaeconomica
dei Chicago Boys. Qui, in
questa
megalopoli
multietnica, in questa Babele
dei giorni nostri, si vede in
atto la straordinaria potenza
rivoluzionaria,sovversivadel
capitalismopiùpuro.
Marco d’Eramo, nato a
Roma nel 1947, laureato in
Fisica, ha poi studiato
Sociologia
con
Pierre
Bourdieu all’École Pratique
des Hautes Études di Parigi.
Giornalista, ha collaborato
con “Paese Sera” e
“Mondoperaio”, e collabora
con“ilmanifesto”.Tralesue
pubblicazioni:Inuovifilosofi
(Lerici
1978),
L’immaginazione
senza
potere, mito e realtà del ’68
(Mondoperaio 1978), la cura
di La crisi del concetto di
crisi(Lerici1980),Gliordini
del caos (manifestolibri
1991),Viadalvento.Viaggio
nel profondo sud degli Stati
Uniti(manifestolibri2004)e,
con Feltrinelli, Lo sciamano
in elicottero. Per una storia
delpresente(1999).
Incopertina:©Photonica.
Scansione,Ocre
conversioneacuradi
Natjus
LadridiBiblioteche
SaggiUniversale
EconomicaFeltrinelli
MARCOD’ERAMO
Ilmaialeeil
grattacielo
Chicago:unastoriadel
nostrofuturo
Edizionerivedutae
ampliata
PrefazionediMike
Davis
©GiangiacomoFeltrinelli
EditoreMilano
Primaedizionein“Campi
delsapere”ottobre1995
Prima
edizione
nell''Universale Economica"
novembre1999
Primaedizione(rivedutae
ampliata) nell’"Unilversale
Economica”
SAGGIgiugno2004
Terza edizione marzo
2009
Stampa Grafica Sipiel
Milano
ISBN978-88-07-81571-3
La traduzione della
Prefazionedi Mike Davis (©
MikeDavis)èredazionale.
Prefazione
diMikeDavis
L’11 luglio 1995 il
servizio
meteorologico
nazionale avvertì gli abitanti
diChicagocheMadreNatura
stava
per
alzare
le
temperature al “calor rosso”.
Era previsto il rapido arrivo
di un’ondata di caldo
potenzialmente letale che si
sarebbe
abbattuta
sul
Midwest, con l’epicentro in
prossimità di Chicago. Il
giorno successivo, mentre i
termometri
puntualmente
esplodevano, i residenti in
preda
al
panico
saccheggiarono i negozi di
elettrodomestici, portandosi
via fino all'ultimo ventilatore
e condizionatore disponibili
nella zona. Era un panico
tutt’altro che immotivato, dal
momento che nella settimana
successivaladifferenzatrala
vitaelamortesarebbedipesa
fin troppo spesso dalla
possibilità di godere di un
raffreddamentoartificiale.
Chicago, si sa, è famosa
perilsuoclimaestremo:una
Mosca
d’inverno,
una
Calcutta in estate. Come se
fra la metropoli posta al
centro
del
continente
nordamericanoeilpoloNord,
da una parte, e, dall’altra, il
tropicocaraibicocorresseuna
distanza
non
superiore
all'altezza della Sears Tower.
Ingennaioariapiùchegelida
precipitaversosud,mentrein
luglio la vallata del
Mississippisitrasformainun
vasto canale di raccolta
dell’aria torrida che viene
sospinta verso nord. A
Chicago si usa comunemente
direche,senontiuccidonoi
rapaciartiglidelventopolare,
sarà la calura estiva a
soffocarti.
Nel
1995,
però,
l’amministrazione cittadina
esprimeva valutazioni molto
diverse sulle responsabilità
politiche nei riguardi di
quellepunteestremedicaldo
e freddo. Le bufere invernali
rappresentano una minaccia
diretta al commercio e al
profitto, isolando il Loop, il
quartiere degli affari, dalla
cintura suburbana abitata dai
pendolari e paralizzando
l’aeroporto O’Hare, il più
importante scalo aereo della
nazione.
Gli
elettori,
notoriamente tolleranti nei
confronti della corruzione
politica, diventano però
spietati quando si sentono
traditinelleloroaspettativedi
validi servizi comunali nel
periodo
invernale.
Di
conseguenza, a Chicago la
vista degli spazzaneve in
funzione in un classico test
per saggiare le capacità degli
amministratori
locali.
Quando,nel1984,annoincui
la città fu colpita da una
pesante bufera di neve, gli
interventi di pulizia delle
strade furono estremamente
maldestri, il sindaco Bilandic
lu prontamente destituito dal
suoincarico.
Ilsoffocantecaldoestivo,
invece, riesce di rado a
ostacolare
le
attività
commerciali o a incrinare il
comfort delle classi medie
che possono fare uso di
impianti di aria condizionata.
Sebbene a Chicago sia il
caldo estremo, più che il
freddo,arappresentareperla
salute un rischio mortale, a
restarne
vittime
sono
tradizionalmente
persone
anziane, molto povere e, in
stragrande maggioranza, di
colore. Tali decessi, per di
più, attirano l’attenzione
generalesoloneicasiincuila
mortalità
raggiunga
proporzioni da epidemia:
come nella rovente estate del
1955, per citare l’ultimo
esempio. A quarant’anni di
distanza da quel disastroso
evento,lacittà,benchéormai
fosse
massicciamente
attrezzata per combattere le
bufere di neve invernali, non
disponeva di alcun piano di
emergenza per affrontare una
protratta ondata di caldo. Si
dava quasi per scontato che
gli individui socialmente più
vulnerabili, privi di qualsiasi
impiantodiariacondizionata,
si raffreddassero usando
economici
ventagli
o
bagnandosi con l’acqua degli
idranti. Qualche "normale”
decesso per il caldo
difficilmente avrebbe potuto
mettereincrisiilsistema.Ma
ciò che avvenne tra il 13 e il
20lugliofuunacarneficinadi
dimensioni analoghe a quelle
diunoscontrofraduejumbojet su una pista dell'O’Hare.
In base a uno studio
pubblicato negli "Annals of
InternaiMedicine”,circa733
cittadinidiChicagomorirono
in quei forni crematori in cui
si erano trasformati i loro
minuscoli alloggi e i
fatiscenti
edifici
del
Southside.
Benché
i
funzionari
municipali
cercassero di giustificarsi
tirando in ballo l’ira divina
(che il 13 luglio aveva girato
il termostato su 106 gradi
Fahrenheit, corrispondenti a
41°C), nel 1996 una
commissione
scientifica
dell’Amministrazione
nazionale
oceanica
e
atmosferica giunse alla
conclusioneche,datiiprecisi
avvertimentiforniticonlargo
anticipo
dall'Ufficio
meteorologico,"sarebbestato
possibile prevenire gran
parte, se non la totalità, dei
decessi causati da quella
particolareondatadicalore”.1
La prevenzione, però,
avrebberichiestochelostato
di massima urgenza venisse
riconosciuto
prontamente.
Invece, anche quando il
numero di decessi da
ipertermiaraggiunseitrezeri,
l’atteggiamento
dei
funzionari municipali fu
letargico, per non dire
insensibile. Maria Antonietta
si sarebbe senza dubbio
riconosciuta nel monarca
ereditario di Chicago. “Fa
caldo,” si limitò infatti a dire
il sindaco Richard M. Daley,
"fa molto caldo. Abbiamo
tuttiinostripiccoliproblemi,
ma non esageriamo... A
Chicago
tutto
è
sproporzionato. Ed è per
questo che la nostra città
piace tanto. Perché ogni cosa
arrivaallimiteestremo.”2
I limiti estremi durante
quella
lunga
rovente
settimana di luglio inclusero
un parziale blackout (la
ridotta
erogazione
di
elettricitàdapartedell’Edison
lasciò diverse zone cittadine
senzaariacondizionata)euna
"guerra idrica” che costrinse
la polizia a scontrarsi con gli
abitanti del centro città per
impedirelorodifracassaregli
idrantiantincendiocon"torce
all'acetilene, martelli da
fabbro, trapani meccanici e
seghe, per farne scaturire
l’acqua”. Intanto, mentre le
ambulanze
sfrecciavano
vanamente da un ospedale
all'altro,levittimedeicolpidi
calore
morivano
come
mosche per mancanza di
personaleneirepartidipronto
soccorso. A un certo punto
metà dei nosocomi di
Chicago chiuse le porte,
rifiutandosi di accogliere
ulterioripazienti.
Ai margini del Loop, il
responsabile dell'istituto di
medicina legale tentava
freneticamente di trovare
carri refrigerati per gestire
l’enorme flusso di cadaveri
provenienti
dall’obitorio
cittadino,dovelesalmedelle
vittime
dell’ipertermia
assommarono nel giorno di
sabato a 300 e, la domenica
successiva, a 240. "Nel
momento più devastante
dell’ondata di calore,” scrive
Eric Klinenberg, “dieci
enormi camion, più una
caotica
accozzaglia
di
ambulanze, macchine della
polizia e automezzi dei
pompieri adibiti al trasporto
di cadaveri da ogni angolo
della città, oltre a furgoni di
troupe
televisive
e
radiofonicheeautoprivatedi
personale addetto alla sanità,
ingombravano
l’area
circostante
l’obitorio,
formandounaparatadimorte
così sconfinata e surreale da
far sembrare incredibile che
tuttociòstesseavvenendonel
cuoredellacittà.”
Nelsuostudiodiecologia
politicasuldisastroprovocato
dall’ondatadicaloredel1995
(che potrebbe essere letto
comeunbrillanteepilogoaII
maiale e il grattacielo),
Klinenberg dimostra come il
più largo tasso di mortalità
fosse stato riscontrato tra
afroamericanidiunacertaetà
che vivevano soli nei
quartieripiùpoverideighetti
di South-side e Westside.
Centinaia di vite avrebbero
potuto
essere
salvate,
sostiene,seildipartimentodi
polizia avesse attivato le
squadre
appositamente
addette al “controllo della
comunità”
affinché
mettessero in guardia e, se
necessario,
evacuassero
cittadinianzianiarischio.Ma
il più giovane Daley e i suoi
satrapi rimasero ancorati al
dogma ufficiale, secondo cui
ricadeva sulle spalle degli
stessi poveri anziani la
responsabilità di procurarsi
un
qualsiasi
rimedio
disponibile per sfuggire al
calore.
L’incapacitàdeglianziani
di trovare tale rimedio e il
fallimento
dell’amministrazione
cittadina nel soccorrerli,
conclude Klinenberg, sono
“segnoesintomodellenuove
e pericolose forme di
emarginazione e abbandono
divenute
attualmente
endemiche nelle metropoli
statunitensi e, in particolar
modo, a Chicago”. Come
hanno riconosciuto l’Ufficio
meteorologico e numerose
ricerche mediche, c’era ben
poco di “naturale”, ammesso
checifosse,neldestinodelle
733 vittime della peggiore
sciagura
verificatasi
a
Chicago.Quantoavvennenel
luglio 1995 potrebbe essere
meglioetichettato,suggerisce
Klinenberg(citandoFriedrich
Engels),
come
"strage
sociale”.
Nessuno, ovviamente, fu
chiamato
a
rispondere
penalmente di omicidio. Il
“ChicagoTribune”,chesiera
accanito su Bilandic per non
aver usato tempestivamente
gli spazzaneve, preferì tirare
un pietoso velo sulle
responsabilità di Daley in
quel “piccolo problema” di
centinaia di anziani cittadini
morti di ipertermia. Né quel
che era rimasto dei
movimentiperidiritticivilie
diPoterenero,untempocosì
agguerriti,riuscìaimporreun
dibattito
pubblico
sul
sottofondo razzista della
politica adottata in occasione
dell’ondata di caldo. Alla
fine, molti dei morti furono
semplicemente sepolti in una
fossacomuneeChicagoevitò
imbarazzanti confronti sulla
pesante vulnerabilità sociale
che aveva reso possibile una
simile ecatombe. L'ancien
régime,nelcuimalignocuore
Harold Washington aveva
tragicamente mancato di
conficcare
un
puntale
d'argento, tornò alla sua
prioritaria (e più lucrativa)
preoccupazione: dare lustro
all'immagine di un centro
città rinato, di una Chicago
che riapriva le braccia ai
congressistieagliabitantidei
dintorni.
Questa falsa Chicago dovevecchiegloriedelblues,
gangster e relitti industriali
offrono
una
romantica
ambientazione turistica - è
solo l’ultima delle favolose
facciate dietro cui antiche
politiche di classe e razziale
continuano a essere portate
avanti con avidità e brutalità
esemplari.Nonèuncasoche
tantimartiridellasinistra-da
Albert Parsons a Fred
Hampton - siano sepolti
proprioinquestacittà.Seèla
più confortevole metropoli
del Nordamerica, Chicago è
anchelapiùspietata.Nonper
assolvere New York o Los
Angeles, che hanno le loro
brave colpe, ma né l'una né
l’altra di queste due città ha
mai impiccato i leader del
movimento operaio locale
(comeèsuccessoaimartiridi
Haymarket) o sparato su un
corteo di pacifici scioperanti
(è il caso del sanguinoso
massacro del Memorial Day)
o sommariamente giustiziato
il capo delle Pantere nere
locali(FredHampton).
Marco d’Eramo descrive,
con una visione fresca,
esilarante e prettamente
italiana, questi antichi campi
di battaglia. Rifuggendo
dall’approccio monografico
della famosa scuola di
Chicago,haavutoilcoraggio
dicercarediincludereiltutto
in una prospettiva storica
globale. La sua Chicago è il
capitalismo senza veli. In
questa città, dove non molto
tempo fa pascolavano i
bisonti, la “strage sociale” è
sempre stata una parte
dell’epicoconflittoconcuila
modernità capitalistica ha
definito se stessa. Come i
romanzi hard-boiled di
Nelson Algren, i lamenti
blues di Muddy Waters o, se
vogliamo, Santa Giovanna
dei macelli di Brecht, Il
maiale e il grattacielo
ricostruisce la Windy City
senza abbellimenti di sorta.
L’effetto è tonicamente
dialettico.
Il
Capitale,
dopotutto, era solo un
abbozzoteorico:lastorianon
espurgata di Chicago è la
realtà.
1
S. Changon et al.,
ImpactsandResponsestothe
1995 Heat Wave: A Call to
Action, in “Bulletin of the
American
Meteorological
Society", 77, 7, pp. 14971506; Cnn, Chicago Braces
for Another Scorcher, 29
giugno 1995; e National
Weather Service, Public
Affairs Office, Many Heat
Deaths Pre-ventable, 1996
(cita Disaster Survey Report
delNoaa).
2 Citato in Eric
Klinenberg, Denaturalizing
Disaster:ASocialAutopsyof
the1995ChicagoHeatWave,
bozza del 1999. Anche tutte
le citazioni seguenti vengono
dallabozza.
Parteprima
1.ArrivoaChicagoland
Ti aspetti la città di Al
Capone e trovi viali sereni,
tra gli edifici neoclassici
dell’Esposizione universale
del 1893. Letture giovanili ti
parlano dei mattatoi di
Chicago; invece ti appaiono
fantasticigrattacieli.Ilcentro
città ti si dispiega miracolo
d'architettura,
che
sta
all’urbanistica del Novecento
come Venezia a quella del
Quattrocento.
Ti aspettavi una città
continentale, al centro del
Nordamerica, e ti si para una
città marina. Per noi un lago
grande è come il Lago di
Garda o il Lago di Zurigo.
Più spesso, la parola lago
evoca le pozze alpine o le
gocce dei castelli romani, il
Lago di Nemi. Qui il Lago
Michigan è un mare che si
stendedavantiatesconfinato,
60.000kmqdisuperficie,150
chilometri per 400, come il
Mare Adriatico. Le tempeste
si abbattono sui frangiflutti e
a volte gli spruzzi delle onde
invadono l’autostrada urbana
del “Lakeshore drive”, un
vero e proprio lungomare.
D’altronde
l’area
metropolitana di Chicago
sembra disporsi lungo questo
marecomeunastriscialunga
quasi200chilometri,dasuda
nord,
dall’indiana
al
Wisconsin, e se Gary in
Indiana fa già parte di
"Chicagoland”,Milwaukeein
Wisconsin sta per esserne
fagocitata, in un unico
immenso
agglomerato
litoraneo.
D’inverno la morsa dei
ghiacci stringe i grattacieli, i
parchi,isuburbisconfinatidi
villette unifamiliari. Dove il
litorale è più aperto, le onde
marine sono state paralizzate
dal
gelo
mentre
si
abbattevano sulla riva e
restano lì, sollevate a strati,
lastre oblique di ardesia
bianca bluastra, sovrapposte
l'una sull’altra, inclinate ad
angolo acuto sulla superficie.
Nei porticcioli, i pescatori
siedono sul ghiaccio, su vere
e proprie sedie, davanti ai
buchi in cui immergono le
lenze:leautoritàavvertonodi
mangiarenonpiùdiunavolta
la settimana i pesci pescati
nel lago vicino alle rive
urbane, e di stare attenti ai
pesci più grandi, cioè più
vecchi, che hanno assorbito
più inquinamento. Ma la
gente se ne frega. D'altronde
tutta l’acqua potabile della
città arriva dal lago, da una
conduttura che porta l’acqua
dall’altomare
(dall’"altolago”).
Più di qualunque altra
città marina, Chicago è
squassata dal vento. Non per
nulla il suo nomignolo è
Windy City, la “città
ventosa”, come è scritto
anche sui pulmini scolastici,
gli School buses. Le raffiche
piegano i passanti, svellono i
pali dei semafori. In tv, le
previsioni del tempo non
forniscono
una
sola
temperatura,comedanoi.Ne
danno due: quella dell’aria e
quelladelvento(unpo’come
dare la temperatura estiva
all’ombra e al sole). L’aria
puòesserea10sottozero,ma
ilchili(il"gelo")delventoè
a30sottozero.Leventatepiù
glaciali vengono da nordovest, quando dall’Artico e
dalla Siberia non trovano
ostacoli nella loro discesa
lungolapianacanadese.Con
questo vento, con questi
inverni, le stazioni della
metropolitana
sono
sopraelevate all’aperto, senza
nulla per riparare dalle folate
digelo.Chiprendeitrasporti
pubblici lo fa a suo rischio e
pericolo: non usare - o non
avere - l’automobile esige
unapunizione.
Ma già a primavera i
marciapiedi delle strade sono
invasi dai tavoli dei
ristorantini. Al minimo
tepore, costumi da bagno,
canottiere, body. D’estate la
folla si accalca sulle spiagge,
come nei grandi lidi urbani,
Glifada ad Atene, o San
Sebastian. Molti fanno il
bagno. Nel 1919 la prima
sommossa urbana razziale
scoppiò sul lido: un giovane
nero aveva traversato in
acqua la linea invisibile che
separava i bagnanti di colore
dalle ragazze bianche, e fu
ucciso. D’estate i parchi
lungo il lago si animano:
festival di blues, concerti
all’aperto, picnic e barbecue,
pallaavolo,struscio,drague.
Nei week-end la distesa
azzurra si punteggia di una
miriadedivelebianche.
Questo mare rende
anomala la geografia sociale
di Chicago. In altre città
interne degli Usa è dei ricchi
l’ovest dall’aria pura, poiché
ilventovisoffiaperprimo;è
dei poveri l’est inquinato, in
cui arriva l’aria già lordata
dalle industrie e dagli umani.
CosìEastSt.Louis.(Anchea
LondraeaParigilaborghesia
opulenta si è insediata
all’ovest e ha lasciato l’est
alla classe operaia.) Qui
inveceilmareMichiganpone
un limite invalicabile a est, e
la distesa di terra si stende
piatta come un biliardo per
centinaia di miglia a
settentrione, a meridione, a
ponente.Ilquartierepiùricco
della città si adagia dunque
lungo le sponde del lago e
l'asseovest-estèsostituitoda
quello nord-sud: da sempre
sonostatisituatiasudifetori,
le fabbriche, i mattatoi, le
raffinerie di lardo, gli
stabilimenti puzzolenti dai
miasmi acri: raffinerie di
petrolioeacciaierieaccalcano
le loro ciminiere verso Gary,
al confine con l’indiana.
Quasi solide nel loro
spessore, dense volute di
fumo multicolore, a volte
arancioni, a volte bluastre,
s’innalzano nel cielo. È nel
profondo sud di Chicago che
si trovano i ghetti neri.
Invece, subito a nord e a sud
dal centro degli affari, ecco i
porticcioli con migliaia di
barchedadiporto.Eancheun
aeroporto per velivoli privati
eunidroportoperidrovolanti.
Il quartiere chic, la Gold
Coast (la “Costa d’oro”), è
una delle zone residenziali
più ricche degli Stati Uniti.
Sempre parallelo al lago si
stende il “corso” di Chicago,
laMichiganAvenue(dacuiil
nomignolo “Boul Mich”, lo
stesso che i parigini
affibbiano al loro Boulevard
Saint-Michel). Nella parte
appena a nord del Chicago
River, la Michigan Avenue è
soprannominata Magnificent
Mile (“Miglio magnifico”)
per il lusso di boutique e
palazzi.
***
Versol’interno,aovest,a
meno di un chilometro dal
Magnificent Mile si erge
ancora il complesso di
edilizia popolare, dove il
reddito familiare è quaranta
volte più basso, dove la
popolazioneènera,dovepuò
capitarecheunbimbodiotto
anni sia ucciso da una
pallottola vagante mentre
traversa la strada da casa a
scuola: così vicina al lusso,
Ca-brini-Green è una tale
vergogna che la Chicago
Housing Authority ha deciso
dibuttaregiùalmenoglihigh
rise. Non ci sono due
Chicago, una fastosa e una
misera.C’èunasolaChicago,
con i suoi innumerevoli
teatrini di avanguardia, i
deliziosi ristoranti vietnamiti,
afghani, peruviani, i mitici
locali di blues e di jazz, le
gangeicasermonipopolari.
Dal 1992 al 2000, otto
anni d’ininterrotta prosperità
hanno
ridisegnato
la
geografìa urbana, demolito
vecchi orrori, sostituiti da
civettuolivilliniurbani.Dove
una volta sorgeva il
mercatino delle pulci di
Maxwell
Street,
oggi
l’University of Illinois sta
riqualificando l’area accanto
al campus. Eppure anche ora
vedi bambini che giocano
nella melma, pile di
pneumatici, corpi scuri
coperti da strati di “sacchi a
pelo ambulanti”, immagini
che ti ricordano le strade di
Lucknow o di Kanpur in
Uttar
Pradesh,
India:
bancarelle con fuochi di
carbone, pile di pneumatici,
bambini che giocano nella
melma,corpiscuricopertida
strati di "sacchi a pelo
ambulanti”. Qui, gli abitanti
di questa metropoli moderna,
del paese più potente e più
ricco del mondo scavano fra
le immondizie, immergono
testa e torace nei bidoni: "Si
vedono certi animali feroci,
maschiefemmine,sparsiper
la campagna, neri, lividi,
bruciatidalsole,attaccatialla
terra che frugano con
un’ostinazione invincibile;
hanno come una voce
articolata e, quando si alzano
sui loro piedi, mostrano un
viso umano, e in effetti sono
uomini. Di notte si ritirano
nelle loro tane dove vivono
di...”. Così tre secoli fa Jean
de La Bruyère descriveva i
contadini del suo tempo.1
Nonsapevaquantoicittadini
di questa metropoli gli
avrebbero somigliato. E però
l'University of Illinois è solo
una delle sette università di
Chicagoconlelorodecinedi
premi Nobel e di premi
Pulitzer.
“A differenza di New
York o San Francisco o Los
Angeles,” mi dice James
Weinstein,
uno
dei
personaggi storici della
sinistra americana, fondatore
del quindicinale “In These
Times", "a Chicago tu hai il
realitycheck,il‘testdirealtà',
cioè vedi quel che pensa
l’America vera, sei immerso
nell'America profonda.” Più
che se fossi a Des Moines,
Iowa, o a Omaha, Nebraska,
dove c'è solo una parodia di
città, perché qui a Chicago
haiancorauncentrocittadino
(trovipersinoleedicoleconi
giornali,
un’istituzione
assente anche in grandi città
come Denver, Colorado), qui
hailametro,cisonopersinoi
trasporti pubblici, ma è già
l’America dei suburbi, quella
di un centro relativamente
piccolo circondato dalla
sconfinata distesa di villette
unifamiliari dei suburbs (i
"suburbi”, più che i
"sobborghi”).
Parli con una femminista
di un quartiere ricco, o con
una trotzkista della Società
storica di Chicago, o con un
editorialista terzomondista (i
più lontani apparentemente
dal conformismo del "sogno
americano”); ognuna e
ognuno a modo proprio
esprimono
un
amore
sconfinato per questa città.
Scavi e nel fondo trovi i
motivipiùdisparati,lavitalità
dei sindacati, della cultura
alternativa, della galassia
nera. Ma in realtà trasuda
anche
da
questi
anticonformisti
minoritari
quell'idea così americana,
così capitalista, per cui
l’ideale dell’essere umano è
vivere
nella
casetta
unifamiliare di sua proprietà,
separata da un prato dalle
casette altrui, e insieme
goderedelleurbanamenities,
e cioè concerti, teatri,
ristoranti, cinema. L’idea che
Chicago sia insieme una
periferia
(piacevole
da
abitarci) e una metropoli
centrale (in cui andare a
passarelaserata).
Chicago
aiuta
a
rispondere
a
un’altra
domanda che, mi diceva
Wolfgang Schivelbusch, tutti
ci poniamo dopo un certo
periodo negli Stati Uniti:
"Quand’è - e come - che gli
europei emigrati qui hanno
smesso di essere europei e
sono diventati americani?
Che cosa li ha resi così
impercettibilmente, ma così
chiaramentediversinelmodo
di convivere, di abitare,
persino di usare gli
strumenti?”.Ovvero,perdirla
con Werner Sombart nel suo
librodalcuriosotitoloPerché
negli Stati Uniti non c’è il
socialismo?2(1906):
Che
cosa
ha
Norimberga in comune
con Chicago? Null’altro
che le caratteristiche
esteriori
[e
oggi
nemmeno quelle], il
fatto che molti uomini
abitano in strade, in
stretta vicinanza, e che
dipendono per il loro
sostentamento
dal
rifornimentoesterno.Per
quanto riguarda Io
spirito, nulla. Mentre
Norimberga è una
formazione simile al
villaggio,
cresciuta
organicamente, Chicago
è una vera "città”,
costruitaadartesecondo
princìpi
“razionali”,
nella quale (direbbe
Tönnies)sonocancellate
tutte le tracce di
comunità ed è abbattuta
la società pura. E se,
nella vecchia Europa, la
città è (o, per meglio
dire,loerafinoadoggi)
formata sull'immagine
del villaggio, portando
in sé il suo carattere,
negli Stati Uniti, al
contrario, la piatta
campagnaèindefinitiva
solo un insediamento
cittadino
al
quale
mancanolecittà.
Chicago esprime la verità
dell’America anche per
un’altra ragione. In Europa il
capitalismo è mascherato,
imbrigliato dall’eredità della
storia: in Francia dalla
tradizione
dello
stato
nazionale, in Italia dalla
chiesa,inGranBretagnadalla
nobiltà. Da noi il capitalismo
trova un ostacolo nella
tradizione già stratificata, nei
costumi cristallizzati, nei
pregiudizi che affondano
nellanotte.
Invece qui, negli Stati
Uniti,
percepisci
il
capitalismo in tutta la sua
potenza nuda, in tutta la sua
caricasovversivachetrasloca
vite intere dalla foce del
Mekong,daldeltadell’indoa
climi polari. Vedi il capitale
nellasuacapacitàdiplasmare
gli individui, persino nel
modo di muoversi, abitare,
mangiare, nel palato, nel
tatto, nella sessualità. "Per il
capitalismo gli Stati Uniti
d'America sono la terra di
Canaan: la terra della
promessa. Infatti solo qui
sono state soddisfatte tutte le
condizioni di cui esso
abbisogna per lo sviluppo
pieno e totale della sua
natura. Come in nessun altro
luogo, paese e genti erano
creati per sollecitare la sua
evoluzione
alle
forme
massime”: non a caso con
queste
parole
Werner
Sombart iniziava il suo libro
nel1906.3
Anche in questo Chicago
è la più americana delle città
statunitensi. In nessun altro
luogo al mondo la fede nella
potenza
liberatoria
del
capitale,
la
religione
capitalista
è
altrettanto
integralista come qui. Se gli
Stati Uniti sono la terra di
Canaan del capitalismo,
Chicago
è
la
loro
Gerusalemme. McDonald’s è
una
multinazionale
di
Chicago (per misurare la
violenzaelavelocitàconcui
i costumi s’impongono, si
pensi
che
il
primo
McDonald’s è stato aperto
non più di 45 anni fa, nel
1959: e sono bastati 36 anni
perché la vita americana sia
impensabile
senza
i
McDonald’s). Solo un altro
esempio: l’istituto di arte di
Chicagoèunodeipiùgrandi
ebeimuseidelmondo,grazie
a mecenati salumieri e
macellai. Ma qui i mecenati
non si sono limitati a
segnalare il loro nome sulle
piastrine vicino ai quadri
come in tutti gli altri musei.
Qui, se cerchi una precisa
opera di un preciso pittore
(Nighthawks,"Ilbardinotte”
di Edward Hopper, per dirne
una), puoi pedalare: qui le
tele sono organizzate in
funzione dei donatori, non
degliartisti.Inunasalatrovii
quadridonatidalsignorx,tra
cui un Picasso, un Hopper e
un Utrillo. Poi, dieci sale più
inlà,inununicolocale,ecco
iquadriregalatidalsignorye
trovi un Matisse, un
Lichtenstein e di nuovo un
Hopper: epoche lontane,
generi
diversi,
pittori
incompatibili sono sussunti e
riuniti sotto l’egida del
mecenate. E così via: nel
museo d’arte, soggetto non è
l’artista,èildonatore.
Ultima annotazione: è
inutilenegarechequestacittà
si fa volere bene, è come
affettuosa. Insieme ai politici
più corrotti d’America, alle
gang più violente, ai
capitalisti
più
spietati,
fiorisconoquiimovimentidi
base più generosi. Sotto gli
alberi del parco Lincoln,
vicino al lago azzurro, gli
scoiattoli
ti
guardano
sfrontati,
la
testolina
inclinata. Paffuti, si grattano
la pelliccia bianca del petto
quasipregustandolanocciola
che tendi, mentre la coda
riluce incorporea nei raggi di
sole.
1Questocelebrepassodei
Caractères (sezione De
l'homme, par. 128) è stato
studiato anche da Erich
Auerbach in Mimesis, A.
Francke, Bern 1946, trad. it.
Einaudi,Torino1956,vol.II,
pp.124-125.
2
Werner
Sombart,
Warum gibt es in den
Vereinigten Staaten keinen
Sozialismus?, trad. it. Etas
Kompas,Milano1975,p.10.
3Ivi,p.5.
2.Ibinarideldomani
C'è da restare esterrefatti
a studiare la breve storia di
questa
città
che,
in
centosettant’anni, è diventata
una
delle
megalopoli
mondiali e adesso conosce
una sua già rugosa maturità.
Fin da ora è delineabile
un’archeologia del suo
capitalismo che, in meno di
mezzosecolo,daunvillaggio
di duecento abitanti, la portò
a fine Ottocento all’apogeo
della potenza, quando fu la
più grande "repubblica”
commerciale del mondo:
"repubblica
ferroviaria",
come nel Medioevo avevano
dominato le repubbliche
marinare. A scombussolare
però non è solo la storia di
Chicago,sonoiproblemiche
essa pone. In nessun’altra
città ci si accorge di quanto
sia stato “ferroviario” il
capitalismo e, per contro, di
quantosia“ferroviaria”l’idea
che per più di un secolo ci
siamofattidelcomunismo.
"Ferroviario” è quel
comunismo
che
pensa
d’impostare la pianificazione
economica come si stabilisce
l’orario ferroviario nazionale,
prototipo
della
programmazionecentralizzata
(enonpuònonesserlo).Una
“tabella di marcia” della
rivoluzionechepredisponele
singole“tappe”comel’orario
definisce
i
movimenti
(fermate, arrivi, partenze,
scambi), con la stessa
precisione
del
minuto
spaccato e, quindi, con lo
stesso livello superiore di
comando
e
dispositivo
minuzioso di controllo. Il
governo comunista è pensato
come una sorta di "divinità
sociale”onniscientecheabbia
sempre
presente
le
contemporanee posizioni di
tuttiisoggettisociali(ditutti
iconvogli,dituttiivagoni,di
tutti i passeggeri, di ogni
merce). Un piano prestabilito
che disloca le risorse ai vari
settori della società e alle
varieareedelpaesesecondoi
presunti bisogni, come le
ferrovie
allocano
x
locomotive e y vagoni alla
linea Z nel mese K. Un
Gosplan che pensa i flussi
economici come fiumi di
merci e passeggeri lungo i
binari,
in
una
sorta
d'idrodinamica umana; che
pianifica le infrastrutture
sociali come metafore di
ponti, cavalcavia e gallerie;
che struttura la catena di
comando come la gerarchia
dei
capistazione,
degli
ispettori dei biglietti, dei
macchinisti e dei casellanti.
L’idea che l’uguaglianza sia
la folla mattutina, accalcata,
di passeggeri resi simili dal
viaggiare tutti in vagoni non
più di prima, seconda e terza
classe, ma "nella stessa
classe",
in
un’umanità
indistinta,
ancorché
assonnata; che vivere nella
società comunista governata
dallostatosiacomeviaggiare
in un trasporto comune
gestito
dalle
ferrovie:
nell’uno e nell’altro caso tu
neseisoloilpasseggero.
Viceversa, il capitalismo
ferroviario sterminava i
bisonti,annerivadicarbonele
città, sventrava le montagne
per estrarre il ferro,
desertificava foreste per
bruciare il legno, speculava
giàsuunaterraancoraignota,
deportava eserciti di indiani
in Africa e di cinesi in
Nordamerica (ora i binari
sono arrugginiti in Africa e
Nordamerica, ma indiani e
cinesisonoqui,relittilasciati
dalla marea). L'idea che il
progresso fosse un treno (la
"locomotiva dell’economia”),
che la civiltà arrivasse solo
fino a là dove era visibile lo
sbuffo del vapore. Quel
capitalismo era ferroviario
perché i binari non hanno
senso se non connettono tra
loro stazioni affollate, centri
ad
alta
densità
di
popolazione.
Il
treno
stabilisce fra i centri urbani
una gerarchia espressa dal
numerodilineediversechein
un centro s’incrociano: il
centro più grande "è servito”
da più linee. Una linea di
periferia può raccogliere
pochiviaggiatoriallavoltain
ogni fermata nei suburbi, ma
soloapattodiscaricarliinun
terminal centrale, dove essi
lavorano e dove la densità è
alta perché ci sono grandi
fabbriche, grandi uffici,
centralizzazione del luogo di
lavoro: le “economie di
scala”. Nel film di Chariot la
folla mattutina che si riversa
su, fuori dalla metro come
gregge belante, definisce i
"Tempi moderni” altrettanto
quantolacatenadimontaggio
della fabbrica. Anche questo
ècapitalismoferroviario.
A lungo si è studiata la
bizzarria, l’assurdità del
sistema distributivo nella
pianificazione sovietica. Ma
non è stato lo stalinismo, è
stato
il
"capitalismo
ferroviario” statunitense a
costringere un allevatore del
Wyomingaspediresutrenoi
suoi buoi vivi per 2000
chilometri fino a Chicago,
farli macellare lì, piuttosto
che squartarli nella vicina
Cheyenne.
Questo
capitalismo su ferro, ancora
presente in Europa, sembra
negli Stati Uniti solo un
ricordo del passato. Come le
chiesediuncultodimenticato
e ormai abiurato, le stazioni
sono templi antichi che si
visitano, ma in cui non si
prega più: al posto delle
biglietterie sorgono negozi e
al posto dei binari corsie
pedonali. La Central Station
di St. Louis è un Mall, un
centro commerciale. E a
Memphis, Tennessee, la sera
alle nove è rischioso
avventurarsi vicino alla
stazione.
Dissolta questa forma,
negli Stati Uniti sembra aver
presoilsopravventoquelche
può
essere
chiamato
“capitalismo
automobilistico":
più
individualistico
e
più
familista, come la macchina
personale rispetto al vagone
in un convoglio; più elastico
nel controllo, perché libero
dall’"orario ferroviario”, ma
con una struttura di
sorveglianza e una gerarchia
di comando più efficaci
perché più flessibili, più
razionali
perché
meno
ossificate;
un
centro
decisionale
altrettanto
imperioso perché meno
formalista.
Il
“capitalismo
automobilistico” decentra, e
scentra,
nel
comando,
nell’organizzazione
del
lavoro, nella logistica, nella
vita quotidiana degli umani,
nell’idea che ci facciamo
della civiltà. Automobile e
camion collegano tra loro
zoneadensitàcosìbassache
resterebbero isolate in un
mondo
ferroviario.
Il
capitalismo a quattro ruote
stravolge la nostra secolare
immagine di città, consente
che le periferie siano
collegate tra loro, mentre
primaeranoconnessesolodal
centro, per il centro e
attraverso il centro. Fa sì che
sia
possibile
un’area
metropolitana
senza
metropoli, senza centro città,
senza downtown. Che la
periferianonsiapiùperiferia
di nessun centro, ma sia
autocentrata. L’ideale civile
non è più Inurbanità", ma la
“suburbanità”: al contrario
che in Europa, negli Stati
Unitiiltermine"suburbio”ha
una valenza positiva. In
questo nuovo spazio che non
è più città e non è più
campagna,
la
massima
aspirazione,
il
fine
dell’umano
vivere
è
possedere e abitare una
villetta unifamiliare con
garage,circondatadaunprato
che ti separa più di un muro
daltuovicinougualeatecon
il suo prato e il suo garage.
Ma sotto la grazia di suburbi
alberati, sotto la diaspora
socialeingiardinievialetti,il
“capitalismo su ruota” delle
casette unifamiliari esaspera
la segregazione di razza e di
classeespingequestasocietà
verso
l’implosione,
la
disintegrazioneinterna.
In nessuna città come a
Chicago il capitalismo su
ferro ha dispiegato la sua
potenza, ha forgiato popoli,
ha plasmato culture, ha
spostato e deportato milioni
di vite uma-ne. In nessun
posto come qui è possibile
studiare i monumenti di
questo capitalismo, scavare
neifenomenichehasuscitato,
analizzare le ondate di
migrazione che le ferrovie
hanno abbandonato sulla riva
del Michigan, registrare
l’ascesa e il declino di
commerci e di industrie.
Poiché è ormai trascorsa
l’epoca del capitalismo su
ferro,lostudiodiChicago,di
unacittàvecchiamenodidue
secoli, è già un’archeologia,
un’archeologia
della
modernità. (Ti chiedi anche
perché non c'è mai stato un
"comunismo su ruote”.) Ma
nello scavare più a fondo le
domande ti assillano, ti rode
un tarlo: e allora? E poi?
Quale domani? Cerchi le
traccedell’avvenire,gliindizi
che ti traccino un percorso.
Ecco perché un rapporto da
Chicago diventa qualcosa di
più, è un’archeologia del
futuro. Quest'ansia del futuro
assillava già Sombart che
novantanni fa si chiedeva
come mai, se il movimento
socialista è un prodotto del
capitalismo, il paese più
capitalista di tutti, la Mecca
del capitalismo, non ha
generato un socialismo: 'Il
futuro sociale dell’Europa e
dell’America si formerà in
modo uguale o diverso? Se
uguale, sarà l’America o
l’Europa il 'paese del
futuro’?”.1
Le ferrovie sono quasi
scomparse,ma''Chicagoland”
resta una delle ''nazioni” più
potenti: se una volta le sue
stazioni ferroviarie erano le
piùtrafficated’America,oggi
quest'onore spetta a O’Hare,
alsuoaeroporto.Nellarovina
di interi quartieri, nella
bancarotta di potenti dinastie
finanziarie, nel contrasto fra
lusso
e
miseria,
fra
sconvolgente bellezza e
squallore disperato, Chicago
è la prova vivente che un
pianodelcapitalenonc’è,né
c’è mai stato. Ha invece
sempre agito la logica del
capitale, una logica tutta
particolare, illogica alla fine,
eppureferrea,potentissima.
***
Invano con lo sguardo
cercheresti la Grand Central
Station, quella che una volta
fu la più affollata stazione
ferroviaria
della
terra.
Dall’alto dei 450 metri del
grattacielo Sears (dal 1976
finoal1996ilgrattacielopiù
alto del mondo), se con lo
sguardo lasci a sinistra la
sconfinata distesa azzurra del
Lago Michigan e ti volgi a
ovest e a sud del centro
cittadino, dove oggi giace la
terra di nessuno dei quartieri
neri, tra gli edifici in rovina
scorgi solo scali merci
desolati.Sonodesertiecome
rugosi per una ragnatela di
binari arrugginiti, percorsi
ogni
tanto
da
rare,
interminabili tradotte (di 80,
100 vagoni merci luna) che
giungono dalle piantagioni di
mais dello Iowa, dalle
miniere dello Utah. Nelle
regioni montuose, questi
lumacheschi convogli ognuno lungo più di un
miglio-sonospintidaquattro
locomotiveadiesel(talvoltaa
vapore): negli Stati Uniti
quasi nessuna linea è
elettrificata. I nomi stessi
delle compagnie ferroviarie
sono ottocenteschi, letti sullo
schermoininnumerevolifilm
western: Northern Pacific,
Chicago
Burlington
& Quincy, Northwestern,
Illinois Central, come se le
ferrovie dovessero ancora
entrare nel xx secolo. Ma
furono queste compagnie, i
capitali che le possedevano,
la logica del profitto che le
governava, a far sì che in
cinquantanni uno sperduto
villaggio di duecento abitanti
divenisse una delle più
potenti
megalopoli
del
pianeta,ilpiùgrandemercato
del
legno,
il
centro
cerealicolodelNordamericae
della terra, il mattatoio
dell’universo, per dirla con il
romanziereUptonSinclair.
I capitali: per un europeo
nato dopo la Seconda guerra
mondiale, le ferrovie sono
legate allo stato, anzi alla
nazione: ci sono ferrovie
tedesche, francesi, italiane,
ma non sono immaginabili
due diverse compagnie
ferroviarie
nella
stessa
nazione. Come lo stato
moderno è definito dal
detenere
il
monopolio
legittimo della violenza, così
nell’Europa del secondo
dopoguerra, le strade ferrate
sonounmonopolionazionale.
Sesipensaaunaconcorrenza
alle ferrovie pubbliche, la si
immagina
da
parte
dell’autotrasporto
privato,
non la si concepisce da parte
di
altre
compagnie
ferroviarie. Negli Stati Uniti
invecelestradeferratefurono
private,comeprivatepertutta
la prima metà dell’Ottocento
erano le strade che infatti
esigevano un balzello (il
limite della città era segnato
dal casello del pedaggio, il
Tumike point): anzi, ai
primordi della ferrovia,
quando le locomotive erano
lente, sulle strade a pedaggio
pavimentateconassidilegno,
i carri e le diligenze
garantivano una rapidità e
sicurezza superiori a quelle
deitreni.
Negli Usa era ovvio che
le ferrovie fossero private,
come private erano le
compagniedibattellifluviali:
l’unico settore europeo che
ancora oggi somigli al
capitalismo
americano
dell’ottocento è proprio
quello delle compagnie di
navigazione con i loro
armatori,gliAristoteleOnassis, i Niarchos. Negli Stati
Uniti,c'èunageneaologiatra
battello fluviale e treno. Il
vapore vi fece la sua
apparizione prima sul ferryboat di Robert Fulton e solo
poi sulla locomotiva. Furono
gli stessi capitali newyorkesi
e bostoniani a costruire e
dominare reti di canali e
strade ferrate. Il rapporto col
battello influì persino nella
forma dei vagoni. Mentre in
Europa i vagoni ferroviari
erano costruiti a mo’ di
“carrozze” (e infatti così si
chiamano),
con
scompartimenti chiusi e
separati, ognuno con due file
dirimpetto di 3-4 posti luna,
come nelle diligenze, negli
Stati Uniti i vagoni
somigliavano ai ponti dei
battelli con molte file di
sedili,unadietrol’altrainun
unico spazio aperto percorso
da una corsia centrale. Il
prototipo di vagone letto fu
ideatoecostruitonel1859da
George Mortimer Pullman uno dei più famosi e più
violentiindustrialidiChicago
- imitando le cabine letto dei
battelli fluviali.2 E i
miliardariamericanisifecero
un punto d’onore nel
comprarsi il treno più
lussuoso, proprio come oggi
possiedono
uno
yacht.
Viaggiavano "in nave su
rotaie”, sul proprio panfilo
terrestre.
Comelanave,iltrenoera
un mondo privato, con leggi
sue,suemisure.Ogniferrovia
aveva il suo scartamento (la
distanzatralerotaieequindi
tra le ruote dei vagoni): la
Erie Railroad adottava i 6
piedi, mentre nel Sud
prevalevano i 5; tra le
compagnie del New England
e del Nord era diffuso lo
scartamento inglese da 4
piedie81/2pollici,cosìche
vagonicostruitiperunalinea
non potessero viaggiare
sull’altra.3Eraprivatopersino
il tempo. Quanto la ferrovia
abbia modificato la nostra
percezione del tempo è
motivo d’incessante stupore.
Non a caso è proverbiale
l’espressione “perdere il
treno”. Prima delle ferrovie,
sullaterrafermalanostravita
erascanditaconlaprecisione
del quarto d’ora. Solo in alto
mare la misura della
posizione dipendeva dalla
precisionedeicronometri.Ma
in campagna o nelle città
nulla cambiava se arrivavi
cinque minuti prima o dopo:
la diligenza ti aspettava, la
nave non ti lasciava a terra.
Invece con un ritardo di un
solominutoperdeviiltreno.I
viaggì ferroviari furono così
il più potente stimolo alla
diffusione degli orologi
personali
nell’Ottocento.
Nella vita dell’individuo
comunediventavaimportante
riconoscere e distinguere il
minuto, persino il mezzo
minuto.4
Ma nella definizione del
tempo vigeva il caos. In
quell’epoca
ogni
città
scandivalasuaora:mentrea
Chicago
scoccava
mezzogiorno, erano le 11.27
a Omaha, le 11.50 a St.
Louis, le 12.17 a Toledo, le
12.31aPittsburgh.Secondoil
“Chicago Tribune”, c’erano
27orelocaliinIllinoise38in
Wisconsin. La Union Pacific
operava su sei differenti ore
solari.5 Non sembrava perciò
affatto balzano che ogni
compagnia ferroviaria avesse
il suo tempo privato,
adottasse la propria ora
centrale. Poteva succedere
che, nella stessa stazione, gli
orologi scandissero ore
differenti per ogni diversa
linea. Nella stazione di
Buffalo vigevano tre ore
diverse, in quella di
Pittsburghbensei.Solomolto
tardi, come effetto delle
esigenze ferroviarie (per
coordinare gli orari), si
sarebbe giunti a una
standardizzazione del tempo.
Solo nel 1883 le compagnie
ferroviarie avrebbero diviso
gli Usa in quattro zone, in
quattro ore ferroviarie che
diventarono pratica comune,
ma che furono codificate
legalmente negli attuali
quattro fusi orari (Atlantic
Time,
Central
Time,
Mountain Time, Pacific
Time)solonel1918,soloalla
fine della Prima guerra
mondiale.6
Che
i
viaggiatori
vivessero in tempi diversi a
secondadellalineaferroviaria
sucuiviaggiavanoeraancora
la più innocua tra le
irrazionalità generate dalla
lotta selvaggia tra le linee
ferroviarie. Per le strade
ferrate infatti si scatenarono
le più spietate guerre
commerciali dell'Ottocento,
cheavoltefuronocombattute
a colpi di arma da fuoco. La
competizione era tale che
spesso uno speculatore
iniziava o minacciava di
costruire una seconda linea
(una linea fantasma) sullo
stesso percorso di una linea
già esistente solo per
ricattarla: erano chiamate le
blackmail lines, le linee del
ricatto.
Non si contano i ponti
crollati perché costruiti in
fretta e con materiale
scadenteperabbassareicosti,
gli incidenti causati da errori
di personale troppo stanco
perchétropposfruttato,itreni
deragliati
perché
si
risparmiava
sulla
manutenzione dei binari e
degli scambi (e questo non
solo nell’Ottocento: il 23
settembre 1993, l’espresso
Los Angeles-Miami precipitò
da un ponte in una laguna
dell’Alabama,
uccidendo
duecento passeggeri: si
diffuse allora la voce che i
viaggiatorifosserostatiuccisi
dai caimani e dai serpenti
della laguna, mentre più
prosaicamente erano morti
perl’incuriadell’Amtrak).7
Queste disgrazie sono
nulla rispetto alla strage vera
e propria che i treni
provocavano a cavallo del
secolo: nel biennio 18981900, i morti in incidenti
ferroviari furono 21.847,
mentre nel solo anno 1903 i
morti in disastri ferroviari
negli Stati Uniti furono
11.006, un eccidio: su ogni
milionedipersonetrasportate
nemorivanonegliStatiUniti
19, mentre ne morivano in
Austria, nello stesso periodo,
0,99, cioè venti volte meno:
queste cifre erano fomite già
nel1906daWernerSombart8
per dire che “al servizio di
questa corsa al guadagno si
pone
un
razionalismo
economicoditalepurezzache
nessuna comunità europea ne
conosce di uguale. E
l’interesse capitalistico si
afferma senza riguardo:
anche quando si fa strada sui
cadaveri. Le cifre sull’entità
degliincidentiferroviarinegli
Stati Uniti possono solo
servire da simbolo”. (Dopo
un secolo di progresso,
muoiono oggi negli Usa
42.000 persone l’anno in
incidentid’auto,quandoperò
la popolazione statunitense è
quasi il quadruplo di quella
delprimoNovecento;imezzi
di trasporto cambiano, ma il
numero di morti per abitante
che essi causano resta
pressochécostante.)
I padroni del vapore
furono tanto spregiudicati da
essere chiamati robber
barons, “baroni ladri”, e i
nomi
del
commodoro
Cornelius Vanderbilt, di Jim
FiskeJayGouldsonofamosi
per la loro crudele disonestà,
perlelottesenzaesclusionidi
colpi, comprese sparatorie e
morti con eserciti privati, tra
cui la celebre agenzia
Pinkerton.9
Colpisce
però
che
meccanismi pensati per
assicurare
il
massimo
profitto, cioè la concorrenza,
illiberomercatosenzaregole,
la deregulation, causassero
così spesso bancarotte e
panico; che strumenti creati
per
guadagnare
soldi
passassero il tempo a
perderne. Tanto che a
regolamentare la concorrenza
selvaggia ci pensò il
banchiere dei banchieri,
Pierpoint Morgan, che nel
1885misefineallaguerradei
prezzieconunaccordopose
le reti ferroviarie Usa sotto
l'ala protettrice della sua
banca(l’accordotraicapitali
detentori delle linee è
contemporaneo a quello tra
tempi
e
orari
delle
ferrovie).10
SeChicagofuresagrande
dalle ferrovie, la sua fortuna
fu finanziata dai privati, dai
grandi banchieri dell’Est e di
Londra. Nel 1858 i due terzi
degli azionisti della Illinois
Central
vivevano
in
Inghilterra. Nel 1890, della
Chicago
Burlington
& Quincy (fondata dai
banchieri bostoniani Forbes,
nome oggi di una famosa
rivista) 113.198 azioni erano
detenute da newyorkesi,
166.198 da bostoniani e solo
3.104 da Chicagoans. Nel
consiglio della Northwestern
su17amministratori,9erano
della costa atlantica (8 di
NewYork).11
Néc’èdastupirsiditanta
finanza: aprire una linea
ferroviaria
era
un
investimento colossale per
l’Ottocento. Ogni linea
significava ponti, gallerie,
stazioni, materiale rotabile,
serbatoi d’acqua, stoccaggio
del combustibile. Le risorse
private, e persino delle
banche,eranoinadeguate.Per
incitareiprivatiainvestire,il
governo federale prese a
regalare alla compagnia la
terra intorno alla linea (Land
Grants): terra che avrebbe
acquistato valore con la
ferrovia e che la compagnia
avrebbe rivenduto a caro
prezzo. La politica dei Land
Grants fu inaugurata proprio
per la Illinois Central che
partiva da New Orleans. Su
pressione dei banchieri
dell'Est, nel 1850, il governo
regalòallacompagniaseilotti
alternati di terreno per ogni
miglio costruito, a patto che
la linea arrivasse fino a
Chicago. Nel 1850 Chicago
rappresentava l’avamposto a
ovest delle banche dell’Est:
l’alleanza finanziaria tra
Chicago e New York dura
ancoroggi.
Ma nella logica del
capitale c’è una ragione più
profonda che ha determinato
la prodigiosa ascesa di
Chicago. È quella che,
centocinquant’anni
dopo,
determina oggi la crisi delle
linee aeree. Questa ragione è
la tirannia dei costi fissi.
Proprio come per le linee
aeree oggi, i costi fissi erano
allora l’incubo delle ferrovie:
più di un quarto delle spese
era costituito dal servizio del
debito (prestiti per gli
investimenti iniziali). Inoltre,
che corressero pochi o molti
treni,
le
massicciate
smottavano,
i
ponti
crollavano,
i
binari
arrugginivano lo stesso. Una
locomotiva usava un decimo
della legna solo per
mantenere la pressione del
vapore e un altro terzo solo
permuoveresestessa,iltreno
richiedeva
altrettanti
macchinisti e meccanici a
prescindere dal numero di
passeggeri. Così per il
personaledellestazioni.Circa
due terzi delle spese totali di
una ferrovia erano perciò
costifissi.Unavoltacostruita
la linea con le stazioni e le
infrastrutture, la compagnia
non aveva altra scelta:
riempireivagonialmassimo,
anche in perdita. Se un
trasporto costa 100, è meglio
incassare 90 e perderne 10
piuttosto che perdere i 60 di
costichegravanocomunque.
L’imperio dei costi fissi
era particolarmente dispotico
neltrasportomerci.InEuropa
la ferrovia viene abbinata di
solito con il “viaggio” dei
passeggeri, più che con il
“trasporto” delle merci, delle
cose. Invece negli Stati Uniti
il settore passeggeri ha
sempre rappresentato un
introitosecondario:deiricavi
delle ferrovie, nel 1870 i
passeggeri rappresentavano
solo un quarto, e nel 1916
solounquintodeltotale.12
Eccoperché1)leferrovie
facevanoprezzispecialiperla
tratta più lunga possibile
senza
trasbordi;
2)
abbassavano i prezzi dove
c’era più concorrenza; 3)
facevano prezzi di favore ai
clienti più grossi13; 4)
tenevano alte le tariffe sulle
tratte in cui erano in regime
di monopolio e dove i clienti
non avevano alcuna forza
contrattuale. Il combinato
composto di questi quattro
fattoricausòunaserieinfinita
di malversazioni, abusi,
truffe,
accordi
di
monopolio che provocarono
la creazione di commissioni
d’inchiesta del Congresso,
innescarono
denunce,
provocaronoleggidiriforma.
Ma nel frattempo plasmò la
geografia urbana degli Stati
Uniti.
Chicago
era
la
destinazione più lontana per
le ferrovie dell’Est che qui
finivano, ed era il punto di
partenza per le ferrovie
dell’Ovest che da qui si
diramavano; a Chicago
convergevano
varie
compagnie ferroviarie in
feroceconcorrenzatraloro;a
Chicagoiltrasportoviaacqua
facevaconcorrenzaallestrade
ferrate. Qui dunque la guerra
delletariffeerapiùaspra.
Così per un farmer
dell’Iowaerapiùvantaggioso
mandareilmaisnellalontana
ChicagochenellavicinaDes
Moines,comeaunallevatore
del Nebraska conveniva
spedire i buoi nella Windy
City piuttosto che a Omaha.
Con l’estendersi della rete,
convenivamandareaChicago
persino il bestiame dal
Montanaoibuoidallelunghe
corna (longhom) dal Texas.
Man mano che il traffico
cresceva,letariffecalavanoe
i mercanti di Chicago erano
in grado di comprare dai
fornitoridelWestaprezzipiù
alti e vendere ai clienti
dell’Est a prezzi più bassi.
Chicagoeraquindiilmercato
piùconvenienteperambedue.
Conilvolumedelcommercio
aumentava
il
traffico
ferroviario, in una spirale di
crescita
sempre
più
accelerata.
Se nel 1850 Chicago
dovette la sua fortuna
all’esserela"portadelWest”,
ai primi del secolo aveva già
consolidato la sua ricchezza
come "centro degli Stati
Uniti”, centro delle vie di
comunicazione, baricentro
umano. Il 21 novembre 1848
era stata inaugurata la prima
ferroviadiChicago,laGalena
andChicagoUnion,lunga10
miglia,ben16km.Nel1860,
la rete che si diramava da
Chicago ammontava a 7500
km. Nel 1871, all’epoca del
grande incendio, la rete
ferroviariadiChicagocopriva
piùdi16.000km;enel1880
la rete si era ancora
raddoppiata, fino a 37.000
km.Aconfronto,l’interarete
ferroviaria francese conta
oggi 34.000 km, quella
italiana 19.000. Dalla città si
irradiavano quaranta linee
ferroviarieesiècalcolatoche
nel1914piùdellametàdella
popolazione degli Stati Uniti
(allora 100 milioni di
abitanti)abitavanelraggiodi
una notte di viaggio in treno
daChicago.
La logica dei costi fissi
fece così che Chicago
divenisse
lo
"sbocco
naturale" di un mercato che
andava dalle Montagne
Rocciose a ovest agli
Appalachiaest,dalCanadaa
nord ai Caraibi a sud. Nella
storia delle civiltà urbane, le
linee ferroviarie hanno
allargato a dismisura il
“retroterra”dellecittà,manel
caso di Chicago il bacino
divennesterminato.Lalogica
del capitale ha così cambiato
la geografia del Midwest,
geografia naturale e umana.
Insieme al mais, al grano, ai
maiali, alla legna, ai buoi, le
ferrovie avrebbero portato
milioni di immigrati, prima
tedeschi,
irlandesi,
poi
italiani, polacchi, poi ancora
neri, e poi messicani, cinesi,
indiani. Come trasporto
passeggeri,leferroviesonoin
disuso (è invece ancora
fiorente il trasporto merci su
rotaia); è venuta meno la
causa prima della grandezza
di questa città, ma non la
logicadelcapitalecheancora
oggi tiranna governa questa
megalopoli di 8 milioni di
persone,distesasullerivedel
Michigan.
***
È straordinario come la
logica del capitale non
dipenda dall’oggetto a cui si
applica,masirealizzisempre
uguale a se stessa, per terra,
per mare, in cielo. Una
locomotiva non è un jet e un
aeroportononèunastazione.
Ma le dinamiche si ripetono
con minuziosa precisione. È
sempre la tirannia dei costi
fissiacrearequelcapolavoro
surrealistachesonoitariffari
aerei, con la cabina divisa in
venti diverse fasce di prezzi
per gli stessi sedili, o con
l’assurdo di un biglietto di
sola andata che costa il
doppio dello stesso biglietto
andataeritorno.Indefinitiva,
cosa era Chicago se non uno
hubferroviario?Quandooggi
dagli
scali
periferici
deportano le mandrie umane
e smistano le torme di
passeggeri nei loro scalihub,
le linee aeree ubbidiscono
alle stesse leggi che
imponevano ai rancheros
texani di caricare i longhorn
suicarrimercidellaSantaFe
diretti a Chicago. E per le
stesse ragioni scatenano le
guerretariffariesullerottepiù
contese,dovesicombattonoa
colpi di sconti, mentre
praticano prezzi esosi sulle
tratte più brevi e meno
frequentate. Se comprato in
Europa,unNewYork-Londra
andata e ritorno può costare
in bassa stagione 400 dollari,
meno del biglietto a tariffa
piena
Roma-FrancoforteRoma, quattro volte più
breve.Propriocomeavveniva
perleferroviedell’Ottocento,
quando per un bue il viaggio
Buffalo-New York costava
solo un dollaro. Mentre per
unumano,nel1881unticket
New York-Chicago giunse a
costare solo 5 dollari. Nel
1888,
il
traffico
intercontinentale americano
era così pesante che il
biglietto per la lunghissima
tratta New York-California
costòsolo29,50dollari.14
Il fatto è che, come le
compagnie
ferroviarie
nell’Ottocento, le linee aeree
sono
governate,
anzi
tiranneggiate dalla logica dei
costi fissi. Per poter operare,
una compagnia aerea deve
anzitutto comprare i velivoli;
inoltre, almeno negli Usa,
ogni
compagnia
deve
costruire il proprio terminal;
infine vanno costruiti e fatti
funzionare hangar, centri di
riparazione e manutenzione.
Siamoacostifissidell’ordine
dei miliardi di dollari che la
compagnia deve affrontare
ben prima che il primo
passeggerosisiedainunsuo
aereo: deve perciò chiedere
prestiti, lanciare obbligazioni
darestituireindecenni.
Dai costi fissi dipende in
buona
parte
quell’irreversibilità che osservava Claus Offe caratterizza la modernità: tu
puoi scegliere liberamente se
costruire un’autostrada in un
posto o non costruirla. Ma
una volta che l’hai fatto, si
rivela quasi impossibile
disfarla, revocarla.15 Questo
destino
irreversibile
conferisce alle scelte una
gravità di cui non siamo
coscienti.
1 W. Sombart, op. cit, p.
26.
2
Wolfgang
Schivelbusch,Geschichteder
Eisenbahnreise, Carl Hanser
Verlag,München-Wien1977,
trad. it. Storia dei viaggi in
ferrovia, Einaudi, Torino
1988,pp.109-117.
3 Da John F. Stover,
AmericanRatlroads,Chicago
University Press, Chicago
1961, p. 24. Per quanto
sdraiato sulle posizioni dei
"padroni del vapore”, il libro
èpienodinotizie.
4 David S. Landes,
Revolution in Time, Harvard
1983, trad. it. Storia del
tempo, Mondadori, Milano
1984,pp.233-234e289-290.
5 J.F. Stover, op. cit.,
pp.157-158.
6W. Schivelbusch, op.
cit.,p.46.
7 Sull'incuria in cui
giacciono le infrastrutture
americane,
sempre
più
fatiscenti, vedi Kenneth F.
Dunker, Basile G. Rabbat,
Why America’s Bridges Are
Crumbling, in “Scientific
American”, marzo 1993, pp.
66-72. Per l’inquadramento
storico, vedi il dossier su
America’s Infrastructure, in
“The Wilson Quarterly”,
inverno1993,pp.18-49.
8 W. Sombart,op. cit.,
p.7.
9 The Robber Barons,
the
Great
American
Capitalists,
1861-1901,
Harcourt, New York 1934,
trad. it. Longanesi, Milano
1947,èiltitolodiunfamoso
libroatintefortidiMatthiew
Josephson, figlio di un
banchiere che aveva allora
simpatieperilcomunismo.
10 Ron Chernow, The
House of Morgan. An
American Banking Dynasty
and the Rise of Modern
Finance, Simon & Schuster,
New York 1990. Sul Great
Railroad Treaty del 1885
(noto anche come Corsair
Compact),cfr.pp.53-58.
11
William Cronon,
Natures Metropolis. Chicago
and the Great West, Norton
& Co., New York 1991, pp.
82-83. Molte pagine che
seguonosonoindebitoverso
questolibro.
12 J.F. Stover, op. cit., p.
173.
13I
migliori
clienti
ricattavano
le
ferrovie
minacciando di abbandonarle
se avessero fatto viaggiare i
concorrenti
allo
stesso
prezzo. Le tariffe ferroviarie
furono quindi una delle armi
più micidiali nello stabilire e
mantenere
i
monopoli,
rendendo non competitivi i
concorrenti. Così fu per il
petrolio: John Rockefeller fu
l’uomo
che
più
sistematicamente usò le
tariffeferroviarieperimporre
il predominio della sua
StandardOil.
14J.F.Stover,op.cit.,p.
115.
15
Su “questa
straordinaria resistenza alla
revisione” da parte della
modernità, vedi Claus Offe,
L’utopiadell’opzionezero,in
AA.VV, Ecologia politica,
Feltrinelli, Milano 1987, pp.
41-72.
3.Lamatematica
applicataalmaiale
In Europa, quando la
pubblicità televisiva tocca
l'apparato digerente, gli spot
cercano di vendere prodotti
lassativi - per lo più agli
anziani-,mostranoprimavisi
inaciditi dalla stitichezza,
dalla “pigrizia intestinale”, e
poi
sorrisi
soddisfatti,
rilassati, ormai rasserenati
dallabelladefecazione,grazie
alla magica pillola. Nella tv
statunitense
predominano
invece
le
pubblicità
antidiarroiche - per lo più
rivolte ai giovani -, che
filmano coppie trentenni in
situazioni imbarazzanti, un
concerto, un pranzo di gala,
unteatro,incuiilluiolalei
di
turno
sono
colti
improvvisamente da una
contrazione dolorosa, visibile
in volto, costretti a una
precipitosafuganeicessi.Ma
questaminacciainagguatoin
ogni intestino sarà ormai
evitata
dalla
pasticca
miracolosa.
Ti chiedi perché, in che
cosa differisce il cibo sulle
due sponde dell’Atlantico.
Nelle metropoli americane
non cessa mai di stupirti il
rito del mangiare, la cultura
che esprime, la distorsione
dei sapori che ingenera,
l’obesità di classe che
produce (sono più obesi i
poveri dei ricchi e, tra i
bambini di dieci anni, più i
neri e gli ispanici dei
bianchi).
Addenti
un
hamburger da McDonald’s,
con ketchup, senape, cipolla,
cetrioli sott'aceto. Un gesto
così liso che non te ne
accorgi, non ci pensi. Ti
sembra naturale. Ti pare
ovvio che a Seattle come a
New York, in locali arredati
in modo uguale, offerto da
inservienti con la stessa
divisa, sempre allo stesso
prezzo, sia sempre lo stesso
hamburger. È disponibile
ovunque, a tutte le ore,
identico a se stesso,
interscambiabile come un
bigliettodaundollaro.Acasa
e nei 200.000 fast-food del
paese,1
gli
statunitensi
mangiano 52 miliardi di
hamburger l’anno, cioè 5,2
miliardi di chili di carne
macinata.
Quest’illimitata
disponibilitàcorripondeauna
sfrenata voracità. Cibo
accessibile a tutte le ore
chiede di essere addentato in
ogni occasione: per strada, il
souvlaki
sbocconcellato
gocciola
salsa
sul
marciapiede;
in
metropolitana,ilrecipientein
poliestere pieno di chop-suey
traballa accanto al finestrino;
nel pullman del Greyhound,
un’aladipollofrittadiffonde
il suo lezzo; nella riunione
d’ateneo spunta un hot-dog;
in auto una fetta di torta
inganna l’attesa del semaforo
verde.
Non è facile soddisfare
questafameininterrotta,quest’inesauribile masticazione.
Ogni anno nei 9000 impianti
degli Stati Uniti vengono
macellati
e
trattati
(processed) 7,3 miliardi di
polli(broilers,senzacontarei
9,3 miliardi di galline
ovaiole) e 141 milioni di
animali a carne rossa (33
milioni di buoi, 101 milioni
dimaiali,unmilioneemezzo
di vitelli, 5,8 di ovini).2 È il
meat-packing, la "confezione
della carne”. Un’industria
colossale che plasma il
continente americano ed è
alla base del suo mito più
leggendario, i cowboy;
un’industria di cui gli
statunitensi si accorgono, e
per cui si allarmano, solo di
fronte a casi clamorosi di
avvelenamento.
Negli Stati Uniti si
contano 76 milioni di casi di
avvelenamento da cibo
all’anno (di cui 4 milioni da
carne),30.000ricoveril’anno
per
salmonella
e
campilobatterio (che si
contraggono dal pollame
infetto) e si registrano 6000
infezioni di un virus che
spesso uccide, il virus Ecoli
0157:H7.
Il
primo
avvelenamentoincuimisono
imbattutonellastampaUsasi
verificò nel gennaio 1993 a
Tacoma,
sulla
costa
dell’Oceano Pacifico, nello
stato di Washington, in un
ristorantedellacatenaJackin
the Box. Avvelenamento
esemplare: questa catena
gestiva in tredici stati del
West 1170 ristoranti da
hamburger, con un fatturato
annuo di 800 milioni di
dollari.
Nelgennaio1993,inquel
fast-food di Tacoma, per il
virus Ecoli 0157:H7 i
ricoverati furono 450; per 29
di loro vi fu cedimento dei
reni; 21 ebbero bisogno di
dialisi;
tre
bambini
piccolissimi
morirono:
avevano rispettivamente 17
mesi, 23 mesi, due anni. La
colpa fu attribuita alla
mancalaosservanzadeinuovi
standard di temperatura
imposti per cuocere gli
hamburger(almeno150gradi
Fahrenheit,
77
gradi
centigradi). Ma la carne era
già infetta al macello.
Proveniva da manzi del
Michigan e del Colorado ed
era stata trattata dalle Vons
Companies (che possiedono
la maggiore catena di
supermercati
della
California). Sotto accusa
l’ispettoratosanitariochenon
aveva scartato la partita di
bovini ammalati. Ma negli
anni di Reagan, per i tagli al
bilancioeladeregulationdel
mercato della carne, gli
ispettori erano scesi dagli
8400 del 1978 a 7200. E di
questi 7200 posti, 550 erano
vacanti. Nel corso del 2000
l’amministrazione
Clinton
ridusse ulteriormente le
ispezioni federali sui capi
macellati.
E
l'amministrazioneBushJr.ha
ancoraallentatoicontrolli.
Così l’avvelenamento di
Tacoma ebbe il benefico
effetto di far assumere altri
160 ispettori veterinari,
comunque una goccia nel
mare. Far analizzare una
carcassa su cinque di
mammiferi
e
pollame
costerebbe 58 miliardi di
dollari l’anno. Oggi il
governo federale spende solo
un miliardo di dollari l’anno,
meno del 2% di questa
somma (vuol dire che è
analizzata solo una carcassa
su290).
In pochi mesi svanì
l’emozione
creata
dai
bambini
uccisi
dagli
hamburger. Prima di essere
cancellati dalla memoria,
furono
considerati
una
fatalità, come i morti della
strada. Un prezzo del
progresso,chesipagaperché
il
cibo
sia
prodotto
industrialmente,
sempre
disponibile,
a
prezzo
moderato,sempreugualease
stesso, ovunque. Un prezzo
come l’assenza di sapore in
bistecche così succulente a
guardare, così tenere da
sciogliersi in bocca, ma così
sciape. Un prezzo come la
standardizzazione dei sapori,
degliodori.
Non è vano orgoglio
quello di McDonald’s, la
multinazionale di Chicago
che si vanta di vendere lo
stesso hamburger in tutto il
pianeta, exploit che cercano
d’imitare tutti i Burger King,
i Jack in the Box della terra.
La carne degli hamburger di
Tacoma
aveva
infatti
pascolato e muggito in
Michigan. Da qui aveva
viaggiato per 4000 km verso
sud-ovest, per essere trattata
in California, poi era stata
cotta
nello
stato
di
Washington, a 2000 km a
nord. Oggi si ragiona con la
bisteccacomeconiltelefono,
in cui il rame viene dal Cile,
lozincodalCanadaeiltutto
èassemblatoaSingapore.
La rivoluzione industriale
è esplosa in Inghilterra, ma è
negli Stati Uniti, e più
precisamente a Chicago, che
si è prodotto un altro
terremoto della modernità,
che influisce sui sapori, sui
nostriritialimentari,cambiai
nostrisensi,l’olfatto,ilgusto:
l’industrializzazione
dell’allevamento.
***
La catena di montaggio
(l'assembly line) operaia si è
imposta al mondo a partire
dalla fabbrica dove dal 1908
la Ford costruì il modello T,
la prima auto di serie.
Nell'assembly line è il
prodotto (l’auto) che si
muove mentre l’operaio resta
fermo a compiere sempre lo
stesso gesto, fissare una vite,
montare un pezzo. Ma pochi
sanno che la catena di
montaggio è stata pensata a
imitazionedella“catenadismontaggio”, la disassembly
line,inventataintornoal1830
nella città di Cincinnati in
Ohio. All'inizio, nella sua
forma più rudimentale, le
carcasse
dei
maiali
percorrevanolacatenaappese
a un carrello ruotante mentre
ogni operaio restava fermo a
disossareuntaglio,semprelo
stesso, scarnificare un osso,
semprequello.Cincinnatiera
così fiera della macellazione
suina che si fregiava del
nomediPorkopolis.
L’industria del meatpacking (preparazione e
confezione della carne) prese
il via dai maiali e non dai
manzi perché 1) i maiali
erano
difficili
da
“autotrasportarsi” al mercato:
avevano gambe corte e
cattivo carattere; i manzi
erano più docili: i film
western ci mostrano cowboys, non pig-boys: 2) il
rapporto "peso totale/peso
utile” era migliore per i
maiali, di cui quasi nulla
andava perso; 3) i metodi
tradizionali di conservazione
(salatura e fumigazione)
funzionavano meglio per i
suinicheperibovini.
Per un contadino del
lontano West era più
conveniente spedire un
maiale nutrito col proprio
mais che mandare il mais
coltivato:“Ilporco,”scriveva
un giornalista inglese “è
considerato la forma più
compattaincuiilraccoltodel
mais degli Stati Uniti può
essere trasportato al mercato.
Perciòilmaisèdatoaimaiali
nella fattoria e quindi è
spedito a Chicago in questa
confezione
[package]
provvista dalla natura per il
suo uso”. Altri definivano il
maiale come “due quintali di
maissuquattrozampe”.3
Fin dall’inizio quindi il
maiale si rivelò l’animale
ideale per poter essere
industrializzato. Ma, proprio
perché i maiali dovevano
viaggiare,l’industriadeisuini
dipendeva dai mezzi di
trasporto. Finché il trasporto
su acqua (per fiumi e canali)
fu più conveniente, più
diffuso di quello ferroviario,
Cincinnati mantenne il
predominio,
il
“titolo
nazionale”diPorkopolis.
Ma quando la ferrovia si
estese e divenne facile far
viaggiare i porci per migliaia
di chilometri, Chicago prese
il sopravvento e fu fiera di
divenire
essa
stessa
“Porkopolis”. Nel 1848
Cincinnati aveva macellato
350.000 maiali contro i
20.000diChicago,magiànel
1860 Chicago macellava
250.000 suini e si avvicinava
alla sua rivale. Il sorpasso
sarebbe avvenuto con la
guerra di secessione, che
avrebbe tagliato fuori dalla
rete di approvvigionamento
dei nordisti il bacino del
Mississippi e dei suoi canali,
e che avrebbe richiesto
trasporti rapidi, per ferrovia,
dienormiquantitàdiciboper
le truppe (i famosi Cracker
Trains, i “treni delle
gallette”). Nell'inverno 18611862,con32.000suiniinpiù
della rivale, Chicago sarebbe
diventata ufficialmente la
Porkopolis degli Stati Uniti.
"ChicagoèilpiùgrandePork
Packing Point degli Stati
Unitiedelmondo”esultavail
“Tribune”nel1864.4
***
Finita la guerra, nel
Natale 1865, nella zona sud
di Chicago, poi chiamata
“Packingtown”,
furono
inaugurati
quelli
che
sarebbero diventati i mattatoi
più grandi del mondo, le
Stock Yards di Chicago
(l’orgoglio di Chicago,
ChicagosPrideappunto).Nel
1868 i mattatoi erano già
capaci
di
trattare
simultaneamente
21.000
manzi, 75.000 maiali e
22.000 ovini. Nel 1910
questo
complesso
(comprendente
alberghi,
banche, mattatoi, industrie di
conservazione...)
avrebbe
coperto200ettari,con13.000
recinti per gli animali, 480
kmdirotaie,40kmdistrade,
80 km di fogne, 150 km di
condutture e 10.000 idranti.5
Al loro apogeo, dopo la
Prima guerra mondiale, le
Stock Yards avrebbero
trattato 19 milioni di animali
(più di sei bestie per ogni
Chicagoan allora residente) e
impiegato 30.000 dipendenti6
mentre
l’insieme
dell’industria meat-packing
nel 1919 impiegava a
Chicago46.000persone.
Le Yards, con le loro
grandi disassembly lines,
rappresentano l’acme non
solo della centralizzazione,
ma
anche
della
razionalizzazione
capitalistica. Per i mattatoi
industriali erano necessari
capitalisemprepiùgrandi.Ai
primi
anni
1860
l’investimento
per
un
mattatoio era di 50.000
dollari;allafinedeldecennio
sarebbe stato di mezzo
milione di dollari (di allora):
le Union Stock Yards di
Chicago furono volute e
finanziate dalle grandi linee
ferroviarie che caricavano e
scaricavano il bestiame, per
poter razionalizzare percorsi,
tariffe, costi. Nel 1865, il
capitale iniziale delle Union
StockYardseradiunmilione
didollari:il92,5%venivada
nove
grandi
ferrovie
(Burlington, Illinois Central,
Alton ecc.), il 5% dai meatpackers di Chicago e il 2,5
dal pubblico. E le grandi
ferrovie erano in mano alle
banche dell’Est. Le Yards
avrebbero ripagato questi
investimenti: persino durante
la grande depressione degli
anni 1870 i dividendi
avrebbero reso il 10% del
capitale investito, con un
piccodel15%nel1879.
Nelle
Yards
questi
altissimi profitti furono resi
possibili da metodi sempre
più "scientifici’’. Scientifico
era l’uso del maiale fino alla
sua ultima setola (con cui si
fabbricavanospazzole).Nulla
venivasprecato(nonsolonei
suini, ma anche nei bovini e
negli ovini). Nel 1920, si
sarebbe giunti a produrre, da
unmanzodi1000libbre(450
kg), ben 41 sottoprodotti,
oltre, naturalmente, a 41
metri di budello da insacco.
Con le viscere si facevano
corde di violino. Dopo il
1879 fu trovato un metodo
per disseccare il sangue,
estraendone l’albume, così
che i packers potessero
rivenderlo con un pur
piccolissimoprofittoalleditte
di fertilizzanti. Gli zoccoli
erano tritati per diventare
colla. Le corna dei manzi
diventavano bottoni e pettini.
Le ossa più grandi manici di
coltelli, di spazzole, bocchini
di pipe. Le ossa più piccole
erano tritate per diventare
partedelmangimedeimaiali
prossimi venturi: a tutt’oggi,
il 14% del manzo lavorato
negli Stati Uniti torna a
nutrire altri bovini, riferiva
JoelBleifuss.7
Eranocioèstateinventate
quelle farine animali che ora
incombono,
minaccia
terribile, sulla salute degli
esseri umani attraverso la
sindrome
dell’encefalite
bovina spongiforme, quella
mucca pazza che ai più pare
una vendetta della natura
contro l’industrializzazione
del ciclo vitale degli animali
domestici. Oggi, di fronte al
tremito inconsulto delle
vacche folli, sembra un
paradosso che allora l'uso di
tutte le parti del bestiame
avesse anche un movente
“ecologico”, fosse reso
necessario dalle ordinanze
comunali per rimuovere le
montagnedirifiuti.Cosìigas
e i fumi prodotti dagli
impianti di raffinamento, una
volta mischiati a carbone,
poterono essere usati come
combustibile
per
l’illuminazione.
Ma ad aprire nuovi
orizzonti ai packers furono
due nuovi sottoprodotti. Il
primo fu l’"oleomargarina”,
succedaneo animale del
burro, prodotta con il grasso
di scarto della macellazione,
lavorato e raffinato. La
margarina fu inventata in
Francia durante la guerra
franco-prussiana del 1870, e
fu approvata dalle autorità
sanitarie francesi nel 1872.
IntrodottanegliUsanel1873,
vi ebbe grande successo
poiché si vendeva a metà
prezzorispettoalburro.
Il secondo sottoprodotto,
di gran lunga il più
importante, fu la carne in
scatola. I primi tentativi
d’inscatolare
il
cibo
risalivano al 1820, ma il
saporeeradisgustoso.Fusolo
con l’introduzione delle
autoclavi pressurizzate a
vapore, diffuse nel mercato
nel 1872-1873, che la carne
potè
essere
cotta
a
temperature superiori, più
rapidamente, e mantenere
quindi un sapore migliore.
Nel1874,WilsondiChicago
brevettava il primo "Originai
Corned Beef”. Lo scatolame
fece la grandezza della ditta
Libby,McNeilandLibby.
Scientifica
fu
la
produzione della carne anche
in senso proprio: i chimici
furono consultati fin dal
1870. All’inizio guardati con
sospetto,
si
rivelarono
preziosi
nell’inventare
sempre nuovi processi e
semprenuovisottoprodotti.
Ancora
più
impressionante
fu
l’organizzazione scientifica
della catena di smontaggio,
una
razionalizzazione
produttiva senza uguali nel
mondo. Nelle Yards la
disassemblyline raggiunse la
sua perfezione “geometrica”
("il produrre suini attraverso
la matematica applicata”
avrebbe scritto nel 1906 lo
scrittore Upton Sinclair nel
romanzoTheJungle).
Nel 1863 un impianto di
Chicago sfruttò per la prima
volta la forza di gravità nel
macello dei maiali: invece di
porre i recinti all’esterno a
piano terra, in questo
mattatoio le bestie erano
spinte lungo un piano
inclinato su fino al terrazzo
sovrastante i due piani
dell’edificio. Qui i maiali
erano lasciati a riposare un
giorno, prima di scendere al
recintodimacelloalsecondo
piano, dove erano uccisi con
una martellata in testa, e poi
erano scannati e dissanguati
dalla gola. Ma qui, ecco la
novità, il sangue colava in
appositi serbatoi attraverso
condutture inclinate. Su altri
scivolilecarcassecalavanoal
primo piano dove erano
lavorate,disossate,suddivise,
confezionate. Al piano terra
c’eranopoi"ettariedettaridi
prosciutti” appesi. Rimaneva
il tempo perso della
martellata in testa, poi dello
sgozzamento, la necessità di
trasportareilmaiale,ilsangue
che stagnava nel corpo
orizzontale.
MaWindsorLelandtrovò
lasoluzionenel1866quando
inventò la macellatrice (la
slauthering machine)·, un
gancio infilato nello stinco
delmaialevivoeratrainatoin
alto da una cremagliera
mossa da un elevatore a
vapore così che il maiale
restasse appeso per le gambe
al
nastro
trasportatore
sopraelevato lungo cui si
muoveva ed era sgozzato
ancora vivo (saltando la fase
dellamartellataintesta)epoi
erarasato,raschiato,scuoiato,
sventrato,
squartato,
sezionato, suddiviso in tagli:
ucciderelabestiaappesatesta
in
giù
facilitava
il
dissanguamento e migliorava
laqualitàdellacarne.
Non solo. Con questo
metodo, un macellaio poteva
squartare e sezionare nove
maiali in tre minuti. In due
minuti invece il maiale era
agganciato, montato, ucciso,
scottato, raschiato, sventrato.
Nel 1869, "la Chicago
Butchers
Association
[l’associazione degli operai
macellatori] sponsorizzò una
gara per coronare il primo
campione
nazionale
di
macello: due dei cinque
concorrenti,CharlesLeydene
Thomas Mulroney, erano
Chicagoans,glialtrivenivano
da St. Louis, Buffalo,
Toronto.
Cinquecento
spettatoripagaronoundollaro
ciascuno per vedere il
giovane Leyden macellare e
preparare il suo manzo in 4
minuti e 45 secondi” e
diventareilcampione.8
Nel1876fupoiinventata
una setolatrice automatica, la
hog-scrapingmachineconun
sistema di lame rotanti
regolate su molle, capace di
rimuoveretuttelesetoledalla
carcassainmenodiunquarto
diminuto(15secondi).
***
Più
macchine,
più
scientificità,
più
razionalizzazione. Se per
“impaccare” un maiale ci
volevano
ormai
pochi
secondi, per ottenere tanta
rapiditàeranoperònecessarie
centinaia di specializzazioni
assolte da centinaia di
uomini. Al suo apice, la
disassembly line avrebbe
impegnato 126 persone nel
macellodiunsingolomaiale:
laframmentazionedelsapere,
la
costituzione
delle
discipline,ladivisionesociale
del lavoro. Problemi ardui,
fondamentali,cheforsenonsi
poneva la squadra di 157
persone
impegnata
nel
macello di un solo bue in un
mattatoiodimediagrandezza
diChicago.
Ilmacelloelaconfezione
della carne erano quindi
condotti “secondo i princìpi
sistematici in accordo con il
progresso illuminato della
nostra nazione [in keeping
with the enlightenment of the
present age and progress of
our country]”: con queste
parole iniziava, nel 1875, la
relazione annua della Pork
Packers’ Association of
Chicago, quasi riprendendo
un reportage di James Parton
sull’“Atlantic
Monthly
Review”
del
1867
(letteralmente saccheggiato
daglistorici)9dovesidiceva:
“Chicago ora sfida l’umanità
adammirareilmodosquisito
in cui queste centinaia di
migliaia di bovini l'anno,
questo milione e mezzo di
maiali e ovini sono accolti,
alloggiati, nutriti e spediti,”
così che il commercio del
bestiame, “un mestiere
barbaro e repellente, è stato
ripulitodalfango,resolindo,
facile,
rispettabile
e
piacevole”.
La
“scientifica”
macellatrice aveva due altre
controindicazioni sensoriali.
Poiché il maiale veniva
sgozzato mentre era appeso
vivo, il sangue pompato dal
cuore schizzava dappertutto
spruzzato con una violenza
inimmaginabile dall’animale
che dondolando penzoloni
combatteva con la morte. Vi
erainfineilrumore.Imattatoi
antichi, in cui i maiali erano
uccisi con una martellata in
testa, erano silenziosi. Qui, il
maiale appeso con un gancio
infilatonellazampagrugniva,
squittiva con un verso acuto.
E questo gemito lancinante
proveniva simultaneamente
da migliaia e migliaia di
maiali.
“Non si potrebbe stare a
guardare a lungo senza
diventare filosofici, senza
mettersiapensareasimbolie
a cose simili, senza
cominciareaudireilgrugnito
dell’universo”scrivevaUpton
Sinclair. "Era davvero lecito
credere che non vi fosse in
nessun luogo sulla terra o
sopralaterraunparadisoper
maiali dove si riposassero di
tantesofferenze?”10Nellibro,
Sinclair mostra come il
sistema dei mattatoi usasse
fino all'ultimo strato di pelle
secca, fino all’ultimo osso in
polvere,finoall'ultimagoccia
di sangue non solo i maiali,
maancheglioperaidelmeatpacking, bestie umane che o
entravanonelclubdellefiere
carnivore e diventavano
complici della “giungla”, o
eranodestinatesoloanutrirei
padroni. La razionalizzazione
in linea con il “progresso
illuminato”
spingeva
i
lavoratori a una produttività
sempre più sfrenata: “Nel
1884
cinque
tenditori
[splitters] trattavano 800
bovini in 10 ore, 16 per
ciascuno a ora, per 45 cent
all’ora. Nel 1894, quattro
splitters lavoravano 1200
manzi in 10 ore, 30 all’ora a
persona, con un aumento
della produttività di quasi il
100% in dieci anni. Ma la
loro paga era scesa a 40 cent
l’ora”.11 Nei reparti di
scatolame, le donne erano
pagate 5 cent per ogni 100
scatole che dipingevano ed
etichettavano.
Un’operaia
riusciva a fame 2500 in un
giorno.Eilprocessoèandato
accelerandosi nel nostro
secolo:seafineOttocentoin
un mattatoio di Chicago una
squadra "processava” 120
buoi all’ora, 25 anni fa negli
Stati Uniti una catena di
smontaggio lavorava 175
carcasse allora, e oggi ne
lavora 390 (in Europa il
limiteèfissatotrai75ei100
corpieinAustraliaa115).
IllibrodiSinclairsuscitò
enorme scandalo, fu per sei
mesi in testa alle classifiche
divenditanegliUsaeinGran
Bretagna, fu tradotto in
diciassette lingue, provocò
una commissione d’inchiesta
del
Congresso.
Paradossalmente,ilrisultato
fu che la gente si preoccupò
di quel che mangiava, delle
analisi sanitarie e chiese
controlli sul meat-packing,
nonsullecondizionidilavoro
edisfruttamentodeglioperai
soggetti allora al metodo del
caporalato. Paradossalmente
ma non tanto. C’è qui un
riflessoprofondocheriaffiora
in altri campi della vita
americana,
puntiglioso,
pignolo su alcuni particolari,
quasi cieco sul quadro
d’insieme. Già nel decennio
1870-1880 la Società umana
dell’Illinois
per
la
prevenzione della crudeltà
sugli animali nulla aveva
potuto contro la disassembly
line, contro il “grugnito
dell’universo”, ma molto si
eradatadafare,conproteste,
lettereaigiornali,petizionial
Congresso, per rendere più
umano il trasporto, e aveva
ottenuto che le bestie non
potesseroviaggiareperpiùdi
un giorno senza essere
scaricate, nutrite, abbeverate
almeno una volta; che fosse
proibito l'uso illegale di
pungoli, fruste, forche; che i
pavimenti dei vagoni non
fossero più di assi di legno
sconnesse. Tutto ciò infatti
era interesse anche del meatpacking, perché la carne non
fosse sciupata, arrivasse
intatta, senza lividi e senza
grumi, sulle vetrine dei
macellai.
***
La logica dei costi fissi
esercitavacosìlasuatirannia
sullo sfruttamento della
campagna, sulla geografia
urbana, sul lavoro e sugli
svaghidegliumani,sullavita
e sulla morte degli animali.
Per esempio, questa logica
accorciò la vita dei manzi a
pocopiùdidueanni:primadi
quel tempo i vitelli
continuavano a crescere12;
dopo quell’età, l’animale
avrebbe consumato erba (o
fieno), avrebbe sprecato
pascolo
senza
crescere
ulteriormente: era quindi
quello il momento ottimale
per trasportare i buoi in
ferrovia (oggi la vita bovina
si è ridotta ulteriormente:
durasolo14mesi).
Ma c’era un altro ambito
sucuiagivaildispotismodei
costi fissi. Ed era lambito
delle stagioni, del ciclo
annuale del caldo e del
freddo. Come altre attività
commerciali di Chicago, fino
atuttoildecennio1860-1870,
la macellazione dei maiali
aveva seguito un ritmo
stagionale. I maiali venivano
macellati
all’inizio
dell’invemo, quando erano
più grassi, quando il freddo
permetteva di conservarne le
carcasse e quando la mano
d’opera era più a buon
mercato, poiché erano finiti i
lavori dei campi. Poi però,
con il freddo, le strade
diventavano impraticabili, i
canali ghiacciavano e i suini
macellati aspettavano la
primavera nelle cantine
ghiacciate. A Chicago, prima
della guerra civile, a luglio
era macellato un decimo dei
maiali lavorati a dicembre.
Ancoranel1870,tramarzoe
novembre,
i
packers
trattarono solo il 6% del
volume annuale. Ma così le
Yards funzionavano a pieno
regime solo per una stagione
e i milioni di dollari investiti
negli impianti restavano
inattiviperilrestodell’anno.
Daquiilbisognoassoluto
di far funzionare i mattatoi
per dodici mesi e quindi di
riprodurre l’inverno anche in
estate. Un obiettivo che solo
le ferrovie resero attuabile.
Nel 1858, per la prima volta,
viene
usato
ghiaccio
invernale,presodailaghi,per
immagazzinare il maiale
estivo. Impianti che lavorano
tutto l’anno rendono più
regolarel’offerta,stabilizzano
i prezzi, diminuiscono i costi
fissi,permettonodivenderea
prezzo
più
basso
e
conquistaremercatipiùvasti.
Così d’inverno il ghiaccio
comincia ad arrivare a
Chicago per ferrovia, su
sterminati
convogli
provenienti
da
laghi
ghiacciati posti sempre più a
nord. Questo ghiaccio viene
immagazzinato in locali
sotterranei,
isolati
termicamente, per essere
usato d’estate. Intere tratte
ferroviarie
e
stazionimagazzino sono costruite
appositamente, reggimenti di
operai immigrati vengono
mandati a tagliare il ghiaccio
sunelWisconsin.
Ma, pure iniziata con i
maiali, la rivoluzione del
meat-packing sarebbe restata
incompleta se non si fosse
applicataallacarnedimanzo
su cui pesava l’ostinato
"pregiudizio”chepreferivala
bistecca fresca, appena
macellata. Per questa ragione
i buoi che arrivavano a
Chicago ne ripartivano vivi
verso i mercati orientali di
New York e della costa
atlantica: per quanto si
autoproclamasseconorgoglio
“città bovina”, the bovine
city, Chicago era un mercato
dimanzi,piùcheuncentrodi
lavorazione. Trovare il modo
dispedireilbuetrattato(beef
dressed), e non più il bue
vivo, era essenziale per
ridurre i costi, vendere a
prezziimbattibilieallargareil
propriomercato:ilmanzogià
trattatopesasoloil45%della
bestiaviva;inoltreilbuevivo
perdeva peso durante i
quattro giorni del viaggio
Chicago-New York, e poi si
ferivaconglizoccolioconle
coma.Nel1866lo“Scientific
American”suggerivadiusare
le "scatole di ghiaccio su
ruote” per trasportare fresca
la carne. Suggerimento che
poneva parecchi problemi
pratici.
Una prima soluzione
venne da un mercante di
Detroit,
George
H.
Hammond, che nel 1868
costruì il primo vagone
frigorifero riempiendo di
ghiaccio le pareti dello
scomparto.Malarivoluzione
veraepropriapreseilviacon
Gustavus F. Swift, macellaio
bostoniano emigrato a ovest,
che nell’inverno del 1877
rispedì a Boston due manzi
trattati a Chicago lasciando
aperteleportedeivagoniper
conservarli
al
freddo.
L’esperimentoebbesuccesso.
Ora si trattava di costruire
vagoni frigoriferi in cui la
carne non toccasse il ghiaccio e non marcisse, tutte le
parti
delle
carcasse
viaggiassero alla stessa
temperatura
e
non
oscillassero
troppo
sbilanciando i vagoni, con
ventilatori per far circolare
l’aria. Dopo vari tentativi,
Swift risolse il problema
ponendo le barre di ghiaccio
sul tetto del vagone, così che
l’aria calda, salendo dal
pavimento, alimentasse la
ventilazione. Da allora i
vagoni frigoriferi dilagarono
e già nel 1884 le spedizioni
da Chicago di manzo trattato
superarono quelle di bovini
vivi.
Ancoraunavoltalalogica
del capitale (ripagare gli
investimenti fissi) plasma la
geografia dell’America, fa sì
cheifarmerdellontanoWest
coltivino mais, allevino
maiali e buoi che saranno
trattati a migliaia di
chilometri di distanza, a
Chicago, e poi mangiati
ancora a migliaia di
chilometri
sulla
costa
atlantica. Per questo si
dovette
costruire
una
gigantesca rete ferroviaria su
tutto il continente, immani
mattatoi a Chicago, avviare
un nuovo settore, l’industria
di
raccolta
e
immagazzinaggio
del
ghiaccio naturale. Philip
Armour, il più grande
mercante di tutti i tempi,
principe dei grossisti di
Chicago (diceva di sé: "Sono
solo un macellaio che vuole
andareinparadiso”),13costruì
a Pewakee, Wisconsin, una
struttura lunga 360 metri,
profonda 60 metri per
immagazzinare
175.000
tonnellate di ghiaccio per
volta.
Non era finita qui: c’era
da raffreddare non solo
mattatoi e vagoni alla
partenza,madariraffreddare,
dinuovoeincontinuazione,i
vagoni durante il viaggio.
Così fu necessario costruire
stazionidelghiacciolungole
strade ferrate, ognuna con il
suo magazzino di ghiaccio
che
richiedeva
un
approvvigionamentocostante.
TraChicagoeNewYork,per
un viaggio di quattro giorni,
erano necessarie cinque
stazioni. Ogni vagone di bue
refrigerato richiedeva 400
chili di ghiaccio a stazione e
300 chili di sale. Per
soddisfarequestarichiestaera
necessario spedire in pieno
invernomigliaiadispaccatori
sui laghi ghiacciati, mandare
altre migliaia di braccia a
costruire
infrastrutture
(strade, depositi, foresterie
per queste persone), altre
ancora
adibirle
alla
manutenzione. Un colossale
spostamento di uomini, la
creazione di intere cittadine.
Etuttoquestosarebbedurato
meno di vent’anni, spazzato
via dalla refrigerazione
artificiale.
I
frigoriferi
avrebbero
reso
inutili
specializzazioni
operaie,
competenze
tecniche,
avrebberolasciatodietrodisé
iruderidellevecchiestazioni
di ghiaccio, i depositi
sotterranei;
avrebbero
restituito alle trote e ai pesci
bianchiilaghidelWisconsin
che per un breve lasso di
tempo avevano conosciuto
un’attività rabbiosa, la ressa
dei lavoranti, lo strepito, le
grida,ifuochi.
Nel 1872 uno scozzese
aveva brevettato in America
un
refrigeratore
a
compressione d’ammoniaca.
Armour mise un frigorifero
artificialeinfabbricanel1883
e Swift fece altrettanto nel
1887. Nel 1889 un saloon di
Chicago ostentava fiero un
Iceless Refrigerator.14 II
macello dei bovini passò da
400.000manzinel1880apiù
dì 2 milioni nel 1890. Dotate
di frigoriferi artificiali, le
fabbriche
erano
ormai
illuminate
dall’elettricità,
collegate con i commercianti
dituttoilmondoviatelegrafo
e con i propri uffici cittadini
viatelefono.
Nel giro di trent’anni la
rivoluzione del meat-packing
era compiuta, l’apparato di
produzione della carne
americana
era
stato
completamente centralizzato,
con le bestie che arrivavano
dalle lande più desolate del
continente, venivano trattate
in immensi mattatoi in modo
industriale e poi redistribuite
dinuovointuttal’America.Il
motto degli Armour era "We
feed the World”, “noi
nutriamo il mondo”. Il tutto
sotto la spinta dei costi fissi,
della remunerazione degli
investimenti iniziali. Proprio
come era già avvenuto per le
tariffe ferroviarie e per il
mercato dei cereali. Non a
caso Philip Armour, oltre al
suo impero suino e bovino,
commerciava per di più il
30%delgranomondiale.Elo
stesso Armour avrebbe
applicato al trasporto della
frutta californiana il metodo
dei vagoni frigoriferi: era
iniziata l’epoca del fruitpacking.
Poiché manteneva la
carne
“fresca”,
la
refrigerazione modificò il
concetto stesso di bue.
Lasciandoilmanzooriginario
a migliaia di chilometri dal
cliente e dai suoi occhi, il
vagone frigorifero esigeva
che fossero definite precise
qualità
standard
delle
carcasse, perché il cliente
fosse sicuro di ricevere
esattamente la mercanzia che
voleva. La carne di qualità
Chicago n. 1 veniva
dall’Illinois, Iowa, Kentucky,
Indiana ed era per i palati
esigenti; la n. 2 veniva dal
Colorado e dal Montana,
doveceranoimiglioribovini
occidentali;lan.3eradibuoi
texani dalle lunghe coma.
Una volta stabilite le qualità
ideali di carne, era possibile
comprarle
e
venderle
astrattamente in anticipo sul
mercato dei futures, proprio
come i cereali. Dopo essere
stataindustrializzata,lacarne
era
finanziarizzata:
la
rivoluzioneeracompleta.
Il
“frigorifero-senzaghiaccio” segnò quindi il
trionfodelmeat-packingedei
mattatoi di Chicago, quelli
descritti da Upton Sinclair,
che stavano al macello
tradizionale come la grande
fabbrica sta alla bottega
medievale
dell’artigiano:
erano
l’apoteosi
della
centralizzazione, il massimo
delle economie di scala e
quindi del gigantismo, la
perfetta
integrazione
verticale, dalla bestia viva
allo scatolame al ristorante.
Erano la più grande industria
di Chicago. Ma proprio la
refrigerazione
artificiale
innescò un seppur lento
declino:
diventava
inessenziale la posizione
climatica di Chicago (così
vicinaalghiaccionaturale).Il
suoruolodisnodoferroviario
sifacevamenoimportante:in
un vagone frigorifero, se le
carcasse potevano viaggiare
per1000migliadaChicagoa
New York, potevano anche
percorrere 2000 miglia da
Kansas City all’Atlantico.
Già nel 1890 l’aiutante di
Philip D. Armour, Michael
Cudahy,aprivaunimpiantoa
Omaha(Nebraska).Lostesso
Armour apriva una packinghouseaKansasCity.
Le Stock Yards di
Chicago avrebbero toccato
l’apogeo appena dopo la
Prima guerra mondiale. Ma
già l’automobile - e con essa
il camion frigorifero - erano
in agguato. Unito alla
refrigerazione artificiale, il
trasporto su ruota liberò il
commercio della carne dalla
“schiavitù” dei costi fissi,
dalla rigida centralizzazione
inerente alle ferrovie, rese
meno appetibili le economie
di scala. Il declino cominciò
già negli anni venti. Non più
grandi mattatoi centralizzati,
ma impianti decentralizzati
resi possibili dai camion che
trasportavano la merce fin
sull’usciodelnegozio.Conla
Seconda guerra mondiale il
destino delle Yards era
segnato. Nel 1971, dopo
centosei anni, i mattatoi di
Chicago
chiusero
definitivamente, soppiantati
dalle "filiali periferiche” di
Kansas City, di Omaha, di
Peoria. Ma anche in queste
cittàimattatoisonodiventati
invisibili.Invanolihocercati
a Kansas City, sulle rive del
Kansas.
OggileStockYardssono
cinte interminabili di mura
grigie e marroni che
nascondono ormai il niente e
la ruggine in un silenzio
spesso, angosciante quanto i
grugniti di un tempo. Ma
abbandonati dalla risacca,
sono rimasti qui i milioni di
immigrati che a ondate i
mattatoi avevano attirato. I
macellisisonoallontanatida
Chicago, in una diaspora
suina e bovina, ma qui ha
sede McDonald’s; da qui
dirigono
altre
grandi
multinazionalidelcibo,come
Quaker Oats; qui, al
Mercantile Exchange c'è
ancora il più grande mercato
mondiale
di
bestiame,
mercato concreto di merce
immateriale,doves’ipotecano
boviniesuinifuturi.
Packingtown è una città
morta
a
Chicago,
è
archeologia del capitalismo
ferroviario. Ma è più florida
che mai l’industria che
Chicagohadatoalmondo:il
meat-packing,
per
cui
mangiamo il beef dressed
(letteralmente
“vestito”,
preparato).Nonsivedepiùla
“giungla”diSinclair,maoggi
comenel1906,sololalogica
delcapitale(laleggedeicosti
fissi,
l’esigenza
della
standardizzazione,
la
necessità
della
conservazione) connette il
buechepascolanelMichigan
e l'hamburger mangiato in
California: è il muggito
dell’universo.
1LacifraècitatadaEric
Schlosser,
nel
suo
documentatissimo
Fast
Food Nation. The Dark Side
of the All-American Meal,
Harper Collins, New York
2001, trad. it. Fast Food
Nation,MarcoTropea,Roma
2002,p.297.
2 Dati tratti dal sito web
del National Agriculture
Statistical Service (Nass),
www.nass.usda.gov.
3 Citazioni tratte da W.
Cronon,op.cit., pp. 208-209
e226.
4 Citato da Louise
Carroll Wade in Chicago's
Pride. The Stockyards,
Packingtown, and Environs
in the Nineteenth Century,
Illinois University Press,
Urbana-Chicago 1987, pp.
32-33.
5 Robert A. Slayton,
Back of the Yards. The
Making
of
a
Locai
Community,
Chicago
University Press, Chicago
1986,p.20.
6
In Irving Cutler,
Chicago, Metropolis of the
Mid-Continent,
The
Geographical Society of
Chicago, Chicago 1973,
Kendall/Hunt Co., Dubuque
(Iowa)19823,pp.160-161.
7 Nella rivista “In These
Times”,
24
gennaio-6
febbraio1994.
9 Marzo 1867, n. 19, pp.
332-333.
10 Upton Sinclair, The
Jungle (1906), trad. it.
Mondadori,Milano1983,62.
11R.A.Slayton,op.cit.,
p.88.
12W.Cronon,op.cit.,pp.
222-224.
13 Harper Leech, John
Charles Carroll, Armour and
his Times, D. AppletonCenturyCo.,NewYork1938,
p.236.
14L.C.Wade,op.cit.,pp.
199-200.
4.Comprareilfuturo
Ecco una città che non
solo ha inventato il
commerciodelfuturo,mache
ha cominciato a comprare e
vendere l'avvenire ancora
primadiesistere.Erail1833,
soltanto centosettant’anni fa.
Là dove il piccolo Chicago
River sfocia nel Lago
Michigan, non c’era ancora
nessuna metropoli, nessuna
grande stazione ferroviaria,
nessun mattatoio. In questo
villaggioappenaproclamatosi
comune autonomo, vivevano
soltanto 350 persone.1 Non
c’era una sola strada
lastricata.Soloalcunefattorie
intorno, indiani, cacciatori di
pellicce discendenti dei
francesi,
soldati
della
guarnigione
Usa.
E
speculatori. Lotti di terra che
nel1829eranostaticomprati
a 33 dollari l’uno, arrivarono
a 100.000 dollari (di allora)
sette anni dopo, nel 1836,
quando la città aveva
raggiuntosoloi4000abitanti.
A questo prezzo erano
venduti appezzamenti vuoti,
prati lasciati incolti dagli
indiani costretti ad andarsene
dopolarivoltadiFalcoNero
(1832), “terra selvaggia”
come osservavano i rari
viaggiatori. Il boom dei
prezzi era basato su una
previsione:l’enormeaumento
di valore dei terreni quando
sarebbe stato costruito il
canale che avrebbe collegato
il Lago Michigan al fiume
Illinois
affluente
del
Mississippi. Poiché il Lago
Michigan era già collegato a
New York e all’Atlantico
attraverso prima il Lago Erie
e poi l’omonimo canale Erie
(aperto otto anni prima, nel
1825), questo canale Michigan-Illinois
avrebbe
collegato l'Atlantico e New
Yorkdaunlatoconlegrandi
piane centrali, il bacino del
Missouri-Mississippi
dall’altro e Chicago sarebbe
diventata il trait-d’union fra
questedueimmensearee.
Ironia della sorte, le
speranze dei Chicagoans si
fondavano allora sulle vie
d’acqua, non sapendo che le
loro fortune si sarebbero
basate sulle vie ferrate.
Naturalmente, dopo il boom
speculativo,
con
la
depressionedel1837,quando
i lavori per il canale furono
interrotti per il lievitare dei
costi, i prezzi crollarono. Il
canale dovette aspettare
ancora più di un decennio e
fu aperto solo nel 1848:
all’evento fu dato un risalto
molto
maggiore
che
all’inaugurazione della prima
lineaferroviariadellacittà,la
GalenaandChicago.
Chi aveva comprato nel
1833, aveva acquisito non la
landa desolata che vedeva
davanti a sé ma la terra
futura,qualesarebbedivenuta
dopo il canale. Aveva
comprato un “futuro”. Che
poi non si era realizzato.
Quellascommessaavevaperò
innescato un altro destino:
quando infine il canale fu
aperto,
nel
1848,
i
Chicagoans non giocavano
più sul futuro immobiliare
dellacittàmaspeculavanosul
commercio dei cereali. Il
canale moltiplicò per dieci
l’afflusso di grano e di mais
dalle fattorie intorno: i
contadini non dovevano più
affrontareisentierifradici,le
pozze e i disagi del viaggio
per terra. Proprio nel 1848,
ottantadue mercanti crearono
il Chicago Board of Trade
(Cbot), la Camera di
commerciodiChicago.
E dal commercio più
grossolano e più arcaico, lo
scambio di derrate agricole e
di bestiame, doveva nascere
la forma più sofisticata di
mercato, quella sui “futuri”.
Perché il corso delle derrate
agricole
dipende
dalla
meteorologia: buon tempo
significaraccoltoabbondante,
cioèprezzobasso.Viceversa,
condizioniclimaticheavverse
significano scarso raccolto,
quindi prezzo alto. Per il
bestiame, dopo un’epidemia,
il prezzo salirà. Dopo uno
scarso raccolto di soja, il
prezzo scenderà perché gli
allevatori dovranno abbattere
molto bestiame perché non
converràpiùnutrirlo.
Seiosonounfabbricante
di spaghetti, ho bisogno che
mi
sia
garantito
l’approvvigionamento
in
grano, devo comprarlo in
anticipo
sul
prossimo
raccolto.Solochefraunanno
il raccolto potrà essere
abbondantissimo, quindi il
prezzo sarà molto più basso
diquellochehopagatooggi,
e allora avrò preso una
fregatura. Viceversa, se
coltivo grano e vendo oggi il
prossimo raccolto, e poi
l’anno prossimo ci sarà
siccità, il prezzo salirà
moltissimo,avròpresoiouna
buggeratura. Ecco quindi
nascereicontrattiatermine,i
"contratti in avanti”. Il primo
forward contract sul mais è
firmatoaChicagoil13marzo
1851 per 3000 bushels (3
bushels fanno quasi un
ettolitro) da consegnarsi nel
giugno successivo. Certo, la
stretta di mano del 1851 fra
contadiniodorosidifienoedi
letame non ha niente in
comuneconlospettacolocui
si
assiste
oggi
nel
modernissimo grattacielo del
Mercantile Exchange a
Wacker
Drive.
Dall'osservatorio che si
affaccia a balconata sopra la
saladelletransazioni,vediun
antro di 3600 mq, un campo
di calcio, con dentro 4000
persone (il parterre della
Borsa può contenerne 4300)
chesiagitano,gridano:ivolti
si contraggono esaltati in
adorazione
delle
cifre
luminose che appaiono sui
muri; le mani si muovono
frenetiche; le dita parlano
rapidissime in un linguaggio
da sordomuti; le teste
oscillano come a pregare le
azioni. A non sapere nulla,
assisti a un mistero antico, a
una festa in un monastero
tibetano, a un’allucinazione
delle percezioni, quasi a
un’estasi. Neanche da Wall
Street si sprigiona questa
religiositàaliena.
L’esausta, febbrile trance
ipnotica dei commessi (floor
traders) ricorda i cerimoniali
studiati dagli antropologi. E
propriocomeunantropologo,
ti rendi conto di star
guardando riti destinati a
scomparire:
“che
ci
scompaiono proprio sotto i
nostri occhi’’.2 Già oggi il
Chicago Board of Trade e il
Mercantile
Exchange
programmano di sostituire i
pits materiali con una
transazione cibernetica: lo
sbracciarsi, l’annaspare, lo
sgolarsisarannotuttisostituiti
dal clic di un mouse che
sancirà contratti su un
computer in rete.3 Così già
nel 2005 non esisterà forse
più quel che nel 1848 ancora
non c’era, e saranno
scomparse le migliaia di
commessi, in giacchette da
camerieri del capitale che,
stanchi, sciatti, svuotati
dall’amplesso del mercato
azionario, addentano un
hamburger nella cafétéria al
neon.
Nel1848tuttoquestonon
c’era, ma certo c’era già la
frenesia: il luccichio degli
occhi nella speranza del
lucro, il terrore acquattato
nella
prospettiva
della
bancarotta. C’era già questa
spintainavanti,quest'ansiadi
futuro che sta a metà fra la
tensione a bruciare i tempi e
il timore per l’avvenire,
l’incubo del fallimento. Con
questa frenesia, i 350
Chicagoans del 1833 erano
aumentati, diciassette anni
dopo, di 80 volte (erano
30.000nel1850)e,dopoaltri
ventun anni, si erano ancora
più che decuplicati (erano
334.000 nell’autunno del
1871). Dal 1871 al 1900 la
popolazione
quintuplicò
ancora fino a 1.698.000
abitanti, e nei successivi
trentanni raddoppiò ancora,
fino a contare 3,3 milioni di
abitanti nel 1930. In meno di
un secolo, dal 1833 al 1930
un villaggio di 350 persone
era diventato una città di 3,3
milioni di abitanti. Il futuro
era diventato un presente e
oggi è un passato che forse
non tornerà più, per la
"disurbanizzazione”,
la
tendenza al declino delle
città. Né si ferma qui il
processo di distillazione del
commercio.
Lo
stesso
scambio dei futures, già così
incorporeo rispetto ai buoi e
alla soja, sarà esso stesso
smaterializzato, instradato su
circuiti
integrati,
immagazzinato nei chips,
gestitodaiprocessori.
Oggi a Chicago non ci
sono più i mattatoi, non
arrivano più convogli di
legnameedicereali,lacittàè
in declino come centro di
commercio materiale, di
merce tangibile. Deve la sua
grandezza al permanere delle
istituzioni astratte, della
quintessenza spiritualizzata
delcommercio.Unpo’come
Londra che da tempo ha
cessato di essere capitale di
un impero coloniale, politico
e militare, ma è restata
capitale
dell'impero,
immateriale ma quanto
concreto, della finanza, della
banca: la City. Così a
Chicago non transitano più
manzi, ma futures sui buoi,
non bushels di mais, ma
futuresdisoja.
***
Il commercio dei prodotti
agricoli e dei loro futures ha
fattolagrandezzadiChicago,
l’ha plasmata. Nel frattempo
ha modificato i prodotti
agricolistessi,ha“ridefinito”
i buoi, i manzi, il grano, il
legname. Uno dei problemi
conicontrattiinavantièche
bisogna avere ben chiari gli
standard della merce futura
davendereecomprare.Quale
qualità di grano, quale
percentuale di umidità, quale
deviazione dalla media è
consentita.
Per
poterla
vendere come se fosse
denaro, bisogna che la merce
stessa sia scambiabile ed
equivalente.
Lo
stesso
problema si pose nel tardo
Ottocento nelle merci per
corrispondenza, nei cataloghi
postali (altra invenzione
chicagoan).Èilproblemache
ci si ripresenta oggi quando
compriamo per e-mail. Se
non c’è uniformità, non
possiamofidarcidellaqualità
di ciò che compriamo. E il
commercio dei futures è una
forma di acquisto per
corrispondenza, solo nel
tempo,nonnellospazio.
Se
non
c’è
standardizzazione non c’è
mercato dei futures e, a sua
volta, il mercato dei futures
può vendere e comprare solo
beni standardizzati. È il
mercato
dei
futures
rappresenta solo la forma
finanziaria per cui nelle
società opulente la mercecibo è disponibile sempre,
ovunque, nei supermercati,
con qualità controllabili, con
caratteristiche paragonabili.
Non ci si stanca mai di
riflettere
sulla
potenza
dispiegata
dalla
standardizzazione,
sui
meccanismi che essa è in
gradodigenerare,dalleprese
dei telefoni che funzionano
solosesonotutteuguali,alle
viti e ai bulloni che
compriamo indifferentemente
daunferramentaodaunaltro
solo perché sappiamo che
passo e calibri sono
standardizzati,
intercambiabili. In tutto
l’immenso territorio degli
Stati Uniti, camper e roulotte
possono attingere acqua in
tutti i campeggi solo perché
prese e bocchettoni sono
uniformi. Nathan Rosenberg4
ha
mostrato
come
nell’Ottocento
la
standardizzazione sia stata il
fulcro
dell’innovazione
tecnologica
creando
l’industria delle macchine
utensili.Acontrario,chioggi
usa il computer sa quali guai
crei la mancanza di uno
standard
comune
nel
software.
Perché sia possibile un
mercatodeifuturesagricoli,il
singolo contratto deve essere
il più determinato possibile:
va stabilito quando si può
contrattare, quali sono i
minimi limiti di oscillazione,
quando la data di consegna,
quale l’esposizione massima,
qual è l’unità da scambiare.
Nel caso di beni già
immateriali, come le monete,
è facile determinare le
caratteristiche della "partita”:
unasterlinaingleseèugualea
un’altra sterlina. Ma quando
si comprano manzi o maiali,
come si fa a essere sicuri
della quantità e qualità della
merce che si compra? Ci si
premunisce esigendo criteri
uniformi di qualità, quantità,
peso, volume..., anche se nel
mondodellemacchineedegli
utensili e delle monete la
standardizzazione sembra più
naturale, più intrinseca, in
quanto questi strumenti sono
artificiali, pensati per essere
standard. Molto di più
colpisce la standardizzazione
inunagallina,inunuovo,in
un vitello, in un porcellino o
inunaqualitàdigrano.
Niente è lasciato al caso.
A questo scopo, si deve
stabilire che il bovino vivo
(Live cattle, unità di 40.000
libbre, circa 18 tonnellate)
deve essere composto da
animaliognunodi1050-1200
libbre(480-540chili)dipeso
medio, con un massimo di
deviazioneindividualedi100
libbre. Nei futures sul
legname si stabilisce per
l’unità (4400 metri cubi) un
massimodiumiditàdel19%,
il legno deve essere tagliato
inassirettangolari,legatocon
nastri di acciaio, avvolto in
carta, in pacchi di assi di
lunghezza omogenea non
minoredi2,4enonpiùlunga
di 6 metri, soddisfacente i
criterifederaliperillegnoda
costruzione, proveniente solo
dai seguenti stati Usa e
province
canadesi
California, Idaho, Montana,
Nevada,
Oregon,
Washington,
Wyoming,
British Columbia e Alberta e così via con altre
definizioni.
Ma il primo passo in
assoluto è creare una
discontinuità, stabilire un
criterio
discontinuo
di
classificazione che istituisca
unnumerolimitatodiqualità
per ogni prodotto, mettiamo
cinque e solo cinque qualità
diverse di carote, ordinate in
modo che la qualità 1 sia la
più a buon mercato e la
qualità 5 sia la più cara.
Creare
queste
qualità,
nominarequestitipidiversidi
carota, è un’operazione
commerciale ma è anche -
senzascherzi-un’operazione
epistemologica.
In natura infatti non
cresconocarotetutteugualidi
qualità1operetutteugualidi
qualità 2, ma carote, pere e
frutti di sapori, qualità e
misure diversi, anche se
simili, che l’uomo raggruppa
arbitrariamentesottoununico
nome. Per esempio, nel
grano, le diverse specie si
differenziano in modo quasi
continuo,
con
scarti
lievissimi,perdimensionidei
chicchi, tenore di umidità,
consistenza, colore e potere
nutritivodellafarinaprodotta.
A questa scala continua di
beni che la natura ci porge,
perché essi diventino merce
scambiabile in astratto, su
carta, il mercante di futures
deve
sostituire
una
graduatoria discontinua di
limitate qualità diverse:
qualità1,2,3...
Queste
qualità
definisconounazona,un’area
in cui sono raggruppati grani
diversi che poi vengono tutti
catalogaticonlostessonome.
Due grani molti simili
possono trovarsi in qualità
diverseperchéviciniallimite
tra le qualità, come paesi
contigui in nazioni diverse
perché sulla frontiera. Ora,
nonconvienecoltivarespecie
della qualità bassa vicino al
limite con la qualità alta;
meglio coltivare specie
situate verso il basso della
qualitàalta,cherendedipiù.
Ladefinizioneintervienecosì
nella selezione delle specie,
favorendo sempre le specie
situate verso il basso delle
qualitàsuperioriesfavorendo
le specie situate verso l'alto
delle qualità inferiori. Intere
varietà situate in queste zone
sfavorite scompariranno, a
causa di una definizione
originariamentearbitraria.
Definire per esempio
cinque e solo cinque tipi di
mele farà sì che le mele
prodotte saranno tutte di
cinque e non più di cinque
tipi.Senzasaperlo,ilmercato
deifuturesaffrontaerisolvea
modo suo la discussione
medievale sugli universali, il
dibattito tra nominalisti e
realisti, quando gli scolastici
cercarono di risolvere il
dilemmaseinomidellecose
sono pura convenzione, alito
di voce, o se le idee
corrispondono alla realtà
oggettiva di ciò di cui esse
sono idea, o se ancora esse
hanno una realtà propria
indipendente da noi che le
pensiamo e dagli oggetti che
vediamo. Per vendere e
comprare un bue-futuro, il
mercatodevedefinire“ilbue
ideale”, “l’idea di bue”. Una
volta definita quest’idea,
fissato lo standard, la realtà
del bue allevato deve
adeguarvisi, altrimenti non
trova mercato. Negli Stati
Uniti ogni anno migliaia di
tonnellate di mele sono
buttate perché di dimensioni
inferiori
di
qualche
millimetro a quelle fissate
dagli standard ufficiali. Qui,
perquantoall’inizioderivida
una
pura
convenzione
arbitraria, il nome della cosa
produce la sua cosa. Non
solo. Esso ne definisce
l’essenza, la quidditas, e
perciò esclude dalla sua
sostanza tutto ciò che non
rientra nella definizione. Nel
mercatodeifuturesdimanzo
non è definito il sapore della
bistecca, come nei futures
delle mele non è definito il
sapore, ma solo la varietà, la
dimensione, il colore. Quindi
la quidditas della mela, la
“melità”èdefinitadalcolore,
dalla consistenza, dalla
dimensione, più in generale
dalla forma, ma non dal
sapore.Eseilsaporeètroppo
“definito”,essosiscostadalla
norma.Megliounnonsapore
cheunsaporetroppopreciso.
Quella stessa definizione che
si disinteressa del sapore
della cosa tende a produrre
cosesenzasapore.
Ecco
perché
nei
supermercati le galline sono
tutte uguali, le mele hanno
identiche dimensioni, le
arance hanno indistinguibili
colori.Enullahasapore.Per
poter essere sottomesse al
mercato dei futures. Perché i
signori di Chicago (e New
York, e Hong Kong, e
Londra,eSingapore)possano
scommetterci, puntarci, non
nelle bische clandestine,
come i comuni mortali, ma
nei grandi templi del denaro,
nei "culpii”, come li chiama
Oipaz, il protagonista del
bellissimo romanzo dello
storico inglese Edward
Thompson.5
***
I future contracts furono
inaugurati nel 1865, appena
alla fine della guerra civile
americana. Oggi, meno di
centoquarant’anni
dopo,
Chicago è la capitale
planetaria del mercato dei
futures:circaunterzoditutti
gli scambi mondiali passano
per le rive del Lago
Michigan, anche se il suo
predominioèmessoarischio
dalla concorrenza sempre più
spietatadellealtrepiazzeche
l’hannocostrettaaunaretedi
alleanze.
Il
Mercantile
Exchange ha stretto un patto
con le piazze di Parigi,
Singapore, Toronto, Sao
Paulo, Montréal, mentre il
Chicago Board of Trade si è
alleato con il sistema francosvizzero Eurex. Dal 1865 il
commercio dei futures si è
andato sofisticando. Si
comprano e vendono futures
sulle derrate agricole, sul
bestiame (vivo e congelato),
sulla legna, sui fertilizzanti.
Non solo. Un future sul
maiale a un anno è un
contrattochecompraoggiun
contratto per maiali tra un
anno. Questo è un concetto
generale che vale per una
quantità di altri contratti.
Tutte le altre materie prime
sono passibili di futures.
Pensate al petrolio e alle sue
fluttuazioni per ragioni
politiche (guerra del Kippur,
invasione del Kuwait). Non
solo. Se io sono un
importatoreamericanodiauto
tedesche, so che tra un anno
avrò bisogno di marchi
tedeschi. Ecco quindi i
futures
sulle
monete
(introdottinel1972,dopoche
nel 1971 Nixon aveva deciso
difarfluttuareildollaro)che
ebbero un boom spaventoso.
Ma poiché i futures hanno
sensopertuttociòchesubirà
variazioni in futuro, ecco i
futures sui tassi d’interesse,
sugli eurodollari, sul Libor.
Eccopoiifuturessugliindici
azionari,einfattiaChicagosi
trattanofuturessulloStandard
& Poor s 500 Index,6 e
sull’indice Nikkei. Ma basta
guardarsi attorno ed ecco
allargarsi il campo di attività
dei futures: perché non
trattare futures sui buoni di
stato, sull’indice dei prestiti
lanciatidaicomuniamericani,
suitassideimutuiedilizi?
Poi, nel 1982 Videa
geniale:poichéifuturessono
essi stessi variabili, si
possono trattare futures sui
futures, futures al quadrato,
edeccoapparirele“opzioni”
(sui futures). Nel 1999
(ultimo anno prima della
recessione del 2000-2003), il
volume di futures e options
era stato di 254 milioni di
contrattialChicagoBoardof
Trade (ma l’anno prima, il
1998, era stato record, con
281 milioni di contratti), e di
201 milioni di contratti al
Mercantile Exchange (Cme,
anche lì il record è però del
1989, con 226 milioni). Il
valore nominale dei contratti
del Cme era di 19.000
miliardi di dollari nel 1986,
50.000 miliardi nel 1991 e
183.000 miliardi nel 1999.7
Contando
l'indotto,
scommettere sul futuro dà
lavoro a circa 200.000
persone
nell’area
metropolitanadiChicago.8
Queste cifre sono così
enormi da sembrare irreali.
Materialmente vedi tanta
gente in giacchette dai colori
diversi, verdoline, celestine,
gialle, rosse, a seconda delle
funzioni di questi camerieri
(commessi,
clerks),
inservienti affannati del
denaro. Ma è l’immaterialità
che ti colpisce. Qui si
scambiano opzioni su futures
su contratti a termine.
Contratti alla terza potenza.
Ma niente esclude contratti
allaquarta,quintapotenza,in
ungiocochesiautoalimenta.
Un’immaterialità garantita da
una
rete
telematica
con 165.000 connessioni in
118paesi.
Con questa tecnologia
ultramoderna,quisigiocasul
gioco. È quindi un gioco
doppiamente pericoloso. Un
primoavvertimentocifuil19
ottobre del 1987 quando la
Borsa di New York perse il
21% in un giorno solo: il
mercato dei futures perse il
29%efuaccusatodiesserela
causa che amplifica i
guadagni speculativi quando
ci sono, ma amplifica anche
le perdite: e infatti le perdite
furonoancorapiùpesanticon
ilcrolloazionariodel2001.E
tu ti immagini questi milioni
di tonnellate di cotolette di
porco
congelate
che
viaggiano immateriali via
computer da Hong Kong a
Londra via Chicago. E ti
chiedi cosa capiterà alle
scrofe, ai buoi, ai vagoni di
mais, quando, un giorno o
l’altro,questeretiandrannoin
cortocircuito.
Giocare sul futuro è un
concetto ambiguo. Nel
mercato del bestiame si
acquistaildirittoacomprarsi
una mandria tra un anno. Ma
quanti altri diritti si possono
comprare? Un cacciatore
potrebbe comprare il diritto
perl'annoprossimodisparare
in una riserva a cento anatre.
Un automobilista potrebbe
comprarsiildirittoauntotdi
incidentiassicuratiperl’anno
prossimo. Ci sarebbe un
mercato dei futures sugli
incidenti stradali con titoli
emessi dalle assicurazioni.
Nel 2003 il Pentagono aveva
persino proposto di istituire
un mercato dei futures sugli
attentati
terroristici:
la
proposta suscitò un putiferio
efuritirata.9 Anche questo è
unfuture.Piùconcretamente,
dal marzo 1993 al Chicago
Board of Trade sono stati
messi all’asta i futures sui
diritti
d’inquinare,
di
appestarel’ariaconl'anidride
solforica.
I diritti d’inquinamento
sono i pollution rights, detti
anche clean air (aria pulita,
dal nome della legge del
1990, Clean Air Act, che ha
introdotto
il
mercato
borsisticodell’inquinamento).
Secondoquestalegge-prima
che
l’amministrazione
George W. Bush di fatto la
svuotasse -, alle più
inquinanti centrali a carbone
degliStatiUnitieraassegnato
un numero prefissato di
permessi
d’inquinamento.
Ognuno
autorizzava
a
emettere una tonnellata di
anidridesolforica(SO2)inun
certo anno. Se l’impianto
emetteva più tonnellate,
doveva
comprare
i
corrispondenti
diritti
d'inquinamento;
se
ne
emetteva di meno, poteva
vendereadaltriipermessidi
inquinare
che
"aveva
risparmiato”,o“depositarliin
banca”,tenendolidaparteper
usarli in futuro. L’idea era di
rendere conveniente per i
produttori
ridurre
l’inquinamento e incitarli ad
adottare macchinari che
risparminoSO2.
Vadaséche,dopoidiritti
d'inquinamento, dopo i
futures d’inquinamento, ci
saranno anche le "opzioni”
d’inquinamento. E anzi, gli
Stati Uniti hanno cercato di
rendere globale il mercato
dell’inquinamento.Dopoaver
firmato (ma mai ratificato e
infine, con l’amministrazione
Bush Jr. denunciato) il
trattato di Kyoto nel 1997
sulla
riduzione
delle
emissioni
di
anidride
carbonica, gli Stati Uniti
continuarono per anni a
condizionare la propria
ratifica alla possibilità di
comprare
diritti
d'inquinamentodaaltripaesi.
In questo modo, con il
meccanismo dei futures il
paese più inquinante del
mondononriducevaaffattoil
suo
potenziale
di
avvelenamento,
ma
continuava ad accrescerlo
confidando sui risanamenti
ambientali altrui. Gli Usa si
rivolgevanoinparticolarealla
Russia che, dopo aver perso
la Guerra fredda, ha subito
una
drammatica
deindustrializzazioneequindi
disponeva di un abbondante
surplus
di
“crediti”
d’inquinamento. La Russia
sconfitta che, con i propri
crediti, permette agli Usa
vittoriosi di non tagliare le
loro emissioni ci introduce a
una forma inedita di
risarcimenti
di
guerra,
risarcimentiambientali.
Ma già si è visto che
questa soluzione di mercato
all'inquinamento, e cioè la
creazione di un mercato
dell'inquinamento, è inficiata
proprio nel suo presupposto:
la
scambiabilità,
la
convertibilità di un’unità
standard d’inquinamento, in
questo caso una tonnellata di
anidride carbonica CO2 o
solforosa SO2. Fin dalla
prima asta, a vendere
pollution rights sono state le
industrie situate in zone a
bassoinquinamento,mentrea
comprarlisonostateindustrie
inzoneadaltoinquinamento,
colrisultatocontrarioaquello
che
i
legislatori
si
prefiggevano,
cioè
di
aggravareilproblemalàdove
è già grave e di alleggerirlo
dovenonèancoraurgente.È
evidente: a un vecchio
impianto converrà comprare
diritti
d’inquinamento
piuttostochedotarsidinuovi
macchinari.Egliimpiantipiù
vecchi sono concentrati nelle
zone industriali storiche,
focolaidell’inquinamento.
Sotto
quest’apparente
eterogenesi dei fini (la
volontàdelbenecheproduce
il male), soggiace una
convinzione profonda, e cioè
che i guasti (ambientali)
prodotti dai meccanismi del
mercato possano essere
guariti solo dal mercato
stesso e che l’opera di
riparazione dei disastri
causati dal desiderio di
guadagno possa essa stessa
diventare fonte di guadagno.
C’è qui una simmetria tra il
funzionamentodelmercatoin
generale e quello dei futures
in particolare. Come ci può
essereilfuturedel future del
future,
così
si
può
intraprendere un secondo
businesscheripariidannidel
primobusinessepoiunterzo
che rattoppi i danni causati
dal secondo, e così via,
moltiplicando
all’infinito
speculazionieprofitti.Anche
se certo non se lo
immaginavano
centosessant’anni fa i pellerossa e i
cacciatori francesi sulle rive
del fiume Chicago (parola
cheinlinguaindigenavoleva
dire “aglio”, o “cipolla”,
almenocosìpare).
1 Cifra fornita da Irving
Cutler, Chicago, Metropolis
of the Mid-Continent, cit., p.
19.
2"Thesedieawayunder
our very eyes": Bronislav
Malinowski,Argonautsofthe
Western Pacific (1922),
Waveland Press, Prospect
HeightsIll.1984,p.xv.
3 An Uncertain Future
for Chicagos Pits, in
“Financial Times”, 24 agosto
2000.
4
Nel
volume
Perspectives on Technology,
Cambridge University Press,
Cambridge (Mass.) 1976.
Unaselezionediquestisaggi
è stata tradotta in italiano da
Rosenberg & Sellier, Torino
1987,coniltitoloLeviedella
tecnologia.
5EdwardP.Thompson,
The
Sykaos
Papers,
Bloomsbury, London 1988,
trad.it.Oipaz,EditoriRiuniti,
Roma1991.
6LoStandard&Poors
è un indice basato su 500
compagnie - 400 industriali,
40 finanziarie, 40 di servizi,
20 di trasporto - che insieme
rappresentano l’80% dei
valori delle azioni quotate a
WallStreetaNewYork.
7Datireperibilineisiti
web
rispettivamente
www.cbot.com
e
www.cme.com.
8 An Uncertain Future
forChicagosPits,cit.
9“TheNewYorkTimes”
del 29 luglio, editoriale del
primo agosto 2003. La
propostaerabasatasullafede
nella razionalità del mercato,
per cui le quotazioni dei
futures
sul
terrore
fornirebbero previsioni più
attendibilisullaprobabilitàdi
attentatifuturi.
5.Unaraschiatinaal
cielo
Chicago è la città che ha
inventato i grattacieli, e si
vede.Leformebalzanofeline
verso le nuvole, si curvano
nell’azzurro, i profili si
stagliano inusitati, audaci,
sempre leggeri. Una levità
che solo la massiccia,
concretainfusionedimiliardi
di dollari ha potuto sollevare
nell’aria.
Una
levità
finanziata dai più grandi
macellai e salsicciai del
mondo:ancoraunavoltanon
puoi non interrogarti sul
rapporto tra bottegai ed
estetica (di nuovo Venezia,
con i suoi droghieri, i
mercantidispezie).
Solo un secolo fa, tra il
1880 e il 1890 la scuola di
Chicago pose le basi
dell’architetturamoderna.Tra
i suoi esponenti spiccano
Dankman Adler, Daniel H.
Burnham e John W. Root,
William Le Baron Jenney e
Louis Sullivan, Frank Lloyd
Wright, William Holabird e
Henry Hobson Richard-son.
Attenti alle costruzioni in
ferrodellestazioniferroviarie
europee,
inventarono
i
grattacieli come strutture in
cui il peso dell’edificio era
sopportato non più dalle
pareti, dai muri portanti,
bensì da un telaio interno in
ferro.
Se gli edifici fossero
esseri viventi, la rivoluzione
attuata
dalla
scuola
architettonica di Chicago
equivarrebbe a quel che è
stato per gli animali il
passaggio dall’esoscheletro
(case tradizionali il cui
"scheletro” portante è la
parete esterna, il muro
maestro) ai vertebrati, con
l’“endoscheletro”, la cui
superficie esterna (pelle,
grasso)èun"rivestimento”.Il
paragone con i vertebrati si
spingeoltre:ilgrattacielonon
esiste senza un sistema
circolatorio elaborato, senza
un cuore (un motore, una
potenza installata) che pompi
elettricità,
acqua,
riscaldamento, esseri umani
(cosa sarebbe un grattacielo
senza
ascensori?).
Il
grattacielo è inconcepibile
senza le innovazioni tecniche
difineOttocentochefannodi
unedificiononun"oggetto”,
ma
un
meccanismo
tecnologico complesso, che
funziona,
e
il
cui
funzionamento dipende da
moltifattori:unsecoloprima
sarebbestatobalzanodireche
“un edificio funziona”. La
metaforadelgrattacielocome
organismo ci ricorda il
paragone
insistente
tra
macchine e corpi: in quel
periodoanchelacittàdivenne
un organismo e le sue vie
divenneroarterie.
Nel 1883 William Le
Baron Jenney ricevette dalla
Home Insurance Company
l’incarico di costruire a
Chicago un palazzo a dieci
piani per uffici, a prova di
fuoco: la città era rimasta
traumatizzata dal grande
incendio del 1871. Per
permettere una maggiore
luminosità, Le Baron Jenney
usò per la prima volta in
architettura uno scheletro di
travidiacciaioBessemer.Già
nel 1890 i palazzi a Chicago
eranodisedicipiani,strutture
audaci e imponenti, ordinate
da salumai, grossisti del
macello e delle granaglie, le
cui signore compravano a
man bassa le tele di pittori
snobbati in Francia, gli
impressionisti. Solo sedici
piani, ed era considerato una
sfida al cielo quel che ora ci
pare appena un palazzone. Il
fabbricato più alto a
quell’epoca fu il Tempio
Massonico di ventun piani,
completato
nel
1892,1
progettato da Bumham e
Root. Non a caso Burnham
era diventato noto ampliando
i mattatoi di Chicago: fra
l’altro il giovane architetto si
era sposato con la figlia di
John B. Sherman che diresse
per lunghi anni le Stock
Yards.
È interessante che gli
architetti di Chicago abbiano
rivoluzionato la tecnica
edilizia ai due estremi delle
dimensioni degli edifici: nei
grandigrattacieli,coniltelaio
metallico, e nelle casette
unifamiliari,conl’invenzione
del leggerissimo telaio in
legno balloon frame (a
"struttura di mongolfiera”, fu
chiamata così ironicamente
per la sua leggerezza).
Ambedue le innovazioni
hanno agito sulla struttura,
l’hanno
alleggerita,
sostituendo
l’ossatura
metallica ai pesanti muri
esterniinuncaso,unleggero
reticolato ligneo alle grandi
travi nell’altro. L’idea di
Louis Sullivan, "la forma
segue la funzione”, ci dice
quanto sia radicato il
funzionalismo americano su
cui,dopoil1945,imporràqui
a Chicago la sua impronta
Ludwig Mies van der Rohe,
giàdirettoredellaBauhausin
Germania. “Più è meno" e
“Dio sta nei dettagli” erano
due tra le massime preferite
di Mies van der Rohe. Dagli
edifici di Le Baron di fine
Ottocento, al grattacielo
neogotico,alto141metri,del
"ChicagoTribune”deglianni
venti (1925), costruito di
frontealWrigleyBuildingin
stile rinascimento francese,
eretto nel 1924 dal colosso
del chewing-gum, fino alle
strutture
severe,
anni
sessanta, di Mies van der
Rohe, ai nuovi profili
postmoderni di un altro
oriundotedesco,HelmutJahn
(che nel 1980 introdusse la
moda dei vetri riflettenti
colorati di vari colori che
danno
all’orizzonte
di
Chicago il tono variopinto di
un arcobaleno per uffici), il
centro di questa metropoli è
uno straordinario museo
vivente
di
architettura
moderna.
Perché i grattacieli non
sono solo un’innovazione
tecnica, sono una rivoluzione
urbanistica, cambiano il
modoincuièpensatalacittà.
Anzi, per quanto i grattacieli
siano il simbolo delle
metropoli americane, essi
mettono in crisi e infine
negano l’idea stessa di città,
se per città s’intende quel
luogo dove ci si mischia, si
entra a contatto con gli altri,
dove si fondono non solo gli
individui ma le loro culture,
le loro attività e le funzioni
del vivere sociale. Il
grattacielo
introduce
e
codificaquelladivisionedelle
funzioniurbanechelascuola
sociologica di Chicago
considererà
il
criterio
dell’evoluzione di una città:
selacittàèun"vivente”,essa
si evolve, essa si specializza,
proprio come gli organismi
che diversificano le funzioni
di cellule e propri tessuti. La
città
sarebbe
dunque
costituita da zone divise per
funzioni, una per il business,
una per il divertimento, una
residenziale. Il grattacielo è
questa
specializzazione
realizzata nello spazio in
modo così esasperato che
negliUsatraigrattacieliele
casette a un solo piano non
c’è quasi nulla, o un estremo
o
l’altro
(viene
da
rimpiangere
persino
i
palazzoni a sei-otto piani),
che le case sono lontane dal
lavoroelàdovecisonouffici
non ci sono case (la notte,
downtown è deserta e i
grattacieli giacciono come
dinosauri fossilizzati). Come
(rara)abitazione,ilgrattacielo
nega la città - i contatti perchéèessostessounacittà
chiusa e isolata all’interno
della città, è organizzato
come un’astronave lanciata
nel cosmo, autonoma per la
sopravvivenza,
dalla
lavanderiaallapalestra,coni
suoi meccanici e i suoi
idraulici,
poliziotti
e
inservienti:
l’utopia
autarchica realizzata in pieno
centro.
Madinormailgrattacielo
è pensato per la grande
corporation (e di solito è
costruito da essa). Esso è
concepito per riprodurre
l'organizzazione verticale di
un’impresa
gigantesca,
grande quanto l'edificio, la
cui altezza è metafora
materiale del suo fatturato,
coniverticidell’impresache
hanno gli uffici al vertice
dell’edificio.Facendoditutto
per mettersi nei panni di Dio
che ci guarda dal cielo, il
padrone ci guarda dall’attico
e volge lo sguardo in giù, là
dove gli umani camminano
sui marciapiedi cento piani
più in basso e somigliano
infine
alle
anonime
formichine operose che i
padroni bramano poter
dirigere.
Per quanto alti siano i
suoi costi, il grattacielo
assolveperfettamenteallasua
funzione simbolica. In esso
contasolochistasopradite,
i “superiori”, mentre gli
"inferiori”
diventano
trascurabili. Se dalla finestra
il tuo sguardo scivola giù, le
tue aspirazioni vanno su (la
scalatasociale).C’èunalotta
verso l'alto, tanto più aspra
dove molti grattacieli si
ergono in competizione tra
loro: un edificio di trenta
piani risulterà minuscolo se
circondato (soffocato?) da
altri di settanta e più. Come
sa chi ha soggiornato a
midtown Manhattan, anche
chi sta al ventesimo piano si
trovaalbuio,privatodelsole
dai grattacieli attorno. Quel
che solo cento anni fa era
altezza
vertiginosa,
raggiungibile
solo
in
mongolfiera, ora è ridotto a
seminterrato,nelpozzocreato
dai vicini più alti. Più i
grattacielisalgono,piùsottile
diventa la porzione di essi
appetibile, perché luminosa,
mentresemprepiùpianisono
relegati a sottosuolo. Un
grattacielo deve essere non
alto e basta, ma più alto (da
quilacorsaal"grattacielopiù
altodelmondo”).
È in atto una guerra tra
grattacieli per conquistarsi
letteralmente “un posto al
sole”:c’èunescalation(dove
l’arma è l’altezza). “Perché
nelle foreste gli alberi sono
così alti?” si chiede Richard
Dawkins.
La
risposta
sbrigativa è che tutti gli
alberi sono alti, così
nessun albero può
permettersi di non
esserlo:
sarebbe
totalmente oscurato. È
grosso modo la verità,
ma
offende
l’economicità
della
mente umana. Sembra
un tale spreco, una tale
inutilità [...] se solo
fosserotuttipiùbassi,se
solocipotesseessereun
qualche compromesso
sindacale per abbassare
il limite di altezza della
volta di fogliame.
Sarebbero
in
competizionetraloroper
la stessa identica luce
solare, ma avrebbero
“pagato"costidicrescita
molto inferiori per
arrivare alla volta.
L’economia
globale
della foresta ne avrebbe
guadagnato, e così ogni
singolo
albero.
Sfortunatamente
la
selezionenaturalenonsi
preoccupa di economie
globali, non ha spazio
per gli accordi [...]. È
tipico delle corse agli
armamenti, comprese
quelleumane,cheanche
se sarebbe stato meglio
che nessuno avesse
iniziato l'escalation, una
volta avviata, nessuno
possa
non
tenerle
dietro.2
Alberi della foresta e
grattacieli sono frutto di una
competizione
estrema,
dilapidano risorse: per essere
costruito e funzionare a tanta
altezza, il grattacielo brucia
una quantità spropositata di
energia e di lavoro. Se la
competizione è il motore del
mercato, si capisce perché i
grattacielisonostatiinventati
“nella terra promessa del
capitalismo”.
Non è in discussione qui
il razionalismo, è in
discussione
un
certo
razionalismo,
quello
bottegaio appunto, che
dimentica le esternalità, i
costi esterni e che a volte fa
bancarotta. Costruire un
grattacieloèconvenienteseil
valore del terreno nel centro
cittadino è talmente alto che
vale la pena di moltiplicarne
l’area del piano terra
(“l’orma”) per cento piani
nonostante le spese della
costruzione
e
della
manutenzione. Ma appena il
valore del metro quadro in
centro scende, il grattacielo
diventa antieconomico: è più
redditizio costruire uffici in
periferiainedificipiùbassie
piùlarghi,vistocheilterreno
costa meno. Ecco quindi a
Chicago grattacieli stupendi,
colonne di vetro riflettente,
strutture postmoderne di
centinaiadipianiconincima
frontoni di templi greci,
obelischiaccecantidisolenel
giorno, galassie di luce la
notte.
Una sorta di maledizione
pesa però sulle compagnie
che costruiscono i grandi
grattacieli. Nel Trecento, il
nuovoduomodiSienarimase
interrotto dopo il fallimento
dei banchieri Buonsignori;
oggi
le
corporations
falliscono spesso dopo aver
completato le loro cattedrali.
A New York, non c'è più la
PanAm che aveva eretto un
bellissimo edificio, sono
decaduti i Rockefeiler del
miticoEmpireStateBuilding,
sta vendendo la sua torre
anche l’orgogliosa Ibm; a
Chicagohadovutotrasferirsi,
licenziare
50.000
dei
suoi 300.000 dipendenti,
chiudere il proprio catalogo
per corrispondenza la Sears,
Roebuck & Co. che aveva
costruitoilgrattacielo(allora)
più alto del mondo (435
metri), prima di essere
soppiantato nel 1996 dalle
Petronas Towers di Kuala
LumpurinMalaysia.
Queste immani strutture,
che sembrano destinate a
sfidare l’eternità, si rivelano
invece
cagionevoli,
sensibilissime al minimo
refolo
di
recessione
economica:appenalacrescita
rallenta,leprimespesechele
corporations tagliano sono
quelle di rappresentanza
immobiliare. E allora questi
vertiginosiedifìcicominciano
asvuotarsi,esuilussuosiatri
di marmo si moltiplicano i
cartelli “AFFITTASI”. E
quando i grattacieli sono
lasciati a se stessi, il degrado
èfulmineo:eccoperchéinteri
quartieri
statunitensi
sembrano essere usciti dal
bombardamentodiDresda.
Non ci sono solo i costi
economici, c'è anche la
fragilità funzionale di questi
edifici destinati a durare per
sempre nelle intenzioni dei
loro architetti. Un modesto
assaggiocenefuoffertodalla
bomba posta all’inizio del
1993 sotto il World Trade
Center di New York, il
complesso dei due grattacieli
gemelli,leTwinTowers,alte
411 metri: bastò un ordigno
messo insieme da un gruppo
dibombaroliperfarchiudere
una struttura che ospitava
50.000impiegati,incrinarele
basi del secondo grattacielo
del mondo. E la prova
definitiva della fragilità
strutturale di questa “sfida al
cielo” è venuta naturalmente
l’11settembre2001,quando
due aerei di linea dirottati si
abbatterono contro questi
edifici che sembravano
indistruttibili, e li facero
crollarecomecastellidicarta,
seppellendo sotto le loro
macerie 2800 esseri umani e
ricoprendo Manhattan di uno
strato
di
diossina
cancerogena.
Nonsoloigrattacielisono
di per sé gli edifìci che
meglio simbolizzano il
capitalismo, ma le Twin
Towers erano il centro di
comando del capitalismo
mondiale,
l’equivalente
capitalista di quel che San
PietroaRomaèperlachiesa
cattolica.
Eppure
i
progetti
presentati per ricostruire
Ground viro (così fu
chiamatadopoilcrollol’area
su cui una volta si ergevano
leTwinTowers)prevedevano
tuttigrattacieliancorapiùalti
diquellispazzativia.Sarebbe
incomprensibile
(errare
humanum, perseverare...), se
quelle Towers non avessero
avuto un valore religioso:
rinunciarvi sarebbe apparso
un’apostasia.
Viene il sospetto che i
grattacieli
stiano
alla
modernitàindustrialecomele
piramidi stanno all’antico
Egitto: costosi monumenti
alla megalomania dei loro
titolari. Dietro l’apparente
razionalità, i grattacieli
esprimono
una
follia
prometeica,losfidareleleggi
della gravità, la violenza dei
venti. È questa follia che
commuove, al tramonto,
quandolenuvolesiriflettono
nellevetratesospeselassù,in
alto,nelcielo.
1 AA.VV, A History of
Technology,ClarendonPress,
Oxford 1958, trad. it.
Boringhieri, Torino 1982,
vol. v, L'età dell'acciaio,
1850-1900,pp.488-489.
2 Richard Dawkins, The
Blind Watchmaker. Why the
Evidence
of
Evolution
Reveals a Universe Without
Design(1988),Norton&Co.,
New York 1993, trad. it.
L'orologiaio cieco, Rizzoli,
Milano1988,pp.270-271.
6.Lavillettavolante
Nella stanza ingombra di
ninnoli, l’aitante protagonista
sferra un diretto al suo
corpulento avversario che è
proiettato all’indietro contro
la parete, la sfonda, rotola
sull’erba del verde prato
esterno dove finisce col
giacere intontito. Quante
voltehaivistoquestascenain
un film americano e l’hai
attribuita
all’inverosimile
muscolosità degli eroi di
celluloide? E invece questa
scena è realistica e chiunque
potrebbesfondarelaparetedi
una casa americana, proprio
perché i "muri” sono sottili
stratidilegno.
Non ci si stanca mai di
stupirsi di quanto sia
realistico
il
cinema
americano, realistico nel
senso in cui Erich Auerbach
parlava della letteratura
medievale europea, della sua
fìguralità. Quando percorri
gli Stati Uniti, ti sembra di
camminare sempre dentro un
grande schermo, di non
riuscire mai a destartene,
tanto ogni insegna di motel
sull’autostrada,ogniestintore
sul
marciapiede,
ogni
bancone di bar ti si presenta
già visto, ti pare già
(falsamente) noto da mille
film. Falsamente, perché c’è
sempre un impercettibile
scartotraquelchevediequel
che invece è ricordo di un
fotogramma.
Discrepanza
sottile
ma
radicale.
Attribuisci lo sfondamento
dellapareteallaforzaerculea
dell’eroe perché ti pare
impossibile
che
una
tecnologia cinematografica
tanto sofisticata, con la
computerizzata ingegnosità
dei suoi effetti speciali,
descriva una civiltà di
“casettedilegno”,cioèrurale,
primitiva.Èl’integrazionetra
celluloideelegnoasembrarti
un ibrido contronatura: il
legno "figura” la natura,
l’autenticità,
mentre
la
celluloide
“figura”
l’inautentico, la plastica.
L’uno la terra degli
spaccalegna,l’altral’universo
deisupermercati.
Eppure oggi, per quanto
assurdo appaia, nella nazione
piùavanzatadellaterra,nella
potenza dotata di portaerei
atomiche, supercomputer e
stazionispaziali,lastragrande
maggioranza delle case è
lignea: su 100 nuove
abitazioni iniziate nel 2001,
79,6 erano unifamiliari, la
quasi totalità in struttura di
legno. Anzi, gli Stati Uniti
costruiscono sempre più in
legno:trent’anniprima(trail
1970 e il 1973) le case
unifamiliari costituivano solo
il57%deltotale.1
Il rapporto tra legno e
abitazione è tanto stretto che
basta
un
movimento
ecologicomobilitatoasalvare
una foresta sulla costa
dell’Oceano Pacifico per far
schizzare in alto il prezzo
delle case in tutta l'America:
quando un gruppo di
pressionechiedechesiponga
fine alla distruzione di una
foresta,
al
Mercantile
Exchange di Chicago ne
risenteilcorsodeifuturessul
legno.
Negli Stati Uniti dunque
chipensa“casa”pensalegno,
come nell'Europa di qualche
secolo fa. Con la differenza
che,conl’industrializzazione,
con l’acciaio, il cemento
armato, i mattoni forati,
nell’industriaediliziaeuropea
il legno è scomparso, serve
ormai quasi solo come
materiale per le impalcature,
per gli infissi, per i parquet.
Quando pensiamo “casa”, in
Europa pensiamo pietra,
mattone, muri. Assistiamo
come
a
un’inversione
temporale: dove nel Vecchio
continente il progresso
tecnologicoharidottol’usodi
un materiale "vecchio” come
il legname, nel Nuovo
continentelohacentuplicato.
***
Per quanto sembri strano,
è stato infatti il progresso a
rendere così pratico l’uso del
legno negli Stati Uniti, e
questoprogressofurealizzato
a Chicago nel 1833, quand
eraunborgo.Finoadallorale
caseinlegnoamericaneerano
costruite secondo la tecnica
europea, in cui tetto e piani
superiori erano sorretti da
pesanti travi, poggiate su
grandi pilastri e fissate l’una
all’altra con mortase, tenoni,
incastri di precisione e rare
inchiavardature. All’inizio
questometodofudovutoalla
scarsità di viti e chiodi, che
erano fabbricati a mano ed
erano carissimi. Poi divenne
tecnica edilizia trasmessa da
unagenerazioneall’altradalle
corporazioni dei carpentieri
finchéfuconsiderataquasiun
dogma architettonico. Ma
negli Stati Uniti, soprattutto
quando si scatenò la corsa
all’Ovest
nell’ottocento,
eranopochissimiicarpentieri
qualificati. Non solo, ma nel
1830entraronoincommercio
chiodi fabbricati a macchina
che costavano un settimo dei
chiodifabbricatiamano.
La prima dimostrazione
che con i nuovi chiodi era
possibile
supplire
alla
mancanza di carpentieri
specializzati venne dalla
costruzione della chiesa
cattolica di Santa Maria a
Chicago. Qui fu provato che
unastrutturadileggereassidi
legno, se numerose e
connesse tra loro da tavolati
trasversalifissaticonichiodi,
era in grado di sostenere non
solo un tetto, ma anche un
secondo piano. Per la
costruzione di edifici, si
trattava di una vera e propria
rivoluzione
concettuale.
Snelli travetti di legno si
dimostravanoingradodifare
quellavorochefinoadallora
era stato appannaggio delle
pesanti,spessetravidilegno.
Si verificava che un fitto
telaio di assi agili aveva una
resistenza al vento e al peso
per sino maggiore delle
costruzionitradizionali.
Questastrutturasembrava
così assurdamente leggera e
immateriale che i suoi critici
la definirono ironicamente
balloon frame, “telaio a
mongolfiera”.2 Nel balloon
frame, sottili travicelli dallo
spessore standardizzato (2x4
pollici,cioè5x10cm)postia
distanzastandarddi16pollici
(41 cm), inchiodati l'uno
all’altro, scaricavano sul
pavimento tutto il peso e si
dimostravano stabilissimi sia
lateralmente
sia
verticalmente. È interessante
notare che il balloon frame
rivoluzionò il rapporto fra
muri e pareti da un lato e
telaiodall’altro,propriocome
l’altra rivoluzione edilizia
realizzata a Chicago (mezzo
secolo più tardi), e cioè i
grattacielichefeceroevolvere
gliedificidagliesoscheletriai
vertebrati. In ambedue i casi
si
trattava
di
agire
sull’ossatura, sullo scheletro,
d’invertire le funzioni, di
scaricare,dirottarel’oneredel
sostegno dal muro al telaio.
Suquestotelaiodilegnosono
poiapplicabilitettidiardesia,
di tegole, pareti nei più vari
materiali, in gesso, in
mattone, in plastica, in legno
stesso (negli Usa una casa
con l’esterno in mattoni è
comunqueastrutturalignea).
I vantaggi del balloon
frame furono enormi. In
primo luogo consentì di
sfruttare a scopo edilizio
tronchi molto più sottili dei
precedenti: fino ad allora si
potevano
usare
solo
megatronchi
che
mantenessero un diametro
sufficiente per metri e metri.
Pini sottili diventavano
appetibiliperl’ediliziaquanto
immani querce. (Nel nostro
secolo sono state apportate
migliorie al balloon frame:
oggiperunacasaaduepiani
non sono più necessari assi
portanti alte due piani, ma
bastano travetti alti un piano
che si appoggiano e si
reggono su quello inferiore:
ciò permette l'uso di tronchi
ancora più esili e più corti.)
Inoltre,
la
leggerezza
dell’intelaiatura ne facilitò il
trasporto su lunghe distanze,
permise cioè di prefabbricare
gli elementi in serie, in una
segheria dove le assi erano
tagliate a misura, numerate a
seconda della posizione che
dovevano prendere nel telaio
di casa e poi spedite a
destinazione.
Poichébastavanosolouna
scalaapioli,chiodi,martellie
seghe, queste case potevano
essere costruite da un
qualunque operaio e non
richiedevano
costosi
carpentieri
specializzati.
C’era di più: ora a tirare su
una casa balloon frante, due
uomini ci mettevano meno
tempo di quanto prima
impiegassero venti uomini a
costruireunacasacolmetodo
antico. Nel 1855 Solon
Robinson diceva: “Se non
fosse stata per la conoscenza
deiballoonframes,Chicagoe
San Francisco non avrebbero
mai potuto crescere, come
fecero, da piccoli villaggi a
grandicittàinunsoloanno”.3
Questa
facilità
di
costruirsi la casa da soli (doit-yourself-home)produsseun
effettoaddiritturaparadossale
ecioècheacavallotraOttoe
Novecento,inmoltecittà,tra
i lavoratori immigrati ci
fosseroalmenoaltrettanti(ea
Detroit più) proprietari di
case che tra i benestanti
americani di nascita e
anglosassoni di origine. Il
fatto è che gli immigrati
poveri si costruivano da soli
le loro case balloon frame,
mentregliagiatianglosassoni
nati in America si facevano
costruire dimore con la
tecnica europea, molto più
dispendiose.4
Ancor più decisivo fu il
balloon
frame
nella
colonizzazione del West.
Senza queste casette a
elementi pretagliati a misura,
chechiedevanosolodiessere
montati e inchiodati, casette
però capaci di resistere alle
tempestedinevedelMontana
e alle ventate violente delle
grandi piane, è probabile che
lavitanelWestsarebbestata
molto più difficile, la
penetrazione più lenta.
Checché ne dica il mito del
rudepionierechesicostruiva
la casa a colpi d’ascia con
tronchi d’albero, in realtà
fattorie e ranch del West
furono tutti balloon frames
tirati su a martellate con assi
2x4 pollici, spedite dalle
grandi segherie di Chicago.5
Già dal 1846 furono posti in
vendita progetti di case
standardizzate, complete di
istruzioni. Dopo il 1860
furono
venduti
vani
prefabbricati, completi di
porteefinestre.
Nelsuofamosoreportage
- Chicago - sull"'Atlantic
Monthly Review” del 1867,6
James Parton scriveva: “Per
economizzare il trasporto [i
mercanti]
stanno
cominciando
a
spedire
legname nella forma dì case
già pronte. C'è una ditta di
Chicago che è felice di
fornire cottage, ville, scuole,
negozi, taverne, chiese,
tribunali, o intere città,
all'ingrosso o al dettaglio, e
d’inoltrarle ben confezionate
in ogni angolo del paese”. E
poiironizzava:
Nessun dubbio che
avremoprestolagioiadi
leggere
annunci
pubblicitari in cui i
fabbricanti di città
dichiareranno che sono
lieti di accettare le
ordinazioni per i più
piccoli villaggi, che
possonoessereprenotate
cittadine di contea, che
metropoli
possono
essere fomite e spedite;
che ogni città sul nostro
listino
può
essere
consegnata contrassegno
trasportogiàpagato;file
di
cottage
sempre
pronte, chiese in ogni
stile, n.b. Prelati e altri
pregansi
contattarci
prima di comprare
altrove.7
Il contadino dello Iowa
poteva scegliere in un
catalogo la casa dei suoi
sogni, farsi spedire le assi
standardizzate da 2x4 pollici,
le
porte
e
finestre
prefabbricate e costruirsi la
suafarmdasolo.Nel1895il
“Ladies’ Home Journal"
cominciò
a
pubblicare
progetti di casa e offriva
l’insieme delle specifiche e
istruzioni di costruzione per
appena 5 dollari. Nel 1919
questa rivista raggiunse una
diffusione di 2 milioni di
copie (su 106 milioni di
abitanti).8
L'ultimo,
decisivo
vantaggio è che, per almeno
un secolo e fino agli anni
sessanta, il balloon frame ha
ridotto in modo strepitoso il
costo di costruzione di una
casa. Insieme ad altri fattori
meno neutri politicamente
(vedi il capitolo 10), il
balloon frame ha davvero
messo alla portata della
maggioranza dei cittadini
americani una casa singola,
staccata,diproprietà.
***
A fronte degli incredibili
vantaggi, il balloon frame
presentava
alcune
controindicazioni.Laprimaè
che, fra la parete esterna e
quellainterna,lasuastruttura
con spazi d’aria verticali fra
untravettoel’altro,dalleassi
del pavimento a quelle del
soffitto, funzionava meglio
della canna di un camino,
meglio di un mantice per far
tirarelefiamme.Ilsuotelaio
era una vera e propria
macchina incendiaria. Ben se
neaccorseroiChicagoansnel
1871 quando il grande
incendio distrusse buona
partedellacittà(fud’altronde
dopo quell’immane rogo che
laborghesiadellaWindyCity
s’appassionò tanto ai telai in
acciaio dei futuri grattacieli).
A questo problema fu messo
unrimedioparzialeprimacon
delle tavole fermafuoco, che
bloccavano l'aria a diverse
altezzenellospaziotraleassi
verticali. Poi, nel xx secolo,
unulteriorefrenoagliincendi
èvenutodallanuovaversione
- detta western -del balloon
frame, che non richiede più
assiverticilliportantialtedue
piani. Ma il pericolo resta.
Nonostantegliincendidicase
siano diminuiti del 52% in
ventanni, nel 2000 sono
bruciate 284.000 villette
unifamiliaricondanniper4,6
miliardi di dollari, 12.575
feriti e 2920 morti.9 Negli
Stati Uniti gli incendi hanno
sospintolacampagnalanciata
contro il fumo negli anni
ottanta, proprio come nella
Russia zarista, già nel 1634,
per prevenire i pericoli
d’incendio, era comminata la
pena di morte a chi fumava
tabacco.
Il secondo difetto è che
queste strutture leggere e
isolate consumano una
quantità enorme di energia
per la regolazione termica
(riscaldamento
d’inverno,
condizionatore d’estate). Ma
questa voracità energetica è
considerata un inconveniente
minore in un paese dove la
benzina costa ancora 1,8
dollari a gallone (3,8 litri),
mentre in Europa costa un
dollaro al litro. Anzi, la
costruzione
di
case
unifamiliari è esplosa negli
Usa dopo la guerra nel
Kippur (ottobre 1973), dopo
che è scoppiata la crisi del
petrolio, quando l’edilizia
avrebbe dovuto risparmiare
energia.
A
queste
controindicazioni
si
è
aggiunto l’invecchiamento
tecnologico.Il balloon frame
è tipicamente statunitense: è
quasi sconosciuto in Messico
e assai poco diffuso in
Canada. Negli altri paesi e
continenti che nell’Ottocento
nonadottaronoquestatecnica
rivoluzionaria, sono stati
sviluppati in questo secolo
metodi
di
costruzione
prefabbricata infinitamente
più resistenti e più a buon
mercato, per cui oggi il
vantaggio
propriamente
economicodelballoon frame
sièridottoquasianulla.Èil
processoinversoaquelcheè
avvenuto - per esempio nel
settore
delle
macchine
utensili - a fine Ottocento tra
Gran Bretagna e Stati Uniti:
proprio perché l’Inghilterra
aveva
sviluppato
una
tecnologia
avanzatissima
all’inizio del secolo, essa
persistette nel suo uso, fu
prigioniera del suo passato e
fu superata dalle nuove
tecnichesviluppatenegliStati
Uniti. A fine Ottocento - mi
raccontava
Wolfgang
Schivelbusch
-
una
commissione
d’inchiesta
inglese in viaggio negli Usa
per analizzarvi il progresso
tecnologicoconclusecheuno
dei motivi del sorpasso
tecnicostatunitenseerachein
Gran Bretagna i macchinari
duravano troppo a lungo e
passava troppo tempo prima
che fossero sostituiti da una
generazione di macchine più
progredite, mentre negli Usa,
dove le macchine si
rompevanoprimaeandavano
cambiate più spesso, il
ricambio tecnologico era
accelerato. La fragilità, il
rompersi facilmente, il non
durare come fattore di
progresso.
La casa balloon frame è
solida nello spazio e nelle
intemperie, ma non nel
tempo, è deperibile, non è
certo costruita per durare
secoli. Per un europeo può
essere un difetto, però a un
occhio statunitense anche
questa friabilità si rivela un
vantaggio, un fattore di
progresso. Infatti, la fragilità
è il prezzo per la, e la
condizione della, leggendaria
mobilità residenziale degli
americani. Gli ultimi dati
dicono che ogni abitante
statunitense cambia casa in
mediaognicinqueoseianni.
Più precisamente, negli otto
anni dal 1992 al 2000, ogni
anno ha cambiato casa tra il
15 e il 16% degli americani.
Cioè,
hanno
traslocato
annualmentepiùdi42milioni
di persone, più di una su sei.
Tra costoro, si sono spostati
geograficamente,
hanno
cambiato
contea
(cioè
provincia), il 6% di
statunitensi, quindi circa 17
milioni di persone. E ben il
3% degli americani migra da
stato a stato ogni anno, uno
spostamentocheequivalealla
migrazione da un paese
europeo all’altro. Poiché la
speranza di vita è di 76,9
anni, nel corso della sua
esistenza, cambia casa in
media più di dodici volte
(12,3), contea quasi cinque
volte(4,6),edemigradastato
a stato due volte (2,3) nella
vita (naturalmente si tratta di
valorimedi).10
É un viavai ininterrotto,
impressionante. Un su e giù
ditraslochiemasserizie.Che
peraltro la gente cerca di
ridurrealminimoconastuzie:
ecco perché le abitazioni
negli Usa sono affittate tutte
giàcorredatedigrandiarmadi
a muro, di cucine, di grandi
frigoriferi, di lavatrici e
asciugatrici
condominiali
nello scantinato (altrimenti a
ogni trasloco l’inquilino
dovrebbe o ricomprarsi tutto
o trasportarlo da un capo
all’altrodelcontinente).Ecco
perché si possono firmare
contratti d’affitto persino per
soli tre-quattro mesi (anche
perché chi affitta - in un
quartiere non popolare - è di
solito benestante). Giriamo
sempre
intorno
allo
sfaccettato
concetto
di
praticità.
La mobilità geografica e
residenziale è un valore,
qualcosa per cui vale la pena
sacrificare altre comodità,
pagare altri costi perché “la
libertà ha un prezzo” e la
mobilità è l’espressione più
immediata, più tangibile di
questa libertà. Uomo libero è
chi può stabilirsi dove vuole,
cambiare casa, cambiare
lavoro. (Nell'organizzazione
sociale statunitense, questa
definizione della libertà è
ritagliata
su
misura
dell’umano maschile, non
dell’umanafemminile.)
E il cambiamento deve
costituire non solo una
remota possibilità, confinata
allo stato virtuale, ma va
comprovato, ripetuto, a
dimostrare a se stessi di
essere davvero liberi quando,
di tanto in tanto, rode il
dubbio di essere prigionieri:
seèverochelatiranniainizia
sempre con limitazioni allo
spostamento (permessi di
polizia,passaportiinterni),se
cioè non c’è libertà senza
libertà di movimento, non
basta però la mobilità ad
assicurare la libertà: se tu
fossiliberosolodimuoverti?
ManegliStatiUnitilalibertà
d’insediamento ha un valore
emotivo più forte che altrove
poiché questa nazione è nata
da un muoversi, da un
migrare. Per questa ragione
l’Esodo, la fuga degli ebrei
dall’Egitto
dell’Antico
Testamento, fa risuonare
corde così profonde oltre
Atlantico: perché l’esodo è il
gesto fondativo degli Stati
Uniti d'America e, persino
nella
singola
scelta
quotidiana, ha una valenza
testardamentepolitica.
Quandodiscuteleopzioni
cheognunodinoihadavanti
a sé per esprimere il
malcontento nei confronti di
una merce (l'automobile), di
un’istituzione (la scuola), di
una forza politica (un partito
o un sindacato), Albert
Hirschman osserva che la
reazione
prevista
dall’economia
classica,
dall’economia di mercato, è
l'uscita(Exit),la"defezione”:
quella marca di automobile
non
mi
soddisfa,
l’abbandono,
cambio
macchina,
“trasloco
d’automobile"; così, nel
mercatoscolasticoabbandono
quellascuolaelacambio;nel
mercatopolitico,escodaquel
partito o da quel sindacato, o
- più semplicemente - smetto
di votarlo. Il caso estremo è
quando “i capitali fuggono”
da un paese perché
"inospitale”
nei
loro
confronti. Hirschman nota
che in realtà c’è un altro
modoefficacediesprimereil
proprio malcontento e di
migliorare
la
qualità
(dell’automobile,
della
scuola, di quel partito) e
questo modo è la protesta,
l’uso della voce (Voice): in
alcuni casi anzi, l’uscita si
rivela
controproducente
perché non ci sarà più
nessunoaprotestarecontrolu
cattiva qualità di una certa
marca (così la concorrenza
privata spesso peggiora la
qualità dei servizi pubblici:
potendo scegliere fra treno e
corriera, ho meno interesse
alla velocità e alla puntualità
deltreno,smettodiprotestare
perritardielentezze,ecosìi
treni arriveranno sempre più
tardi). Ma Hirschman nota
che la scelta Voice non ha
mairiscossoungrandefavore
negli Usa proprio perché
"l’esistenza e lo sviluppo
stessi degli Stati Uniti sono
dovuti a milioni di decisioni
che alla voce preferirono
l'uscita”: "in una nazione che
si era fondata sulla fuga
prosperandovi, la fiducia
nell’uscita come meccanismo
sociale
profondamente
beneficoèstataindiscussa”.11
GliUsasonocioènatidauna
scelta Exit e persino i
movimenti più contestatori,
quando rinnegano il sistema
esistente, di norma scelgono
la defezione, le comunità nel
deserto, come fecero i "Figli
dei fiori” negli anni sessanta.
Traslocare, cambiare casa,
muoversiènonsolousareun
diritto costituzionale, ma un
riaffermare la Costituzione, è
testimoniarla nella propria
vita.
Il problema è che questa
perpetua transitorietà, questo
stato d’animo con le valigie
pronteconviveconunamore
divorante per la propria casa.
La provvisorietà sistematica
si coniuga con l'adorazione
delfocolareimmutabile,della
domesticità.Èunpo'quelche
avviene per la famiglia. La
famiglia è il valore centrale
della società americana ma è
la sua realtà più fuggevole
poiché, appena i figli sono
cresciuti, essa si disperde
disseminandosi su tutto un
continente in una diaspora
irreversibile (facilitata e
causata dalla mobilità).
Qualcosapercuisièprontia
uccidere, ma che è così
fugace.
La legge americana
consentedisparareeuccidere
chiunque penetri in casa tua
contro la tua volontà.
Kenneth Jackson12 cita
Gaston Bachelard per cui lo
spazioèdivisoneiduegrandi
insiemi “Casa/Non Casa”,
proprio come il mondo è
divisoin“Io/NonIo”:laCasa
quindi come simbolo del Sé.
Ma in quanto simbolo di sé,
una casa povera e malandata
indica un Io sciatto, ozioso.
La dimora diroccata può
essere abitata solo da un
residente bacato, vizioso
(povero?).
Quest’attaccamento
geloso nei confronti della
casa in quanto valore (la
“casità”), idea di focolare, è
solo
formalmente
contraddetto dalla facilità di
traslocare. Mentre ci abiti,
curiiltuogiardinettofinoallo
spasimo, mettendo tutto il
senso di te nella tonsura del
prato, ma poi è senza
rimpianti che l'abbandoni per
un nuovo, uguale praticello.
L’idolatria nei confronti del
valore casa, della casità, è
parisoloalladisinvolturacon
cuilacasamateriale,inlegno
echiodi,ècomprata,venduta,
abbandonata. La costruzione
fisicainballoonframeèsolo
unostrumento,unutensiledel
valore-casa.
Inquestosenso,purmeno
“casalinghi",glieuropeisono
più feticisti nei confronti
della dimora familiare: basti
pensare alla retorica sulla
casadegliavi.Lacasafisica,
materiale, è un valore in sé,
nonèarnese,essarappresenta
la "solidità” (negli Usa essa
rappresenta
invece
la
“realtà”): non a caso in
Europa si dice “investire nel
bene immobile (si noti
l’immobile), nel mattone
(Italia),
nella
pietra
(Francia)”,mentreinAmerica
si parla di real estate,
“proprietà reale". La stessa
differenza che c’è tra
l’orologio che ti regalavano
da ragazzo (per la prima
comunione,
nei
paesi
cattolici),
un
orologio
costoso, destinato a durare
tutta la vita, che toccavi con
piacere, come una bella
stilografica, e invece lo
Swatch, preciso, a buon
mercato, di cui possiedi tutta
una collezione, che cambi e
indossi in accordo col colore
del vestito, e che compri e
getti con facilità (come una
biro). Il paragone con
l’orologiorisaleadAlexisde
Tocqueville
quando
descriveva la natura dei
prodotti manufatti “presso i
popolidemocratici”:
[L’operaio] si sforza
d’inventare processi che
gli
permettano
di
lavorare
non
solo
meglio, ma anche più
rapidamente e a minor
costo e, se non può
riuscirci, di diminuire le
qualità
intrinseche
dell’oggetto
che
produce, senza renderlo
del tutto improprio
all'uso cui è destinato.
Quando solo i ricchi
avevano orologi, questi
erano
quasi
tutti
eccellenti. Oggi se ne
fanno solo di mediocri,
ma tutti ne hanno uno.
Così, la democrazia non
tende solo a dirigere lo
spirito umano verso le
arti utili, ma porta gli
artigianiaprodurreassai
rapidamente
oggetti
imperfetti
e
il
consumatore
ad
accontentarsi di questi
oggetti.13
Questa relazione usa e
getta,
strumentale,
con
l’ambiente che ti circonda è
un modo diverso di
rapportarsi col mondo (e
quindidiesseresestessi)che
sièimpostoesièestesonella
modernità.Nonèunrapporto
causato solo dalla tecnica o
dalle leggi del mercato, o
dalla logica del dominio o
dello sfruttamento: nel caso
della villetta balloon frame,
cosa vorrebbe infatti dire
“sfruttare
una
casa”?
Piuttosto, qui il rapporto
strumentale si rivela l’unico
modo per far convivere due
miticontraddittori:daunlato
il mito del focolare
domestico, simbolo del tuo
radicamento, che ti raffigura
come quercia inamovibile,
dall’altro l’aspirazione alla
libertà, il perseguire la
mobilità geografica, fisica,
che spazza via le radici. Per
ottenere l’uno (il focolare) e
l’altra (la mobilità), per far
crescere
un’improbabile
“quercia mobile”, bisogna
allora smaterializzarle queste
radici, far sì che esse siano
indipendenti dal luogo fisico
incuituabiti,cheessesiano
presentiovunque,anchenella
mobilità,
letteralmente
“astratte” dal sito in cui si
radicano.Nelmondolatinola
gens risiedeva là dove sì
ergeva l'altare con gli dèi
protettori della famiglia, i
Lari; nell’America di oggi
nessunosiportapiùappresso
il “fuoco domestico”, ma la
continuitàdelfocolarealdilà
dello spazio e del tempo è
garantita
dalla
standardizzazione
delle
villette e delle case. La
standardizzazione,ancorauna
volta. Il fatto che le casette
siano
costruite
tutte
esattamente nello stesso
modo, stessa logica, stessi
accessori, con assi della
stessa sezione 2x4 pollici, ti
fa vivere sempre nella stessa
abitazione, che ti trovi in
Texas o nel Maine, ti fa
sentiresempreacasatua.
L’impersonalità,
l’anonimato
delle
case
americaneèunacaratteristica
ricercata,enonunamancanza
di gusto o la spiacevole
conseguenza del costruire al
risparmio. Già ai suoi inizi
nell’Ottocento, osserva John
B. Jackson, la casa balloon
frame
erarapidaesemplice
da
costruire,
era
indifferente
alle
tradizioniarchitettoniche
locali o popolari, ed era
vista come temporanea;
non perché sarebbe
crollata, ma perché
sarebbe stata venduta
presto e presto ceduta a
nuovi venuti. Solon
Robinson e altri scrittori
sulla conquista del West
esortavano le famiglie a
costruire le loro case
balloon frame il più
impersonalipossibileper
poterrenderleaccettabili
a
ogni
eventuale
acquirente.14
Il “più impersonale
possibile” come qualità
positiva,comeciòchefacilita
lo
scambio.
La
standardizzazione, la dimora
come strumento seriale, ti
consente di ritrovare a
migliaia di chilometri di
distanza sempre lo stesso
modellodicasa,stessoprato,
stesso
cortile,
identico
suburbio.
Come
puoi
attraversare
il
mondo
mangiando sempre lo stesso
hamburger McDonald’s, così
puoi traslocare per tutta
l’America, dall’Atlantico al
Pacifico, abitando sempre
nella
stessa
villetta
unifamiliareintelaioballoon.
Che importa quindi se la
villetta è fragile, se dopo
qualche anno crolla? Quella
villettarivivenellesuecopie,
èduraturanoninsé,manella
suareplicabilità.
È "la casa nell'era della
riproducibilità tecnica”, per
usare le categorie introdotte
da Walter Benjamin per
l’arte. In quest’era, diceva
Benjamin, si fa problematico
il concetto di autenticità:
sapevamoche“l’originale”di
unquadroeraautenticoeche
lesuecopieerano“false”,ma
in che senso un capolavoro
fotografico è autentico e la
sua riproduzione è un
"falso”? L’opera d’arte perde
lasua"aura",dovel’auraèla
lontananza
della
sua
irripetibilità: riproducendola,
latecnicaavvicinal’opera. Il
rapporto tra riproducibilità
tecnica del balloon frame
oltre Atlantico e “aura” della
magione avita nel Vecchio
continentericalcalarelazione
tra riproduzione e quadro
orginale: “L’unità e la durata
s’intrecciano
strettissimamente
in
quest’ultimo [nel quadro],
quanto la labilità e la
ripetibilità nella prima [la
riproduzione]”. La dimora
secolare è unica e duratura
quanto il balloon frame è
labile e ripetibile. Con la
riproduzione, l’opera “si
avvicina” a tutti, con il
balloonframelacasadiventa
allaportataditutti.
La differenza non è in
negativo. Come “l’opera
d’artediventaunaformazione
con funzioni completamente
nuove, delle quali quella di
cui siamo consapevoli, cioè
quella artistica, si profila
come quella che in futuro
potrà venir riconosciuta
marginale”, e come “l’opera
d’arte riprodotta diventa in
misura sempre maggiore la
riproduzione di un’opera
d’arte
predisposta
alla
riproducibilità”,15 così nella
formazione
“casa”
la
funzione che le era
riconosciuta può diventare
marginale e, nell’epoca della
casa seriale, avremo la
riproduzione di un focolare
predisposto
alla
moltiplicazione.
È
in
formazione una nuova idea
dell’abitare, una nuova
estetica, in un diverso
rapporto con l’esterno. Quel
cheaunocchioestraneopuò
apparire
ripetitività
antiestetica è invece la
soluzione creativa che la
standardizzazione industriale
fornisce
per
rendere
compatibili due pulsioni
contraddittorie, per per
mettere all’uomo di vivere
due sentimenti incompatibili,
radicamento domestico e
nomadismoesistenziale.
***
Solo in un’autostrada
degliStatiUnitipuòcapitarti
di essere superato da una
villetta con le tendine
svolazzanti dietro le finestre,
con il comignolo, il tetto
spiovente e, a volte, anche
una
loggia
davanti
all’ingresso. Il villino è
fissato
sull’immenso
rimorchio di uno di quei
camioncromati,lucenti,coni
due fumaioli alti accanto al
muso minaccioso, che su e
giù per le Interstates ti
tallonano ruggenti, come nel
film Duel di Steven
Spielberg: si pensi che le
dimensioni standard delle
mobilehomes,"case mobili”,
sono di 12x36 piedi, cioè
sono larghe 3,60 metri e
lungheben11metri.Secondo
l’annuario statistico, negli
Stati Uniti, su 119,1 milioni
di unità abitative, il 7,4%,
cioè 8,8 milioni sono
costituite da mobile homes e
datrailers.16
Sezioneassonometrica
diunamobilehome
Di fronte al metodo più
raffinatodellacasareplicante,
riprodottaserialmentesempre
uguale a se stessa, la mobile
home rappresenta la forma
arcaica,
primitiva,
per
conciliare perpetuità del
focolare
e
mobilità
residenziale. Mentre nel
primo caso traslocando si
abbandona la vecchia dimora
per trovarne una nuova ma
identica alla prima, qui la
casarestasestessa,simuove
fisicamente, funziona come
unachiocciola,unguscioche
ci si porta appresso. Questo
guscio ti permette di
viaggiare e insieme ti dà la
sensazione di essere protetto.
Rispetto alla casa, c’è lo
stesso balzo tecnologico che
si verificò nel tardo
Medioevo tra il far viaggiare
le monete d’oro e invece
spedire un ordine di
pagamento
(l’invenzione
degliassegni):nelprimocaso
l’oro si muove fisicamente,
nel secondo caso esso resta
fermo, si muove il suo
concetto, perché lo ritrovi
uguale a sé a migliaia di
chilometri di distanza. Ma
come avviene spesso, la
mobile home, in quanto
soluzione
tecnologica
concettualmente arretrata, è
però
cronologicamente
posteriore alla serialità del
balloon frame, si avvale dei
progressi
produttivi
novecenteschi e si presenta
come più progredita: essa
assimila
l’industria
automobilistica in quella
edilizia. Non per nulla, il
libro
più
completo
sull’argomento,conimmagini
belle e foto a volte
commoventi, quello di Allan
D. Wallis, s’intitola Wheel
Estate, dove wheel (“ruota”)
estate allude a Real Estate
("proprietà
immobiliare”):
wheel
estate
è
una
contraddizione in termini
poiché
è
“proprietà
immobiliare mobile”: di
nuovo la conciliazione degli
opposti, ma qui in senso
materiale. La mobile home
assimila
i
progressi
automobilistici non solo e
non tanto perché viaggia su
ruote, quanto perché è
prodotta industrialmente in
unacatenadimontaggio.
Il suo status ibrido tra
casa e auto è emerso nella
difficoltà di definire le sue
fondamenta, il suo “telaio”.
Secondo l’annuario statistico
Usa,unamobilehome"èuna
residenza
mobile
larga
almeno 10 piedi e lunga
almeno 35 piedi, disegnata
per essere rimorchiata sul
proprio chassis e senza
bisogno
di
fondazioni
permanenti”. Non si era mai
sentito parlare dello chassis
diunacasa!
Ma questa definizione
crea ulteriori problemi: lo
chassis assimila la mobile
homea un veicolo, non a un
edificio, impedendole quindi
l’insediamento nelle aree
definiteresidenzialidalpiano
regolatore. Non solo, ma
nelle auto lo chassis è in
metallo,mentreinquestecase
èdilegno,conilrisultatoche
l’ufficio federale (U.S.
Department)
dell’Housing
and Urban Development
(Hud) ha provato a imporre
uno chassis metallico alle
mobilehomes.17
Mezza casa, mezzo
veicolo, la mobile home non
ha però né la mobilità di una
macchina né la comodità di
una casa: troppo immane per
spostarsifacilmente,ètroppo
piccolaperabitarviconagio:
lunga11metrielarga3,60è
enorme sulla strada, ma non
fanemmeno40mq.Poichéin
mediaviabitano2,4persone,
ci si sta proprio stretti (16,6
mq a testa sono meno degli
standard abitativi - teorici dell’ex Unione Sovietica che
eranodi19mqapersona).La
soluzione più spaziosa,
double wide, congiunge le
dueunitàunaaccantoall’altra
in modo che ora la casa sia
largaildoppio,7metrie20,e
il tutto abbia un’area di ben
79 mq che resta comunque
quella di un minuscolo
appartamentino urbano. C’è
qui
una
seconda
contraddizione: la mobile
homeè basata sull’idea degli
spaziinfiniti,dellasterminata
prateria: ma in questa
prodigale disponibilità di
spazio, gli umani si
arrangianoperstarcistrettini,
per pigiarsi in locali angusti.
Salta agli occhi la relativa
piccolezza degli alloggi nelle
sconfinate distese della
campagnaamericana.
Costruitainserie(oggile
industriedelsettorechiedono
chesiparlinonpiùdimobile
homes, ma di manufactured
homes, di “case fabbricate”,
visto il significato deteriore
che ha acquisito la prima
locuzione), la casa mobile
rappresenta il massimo della
standardizzazione.Enonsolo
perchélesuedimensionisono
standard, perché i suoi
componenti
sono
intercambiabili,maperchéha
bisogno di un ambiente
standardizzato: per poter
viaggiare è necessario che i
calibri e i passi delle prese
d’acqua, i bocchettoni delle
fogne (il dumping), le prese
elettriche siano dovunque
uguali.
La mobile home ha
dunque bisogno di specifici
terreni attrezzati, dappertutto
uguali a se stessi, che
richiamano irresistibilmente
le corsie d’ospedale, dove le
case (o i trailers) in fila una
accanto all’altra sono i
degenti (in fila uno accanto
all’altro) mantenuti vivi dalle
tubature esterne: fleboclisi,
cateteri,inalatoriperimalati;
tubature d’acqua e fognarie,
cavi elettrici, prese per la
cable-tv per le case. Anche
per le mobile homes il
movimento è solo apparente
poiché trasferisce da un sito
attrezzato a un altro, identico
sito attrezzato. Di diverso,
rispetto alle case fisse, c’è il
rapportoconlospazioesterno
al caravanserraglio, deserto
intornoaun’oasicarovaniera,
terreno di tappa (anche se la
tappa può prolungarsi per
decenni). La mobile home
mantiene così quel carattere
cheleerastatoinstillatonella
suaepocad’oro,conigrandi
lavori del New Deal
rooseveltiano e poi con
l’industria bellica quando il
governo dovette provvedere
all’alloggio
-
insieme
transitorio e semipermanente
- di centinaia di migliaia di
lavoratori: nel 1945 nel
laboratorio atomico di Oak
Ridge (Tennessee) 5000
trailers si aggiungevano a
9600 case prefabbricate e
16.000 baracche. Questo
modello ha avuto successo e
hatrovatomoltiimitatori.Nel
settore minerario, la Exxon
costruì
un
villaggio
residenziale
per
2000
minatori a Battlement Mesa
(Colorado) vicino a un
giacimento
di
scisti
bituminose: quando i lavori
furono terminati, queste
mobile homes divennero
villaggio residenziale per
pensionati.18
Battlement Mesa è un
buon esempio di quanto sia
puro mito la mobilità delle
mobilehomes(pericamperil
discorso è diverso): in realtà
il 95% delle case mobili va
direttamente dalla fabbrica a
unsitopermanenteepoinon
vede mai più una strada.
Statisticamente, la mobile
home non si sposta più di
quanto si sposti un cottage.
La sua “mobilità” designa
allora solo una maggiore
economicità,unaserialitàpiù
spinta,unacategoriaabitativa
più dozzinale. Nel 2001 il
prezzo medio di una mobile
home era di 48.800 dollari
contro i 170.000 dollari di
una nuova casa unifamiliare
costruita sul posto. Certo, ci
sono anche case mobili da
190mqcontrestanzedaletto
e due bagni, da 100.000
dollari, ma in genere la
mobile home è la soluzione
d’alloggio dimesso per
cittadinipoveri.Peraffrontare
il mutuo di una casa da
170.000 dollari è necessario
unredditodi59.000dollari(è
questo un criterio generale
nelmercatoimmobiliareUsa:
vengono concessi mutui su
casechevalgonononpiùdel
triplo del tuo reddito annuo
lordo), mentre per comprare
una mobile home da 48.800
dollari basta un reddito di
35.000.19 Il rapporto tra
valore della casa e livello di
redditoècomunquemoltopiù
sfavorevole per le mobile
homes: per esse i mutui sono
molto più cari, perché i
poveri
"sono
meno
affidabili”,ilcontrollosuuna
casa mobile più difficile, le
rate inevase e le more molto
più frequenti. Ancora una
volta il proverbio: “Si presta
soloairicchi”.
Da qui la cattiva nomea
delle mobile homes come
rifugio per poveracci: il 37%
delle famiglie che vivono in
unacasamobilehaunreddito
medio annuo inferiore a
20.000 dollari (poco al di
sopra della soglia di
povertà).20 Popolati da
poveri, i campi di mobile
homes sono percepiti come
comunità chiuse, aliene,
paragonabiliinEuropasoloai
campi di zingari. Anche qui,
cometraigitanidelVecchio
continente,
alla
discriminazione
altrui
risponde uno spirito di
accampamento, il sentimento
di formare un gruppo chiuso
rispettoalfuori:iresidentiin
case mobili o in camper
finiscono
sempre
per
rincontrarsi, per frequentare
gli stessi camp grounds. La
stessa(pursemitica)mobilità
separalacomunitàinternada
quella esterna. Si genera così
una subcultura delle case
mobili e dei trailers,
direbbero i sociologi. Anche
diquestaghettizzazionesiha
traccia nei film americani
dove la polizia va sempre a
cercareimalviventiincampi
dimobilehomesediroulotte.
Ma
nel
decennio
reaganiano,
nell’era
clintoniana e ancor più con
Bush Jr., una parte della
classe media è stata
declassata nel purgatorio
dellemobilehomes.Ilreddito
mediano21 delle famiglie
residenti in questo tipo di
alloggi è infatti sceso in
dollari costanti (cioè tarati
dell'inflazione), da 14.500
dollari nel 1981 a 13.400
dollari nel 1996, proprio
perché in questi ventanni la
fascia medio-bassa ha perso
quote di reddito: nel 1980 al
60% meno agiato degli
americaniandavail35,1%di
tutto il reddito disponibile,
mentrenel2000laloroparte
era solo del 29,8 %, cioè
avevanopersounsettimodel
proprio reddito (al contrario
gli introiti del 5% di
americani più ricchi era
passatodal14,6al20,8%).22
All’inizio degli anni
ottanta, per rivitalizzare le
vendite e attirare clientela di
fasce più alte, l’industria del
settorecercòdiotteneredallo
Hud (U.S. Department of
Housing
and
Urban
Development)
una
categorizzazione in classi
delle mobile homes che
copiasseladivisioneinclassi
di alloggi varata negli anni
trentaperrilanciarel’acquisto
di case private. In questa
tassonomia discontinua, vi
dovrebbero essere perciò una
classe a, di lusso (di
larghezza doppia, double
wide, posta su fondamenta
permanenti, con garage
attaccato),classiBec,medie,
einfineclassidedecostruite
prima che lo Hud fissasse i
suoi standard nazionali (nel
1976).23
Malgrado però tutti gli
sforzi
promozionali,
l’immagine predominante dei
residenti nelle mobile homes
rimane quella non solo di
povera gente, ma soprattutto
di persone vecchie, di
pensionati che si vendono la
vecchiacasapermanente,che
vale molto di più, si
comprano una casa mobile a
basso prezzo, e con la
differenza ci vivono. Se nel
1981 i capofamiglia delle
mobilehomesavevano un'età
media di 46 anni, nel 1990
avevano51(50,8)anni,enel
1996quasi53(52,8).
Ancor più significativo:
nel 1980, un capofamiglia su
quattro aveva meno di
trentanni, dieci anni dopo i
ventennieranoappenaunosu
dieci,enel1996eranounosu
dodici (l’8%). Ancor più che
le mobile homes, i vecchi si
comprano i camper, le motor
homes con cui viaggiare e
spostarsi
e
avere
l’impressione di vivere
un’eternavacanza,dimarein
mare. Una vacanza a prezzo
modico, risicata, e finché la
salute ti assiste. Molti usano
le motor homes per sfuggire
ai rigori dell’inverno nel
Nord degli Stati Uniti. Li
chiamano
snow
birds
(fringuelli
bianchi,
letteralmente “uccelli della
neve”), perché in autunno
percorrono in lunghe file le
autostrade che scendono
dall’Illinois,
Michigan,
Minnesota, Wisconsin, Ohio
per sfuggire al vento
ghiacciato, alle tempeste di
neve, e si dirigono verso il
tepore di Florida, Texas,
Arizona, California. In aprile
vedi interminabili cortei di
camper
ripercorrere
le
autostrade in senso inverso,
direzione nord, guidati da
"pantere grigie”. I più ricchi
torneranno alla loro casa
settentrionale. I più poveri
andranno in uncamp ground
inrivaaunodeigrandilaghi,
nel Nord del Michigan, oltre
Traverse City, o sul Lake
SuperioraIsleRoyale.
Inquesticampiedentroi
trailers la vita è ancora più
grama, ristretta, che in una
mobile home: quest’ultima è
una casa che cerca di farsi
trasportaresuruote,ilcamper
è invece un camioncino che
pretende di diventare una
casa.Nell’ibridotraveicoloe
abitazione, la prima è più
vicina all’abitazione, il
secondo al veicolo: il
passaggio da mobile a motor
nell’aggettivare home. Una
grossamotorhomeha14mq
di superficie compresi i posti
di guida, il cucinino e il
bagnetto: pensate di viverci
mesi e mesi, gomito contro
gomito con il vostro vecchio
partner. (Ci sono poi molte
specie bastarde di abitazione:
case fisse che hanno
l’aggiuntadiunacasamobile.
O case mobili attaccate a un
camper che fa da stanza in
più, o due camper attaccati
l’unoall’altro.)
Ultimo paradosso della
mobilità:
rispetto
al
nomadismo, assistiamo a due
capovolgimenti del luogo
comune. I vecchi si rivelano
moltopiùnomadideigiovani
e degli adulti. E la fascia di
reddito medio-bassa si rivela
più nomade di quella medioalta. Le frasi fatte "gioventù
etàinquieta”e“vecchiaiaetà
stabile e sedentaria” fanno
posto a un’irrequietezza
senile, o a una senilità
mobile.SullacollinadiSanta
Barbara (California) vivono
in ville stupende ì pensionati
più ricchi del mondo.
Anziane signore molto in
forma pedalano energiche
verso il fornaio chic dove
compreranno pane francese.
In basso, vicino alla riva del
Pacifico e ai supermercati
Vons, il camp ground ospita
migliaia di pensionati middle
class assiepati, un camper
accanto all'altro con i loro
animali
domestici
(è
incredibile
quanti
cani
possano vivere in una motor
home). Sembrano approdati
qui come uccelli che si
affollano sulla spiaggia
dell’oceano, pronti a migrare
inprimaveraconilorotesori
racchiusi nello scrigno del
propriocamper.
1 U.S. Bureau of the
Census,StatisticalAbstractof
the United States 2002,
Government Printing Office,
Washington D.C. 2002, taw.
920e921.
2 AA.VV, A History of
Technology,cit.,vol.v,L’età
dell'acciaio, 1850-1900, il
capitolo Materiali e tecniche
per l’edilizia, di S.B.
Hamilton,pp.477-478.
3 Citato da Kenneth T.
Jacksonnelsuofondamentale
Crabgrass Frontier, The
SuburbanizationoftheUnited
States, Oxford University
Press, New York 1985, p.
128.
4Ivi,pp.118,126.
5 Oltre al libro di K.T.
Jackson,sulruolodelballoon
frame,vediancheW.Cronon,
Natures Metropolis, cit., pp.
178-180.
6"TheAtlanticMonthly
Review”, n. 19, 1867, pp.
325-345.
7Ivi,pp.333-334.
8K.T.Jackson,op.cit.,
p.186.
9 U.S. Bureau of the
Census,StatisticalAbstractof
the United States cit.. taw.
333e334.
10Ivi,tavv.25e91.
11AlbertO.Hirschman,
Exit, Voice and Loyalty,
Harvard University Press,
Cambridge (Mass.) 1970,
trad. it. Lealtà, defezione,
protesta, Bompiani, Milano
1982,pp.86-90.
12Inop.cit.,p.52.
13 Alexis de Tocqueville,
De la démocratie en
Amérique (1835), trad. it.
Rizzoli, Milano 1982, libro
III,cap.xi,p.465.
14 Citato da Allan D.
Wallis, Wheel Estate. The
Rise and Decline of Mobile
Homes, Oxford University
Press, New York 1991, p.
161: nella stessa pagina è
disegnato lo schema di una
casa balloon frame in cui
sonospecificatelefunzionidi
ognitrave,asse,tavolato.
15 Walter Benjamin, Das
KunstwerkimZeitalterseiner
technischen
Reproduzierbarkeit (1936),
originariamente pubblicato in
Zeischrift
für
Sozialforschung, ora in
Schriften,
Suhrkamp,
Frankfurt am Main 1955. In
italianonellabellatraduzione
di Enrico Filippini, Einaudi,
Torino 1966. Le frasi citate
sonoallepp.23-28.
16 U.S. Bureau of the
Census,StatisticalAbstractof
the United States, 2002, cit.,
tav.936.
17A.D.Wallis,op.cit.,p.
225.
18Suitrailersdurantela
Seconda guerra mondiale,
vedi K.T. Jackson, op. cit.,
pp. 261-262 e A.D. Wallis,
op. cit., pp. 83-93. Su
Battlement Mesa, A.D.
Wallis,op.cit.,pp.192-193.
19 U.S. Bureau of the
Census,StatisticalAbstractof
the United States 2002, cit.,
tavv. 919 e 925 e l’inchiesta
del “Chicago Tribune" del 5
maggio1993.
20 Dati riferiti al 1996
tratti dal sito di Foremost
Insurance:
www.foremost.com/market_fac
21IIredditomedioèla
media dei redditi, mentre il
reddito mediano è quel
reddito per cui metà delle
famiglie ha un reddito
superiore e metà delle
famiglie ha un reddito
inferiore, è cioè quel reddito
che divide la popolazione a
metà ed è quindi più
significativo.
22 U.S. Bureau of the
Census,StatisticalAbstractof
the United States 2002, cit.,
tav.659.
23 A.D. Wallis, op. cit.,
pp.242-245.
7.Minieredilegname
“Madovesisonocacciati
gli sterminati boschi dei
Grandi Laghi?” La domanda
ti si ripropone sempre più
pressante, man mano che
t’inoltri nei campi e nei
frutteti - meli, peri, ciliegi della penisola del Michigan,
daFlintsufinoaCharlevoix,
o che ti allontani da Chicago
verso
nordovest,
nel
Wisconsin centrale e poi
ancora nelle sterminate
piattezze coltivate a cereali
nel Sud del Minnesota.
Ricordi il racconto Lassù nel
Michigan
di
Ernest
Hemingway con il giovane
Nick; ti sfilano le immagini
dei rudi spaccalegna, i
lumberjacks. Ma nulla ormai
differenzia queste regioni
dalle grandi piane centrali,
dal Sud dell’Illinois, dal
Missouri.
Ti coglie una delusione,
come se ti avessero
defraudato
dei
boschi.
Proprio come a Chicago ti
hanno scippato i grandi
mattatoi (oggi diroccati) o la
GrandCentralStation(rasaal
suolo nel 1971). Ancora una
volta, ti accorgi che la
grandezza di Chicago è stata
plasmata da quel che è
scomparsoechelasuagloria
èdovutaaquelchenonvedi:
le Stock Yards da tempo
abbandonate, le ferrovie dai
binari ora arrugginiti, e le
sconfinate foreste dei Grandi
Laghi ormai disboscate. Per
decenni, nella seconda metà
dell’Ottocento, grazie agli
alberi, Chicago divenne più
ricca man mano che la
regione dei Grandi Laghi si
disboscava.
Capitale
mondiale del legno, Chicago
erailpuritanesimofattacittà:
la selva, tenebrosa come il
peccato, selvaggia, pagana e
abitata da selvaggi pagani, è
per la civiltà un ostacolo da
abbattere, un freno alla
coltura dei campi e, per
converso, la legna - frutto
dell’abbattimento di queste
foreste - è uno dei migliori
mezziperlacolonizzazione.
E gli statunitensi si
dedicarono
con
tanta
coscienziosa
alacrità
a
distruggere la copertura
biotica della crosta terrestre
che entro l’inizio del xx
secolo avevano disboscato,
secondo la stima più
prudente,300milionidiacri,
1,2 milioni di chilometri
quadrati,unasuperfìciecheè
il quadruplo dell’Italia, due
volteemezzolaFrancia.1Se
in Europa la rivoluzione
industriale era stata stimolata
dalla crescente scarsità di
legno e proprio questa
penuria aveva determinato il
trionfo
del
binomio
carbone/vapore, negli Stati
Unitiavvenneilcontrario:fu
la prodigale abbondanza di
legno
ad
accelerare
l’industrializzazione
del
paese. Proprio come per la
villettaballoonframe:mentre
in Europa il progresso
tecnologico riduceva l’uso
edilizio del legname, negli
Stati Uniti un progresso
architettonico
faceva
esplodereilconsumodilegna
per le abitazioni (le case di
legno sono uno dei grandi
responsabili
della
deforestazione
del
Nordamerica).
Per industrializzare il
paeseecolonizzareilWest,il
legno serviva a tutto e tutto
richiedevalegna.Conilfuoco
dilegnasiscaldavanoicorpi,
si cuocevano i cibi, si
muovevanolelocomotiveche
viaggiavano su traversine di
legno, trainando vagoni di
legno,versostazionicostruite
in legno che servivano
fattorie di legno, circondate
da recinti lignei. Ecco cosa
scriveva nel 1880 il
“Northwestern Lumbermen",
bollettino - stampato a
Chicago - della corporazione
dei Lumbermen, “i mercanti
dilegname”:
Ogni nuovo colono
nelle fertili praterie
significa un nuovo
arruolato nel vasto
esercito di consumatori
di legname, una nuova
casa da costruire, un
nuovo granaio, altri 40
acri di terra da
staccionare,unanuovao
forse un’altra dozzina di
mangiatoie;
significa
un’estensionedellelinee
ferroviarie con il loro
conseguente massiccio
consumo di legname;
significa un incentivo
addizionale per altri
potenziali coloni per
installare fattorie vicino
a quella del primo
arrivato;significachiese,
scuole,
negozi,
marciapiedi di legno,
strade lastricate [in
legno].2
L’uso del legno spingeva
l’industrializzazione
e
l’industrializzazione divorava
la legna. Questa spirale
sempre più accelerata prese
un ritmo vorticoso a partire
dal 1840-1850. Proprio a
tempo
perché,
grazie
all’apertura
del
canale
Michigan-Illinois
(1848),
Chicago potesse partecipare
allo sfruttamento del pino
bianco,l’alberochecostituiva
l’orgoglio dei Grandi Laghi.3
Il pino bianco era alto in
media 50 piedi (15 metri),
cresceva uniformemente per
duesecoliepiùe,pienamente
sviluppato, raggiungeva i 60
metridialtezza(unpalazzodi
venti piani). Nei grandi
esemplari il tronco aveva un
diametro di 6 piedi (1,80
metri): per cingere la sua
circonferenzadiquasi6metri
dovevano tenersi per mano
quattro uomini. Addirittura,
fino al 1880, i legnaioli non
consideravanodegnidiessere
tagliati alberi il cui tronco
avesseundiametrominoredi
3 piedi (90 cm). Il pino
bianco era perciò il frutto di
una secolare accumulazione
di capitale naturale, era
“lavoro morto” lasciato su
terra da innumerevoli cicli
solari: era la “manna
petrolifera" di Chicago. Per
sua sfortuna, il pino bianco
possedeva
qualità
straordinarie
per
lo
sfruttamento umano. Poiché
perdeva i rami inferiori via
via che s’innalzava, il suo
troncoeraliscioesenzanodi
per almeno dieci metri. La
sua grana era fortissima,
adatta a sopportare carichi e
tensionienormi,perònonera
coriacea ma abbastanza
tenera da essere lavorata a
mano. Ultimo, decisivo
vantaggio: a differenza degli
altri legnami duri, il pino
bianco galleggiava, cioè si
facevatrasportaredall’acqua.
Già, perché la resistenza
alluso intensivo, industriale
del legname, si era sempre
annidata nella difficoltà di
trasportarlo:
le
regioni
boscose sono umide e
piovose e i sentieri vi si
snodano fangosi, impregnati
d’acqua, e la melma rende
proibitivoiltiroaicavalliper
più di brevi distanze. Nelle
regioni attorno ai Grandi
Laghi, il terreno era
letteralmente
imbevuto
d’acquaamo’dispugnaodi
pantano (il Wisconsin per
esempiovantadiecimilalaghi
e laghetti, primato che gli è
conteso dal Minnesota).
Invece il pino bianco era
trasportabile sotto forma di
lunghe, chilometriche zattere
(il rafting). Esso risolveva il
problema del trasporto, ma
avevabisognodigrandicorsi
d’acqua. Ancora oggi sul
fiume Hudson o sul San
Lorenzo si vedono gli
interminabili convogli di
legname scendere pigri
dall'alto
Canada
verso
l’Atlantico. Le vie d’acqua
erano indispensabili per lo
spostamentodellegno:daqui
l’importanza dei Grandi
Laghi,daquilafuriaconcui
gli americani costruirono una
faraonica rete di canali nella
prima metà dell’Ottocento.
Da qui l’ostinazione dei
Chicagoans nel costruire il
canale Michigan-Illinois che
permettevaaipinibianchidei
Grandi Laghi di penetrare
nella valle del Mississippi
fino a New Orleans, e di lì
alle
Indie
occidentali,
all’Europa.
Chicago fu ricompensata.
Senel1847eranogiuntinella
WindyCity76.000metricubi
(mc)dilegname,nel1851,tre
anni dopo l’apertura del
canale, la quantità si era
quadruplicata, a 295.000 mc;
nel 1869 arrivarono a
Chicago2,3milionidimc-e
persessantanni,finoal1930,
ilvolumedilegnamesbarcato
suisuoimolinonsarebbemai
sceso sotto questa soglia. Il
massimofutoccatonel1892,
quando nel suo porto
attraccarono 6 milioni di mc
di legno. Da notare che negli
arriviaChicagoillegnamefu
l’unico settore in cui il
trasporto via acqua riuscì a
mantenere una superiorità
sulle ferrovie sino alla fine
dell’Ottocento (il legname
ripartiva invece su rotaia al
95% per le grandi città
dell’Est e i nuovi centri del
West).Nonsoloeranolegnoi
tre quarti dei carichi entrati
nelsuoporto,mafinoal1880
la ferrovia faceva giungere a
Chicago meno del 10% del
legname; percentuale che
sarebbe rimasta inferiore al
40% fino al 1898. L’epopea
dellegnameèquindiunasaga
chesisvolgesull’acqua.
***
Era in autunno avanzato,
dopo i lavori agricoli, che i
lumbermen venivano a
Chicago ad arruolare le
"ciurme”(crews)diboscaioli.
È vero che in città i salari
eranopiùaltichealtrove(trai
100 e 200 dollari per
stagione, oltre a vitto e misero - alloggio nelle
baracche), ma la mano
d’opera era più abbondante e
si potevano scegliere gli
spaccalegna migliori. E poi,
qui i lumbermen potevano
approvvigionarsi di asce,
seghe, mozzi per i carri, di
tonnellate di fagioli, porco,
burro, sale, grano, biada,
avena per uomini e cavalli.
Soprattutto, qui trovavano
credito,incambiodellalegna
cheviavrebberosmerciatola
primavera
successiva.
Credito,cioèdenarofrescoin
un settore sempre a corto di
liquidità, con drammatiche
strozzature nel flusso di
cassa: si sborsava a fine
autunno e (forse) s’incassava
seimesidopo.Il“credito”,la
disponibilità di capitali, fu la
leva con cui il legno fece
grandeChicago.
Appenailclimasifaceva
più rigido, gli equipaggi
viaggiavano a nord verso le
"miniere di legname”, dove
gli alberi andavano falciati.
Neiprimiannisiabbattevano
solo
i
tronchi
che
costeggiavano
i
corsi
d’acqua, ma poi i taglialegna
dovettero
allontanarsene
sempredipiù.Nelfrattempo,
leciurme,cheall’inizioerano
di circa quindici uomini,
diventavano più numerose,
finoasuperareilcentinaiodi
membri. I boscaioli si
addentravano sempre più nel
regno del ghiaccio: solo il
gelo poteva indurire il fondo
dei sentieri tanto da
permettereaitiridicavallidi
trainare-suslittaosuruotai pesantissimi tronchi fino al
bordo dei pantani. I nomi
delle più famose “cave” di
legna dell'Ottocento hanno
infatti il nome di pantani: il
"Pantano del Bue”, The Beef
Slough, in Wisconsin, per
esempio, o il West Newton
SloughinMinnesota.
Le
immani
cataste
giacevano così per tutto
l’inverno, in attesa del
disgelo. Le sorti del
“raccolto” dipendevano da
quantaneveeracaduta.Sele
nevicate erano state scarse, il
disgelo
non
avrebbe
liquefatto acqua sufficiente a
far galleggiare le immense
piledilegnacheattendevano
sul bordo dei pantani. Solo
tantissima neve, nel suo
rapido sciogliersi, una sola
volta l’anno consentiva per
un brevissimo periodo ai
cortei di tronchi di defluire
verso i corsi d’acqua
principali e da lì, lungo i
fiumi,
le
imponenti
processioni si avviavano
verso i Grandi Laghi e i
canaliartificiali.
Nessuno storico è mai
riuscito a trattenersi dal
raccontare l’epopea dei
maxiingorghi di alberi che si
formavano sui fiumi quando
un tronco s’incuneava nella
riva o nel fondo, faceva da
ostacolo,bloccavadietrodisé
centinaia di migliaia di
tronchi che si ammassavano
finoaformareunamegadiga.
Alcuni di questi ingorghi
sonorimastifamosi,comenel
1869, a Chippewa Falls, in
Wisconsin, dove il legname
rimase intasato su una
lunghezzadi24km,tantoche
in alcuni punti la diga di
tronchieraaltapiùdi9metri,
unapalazzinaditrepiani.Nel
1889 sul fiume Menominee
rimaseincastrataunaquantità
di tronchi tripla rispetto a
quella di Chippewa Falls,
quasi un milione e mezzo di
metri cubi. Disincastrare la
diga
era
compito
pericolosissimo, leggendario
nella
confraternita
dei
tagliaboschi:
bisognava
estrarre con i ganci i tronchi
che facevano da zeppa, col
rischio che tutta la catasta ti
crollasse addosso. Fanno
impressione, a tutt’oggi, le
foto in cui vedi i boscaioli
ottocenteschi
passeggiare
“sotto”ungigantesco,caotico
ammasso di tronchi per
cercare di disincagliarli.
Anche
per
questo
i
lumberjackseranopagaticosì
bene.
Ma la loro epopea non
riuscì mai a rivaleggiare con
la risonanza dei cowboys.
Forseperlanaturadistruttiva
del loro lavoro che impediva
di ricamare su di essi il mito
dell’eroe positivo (anche i
cowboysportavanoivitellial
mattatoio, ma non li
macellavano essi stessi). O
forse perché il mondo del
legname fu subito preda dei
lumberbarons(assonantecon
i robber barons, i "baroni
ladri”, i briganti del
capitalismo
ottocentesco
Usa). Certo è che un
Frederick Weyerhaeuser non
avevanientedainvidiareaun
Daniel Gug-genheim, a un
Andrew Carnegie, a un John
Rockefeiler.
La spietatezza di questo
settore era insita nella sua
base materiale, nella capacità
cioè di accaparrarsi immense
distese di foreste al prezzo
più basso possibile. Per
esempio,attornoal1860Ezra
Cornell comprò mezzo
milionediacri(2000kmq)di
foreste di pino bianco nella
valledelChippewaRiverper
esercitare, secondo le sue
parole, “un temibile e
tremendo
[fearful
and
terrible] monopolio”4: a
vedere
oggi
l’arcadica
dolcezza dell’Università di
CornellaIthaca(statodiNew
York),nontiverrebbemaiin
mentecheessaèstatafondata
grazie al terrore suscitato da
un
monopolio.
Nell’accaparrarsi i terreni, la
potenza del capitale si
coniugava con la connivenza
dei politici nell’alie-nare il
pubblico
demanio,
nel
vendere a prezzi di favore
lotti di foreste nazionali agli
amici. Le linee ferroviarie
possedevanoimmensedistese
di terra grazie ai Land
Grants.Edietrolecompagnie
s’intravedeva l’ombra delle
banche, in particolare della
Morgan.
Quando all’inizio del
Novecento,
sotto
la
presidenza di Theodore
Roosevelt,
fu
lanciata
un’offensiva contro i grandi
trust, fu aperta un’inchiesta
anche sulla concentrazione
nell’industria del legno.
Iniziatanel1906,essafuresa
pubblica solo nel 1913 (a
dimostrazionedelleresistenze
che
aveva
incontrato).
Secondoilrapporto,neiLake
States
(Minnesota,
Wisconsin,Michigan)iprimi
4 proprietari possedevano il
12% di tutto il legname, i
primi 17 ne avevano il 22%;
ai primi 44 ne apparteneva il
37%, e un totale di 215
proprietari ne deteneva il
65%.5 Nel 1913, sul Pacifico
la concentrazione era ancora
più pesante che sui Grandi
Laghi.
Sulla
costa
occidentale,
Frederick
Weyerhaeuser
possedeva
legna per 227 milioni di mc
su 8000 kmq (una regione
grande come l’Umbria). La
Northern Pacific Railway
possedeva 84 milioni di me
su12.000kmq,elaSouthern
Pacific Railroad 246 milioni
dimcsu18.000kmq.
Queste tre società, i Big
Three, controllavano 40.000
kmq di boschi. Ma la
concentrazione era ancora
maggiore.
Weyerhaeuser
possedeva sì 227 milioni di
mc, però attraverso pacchetti
azionari,
partecipazioni
incrociate,
società
prestanome, controllava 690
milionidimc,cioèunjsesto
dituttoillegnamedegliStati
Unitieunquartodellegname
commerciale.6 Si noti che
questimilionidimetricubidi
legna erano conteggiati
mentre erano ancora piantati
per terra, avevano rami,
foglie verdi, pigne. Ci risulta
difficile valutare alberi vivi
come volumi. Ma non c'è
nulla di illogico: li si
calcolava come oggi si stima
la capacità di un giacimento
petrolifero.
Il
processo
di
concentrazione
richiedeva
segherie più grandi che però
si giustificavano solo se
trattavano quantità di legno
ancora più imponenti che
deforestavanoareeviaviapiù
vaste e che per il trasporto
richiedevano un sistema di
bacini di raccolta e di chiuse
(booms, da cui il termine
boomingCompanies).Ancora
nel 1850 bastava qualche
migliaio di dollari per
lanciarsi nel business del
legname. Ma per lanciare la
booming company di Beef
Slough, Weyerhaeuser e i
suoisociinvestirononel1870
ben un milione di dollari di
allora.
Per poter lavorare non
solo d’inverno, ma in tutte le
stagioni dell’anno, i grandi
lumbermen cominciarono a
costruirelineeferroviarieche
s’inoltravano fra le solitudini
dei boschi al solo scopo di
riportarneviaitronchitagliati
(compito agevole poiché
spesso
queste
lande
appartenevano
già
alle
compagnie ferroviarie, grazie
aiLandGrants).
Le carte geografiche di
alcune zone del Wisconsin
presero la fisionomia di
ricamialtombolo,tantoerano
percorse da fitte trame
ferroviarie. Curiosamente l’unicocasoincuiChicagofu
danneggiata
da
quelle
ferrovie che l’avevano resa
prospera - i convogli
ridussero l’importanza della
città,permiseroailumbermen
di essiccare il legname al
terminal della ferrovia, di
spedirlo
già
tagliato,
cortocircuitandoigrossistiei
mercanti di Chicago. La città
aveva fondato la sua fortuna
di “capitale mondiale del
legname”edireginadelWest
sul fatto che la legna vi
arrivava via acqua e ne
ripartiva su rotaia. Quando
però la legna cominciò non
solo a ripartire, ma anche ad
arrivare su rotaia, non si
fermò più a Chicago, vi
transitòsoltanto.
***
Ma
l’industria
del
legname sui Grandi Laghi
sopravvissesolodipochianni
al declino del suo centro più
importante. Oggi atterrisce il
pensiero della fulminea,
brutale velocità con cui i
lumbermen
arrivarono,
distrussero intere regioni e
scomparvero.Ilprimogrande
boomingdellazonasiebbea
Muskegon(nellapenisoladel
Michigan)nel1864.Nel1870
fu inaugurato il boom del
Pantano del Bue in
Wisconsin. Tra il 1875 e il
1883 sul Saginaw River
(Michigan) furono trattati
ognianno1,3milionidime.7
Madopoappenaundecennio,
già nel 1890 Frederick
Weyerhaeuser spostava la
base delle sue operazioni
nell’Idaho e nello stato di
Washington perché sui Laghi
il legno stava finendo, le
"miniere di legname” si
esaurivano. Per millenni,
nelle distese d'Eurasia, i
popoli nomadi migravano
dopo che le loro greggi
avevano desertificato intere
pianure.
Nell’America
dell’Ottocento i lumbermen
furono i nomadi del capitale
chesostituironoipastori.
La produzione di legna
dei Grandi Laghi toccò il
massimo nel 1890 con 24
milioni di me; cominciò da
allora a declinare, fino a
stabilizzarsi intorno a un
decimo di quel valore negli
anni venti e dopo la Seconda
guerra mondiale, quando
l’assalto si sarebbe spostato
nell’Ovest e nel Sud.
(D’altronde le successive,
micidiali offensive degli
eserciti dei lumbermen nelle
varie
regioni
hanno
determinato nella geografia
boschiva americana uno
slittamentochespaesa.Nonti
aspetti, per esempio, che le
regioni del Sud, Mississippi
orientale,
Louisiana,
Alabama,Georgiasianotrale
piùboscosedegliStatiUniti.)
Così, tra fine Ottocento e
inizio Novecento, sconfinate
distese del Wisconsin, del
Michigan e del Minnesota
apparivano come deserti
sconvolti,
cosparsi
di
spezzoni di alberi, mozziconi
ditronchi,ramidiveltichele
autoritàcercavanodiriciclare
inimprobabilicampicoltivati
per nuove fattorie. Tentativo
presto abbandonato perché in
queste lande settentrionali la
deforestazione lasciava solo
unaterrasabbiosainunclima
inclemente. Nel frattempo
peròicontadiniincendiavano
i campi per prepararli
all’aratura, e allora le
montagne
di
segatura,
schiappe e trucioli, lasciate
dai boscaioli, scatenavano
roghi immani come nel 1881
nel Michigan, nel 1894 a
Hinckley,
Minnesota.
Nell’incendio di Peshtigo
(Wisconsin)
nel
1871,
morironocirca1500persone,
più di quante perissero nel
BigFireche in quello stesso
annodistrusseChicago.8
La regione era costellata
di città fantasma, borghi
abbandonati dove per brevi
decenni
aveva
pulsato
frenetica la vita delle
segherie. (Allora scomparve
ancheilraccoltoinvernaledel
ghiaccio per la refrigerazione
estiva e per il trasporto della
carneneivagonifrigoriferi:il
ghiaccionaturalefusostituito
dalfreddoartificialeedecine
di migliaia di spaccaghiaccio
abbandonarono la regione.)
Così, con la Prima guerra
mondiale,
il
grande
commercio e la grande
industriadellegnoeranosolo
un ricordo a Chicago. Dove
prima si ergevano sconfinati
boschidialtissimialberiinun
deserto umano di pochi
indiani, c’era ora una
disalberata distesa coltivata,
senza più indiani. Al posto
degli alberi i grattacieli;
invece dei boschi, i ghetti
urbani. Come dalla fauna
nordamericana
furono
spazzate via le mandrie di
bisonti, così, in pochi
decenni, dalla sua flora
scomparvero le foreste di
quei pini bianchi che intorno
al1850HenryDavidThoreau
descrivevacome“grandiarpe
su cui il vento fa musica”.
"Anche gli alberi hanno un
cuore,” diceva Thoreau, e
sottolineava: "Nulla nel
mondo si erge più innocente
[freeofblame]diunpino”.9
Compare qui il tema dell
'innocenzadella natura, degli
animali e dei bambini, che
irrompe nel secolo del
progresso,
nell’Ottocento,
quando per Dostoevskij il
piantodiunbambinodiventa
insostenibile
e
Ivan
Karamazovdicechelamorte
di un bambino gli fa venire
vogliadirestituireilbiglietto
all’universo. Ecco il vecchio
ronzino
inastato
dal
carrettiere che, secondo una
tradizione orale assai diffusa,
Friedrich Nietzsche sull’orlo
della
follia
abbraccia
scoppiando in lacrime in una
viadiTorinonelgennaiodel
1889.10NelSeicentonessuno
avrebbe mai detto che gli
alberi
erano
innocenti;
nessunosisarebbecommosso
per le frustate affibbiate a un
cavallo; il piagnisteo di un
bambino avrebbe suscitato
solo la spazientita tolleranza
per un’assordante seccatura e
la mortalità infantile sarebbe
statavissutacomeundestino,
senza suscitare emozioni
diverse da quelle provocate
dalla morte di un adulto. La
sofferenza del cavallo desta
commozione,
empatia,
quando dietro le frustate
s'intravede lo sbuffo della
locomotiva,
e
quindi
l’inutilità cosmica del suo
soffrire,
quando
come
“animale da traino” sta per
andare in pensione e si avvia
verso
l’estinzione
(nell’Ottocento nascono le
associazioni
contro
la
crudeltàversoglianimali,per
la protezione della natura e
quelladeibambini).
Comeilselvaggiodiventa
“buono”
quando
l'Occidentelostermina(nella
tradizione che da fra’
BartolomédeLasCasasporta
a Jean-Jacques Rousseau e
propaganda sino nel nostro
secolo l’idea - così diffusa
negliStatiUniti-che“ineri
sono come bambini”), così
l’amoreperiboschicompare
proprio quando divampa la
distruzione delle foreste:
Thoreau si ritira nello stagno
di Walden nel 1845. Fino ad
alloraiboschieranostaticosì
abbondanti da apparire
“ovvi”, da restare invisibili
perché
troppo
presenti
ovunque. Solo vent’anni
prima che Thoreau si
commovesse sull'innocenza
dei pini bianchi, Alexis de
Tocquevilleosservavanelsuo
viaggiodel1830:
In Europa ci si
occupa molto delle
solitudini dell’America.
Ma loro, gli americani,
non ci pensano per
niente. Le meraviglie
della natura inanimata li
trovanoinsensibilie,per
così dire, non vedono le
ammirevoli foreste da
cui sono circondati che
al momento in cui esse
cadonosottoilorocolpi.
Illoroocchiosipascedi
un altro spettacolo. Il
popolo americano vede
se stesso marciare
attraverso i deserti,
bonificando
paludi,
raddrizzando
fiumi,
popolandolasolitudinee
domandolanatura.11
In America, la corrente
trascendentalista rappresenta
l'altra
faccia
dello
sfruttamento capitalistico del
legno. Mentre i lumbermen,
quando guardano un bosco,
vedono una cava di legname
da misurare in metri cubi, i
trascendentalisti vi scorgono
una sorgente di spiritualità:
“Nei boschi torniamo alla
ragione e alla fede” scriveva
Ralph Waldo Emerson. I
capitalisti trovano nei boschi
una fonte di ricchezza
monetaria, i letterati vi
cercano una fonte di
ricchezza spirituale: “Al
contrariodeipionieripuritani
chepensavanochelamoralità
finisse al bordo del terreno
disboscato, i trascendentalisti
pensavano che la moralità
cominciasse qui, al limitare
del bosco, perché l'uomo era
intrinsecamente buono e non
cattivo, e la perfezione
avrebbe
potuto
essere
massimizzata entrando nella
foresta,” commenta Michael
Williams.12
Facce di una stessa
medaglia, quasi mai queste
due sensibilità entrano in
conflitto tra loro. Di rado la
reverenza per il bosco come
“cattedrale della natura” si
oppone all’eccidio selvaggio
compiutodallemotoseghedei
boscaio-li.Piùspessol’amore
per i boschi convive con lo
sterminio degli alberi, come
l’affetto per gli animali non
vieta di assaporare una
bistecca. Lo stesso Emerson,
dopo aver trovato nei boschi
fede e ragione, delineava un
futuro in cui "le selvagge
praterie saranno cariche di
messi, le paludi di riso, le
colline nutriranno greggi e
mandrie” e, soprattutto, “le
interminabili
foreste
diventeranno parchi graziosi
perusarliesvagarsi".
Se perciò gli Stati Uniti
iniziarono a preoccuparsi per
la scomparsa delle foreste e
per la conseguente erosione
del suolo proprio quando
cominciarono a sterminarle
industrialmente (le prime
grida di allarme sono del
1847, contemporanee a
Thoreau),ilcompromessotra
forsennato uso del legno e
passionaleamoreperilbosco
fu realizzato razionalizzando
l’usodiquestamateriaprima
epianificandonela“coltura”.
L’impiego massiccio di
truciolare e compensato al
posto del legno massello
permise di ridurre gli sprechi
(nella sola fase del taglio, il
10%dellegnoandavapersoa
causa dello spessore delle
seghe circolari). L’uso della
polpa e il riciclaggio di carta
e
cartone
compressero
ulteriormente i consumi. Un
enorme risparmio fu ottenuto
con
la
sostituzione
progressiva del legno con il
carbone, il petrolio, il gase
poi
l’uranio
come
combustibili
(per
le
locomotive, per lu cottura e
per il riscaldamento degli
ambienti). Così il consumo
annuo pro capite di legname
diminuìdidueterzi,dai4mc
del Novecento al minimo
storico di 1,5 mc nel 1975.
Nello stesso modo, le
tecniche di "coltivazione”
hanno permesso di frenare la
deforestazione e, in alcune
zone, persino di rigenerare
aree boschive, cosicché dal
1952 l’area forestale degli
StatiUniti(Alaskacompresa)
è aumentata di 400.000 kmq
(una superficie pari alla
Svezia), passando da 2,6 a 3
milionidikmqnel1992.
Razionalizzazione
e
pianificazione incontravano
però limiti invalicabili. Se il
consumo pro capite si
riduceva di due terzi, intanto
la popolazione triplicava. Per
di più, dal 1975 il consumo
pro capite di legna negli Usa
è di nuovo aumentato
dell’11%.
L’effetto
combinato del riaumentato
consumo pro capite e,
insieme,
della
crescita
demografica fa sì che nel
1999, con 279 milioni di
abitanti, gli Stati Uniti
consumassero 493 milioni di
mc di legna contro i 320 del
1900, ovvero il 54% in più.
Da esportatori che erano
nell’Ottocento, oggi gli Stati
Unitisonoimportatorinettidi
legname (in particolare dal
Canada).13
I nuovi boschi coltivati
stanno alle antiche foreste
comeicampidipatatestanno
alle praterie selvagge. Come
l’allevamentoscientificofissò
periboviniapocopiùdidue
anni il tempo da vivere
perché
rapidamente
crescessero e proficuamente
morissero,
così,
per
accelerare il ciclo, la
silvicoltura ha selezionato
varietà di pini che svettano
fulminei. La loro vita è più
breveeuniforme.Lesementi
vengono selezionate, i campi
seminati, le piante irrorate di
pesticidi,ilraccoltomietutoe
immagazzinato. Dell’antico
habitat forestale resta poco o
nulla; molte specie sono
vicine all’estinzione, le erbe
originarie sono sempre più
rare, la foresta si è più che
dimezzata e le sue specie si
sono impoverite, rendendola
geneticamente più fragile,
richiedendo così l’uso di
sempre più potenti pesticidi.
Ilsuoloesauritoesigesempre
più concimi. E la spirale si
avvita su se stessa. Tranne
alcuneriservenaturali,doveè
"un grazioso parco per
svagarsi’’,
la
foresta
americana è “area coltivata a
legna”. E non può essere
altrimenti:illegnocostituisce
il 30% di tutte le materie
prime lavorate negli Usa. La
sua industria occupa 1,1
milioni di addetti (2000) e
fattura 94 miliardi di dollari
l’anno.14Èinevitabile:ilmito
del pioniere coabita con la
coltura degli alberi, l’amore
per la natura con l’industria
del legno. Vive nella propria
“innocente” casetta lignea a
balloon frame l’ecologo che
per
la
deforestazione
dell’Amazzonia
s’indigna
contro
"i
governi
irresponsabilicheasfissianoil
polmonedellaterra".
Nel parco di Yellowstone
(Wyoming) i campeggiatori
vogliono rivivere i camp
fires, i fuochi notturni dei
pionieri del West e, nel
bagliore
delle
fiamme,
riassaporare
la
natura
primigenia.Irangervogliono
evitare che il bosco sia
razziato dagli spigolatoli di
legna
da
ardere.
I
campeggiatori
vogliono
disporre di legna facilmente
accendibile. La soluzione
pratica è un distributore
automaticodiciocchidilegna
già tagliati e impacchettati
nellaplastica,aduedollarila
confezione.
1 Michael Williams,
Americans&TheirForests.A
Historical
Geography,
Cambridge University Press,
Cambridge (Mass.) 1989, pp.
489-490. Questo libro è una
miniera di dati, mappe,
grafici.
2Numerodel22marzo
1880, p. 1, citato da W.
Cronon,Nature’sMetropolis,
cit., p. 153: su Chicago
capitale
mondiale
del
commercio di legname, vedi
tutto il suo capitolo The
Wealth of Nature, pp. 148-
206.
3
II termine pine indica
non i pini (quasi assenti in
America nella versione
mediterranea), ma molte
specie
di
conifere
sempreverdi: così i pini
bianchi dei Grandi Laghi
sono diversi da quelli rossi
del West e dai gialli del Sud
degli Stati Uniti, e ancora
diversidagliabetiedailarici.
4M.Williams,op.cit.,
p.217.
5Ivi,p.218.
6Ivi,pp.426-428.
7Ivi,pp.204-205.
8W.Cronon,op.cit.,p.
202.
9FrasitrattedalDiario,
rispettivamente
del
16
settembre 1857 e del 20
dicembre 1851, citate in W.
Cronon,op.cit.,pp.151e425
(nota11).
10 La discussione su
quest’episodio in Curt Paul
Jantz, Friedrich Nietzsche.
Biographie, Carl Hauser
Verlag,München-Wien19781979, trad. it. La vita di
Nietzsche,Laterza,Bari1982,
vol.III,p.30.
11 A. de Tocqueville,
De la démocratie en
Amérique,parteI,cap.XVII,
Alcune fonti di poesia presso
i paesi democratici, trad. it.,
cit.,pp.489-490.
12M.Williams,op.cit.,p.
17. Le citazioni di Emerson
sono tratte dalla pagina
precedente,p.16.
13 Cifre tratte da U.S.
Bureau of the Census,
Statistical Abstract of the
United
States
2002,
Government Printing Office,
Washington D.C. 2002, tav.
838, e Statistical Abstract of
the United States 1993, cit.,
tav. 1153, e da M. Williams,
op.cit.,pp.8e487-488.
14 U.S. Bureau of the
Census,StatisticalAbstractof
the United States 2002, cit.,
taw.832e837.
8.Iltramdelprogresso
NeidintornidiChicago,i
comuni hanno nomi arcadici.
Almenocinquantanomisono
attinentiadalberi,aboschi,a
giardini. Sedici comuni si
chiamano “Parco...”: Parco
delCalumet,ParcodelCervo,
Parco Sempreverde... Nove
suburbi hanno per nome
"Bosco...”: Bosco di Casa
(Homewood), Boschi del
Fiume (Riverwoods). Poi ci
sono dieci "Boschetto...”
(Grave):
Boschetto
di
Primavera, Boschetto della
Prateria,BoschettodegliAlci,
Boschetto del Fiume della
Volpe, Boschetto del Bufalo.
Poi ci sono i comuni
“Foresta”:ForestadelFiume,
Vista della Foresta, Lago
della Foresta (ma c'è anche
Foresta del Lago). C’è
Vailetta del Bosco e poi ci
sono le combinazioni. C’è
Foresta del Parco, ma anche
Parco della Foresta e Parco
del Bosco di Olmi, oltre a
Colli del Noce americano
(Hickory Hills). Chicago
segue con disciplina quella
regola che impone ai
costruttori americani di
battezzare le cittadine che
mettonoinvenditaconinomi
degli alberi che hanno
abbattutopercostruirle.
Inomidesignanoquinon
tanto la realtà, quanto
l’aspirazione dei pendolari
alla propria "casetta nel
bosco”, “al focolare rifugio”.
Dal nome boschivo del
suburbio, l’innocenza degli
alberi (di cui parlava
Thoreau) s’irradia fino a
impregnarechiunqueviabiti.
Le foreste dei Grandi Laghi
sono rase al suolo per
procurare legna per le ville
balloon frame, ma questi
alberi non saranno stati
abbattutiinvano.
Il loro sacrificio sarà
servito a plasmare comunità
umane immerse in “parchi”,
"boschetti”, vicine alla
metropoli per il lavoro, i
divertimenti, gli acquisti
(centri commerciali, Malls),
malontanedallesuebrutture,
dall’inquinamento,
dalla
criminalità,daltraffico.
In città i poveri
facevano dimostrazioni,
i mendicanti tendevano
le mani per strada, e le
malattie si diffondevano
rapidamentedaiquartieri
più miserabili alle
dimore dei benestanti
attraverso i fattorini, le
lavandaie,
le
guardarobiere e altro
indispensabile personale
di servizio; l’occhio, se
non
si
cercava
scientemente di volgerlo
altrove, poteva in una
passeggiata di cinque
minuti
rivolta
in
qualsiasi
direzione
posarsi su uno slum o
almeno su un bimbo
degli slum [...]. Nel
sobborgo invece si
poteva vivere e morire
senza
che
nulla
deturpasse l’immagine
diunmondoinnocente,a
menocheunatracciadel
suo male inciampasse in
una colonna di giornale.
Esso era pertanto un
asilo
per
la
conservazione
delle
illusioni.
Qui
la
domesticità
poteva
fiorire
senza
preoccuparsi
dello
sfruttamentosucuitanto
era
basata.
Qui
l’individualità poteva
prosperare, dimentica
dell’irreggimentazione
che pure la permeava.
Non era solo un
ambienteinfunzionedei
bambini;eraunavisione
infantile del mondo, in
cui il principio di realtà
era
sacrificato
al
principiodipiacere.
Così scriveva Lewis
MumfordnelsuoclassicoLa
città nella storia. Due volte
“innocente” - verso la natura
e verso gli umani - è il
suburbio
americano:
innocente
del
bosco
(abbattuto) di cui scimmiotta
la
radura,
innocente
dell’inner city (devastata)
dallacuiviolenzarifugge.Ma
anche Mumford ricade nel
vezzo di pensare un prima e
un dopo della metropoli. Un
prima, quando la città
cresceva caotica, violenta ma
vitale, dove era impossibile
non vedere la miseria
circostante, un ambiente in
cui perciò gli “spiriti
intelligenti non potevano
vivere a lungo senza
associarsi per porvi in
qualche modo rimedio:
protestavano,
s’agitavano,
tenevano
comizi,
organizzavano
cortei,
presentavano
petizioni,
pungolavano i legislatori,
attingevanodenarodairicchi,
distribuivano aiuto ai poveri,
fondavano mense popolari e
casamenti modello, facevano
approvareleggi,acquistavano
terreni da adibire a parchi,
creavano ospedali e centri
sanitari,
biblioteche
e
università, a beneficio della
comunitàintera”.
Undopoin cui la città si
dissemina e si frammenta in
suburbi, in cui le persone si
allontanano “non solo dalle
attività urbane più intense,
più sudicie e più produttive,
ma anche da quelle più
creative. La vita cessa di
essere un dramma pieno di
provocazioni, di tensioni e di
dilemmiinattesi,ediventaun
quieto rituale di gente che fa
agaraachispendedipiù”.1
Ci sarebbe quindi un
prima,
quando
(nell’Ottocento) la città si è
fatta metropoli innervata da
una rete di trasporti in
comune(tram,omnibus).Eci
sarebbe un dopo (il
Novecento)incuicominciala
fuga dalla città, prende il via
la diaspora nei suburbi e il
trasporto pubblico viene
battuto da quello privato,
l’automobile. Sembra logico:
non si può fuggire da
qualcosa che non c’è. Ma mostra Kenneth Jackson - la
verità è meno consolatoria,
meno ordinabile in uno
schema logico pacificato,
quello che ci dipinge un
passato intriso di valori
urbani, filantropici, che
sarebbero andati persi nel
disumanoNovecento.
Si ripresenta, per le città,
quel meccanismo che Michel
Foucault descriveva per le
prigioni:nonc’èunprimain
cui sono state istituite le
carceri, e un dopo in cui è
stata proposta la riforma dei
penitenziari. La riforma
carceraria, dimostra Foucault
inSorvegliareepunire,nasce
insieme
alla
prigione
moderna. I due eventi sono
simultanei.Così,lafugadalla
metropolicominciainsiemea
essa, appena la città antica
smette di essere la walking
city,lacittàpedonale,appena
cessa di essere prodotto
artigiano e diventa invece
manufatto
tecnologico
composto da moltissimi
“pezzi", circuiti, meccanismi
(rete fognaria, condutture
d’acqua e di gas, sistema dei
trasporti, rete elettrica, rete
d’illuminazione
notturna,
sistema di raccolta e
depurazione dei rifiuti e di
disinfezione dell'acqua), con
le sue pannes e i suoi
“guasti”, proprio come gli
altri prodotti tecnologici.
Un’astronave è composta da
milioni di "pezzi”, eppure è
pensata come un unico
prodotto (più o meno
progredito,
funzionale,
comodo). Anche la città è un
insieme il cui funzionamento
dipende da milioni di diversi
elementi,mararamenteessaè
pensata come un unico
tecnologico, il prodotto-città,
rispetto a cui chiedersi se è
“pratico”,
“comodo”,
“avanzato
o
obsoleto”
tecnologicamente, se è
consumer friendly. Solo
quando si viaggia in paesi
culturalmente distanti ci si
accorge di non sapere usare
alcunecittà.Ecivuoletempo
per imparare a usarle. Con
un po’ d’esercizio, si capisce
subito quali città sono "più
facilidausare”.
Soltanto lo spaesamento
ci fa cogliere l’aspetto
“utensile”, “arnese”, della
città, eppure è inconcepibile
una metropoli di milioni di
abitanti senza arterie che
fannocircolareumani,acqua,
corrente, gas, rifiuti (anche
nell’età classica, una città
come Roma potè varcare il
milionediabitantigrazieagli
acquedotti,
al
sistema
fognario, a una pur
rudimentale
illuminazione
notturna e agli edifici alti
parecchipiani).
La città moderna nasce
perciòcomeprodottoecome
centro industriale. Funziona
sì come snodo ferroviario,
serve cioè alle ferrovie, ma
sono le ferrovie che la
servono poiché senza di esse
èimpensabileunagglomerato
di milioni di umani. "Le
locomotive
in
corsa
apportarono frastuono, fumo,
pulviscolo nel cuore stesso
dellacittà.[...]Elefabbriche
che sorsero lungo il suo
percorso
rispecchiarono
l'ambiente sudicio e sciatto
dellaferroviastessa.”2Già,le
fabbriche.
La
città
dell’Ottocento nasce da
quella che Friedrich Engels
chiamava
“la
tendenza
accentratricedell'industria”:
Anche
la
popolazione
viene
accentrata, come il
capitale[...].
Il
grande
stabilimento industriale
richiedemoltioperaiche
lavoranoinsiemeeinun
solo edificio; essi perciò
devono abitare insieme
e, là dove sorge una
fabbrica di una certa
grandezza, formano già
un villaggio. Essi hanno
dei
bisogni,
per
soddisfare i quali sono
necessarie altre persone;
vi accorrono artigiani,
sarti, calzolai, fornai,
muratori, falegnami [...]
nascono
nuovi
fabbricanti. Così dal
villaggio nasce una
piccola città, dalla
piccolaunagrandecittà.
Quanto più grande è la
città, tanto più grandi
sono i vantaggi per
stabilirvisi. Si hanno
ferrovie, canali e strade,
lepossibilitàdisceltatra
operai esperti diventano
sempre maggiori; a
causa della concorrenza
traicostruttoriedilietra
ifabbricantidimacchine
che sono a disposizione
lì sul posto, si possono
erigere
nuovi
stabilimenti più a buon
mercatocheinunazona
distante [...] si ha un
mercato,unaBorsadove
siaffollanoicompratori;
si
è
direttamente
collegati con i mercati
che
forniscono
le
materie
prime
e
acquistano i prodotti
finiti.
Di
qui
l’accrescersi
straordinariamente
rapido delle grandi città
industriali.3
Quel che Engels scriveva
nel 1845 per città come
Manchester sembra pari pari
la descrizione dello sviluppo
di Chicago tra il 1850 e il
1900: i canali (il MichiganIllinois), le ferrovie, la Borsa
(Chicago Board of Trade), il
mercatoperilgrano,illegno,
la carne, i mattatoi, le
segherie, le fabhriche di
mietitrici, le fabbriche di
vagoni Pullman e quindi le
acciaierie.
Ovunque, a Manchester
comeaChicago,lefabbriche
s’installavano vicino alle
stazioni, e gli operai
andavano ad abitare vicino
alle fabbriche in slum
sovraffollati,
malventilati,
senzacessinéacquacorrente,
ammassati nel tanfo e nel
lereiume della povertà. Il
centro città veniva squartato
dagli sfondamenti ferroviari,
le sue vie ricoperte da una
fuliggine scura e grassa
dispersa dalle locomotive e
dalle ciminiere. Il fondo
stradale era ricoperto dalle
fecideicavallicheacentinaia
di migliaia trasportavano su
brevi distanze merci e
macchinari,oltrecheumani.I
canali erano inquinati da
fogne e residui industriali
scaricati nei corsi d’acqua.
Sono identiche le parole con
cui il rapporto dell’Ufficio
sanitario di Chicago definiva
laSouthFork,unbracciodel
fiume cittadino: “una piscina
stagnante di abominii”, "un
fluido putrido e nerastro [...]
su cui volano milioni di
insetti”, e quelle con cui
EngelsdescrivevailfiumeIrk
a Manchester: "un corso
d’acqua stretto, nerastro,
puzzolente,
pieno
di
immondizie e rifiuti [...] dal
cui
fondo
salgono
continuamente alla superficie
bolle di gas mefitici che
diffondono
un
puzzo
intollerabile”,4 proprio come,
secondo gli stranieri in visita
nella Windy City, "Chicago
s’impuzza fino a morirne
[stinksherselftodeath]”.5
I trasporti a vapore,
marittimi e terrestri, che
convergevanoversolegrandi
città,
agevolavano
la
diffusione non solo delle
merci e degli uomini, ma
anche dei morbi. Gli storici
sono concordi nell’attribuire
allenaviavaporeeaitrenila
fulminea
diffusione
ottocentesca del colera (di
colera morì il filosofo che
cantavailtrionfodellospirito
assoluto,
Hegel).
Sovraffollamento e sporcizia
facevano poi il resto. Così a
Chicagoilcolerascoppiavaa
ripetizione: dopo l’epidemia
del 1851-1852, quella del
1854 uccise più di 1400
persone.Ilcontagiosidiffuse
dinuovoallafinedellaguerra
di secessione con 990 morti
nel18666erimaseendemico,
soprattutto tra gli immigrati,
finoall’iniziodelNovecento.
Nell’estatedel1885,il“Sun”
segnalò casi di colera tra i
bambini polacchi di cui si
dichiarava “incapace di
riportare i cognomi”.7 Nel
1882lamortalitàinfantileera
tanto alta che più della metà
dei bambini di Chicago
moriva prima di arrivare ai
cinque anni (e nelle aree
meno agiate la mortalità era
tripla
che
in
quelle
residenziali).8
Coketown, "Carbonia” cosìsichiamavalametropoli
metafora di Dickens in Hard
Times, e così Mumford
chiama la città basata sulla
triade “ferrovia, fabbrica e
slum”
-,
era
infatti
inevitabilmente popolata di
immigrati attratti dal lavoro
che le fabbriche offrivano.
Anzi,
Coketown
era
identificata con l’umanità
povera
e
sporca
dell’immigrazione. Come la
vulgata
del
Novecento
attribuiscelafugadalleinner
citiesamericaneallapresenza
dei neri, e la fa cominciare
con gli anni sessanta, con le
rivolte dei ghetti neri, così il
luogo comune dell’Ottocento
attribuiva la ripulsa per le
città alla presenza dei white
ethnics, irlandesi, tedeschi,
polacchi, italiani. Già nel
1845 Engels parlava degli
irlandesi di Manchester. Ma
negli Stati Uniti il fenomeno
eraesasperato:nel1890,nelle
città viveva solo un terzo
degli americani, ma vi
risiedevano ben due terzi
degli immigrati. Nel 1910
viveva in città il 72% dei
"nati all’estero” (foreign
borrì). Appena potevano, i
benestanti fuggivano dai
miasmi, dalle epidemie,
dall’inquinamento,
dal
rumore.Persinouncomunista
come
Engels
provava
ribrezzo a Londra: “Già il
traffico delle strade ha
qualcosa
di
repellente,
qualcosa contro cui la natura
umana si ribella”.9 La stessa
ferrovia che faceva grande e
mostruosa la metropoli
costituiva però, per i più
agiati, un mezzo per
evaderne. La rivoluzione dei
trasporticreavalagrandecittà
e insieme innescava la fuga
daessa.ANewYork,giànel
1832 una ferrovia portava
fino alla 125a strada dove si
adagiavano residenze di
campagna (oggi è il cuore di
Harlem).Gliabbonamentidei
pendolarieranocari(tra35e
150 dollari l’anno quando,
abbiamo
visto,
uno
spaccalegna ben pagato
ricevevatra100e200dollari
annui) e selezionavano una
clientela agiata. Man mano
però che la rete dei trasporti
si diversificava e s’integrava,
la possibilità di sfuggire alla
maledizione del centro
cittadino si allargava a strati
sempre più ampi, e meno
abbienti. Dopo ferrovia e
traghetti, le tre grandi tappe
dei trasporti urbani sono
costituite dall'omnibus a
cavalli,
dal
tram
e
dall’automobile.
***
Levecchietecnologienon
si lasciano soppiantare senza
combattere.
Nathan
Rosenberg ha mostrato che
nell’Ottocento"icostruttoridi
navi a vela risposero alla
concorrenza del ferro e del
vaporeconmolteimmaginose
modifichenellaprogettazione
dello scafo che includevano
l’impiegodelferro”,inmodo
tale che il veliero del 18701880era"piùveloce,conuno
spazio di carico doppio in
rapporto al tonnellaggio, e
con un equipaggio ridotto a
circa un terzo”, tanto che "la
nave a vela divenne il
principale approvvigionatore
delle stazioni di rifornimento
di carbone d’oltremare”.10
Piùvicinianoi,alloroinizio
i computer hanno provocato
la nascita di una nuova
generazione di macchine da
scrivere
elettroniche
nettamentepiùavanzatedelle
precedenti.
Così, quando apparve la
trazione
meccanica,
si
cercarono miglioramenti per
la trazione animale. Verso il
1830 si cercò d’introdurre
anche sulle strade il binario
perfarcorreresurotaiaicarri
tirati dai cavalli (sul binario
l’attritodellaruotaeraminore
eilcavallopotevatrainareun
carico prima impensabile).
Ma il binario sporgente dal
piano stradale intralciava il
trafficodeglialtriveicoli.Nel
1852fuinventatoilbinarioa
pelosullastrada,rientratonel
suoloinvecechesporgenteda
terra come nella ferrovia.
Questo
binario
non
interferisce con gli altri
trasporti e una coppia di
cavalli può trainare (grazie a
una migliore tecnologia dei
freni) un vagone con 30-40
passeggeri, a una velocità
maggiore, di circa 6-8 miglia
l’ora (10-13 kmh). Le tariffe
crollano e spostarsi diventa
per la prima volta a buon
mercato.ANewYork,giàdal
1853laretedeitramacavalli
trasporta 7 milioni di
passeggeri.
Negli
anni
sessanta il tram a cavalli si
afferma
a
Chicago,
Cincinnati,Boston,Filadelfia,
Pittsburgh.Ametàdeglianni
ottanta,
nel
decennio
d’oro per questo tipo di
trasporto,cisonoin300città
Usa525compagnieditrama
cavalliche,su6000migliadi
binari, impiegano più di
100.000
cavalli11
per
trasportare 188 milioni di
passeggeri l’anno, ovvero 12
viaggi l’anno per ogni
residente (neonati compresi)
in un centro di più di 2500
abitanti. Il tram a cavalli è il
primoverotrasportopubblico
di massa. E gli inconvenienti
che crediamo propri del
Novecento appaiono già a
metà dell’Ottocento: "La
gente è inscatolata come
sardine," riferiva un giornale
dell’epoca,“conilsudoreche
fadaolio.Poichéisedilisono
strapieni, i passeggeri stanno
astrati,nelmezzo,dovesono
appesi alle maniglie come
prosciutti nella drogheria
all’angolo” (tutta la metafora
è da industria alimentare
anche se le sardine sbattono
disaporeconiprosciutti).12
Ma il tram a cavalli
consente per la prima volta
alla gran massa di abitare
lontano dal luogo di lavoro;
permetted’ingrandirelacittà,
di aumentare la distanza tra
lavoro e casa oltre la portata
delle gambe, di far straripare
la walking city. Fa compiere
un primo passo verso la
democratizzazione
dei
suburbi e delinea un sistema
di
trasporti
integrato
ferrovia+tram a cavalli. Il
tram a cavalli non solo
estende i suburbi, ma allarga
le dimensioni del centro
cittadino: diventa “centro”
tutto quel che è a poche
stazioni di horsecar. Nel
1888lapopolazionetotaledei
suburbi di Chicago superava
le 300.000 persone e i
pendolari erano più di
70.000.13
***
Malaspintapiùpossente
verso i suburbi la diede il
tram elettrico (in inglese
trolleycar).Èimpressionante
la rapidità con cui gli Stati
Uniti adottarono questa
tecnica di trasporto. Il primo
prototipo è del 1880, e già
dieciannidopoèdiffusissimo
(a confronto, l’automobile ci
misealmenoventicinqueanni
primad’imporsi).Latrazione
elettrica non si ammala, non
defeca, non scivola sul
ghiaccio,nonvafrustata,non
richiedecavallisupplementari
che aspettino all’inizio delle
salite per integrare il traino,
viaggia
più
veloce
dell’omnibus a cavalli, va a
10-15 miglia l’ora (16-24
kmh), trasporta molti più
passeggeri (fino a 100
persone nelle ore di punta).
Così le tariffe scendono
ancora e il prezzo medio di
un viaggio scende, a fine
Ottocento, da un dime (dieci
cent) a un nickel (un
centesimo di dollaro). Nel
1890 le "linee ferroviarie
stradali”,comesichiamavano
allora (Street railways),
trasportavano 2 miliardi di
passeggeri l’anno, il doppio
di tutto il resto del mondo.
Nellecittàamericaneconpiù
di 100.000 abitanti, ogni
persona-bambinicompresicompiva172viaggil’anno.A
confronto, Berlino, che
disponevadelmigliorsistema
di tram d’Europa, negli Stati
Uniti avrebbe occupato
appenala22aposizione.14
Anche
nei
tram
proliferarono migliaia di
piccole imprese private a
competere luna con l’altra
sulle stesse linee. Già tra il
1890 e il 1893 si ebbero
fusionidi250società.
È a Chicago che il
progresso del tram fu più
rapido e più capitalistico e
questo progresso porta il
nome di Yerkes. Charles
Tyson Yerkes, speculatore di
Borsa già finito in prigione
nel 1871, arrivò a Chicago
nel1881,sibuttònelmercato
dicerealiedivennebrokerdi
grano; con soldi in prestito
acquistò un’opzione sulla
NorthChicagoStreetRailway
e,pocoapoco,sualtrelinee.
Yerkes realizzò un sistema
tecnico superbo per i suoi
tempi, aggiunse 500 miglia
(800 km) di linee di
superficie, ne elettrificò 240,
costruì il Loop (l’Anello)
soprelevato che tutt’oggi
correintornoalmezzomiglio
quadrato del centro città (da
allora il centro di Chicago si
chiama il Loop). Chicago è
così caratterizzata dalla sua
sopraelevata che la metro si
chiama la "L”, “el",
abbreviazione di elevated.
Nel 1895 Chicago aveva più
miglia di tram, più linee e i
viaggipiùlunghidiognialtra
cittàsullaterra.
Yerkes era il prototipo
dell’affarista avido, che
corrompeva i politici e se ne
fregavadeidisagidegliutenti
(“È la gente appesa alle
maniglie che vi paga i
dividendi” diceva ai suoi
azionisti). E così lo descrisse
Theodore Dreiser nei due
romanzi II finanziere e II
titano. Nonostante nel 1892
avesse donato all’Università
di Chicago 250.000 dollari
per
l’osservatorio
astronomico - lo Yerkes
Observatorydotatodell’allora
più grande telescopio del
mondo15
-,
la
sua
impopolaritàfavorìlaspintaa
municipalizzare i trasporti
(rivendicazione presente in
tutte le piattaforme sindacali
dell’epoca).Nel1897Yerkes
tentò di farsi rinnovare
l’appalto per cinquant’anni, i
“suoi” assessori (aldermen)
stavano per votarlo, ma una
folla furibonda circondò il
municipio. Il rinnovo non
passòenel1899gliassessori
di Yerkes non furono rieletti.
AlloraYerkesvendettelesue
linee e nel 1901 si spostò a
Londra dove, con 15 milioni
di dollari (di allora), comprò
la metropolitana londinese e
ildirittodielettrificarla.
(Mentre gli Usa erano
molto più avanzati nei tram,
l’Europa era più progredita
nellesotterranee:nel1866fu
costruito il primo tube a
Londra e nel 1898 il primo
mètro a Parigi; mentre oltre
Atlantico la prima subway
apparveaBostonnel1897;la
grande New York avrebbe
atteso il 1904, e Chicago
addiritturail1943.)
Il tram dilatò a dismisura
il
processo
di
suburbanizzazione innescato
dagli omnibus a cavallo. Il
tram
rese
possibile
“esplorare” la città. Le
compagnie
tranviarie
pubblicavano orari e guide
per permettere di variare il
percorso e cambiare linea.
Costruivano,afinetragitto,al
terminal periferico, grandi
parchi di divertimenti con
birrerie e luna park (Coney
IslandaNewYork,Riverside
a Chicago). Tanto che la
domenica, e d’estate, i
passeggeri aumentavano e
intere famiglie partivano in
gita per visitare quartieri,
monumenti e giardini della
metropoli fino ad allora
inavvicinabili.Cirimarrràper
sempre ignoto il palpitante
sentimento di attesa, la fame
di
novità
inesplorata,
l’apprensiva curiosità che
assaliva quegli intrepidi
viaggiatoriditram.
Il tram permise a milioni
di persone di fuggire il caos
urbano, di entrare e uscire
giornalmente dalla città. I
tram estendevano la città a
un’"area
metropolitana”
definitacomel’areadeitram.
Nel 1910 i trasporti pubblici
portavano nel Loop di
Chicago un milione di
pendolari (una cifra che
sarebbe
rimasta
straordinariamente stabile nel
corso del secolo: i pendolari
avrebbero oscillato tra gli
800.000 e il milione; solo il
mezzo di trasporto sarebbe
cambiato).Aguardarelefoto
di quegli anni, non ci vuole
molto per capire perché la
gente volesse fuggire. È
inimmaginabile la ressa delle
strade. In un’atmosfera
avvolta nella scura fuliggine
diCoketown(diunacittàche
funziona a carbone per tutto,
pertreni,cibo,riscaldamento,
fabbriche,ancheperprodurre
elettricità), al suono delle
proprie
campane
le
locomotive
a
vapore
incrocianoleviedellacittàin
ben duemila passaggi a
livello-raramenterispettatiprovocando incidenti e
rallentamentimostruosi.Sotto
una rete di fitti cavi aerei,
stracarichi tram elettrici si
aprono un lento varco fra
torrenti umani di pedoni,
s’incuneano tra i facchini
piegati sotto enormi sacchi,
avanzano a singhiozzo tra le
prime automobili, i calessi
signorili, gli omnibus a
cavalli, in mezzo a ingorghi
di carriami oberati da pile di
tronchiomontagnetraballanti
di barili, con i cavalli che si
ostacolano l’un l’altro,
frustati
dai
carrettieri
(teamsters:nellelinguelatine
ilcamionistamodernononha
mantenuto lo stesso termine
delcarrettiereantico).
Moltopiùdellametropoli
attuale, la città d’inizio
Novecento è multimediale:
pedoni, treni a vapore, tram
elettrici, veicoli a cavallo,
vetture. Molto più che
nell’odierna città occidentale,
regna la folla. È la pressione
fisica, mentale di milioni di
epidermidi umane e animali,
di odori, sporcizie, sudori. Il
tanfo dei motori, i rumori.
L’unico paragone possibile
conlaChicagodialloranonè
laChicagodioggi,maèuna
città indiana, metti Calcutta,
con la sua cappa di carbone
che ti annerisce il vestito e il
corpo in una mattina, con il
suo ponte di Howrath,
percorso da milioni di
camion, risciò a pedale, a
cavallo o a uomo, carri
trainati da lenti buoi,
automobili, biciclette, pedoni
con le persone che quasi si
passano una sopra all’altra
senza farci caso. E poi gli
storpi, i mutilati, i deformi
che oggi tanto colpiscono
nella città del Terzo mondo.
“Innessunacittàalmondoho
visto tanti frammenti mutilati
di umanità quanti se ne
trovanoaChicago,”scriveun
polemico giornalista inglese,
attivo membro della società
teosofica, William Stead,
venuto nella Windy City per
assistere
alle
maestose
celebrazioni colombiane del
1893 con i loro monumenti
neoclassici, e rimasto per
descrivereisuoimendicanti,i
bordelli, i politici corrotti, le
dame benefattrici e ipocrite.
(La Chicago bene di allora
rimase scandalizzata dal
reportage di Stead. Solo
diciott’anni dopo, nell’aprile
del 1912, quando William
Stead s’inabissò insieme al
Titanic mentre veniva in
Americaperpartecipareauna
conferenza per la pace, solo
allora il “Chicago Tribune”
gli avrebbe consacrato due
intere pagine con il titolo:
“William Thomas Stead,
studioso,
sognatore
e
umanitario.Storiadiunavita
notevole, con un ancor più
notevolefinale”.)16
Nel 1894, Stead è
disgustato dai paralitici, dai
deformi, lasciati là sulla
strada dagli incidenti sul
lavoro nei mattatoi, nelle
segherie,acciaierie,fabbriche
McCormickePullman.Storpi
mutilatidaltrafficostesso:gli
incroci tra ferrovie e strade,
senza cavalcavia, fanno
strage, feriscono decine di
migliaia di persone l’anno e
ne uccidono centinaia (294
nel 1890; 323 nel 1891; 394
nel 1892; 431 nel 1893).17
Ma non morivano solo i
bipedi.
Si pensi che ancora nel
1910icavalliurbanieranoun
esercito adibito non solo ai
tram, ma alle carrozze
private, ai taxi a cavallo, al
trasporto di merci al
dettaglio: più di 68.000 a
Chicago, erano 128.000 a
NewYork,12.000persinoin
una
cittadina
come
Milwaukee. E anche nel
1920 - quando circolavano
sulle strade già milioni di
auto modello T della Ford -,
pur se più che dimezzati, i
cavalli sarebbero stati ancora
56.000aNewYork,30.000a
Chicago. Oltre a urinare e
defecare, i cavalli si
ammalavano,
attiravano
milionidiinsetti.Soprattutto,
sottolefrustatedeicarrettieri,
stremati dai carichi immani
cui
erano
sottoposti,
malnutriti, mal curati, mal
alloggiati, i cavalli da tiro
morivano a migliaia nelle
metropoli di fine Ottocentoinizio Novecento. Intorno al
1880 ogni anno morivano
15.000 cavalli nelle strade
dellasolaNewYork.Ancora
nel 1912 Chicago ebbe
12.000 cavalli morti, cioè 32
al giorno.18 Vedere in pieno
giorno un cavallo morire
sotto i colpi di bastone era
uno spettacolo così frequente
che non stupisce più la
commozione sull’innocenza
deicavalli,sembramenofolle
Nietzsche che abbraccia il
vecchio ronzino torinese e
non pare più così onirico il
passo di Delitto e castigo di
Dostoevskij
in
cui
Raskolnikov sogna di essere
bambino e di vedere un
cavallo picchiato fino a
morire da contadini ubriachi:
insogno,“gridandosiapreun
varco tra la folla verso il
cavallino, cinge con le
braccia il suo muso inerte,
insanguinato, e lo bacia, gli
baciagliocchi,lelabbra...”.19
I tram s’imposero così
prestoancheperchéaiutarono
a eliminare i cavalli come
mezzi da trasporto e perché
democratizzarono ancora di
piùlacorsaversolaperiferia,
permisero a milioni di
Chicagoansdiabitarelontano
dal centro, consentirono cioè
che si costituissero suburbi a
reddito moderato, se non
modesto. In una città simile,
tutti invidiavano chi poteva
andarsene. Oggi gli urbanisti
- e gli umanisti - americani
fanno presto a deprecare la
fuga verso i suburbi, ma chi
non voleva scappare? Non a
caso William T. Stead ha
apposto al suo (curioso)
resocontountitolo,SeCristo
venisseaChicago,chelascia
intravedere le ignominie che
Cristo vi troverebbe, e che
riecheggia un altro motivo
ricorrentedifineOttocento,il
ritorno di Cristo sulla terra
per vedere i risultati del suo
Vangelo, per esempio nel
sogno
del
"Grande
Inquisitore”
di
Ivan
Karamazov; un motivo che
sarebbe
penetrato
nel
Novecento fino a Cristo si è
fermato a Eboli di Carlo
Levi. Ancora: Rudyard
Kipling, visitata Chicago,
scriveva in quegli anni:
“Dopo averla vista, desidero
seriamente non rivederla mai
più”.20 Se scappava Kipling,
immaginarsi gli operai, gli
artigiani
che,
appena
potevano, investivano i loro
magri risparmi in una casa
lontana da quell’abominio,
unospaziosenzaressa,ormai
raggiungibilegraziealtrolley
(affollato).
Glioperaipotevanoormai
abitare
lontano
dalle
fabbricheelontanidalcentro
città. Le fabbriche stesse
cominciarono perciò ad
allontanarsidalcentroedalle
stazioni centrali. I grandi
impianti si dislocarono in
periferia. A Chicago, le
acciaierie
erano
originariamentepostesubitoa
nord di downtown, sul
Chicago River. Ma a fine
Ottocentosispostaronoverso
l’area del Calumet River,
quasi al confine con
l’Indiana, e poi si espansero
ancora più a sud-est oltre il
confinestatale.Lontanodalla
città, a sud, furono situate
all’inizio del Novecento
quelle che sono ancora oggi
due tra le più grandi
acciaierie di tutti gli Stati
Uniti:nel1901laInlandSteel
sul lato orientale dell’indiana
HarborCanalaEastChicago,
e nel 1906 la Gary Works of
U.S. a Gary (Indiana).21
(AncheinEuropasicominciò
a parlare di "periferie
operaie”,dibanlieues rouges
: per esempio la nuova
fabbrica della Fiat, il
Lingotto,
fu
costruita
nell’allora periferia di Torino
trail1915eil1918.)Questa
dislocazione periferica delle
industrie fu accelerata dalla
rivoluzioneelettricachenelle
fabbriche sostituì il vapore
come forza motrice con
generatori a turbina. È del
1915 il primo libro - di
GrahamR.Taylor-chetratta
la deindustrializzazione dei
centri
cittadini
("lo
spostamento delle fabbriche,
unaauna,versoibordidella
città”) e la formazione di
suburbi industriali negli Usa.
Il centro città non fu più il
nucleo industriale della
regionecircostante,mailsuo
polo terziario, di servizi e
commerci. Le ciminiere
furono espulse dai centri.
Anche per questo i tram
incontraronotantofavore.
Infine
i
tram
modificarono la disposizione
spaziale dei suburbi. Quando
i collegamenti dipendevano
dalla locomotiva a vapore,
lentissima ad accelerare e
ancor più a frenare, le varie
stazioni dovevano distare tra
loroalmeno3-4km.Quindii
suburbi giacevano discosti,
ognunoappallottolatointorno
alla sua stazione. E il
personale di servizio -
pubblico e privato - abitava
nello stesso suburbio, la
servitù stava vicino alla
magione padronale. Anzi,
ogni suburbio riproduceva in
piccololastrutturadellacittà,
poiché anche qui i poveri si
ammucchiavano intorno alla
stazioneferroviaria.
Il tram permise fermate
moltopiùfrequentiequindii
nuclei
residenziali
si
sfilacciarono, si distribuirono
in modo continuo, senza
intervalli di campagna, lungo
la linea tranviaria. Poiché le
tariffeeranomoltopiùbasse,
divenne
conveniente
a
servitù,
commercianti,
commessi e artigiani dei
suburbi ricchi andare ad
abitare nei propri quartieri,
meno dispendiosi, e venire a
lavorare in tram. Anche i
padroni
trovavano
un
vantaggio nel pagare i
trasportiperallontanaredagli
occhi l’immagine e dalle
narici l’odore delle classi
subalterne. È questo uno
spartiacque decisivo nella
civiltà moderna, il momento
in cui i padroni perdono
contatto con la propria
servitù, il momento in cui
diventa impossibile un
dialogo intimo come quello
tra Jacques e il suo padrone
nel romanzo di Diderot. È
l’istante in cui i suburbi
diventano
segregati
socialmente, c’è un suburbio
per ogni classe e per ogni
sottoclasse, e la definizione
spaziale
implica
automaticamente
la
definizionesociale.
I tram mantennero invece
la struttura metropolitana
radiale. Tra i diversi suburbi
ladensitàdiabitantiètroppo
bassa perché abbiano senso
trasporti in comune che li
connettonotraloro.Itrasporti
in comune hanno senso solo
se congiungono una periferia
con un centro a forte densità
lungo una linea su cui si
adagiano
più
suburbi.
Incontriamo
qui
quell’ambiguo rapporto che
s’instaura tra innocenza
suburbanaedensitàabitativa,
che ritroveremo ancora. Il
tram dilata dunque i suburbi
ma sempre in una relazione
tributaria, subalterna rispetto
alcentrocittà,adowntown.
Si capisce come il tram
costituisca una curiosità
archeologicaaDallas,doveil
centro non c’è proprio, dove
la sua immagine spettrale è
costituita da nuovissimi,
luccicantigrattacieliperuffici
disperatamente
vuoti,
riecheg-gianti dei "suoni del
silenzio”. La linea tranviaria
ottocentesca di Dallas è così
una curiosità per allocchi,
come le carrozzelle di New
York,diRoma,diChicagoo
come i risciò a pedale che
scompaiono
dalle
città
asiatiche ma che fanno
capolino a Los Angeles,
VancouvereNewYork,dove
sonobaldigiovanottibiondia
spingere sulla biciclettacalessino su cui siedono
grassicinesi.
1 Lewis Mumford, The
City in History, Harcourt,
New York 1961, trad. it.
Bompiani, Milano 1967, pp.
614-615.
2 L. Mumford,op.cit.,
p.562.
3 Friedrich Engels, La
situazione
della
classe
operaia in Inghilterra (
1845), trad. it. in Karl MarxFriedrich Engels, Opere
complete, Editori Riuniti,
Roma 1972, vol. iv, pp. 261262.Lequestioniurbanesono
trattatenelcapitoloLegrandi
città,pp.262-309.
4Ivi,pp.286-287.
5LouiseCarrollWade,
Chicagos
Pride.
The
Stockyards, Packing-town,
und Environs in the
Nineteenth Century, pp. 131132.
6 William K. Beatty,
When Cholera Scoured
Chicago,
in
"Chicago
History” (The Magazine of
Chicago Historical Society),
primavera1982,vol.xi,n.1,
pp.1-13.
7L.C.Wade,op.cit.,p.
298, cita il "Sun” del 27
agosto1885.
8DatifornitidaBessie
LouisePierce(vol.III,p.54)
della sua monumentale A
History of Chicago considerata il testo base sul
tema - pubblicata da Alfred
A. Knopf, New York su un
arcoditempodivent’anni:il
volumeièdel1937,ilIIdel
1940,ilIIIdel1957.
9 F. Engels,op. cit., p.
263.
10 N. Rosenberg, Le vie
dellatecnologia,cit.,pp.233234.
11 Frank Rowsome,
Trolley Car Treasury. A
Century of American Street
Cars, McGraw & Hill Book
Co.,NewYork1956,p.17e
tuttoilcapitolo2:TheAnimal
Railway, pp. 17-34. Altre
fonti parlano di 415
compagnieinvecedi525.
12 K.T. Jackson,
Crabgrass Frontier, cit., p.
41.
13Ivi,p.93.
14 Molti dei dati qui
riprodotti sono tratti dal
capitolo The time of the
Trolley del libro di K.T.
Jackson,op.cit.,pp.103-115
e dal cap. 7, Transportation,
diI.Cutler,Chicago,cit.,pp.
201-231.
15 William T. Stead,If
Christ come to Chicago!,
Laird
&
Lee
Publishers, Chicago 1894, p.
110 [in un’altra edizione,
Book Review, New Haven
1894, il titolo diventa If
ChristcametoChicago(what
would He do?)].Della prima
edizione
americana
si
vendetteroben100.000copie.
Le pagine 110-15 descrivono
enfaticamente la corruzione
del comune di Chicago che
concesse
quasi
gratis
l’appaltotranviarioaYerkes.
16 “The Chicago
Tribune",21aprile1912.
17W.Stead,op.cit.,p.
194.
18K.T.Jackson,op.cit.,
p.106.
19 Fëdor Michajlovic
Dostoevskij,
Delitto
e
castigo, trad. it. Einaudi,
Torino1981,parteI,capitolo
v,p.73.
20CitatodaK.T.Jackson,
op.cit.,p.93.
21I.Cutler,op.cit.,p.175.
9.Paradisidiperiferia
Per fortuna ci è preclusa
l’esperienza di un viaggio in
un tram di Chicago a fine
Ottocento su una linea
Yerkes. Ma chiunque sia
rimasto appeso a un autobus
africanooindiano,perquanto
ecologo,diventacomprensivo
versogliamericanieversola
passione che subito nutrirono
per l’automobile, per il
trasporto individuale. Perché
l’Ottocento industriale e
capitalista idolatrava sì
l’individuo, ma solo nelle
classi superiori, dove era
concepibile
l’individuo
libero.
“La mia libertà finisce
dove comincia la tua,”
recitava il dogma del
liberalismo dell’epoca. Ma,
per un benestante, la mia
libertàfinivacolrecintodove
terminava il mio giardino e
iniziavailtuo,elatualibertà
cominciava nel tuo calesse
isolato dal mio. Per le classi
subalterne invece la mia
libertàfinivanelmiostomaco
in cui era conficcato il tuo
gomito, nel mio naso
impigliato nella tua ascella:
dovecomincialamialibertàe
dove finisce la tua in una
stanza in cui dormiamo in
cinque, in un tram in cui
siamo appesi in cento?
L’individuo, l'"io”, era una
moneta che aveva corso
legalesoloneicetiagiati,nei
gruppi dirigenti, lì dove
prendeva la maiuscola e
diventava l’Io hegeliano, il
Soggetto della Storia, il
Padrone del Conto in Banca.
Aquestosoggettol’Ottocento
riservava il diritto alla
privacy, cioè al "privato”.
Mentreimponevalacomunità
forzata (il comunismo?) alle
classisubalterne.
Non
a
caso
la
razionalizzazione industriale
e amministrativa consiste nel
rendere
intercambiabile
l’elemento umano, nel far sì
che
un
operaio
sia
equivalente all’altro, un
impiegato
sostituibile
dall’altro, anonimizzato e
desingolarizzato come il
soldatonellatruppa.Findagli
albori delle società moderne
ciòcheerapubblico(gratuito
o troppo a buon mercato) fu
discreditato a favore di ciò
cheeraprivatoecostoso:solo
la riuscita ti permetteva di
tirarti fuori dal disagio, dalla
puzza,dallapromiscuitàdella
comunanza:daquiilfascino,
usato e abusato dalla
pubblicità,
del
verbo
"personalizzare” e del suo
participio “personalizzata/o"
affibbiato a prodotti anonimi
destinati a milioni di clienti.
È la forma comica in cui è
drappeggiato un sentimento
vero,tragico:l’aspirazionedi
massaanonesserepiùmassa,
maadiventare"persona”.Nel
1906 il futuro presidente
Woodrow Wilson prediceva
che l’automobile avrebbe
portato al socialismo perché
alimentava l’invidia verso i
ricchi. Wilson non teneva
conto di quella forma
specifica che, secondo Pierre
Bourdieu, ha assunto la lotta
socialeinOccidenteecheèla
rincorsatraclassi:primasolo
la classe dominante abita
nelle ville nei suburbi; dopo
unsecolovivrannoinsuburbi
ancheiproletari;primasoloi
benestanti si permettono
l’auto, poi, dopo mezzo
secolo,
possiederà
la
macchina anche chi ha un
redditomodesto;primasoloi
borghesi
vanno
in
“villeggiatura”,
poi
le
"vacanze” diverranno di
massa.Ladistanzatemporale,
il décalage, nella rincorsa,
esprimeladistanzasociale.E
l’ultimo secolo può essere
letto come una gigantesca
rincorsaadiventareindividui.
L’automobile di massa, il
modello T lanciato da Henry
Fordnel1908fuquindimolto
più di una rivoluzione
industriale: ti concedeva di
accedere all’individualità pur
senza essere diventato ricco.
Conl'automobile,cisipoteva
permetterediessereindividui
anche da operai, da
commessi, da spazzini: “Il
rapido consenso popolare per
il nuovo veicolo è dovuto in
granpartealfattocheessoha
dato al suo proprietario un
controllo
sui
propri
movimenti che gli era negato
dai mezzi precedenti. A
portata di mano e pronto per
un uso istantaneo, esso porta
il suo proprietario dall'uscio
di casa a destinazione
secondo itinerari che egli
stesso ha scelto e su tempi e
programmicheeglistessoha
stabilito,” diceva un rapporto
presentato nel 1933 al
presidenteHerbertHoover.1
Questa
rivoluzione
concettuale avvenne assai
presto negli Stati Uniti, anzi
nel primo quarto di secolo
fece progressi mai più
ripetuti. Nel 1920 c’era
un’autoogni13abitantinegli
Stati Uniti, ogni 228 in Gran
Bretagna,
247
in
Francia, 1017 in Germania,
1206inItalia.Leproporzioni
europeediallorasonosimilia
quelle asiatiche di oggi: una
macchinaogni436abitantiin
Cina, 238 in India, 81 in
Indonesia (dati del 1997).
Allora,
la
densità
automobile/abitante era negli
Stati Uniti cento volte
superiore che in Italia,
diciannove volte che in
Francia. Nel 1999 il divario
tra America ed Europa si era
colmato e addirittura Italia e
Germania avevano superato
gli Usa quanto a densità di
automobili per abitante:
infatti c’era un’automobile
ogni 2,69 abitanti nel Regno
Unito, 2,54 abitanti in
Giappone, 2,1 in Francia,
2,11negliStatiUniti,1,96in
Germania e 1,85 in Italia:
questo
dato
sembra
incredibileeinfattiloè,visto
che è dovuto solo alle
perversioni tassonomiche del
BureauoftheCensuschedal
1986 conteggia furgoncini
(pickups),
monovolumi
(personal passenger vans),
minibus
(passengers
minivans) e trazioni integrali
(portutilityvehicles,Suv)non
più fra le automobili, bensì
fra i trucks, e perciò i dati
europei e quelli statunitensi
non sono comparabili.2 Ma
neanche
la
malignità
classificatoria degli statistici
Usa può occultare il
sostanzialeallineamentosugli
standard americani di densità
automobilisticaintuttiipaesi
ricchi. Oggi gli occidentali
possiedono
molte
più
automobili, ma vi dedicano
una porzione maggiore del
proprio
reddito.
In
novant’anni, l'accessibilità
delle auto è prima cresciuta,
poiperòèscemata.Nel1909
negli Stati Uniti erano
necessari 25 mesi di paga
media (lorda) di un operaio
per comprare una modello T
della Ford. Nel 1925, perché
leautocostavanomoltomeno
e perché i salari erano
proporzionalmente più alti,
per una modello T erano
necessari solo tre mesi di
paga.3 Oggi né negli Usa, né
inEuropabastanotremesidi
salario operaio per comprare
la macchina (servono tra
cinqueeseimesi,unregresso
rispettoaottant’annifa).
Così,quandoil5gennaio
1914HenryFordraddoppiòil
salario operaio da 2,3 a 5
dollarigiornalierinonlofece
solo per allargare il mercato
(pagare agli operai che
fabbricano un’auto un salario
abbastanza
alto
da
permettergli di comprarsi
quella stessa auto). Questo
salario è il tassello di una
visione sociale più ampia, in
cui i dipendenti sono esortati
a fare ogni sforzo per
accedere allo statuto di
individui, a guadagnarselo e,
aquestoscopo,èoffertoloro
un
salario
tale
che
l'individualità diventi alla
loro portata: non si è
individui in teoria, ma nella
pratica, nell’abitare, nel
muoversi, nell’"avere il
controllo
sui
propri
movimenti".
Mettere
l’individualità alla portata di
tutti
significa
rendere
accessibileatutteletascheun
veicolo
personale,
l’automobile, un’abitazione
unifamiliarecomeloèlacasa
balloon frame. Henry Ford
spingeva gli operai a
‘‘conquistarsi la propria
individualità” proprio mentre
introduceva in fabbrica la
catena di montaggio, un
processo che segmentava la
loro personalità lavorativa e
finiva per renderli anomini,
intercambiabili. Ma quella di
essere una persona è forse
l'unica illusione cui non si
puòabdicare.
Sulle automobili (e sui
camion) degli Stati Uniti se
ne sono viste, dette è scritte
troppe. Giusto alcuni punti
pocointuitivi.Autoecamion
sconvolgono la struttura
radiale della città, lasciata
intatta persino dal tram che
richiedeva
una
densità
sufficientementealtadiutenti
daessere-senonredditizioalmeno utile. L’auto richiede
invece
una
densità
sufficientemente bassa da
restarescorrevole.Mentrecol
tram ci si sposta dalla
periferia verso il centro e
viceversa (con l’eccezione di
una o due linee “circolari”),
con l'auto è possibile
spostarsi da suburbio a
suburbio. Già negli anni
trenta prendeva piede negli
Stati Uniti il pendolarismo
intrasuburbi: il pendolare
andava a lavorare non più in
centromainun’altraperiferia
Se la popolazione di
Chicagocittàhatoccatoilsuo
culminenel1940conquasi4
milioni (3,97 milioni) di
abitanti,perpoideclinarefino
ai 2,784 milioni del 1990 e
poi risalire di un pizzico nel
decennio successivo fino a
2,896milioninel2000,l’area
metropolitana di Chicago ha
invece
continuato
a
ingigantirsi:nel1940contava
4.570.000
abitanti;
sessant’anni dopo, nel 2000
eraquasiraddoppiataeaveva
9,2milionidiabitanti.Mentre
nel 1940 otto Chicagoans su
nove vivevano in città, ora
sonopiùdiduesutreavivere
fuori città. E se due terzi dei
Chicagoans abitano nei
suburbi, due terzi di questi
suburbani lavorano in altri
suburbi. Anzi, è raddoppiato
il numero di persone che
abitano in città e vanno a
lavorare nei suburbi: sono
circa 250.000 le automobili
che ogni giorno emigrano da
Chicago città per andare a
lavorareinperiferia,controle
100.000 nel 1960. Questa
rivoluzione ha sconvolto gli
stili di vita, il rapporto tra
lavoro, piaceri, famiglia,
riposo,didecinedimilionidi
persone. Oggi abitano nei
suburbi più di 120 milioni di
americani, il 40% della
popolazionedegliStatiUniti.
E oltre 60 milioni tra loro
vivono in località non
collegate da nessun trasporto
pubblico.
Poiché sostituisce una
mobilità orizzontale (o
trasversale) a una mobilità
verticale
(o
radiale),
l’automobile modifica i
rapportinonsolodelcittadino
conlasuacittà,madellacittà
conipropridintornieconse
stessa. Intanto, la città deve
essere cosparsa di parcheggi.
Nessunopotràmaidescrivere
quanto
i
posteggi
imbruttiscono le metropoli
Usa. Proprio accanto a
civettuoleboutiqueeccospazi
sgraziati, voragini nere di
parcheggi-multipiani costruiti
al risparmio in cemento
grezzo. Davanti all’Hilton di
Chicago (che fu un tempo il
più grande albergo di lusso
delmondo),portierigallonati
si sbracciano su guide di
velluto rosso. Appena dietro
l'Hilton, si stendono aree in
malora cintate da reti
metalliche cigolanti al vento,
superfici ricavate da edifici
demoliti. Il parcheggio
interrompe il tessuto urbano,
crea un terrain vague che
scardina la rete sociale. Di
notte i suoi spazi sono antri
bui, fauci che minacciano
scippo, percosse, stupro
(l’assaltonelparcheggioèun
pilastro
dell'immaginario
metropolitano).
Proprio
accanto
al
Magnificent
Mile,
il
parcheggio interposto tra
localino grazioso, negozio
alla moda e ristorante per
gourmet allena le persone a
quella particolare arte, così
sviluppata
nelle
città
statunitensi, di guardare
senza vedere, d’ignorare
ancheapalpebresollevate,di
usare gli occhi come siamo
abituati a impiegare gli
orecchiche,dopomillennidi
rumorisubiti,sannoascoltare
senza sentire, distinguono
cioèisuonicheciinteressano
dal rumore di fondo. Così,
nelle metropoli Usa, questi
particolari
sgradevoli,
“inevitabili
costi
del
progresso”,comelabruttezza
inenarrabile dei parcheggi,
sono considerati un rumore
visivodifondo.
Per arrivare in città in
auto,sononecessariestradea
scorrimentoveloce.Laprima
arteria costruita per le
macchine e solo a esse
destinata fu la Long Island
MotorParkwaydiWilliamK.
Vanderbilt (1906-1911). Per
facilitare il pendolarismo, le
autostrade devono penetrare
nella città il più all’interno
possibile. Meglio ancora, la
devono traversare da parte a
parte.Sirivelano“inevitabili”
squarciurbanidifron-teacui
sono bricolage dilettantesco
gli sfondamenti del barone
Haussmann
che
nell’Ottocento crearono i
Grands Boulevards parigini.
Ognimetropoliamericanadel
Novecento ha avuto i suoi
Haussmann. Robert Moses a
NewYork,ilsindacoRichard
J. Daley a Chicago, coloro
che,
secondo
Marshall
Berman, vedono se stessi
come i demiurghi di una
modernità finanziata con i
fondi statali. Robert Moses
che, nella descrizione di
Berman, ha costruito ponti,
litoranee,autostrade,eperciò
ha distrutto case, strade,
quartieri. Moses che amava
New York e che, per amore,
haresoBronxilBronx,neha
fattounagiungla,quandol'ha
sventrato per farvi passare
una expressway che ha
deportato 60.000 abitanti del
quartiere,
ha
distrutto
migliaia di edifici e ne ha
resoinabitabilialtremigliaia,
con i miasmi del carburante,
il rumore dei veicoli.
L’autostrada urbana degrada
e distrugge i quartieri che
squarciapropriocomefaceva
la ferrovia nell’Ottocento. A
chi gli chiedeva se le
autostrade urbane creassero
problemi umani diversi da
quelle di campagna Moses
rispondeva: "Si tratta di
qualchedisagio,maanchesu
questo si esagera”. La
differenza era che “ci sono
più case nelle strade [...] più
genteperlastrada,equestoè
tutto. [...] Quando si opera
all’interno di una metropoli
con troppi edifici, ci si deve
aprireunvarcoconunascure
dicarne”.4
Con la stessa “scure di
carne” e con gli stessi fondi
federali, si apriva un varco
Daley
per
costruire
l’autostrada Dan Ryan, la
Kennedy, e ancora la Adlai
Stevenson.
Persino
nell’aggraziata
Boston,
un’autostrada scorre - ferita
non rimarginata - nel centro,
passa vicino alle case del
Settecento, domina locande
ottocentesche. Ancora un
allenamentoperlacapacitàdi
non vedere. L’autostrada è
tanto familiare che non la si
nota più. Uno dei migliori
ristoranti di pesce di Dallas,
ricavato sopra una cisterna,
stapropriosottoilcavalcavia
diun'autostrada.All’uscitada
fratti di mare ti accoglie il
rimbombo dei Tir. Lungo
l’autostrada
urbana
di
Chicago,ilLakeShoreDrive,
sulla corsia d’emergenza
fanno jogging in tanti,
incurantideigasdiscarico.
***
Nel
Novecento
l'autostrada
porta
a
compimento il progressivo
svuotarsi della strada come
"pezzo della sfera pubblica”
che nell’Ottocento aveva già
fatto passare dalla via di
paese al viale urbano. "La
strada del villaggio,” scrive
Franco Moretti, “era certo
mille volte più povera di
stimoli della strada di città.
Ma in compenso la quasi
totalità della vita si svolgeva
appunto per strada.” La città
invece ha sì “valorizzato la
strada come elemento di
comunicazione, ma la ha
drasticamente
e
irreparabilmente
svuotata
come luogo di esperienza
sociale[...].Lagrandenovità
della vita urbana, infatti, non
consiste nell’aver gettato la
gente per strada, ma
nell'averla
rastrellata
e
racchiusa negli uffici e nelle
case. Non consiste nell’aver
intensificato la dimensione
pubblica,
ma
nell’aver
inventatoquellaprivata”.5La
via paesana era dove
s’incontrano i "compaesani”,
spazio di frequentazioni
dunque; il viale urbano è un
fondale di scena dove
passanoglisconosciuti:nasce
la categoria del passante.
Fiorisce il lirismo della
passante, la sconosciuta che
non ameremo mai, gli occhi
che s’incrociano una sola
volta nella vita, la mano che
non abbiamo sfiorata, la
felicità intravista e subito
persa: "Un lampo, poi la
notte!-Fuggitivabellezza/il
cui sguardo mi ha fatto
all’improvviso rinascere. / Ti
vedròforsesolonell’eternità?
/ Altrove, lontanissimo da
qui!troppotardi!maiforse!/
Perché ignoro dove tu fuggi,
tu non sai dove vado, / o tu
che avrei amato, o tu che lo
sapevi!”.6 La strada come
luogo della solitudine che
immagina
incontri,
li
fantastica.
Il viale urbano diventa il
luogo dell’intimità solitaria,
in cui ognuno segue il filo
della propria esperienza. La
via è solo eccezionalmente
pubblica: scendere in piazza,
scendere in strada diventa un
“manifestare”,
un
atto
sovversivo;èprotestaproprio
in quanto gesto pubblico,
perché nella quotidianità la
via si è fatta luogo privato.
Questa tendenza - a
considerare gli spazi pubblici
solo come fondali di
esperienzeprivate-sicompie
nei walkmen e nei telefonini
cellulari. Qui la capacità di
non sentire i rumori di fondo
diventa volontà di abolirli, di
“pulirli”. L’individuo non
sentepiùisuonidellastrada,
purofastidiodaeliminare,ma
traversa la via immerso nel
proprio mondo sonoro scelto
aproprioarbitrio,chesiauna
melodia risuonante nella
cuffiaounavocelontanache
cigiungesuonderadio.
L’involucro di metallo e
plasticadell’automobileèuna
cuffia walkman all’ennesima
potenza. Isola dai suoni, dal
contatto. In auto l’Altro
(macchina, pedone) diventa
puroostacolochesifrappone
tra te e la tua meta. L’auto è
privata non solo come
proprietà, ma perché rende
esperienza privata quel che
per secoli era stato tempo
pubblico, comunicativo: il
cammino del viandante nei
Canterbury
Tales,
la
diligenza di Tom Jones, il
treno in cui incontriamo
Myskin,l’idiota.
L’auto
espelle
concettualmente,primachein
pratica, il passante dalla
strada: egli non è più un
passante,èunveicoloumano,
un bipede semovente. L’auto
esige
arterie
apropria
immagine. Ecco quindi in
tutte le città le vie normali
svuotarsitrannecheincentro
(esolonelleorediaperturadi
negozi e uffici). Ecco grandi
stradoni desolati con rari
assembramenti di modesta
animazione
in
qualche
incrocio. Per misurare la
portata della rivoluzione
intercorsa in meno di un
secolo, basta paragonare
l’indescrivibileressadellevie
d’inizioNovecentoeilvuoto
silenziosodioggi.Lastradaè
diventataun'astrazione.
Certo è che nelle città
americane,
in
quest’astrazione, le auto ci
vivono proprio comode. C’è
da dire che hanno trovato
anche un habitat familiare,
come la struttura a graticola
(gridiron)
delle
strade
americane, reticolati di vie
perpendicolari che disegnano
isolati regolari (circa dieci
ogni miglio in città). La
struttura a graticola fu
adottataaNewYorknel1811
esidiffuseintuttelecittà.Le
linee rette diminuivano le
dispute
di
confine,
semplificavano i problemi di
lottizzazione, “facilitavano la
vendita e l’acquisto della
proprietà immobiliare”. Un
medico dell’epoca, Daniel
Drake, diceva: “Le linee
curve, sai, simbolizzano la
campagna, le linee rette la
città”.7 Il processo di
graticolizzazione degli Stati
Uniti culminò nel 1862, con
l’Homestead Act che a osni
aspirante fattore offriva terra
del
West
a
un
prezzo nominale, e che
dividevailpaeseinlottidaun
quarto di miglio quadro, 64
ettari, ognuno bordato da
strade: l’intera nazione
diventava un immenso
reticolato.
Nel Novecento le ragioni
del mercato sono state
sostituite da quelle del
traffico:lecurveostacolanoil
flussodiauto,impedisconola
visuale,
creano
incroci
“irrazionali”, mentre la
graticola costituisce un
perfetto sistema di semafori.
Ma per le auto le comodità
non
finiscono
qui.
Prediligono grandi stradoni?
eccole accontentate con
arterie larghe come piste
d’atterraggio. È vietato che i
parcheggi si sviluppino in
pendenza?eccospianatetutte
lealtureperprodurrecomodi
biliardid’asfalto.
Unacertaantipatialeauto
la nutrono anche per gli
alberi, e infatti negli Stati
Uniti sono rare le arterie
cittadine dotate di alberi,
Commonwealth Avenue a
Boston, Broadway a New
Yorkperunbrevetrattosopra
la 60a e poche altre. Però la
sera, ormai stanche, anche le
macchine cercano requie in
un ambiente più aggraziato e
allora migrano nei loro
suburbi dove le attendono
garage accoglienti, tutti per
loroche,nelleregionifredde,
d’invernosonoriscaldati.Qui
finalmentepermettonoailoro
servitori bipedi di ristorarsi
per essere pronti, l’indomani
mattina, col corpo acceso, il
pieno di comflakes, la
carrozzeria profumata di
dopobarba.
***
Eccoci nel suburbio dal
nome boschivo, lontani dal
Loop. Qui è possibile, anzi
ricercato tutto quel che in
città è precluso o osteggiato.
Quilestradenonsichiamano
più con numeri, ma
possiedono nomi (per lo più
alberati). Anche in città, nei
quartierichesivoglionodare
un tono, le strade sono
nominate e non numerate :
così nel Near North Side di
Chicago, abitavo in una via
che si chiama Oakdale,
"Vailetta della Quercia” in
una zona ovviamente senza
vallinéquerce.
Le curve poi sono il
massimo dell’eleganza. Se
nelsuburbiolestradegirano,
il prezzo delle case sale,
proprio perché le “curve
simbolizzano la campagna" e
lanatura,comedicevaDrake.
Ancora più care le aree che
hanno mantenuto colline e
avvallamenti,chenascondono
i paesaggi alla vista, e li
scoprono dietro una cresta.
Un colle, un tornante: il non
plus ultra dello chic, creato
apposta, se necessario, dai
paesaggisti urbani al soldo
delle immobiliari. Qui gli
umani cercano di ricreare a
caro prezzo, con gran
dispiego di macchinari, quel
che la natura elargiva senza
tanto pensarci, quel che ci
regalava
ogni
vallone
abbandonato:curveedeclivi,
Qui, nel suburbio, ai
bambini è consentito giocare
per strada, quell’attività
divenuta così pericolosa in
città, e non solo nelle città
americane.
Negli
anni
cinquanta, nella mia infanzia
a Roma, in un quartiere
medio di una media capitale
diunmediostatoeuropeo,tra
i cinque e i dieci anni,
giocavo
ancora
sui
marciapiedi con i ragazzini
del rione e insieme
scorrazzavamo in bande
innocue che si colpivano con
cartoccetti di carta tirati da
cerbottane di plastica. In
quest’inizio di xxi secolo, la
socialitàdistradafrabambini
diquartiereèinvecepreclusa
all’infanziamiddle class che,
per giocare all’aperto, deve
recarsi in un luogo adibito a
questa specifica funzione
(parco, giardino pubblico),
ma solo se accompagnata da
grandi, senza poter quindi
mai
sperimentare
quel
nevralgico rito di formazione
e di passaggio che è la vita
fuoridalcontrolloadulto,dai
luoghi da loro sorvegliati
(casa,scuola),cheèquindila
complicità
infantile,
congiurante, intessuta di
segretiindicibiliaigrandi.
La socialità di strada è
oggi riservata ai bambini
delle classi subalterne (un
tempo erano chiamate le
classi
pericolose)
nei
quartieri poveri, dove le loro
bande sono chiamate gang di
“ragazzi di strada”. Quel
processodicriminalizzazione
(“un bambino perbene non
gioca per strada”) per cui,
arrivati in una città
americana,
si
chiede
all’albergatore: “È sicura
questa via?”. La via è
criminalizzataquandol’unico
scambio sociale residuo,
l’unico “pezzo di sfera
pubblica”vissutonellastrada
è lo scambio illegale, di
spaccio - dove ci si scambia
la droga -, di prostituzione dovesicommercianocorpi(il
termine
“donna
da
marciapiede").
Conl’elettricità,lasocietà
umana
sembrava
aver
sconfitto
la
notte.
L’illuminazione (più che
l’illuminismo
filosofico)
pareva aver vinto la nostra
millenaria guerra con le
tenebre: a fine Ottocento i
visitatorinonsistancavanodi
ammirare lo spettacolo
notturno delle vie cittadine
cosìpienedivita,ditrafficoe
di confusione, tanto che, fa
notare
Wolfgang
Schivelbusch, fu inventato il
buio artificiale (quello delle
sale cinematografiche, delle
gallerie degli orrori nei luna
park).8 La sconfitta della
notteèstatadibrevedurata.
Ancheseilverobuiociè
ormai ignoto (il cielo stellato
ci è invisibile) e l’orizzonte
sulle città è sempre immerso
inunaloneluminoso,lanotte
ha riconquistato i suoi diritti,
hareimpostoisuoiincubi,"le
paure notturne”. Nelle ore
piccole, la strada toma a
configurarsi come al tempo
de La ronda di notte di
Rembrandt. Un sentimento
nuovo, l’odio per la strada, l
’odofobia, s’inserisce in un
sentimento preistorico: il
terroredellanotte.
Nel suburbio il bambino
può giocare per strada,
l’adulto
può
persino
passeggiarvi,
addirittura
percorrerla in bici perché la
strada è privata, perché
l’intrusoènotato,seguitocon
lo sguardo (l’idea che in una
via ci siano intrusi). Segnali
stradali
incoraggiano
i
cittadini a vigilare, a
segnalare
alla
polizia
qualunque incontro insolito:
su questi pannelli è tracciata
l’immagine nera, in ombra
cinese, del viso di uomo con
un
feltro
dalla
tesa
minacciosa.
Quel
che
sarebbe
sconveniente
in
città,
rivolgere la parola a un
passante, diventa qui atto di
cortesia poiché il passante è
un vicino. Mentre la villetta
europea è circondata da un
recinto e il suo giardino è
situato davanti, la casa
unifamiliare americana si
presenta inerme, con il prato
davanti senza recinto; però
dove la famiglia vive
all’aperto e picnicca a
barbecueèilcortiledietro la
casa,nascostoallavista.
Negli Stati Uniti, ogni
bambino europeo rimane
perciò estasiato dal binomio
suburbio/casetta unifamiliare,
colsuocorollariodipratiben
curati e giochi all’aperto. La
vita vi è davvero innocente,
come diceva Mumford; la
domesticità vi prospera,
l’individualità vi fiorisce. Le
metropoli sventrate dalle
autostrade, butterate di
parcheggi, ridotte a ghetti,
intrisediviolenzasonosoloil
prezzo che si paga per
diventareindividui,peressere
“persone”.
Non basta. Ogni casetta
tra alberi e prati deve avere
accesso alla strada. Quindi
per ogni due villette
unifamiliari,videveessereun
trattodistradasuicuiduelati
queste case si affacciano. Se
una casa col suo prato si
affaccia per venti metri, a
cento famiglie occorrerà un
chilometro di strada, di
doppia corsia centrale e di
due marciapiedi. A diecimila
famiglie, cento chilometri
senzacontareletrasversali,le
arterie principali, le strade
veloci, le vie in cui sono
situatiiserviziurbani,icentri
commerciali. L’esigenza di
viverenellanatura,diabitare
tra alberi e prati produce più
asfalto per abitante di
qualunque
cementificata,
artificiale metropoli. E
moltiplica la rete fognaria,
quella telefonica, elettrica,
dell’acquedotto.
Ilnumerodiinfrastrutture
per
abitante
cresce
all’infinito. Per costruirle e
farle funzionare serve una
quantitàmostruosadienergia
(senza contare che ogni casa
ha il suo riscaldamento e
raffreddamento). Per lavare
ogni suo abitante bipede,
quadrupede, o quadriruote,
per innaffiare il suo
praticello,ognicasabeveuna
dose d’acqua letteralmente
insensata. Niente fa capire
finoachepuntoèirrazionale
edistruttivaladisuguaglianza
quanto le casette nel deserto
californiano, ognuna con un
praticello verde brillante
circondato da un’infinita
desolazionedipietreesabbia:
un verde conquistato con
migliaia di galloni d’acqua
versati-ascopoestetico-su
un fazzoletto, mentre tutto
intornolaterraèletteralmente
morta di sete. Dietro la sua
apparenzainnocente,dietrola
sua levità, il suburbio con la
casetta
balloon
frame
nasconde
una
voracità
sconfinata, voracità di legna,
di asfalto, di energia, di
acqua.
Il suburbio risucchia
risorse anche umane. La sua
popolazione è talmente
diradata che proteggerla
richiede un costosissimo
dispiegamento di polizia (per
secoli la gente si è
ammucchiata nei paesetti
medievali, nelle città, per
proteggersi, per stare al
sicuro).
Né
quest’ostentazione di forza
basterebbe a garantire la
sicurezza dei cittadini se tra
poliziachecontrollaisuburbi
egangchegovernanoleinner
ciliés non vigesse una
spartizione dei territori:
ognuna evita di entrare nel
territorio altrui e, se proprio
deve, vi penetra come forza
d’invasione in terra straniera.
Durante la sommossa di Los
Angeles nel 1992, non un
solo vetro del ricco suburbio
di Beverly Hills andò in
frantumi. In compenso la
polizia lasciò incendiare e
saccheggiare tutto il Central
District e attese l’intervento
della guardia nazionale,
esplicito
“corpo
di
spedizione” esterno e quindi
più “neutrale” dei poliziotti
cittadini. Sempre nel 1992,
molti
statunitensi
protestarono
perché
il
governo mandò i marines in
Somalia invece di spedirli a
SouthCentralLosAngeles.
Questa spartizione delle
areed’influenzaspiegaanche
un
altro
pilastro
dell'immaginario
contemporaneo, il terrore per
lo psicopatico, come colui
che sfugge al controllo sia
dellegang,siadellapolizia,e
che quindi può colpire
ovunque e - più delle gang mettere
a
repentaglio
l’incolumità suburbana. Lo
psicopatico può nascondersi
(conlasuasilhouetteneraeil
feltro dalla tesa minacciosa)
anche dietro la fisionomia
bonariadelvicinodicasa.Da
qui la sospettosità pignola, il
vigile pavore che questa
struttura urbana genera e
alimenta: la solitudine è
molto più minacciosa della
folla.
Il timore costituisce un
incentivo
potente
al
conformismo. La paura cerca
pace in un vicinato
socialmente simile a sé, con
lavori simili, culture simili,
similecoloredellapelle,oltre
a redditi simili, imposti dal
valore immobiliare in quel
suburbio. Altro incentivo, la
mobilità geografica: se devo
traslocare a migliaia di
miglia,pernonaveresorprese
cercherò casa in un suburbio
che mi somigli, in cui sia
minimo lo spaesamento
sociale, i figli non siano
traviati
da
“cattive
compagnie”, né le donne
importunate da "tipacci”.
Proprio perché diradato e
fragile, il suburbio si difende
con
l’uniformità,
con
l’uguaglianza a sé, con
l’autosegregazione.
Il
suburbioèdiasporaurbanain
senso proprio, è separazione
della società in segmenti
sociali
distinti,
incomunicanti.
***
L’automobile ha reso
possibile questa forma di
esistenza umana, ma a sua
volta il suburbio esclude
qualunque
sistema
di
trasporto che non sia
l’automobile. La densità
abitativaètalmentebassache
qualunque forma di trasporto
in comune perde senso. I
suburbisonostatifinanziatie
costruiti grazie a una politica
che ha smantellato i pubblici
trasporti;maunavoltacreato
il
suburbio,
diventa
impossibile
reintrodurvi
autobus o tram, la nuova
organizzazione
non
li
consentepiù.
Corollario di questo dato
èchebambinieadolescenti,i
teens - che ancora non
guidano
-,
vanno
accompagnati ovunque, dagli
amici, in piscina, al cinema.
Lemammesonochauffeuses.
Il suburbio è costruito e
pensatoperunacasalingache
qui dovrebbe, mamma e
moglie, vivere felice, lontana
dalle ansie del lavoro, della
città, della folla, degli
sconosciuti.PerBettyFriedan
il suburbio è il campo di
concentramento in cui è
racchiusaladonnaamericana,
quella particolare specie
umana che è la “casalinga
suburbana” (assonante con
“subumana”). L’esperienza
dei
lager
“sembra
terribilmente lontana dalla
facile vita della casalinga
suburbana americana. Ma la
suacasanonèforseinrealtà
un comodo campo di
concentramento? Le donne
che vivono secondo l’ideale
della
mistica
della
femminilitànonsisonoforse
imprigionate da sole entro le
angustemuradellelorocase?
esse hanno appreso ad
adattarsi al loro ‘ruolo
biologico’. Sono diventate
dipendenti,
passive,
infantili...”. Certo, non
bisogna esagerare con la
metafora:“Lacasasuburbana
non è un campo di
concentramento,
e
le
casalinghe americane non
sono in procinto di entrare
nellacameraagas.Peròsono
in trappola e, per evadere,
debbono esercitare la loro
libertàericonquistareilsenso
delproprioio”.9
Auto e casetta ci erano
apparsi(eperunversosono)
strumenti per conquistarsi
l’individualità,
divenire
persone. Anche all’essere
persona si applica la formula
liberale, ma in una nuova
versione:
“La
mia
individualità (di maschio)
comincia dove finisce la tua
(di femmina), la mia
personalità si costruisce sul
tuo anonimato”, il "mio
essere libero si basa sul tuo
essereintrappola”o,meglio,
sulconfinartia"starealposto
tuo”.Uninnocomunesileva
alla mistica del suburbio e a
quella della femminilità. E
mai il suburbio è stato
osannatocomenelperiodoin
cuiledonnehannocercatodi
evadere da questa trappola
fiorita. È un meccanismo
classico: l’ideologia del
suburbio
autosegregato,
rinchiuso nello sconfinato
orizzontedellapropriaaiuola,
ha celebrato il suo trionfo
politico alla fine degli anni
settanta, con il reaganismo,
quandoilsuoparadisoèstato
messo in pericolo, quando le
donne sposate, le madri con
figli piccoli, le casalinghe
suburbane sono entrate a
decinedimilioninelmercato
del lavoro. Nel 1970 solo
31,5 milioni di donne (il
43,3% della popolazione
femminile Usa) facevano
parte della forza lavoro. Nel
2000 erano 66,1 milioni, il
59,8%: in trent’anni erano
entratinelmercatodellavoro
più di 33 milioni di donne.
Ancora più impressionante il
confronto con il 1960. Nel
1960 faceva parte della forza
lavoro solo il 28,8% delle
donne sposate tra i 25 e i 34
anni: nel 2000 erano il
70,5%: prima due mogli
giovani
su
tre
non
lavoravano, ora due su tre
lavorano. Altrettanto vistoso
il boom del lavoro tra le
mamme: nel 1960 faceva
partedellaforzalavorosoloil
18,6% delle donne con figli
sottoiseianni;èil65%oggi:
la percentuale è più che
triplicata.10
È una rivoluzione del
costume americano passata
inosservatainEuropa,mache
rischiavadifarsaltaretuttoil
sistemadeisuburbi.Laprima
rispostaèstatamoltiplicarele
auto, così che potessero
guidarenonsologliUlissedi
periferia, ma anche le loro
Penelopistancheditesserela
tela: il 44% di auto nuove è
acquistato da donne. La
seconda è stata di spostare
molti uffici verso i suburbi.
Laterzaèstatadioffrirealle
casalinghe lavori part-time,
dato
che
comunque
continuavano a lavorare a
casa. La quarta è stata di
lanciareunagrandeoffensiva
a favore dei “valori
familiari”, i family values,
una crociata per rilanciare la
mistica della femminilità
materna e mogliesca. Non si
sa però se le donne
torneranno al focolare, se il
suburbio entrerà in crisi, se
un nuovo aggiustamento sarà
trovato. Certo è che, ancora
oggi,confinoeinfelicitàsono
spessoilprezzocheledonne
elasocietàamericanapagano
per vivere nel mondo
innocentedeisuburbi.
È uno dei molti,
esorbitanti costi del sogno
americano. Perché, di fatto,
questosognoconsistein“una
casetta suburbana, con un
pratorecintato,dueautoeun
periodo di ferie all’anno”,11
nient’altro, niente di più
poetico o profondo. A chi lo
guarda dall’esterno, i prezzi
di questo sogno sembrano
insostenibili,rovinosi.Eppure
esso ha mosso centinaia di
milioni di persone, le ha
convinte ad abbandonare la
patria, la famiglia, ad
affrontare l’ignoto, sfidare
una società ostile, razzista.
Bastaguardarelafierezzacon
cui una donna immigrata
"possiede” la propria lignea
casetta unifamiliare in una
foto di fine Ottocento per
capire la potenza di questo
miraggio, la sua capacità di
far sopportare privazioni,
superare stenti, ingoiare
umiliazioni.Per70milionidi
famiglie americane questo
sogno si è avverato nella
forma della proprietà: esse
possiedono la loro casa. Ma
anche la categoria del
possedere
si
rivela
enigmatica,
dalle
conseguenze imprevedibili,
indesiderate.
1 Presidente Commission
on Recent Social Trends in
the United Stales, Recent
Social Trends in the United
States, Government Printing
Office, Washington D. C.
1933,cit.inK.T.Jackson,op.
cit.,p.173(ilcorsivoèmio).
2
Contando anche i
trucks e i bus, la graduatoria
didensitàdiveicoliamotore
diventa:unveicoloogni1,26
abitanti negli Usa, 1,51 in
Italia, 1,77 in Germania e
Giappone, 1,78 in Francia,
2,36 in Gran Bretagna. Dati
tratti dalle tavv. 1355 e 1308
diU.S.BureauoftheCensus,
Statistical Abstract of the
United
States
2002,
Government Printing Office,
Washington D.C. 2002, e dal
CalendarioDeAgostini.
3Ivi,p.161.
4 Marshall Berman, All
That is Solid Melts into Air.
TheExperienceofModernity,
Simon&Schuster,NewYork
1982, trad. it. L'esperienza,
della modernità, il Mulino,
Bologna 1985, p. 363 (il
corsivo è mio). A Moses è
dedicata tutta la prima parte
del quinto e ultimo capitolo
(Nella foresta dei simboli:
note sul modernismo a New
York) di questo libro che
incrocia molti temi qui
trattati.
5FrancoMoretti,Segni
e stili del moderno, Einaudi,
Torino 1987, soprattutto il
capitolo Homo palpitans.
Comeilromanzohaplasmato
la personalità urbana, pp.
160-161.
6 “Un éclair... puis la
nuit!-Fugitivebeauté/Dont
le
regard
m’a
fait
soudainement renaître! / Ne
te verrai-je plus que dans
l'éternité?/Ailleurs,bienloin
d’ici!Troptard!Jamaispeutêtre!/Carj’ignoreoùtufuis,
tu ne sais où je vais. / Ô toi
quej’eusseaimée,ôtoiquile
savait!": Charles Baudelaire,
Àunepassante,inLesfleurs
du mal (1857), Librairie
Générale Française (Les
livres de Poche) 1972, nella
sezione Tableaux Parisiens,
p.223.
7 Sul gridiron system,
vedi K.T. Jackson, op. cit.,
pp.73-76.
8WolfgangSchivelbusch,
Lichtblicke. Zur geschickte
derKünstlichenHelligkeitim
19.Jahrhundert,Carl Hanser
Verlag, München 1983, trad.
it.
Luce.
Storia
dell’illuminazione artificiale
nel secolo xix, Pratiche
Editrice, Parma 1994, il
capitolosuLastrada,pp.87157, e le pagine su
L'oscuramentodellasala,pp.
201-210.
9 Betty Friedan, The
Femmine Mystique, Bantam
Doubleday Dell, New York
1963,trad.it.Lamisticadella
femminilità,Ed.diComunità,
Milano 1964, cap. 12, Il
comodo
campo
di
concentramento,pp.273-302.
Le citazioni sono tratte dalle
pp.300e302.
10 Dati del Bureau of
the Census. Considero in
particolare le donne sposate
perché il matrimonio è la
condizione specifica della
donna suburbana middle
class,mentre - per esempio traleneredelleinnereitiesè
maggioritarialacondizionedi
madrecapofamiglia.
11 JulietB. Schor, The
Overspent American (1998),
HarperCollins, New York
1999,p.11.
10.Lafedesmuove
anchelebanche
Ti guarisce più della
penicillina. Ti rafforza più
dellosport.Tinutrepiùdella
cultura.Nonèunamore.Non
èlozen.Èlaproprietàprivata
dicasapropria.
Solopossederecasatuati
rende
davvero
umano,
scriveva Walt Whitman: “Un
uomo non è pienamente e
completamente uomo [a
whole and complete man] se
non possiede una casa e il
terreno su cui essa sta”.1
Possederecasaòunapanacea
morale, affermava Russell H.
Conwell nella sua celebre
conferenza
Acres
of
Diamonds: “Un uomo non è
unverouomosenonpossiede
la sua casa, e chi possiede la
propria casa è reso più
onorevole e onesto e puro, e
vero
e
parsimonioso
[economica!] e prudente, dal
fatto stesso di possedere
casa”.2 La casa di proprietà
rende grandi gli Stati Uniti,
diceva il presidente Calvin
Coolidge:“Nessuncontributo
più grande può essere dato
alla stabilità della Nazione e
al progresso dei suoi ideali,
quanto di farne una nazione
di famiglie proprietarie di
casa”. La proprietà privata
della casa rende persino più
coraggiosi, eroici: "Una
nazionediproprietaridicasa,
di gente che si è guadagnata
unaporzionerealedelproprio
paese,èinvincibile,”asseriva
il presidente Franklin Delano
Roosevelt. La proprietà della
casa unifamiliare genera
poesia, canti e lirismo che
mai e poi mai potrebbero
scaturire da case in affitto o
multifamiliari, declamava il
presidente Herbert Hoover:
“Possedere la propria casa è
la speranza e l’ambizione di
quasi tutti nel nostro paese,
cheessivivanoinunalbergo,
un appartamento o in un
caseggiato. [...] Queste
immortali ballate Home,
sweet Home, My Old
Kentucky Home e The Little
Gray Home in the West non
sono state scritte a proposito
di caseggiati o appartamenti
[...] nessuno ha mai cantato
canzoni su una pila di
ricevuted’affitto”.3
Siamodifronteaunavera
fede. Come un angelo
custode, la proprietà privata
della casa fa miracoli. Come
ildiod’Israele,essarisolleva
le nazioni. Come la giustizia
celeste, ritempra i caratteri.
Siamo giusti: non era solo
Karl Marx a considerare la
proprietà privata il fulcro
delle nostre società. Nella
comune preghiera a questa
divinità si trovano riuniti
Whitman, il poeta di "cogli
l’attimo” e della sensualità, e
Conwell,ilpastorebattista(e
primo
presidente
della
Temple University) che
concilia
capitalismo
e
cristianesimo.
Insieme
inneggiano al possesso della
propria dimora presidenti
politicamente antitetici, per
una volta uniti: Hoover,
l’uomodellacrisidel1929,e
Roosevelt, fautore del New
Deal.
È letteralmente salvifica
laproprietàprivatadellacasa,
e compito dello stato è
favorire il cammino di
ognunoversolasuasalvezza.
Le leggi devono quindi
rendere più conveniente
comprare la casa che
affittarla. Perciò il sistema
fiscale americano costituisce
un unico immenso incentivo
all’acquisto della casa:
l’affitto non è deducibile
dalle tasse mentre i mutui sì.
Per pagare un affitto di 2000
dollari al mese, devo
guadagnarne almeno 2500
(sopra ci devo guadagnare le
tasse), mentre pagando gli
stessi 2000 dollari mensili
comeratadimutuo,miverrà
dedotta dalle tasse tutta la
parte di interessi e quindi in
definitivaallemietaschesarà
costatamenodi1500dollari:
in sgravi fiscali sui mutui,
Washington perde più di
quanto spenda per tutti i
finanziamenti
diretti
all’edilizia.
I finanziamenti alla
proprietàprivatasonoavolte
più indiretti. Il governo
federale paga le autostrade
che connettono suburbi e
luoghi di lavoro. I poteri
pubblici pagano parte delle
infrastrutture e la quasi
totalità delle manutenzioni
per i beni privati. Gli
affittuari cittadini vengono
tassati per favorire i
suburbani proprietari. Così,
negli anni trenta, servizi
municipali,
manutenzione
delle strade, costi sanitari,
fondi per le scuole pubbliche
neisuburbibianchidiAtlanta
(Georgia)
erano
tutti
finanziati dalle tasse pagate
daineridiAtlantacittà.4
Perfaraccedereicittadini
alla beatitudine del possesso
casalingo, le forze private
avevanogiàfattolaloroparte
con terreni fabbricabili a
basso prezzo e case balloon
frame, a buon mercato. A
Chicago, una pubblicità del
1875 offriva per 600 dollari
unlottodi25x125piedi(280
mq) e una casa piccola, con
un tinello da 3x3,6 m, due
camerette da letto, cucina e
dispensa.5Agliimmigratiche
sicostruivanodasolilacasa,
i costruttori vendevano il
nudo terreno in lotti. Così
tantiimmigratirealizzavanoil
“sogno americano" e si
compravano la casetta. Nel
1920, nella zona dei mattatoi
di Chicago, in Back of the
Yards, il 57% dei residenti
del quartiere possedeva la
casa in cui abitava (e il 90%
dei residenti era nato
all’estero).6 Una casetta in
senso proprio: dopo la
Seconda guerra mondiale, il
sognodituttiglisposimiddle
class fu la villetta dei
costruttori Leviti: un tinello
da 3,6x4,8 metri, due
stanzettedaletto,cucinaeun
bagnoperuntotaledi69mq.
***
Per quanto la casa fosse
piccola, economica, su
terreno a buon mercato,
troppo spesso si rivelava
effimera questa felicità
immobiliare. Troppo spesso
gli americani erano cacciati
dall'Eden della proprietà
privataperchénonriuscivano
a pagare le rate del mutuo,
perché le famiglie erano
costrette a ricorrere agli
usurai per procurarsi il
contante(paricircaametàdel
prezzo della casa), e poi non
potevano fare a meno di
accollarsi non uno ma due
mutui (e il secondo era
sempre a un tasso d'interesse
piùalto).Semprepiùspessoi
mutui andavano in protesto e
gli aspiranti alla proprietà
perdevano la loro casa. In
periodi di recessione le
sofferenze dei mutui si
moltiplicavano. Nel 1932,
sottoicolpidellagrandecrisi
del 1929, ogni mese erano
cancellati 250.000 mutui
(oltrequelliperlefattorie):in
quell’anno tre milioni di
famiglie persero la casa per
cui avevano pagato decine di
rate.
La presidenza Roosevelt
introdusse due agenzie
federali che, più di ogni altra
misura,avrebberocontribuito
a fare dell’America una
“nazione invincibile” di
proprietari di case. Queste
agenzie furono la Home
Owners Loan Corporation
(Holc),
approvata
dal
Congressoil13giugno1933,
e la Federal Housing
Administration
(Fha),
approvata l'anno dopo, il 27
giugno 1934, cui, dieci anni
dopo, nel 1944, il Congresso
aggiunse
la
Veterans’
Administration.7
Per quel che riguarda il
loroscopoimmediato,queste
agenzie sono una meraviglia
di semplicità ed efficienza.
Non si può fare a meno di
ammirare la rapidità con cui
assolsero il loro compito e
fecero sì che comprare una
casa diventasse molto più
facile ed economico che
affittarla.Nel1933negliStati
Uniti era iniziata la
costruzione di solo 93.000
case. Nel 1937 erano già
332.000; 458.000 nel 1939;
619.000 nel 1941. Nel 1972
la Fha aveva aiutato 11
milioni di famiglie a
comprarsi la casa e altri 22
milioniafarvideilavori.Nel
frattempo, la percentuale
degli americani proprietari di
casa era passata dal 44% del
1933 al 63% del 1972 (al
68% attuale). Nel 2001
stavanopagandounmutuo45
milioni di famiglie (il 43%
deltotale).
La Fha ebbe inoltre il
merito - straordinario agli
occhi americani - di non
costare un centesimo ai
contribuenti. E però, per i
loro stessi meriti queste
agenzie hanno lasciato dietro
di sé una società devastata:
semprecitroviamodavantila
doppia valenza, la semplice
leggerezzadelballoonframe,
la straordinaria docilità
dell’automobile, l’efficienza
della Fha, e nello stesso
tempo le loro implicazioni
distruttive.
La Holc servì a
rifinanziare i mutui in
pericolo. In due anni, dal
1933al1935,sborsòpiùdi3
miliardi di dollari per più di
un milione di mutui, un
decimo di tutti i mutui
americani. La Fha - che sul
lungo termine influì molto di
più -invece non prestava
denaro né costruiva case, ma
assicurava i mutui accesi da
bancheecostruttori(anzi,per
quest’assicurazionepercepiva
una
commissione
che
accantonava in un fondo
rischi, tanto che il suo
bilancio
presentava
un
leggerissimo utile) e, in caso
d’inadempienza del debitore,
risarciva il creditore. Queste
due agenzie ebbero il merito
di calmierare e regolare il
funzionamento
dei
mutui negli Stati Uniti. In
primo luogo allungarono la
duratadelrimborso,finoagli
attuali periodi standard di
ventietrentaanni.Poi,itassi
fissi d’interesse divennero la
norma, e quelli variabili
l’eccezione.Nonsolo.Poiché
a garantire ogni mutuo era la
Fha,edietrodiessailTesoro
degli Stati Uniti con tutto il
suo peso, i tassi d'interesse
per i mutui trentennali
sceseroaprecipizio:nel2001
erano, secondo il Bureau of
the Census, solo del 6,9%
annuo, e poi sono crollati
ancora a causa della
recessione(imutuisonotanto
importanti che, diversamente
dall’Europa,
l’annuario
statistico americano riporta i
datisuinteressi,commissioni
bancarie, durata media ventisei anni -, percentuali di
protesti).
Infine, e punto decisivo,
lagaranziadellaFhapermise
di accendere un mutuo
versando in contanti solo il
7% del valore della casa
controun50-57%colregime
precedente.Percomprareuna
casa da 200.000 euro,
basterebbe cioè versare solo
14.000 euro in contanti. È
questa, insieme ai bassissimi
tassi
d’interesse,
la
rivoluzione copernicana del
mercato immobiliare che ha
messolacasadiproprietàalla
portata di (quasi) tutti gli
americani. Oggi il debito che
grava
sulle
famiglie
americane a causa del mutuo
per la casa unifamiliare
ammonta a 6,2 miliardi di
dollari.8
Ma proprio perché basta
unanticipoirrisorio,èfissato
in modo rigido il prezzo
massimo della casa che può
permettersi una persona con
un dato introito. Negli Usa,
banche e istituti finanziari
rifiutano di accendere mutui
se il valore della casa è più
del triplo del reddito annuo
lordo dell’acquirente. Se il
reddito di una famiglia è di
50.000 euro l’anno, può
comprareunacasachevaleal
massimo 150.000. Ogni dato
èunanellodiunacatena:non
avrebbe senso concedere
mutuiconanticipibassisele
case non costassero poco
rispettoaglistandardeuropei.
Negli Stati Uniti il prezzo
medio
di
una
casa
unifamiliare si aggirava nel
2001 intorno ai 217.000
dollari.Così,conlaHolcela
Fha, gli Usa si lanciarono
nella corsa alla casa di
proprietà. (Però, con altri
metodieperaltrevie,dopola
Secondaguerramondialeela
vittoria americana, anche i
paesi europei sono diventati
tutti "nazioni invincibili di
proprietaridicasa”.)
***
Le agenzie federali non
potevano però prestare (o
garantire) a vanvera, non
potevano esporsi per case il
cui valore sarebbe poi
crollato. Dovevano seguire
criteri che le tutelassero, e
adottare accorgimenti che
proteggessero
i
loro
investimenti.
Risvolto
positivo,
furono
fissati
standard di costruzione e
livelli abitativi validi in tutta
la nazione: non c'è infatti
specie di squali più feroce
degli agenti immobiliari
statunitensi,capacidivendere
ai pensionati bicocche di
cartapesta
a
prezzi
d’antiquariato. Ma il bisogno
di tutelarsi ebbe altre
conseguenze. Holc e Fha
finanziavano e garantivano
mutui per valori i più vicini
possibili ai corsi del mercato
immobiliare,perciòdovevano
trovare criteri per classificare
le varie aree edilizie, istituire
un grading, una tassonomia
discontinua, proprio come il
Chicago Board of Trade
avevafattoperilgranoeper
illegnopervarareilmercato
dei futures: anche i mutui
ipotecari rappresentano una
scommessa sul futuro valore
dell'immobile.
Opera sempre la stessa
logica che, a una varietà
continua
di
differenze
minime, sostituisce una
tassonomia discontinua in
poche categorie. Ora, per
qualicriteriiterrenielecase
valgono più in un quartiere
che in un altro? La Holc
divise le zone in quattro
categorie associate a quattro
colori: zona a verde; zona B
blu; C gialla, D rossa. Le
zoneeranocosìdefinite:
- a, verde: area nuova
omogenea, sempre richiesta,
nellefasisiadicrescitasiadi
recessione. Omogenea stava
per "Uomini di affari e
professionisti
americani
[American business and
professional men]”: per
esempio, le aree ebraiche, o
anche
quelle
con
un’“infiltrazione di ebrei”,
non
potevano
essere
considerate ottimali e tanto
meno“americane".
- B, blu: area “ancora
appetibile”, che ha raggiunto
ilsuoapice,maresteràstabile
permoltianni.
- c, gialla: un’area
"decisamenteindeclino".
-d,rossa:un’areaincui
“le cose che stanno
succedendo in c sono già
successe”. Le aree abitate da
neri erano invariabilmente
rosse, d. Ma gialle erano
anche le aree in cui il livello
dei prezzi “poteva attrarre
elementi indesiderabili” cioè
elementiwhiteethnics.
Dalla
sovvenzione
all’acquisto della prima casa
siamopassatiallavalutazione
dell’immobile; dai corsi di
mercato alla classificazione
dei quartieri; e dalla
graduatoria delle zone alla
composizione razziale ed
etnica. La Fha introdusse un
sistema classificatorio ancora
più accurato, basato su otto
criteri ognuno con un suo
pesorelativo.Eccoquilalista
dei criteri con tra parentesi il
pesopercentuale:
1. Stabilità economica
relativa(40%).
2. Protezione da
influenzeavverse(20%).
3. Libertà da
inconvenientifortuiti(special
hazards)(5%).
4.Adeguatezzadicentri
sociali, commerciali e civili
(5%).
5.Adeguatezzatrasporti
(10%).
6.Sufficienzadiservizi
einfrastrutture(5%).
7. Livello di tasse e
particolariassetti(5%).
8.Appeal(10%).
Benché la Fha insistesse
sugliottocriteri,lasuaricetta
assomigliava
troppo
al
famoso pàté di allodola fatto
in parti uguali di allodola e
cavallo: un'allodola e un
cavallo. Infatti i primi due
criteripesavanodasoliperil
60%, più della metà e più
degli altri sei criteri messi
insieme. Ma cosa sono le
“influenze avverse” o cosa
determina la "stabilità” di un
quartiere?Il Manuale per gli
impiegati9 del 1939 spiega
che l'affollamento riduce
l’appetibilità (e quindi i
quartieriacasetteunifamiliari
sonopiùappetibilidiquellia
condomini);chefumoeodori
sono"influenzeavverse”,che
"se un quartiere deve
rimanerestabile,ènecessario
che le proprietà continuino a
essere occupate dalle stesse
classi sociali e razziali”. La
Fhatemevamoltissimoche"i
gruppi non armoniosi di
nazionalità o di razze"
facessero crollare il valore
delleproprietà.Questotimore
laspingevaainserireclausole
restrittive(covenants)per cui
gli acquirenti di case in una
zonabiancasiimpegnavanoa
non venderle a neri. Solo nel
1948laCortesupremastabilì
l'incostituzionalità di tali
covenants.Lafedenellevirtù
salvifiche della proprietà
finisceinmoduloburocratico
e diventa
razziale.
segregazione
***
LaFhafuunodeipilastri
del New Deal e in Europa
Franklin D. Roosevelt è
considerato il presidente più
progressista della storia
americana. In questo caso la
suaazionefecesìchegliStati
Uniti
diventassero
una
nazionediproprietaridicase,
non solo, ma di proprietari
segregati razzialmente, di
cittadini che avevano un
interesse economico vero a
mantenereledistanzerazziali.
Ma è possibile attribuire
questi esiti solo a quella che
Albert Hirschman chiama la
"perversità”? La perversità è
un
classico
argomento
conservatore per cui ogni
“tentativo di spingere la
societàinunacertadirezione
avrà per effetto sì un
movimento della società, ma
nella direzione opposta”.10
Quest’argomento è stato
formulato per la Rivoluzione
francese che avrebbe cercato
la libertà e prodotto la
tirannia. Joseph de Maistre,
citato da Hirschman, vi
vedeva
addirittura
"un'affettazione
della
Provvidenza, nel senso che
gli sforzi del popolo per
raggiungereuncertoobiettivo
sono
precisamente
lo
strumento che essa impiega
perallontanarlodaesso”.11
La tesi della perversione
si rivela suggestiva non solo
perladestra,maancheperla
sinistra. E va di moda tra gli
ecologi. L’automobile serve
ad agevolare gli spostamenti,
maconisuoiingorghifinisce
perparalizzareiltraffico,così
oggilavelocitàmediaincittà
èinferioreaquelladeltrama
cavalli. Ma la tesi della
perversione finisce per
difendere l’esistente, poiché
ogni
cambiamento
lo
peggiora. È l’equivalente
moderno del leibniziano
"migliore
dei
mondi
possibili”incuitantocredeva
Candide, nel romanzo di
Voltaire.Sequelloesistenteè
il migliore dei mondi
possibili, ogni tentativo di
cambiarlolopeggiorerà.
Un’alternativa alla tesi
della perversione è quella
della malafede: è proprio in
buona fede che legislatori e
potenti del mercato hanno
tradottol’ansiaproprietariain
segregazione razziale? È
l’ipotesi del cinismo, che a
volte si rivela, più che
attraente, irresistibile. È
probabile che sia sincera la
fededipresidentiepoetinelle
virtù taumaturgiche della
proprietà privata della casa,
ma come dimenticare la
sicumera
con
cui
nell’Ottocento
la
Pennsylvania
Railroad
affermava di non temere
scioperi perché i suoi
dipendenti
“vivono
a
Filadelfia e sono proprietari
delle loro case, e quindi non
possono permettersi [afford]
di scioperare”? E come non
restare ammirati e disgustati
dalla sfrontatezza con cui il
primo
presidente
della
Provident Institution for
Savings di Boston diceva:
“Dagli una speranza, dagli
unachancediprovvedereper
la famiglia, di mettere da
parte una riserva per la
vecchiaia, di disporre di
qualche comodità o lusso a
buon mercato a cui legare il
proprio
cuore,
e
si
sottometteranno di propria
volontà, e con allegria, alle
privazionieaglistenti"?12
Mal’ipotesidelcinismoè
respingenteperchérinviaalla
tesi del “complotto”, del
"piano del capitale”, in
definitiva a una "Storia
segreta”, in cui i destini
dell’umanitàsonodeterminati
dagli intrighi, dalle congiure,
dalletramesotterranee,come
nel Pendolo di Foucault di
Umberto Eco. Il risultato
comunqueèsemprelostesso.
Se ingenui accettiamo la
buona fede - e i suoi effetti
perversi -, siamo impotenti.
Sepiù"scafati”ipotizziamoil
cinismo,
dobbiamo
sopportaredirimanereignari,
di non conoscere mai i
burattinai, e siamo di nuovo
impotenti. In ogni caso, ci
troviamo manipolati da due
“maniinvisibili”(perusareil
concetto di Adam Smith),
l'una divina (la perversione),
l'altraumana(ilcinismo).
Più probabile è un
groviglio inestricabile di
buonaemalafede,dicinismo
e sincerità, un intreccio che
nasce dall’ambiguità insita
nell’ideastessadiproprietà,e
nella sua praticabilità di
massa.Nonsiamoingradodi
misurarefinoinfondoquanto
c’è di distruttivo nella
distinzione primordiale tra Io
e non-Io. Né sappiamo
davvero fino a che punto si
deformalarelazionetraMee
Altro-da-Me quando si
traduce in opposizione tra
Mio e Tuo. Più vicini alla
quotidianità, gli speculatori
immobiliari che con nomi di
parchi, giardinetti e laghetti
battezzanodistesedicemento
spianate
a
bulldozer,
partecipano in realtà alla
stessa estetica "arcadica” dei
gonzi a cui le propinano.
Certo è che la logica
immobiliare pesa come una
maledizione originaria sulla
societàamericana.Enonsolo
sugli esclusi, sui segregati,
magiàsuchi,secondotuttele
apparenze,
dovrebbe
assaporarneledelizie.
Il possesso della propria
casa dovrebbe produrre
"parsimonia”,
sicurezza,
stabilità. Ma, proprio perché
tutto è comprato a credito,
quasi
senza
anticipo,
l’atteggiamento comune è il
contrario del risparmio, è la
"spendacciosità”(inprestito).
Ognuno è oberato da debiti,
ha impegnato in rate tutti i
prossimi decenni, anche le
vite future, se possibile. Se
tutto è a credito, tutto ti può
essere tolto appena smetti di
essere puntuale nelle rate.
Nullaèpiùeffimerodiquesta
proprietà.Dietrol’angolo,c’è
semprel’esproprio.L’ansiadi
possederediventaangosciadi
perdere.
Vive in un perpetuo
timore questa nazione di
invincibiliproprietaridicasa.
È costretta a essere ottimista
perché la sua condizione
normale è l’insicurezza: qui
sei licenziabile dall’oggi al
domani,iltuopostodilavoro
è alla mercé del più
impercettibilesbalzod’umore
del padrone, della minima
ventatadirecessione.Inmolti
mestieri non puoi nemmeno
ammalarti se non vuoi
rimanere disoccupato. Ti sei
impegnatoapagareunmutuo
per i prossimi trent'anni e
puoi ritrovarti sul lastrico
domattina. Hai ipotecato la
vita tua e della tua famiglia,
in senso proprio. L’agognata
serenità della "casa, dolce
casa” ti fa restare sveglio la
notteperl’ansia.Nédormono
sonni più tranquilli le
famiglie agiate. Poiché tu sei
quel che possiedi, più
guadagnipiùdevipossederee
più ti devi indebitare.
L’americano è overspent
("sovraspeso”), secondo la
bella espressione coniata da
Juliet Schor, e l’America è
una nazione che vive
letteralmente a credito. A
credito compra non solo la
casa e la(e) macchina(e), ma
gli
elettrodomestici,
l’università per i figli, le
vacanzeinMessicoeilponte
dentistico. Nel 2001 il debito
totale delle famiglie Usa
ammontava alla fantastica
cifra di 7724 miliardi di
dollarieilserviziodeldebito
risucchia il 14% del reddito
lordo e il 18% del reddito
disponibile delle famiglie.13
Questa montagna di buffi
condiziona
tutti
i
comportamenti, persino la
curva delle labbra e le
espressioni del viso: più sei
indebitato fino al collo e più
devi mostrarti fiducioso nel
futuro. Prova a chiedere a un
europeolaritualedomandadi
cortesia: “Come va?”, e ti
risponderà
bofonchiando:
“Così così”, “Non c’è male",
"Si tira avanti", "Potrebbe
andar meglio (peggio)”.
Formula la stessa domanda a
un americano, e la risposta
sarà un immancabile, grande
sorriso accompagnato da
"Great”,
“Wonderful”,
“Fine”, “Very good”: viene
da sospettare che dietro tanta
stereotipata soddisfazione di
sé e del proprio presente si
celi un modo per ubbidire
all’ingiunzione di Benjamin
Franklin che prescrive al
debitore di tranquillizzare il
creditore, perché “le azioni
più irrilevanti influenzano il
tuo
credito”.14
Ma
quest’ostentazione di fiducia
nell’ogginascondel’ansiaper
ildomani.
La proprietà si rivela
quindi
un
obiettivo
perpetuamente rinviato, un
fine sempre da perseguire.
Mentrelanormalitàdellavita
è perenne ricerca di questa
proprietà che sfugge come la
lepre
meccanica
del
cinodromoinseguitadaicani,
sempre imprendibile perché
acceleraquandostaperessere
raggiunta. Se ti va bene, la
vitatrascorrenelrimborsodel
mutuo. E, dopo i trentanni di
rimborso, se hai avuto la
fortunadipagaretuttelerate,
sei già vecchio, sei già in
pensione,ituoifiglisonogià
emigrati in altre città, la tua
casa è troppo grande. Ti
conviene venderla e andare a
vagabondare con una motor
home: hai passato la vita a
pagare una casa che, nella
migliore delle ipotesi, sarà
vendutaperpermettereaituoi
posteri di accendere altri
mutui.
***
Leisure World è un
complesso privato di 5000
residenti, vicino a Phoenix,
Arizona,conregolesueesue
istituzioni. Non è la più
grande città privata per
anziani dell’Arizona. Per
esempio, Sun City ha 46.000
residenti e dieci centri
commerciali,gestiscelibrerie,
parcheggi, piscine, un museo
d’arte,
una
linea
d’emergenza,undipartimento
di pompieri, un’orchestra
sinfonica,uncorpodipolizia
armata e un centro di day
care. Ma a Leisure World
sono sorti due problemi
curiosi, raccontati da Joel
Garreau.15 Il primo: un
immigrato clandestino. Un
medico di 42 anni aveva
avutounacrisinervosaedera
divenuto temporaneamente
incapace di prendersi cura di
sé; allora era stato ospitato
daisuoigenitoriproprietaridi
una casa a Leisure World. Il
problema
è
che
il
regolamentodiLeisureWorld
vieta ai minori di 45 anni di
vivervi.
Se
volevano
continuareaospitareilfiglio,
dovevano andarsene, fu detto
loro. E loro lasciarono la
casa. Secondo problema: il
bollettino locale divenne
sgradito al governo privato
dellacomunitàcheneimpedì
la circolazione. Il direttore
protestò, ma il primo
emendamento
della
Costituzione, sulla libertà di
parola, non si applica a una
proprietàprivata.
Ancora: Evan McKenzie
racconta16 che a Santa Ana,
California, una nonna di 51
anni
ricevette
una
comunicazione giudiziaria
per aver violato le regole
della sua associazione, per
“aver baciato e fatto brutte
cose [doing bad things]”
mentre era in un'auto
parcheggiata. Lei riconobbe
di aver baciato un suo amico
per dargli la buonanotte, ma
intentò causa. Il fatto è che
queste sono tutte comunità
private, basate sull’idea che
l'associazione dei proprietari
non solo possegga case e
terreno, ma sia anche
sovrana. Il nome ufficiale di
queste enclaves private è
Common Interest Housing
Developments (Cid). Ce ne
sono più di 150.000 negli
StatiUnitieviabitanotrenta
milionidiamericani.17
In questi Cid rientrano le
gated communities, le città
fortificate vere e proprie che,
secondo Blakeley e Snyder,
ammontavano a 25.000 nel
1997 e comprendevano circa
tre
milioni
di
unità
immobiliari, non più solo
come club di vacanze o
cittadelle per anziani, ma
sempre
più
alternative
residenziali al limitare delle
metropoli,inparticolareNew
York, Miami, Chicago,
Houston, Phoenix e Los
Angeles.18
Adesso
si
costruiscono città chiuse
persino dentro le città: con i
suoi cancelli invalicabili, a
separarladalrestodellacittà,
ne sorge una anche a
Chicago, là dove prima c’era
la fabbrica Stewart Warner,
enclavediricchiasserragliata
a
difendersi
dalla
disperazione delle vicine
Latrhop Homes dove vivono
solo neri e quelli che le
persone agiate chiamano con
cortesia i white trash
(“spazzaturabianca”).
Assistiamoquiallaforma
estrema di fiducia nella
proprietà le cui virtù
taumaturgiche sono trasferite
ed estese dalla casa di
proprietà alla città di
proprietà. Proprio come i
costruttori americani non si
limitano più a offrirti case, o
grattacieli, ma ormai ti
vendono città complete di
municipio, commissariato,
chiesa e scuole, così gli
acquirentibramanoacquistare
la proprietà non più di una
casa (sempre soggetta al
potere politico), ma di una
città,intendendoconessauna
comunità, una società con le
sue leggi, la sua polizia, le
sue tasse, insomma la sua
"cosa
pubblica”,
la
repubblica.
Alla casa-tempio (delle
divinità
familiari)
era
succeduta la casa-merce. Poi
anche la città diventa una
merce: c’è una merce-città
che si scambia, si compra, si
vende,èquotata.E,attraverso
il tramite della proprietà, il
mondo delle merci si rivela
contiguo a quello della
politica, perché il possesso
delproprietarioèlaformapiù
alta di sovranità in una
società che sulla proprietà si
fonda.Eccoquindiapparireil
governo privato, che sembra
unacontraddizioneintermini,
perché si governa la cosa
pubblica. Ma qui è la
dimensione pubblica a essere
sussunta in quella privata. In
questa città privata, il
proprietario spera di sfuggire
a tutti i mali della città
pubblica, alla delinquenza,
allasporcizia,allemalattie.E
spera di conservare tutti gli
agicittadini.Lacittàprivataè
la forma estrema, compiuta
delsuburbio.Quil’egoismoè
codificato, la segregazione
sancita, l’intrusione presa a
fucilate. Non ci sono
sconosciuti da temere, solo
filispinatidaevitare.
Quilafedenellaproprietà
diventaintegralista,siamonel
mondo del fondamentalismo
proprietario. Un esperimento
non nuovo. Nelle città
dell’India,
dal
tempo
dell’impero inglese vi sono
istituzioni che si chiamano
appunto colonies. Così, a
New Dehli ci sono Defense
Colony, Friends Colony...
Sono complessi residenziali
recintati (di solito immersi
negli alberi e nei prati),
controllati da una polizia
privata, governati da proprie
regole, muniti di propri
servizi, vere e proprie
enclavesdi agio in un casino
cosmico. Senza saperlo,
prefiguravano già l’utopia
d’inglobare nel privato tutta
la sfera pubblica. Come è
utopiaunfortinoassediato.
1 K.T. Jackson,
Crabgrass Frontier, cit., p.
50.
2 Russell Herman
Conwell,AcresofDiamonds,
Harpers
&
Brothers
Publishers, New York 1915,
p.19.
3K.T.Jackson,op.cit.:
lefrasideitrepresidentisono
riportate alle pp. 362 n. 14,
190e173.
4Ivi,p.132.
5L.C.Wade,Chicago's
Pride,cit.,p.67.
6R.A.Slayton,Backof
theYards,cit.,p.31.
7Suquestedueagenziee
sullaloropolitica,idatisono
tratti da tutto il capitolo 11
dellibrodiK.T.Jackson,op.
cit.:FederaiSubsidyandthe
Suburban Dream: How
Washington Changed the
American Housing Market,
pp.190-218.
8 U.S. Bureau of the
Census,StatisticalAbstractof
the United States 2002,
Government Printing Office,
Washington D.C. 2002, tav.
1159,datidel2001.
9
K.T. Jackson, op. cit.,
pp.207-208.
10AlbertO.Hirschman,
The Rhetoric of Reaction.
Perversity,Futility,Jeopardy,
The Bellknap Press of
Harvard University Press,
Cambridge (Mass.) 1991,
trad.
it.
Retoriche
dell’intransigenza, il Mulino,
Bologna1991,cap.II,p.19.
11Ivi,p.25.
12CitatoinK.T.Jackson,
op.cit.,p.51.
13 U.S Bureau of the
Census,StatisticalAbstractof
the United States 2002, tavv.
1142 e 1145, e Juliet B.
Schor,
The
Overspent
American
(1988),
HarperCollins, New York
1999,p.72.
14“Ilcolpodelmartello
che il tuo creditore sente alle
5delmattinooalle8disera
lo tranquillizza per sei
mesi..."
Questo
passo
dell’Advice to a Young
Tradesman (1748) è stato
reso celeberrimo da Max
WeberinDieProtestantische
Ethik und der Geist des
Kapitalismus (1920), trad. it.
L'eticaprotestanteelospirito
delcapitalismo,inSociologia
delle religioni, Utet, Torino
1988, vol. I, pp. 117-334. La
lunga citazione di Franklin è
nel cap. i, par. 2, Lo spirito
delcapitalismo,allepp.133-
135.
15
Joel Garreau, Edge
City. Life on the New
Frontier, Doubleday, New
York1988,pp.184-192.
16 In Trouble in
Privatopia,
in
"The
Progressive”, ottobre 1993,
pp.30-34.
17 Evan McKenzie,
Privatopia.
Homeowner
Associations and the Rise of
Residential
Private
Government, Yale University
Press,Yale1994.
18 Edward J. Blakeley,
Mary Gail Snyder, Fortress
America.GatedCommunities
in the United States,Broking
Institution Press, Washington
D.C. 1997. La cartina e il
grafico con la crescita delle
cittàfortezzasonoallepp.56.
Lametacittà(1):
metropoliimperiali
C'èunmodoincuilecittà
statunitensi chiedono di
essere percepite e studiate,
unosguardoinapplicabilealle
metropolieuropee,amenodi
non relegarlo al passato
remoto, alle póleis greche, o
ai comuni medievali. Tutto
spinge a osservare le città
statunitensi come fossero
individui,
ovvero
individualmente
soggetti
della storia, cioè soggetti
indipendenti l’uno dall’altro,
autonomi come nel Duecento
furono i Comuni. Nessuno
potrebbe scrivere la storia di
Parigi dall’Ottocento a oggi
comesoggettoindipendentee
separatodalsoggettoFrancia.
Tanto meno si potrebbe
parlaredelsoggetto“Londra”
astratto
dai
soggetti
“Manchester", “Edimburgo”,
“Glasgow”, e avulso dal
soggetto “Regno Unito". Ma
ancora oggi si può scrivere
unastoriadiLosAngeles,per
esempio nel libro City of
Quartz di Mike Davis, come
Giovanni Villani raccontava
nella Cronica le vicende di
Firenze. E comunque, le
metropoli
statunitensi
rivolgono una parossistica
attenzione a se stesse. È
possibile scrivere un libro su
Chicago e l’immaginario
letterario americano (18801920)1incuisianalizzanole
opere ambientate qui. È più
improbabile un libro su
Francoforte e l’immaginario
letterario
tedesco.
Naturalmente
quest’autocompiacimento
sfiora e spesso sconfina nel
provincialismo.
Le
guide
turistiche
americane hanno l’abitudine
di informarci dei figli celebri
delle varie città. La
Frommer’s ci dice che
“Chicagoèilluogodinascita
di Walt Disney, Kim Novak,
Johnny Weissmüller [il
leggendario Tarzan], John
Dos Passos, Edgar Rice
Burroughs [il creatore di
Tarzan]
ed
Ernest
Hemingway”.2
Più
modestamente, sempre per la
Frommer’s, a Kansas City
sono nati i jazzisti Charlie
Parker e Ben Webster, il
regista Robert Altman e
l’attore Ed Asner, mentre
Denver (Colorado) si deve
contentare
dell’attore
Douglas Fairbanks e del
direttore di band Paul
Whiteman.3 Anche in questo
camposicostruisceunascala
gerarchicadellecittà.
Nella
geografia
architettonica degli Stati
Uniti, al 99% costituita da
case a piano terra o al
massimo di due piani, i
grattacieli rappresentano la
raraeccezione,nonlaregola,
elaloropresenzaservesoloa
dimostrare la potenza della
città che li ospita, proprio
come il fasto delle cattedrali
medievali dimostrava la
prosperità della borghesia
cittadina. I grattacieli di
Chicago,ipiùaltid’America,
esprimono la sua borghesia
come il duomo di Milano
l’opulenza dei suoi mercanti.
Eccoperchésiaccanisconoa
costruire grattacieli anche
metropolidovenonhanessun
senso economico perché la
densità abitativa è così bassa
che il prezzo del terreno non
giustifica la scelta verticale,
comeaLosAngelesdove,su
una sconfinata distesa di
villette,unpugnodiinsensati
grattacieli sorge proprio a
downtown, cioè in pieno
quartieredegradato.Inbaseai
grattacielisipuòstabilireuna
graduatoria urbana, con la
trentina di grattacieli di
Denver, la ventina di Kansas
City, la decina di Des
Moines. Già dall'autostrada,
ancora a miglia di distanza,
puoi valutare l’importanza di
unacittàpesandol’altezzaeil
numero dei suoi grattacieli
che spiccano nella distesa
dellegrandipiane.
Ogni città ha con la
propria(leproprie)università
lostessorapportodifierezza,
lo stesso intreccio di affari e
dottrina,denaroecultura,che
c’era nel Medioevo tra
Bologna e il suo ateneo, tra
Pisa e la sua università. Un
rapportocheinEuropaesiste
ancoraneicentridiprovincia
(Camerino,
Montpellier,
Heidelberg, che agli atenei
devono una bella fetta di
entrate), mentre non si può
dire che Roma o Amburgo
siano molto fiere per le
proprie università. Invece
New York nutre un tacito
complessoperladebolezzadi
Columbia University rispetto
alle università di Boston,
Harvard e il Massachusetts
InstituteofTechnology(Mit).
Al contrario, San Francisco,
Chicago,
Minneapolis
e Boston ostentano un
orgoglio persino smodato per
ipropriatenei.
S’incontrano spesso frasi
del tipo: "L’area di Los
Angeles costituisce, come
Prodotto interno lordo, la
dodicesimanazionealmondo
più ricca”. Cutler scrive:
“Solo undici nazioni al
mondo hanno un Prodotto
nazionalelordopiùgrandedi
quellodell’areametropolitana
di Chicago”.4 Si ragiona
come se la città avesse conti
separati con l’estero e una
propriabilanciacommerciale.
Oppure si leggono dati sulla
"capitalizzazione delle prime
cento imprese con sede a
Chicago”. La natura stessa
della stampa Usa, il suo
regime
di
monopolio
regionale, fa sì che ogni
metropoli abbia da leggere
solo il suo giornale la cui
diffusione rispecchia la
propria zona d’influenza,
cosicché la graduatoria dei
quotidiani rispecchia quella
tra le aree metropolitane:
prima New York (con "The
New York Times”), seconda
Los Angeles (con “The Los
Angeles Times”), terza
Chicago (con “The Chicago
Tribune").
Questa percezione delle
città, come fossero entità
statali separate, ha avuto il
suo culmine nella storia
dell’Ottocento, quando il
potere di Washington era
allentato. Non c’era una
poliziafederale:l’Fbirisaleal
1924. Non c’era una banca
centrale: la Federal Reserve
sarebbe stata varata solo nel
1913.5Nonc’eraneancheuna
valutaunica,(lacartamoneta
era scarsa e ogni banca si
stampava la sua). In città
diverse
avevano
corso
differenti banconote, creando
ai viaggiatori problemi di
cambio, aumentando con
questo l’effetto di estraneità,
di andare all’estero. Le
rivalità dell’Ottocento tra
Boston e New York sono
raccontate come quelle tra le
repubbliche marinare di
Genova e Pisa, con vere
guerrecommerciali.
Così la natura, il ruolo e
la percezione delle metropoli
contribuiscono
a
quel
generale
senso
di
anacronismo che fa sembrare
sfasate le linee temporali
della storia europea e
americana. Ognuno dei due
continenti sembra per certi
aspetti progredito rispetto
all’altro e per altri più
barbaro: gli Stati Uniti
dell’Ottocentosonoanniluce
avanti all’Europa nella
rapiditàconcuiilcapitalismo
industriale vi si espande e
nella politica generale: già
allora sono uno stato
repubblicano, democratico, a
dimensione
continentale,
mentre in Europa Santa
Alleanza e Carboneria si
affrontanoinstaterellicomeil
ducato di Parma e Piacenza;
ma nelle dinamiche interne
gli Usa si trovano ancora
all’epoca delle repubbliche
marinare,deiComuni.
Questo
sfasamento
temporale, quest’impressione
di vivere in un altroquando
(Elsewhen,diceiltitolodiun
romanzodifantascienzadiH.
Beam Piper) viene rafforzata
quando si guardano alcune
date precise. In Europa il
1848 fu l’anno delle
rivoluzioni, delle barricate a
Parigi, della Repubblica
romana. A Chicago fu un
anno altrettanto importante.
Ma perché fu inaugurato il
canale
Michigan-Illinois,
perché fu installato il primo
collegamento telegrafico, fu
aperta la prima linea
ferroviaria, la Galena and
Chicago,perchéfuinaugurata
la prima strada pavimentata
in legno, larga 8 piedi (2,40
m) che permetteva ai carri di
viaggiarea10miglial’ora(a
pedaggio).
Nel 1848, in Europa fu
pubblicato il Manifesto del
partitocomunistadiMarxed
Engels, a Chicago fu fondato
il Chicago Board of Trade
cheavrebbedatovitaallapiù
lucrosa attività cittadina, il
commerciodelfuturo.
***
Esemplare fu, all’inizio
dell’Ottocento,
la
competizione tra città per
costruire canali navigabili e
garantirsi così il monopolio
delle vie di comunicazione
con l’interno del continente.
Se la città di New York
costruivailgigantescocanale
Eriechein570kmcollegava
i Grandi Laghi con l’Oceano
Atlantico, subito Filadelfia
rispondeva con un canale
ancora più titanico, la Main
Line verso il fiume Ohio, di
650 km, con centinaia di
chiuse. Boston, eclusa dai
canali, cercava di rifarsi
lanciandosi nelle ferrovie.
Proprio come Chicago che
conibinaricercavadibattere
ibattellifluvialidiSt.Louis.
Asuavolta,St.Louisavrebbe
cercato d’impedire con ogni
mezzo la costruzione dei
ponti
ferroviari
sul
Mississippi,
ponti
che
avrebbero fatto il gioco di
Chicago. Una visione della
storiaincuiilsoggettononè
“la borghesia”, ma sono le
“borghesie cittadine” in lotta
eincompetizionetraloro.
Proprio a Chicago questa
visione
"città-centrica”
raggiunge il suo culmine.
“Nei tempi antichi tutte le
stradeconducevanoaRoma,”
scriveva un giornalista nel
1884, “nei tempi moderni
tutte le ferrovie conducono a
Chicago.” Qui compare un
paragone frequente lungo
tutto l’Ottocento, sui destini
imperialidellecittà.“Èsicuro
che sarà sede d’impero per
sempre Chicago, l’inevitabile
metropoli del Nord-Ovest,”
scriveva Parton nel 1867.6 I
sette colli di San Francisco
come i sette colli fatali di
Roma: ancora oggi Mike
Davis scrive che nel 1880
“Los Angeles era una
cittadina rurale, tributaria
dell’imperiale
San
Francisco”.7
Questo
rapportarsi all'antichità è un
usocontinuogiànellanascita
degli Stati Uniti. Nei verbali
tenuti da James Madison dei
lavori della convenzione di
Filadelfia del 1787, molti
sono i riferimenti storici.
Ecco Madison chiedersi:
"Potremmo forse trovare
negli Stati Uniti gli
ordinamenti introdotti da
Solone?
Potremmo
paragonareicostumiegliusi
di Sparta con i nostri? Sono
forse note fra di noi le
distinzioni tra patrizi e
plebei?”.8
Nell’Ottocento,
il
paragone con l’antichità
classicasiassociaall’ideache
le città imperiali si spostino
verso ovest, dalla Persia alla
Grecia, a Roma, alla Spagna,
allaGranBretagna,alNuovo
Mondo così che di questo
passato gli Stati Uniti
possono sentirsi gli unici
eredilegittimi.Ungiornaledi
Albany, parlando di New
York, diceva: “Una città con
un simile commercio non
potrà mai languire e sarà di
gran lunga più grande di
AlessandriaoTebe”.
È
quasi
incredibile
l’ossessione che tarlava
l'America, nell’Ottocento, di
trasporrenelpropriofuturoil
passato della classicità, di
fantasticareleproprierovine,
di là da venire. Proprio
mentre Goethe scriveva:
“America, questo hai di
meglio rispetto al nostro
continente, quello vecchio,
non hai ruderi di castelli e
niente marmo, ”9 gli
americani forgiavano uno dei
sentimenti più caratteristici
della modernità, e cioè la
nostalgia del futuro.Uno dei
profeti della crescita di St.
Louis rispetto alle città
atlantiche, Logan Reavis,
prediceva
che
“dalle
frenetiche città del Pacifico,
pellegrini
sentimentali
giungerannolàdoveorasono
Boston, Filadelfia e New
York e contempleranno
lunari, con malinconia, le
tracce delle Atene, delle
Cartagine, e delle Babele
dell'emisfero occidentale”.10
Nel 1857 il “Chicago
Magazine” stimava che
"700.000 miglia quadrate di
territori occidentali” fossero
"parzialmente tributarie di
Chicago”, dove la parola
"tributario” esprime bene la
metafora imperiale che c’è
sotto: all’impero militare è
sostituito il predominio
commerciale: "Il commercio
è un conquistatore potente,
più di un esercito con
bandiere,” scriveva nel 1846
un costruttore di Cincinnati
(altra città "sconfitta” da
Chicago). Quando l'8 ottobre
1871 scoppiò il grande
incendiodiChicago,ilGreat
ChicagoFire,cheuccise250
persone, distrusse 17.000
edifici,
lasciò
100.000
abitanti senza tetto, un
giornale di New Orleans
scrisse
con
malcelata
soddisfazione: “Chicago non
sarà mai come la Cartagine
dell'antichità. La sua gloria
apparterrà al passato, non al
presente, mentre le sue
speranze, una volta così
brillanti e serene, saranno
infine rovinate e annerite dal
fumo del suo destino
crudele”.11 Ma già il 23
dicembre 1875, il “Chicago
Tribune" poteva dire a
proposito delle Union Stock
Yards, i grandiosi mattatoi
cittadini: “Gli stranieri che
visiteranno la città senza
averli visitati si sentiranno
prestocomeilviaggiatoreche
visitasse l’Egitto e non le
piramidi, Roma e non il
Colosseo,PisaenonlaTorre
pendente”. Un europeo non
paragonerebbe un mattatoio
con il Colosseo. E nessuna
città s’inorgoglirebbe del
nome “Porkopolis” come
Cincinnati, né si fregerebbe
del titolo di "Bovine City”
come Chicago. Ancora oggi
lostatodelWisconsinèfiero
didefinirsi,sulletarghedelle
auto, Dairyland of America,
“caseificio d’America”, titolo
che noi non troveremmo
proprioelogiativo.
Appare
qui
uno
sfasamentodellegerarchietra
iduecontinenti.Astudiareil
passato americano diventano
importantieventidifformidai
fatti che studiamo nei nostri
manuali
(congressi
internazionali, vertici di capi
di stato, elezioni, battaglie e
trattati di pace); risaltano
personaggiditipodiversodai
nostri generali, politici,
pensatori, artisti. Altre date
segnano le epoche, o ne
sottolineano altri aspetti,
come abbiamo visto per il
1848. Nuove pietre miliari si
stagliano: il 1842, quando a
Buffalo
Joseph
Dart,
proprietario di un negozio di
ferramenta,
introdusse
l’elevatoredigranoavapore.
Il 1873, quando a DeKalb, a
50migliaaovestdiChicago,
JosephGliddeninventòilfilo
spinato. O il 1866, quando a
Chicago Windsor Leland
inventò la macellatrice
meccanica, la slaughtering
machine. Risaltano in questa
storia non musicisti o poeti,
ma nomi più prosaici, che
però hanno contribuito a
plasmare il futuro: è fiorita
addirittura una leggenda sul
fabbricante di moschetti Eli
Whitney che introdusse parti
intercambiabili nelle armi. È
sterminata la letteratura su
Cyrus Hall McCormick,
inventore della mietitrice,
fondatore della McCormick
Harvesting Machine Co. e di
una delle più potenti dinastie
di
Chicago:
durante
l’Esposizione universale di
Londra del 1851, la regina
Vittoriascrissenelsuodiario:
“La macchina mietitrice del
signor McCormick [...] è
chiaro che sarà tanto
importante per l'agricoltura
quantolagiannettaeiltelaio
meccanico lo furono per
l’industria”.12
Un riflesso di questo
sfasamento è visibile nella
toponomastica degli edifici e
delle vie di Chicago dedicate
a macellati, birrai, dentisti,
mercantidigrano:c'èpersino
un libro dedicato alla storia
dei nomi delle vie di
Chicago.13 Un’Avenue porta
ilnomedelmercantedigrani
ElliB.Beach.Bentreluoghi,
unAvenue,unaParkway,una
piazza evocano il birraio
MichaelDiversey.LaHalsted
Street evoca un banchiere di
Filadelfia. Palmer Boulevard
immortala uno dei principi
mercantidiChicago,sociodi
Marshall Field e mecenate
dell’istituto d’arte. Un'altra
grande Avenue ricorda
Archibald Clybourne giunto
quinel1823,diecianniprima
che Chicago diventasse un
comune, il suo primo
macellaio
commerciale.
Oliver Newberry aprì nel
1832 una ditta di spedizioni
di maiali e bovini. Suo figlio
Walter aprì una grande
biblioteca, la Newberry
Library e oggi c’è a Chicago
una Newberry Avenue, come
c’è una McCormick Place e
una Hutchinson Street, dalla
famiglia di packers “Hutch”
(il
macellaio
Charles
Hutchinson fondò l'Art
Institute
of
Chicago).
Un’Avenue, la John D.
Parker,eunastrada,laJoseph
Throop, sono dedicate a
mercanti di legnami. Una via
è dedicata al primo dentista
della città, Walter Alport.
Uno dei più alti grattacieli
della città, l’Hancock Center,
porta il nome dell’uomo che
presiedette nell’Ottocento il
Chicago Board of Trade:
quest’edificioèdettoancheil
"Toro”, The Bull, per la sua
solidità massiccia, scura, e
per la coppia di lunghe
antenne che porta in cima, e
forse anche per ricordare
l’animale che ha fatto la
fortuna della città e che dà il
nome anche alla squadra di
basket,i“ChicagoBulls”.
C’è una sorta di giustizia
in questa toponomastica che
dà a Cesare quel che è di
Cesare, ai salumieri quel che
èdelsalume,ealcommercio
riconosce il suo ruolo
nell’aver forgiato la potenza
di Chicago considerata come
organismo a sé stante, come
unitàeconomicaeculturale.
1 Carl S. Smith, Chicago
and the American Literary
Imagination
(1880-1920),
Chicago University Press,
Chicago1984.
2Frommer'sGuideUsa
'93-94, Prentice Hall Travel,
NewYork1993,p.510.
3Ivi,pp.605,621,767.
4 I. Cutler, Chicago, cit.,
p.279.
5 Con il Federal Reserve
Act.Ilsistemafederaleriuscì
anasceresolodopoilpanico
finanziariodel1907:cfr.Ron
Chernow, The House of
Morgan, cit., pp. 120-130,
181-182.
6 J. Parton, Chicago,
cit.,p.327.
7 Mike Davis, City of
Quartz, Verso, London 1990
(Vintage Books, New York
1992),trad.it.Manifestolibri,
Roma 1993, p. 25 (il corsivo
èmio).
8 II resoconto di
Madison è pubblicato in
Documents Illustrative of the
FormationoftheUnionofthe
AmericanStates,Government
Printing Office, Washington
D.C. 1927, pp. 109-745.
Ampi brani sono tradotti in
italiano in La formazione
degli Stati Uniti d'America
(documenti), Nistri Liscili,
Pisa 1961, vol. II, pp. 124479.Lacitazioneèap.241.
9 “Amerika, du hast es
besser,/AlsunserKontinent,
das alte, / Hast keine
verfallene Schlösser / Und
Keine Basalte" (il corsivo è
mio). Dalla poesia Den
Vereingten
Staaten
in
Goethes Werke, Band 1,12
neubarb. Aufl., Verlag C.H.
Beck,
München
1981
("HamburgerAusgabe").
10Questecitazionisono
tratte da W. Cronon, op. cit.,
pp. 42-43. Il libro di Reaves
s’intitola significativamente:
A Change of National
Empire; or, Arguments in
Favor of the Removai of the
National Capital to the
MississippiValley(1869).
11 Citato da I. Cutler,
op.cit.,pp.30-31.
12 Passo citato da
CharlesWilsoninAA.VV.,A
HistoryofTechnology,vol.v,
L’etàdell'acciaio,1850-1900,
cit.,p.831.
13
Don Hayner, Tom
McNamee,
Streetwise
Chicago. A History of
Chicago Street Names,
Loyola University Press,
Chicago1988.
Parteseconda
1.Nelcrogiolola
maioneseimpazzisce
Sul
ponte
levatoio
metallico che traversa il
ChicagoRivervicinoallasua
foce, a sollevare lo sguardo
coglie una vertigine, una
pauradicadere,difrontealla
fuga prospettica di grattacieli
cheprecipitanosuincielo,in
tutte le fogge, in tutti i
materiali, in tutti i colori, in
un abisso all’inverso che
sprofonda verso l’alto. La
vertigine deriva da un senso
di sconfinata potenza, di
arrogante padronanza del
mondo che questi edifìci
comunicano. E deriva anche
dalla coscienza che a
fondamenta sotterranee di
tanto strapotere c’è il lavoro
ormai secolare, ci sono le
innumeri esistenze di masse
sterminatedicafonigiuntiqui
dalVecchiocontinente.
Se in pochi decenni
Chicago
divenne
l’"ineludibile metropoli del
Nord-ovest [...] sicura di
essere per sempre sede di
impero” - come l’aveva
chiamata Parton nel suo
reportage del 18671 -, lo
dovettenonsoloaimilionidi
bovini, alle tonnellate di
legnaecereali,algrovigliodi
binari,maancheallemigliaia,
e infine ai milioni di
immigrati europei che quelle
stesse ferrovie riversavano
sulle rive del Lago Michigan
insiemeamais,grano,maiali,
pino bianco. Nelle sue vie
risonavano gli idiomi più
diversi, fino a farla essere
davvero "la Marsiglia del
nostro
Mediterraneo”,2
caotico porto di terra e di
mareincui-inunababeledi
lingue, di fogge nazionali,
sapori, odori e sporcizie s’incrociavanogreciedanesi,
polacchi e irlandesi, scozzesi
e siciliani, svedesi e serbi,
olandesi e ucraini, lituani e
bulgari...AfineOttocento,vi
erano presenti più di
venticinque etnie europee.
Nel 1910, più di due terzi
della sua popolazione erano
costituiti da immigrati o da
loro figli. Arrivavano non
tutti insieme, ma a ondate
successive.
Per
primi
giunsero gli irlandesi cacciati
dalla loro isola dalle ripetute
carestiedellepatate(dal1845
al 1860). Ma già nel 1860
erano superati in numero dai
tedeschi che arrivavano a
fiotti, all'inizio soprattutto
esiliati politici, dopo la
repressione delle grandi
sollevazioni del 1848 in
Assia, in Baden e in
Württemberg e la chiusura
delparlamentodiFrancoforte
(1849):questitedeschifurono
chiamati i “quarantottini”, i
48ers.Né il flusso cessò con
l’unità
del
Reich
bismarckiano, anzi, divenne
straripante: nel 1914, con i
suoi800.000tedeschi(natiin
Germania o figli di genitori
tedeschi), Chicago era la più
germanica
delle
città
americane e la quinta città
tedesca in assoluto. Tra il
1860 e il 1890 s'ingrossò
anche
l'immigrazione
scandinava. Poi fu la volta
degli ebrei russi, degli
italiani,
soprattutto
dei
polacchi: oggi più di un
milione di Chicagoans sono
di discendenza polacca.
Anche gli italiani arrivarono
tardi. Nel 1850, c’erano
appena quattro italiani a
Chicago e solo 43 in tutto
l’Illinois. Nel 1860, gli
italiani erano solo cento. Ma
sarebberostati1357nel1880,
13.000 nel 1890 e ben
124.000nel1920.
Più
in
generale,
l’emigrazione europea può
essere divisa in due fasi,
comuni a tutti gli Stati Uniti:
degli 8 milioni di europei
emigrati in America tra il
1840 e il 1880, quasi tutti
venivano dall’Europa del
Nord-ovest (Gran Bretagna,
Irlanda,
Scandinavia,
Germania). Invece i 24
milioni di immigranti giunti
trail1880eil1930venivano
per lo più dall’Europa
orientale e meridionale
(polacchi,ebreirussi,italiani,
slovacchi, croati, serbi,
ungheresi,
spagnoli,
portoghesi...)ancheseipaesi
di vecchia emigrazione
continuarono a fornire nutriti
contingenti: tra il 1891 e il
1930 arrivarono più di un
milionediimmigratisiadalla
Germania
sia
dall’Inghilterra.3
Così la fuga dall’Irlanda
ebbeilsuomassimotra1847
e1854,quandogiunseronegli
Stati Uniti 1,2 milioni di
irlandesi.
L’esodo
più
massiccio dalla Germania fu
invece
del
1881-1892,
quando sbarcarono 1,7
milioni
di
tedeschi.
L’emigrazione di ebrei russi
ebbe il suo picco nel periodo
1901-1914, con più di due
milioni di ingressi. Negli
stessi
anni
assumeva
dimensioni
apocalittiche
l’esodo dalla Polonia e
dall’Italia. Tra il 1900 e il
1914 sbarcarono più di 3
milioni di italiani (più di
200.000 l’anno in media). E
dopo la guerra il flusso stava
ricominciando,
222.000
emigratinel1921,quandogli
Stati Uniti chiusero le porte
dell’immigrazione.4
A spingere ognuno di
questigruppic’eraognivolta
una causa specifica. La
malattia delle patate cacciava
gli irlandesi, ma gli italiani
meridionali
presero
a
giungere a miriadi solo dopo
il 1860, quando l’unità
d’Italia immiserì il sud del
paese.Iboemifuronosospinti
nell’Illinois dalla repressione
asburgica dei moti del 1848.
Ma a scatenare un’ondata
umana di 2 milioni e mezzo
di persone poteva bastare il
gesto di un anarchico
nichilistacomequellochenel
1881ucciselozarAlessandro
II Romanov: per giustificare
la repressione, le autorità
russefecerodegliebreiicapri
espiatori della sovversione,
riesumarono l’antica accusa
di uccidere i bambini nella
festivitàdiPesach(laPasqua
ebraica),
spinsero
la
popolazione a organizzare
pogrom (parola che in russo
vuol
dire
“rovina”,
"distruzione”)egliebreirussi
fuggirono in America, in un
nuovo
Esodo.
L’immmigrazio-ne polacca
esplose dopo il 1871 quando
il cancelliere Otto von
Bismarckimposeunapolitica
di germanizzazione delle
province orientali del Reich.
Milioni di vite volteggiavano
perciòinbaliadiesiticasuali,
di eventi minuti verificatisi a
migliaia
di
chilometri:
secondo
le
dinamiche
caotiche, un alito di vento
può modificare un uragano
sulla riva opposta del
Pacifico; qui il furore di un
despota
altera
la
composizione etnica di una
metropolioltreatlantico.
Quandoperciòunpolacco
litigavaconunitalianoinuna
via di Chicago, a ricercare la
catena delle cause che
avevano
prodotto
quell’evento si rimarrebbe
impigliati in un groviglio di
peripeziepolitiche,daidecreti
di un cancelliere tedesco
all’attentato di un nichilista
russo, proprio come capitava
a
Leibniz
quando
s’interrogava sulle cause che
lo spingevano a scrivere la
Monadologia:
“V’è
un’infinità di figure e di
movimenti presenti e passati
che entrano nella causa
efficiente del mio scrivere
attuale e v’è un’infinità di
inclinazioni e disposizioni
presenti e passate del mio
animo, che entrano nella
causa finale. E siccome tutto
questo
particolarizzarsi
include altri contingenti
anteriori o più particolari,
ciascunodeiqualihabisogno,
perché se ne possa rendere
ragione, duna simile analisi,
per questa via non si
progredisce
affatto”,
e
occorre quindi cercare una
“ragionsufficiente”.5
***
Nelnostrocasodovepuò
mai essere la ragion
sufficiente di queste maree
umane che traversano un
oceano, si riversano nelle
praterie,siaffollanosullerive
paludosed’unlagoghiacciato
d’inverno, infestato dalle
zanzare d’estate? Una prima
ragionestaneiprogressidella
medicina che riduceva la
mortalitàinfantileinnescando
quella "bomba demografica”
cheoggiattribuiamoalTerzo
mondo, ma che allora
esplodeva in Europa. Nel
1800, Europa e Stati Uniti
contavano 185 milioni di
abitanti (180 l'Europa e 5 gli
StatiUniti).Nel1910,Europa
e Stati Uniti avevano 542
milioni di abitanti, 450
milioni in Europa e 92 negli
Usa,senzacontareglieuropei
cheeranomigratiinAmerica
Latinae“inOceania.Inpoco
più di un secolo, la
popolazione era passata da
185 a 542 milioni, con un
aumento di circa il 300%: si
eratriplicata.
Una seconda buona
ragione sta nella macchina a
vapore. Abbiamo già visto
come la vaporiera abbia
creato Chicago con i suoi
binari e i suoi commerci,
l'abbia plasmata e modellata
secondo le sue esigenze.
Nello stesso modo, la nave a
vapore
ha
generato
l’immigrazione moderna. In
primo luogo l’ha causata: il
cargo a vapore rese talmente
abuonmercatoiltrasportoin
Europa del grano e del
bestiame americano (ma
anche russo, australiano,
indiano)damandareinrovina
milioni di contadini europei
le cui terre non erano
abbastanza fertili o i cui
prezzi non erano competitivi:
grazie ai vapori, i raccolti
dellepraterieelemandriedel
FarWestreseroletteralmente
superfluiperl’Europamilioni
dipropricontadini.Lenavia
vapore non solo causarono
l’esodo, ma lo resero
possibile, non solo crearono
unapovertà,maoffrironouna
via per sfuggirla. Una volta,
la traversata atlantica durava
parecchie settimane, ora
bastavano dieci giorni. Un
tempo la tariffa era esosa,
mentre
alla
fine
dell’Ottocento per il ponte di
terza classe bastavano 25-30
dollari,unasommacheanche
un
bracciante
potevaraggranellare.(Proprio
comeoggiiviaggiaereisono
alla portata di chi emigra dal
TerzoMondo.)
Una volta innescato, il
meccanismo
si
autoalimentava. I contadini
europei andavano a lavorare
per esempio nelle Stock
Yards e così contribuivano a
rendere più produttivo il
meat-packing.Comescriveva
nel 1894 William Stead,
“indirettamente Armour e la
sua classe hanno avuto un
ruolo considerevole nella
rivoluzione sociale che sta
avvenendo in Gran Bretagna
[...]. Armour sta rendendo
difficile ai piccoli fattori del
Glouchestershire di ottenere
prezzi convenienti per il loro
bestiame e non c’è dubbio
che l’immenso sviluppo che
Armoureisuoialleatierivali
sono stati in grado di dare
all'export americano di carne
ha avuto un potentissimo
impatto
sulla
politica
britannica [...] il prezzo del
bestiame
irlandese
è
influenzato dai corsi sul
mercato di Chicago [...] e se
molti dei nostri aristocratici
sono poco più di splendidi
poveracci, lo si deve in gran
parte ad Armour e alla sua
classe”.6 Il flusso di emigrati
contribuiva a impoverire chi
restava e spingeva così a
nuovepartenze.
Ma da sole queste
spiegazioninonbastano:esse
sono ancora "cause" e non
"ragioni”. E inoltre lasciano
irrisolto un mistero. Perché
mai dal 1865 - è il quesito
apparentemente incongruo
chesiponeStephenSteinberg
-dopolafinedellaschiavitù,
le industrie del Nord non
hannoattintodalserbatoiodi
manodopera costituito dai
neri del Sud, già sul posto, e
hanno invece chiamato
milioni di europei da oltre
oceano?
Perché,perpoterusaregli
exschiavinerinelleindustrie
del Nord, bisognava trovare
qualcuno che li sostituisse
nella raccolta del cotone al
sud (il cotone costituiva la
materia prima per una delle
piùimportantiindustrieeuna
delle più forti esportazioni
americane).Magliimmigrati
europei, per quanto poveri,
non accettarono il lavoro nei
campi di cotone. Allora si
pensò ai cinesi, abituati alla
dura coltura delle risaie.
Come diceva un piantatore:
“Possiamo sbattere fuori i
negri e importare coolies che
lavoreranno meglio e più a
buon mercato liberandoci
dalla sfacciata impudenza
negra” di modo che, con
l’arrivo dei cinesi, i neri
avrebberosmessodichiedere
“40acrieunmulo”,scriveva
un giornalista del Kentucky,
ma il nuovo slogan sarebbe
stato "lavora negro... o
crepa”.7Solo che la maggior
parte dei cinesi fu impiegata
nelle miniere e nella
costruzione delle ferrovie del
West e solo pochi si
lasciarono attrarre a sud. E
quei pochi scapparono subito
agambelevate,perladurezza
del lavoro, la scarsità della
paga, la crudeltà dei padroni
bianchi. Insomma, dopo aver
affrancato i neri, gli Stati
Unitisisentirono"costretti”a
trattenerli nei campi del Sud,
ariorganizzarelaloroservitù.
La
situazione
sarebbe
cambiata solo con la Prima
guerra mondiale, quando si
sarebbe interrotto il flusso
dall’Europa.
Ci avviciniamo alla
"ragion sufficiente”. In una
fase di tumultuoso sviluppo
industriale,
senza
un
consistente
flusso
di
immigrati,negliStatiUnitisi
sarebbecreataunapenuriadi
mano d’opera, il lavoro
sarebbe diventato merce rara
eilsuoprezzosarebbesalito,
sarebbero cioè aumentati i
salari operai. Invece, con i
milionidiimmigrati,illavoro
divenneabuonmercato,tanto
disponibile che i lavoratori
erano in competizione l’uno
contro l’altro per riuscire a
vendersi. Le statistiche
storiche statunitensi sono
ambigue, ma è abbastanza
chiaro che, se dal 1870 al
1910 il Prodotto nazionale
lordo (Pnl) pro capite
aumentò del 250%, il salario
annuo medio (in dollari
costanti) aumentò solo del
20%trail1860eil1910.8
Mentre la ricchezza
prodotta da ogni individuo
aumentava di due volte e
mezzo, il salario che egli
riceveva cresceva solo di un
quinto. In altre parole, per
produrre la stessa quantità di
ricchezza, bastava un lavoro
pagato la metà. Questa
situazione fu resa possibile
nonsolodaiprogressitecnici,
ma dai milioni di immigrati
che fornivano mano d’opera
abbondante, a buon mercato,
docile e, soprattutto, mobile:
se la mobilità è un segno
dellalibertàe,inquantotale,
è un valore positivo, la
mobilità del lavoro è segno
della libertà del capitale che
può, a piacimento, assumere,
licenziare, far compiere
straordinari, traslocare in
fabbricheecantierilontani.Si
pensi che nel 1910 il 58% di
tutti i lavoratori industriali
degli Stati Uniti era nato
all’estero (questa percentuale
saliva
al
76%
nell'abbigliamento e al 67%
nelleminierediferro).
Né cerano sotterfugi o
ipocrisie nell’uso degli
immigrati europei. Spesso
partivanodall’Europagiàcon
uncontrattointasca,chiamati
dalle agenzie del lavoro
americane.Ancorapiùspesso
essi erano chiamati per fare i
crumiri, proprio come si
usavano le donne (nel 1864
molte donne furono assunte
dal “Chicago Times” per
battereitipografiinsciopero)
o si appaltava il lavoro ai
carcerati.Semprenel1864,la
compagniaferroviariaIllinois
Central
importava
macchinisti dal Belgio per
sconfiggere gli scioperanti.9
Durante il grande sciopero
del 1886, Philip Armour, “il
macellaio che voleva andare
in paradiso”, fece venire
migliaia di lavoratori da
Baltimora, Filadelfia, New
York,10 e la maggior parte
erano polacchi, boemi,
tedeschi.
Per tutto l’Ottocento gli
immigrati furono la grande
arma del padronato contro il
movimento
operaio
sindacalizzato per tenere
bassi i salari, battere gli
scioperi, a tal punto che uno
dei maggiori movimenti
sindacali, i Knights of Labor
(iCavalieridelLavoro),lottò
per far approvare la prima
legge antimmigrazione, il
Chinese Exclusion Act del
1882 che chiudeva le
frontiere ai cinesi che
lavoravano a salari troppo
bassi in condizioni troppo
infami. Si vede quanto è
sbagliatoilluogocomuneper
cui, da un lato, la parte
reazionaria,
conservatrice
della
società,
sarebbe
xenofoba, favorevole alla
chiusura delle frontiere agli
immigratie,dall’altrolato,la
parte
progressista
e
antirazzista vorrebbe le
frontiere aperte. La verità è
che le maggiori ondate
d’immigrazionegliStatiUniti
le hanno assorbite durante i
periodi più conservatori,
comelafinedell’Ottocentoo
il decennio reaganiano. Sono
le destre che nei fatti aprono
lefrontiere,mentreaparolele
chiudono.
Sono
i
commerciantipiùrazzistiche
assumono gli immigrati in
nero.Sonoglistessixenofobi
che“chiamano”gliimmigrati
per tenere bassi i salari. Così
alimentano il razzismo degli
strati più popolari, proprio
perché
gli
immigrati
calmierano il mercato del
lavoro e competono per
risorse rare: alloggi vivibili,
letti negli ospedali affollati,
scuoledecentiperifigli.
È più chiaro perché,
spesso, in diversi paesi,
sindacati
e
movimento
operaio
sono
contro
l’immigrazione per poter
difendere il livello di vita: di
nuovo, la volontà di
disciplinare il lavoro e di
renderloilpiùabuonmercato
possibile ritraduce la lotta di
classe in conflitto etnico e
razziale.Perlestesseragioni,
i vecchi immigrati si
oppongono
ai
nuovi
immigrati.
Negli Stati Uniti, appena
un’ondata
si
era
(relativamente) stabilizzata e
integrata, e i lavoratori
cominciavano a organizzarsi,
subito un’altra ondata offriva
i propri servizi a prezzi
ancora più stracciati. Basti
leggere quel che l’11 agosto
1888 scriveva il giornale di
Chicago di lingua tedesca
“Illinois Staats-Zeitung” nel
suo
editoriale
"Ospiti
indesiderati” sulla nuova
ondatadiimmigratiitaliani11:
Le indagini condotte
dal Congresso sugli
immigranti
italiani
rivelano fatti davvero
sgradevoli.
Gli
immigranti
italiani
possiedono un livello di
cultura ed educazione
così basso che i
lavoratori
americani,
abituati a un più alto
livello di vita, non
possono competere con
loro. È impossibile per
gli americani piegarsi a
livelli così bassi di
esistenza
-
hanno
scopertogliinvestigatori
congressuali-,comeper
esempioviveredirifiuti,
essere
ammassati
insieme come animali,
non avere la minima
nozione di pulizia e
igiene.Noncipuòessere
nessun vantaggio per
questo paese nel lasciar
entrare gente simile. Al
meglio,
possono
contribuireaportareuna
condizione di barbarie.
Se, in aggiunta a ciò, si
pensachedaquiapochi
anni queste persone
mezzo civili avranno il
diritto di voto e quindi
contribuiranno
a
decidere il destino di
questopaese,nonsipuò
non rabbrividire all’idea
di un futuro affidato in
simili
mani.
Certi
giornali angloamericani
chiamano gli italiani i
“cinesi dell’Est’’. Una
legge
contro
l’immigrazione
dall’Italia
sembra
giustificata sulla stessa
base di quella contro i
cinesi [...] dobbiamo
ammettere
che
il
governo italiano ha
cercato di tenere lontani
dalle nostre coste i suoi
figli sporchi, ma queste
misure hanno poco
effetto perché lavoratori
italiani sono assunti con
contratto e trasportati
negliStatiUniti.
C’ètuttoinquestobrano:
la concorrenza sleale nel
mercato del lavoro, il
paragone con i cinesi, la
sporcizia dei “nuovi”, la
richiesta di sbarramenti
all’ingresso,
l’ammissione
che gli italiani sono
"chiamati” dai padroni
americani. È qui ripreso dal
vivo il meccanismo che
traduco Immediatamente il
conflitto
economico
in
razzismo, la lotta di classe in
scontrodietnie.Nel1864una
folla di 500 irlandesi attacca
12nerichelavoranoneimoli
del legname.12 Il giornale
ellenico“Loxias”dell'8aprile
1910 riporta l'attacco subito
da uno spazzino greco da
parte di un gruppo di
irlandesi: “State lontani dal
business dei rifiuti o vi
uccideremotutti,voigreci”.
Magliirlandesinonsono
i soli. Ecco un italiano, tal
Fiepi, accusato di assumere
solo spazzini siciliani (e di
pretendere
perciò
una
tangentedi3dollariperogni
postodilavoro).13Unlituano
di Chicago, Stanley Balzekas
Jr., racconta le esperienze di
suo padre, giunto negli Usa
nel
1912:
“Era
un
mescolatore di cemento in
una compagnia dove tutti
erano italiani, e quando
scoprirono che era lituano lo
licenziarono. Allora venne a
Chicago e lavorò come
fabbro in una ditta tedesca e
quando scoprirono che non
eratedescolobuttaronofuori.
Andòdaunfabbrosvedesee
fulicenziato...”.14
***
In
un
famosissimo
articolo in cui introduce in
sociologia la nozione di
marginalità, Robert E. Park
nota come le migrazioni
antichefossero“migrazionidi
popoli”,
quando
intere
nazioniotribùsimuovevano
guidate dai loro re, le
Völkerwanderungencosìcare
agli
storici
romantici
tedeschi,
mentre
le
migrazioni moderne sono
individuali: a partire sono
individui,
al
massimo
famiglie.15 “Quella che era
un’invasione seguita da uno
spostamentoforzatoodauna
sottomissionediunpopoloda
parte di un altro è diventata
una penetrazione pacifica.”
Nelprimocasoèilmigrante,
l'invasore, che soggioga
l’invaso(laprimamigrazione
europea
in
America
appartiene a questo tipo).
Nella forma moderna “la
migrazione di popoli si
trasmuta in mobilità di
individui” e la relazione di
potere s’inverte e il migrante
sarebbe lui soggiogato e
sottomesso,
l’invasore
domato,
“addomesticato”
dall’invaso.
La verità è più sottile:
nella migrazione moderna,
partono sì individui, ma
arrivanopopoli:ognipersona
parte individualmente, però
poi, quando sbarca in
America, l’individuo diventa
immediatamente italiano, o
polacco, o tedesco, perché si
aggregaaquesta“comunità”,
si fa difendere da essa, vi
cerca non solo lavoro, ma
anche
protezione,
espressione, e rappresentanza
politica.
Subito
si
costituiscono società di
mutuo soccorso su base
etnica per accogliere i nuovi
arrivati: German Relief and
Aid Society, Bohe-mian
Society, United Hebrews
Charities,
Skandinavian
Relief
Society...
Nelle
comunità etniche cattoliche
queste società sono integrate
o sostituite dalle parrocchie.
Ma ogni comunità costruisce
le sue chiese come poi
costituirà le sue società
segrete, come l’irlandese
Clan-na-Gael, costituita nel
1867
dalla
Fenian
Brotherhood. Ogni comunità
sidotadisuepompefunebri,
suoi cimiteri (come si vede
anche oggi negli annunci
mortuari).
Così
l’individuo
è
interamente definito dal suo
appartenere a una “razza”
come si diceva allora, a
un’“etnia”,comesidiceoggi,
allasua“comunità”,perusare
il termine ufficiale. Se due
verdurai si contendono il
mercato a bastonate, è uno
scontro tra popolo greco e
popolo italiano (“The Greek
Star” del 18 agosto 1908).
Quando c’è una rissa per
stradatrasvedesieitaliani,il
giornale“L’Italia”(23giugno
1904)scrive:“Leduerazzesi
prendono a botte”. Una
sparatoria fra tedeschi e
italiani diviene per il
“Chicago Tribune” (15
maggio 1893) race riot,
sommossa razziale. Nel 1874
un giornale tedesco gioisce
perché la stampa svedese (“a
lungo ostile verso tutto ciò
che è tedesco”) ha mutato
atteggiamentoe“sembraaver
capito che la salvezza per gli
svedesi non sta nell’opporsi
aitedeschi”.16
Ecco il giornale polacco
“Dziennik Zwiazkowy” del 3
agosto 1918 accusare il
giornale ucraino "Swoboda”
di aver attaccato i polacchi.
Non stupisce che, appena
arrivati a Chicago, i primi
immigrati di un gruppo
fondano subito un giornale
nella loro lingua. E se in un
gruppo etnico si oppongono
due fazioni, ecco due
giornali. I tedeschi hanno
quattroquotidiani,glisvedesi
tre,comeicechi,ecosìvia.È
tutto un ininterrotto, febbrile
scrivereeditorialiinfuocatiin
decine di lingue diverse, una
babeledivocichepatriottiche
imprecano indignate contro
l’altrui sciovinismo, che
intolleranti
esigono
tolleranza; è un cercare di
gridare più forte degli altri
per diffondere il proprio
messaggio, un tentativo di
mantenere vivo l'uso e il
ricordodellamadrelingua,un
difendersi dal disprezzo
circostante. Una catena del
disprezzo tra le etnie che
riflette abbastanza l’ordine
cronologico di arrivo nel
continenteamericano:iprimi
arrivati disprezzano i secondi
che disprezzano i terzi e così
via. Da questa gerarchia del
disprezzo,daquestapiramide
di caste, sono esclusi i
"fuoricasta”, coloro che in
America
erano
arrivati
davvero per primi, i
pellerossa innanzitutto, poi i
latini (incrocio di spagnoli e
indios) e poi i neri, giunti
subito, con i primi schiavisti.
Costoro sono esclusi da
questa gerarchia perché
ancora oggi sono considerati
non etnie, non popoli, ma
"razze”.
***
“Fuoricasta” a parte, i
figli dei coloni inglesi
disprezzano gli irlandesi,
arrivatiappenadopodiloro,a
tal punto che sugli annunci
dei giornali capita, come nel
"Chicago Tribune” del 26
febbraio 1866, di trovare
l’avvertimento:NoIrishneed
apply (“Irlandesi pregati di
nonpresentarsi”).Secondi,in
ordine d’arrivo e nella linea
del disprezzo, i tedeschi
considerati ubriaconi bevitori
di birra: già nel 1849 è
organizzato (come società
clandestina)
un
partito
antistraniero,iKnowNothing
che contro i tedeschi
appoggiano il proibizionismo
(la xenofobia americana si è
spesso
permeata
di
proibizionismo, sull’alcol nel
passato, sulle droghe nel
presente).Quandonel1855il
sindaco Levi D. Boone
appoggiato
dai
Know
Nothing impone la chiusura
domenicale delle birrerie
(nell’unico giorno in cui gli
operaiottocenteschiriposano)
eportaa300dollaridiallora
il costo della licenza per gli
alcolici,scoppiaaChicagola
prima sommossa "politica”, i
LagerBeerRiots.
La
stampa
tedesca
reagisce
al
disprezzo
circostante vantando la
"temperanza” germanica e
tacciando gli irlandesi di
ubriachezza.Così,il7marzo
1873,
l’“Illinois
StaatsZeitung” riferisce di
una “battaglia tra poliziotti
tedeschi
e
ubriaconi
irlandesi” (corsivo mio). Lo
stesso giornale, pochi mesi
prima,il17agosto1872,così
riferiva di un conflitto di
lavoro:“Unoscontroviolento
ha avuto luogo ieri alla
fornace di mattoni Jones tra
lavoratoritedeschieirlandesi.
Come al solito gli irlandesi
non potevano sopportarne le
lodicheitedeschiricevevano
dailorodatoridilavoroperla
propria
applicazione
e
temperanza”.Inquestacatena
sihaperciòdisprezzoversoil
basso(quellichesonoarrivati
dopo) e risentimento verso
l’alto. Così i cattolici sono
disprezzati dai protestanti,
ma,traicattolici,ipolacchisi
risentonocontrogliirlandesi.
Eccocomesiesprimeancora
il 29 ottobre 1931, in pieno
xx secolo, il giornale
“Przebudzenie”:
Ognuno di noi
polacchi capisce che
nelle scuole parrocchiali
irlandesiinostribambini
sono volontariamente e
sistematicamente privati
dellaloroanimapolacca
e sottoposti a un
processo
di
"irlandizzazione”. Ma
nonètutto.Gliirlandesi
in America mai furono
amichevoli verso di noi
e mai lo saranno. Si
considerano un gruppo
piùelevatoeprivilegiato
e ci guardano con
disprezzo. Siamo stati
testimoni di molti
incidenti quando un
prete fuori della chiesa
di
San
Mark
rimproverandoibambini
che giocavano vicino
alla chiesa gridava:
"Fuori da qui sporchi
polacchi”. A simili
"amici” della nostra
nazione i nostri poveri
polacchi affidano i figli
perl’educazione.
Alorovoltagliitalianiei
polacchi, più in generale gli
europei del Sud e dell’Est,
sono disprezzati da tutti gli
altri.Nelsuoeditorialedel20
ottobre 1912, il giornale
“L’Italia” insorge contro
WoodrowWilson:
Il
candidato
democratico
alla
presidenza degli Stati
Uniti Woodrow Wilson
nelvolumevpagina212
della sua History of
American People si
esprime malignamente
[viciously] come segue:
“L’immigrazione
continuò a riversarsi
come prima, ma con
un’alterazione
nella
stirpe [stock] che gli
studiosi
di
questi
fenomeni sottolinearono
con inquietudine. Per
secoli
uomini
dei
vigorosi ceppi del Nord
Europa
avevano
costituito la corrente
principale di sangue
straniero che ogni anno
si aggiungeva alla vitale
forzadilavorodelpaese,
o anche uomini delle
stirpi
latino-galliche,
dellaFranciaedelNord
Italia. Ma ora arrivano
moltitudini di uomini
della classe più bassa,
dal Sud dell’Italia, e
uomini del genere più
spregevole
dall’Ungheria e dalla
Polonia,uominidallecui
file non traspare né
qualificazione
né
energia, né iniziativa né
intelligenza sveglia; e
sono venuti in numeri
crescenti anno dopo
annocomeseipaesidel
Sud Europa si stessero
sgravando dei loro più
sordidi e sfortunati
elementi.Perfinoicinesi
sarebbero
più
desiderabili
come
lavoratori, se non come
cittadini, della maggior
parte di questa feccia
che affolla i nostri porti
orientali”.
Si noti la distinzione che
Wilson opera tra italiani
settentrionali e meridionali,
una distinzione addirittura
ufficiale, se è vero che i
Reports of the Immigration
Commission (1911) non
distinguevano fra tedeschi
bavaresi o prussiani, ma ai
fini
delle
statistiche
separavano in due categorie,
quasi in due nazionalità
distinte, italiani settentrionali
e meridionali: tra i primi i
lavoratori qualificati erano il
20%,traisecondiil15%;tra
iprimil’analfabetismoeradel
12%, tra i secondi del 30%:
anche qui si sovrappone una
diversaprovenienzaregionale
aunadiversacollocazionenel
mercatodellavoro.
La struttura del disprezzo
etnico ricalca la gerarchia
socialeeilmercatodellavoro
sistrutturain“mercatoetnico
del lavoro”. Così, negli Stati
Uniti dell’Ottocento, le
irlandesi furono quel che
sono le filippine oggi in
Europa: le domestiche per
antonomasia. Su 29.470
domestici
rilevati
dal
censimento del 1855 a New
York, 23.386 erano irlandesi.
Nel 1900, secondo la
Commissione immigrazione
degliStatiUniti,il71%delle
irlandesi immigrate erano
classificatecome"domestiche
epersonale”(controappenail
9% delle italiane e il 14%
delle ebree). Addirittura,
all’epoca, persone serie si
chiedevano perché le donne
irlandesi avessero questa
"vocazione”. Ebrei e italiani
sostenevanochelelorodonne
si rifiutavano di andare a
servizio per castità, spirito di
decenza, orgoglio familiare e
altre simili baggianate (in
Italia le italiane andavano a
servizio eccome, negli Usa
molte ebree erano arrestate
per prostituzione). Si costruì
una predisposizione etnica,
razziale delle irlandesi alla
domesticità. La spiegazione
era molto più semplice. A
causa della carestia delle
patate,inIrlandaimatrimoni
diminuirono: un terzo degli
uominiedelledonnetrai25
e i 35 anni erano celibi, un
sestodellapopolazionenonsi
sarebbe mai sposato. Così
l'irlandese era l'unico gruppo
etnico in cui moltissime
donne emigravano da sole,
tanto che tra gli immigrati
irlandesi c’erano 109 donne
ogni100uomini,mentre,per
esempio, tra gli italiani
cerano solo 27 donne ogni
100 uomini (solo una su
cinque immigrati italiani era
di sesso femminile) e tra gli
ebrei 77 donne ogni 100
uomini. Nel 1860, tra gli
irlandesi di New York
c’erano 87.000 maschi e ben
117.000donne.Questedonne
appena sbarcate cercavano
lavoroeilpiùdisponibileera
andareaservizio:adifferenza
delle altre immigrate, le
irlandesi capivano l’inglese.
Su questo flusso spontaneo
s’inserirono agenzie del
lavoro
americane
che
importavano irlandesi e
associazioni inglesi (London
Female Emigration Society,
British Ladies Emigration
Society, Girls’ Friendly
Society) che le esportavano
dall’arcipelago. Ecco svelato
il
mistero
della
“predisposizione”
delle
irlandesi per il lavoro di
domestiche.Ecco,ancorauna
volta,comeunachiaralogica
demograficaedimercatodel
lavoro viene tradotta in
carattereetnico,razziale.17
***
Se la gerarchia etnica
ricalca quella sociale, se i
nuovi
arrivati
fanno
concorrenzaslealeachisiera
insediato prima, l’ultimo
arrivatovuoleinevitabilmente
chiudere la porta dietro di sé
e non lasciare entrare più
nessuno. Non era solo
l'"Illinois Staats-Zeitung” del
1888aconsideraregliitaliani
ospitiindesiderati.Ecco,il19
maggio1891,ilgiornaledegli
ebrei tedeschi di Chicago,
"The Occident”, opporsi, in
inglese maldestro, all'arrivo
degliebreirussi:
Gli ebrei di questa
città,chesisonosempre
presi cura di ogni
membro della loro razza
in
disgrazia,
si
oppongonoariceveregli
immigrati arrivati qui
con il fondo del Barone
Hirschesioppongonoa
che siano spediti in
questa città gli ebrei
espulsi dalla Russia.
Questo è chiaro e netto.
La carità è una buona
cosa, ma dovrebbe
coprire tutte le fasi di
una situazione. Sarebbe
una disgrazia da ogni
punto di vista la
presenza a Chicago di
grandi folle di poveri,
estranei [aliens] nel
modo di pensare e nel
linguaggio. Qui non c’è
posto per gli sfortunati
espulsi dalla Russia. È
moltopiùragionevolelo
schema del Barone
Hirsch
perché
colonizzino
il
Sudamerica. Gli ebrei
russichesitrovanogiàa
Chicago sono circa
12.000, formano una
propriacoloniaesonoin
molticasiunfardelloper
i benestanti della loro
razza e religione. Ed è
pienamente giustificato
l’atteggiamento assunto
dalle più prominenti
personalità nelle opere
caritatevoli
ebraiche.
Chicago ha abbastanza
sfortunati stranieri. In
realtà quasi l'intero
gruppo
di
questi
immigranti rientra nelle
clausole restrittive della
nostra
legge
dell’immigrazione.
Certo, li si aiuta a
traversare l’oceano, ma
pochi
sono
autosufficienti, di regola
sono poveri, molti sono
malati e molti sono
criminali. Questo è il
giudizio
dei
più
intelligenti
ebrei
americani e agli exilés
russi non dovrebbe
essere permesso di
insediarsi in questo
paese.
Questo
brano
è
illuminante sul tema dei
rapporti tra appartenenza di
classe e appartenenza di
"razza” e mostra quanto
l’identità ebraica fosse meno
compatta di quel che oggi si
crede e quanto invece sia
stata rafforzata, cristallizzata
dalcircostanteantisemitismo,
un
antisemitismo
che
traversava l’Atlantico con gli
immigrati. Così M. Osuch,
presidente
della
Polish
National Alliance, diceva nel
1888: "I polacchi sono una
cosa, gli ebrei polacchi
un’altra”.18
Non
solo.
“The
Occident”, giornale di ebrei
tedeschi, introduce un nuovo
cardine del discorso sulla
migrazione quando sostiene
che gli esuli ebrei russi sono
poveriecriminali.Ilmarchio
della criminalità innata
sembraunafiaccolacheivari
gruppi di immigrati si
passanoinun’idealestaffetta.
Nel 1860 la rivista “Harpers
Magazine” affermava che
"circa il 75% dei nostri
criminalisonoirlandesiepiù
del 75% dei crimini di
violenza commessi tra noi
sono opera di irlandesi” e le
discussioni sulle cause
dell’allarmante tasso di
criminalitàtragliirlandesi“si
concentravano sui tratti
etnici, in particolare la
smodatezza della ‘razza’
irlandese”.19 Il testimone
della criminalità passò poi
agli ebrei. Nel 1908 il capo
della polizia di New York,
Theodore Bingham, attribuì
agliebreilametàdelcrimine
newyorkese:
Non stupisce che,
conunmilionediebreiper lo più russi -nella
città (un quarto della
popolazione),forsemetà
dei criminali sono di
questa
razza,
se
consideriamo
che
l'ignoranza della lingua,
più particolarmente tra
uomini
fisicamente
inadatti al duro lavoro,
portaspessosullaviadel
crimine [...] tra i più
esperti di tutti i ladri di
strada sono i ragazzi
ebrei sotto i sedici anni
chesonoportatiavitedi
delinquenza.20
Certo è che su nessun
altro immigrato come su
quelli italiani ha pesato il
marchiodellacriminalità.Nel
1908, Arthur Train, già
assistente del procuratore
distrettuale di New York,
scriveva che gli italiani del
Nord “molto simpatico al
carattere
d’America,
mostrano
caratteristiche
singolarmente simili alle
nostre”; somigliano agli
americani essendo “onesti,
parsimoniosi,
industriosi,
rispettosi della legge e di
buonanatura".21Imeridionali
invece sono “ignoranti, pigri,
indigenti e superstiziosi”, per
di più “una notevole
percentuale, soprattutto tra
quelli di città, è criminale”.
Non che tra gli irlandesi, gli
ebrei e gli italiani non vi
fossero
delinquenti.
A
Chicago erano famosi i
politici-gangster
irlandesi,
come
John
Coughlin,
assessore eletto nella prima
circoscrizione, quella dei
bordelli, delle bische e dei
saloon. Suo partner nel
crimine era “Hinky Dink”
Kenna, anch’egli boss della
mala,comeJohnny"dePow”
Powers,proprietariodisaloon
e bische, che si vantava di
comprareunvotoitalianocon
unboccaledibirra.Semprea
cavallo del secolo, la mala
ebraica infuriava a Chicago
con personaggi come la
famosa Ike Bloom (nata
Gitelson) e Jack Guzik che
trafficavano in schiave
bianche, o gangster come
Davey Miller e Samuel
"Nails” Morton considerati
RobinHoodebraici.22
E naturalmente, tra gli
italiani di Chicago c'erano
"Diamond Jim” Colosimo,
John Torrio e infine, negli
anni venti, Alphonse (detto
"Al”)
Capone,23
che
inventarono il moderno
sindacato
del
crimine.
("Sindacato” da noi fa
pensare
al
movimento
operaio; in inglese significa
“cartello capitalistico”: il
“patto di sindacato” nelle
società per azioni.) Nel
famoso massacro di San
Valentino(14febbraio1929),
un commando della gang
“italiana” di Al Capone
assassinò in un garage di
North Clark Avenue sette
membri
della
gang
“irlandese” del North Side
guidata da George “Bugs”
Moran.
Le accuse di criminalità
non erano affatto campate in
aria (per ragioni note alla
sociologia), ma la frequenza
statistica è interpretata come
un
carattere.
È
un
procedimento usuale: si
descriveunasituazione;sene
osserva la frequenza; dalla
frequenza
s’induce
l’ineluttabilità
della
situazione, dall’ineluttabilità
si ricava una caratteristica
genetica. Una condizione
diventa un destino. E un
destino diventa un carattere.
Gli individui diventano
singoli e maiuscoli. Gli
irlandesi
diventano
l’irlandese; gli ebrei l’Ebreo;
gli italiani l’italiano. E
l’individuo,ormaiSingolaree
Maiuscolo,vieneaggettivato:
uno diventa l’irlandese
Ubriacone, l’altro l' Ebreo
Avaro, il terzo l’italiano
Mafioso.
Questa tentazione di
etichettare in cataloghi
nazionali è sempre stata
fortissima. Non vi sfuggiva
nemmenoEngelsquando,pur
dicendo che la sporcizia dei
quartieri poveri è un
fenomeno generale, nel caso
particolare
di
Dublino
aggiungeva che “senza
dubbio vi ha la sua parte
anche il carattere irlandese
che,
in
determinate
circostanze,nonsitrovaasuo
agiochenellasporcizia".24A
fine
Ottocento-inizio
Novecento la teoria dei
“caratteri” genetici era luogo
comune in un panorama
dominato dalla figura di
CesareLombroso.
Il rapporto tra criminalità
e nazionalità degli immigrati
era
considerato
così
essenziale
che
la
Commissione immigrazione
degli Stati Uniti pubblicò nel
1911 un volume, Immigrants
andCrime,incuitracciòuno
schema
di
“razze
e
nazionalità che mostrano
caratteristiche
criminali
chiaramentedefinite”.Eogni
nazionalità
ha
una
“vocazione",
una
predisposizionegenetica solo
per certi tipi di crimine. Tra
gli arrestati, gli irlandesi
primeggiano per ubriachezza
e vagabondaggio; francesi ed
ebree per prostituzione. Gli
ebrei vengono secondi solo
dopo gli americani per i
crimini contro la proprietà,
furto,ricettazione.Gliitaliani
sono più versati per i crimini
diviolenzapersonale,incluso
l’assassinio.
Per
la
commissione,"certeformedi
criminalitàsonoinerentinella
razzaitaliana”.25
Dire che il carattere
criminale è geneticamente
inscritto in un popolo non è
un’operazione
puramente
concettuale; sarà sì filosofia
delle scienze sociali, ma ha
risvolti assai pratici, come si
videnel1890inLouisiana,in
un episodio spesso censurato
dalla memoria di quegli
italiani che oggi inveiscono
contro la criminalità dei
maghrebini immigrati in
Italia. Il 15 ottobre di
quell’anno, fu ucciso il
sovrintendentedellapoliziadi
New
Orleans,
David
Hennessy. Gli abitanti ne
attribuirono la responsabilità
ai siciliani perché Hennessy
era stato impegnato in
un’operazione
anticrimine
nella colonia italiana. In un
clima d’isteria, la polizia
arrestò centinaia di italiani e
nefeceprocessarenove.Con
gran costernazione della
comunitàamericana,lagiuria
trovò sei dei nove accusati
“noncolpevoli”enonriuscìa
raggiungere un verdetto sugli
altritre.Vocidicorruzionee
minaccia
ai
testimoni
riempirono New Orleans;
politici e giornali chiesero
che si rimediasse a questo
“fallimento” della giustizia.
Una folla attaccò la prigione,
netiròfuoriundiciitalianieli
linciò. L’affare assunse le
dimensioni di una crisi
internazionale. Come scrive
Nelli, "per un breve periodo,
nel1891,unaguerratraItalia
e Stati Uniti parve una
prospettiva
concreta”.26
Infineneldicembredel1891,
nell’annuale messaggio al
Congresso, il presidente
Benjamin Harrison definì il
fatto “il più deplorevole e
disonorevole
incidente,
un’offesa contro la legge e
l’umanità”, concesse un
risarcimentoaifamiliaridelle
vittimeelacrisirientrò.
La spada di Damocle del
linciaggio non pendeva solo
sulcapodegliitaliani.Così,il
26 febbraio 1909 il giornale
grecodiChicago"TheGreek
Star” parla di greci linciati a
Omaha (Nebraska) perché
uno di loro ha ucciso un
poliziotto.
Il
giornale
ammette che, “secondo la
polizia di Chicago, i greci
hanno commesso numerosi
crimini, in alcuni tipi dei
qualioccupanoilprimoposto
in città”. Di fronte a queste
accuse di criminalità, ecco
dunque la comunità fare
quadrato,respingeresdegnata
leaccuseall’esternoecercare
di fare pulizia al proprio
interno.Tipica,epatetica,èla
reazione della comunità
italiana. Da un lato, di fronte
all’accusa di essere dominati
dall’associazione criminale
Manonera, i notabili della
comunità
fondano
un’effimera e impotente
Manobianca che dovrebbe
esserelasettasegretaitaliana
"buona” contro la banda
italiana "cattiva”. Inutile dire
che la Manobianca fallì in
breve
tempo
(come
rapidamente scomparve la
Manonera, sostituita dal più
moderno,
capitalistico
sindacato del crimine di Al
Capone). Dall’altro lato, con
comica sicurezza, i giornali
della comunità italiana
negano l’evidenza. Ecco la
conclusione,
sbrigativa,
tagliente, quasi sdegnata che
trae Γ8 ottobre 1892 il
giornale italiano di Chicago,
"L’Italia”: "Questa favola
della
Mafia
è
di
un’irragionevole stupidità,
un’imbecillità
pura
e
semplice [...] per dirla
brevemente, la Mafia non
esiste né a Chicago né in
Italia”.
In
quest’affermazione
colpisce non tanto la
Spudoratezza
della
menzogna, quanto l’idea che
qualcuno possa credervi, in
una sorta d’infantile "Non
sono stato io”, nonostante il
dito ancora sporco di
marmellata.
Lo
stesso
infantilismo
già
visto
nell'"Illinois Staats-Zeitung”
quando autoelogiava le virtù
germaniche come ci si vanta
di essere primi della classe
("Gli
irlandesi
non
sopportano le lodi che i
tedeschi ricevono dai datori
di lavoro per la loro
applicazione e temperanza”).
La competizione etnica, la
salvaguardia
dell’onore
nazionalesirivelanoperquel
che sono, campanilismo,
provincialismo. Chicago è
una
delle
città
più
internazionali del mondo, fin
dalla sua origine. È
costitutivamentecosmopolita.
Ciò non le impedisce di
essereprovinciale.Scopriamo
qui uno degli aspetti più
opachi della modernità:
mentrenellesocietàanticheil
cosmopolitismo erodeva lo
spirito provinciale, nelle
società
moderne
una
composizione cosmopolita
non
neutralizza
il
provincialismo, ci convive,
anzi lo rafforza. Così a New
York e a Parigi cominciano
ad avvertirsi tracce di
provincialità, mentre Roma,
per quanto non sia mai stata
tantocosmopolitadaldeclino
dell’impero romano, sedici
secoli prima, resta un grosso
paesonediprovincia.Lecittà
tendono a diventare più
provinciali, proprio perché
segregano tra loro le
componenticosmopolite.
È straordinario il set di
cinque mappe storiche della
città di Chicago pubblicato
dalmunicipionel1976,incui
i vari colori mostrano gli
insediamenti nei diversi
quartieri delle differenti
comunità etniche in cinque
momenti diversi della storia
dellacittà(1840,1860,1870,
1920, 1950). In nessun’altra
città sarebbe possìbile questa
mappa.Inprimoluogoperché
non verrebbe in mente a
nessun
funzionario
di
consacrare tempo, energie e
finanzecomunaliperstabilire
le frontiere del quartiere
ucrainoequelledelquartiere
danese, e poi osservare gli
spostamenti di questi confini
linguistici nel tempo. In
secondo luogo, e soprattutto,
perché
sarebbe
oggettivamente impossibile
tracciare le differenti aree.
Tranne alcuni casi specifici,
negli
stessi
quartieri
convivrebbero immigrati di
nazionalità differenti, non ci
sarebbe
segregazione
residenziale etnica, sarebbero
tutte zone più o meno
"integrate”
che
non
potrebbero essere colorate
con etnie diverse. Anche in
questo Chicago è la città più
etnicad’America.Quiirituali
etnici,
fidanzamenti,
matrimoni, funerali sono
osservati ancora con pignola
puntualità. Ancora negli anni
sessanta (quarant’anni dopo
l’arrivo degli ultimi italiani),
il socio-logo Gerald D.
Suttles scriveva a proposito
delquartierediAddams:
In realtà molti
italiani sono proprio
“americanizzati”.Spesso
però
questa
gente
conduce una sorta di
doppia vita. Durante il
giornoescedalquartiere
perfareilpropriolavoro
senza tanto pensare alla
propria etnicità. Ma
quando la sera torna a
casa, è obbligata a
riassumere
la
sua
vecchia identità. Non è
tanto una questione di
gusto,
quanto
di
necessità. È presumibile
che gli altri conoscano
già l’etnicità di una
persona. E le fughe da
quest’etnicità possono
essere interpretate come
snobismo o tentativo di
mentire. Per di più, gli
appartenentiaglialtritre
gruppi etnici [neri,
messicani e portoricani]
rifiutano di accettare
l’americanizzazione
altrui,
indipendentemente da
quanto essa sia spinta.
Per gli altri, il tentativo
di
minimizzare
la
propria etnicità è solo
una manovra astuta per
sfuggire
alla
responsabilità
degli
errori passati o per
conquistarsi la fiducia
altrui. Infine ci sono
parecchi
old-timers,
residenti di antica data,
nel quartiere e sarebbe
davvero
maleducato
ostentaredifrontealoro
ilproprioamericanismo.
Così nei limiti del
vicinato locale, un
italiano che “recita” a
fare l’americano corre il
rischio di essere preso
per un impostore, uno
snob, un opportunista,
unvile,undelatore.27
È questo il meccanismo
per cui nelle migrazioni
moderne partono individui,
ma arrivano popoli o etnie,
perché nella patria di
accoglienza
ognuno
è
contemporaneamente
costretto all’assimilazione e
insieme confinato, ricacciato
nella propria etnicità. Il
melting pot, il “crogiolo”, si
rivela
una
maionese
impazzita, in cui l’uovo sta
per conto suo, separato
dall’olio, distinto dal limone.
La società si segmenta in
paratie. Questo non vuol dire
chelepersonenonsisentano
americane. Mai come negli
Usa si vedono tante case con
davanti la bandiera nazionale
chesventolasuunpennone:i
nazionalismi
si
sovrappongono a strati e il
nazionalismo etnico non
indebolisce, anzi rafforza
quello
statunitense.
L’americanizzazione è totale,
solo che essa convive con
l’appartenza
etnica,
si
sovrapponeaessa.
Basti pensare alla cucina,
considerata generalmente il
bastione della cultura etnica
negli Stati Uniti. Essa è
apparentemente fedele alle
tradizioni popolari, ma solo
nei nomi. Si apprezza un
pastramichenonhapiùnulla
a che vedere con l’originale:
la cucina è uno dei campi in
cui meglio si esercita quell
'invenzione della tradizione
su cui dovremo tornare.
Donna Gabaccia ci racconta
le successive trasformazioni
che nel gusto e nella
consistenzahasubitoilbagel
nella storia gastronomica
statunitense:
i
bagels
"divennero identificati come
tipicamente 'ebraici' solo
quando
gli
ebrei
cominciarono a venderli nei
loro quartieri multietnici.
Quando i bagels emersero
dalle drogherie del ghetto
come una novità ebraica, i
bagels
con
formaggio
cremoso divennero subito un
pilastro di quella cucina nota
come la ‘New York deli’
[deli è l’abbreviazione del
termine-comunealtedescoe
all’yiddish-diDelikatessen],
e fu lanciato nel mercato e
prodotto industrialmente per
tutto il paese sotto questa
nuova identità regionale.
Quando
il
commercio
internazionale li portò in
Israele, i bagels acquisirono
una terza identità come
‘americani’".28Enonèilsolo
bagelauscireirriconoscibile,
reinventato
da
quella
betoniera che è la società
americana.Igermoglidisoja
sonodivenutiilsimbolodella
cinesitàincucina,mainCina
non sono mai stati usati
(d’altronde i fortune cookies
sono stati inventati a San
Francisco e tra i cinesi della
madrepatria sono oggetto di
scherno verso gli americani).
Se in Cina e in Italia i
gamberitivengonoservitinel
piatto con tutta la loro testa,
qui saranno accuratamente
sgusciati
e
decapitati
(altrimenti farebbero orrore).
La pastasciutta mantiene il
suo aspetto (i linguini al
maschile) ma è americana
nella
cottura,
nell’adeguamento al piatto
unico,nelladeformazionedei
sughi. L’insalata greca
contiene vegetali mai usati
nell’Ellade. Nessuno in
Francia mangerebbe un
paninodeepfrench.Leforme
dell’etnicità ricoprono una
sostanza
genuinamente
americana, come nel Québec
dove le lumache stanno lì a
segno della "francesità”, ma
leostrichesonomangiatecol
ketchup.
Nel grande contenitore
della società americana, le
etnie si muovono isolate,
tentando di essere compatte
all’interno, in competizione
l'una con l’altra. Forse in
questoschemasocialestauna
parte della risposta alla
domandachenovantannifasi
poneva Sombart: “Perché
negli Stati Uniti non c’è
socialismo?’’. Non è chiaro
sequestosecolaretradursidel
conflitto sociale in scontro
etnico,dellalottadiclassein
guerra tra razze, sia stato
premeditato dalla classe
dirigente o si sia invece
prodotto per logica interna, a
prescindere dalla volontà di
chiunque, in un meccanismo
sfuggito di mano a chi
all'iniziosiproponevasolodi
ottenere forza lavoro più a
buonmercato,piùdocile,più
mobile,menoriottosa.
Certo, c’è da rimanere
stupiti per le capacità
dimostrate
dalla
classe
dominante
americana,
un’élite
superficialmente
snobbatainEuropa,machesi
è dimostrata in grado non
solo di governare (almeno
fino a oggi) un processo così
esplosivo e di canalizzarlo in
forme
tutto
sommato
controllabili di conflittualità,
ma anche di costruire in due
soli secoli il più grande
imperodelmondoapartireda
quel che Woodrow Wilson
chiamava la “feccia di cui si
sgravava l’Europa”, a partire
dai poveracci del Vecchio
continente.
"Datemi un cafone, anzi
un milione di cafoni, e vi
solleverò il mondo” è il
messaggiochecicomunicano
i capitalisti americani di fine
Ottocento.
Colpisce
il
contrasto fra la separatezza
delle varie componenti
etniche degli Stati Uniti e la
compatta saldezza della sua
forzafinanziariaeindustriale.
Ma non è solo a colpi di
lungimiranza che la classe
dominante americana ha
cancellato il socialismo dalla
faccia degli Stati Uniti. Per
questo, essa ha agito un po’
come quell’eroe voltairiano
che si vantava di uccidere
inesorabilmente i propri
nemici con un sapientissimo
dosaggio
di
preghiere,
esorcismiearsenico.
1
J. Parton, Chicago,
cit.,p.327.
2Ivi,p.330.
3 Stephen Steinberg, The
Ethnic Myth. Race, Ethnicity
and Class America (1981),
Beacon Press, Boston 1989,
p.35.
4 U.S. Bureau of the
Census, Historical Statistics
of the United States,
Government Printing Office,
Washington D.C. 1975, serie
C89-119,vol.I,pp.105-106.
5GeorgWilhelmLeibniz,
Monadologia
(1714),
capoversi 36 e 37, trad. it.
Laterza, Bari 1957, pp. 132133.
6 W. T. Stead, If Christ
come to Chicago!, cit., pp.
84-85.
7CitatidaS.Steinberg,
op.cit.,p.184.
8 U.S. Bureau of the
Census, Historical Statistics
oftheUnitedStates,cit.,serie
D722-727,D733-73,D779793eF1-5,p.164.
9B.L.Pierce,AHistory
of Chicago, cit., vol. II, pp.
163-164.
10L.C.Wade,Chicagos
Pride,cit.,p.252.
11 A Chicago erano (e
sono) pubblicate decine di
giornalietnicinellelinguepiù
svariate. Intorno al 1940 il
governo finanziò una ricerca
che compilasse (e traducesse
in inglese) un’antologia di
tutta la stampa etnica della
città
dai
suoi
inizi
ottocenteschi al presente. Il
frutto è la Chicago Foreign
Language Press Survey,
conservata in microfilm (una
copia è consultabile nella
libreria
della
Chicago
HistoricalSociety),dacuiho
tratto tutte le citazioni di
articoli"etnici".
12 B.L. Pierce,op. cit.,
vol.II,p.26.
13"L’Italia",25giugno
1904.
14RichardC.Lindberg,
Ethnie Chicago, Passport
Books, Lincolnwood (111.)
1994,p.126.
15 Robert E. Park,
Human Migration and the
Marginal Man, in “The
American
Journal
of
Sociology", vol. xxxiii,
maggio 1928, n. 6, pp. 881893.
16
“Illinois
StaatsZeitung”,27novembre1874.
17Tuttalaquestionedelle
domesticheirlandesiètrattata
da S. Steinberg, op. cit., pp.
153-166.
18 B.L. Pierce,op. cit.,
vol.III,p.37.
19S.Steinberg,op.cit.,
p.116.
20Ivi,pp.112-113.
21
Citato dal
documentato
libro
di
Humbert S. Nelli, Italians in
Chicago 1880-1930. A Study
in Ethnic Mobility, Oxford
University Press, New York
1970,p.126.
22 R.C. Lindberg, op.
cit.,pp.179-180.
23 Per le informazioni
biografiche di base su John
Coughlin, Michael Kenna,
Alphonse Capone, è utile
June Skinner Sawyers,
Chicago Portraits, Loyola
University Press, Chicago
1991, in cui sono riunite 250
brevibiografiediChicagoans
celebri,daCyrusMcCormick
a John Belushi (figlio di un
immigrato albanese). Il
criterioètuttoparticolareper
definire chi era Chicagoan e
chi non lo era. Per esempio,
EnricoFermiloera.
24 F. Engels, La
situazione
della
classe
operaiainInghilterra,inKarl
Marx-Friedrich
Engels,
Opere complete, cit., vol. iv,
p.270.
25 Immigrants and
Crime, Government Printing
Office, Washington D.C.
1911, citazioni dalle pp. 2 e
209.
26 H.S. Nelli, op. cit., p.
130.
27 Gerald D. Suttles, The
Social Order of the Slum.
EthnicityandTerritoryinthe
Inner
City,
Chicago
University Press, Chicago
1968,p.105.
28DonnaR.Gabaccia,We
Are What We Eat. Ethnie
Food and the Making of
America, Harvard University
Press, Cambridge (Mass.)
1998,pp.5-6.
2.AddioChicagobella
Sotto gli argini, invisibile
dall’alto, il flusso di camion
scorre
rumoroso
nell’autostrada urbana Dan
Ryan. Sopra, al livello del
terreno, all'incrocio tra
Randolph Street e DesPlains,
vicinissimoalLoop,loslargo
deserto è circondato da
vecchi edifìci segati in
sezione,comeunatomografia
assiale, con le pareti esterne
coperte da pubblicità murali.
In un angolo del piazzale c’è
la sede locale della Caritas.
Nulla ti dice che poco più di
cento anni fa, nel 1886,
questo luogo, Haymarket
Square, allora un mercato
all’aperto, fu il teatro di un
dramma dalle inimmaginabili
conseguenze. Nemmeno una
piccola lapide menziona quei
fatti e quegli uomini che per
decennisonostatiricordati(e
venerati) come martiri del
movimento operaio. Nulla
rivelachequinacqueilPrimo
maggio come festa dei
lavoratori(ilPrimomaggioè
festeggiato quasi ovunque,
manonnegliStatiUniti,dove
ènato).
Invano,passeggiandotrai
parcheggi semivuoti e una
stazione
di
benzina,
cercheresti una spia di
quell’evento che decapitò il
movimento anarchico. Un
secolo fa Chicago era la
capitale
mondiale
dell’anarchia.Equestosecolo
trascorso sembra essere
durato più di un millennio,
oggi che l’anarchia ha rifatto
capolino - dopo decenni di
oblio - nelle manifestazioni
contro la globalizzazione,
come a Seattle nel 1999, a
Praganel2000,aGenovanel
2001 : l'anarchismo diventa
un modo per essere
anticapitalisti senza farsi
inchiodare a un comunismo
che ricorda troppo l’Unione
Sovietica,
rappresenta
un’interiorizzazione
della
libertàdimercatoinfunzione
sovversiva. Cento anni fa gli
anarchici sembravano una
minaccia in grado di far
crollare il capitalismo e la
società americana, una
minaccia
che
andava
combattutaeannientata,oggi
esprimono la scorciatoia
teorica di una protesta
strutturatainreteinformatica.
***
Ilpiùtumultuososviluppo
industriale (e demografico, e
d’immigrazione) Chicago lo
conobbe durante la lunga
depressione internazionale
che si estese dal 1873 al
1896,scanditadatrepicchidi
recessione
ancora
più
drammatica, un primo dal
1873al1878,unsecondodal
1882 al 1886, un terzo dal
1892al1896.Inqueiperiodi
la
disoccupazione
imperversava massiccia e le
famiglie
morivano
letteralmente
di
fame.
Nell’inverno del 1885 un
terzo dei carpentieri della
cittàeradisoccupatoeil39%
della forza lavoro era
forzatamente inattivo.1 È
proprio durante questi tre
picchi di recessione si
verificarono gli scontri più
aspri tra capitalisti e
lavoratori, negli scioperi del
1877, nel movimento per le
otto ore del 1886, nel
boicottaggio Pullman del
1894: tutte e tre le volte
l’epicentro di questa vera e
propria “guerra di classe” fu
Chicago dove - crisi o non
crisi - continuavano a
riversarsi
centinaia
di
migliaia di immigrati. Molti
erano importati proprio per
fare i crumiri, indebolire i
sindacati, introdurre nella
forza lavoro una divisione
etnica, linguistica. Nel 1891
la figlia di Karl Marx,
Eleanor,
scriveva
al
sindacalista
americano
Samuel
Gompers:
“La
questione più immediata [è]
impedire l’introduzione di
lavoro sleale da un paese
all’altro, vale a dire che
lavoratori, i quali non
conosconolecondizionidella
lotta di classe in un
determinato paese, siano
importati dai capitalisti in
questo stesso paese, per
abbassare i salari o allungare
il tempo di lavoro, o per
entrambelecose”.2
Ma tra queste immani
masse umane giungevano
anche gruppetti di esiliati
politici. Per dirla con
Theodore
Draper,
“il
movimento
socialista
americanoèinenormedebito
con gli immigranti sia per i
propri progressi sia per i
propriproblemi”.3Daunlato
era difficile - e quasi sempre
impossibile - che un operaio
irlandese e uno italiano, un
polacco e un tedesco
facessero fronte comune
contro i padroni, senza
disperdere il fiume della loro
forza in una miriade di
rigagnoli astiosi. Dall’altro
lato però, tra questi operai vi
erano
militanti
che
dall’Europa portavano con sé
una “coscienza di classe”.
Così la xenofobia si
alimentava di un nuovo
stereotipo. Non solo gli
immigratieranosporchi,pigri
e criminali, ma erano anche
sovversivi,
comunisti,
negatori di Dio e della
proprietà privata. Negli anni
ventiinAmerica,chipensava
a un italiano si riferiva o al
criminale Alphonse Capone,
oaglianarchiciNicolaSacco
e
Bartolomeo
Vanzetti
(condannatiamortenel1921,
uccisi nel 1927). In realtà, i
militantisocialistieanarchici
erano un’infima minoranza
rispetto alla massa di
immigrati, per lo più
impolitici
o
proprio
conservatori, ma tant’è: nel
1915 al Partito socialista
americano(Sp)eranoaffiliate
14 sezioni straniere e ancora
nel 1917, su 80.126 iscritti,
32.894, il 40%, erano nati
all’estero.4
Sul milione circa di
tedeschi che arrivò negli Usa
nel decennio 1850-1860,
parecchie migliaia erano
emigrati
politici
che
fuggivano la rivoluzione
fallitadel1848,eranoi48ers,
i“quarantottini”.Tracostoro,
ipiùeranoliberaldemocratici;
solo un esiguo gruppetto era
socialista.Furonolorochenel
1854 fondarono a Chicago il
giornale “Der Proletarier”: il
socialismo non fu importante
nella storia dei milioni di
tedeschiimmigratinegliUsa,
ma i tedeschi furono
importanti nella storia del
socialismoamericano.5
Chicago era una città di
esiliati politici come Parigi o
Zurigo, o Lugano - vi
ricordate
la
canzone
anarchica Addio Lugano
bella? -, ed era tutto un
pullulare,unnascereemorire
di
giornali
socialisti,
anarchici, rivoluzionari in
tedesco, in polacco, in
inglese, in boemo... Erano
poche migliaia di militanti -
nel 1886 cerano a Chicago
2500 membri attivi, 20.000
simpatizzanti, ma la loro
influenza
era
sproporzionatamente
più
grande del loro numero, i
giornali che stampavano
incredibilmente più vivi e
influenti di quanto sia oggi
immaginabile. Come nelle
corporations"leazioninonsi
contano, ma si pesano", così
nelle forze politiche, i
militanti e gli aderenti si
pesano e non si contano.
Forze con pochi iscritti
possono avere un peso
enorme.Altre,conmilionidi
membri, possono essere
innocue,quasiirrilevanti.
Ma bisogna immaginarla
lavitadiquestimilitantinella
Chicago dei mattatoi e delle
ciminiere, babele dalle mille
lingueenazionalità,permeata
daimiasmideimacelliedalla
fuliggine
dei
treni.
Bordeggiavano nella vita,
infervorati, precari, sempre
senza un soldo, sempre in
pericolo, minacciati dalle
forze dell’ordine costituito,
dalle
milizie
private
americane, dalla polizia
statunitense, dagli agenti
segreti mandati dall'Europa a
sorvegliarli (o ucciderli) qui
negli Usa. Certo, erano
litigiosi, pedanti, “tedeschi”,
intolleranti
sulle
loro
differenze dottrinarie tra
bakuniniani,
lassalliani,
marxisti (sarebbe istruttivo
vedere quanta gente sa oggi
chi era Ferdinand de
Lassalle),
sempre
a
scomunicarsi tra loro, ad
affrontarsi in furibonde
polemiche.“Costituivanouna
setta, nel senso di un piccolo
gruppo autoreferenziale che
aderisce a un'ideologia (o
fede) esclusiva e precisa. Ma
noneranounasettaperscelta
[...] erano categoricamente
antisettari. [...] Marxisti,
lassalliani, anarco-co-munisti
erano tutti opposti al
socialismo
utopico.”
Cercavano di parlare alle
masse, di smuovere i
lavoratori, anche se "è
incontestabile che tendessero
a essere dogmatici, rigidi,
spesso incomprensibili per le
masse che cercavano di
coinvolgere”.6Organizzavano
non solo manifestazioni,
scioperi, ma anche feste,
danze,recite,picnic.
Ognioccasioneerabuona
per un picnic, anche
l’annuncio della chiusura di
un giornale, come avvenne
nel settembre 1879 per “The
Socialist”. E i balli! A
Chicagosidanzavanoballidi
tutt'Europa: “Ieri notte si
potevaassistereaognitipodi
ballo, il ‘Bohemian dip', il
‘German lunge’, l''Austrian
kick’, il ‘Polish ramp’, lo
‘Scandinavia trot’. Tutti
questi paesi sembravano
rappresentati, ma è meglio
aggiungere
che
nativi
americani, irlandesi e inglesi
si notavano per la loro
assenza”.7Almenoottocorali
erano affiliate al movimento
operaio e alcune orchestre
rivoluzionarieeranofamose.8
Avevano una vera e
propria
passione
per
organizzare feste questi
rivoluzionari,
quasi
un
anticipo, un acconto della
grande festa, dell’allegra
gioia che speravano di
assaporare presto. La più
importante era “L’Alba della
Libertà", festeggiata ogni
marzo, per 37 anni, dal 1872
fino al 1909, dai socialisti di
Chicago
per
celebrare
l’anniversario della Comune
diParigi.Inalcunianni,come
nel 1879, a questa ricorrenza
parteciparono più di 40.000
persone:
vi
suonavano
orchestre,vicantavanocorali,
venivanorappresentatiquadri
viventidisignificatopolitico,
recitateopereteatrali.
Ognioccasioneerabuona
per riunirsi (e per una birra).
Era festa quando dall’Europa
arrivava un rivoluzionario,
come nel 1892, quando
giunse negli Usa il leader
anarchico Johann Most, già
deputato del Reichstag,
imprigionato varie volte e
fuggito nel 1878 dalla
Germania
bismarckiana.
Parafrasando l’espressione
"Animale da preda”, Most
definiva l’uomo Animale da
proprietà(èiltitolodiunsuo
pamphlet del 1884)9; a
Londrapubblicavailgiornale
"Die Freiheit” ("La libertà”),
dovescriveva:
Io seguo quattro
comandamenti.
Tu
negherai Dio e amerai
Verità;perciòiosonoun
ateo. Tu combatterai
tirannia e cercherai
libertà;perciòiosonoun
repubblicano.
Tu
ripudierai proprietà e
difenderai uguaglianza;
perciò io sono un
comunista. Tu odierai
oppressioneefomenterai
rivoluzione; perciò io
sono un rivoluzionario.
Lunga
vita
alla
rivoluzione sociale! (15
luglio1882)
***
I rivoluzionari avevano
proprie società segrete e
proprigruppiarmati,comele
Lehr und Wehr Vereine,
Società di educazione e
difesa, con un addestramento
militare. Da notare che la
Lehr und Wehr Verein di
Chicago organizzava picnic,
allestivacarriallegoriciperle
feste,bandeperleparate.
È straordinario come i
gruppi oppressi e dominati
dellasocietà,peremanciparsi,
cerchino di copiare gli
strumenti
delle
classi
dominanti.Lapassioneperle
societàsegretedeglianarchici
tedeschi
e
scandinavi
ricalcava le società della
borghesia.Nellostessomodo,
di fronte alla violenta ostilità
contro ogni forma di
sindacalizzazione, gli operai
americani cercarono di
ricalcare la massoneria. Nel
1869, nove operai di sartoria
di Filadelfia fondarono il
Noble and Holy Order of the
KnightsofLabor(KofL),il
Nobile e Sacro Ordine dei
Cavalieri
del
Lavoro,
organizzato in logge ognuna
coniproprimaestrieconun
Gran Maestro Lavoratore al
vertice,unordinediprofonda
ispirazione
religiosa,
contrario al sistema salariale,
organizzazione che sarebbe
rimasta segreta fino al 1881.
Nel1884iKofLcostrìnseroil
magnate delle ferrovie (e
classico prototipo del robber
baron) Jay Gould a scendere
a patti e a riassumere gli
scioperanti. Da allora il
numero di iscritti dei K of L
crebbe a dismisura: dal 1884
al 1886 decuplicarono da
71.000a730.000.
All’ascesa dei K of L
corrispondeva il declino
dell’altro
embrione
di
organizzazione
operaia
dell’epoca, la Federation of
Organized Trades and Labor
Unions
(costituita
a
Pittsburgh nel 1881) che
proprio nel dicembre 1884
tenne la sua convenzione a
Chicago. I venticinque
delegati
rappresentavano
appena
50.000
operai
statunitensi, eppure a questa
convenzione
furono
presentate due mozioni
storiche. La prima, proposta
da un tipografo di Chicago,
diceva: “Decidiamo che il
primo lunedì di settembre di
ogniannosiadichiaratofesta
nazionale dei lavoratori e
raccomandiamo che sia
osservata da tutti i salariati,
indipendentemente dal sesso,
dalla professione e dalla
nazionalità”.10 La scelta del
primolunedìdisettembreper
il Labor Day riempiva un
vuoto di feste “nella più
piacevole delle stagioni
dell’anno, quasi a metà tra il
4 di luglio e Thanks-giving”.
La
seconda
mozione,
presentata dalla Federazione
dei Carpentieri, riguardava
una
rivendicazione
già
radicata nel movimento
operaio,quelladelleottoore.
Già nel 1856 gli operai di
Melbourne in Australia
chiedevano le tre otto: “otto
oreperillavoro,ottooreper
ilriposo,ottoperquelcheci
pare”. Negli Stati Uniti,
durantelaguerracivile,trail
1861 e il 1865, nelle città
industriali sorsero molte
leghe per le otto ore.
Nell’agosto del 1866, al suo
congresso di Ginevra, la
Prima
Internazionale
riprendeva
questa
rivendicazione:
“Noi
proponiamoottooredilavoro
come limite legale della
giornata lavorativa. La
riduzione della giornata
lavorativa viene adesso
generalmente richiesta dai
lavoratori americani; noi la
chiediamo per i lavoratori di
tutto il mondo”.11 Il Primo
maggio 1867 a Chicago
scesero in piazza più di
10.000manifestantinelprimo
grande sciopero per le otto
ore. Nel ricordo di questo
sciopero,lamozionedel1884
recitava: "Decidiamo che le
otto ore costituiranno la
giornatalavorativalegaledae
dopoilPrimomaggio1886e
raccomandiamo
alle
organizzazioni del lavoro di
conformare le loro leggi a
questa risoluzione entro il
tempo fissato”.12 Era il
giorno in cui l’edilizia
tornava in attività; il giorno
prima erano rescissi i
contratti di affitto cittadini e
agricoli; e questa festa
diventava una contro-pasqua,
una “pasqua dei lavoratori”,
ricordooperaiodeiritipagani
dellaprimavera.
Ci voleva una bella
fiducia a chiedere le otto ore
nell’inverno 1884, in piena
recessione, con folle di
disoccupati, famiglie sul
lastrico. I giornali dell’epoca
lanciavano l’allarme: le otto
ore erano “comunismo,
sinistro
e
rampante”,
avrebbero
incoraggiato
"l’ozio e il gioco d’azzardo,
la crapula e l’ubriachezza” e
avrebbero portato solo salari
più bassi, più povertà e
degrado sociale tra i
lavoratoriamericani.13
***
A Chicago poi, il clima
era ancora più aspro che
altrove. Nel novembre 1884
un grande corteo, “la marcia
dei poveri”, aveva sfilato
sotto le case dei ricchi, di
George Pullman, di Marshall
Field, di Swift e Armour. Il
corteo era guidato dal leader
anarchicoAlbertParsonseda
sua moglie Lucy Gonzales,
unamessicanadicolore.Nato
nel 1848, da una famiglia
puritana del Sud, già editore
di un giornale a Waco
(Texas),
trasferitosi
a
Chicago nel 1873, ex
tipografo, Parsons era il
leader
dell’anarchismo
americano, a Chicago aveva
fondato il giornale “The
Socialist”ederaildirettoredi
"TheAlarm”.
L’annodopo,il4maggio
1885, a Lemont, nei suburbi,
la guardia dell’Illinois aprì il
fuoco contro una folla di
disarmati cavatori di pietre e
ne uccise due. A fine giugno
scoppiava uno sciopero nella
Street Car Company: gli
addetti ai tram chiedevano
orari più brevi, paghe
uniformi,
fine
delle
vessazioni antisindacali. In
risposta,laproprietà(Yerkes)
licenziò i sedici più
importanti leader sindacali.
Fu in quell’occasione che il
capitano di polizia John
Bonfield diede lordine di
“sparare per uccidere”, un
ordine che sarebbe risuonato
di nuovo a Chicago
ottant'anni dopo (vedi il
capitolo Praga in Illinois).
Bonfield si presentò così
come il difensore dei
proprietari, organizzò una
“squadra rossa" da infiltrare
nel movimento operaio e
addestrò le truppe alle nuove
tecnicheantisommossa.
Era in agitazione anche
un’altra grande fabbrica di
Chicago,laMcCormick,dove
si producevano le mietitrici
meccanicheedovelavecchia
generazione, quella dei
fondatori (il vecchio Cyrus e
suo fratello Leander), aveva
cedutolamanonel1884;ora
governava il giovane Cyrus,
benpiùaggressivo,checercò
subitod’imporreuntagliodei
salaridel10-15%,nonostante
lafabbricafosseincondizioni
fiorenti: malgrado la crisi
dell'inverno 1884-1885, la
McCormick realizzava un
profitto del ben 71% annuo
sul capitale versato! Non
solo: mentre la maggioranza
degli operai cui veniva
decurtato il salario era
cattolica,
la
famiglia
McCormick donava altri
100.000 dollari al Seminario
teologico presbiteriano di
Chicago.14 Dopo questa
donazione, uno sciopero
scoppiò nella fabbrica della
compagnia nel quartiere
Pilsen. Come Yerkes e come
molti
altri
padroni
statunitensi,
il
giovane
McCormick ricorse non solo
alla polizia, ma anche
all’agenzia Pinkerton per
proteggere i crumiri, fatti
affluire allo scopo di far
fallirelosciopero.
Contortodestinoquellodi
Allan Pinkerton, ‘'l’occhio
che non dorme mai”,
sinonimo
d’investigatore
privato: proletario scozzese,
nato a Glasgow nel 1819,
subito
militante
del
movimento operaio dei
Cartisti, fu costretto a
emigrare negli Usa per
ragioni politiche, per evitare
di essere mandato in una
colonia penale. Giunto a
Chicago, fu eletto sceriffo
della Kane County alla fine
del 1840, e nel 1850 aprì la
sua Pinkerton National
Detective Agency (attiva
ancora oggi), il cui scopo
originale era di aiutare a
fuggire in Canada gli schiavi
evasi dal Sud. Ma questo
intento
fu
presto
abbandonato. In breve tempo
Pinkerton divenne il braccio
armato dei grandi gruppi
industriali. Fu usato anche
nelle loro lotte intestine,
come quelle tra Vanderbilt e
Fisk e Gould. Durante la
guerra civile fu nominato da
Lincoln capo dei servizi
segreti degli Stati Uniti per
l’Union Army. Dopo la
guerra, la sua agenzia si
dedicò
soprattutto
a
combattere gli scioperi
operai,
una
tradizione
proseguita,dopolasuamorte
(1884),daiduefigli,William
eRobert,tantochetrail1933
eil1935l’agenziaavevaben
1228agentioperativiinfiltrati
in ogni sezione sindacale del
paese.15 Verso il 1890 la
Pinkerton aveva 2000 agenti
attivi e 30.000 riserve, più
dell’esercito federale in
servizio.
Nonostante Pinkerton, la
proprietà non riuscì a battere
gli scioperanti per la
riluttanza di O’Donnell,
capitanodipoliziadellazona
di Pilsen, un irlandese, a
schierarsi contro operai
irlandesi (ancora l’intreccio
lotta di classe/lotta di etnie).
Ma dopo pochi mesi, il 16
febbraio
1886,
appena
O’Donnell fu trasferito e
Bonfield
fu
promosso
ispettore al quartier generale
centrale, McCormick serrò
fuori dalla fabbrica 1482
operai, molti dei quali erano
iscrittiaiKofL.Questavolta
la polizia di Chicago aiutò la
direzione e 300 uomini
stazionarono ai cancelli. Il
primo marzo i crumiri
entrarono in fabbrica protetti
dagli agenti. L’indomani la
polizia caricò una pacifica
riunionedi"chiusifuori”ene
arrestòmolti.
Nel
frattempo
la
campagna per le otto ore e
per il Primo maggio
s’intensificava in tutti gli
Stati Uniti. La base dei
KnightsofLaboraderivaalle
azioni, anche se la direzione
andavacauta,comespiegòin
una circolare del 13 marzo
1886 il Gran Maestro
Lavoratore Terence Vincent
Powderly:
“Nessun’assemblea dei K of
L deve scioperare per le otto
ore il primo maggio dando
l’impressione di obbedire a
ordini dal quartier generale
perché tali ordini non sono e
non saranno dati”16: appare
qui un atteggiamento tipico
dei sindacati americani,
quello di pompiere, di
ammortizzatore dei conflitti,
di spegnitore degli incendi
sociali. Dopo la dissoluzione
del suo Sacro Ordine dei
Cavalieri del Lavoro, nel
1907
Powderly
finirà
funzionario
dell’ufficio
immigrazione.
Ma, per quanto la
direzione dei K of L facesse
da pompiere, la base si
mobilitava spontaneamente: i
lavoratori
fumavano
"Tabacco8-ore”,compravano
“Scarpe 8-ore” e cantavano
“il canto delle 8-ore”. Il
movimento si diffondeva a
macchiad’olio.Eitimoridel
padronato crescevano in
proporzione:inunservizioda
Chicago del primo maggio
1886, il “New York Times”
riferiva che alla vigilia i
membri della Camera di
commercio locale avevano
offerto 2000 dollari alla
guardianazionaledell’Illinois
per
comprare
una
mitragliatrice.
Ovunque
scoppiavano scioperi: il 9
aprile, a East St. Louis, la
polizia aprì il fuoco sugli
scioperanti e ne uccise nove.
In risposta, gli operai
incendiarono più di cento
vagoni.
***
EilPrimomaggiogiunse.
Quel giorno, in tutto il paese
scioperarono 350.000 operai
in11.562stabilimenti.Soloa
Chicago gli scioperanti
furono 40.000 e in 80.000
sceseroinpiazzasfilandoper
Michigan
Avenue,
sottobraccio, guidati da
Albert e Lucy Parsons,
insiemeailorofigliAlbertJr.
e
Lulu.
In
11.000
manifestarono a Detroit, in
25.000 a New York. La
giornata si era svolta
pacificamente, la partita
sembrava vinta: in quel
giorno a Chicago, una
giornata lavorativa più corta
fu concessa a 45.000 operai,
senza
bisogno
che
scioperassero. Si calcola che,
negli Usa, 180.000 - sui
350.000
scioperanti
ottennero allora le otto ore.17
MaallaMcCormick...
Il 2 maggio 1886 fu un
giorno calmo: solo poche
manifestazioni. Il 3, August
Spies, direttore del giornale
“DieArbeiterZeitung”,parlò
a circa 6000 legnaioli in
sciopero dall’alto di un
vagone merci vicino alla
fabbrica McCormick: ma
molti astanti erano boemi e
polacchienoncapivanocosa
stesse dicendo. Alle tre e
mezzo suonò la sirena alla
McCormick e circa 200
ascoltatori andarono ai
cancelliperaiutareglioperai
a dare una strigliata ai
crumiri. Subito arrivarono
Bonfield e 200 poliziotti che
caricarono. Il frastuono attirò
ancora più ascoltatori, finché
giunselostessoSpies,seguito
da tutta la folla. Furono
accoltidalfuocodellapolizia.
Almeno4manifestantifurono
uccisieparecchiferiti.
Subito fu indetta per
l’indomani,4maggiosera,ad
Haymarket,
una
manifestazione
che
fu
autorizzata dal sindaco
Harrison. Alle otto e mezzo
del 4 maggio sera August
Spies (che non aveva
partecipato
all’organizzazione)parlavain
piedisuuncarrettodavantia
3000 persone e mandava
messaggeri per chiamare
Albert Parsons e Samuel
Fielden (che non erano stati
avvertiti del comizio) perché
loaiutasseroatenerediscorsi.
Erapresenteancheilsindaco.
Spies e Parsons avevano già
parlato e se ne erano andati,
quando poco prima delle
dieci scoppiò un temporale e
la folla si ridusse a un
trecento astanti infradiciati.
Allorailsindacoseneandòe
ordinò che i 176 agenti di
polizia presenti fossero
rimandatiacasaoriassegnati
all’ordinariaamministrazione.
Ma alle dieci e mezzo - il
sindacoeraappenaarrivatoa
casa, Samuel Fielden stava
finendo il discorso di
chiusura -, il capitano
Bonfieldordinòaisuoiagenti
di
sciogliere
la
manifestazioneconlaforzae
li dispiegò nel nuovo
schieramento antiguerriglia.
In quel momento una bomba
lanciata da una traversa
scoppiò tra i poliziotti, ne
uccise sei e ne ferì più di
cinquanta. La polizia aprì il
fuoco. Si scatenò una
battaglia. Nessuno ha mai
saputo quanti manifestanti
furono uccisi. Si sa solo che
nefuronoferiti200.
Né si sa chi gettò la
bomba. O perché il capitano
Bonfield aspettasse che il
sindaco fosse andato a letto
per caricare. O perché uno
degli
organizzatori
del
comizio
di
Haymarket
vivesse da allora in poi con i
soldidellapoliziaedivenisse
testimone
contro
gli
anarchici. Fatto sta che era il
primo attentato alla dinamite
nellastoriadegliStatiUnitie
che esso avvenne mentre la
lotta per le otto ore stava
vincendo. La notizia dilagò
negliStatiUnitigonfiandosia
dismisura: a Cincinnati gli
strilloni gridavano: “Le
bombe
degli
anarchici
nell’Haymarket di Chicago -
centopoliziottiuccisi”.18
Il 5 maggio mattina il
sindaco dichiarò "lo stato di
guerra” a Chicago. Migliaia
diabitazionifuronoperquisite
senza mandato, centinaia di
anarchici arrestati. La polizia
dichiarò di aver trovato
arsenali di bombe e di armi.
Era facile accusare di
violenza
gli
anarchici.
Soprattutto
quando
le
polizie - pubblica e privata -
non facevano altro che
sparare sulla folla. Nel 1877,
quando,
riferendosi
a
Chicago, il “New York
Times” titolava “La città in
mano ai comunisti”,19 per
reprimere lo sciopero, il
governo federale aveva
mandato in tutta fretta nella
Windy City dal Dakota i
reparti dell’esercito freschi
reduci dalla guerra contro gli
indiani che avevano ucciso il
generale Custer: pellerossa o
operai,semprenemici.
Non stupisce allora che,
nella piattaforma anarchica
approvata
a
Pittsburgh
nell’ottobre 1883, Albert
Parsons avesse declamato:
"Conlaforzainostripadrisi
sono liberati dall’oppressione
politica, con la forza i loro
figli dovranno liberarsi dalla
schiavitù economica. 'È
quindi vostro diritto,’ dice
Jefferson, ‘e vostro dovere
ricorrereallearmi’,”primadi
concludere:
"Tremate
oppressori del mondo! Poco
oltre il vostro sguardo miope
giàsorgelalucescarlattadel
giorno del giudizio”.20 Il
sottotitolo del pamphlet di
Johann Most, Revolutionäre
Kriegswissenschaft
(La
scienza
della
guerra
rivoluzionaria),
suonava:
"Manuale d’istruzione per
l’uso e la preparazione di
nitroglicerina e dinamite,
fulmicotone, bombe, miccia,
veleni...”. Gli anarchici non
erano agnelli sacrificali e la
stampa aveva buon gioco
nello scatenarsi contro di
loro. Già il 5 maggio, il
"Chicago
Tribune”
si
scagliava
contro
le
“socialistic,
atheistic,
alchoolic European classes”.
Il 15 maggio 1886 il
rispettabile "Albany Law
Journal”scriveva:
È preoccupante che
levitediuominibuonie
onesti, la sicurezza di
donne
e
bambini
innocenti, l’immunità
della proprietà debbano
essere, anche per una
sola ora, in una grande
città,allamercédipochi
miserabili
stranieri
puzzolenti, capelloni,
dagliocchiselvaggi,che
mai hanno fatto un’ora
di lavoro onesto in vita
loro,mache,resifollida
anni di oppressione e
pazzi d’invidia verso i
ricchi, pensano di
livellare la società e le
sue distinzioni con
qualche bomba. [...] Ci
dovrebbe essere una
legge [...] che permetta
alla
società
di
schiacciare
questi
serpenti
appena
sporgono la testa, prima
che mordano. [...] Lo
stato delle cose quasi
giustifica il ripristino di
un comitato di vigilanza
e della legge di Lynch
[cioèillinciaggio].21
Il fatto è che nel caso
specifico di Haymarket i
ritrovamenti veri di armi
furono poca cosa: anni dopo,
il capo della polizia di
Chicago,
il
capitano
Frederick Ebersold ammise
che la polizia aveva posto
deliberatamente armi e
bombe nelle sedi degli
anarchici.22Dellecentinaiadi
arrestati,solotrentunofurono
accusati e, tra loro, solo
undicifuronoincriminati:due
divennero testimoni, uno non
fu mai trovato; infine furono
processati in otto: August
Spies, Louis Lingg, Samuel
Fielden, Adolph Fischer,
George Engel, Oskar Neebe,
Michael Schwab e Albert
Parsons. La lista di questi
accusati è notevole perché 1)
comprende tutti i massimi
dirigentianarchiciaChicago:
noneranopersonequalunque,
erano direttori di giornali,
oratorifamosi,leader;2)sette
su otto erano stranieri (solo
Parsons era statunitense,
FieldeneranatoinInghilterra
eglialtrieranotuttitedeschi);
3) al momento del lancio
della bomba nessuno di loro
era presente ad Haymarket,
tranne Fielden che stava
parlando(ealcunidiloronon
ci avevano nemmeno messo
piede).
La nazione era in preda
alla più totale isteria. Le
chiese erano scatenate contro
questi atei. Il padronato
chiedeva una punizione
esemplarecontroisovversivi.
Ivignettistinonfacevanoche
disegnaregrandispadechesi
abbattevano su mostriciattoli.
"Libertà o Morte”, così la
didascalia
di
disegni
truculenti:
“Libertà
(di
andartene se le istituzioni
dellanostraRepubblicanonti
aggradano) o (commetti
assassini e sarai punito con
la) Morte”.23 L’indicazione
più lapidaria venne dal
"Chicago Herald” del 22-23
luglio 1886: "Hanno cercato
di distruggere la società. La
societàdevedistruggerli”.
Nell'arringa finale, il
procuratore Julius Grinnell
chiarì il problema in modo
inequivocabile: “La legge è
sotto processo. L’anarchia è
sottoprocesso.Questiuomini
sono stati scelti e incriminati
dal Grand Jury perché loro
sono i leader. Non sono più
colpevolidellemigliaiacheli
seguono. Gentiluomini della
giuria, condannateli, fatene
un esempio, impiccateli e
avrete salvato le nostre
istituzioni,lanostrasocietà”.
Il 20 agosto la sentenza:
colpevoli tutti gli imputati,
sette furono condannati a
morte. Oskar Neebe fu
condannato a quindici anni.
Un movimento di difesa si
organizzò su scala mondiale.
Manifestazioni si tennero in
Francia, Olanda, Russia,
Italia, Spagna. Oscar Wilde
fece circolare una petizione.
William Morris e il giovane
BernardShawparlaronoinun
comizio. Il cancelliere Otto
von Bismarck proibì tutte le
manifestazioniinfavoredegli
accusati di Haymarket. Il
parlamentofrancesetelegrafò
il 29 ottobre per protestare
contro
l’imminente
esecuzione.
Sotto queste pressioni, la
condannaamorteaFieldene
Schwab fu commutata in
ergastolo.LouisLingg,cheal
processo aveva detto: "Vi
disprezzo.Disprezzoilvostro
ordine, le vostre leggi, la
vostra autorità basata sulla
forza. Impiccatemi per
questo!”, si suicidò in
circostanze mai chiarite
facendosi saltare la testa con
una capsula esplosiva in
boccamentreeraincella.Gli
altri quattro, August Spies,
AlbertParsons,GeorgeEngel
e Adolph Fischer furono
impiccati l'11 novembre
1887. Il 13 novembre mezzo
milione di persone assistette
ai funerali su Milwaukee
Avenuecostellatadibandiere
nere sulle case di polacchi,
tedeschi,boemi.
Non fu solo l'estremo
addio ai "martiri di
Haymarket”, come da allora
furono chiamati i quattro
impiccati, fu il funerale al
movimento anarchico negli
Stati Uniti. Da allora, la
parola “anarchico” sarebbe
stata un insulto in America,
untermineimpronunciabile.I
padroni
approfittarono
dell’atmosfera di caccia alle
streghe per licenziare gli
operai sindacalizzati, per
stilare una lista nera dei
dipendenti che non dovevano
mai più essere riassunti da
nessuno(ilblacklisting).Così
i Cavalieri del Lavoro
entrarono in una fase di
declino irreversibile. Al loro
posto si espanse l’American
Federation of Labor (Afl)
guidata dal conservatore e
moderatoSamuelGompers.
Labattagliaperleottoore
subì una battuta d’arresto
formidabile,
nonostante
alcune delle conquiste del
Primo maggio 1886 fossero
preservate. La Afl mandò a
Parigi un delegato al
Congresso internazionale del
lavorodel14luglio1889(per
celebrare il centenario della
presa della Bastiglia) perché
proponesse il Primo maggio
come festa mondiale del
lavoroeinricordodeimartiri
di Haymarket. Da allora il
Primo maggio è festeggiato
ovunque come festa del
lavoro, tranne che negli Usa
(e, dopo Margaret Thatcher,
in Inghilterra): lo stesso
Adolf Hitler, nel primo anno
di potere, lasciò che fosse
festeggiato in Germania, il
giornoprimadimetterefuori
legge tutti i sindacati (2
maggio1933).
Nel 1889 il “Chicago
Times” pubblicò un’inchiesta
sulla corruzione della polizia
cittadinadacuirisultavachei
capofila dei corrotti erano i
capitaniBonfieldeMichaelJ.
Schaak (che aveva condotto
le perquisizioni delle case
degli
anarchici)
che
taglieggiavano bische, saloon
e bordelli per assicurarne la
protezione, mentre battevano
cassa
negli
ambienti
padronaliperinfiltrarelaloro
"Squadra
rossa”
nel
movimento operaio (un
secolo dopo, nel 1975, si
sarebbe scoperto che la
“Squadra rossa” di Chicago
usava fondi federali per
spiareeinfiltrareimovimenti
disinistra).Bonfieldcercòdi
far chiudere il “Chicago
Times”. Ma lui e Schaak
furono
costretti
alle
dimissioni. I buoni borghesi
di Chicago (guidati da Field,
Armour, Swift e Pullman)
elargirono un fondo di
100.000dollariperifamiliari
dei poliziotti uccisi ad
Haymarket e innalzarono un
monumento ai caduti: varie
volte deturpata (soprattutto
negli anni sessanta), la statua
del baffuto poliziotto è stata
infine rimossa da Haymarket
e posta al sicuro, nell'atrio
dell’accademia di polizia,
pocodistantedalì.
IborghesidiChicagonon
pensavano solo alla gloria
della loro polizia. Avevano
preoccupazionipiùprosaiche:
MarshallFieldproposechela
Camera di commercio e
l'Union
League
organizzassero una colletta
per far sì che il presidio
dell’esercito non fosse più
tanto lontano da Chicago e
che le truppe potessero
intervenire subito. Il suo
suggerimento fu accolto e le
due associazioni comprarono
250ettariditerraaHighland,
a 50 km a nord di Chicago,
cheoffrironoalgovernodegli
Stati Uniti nell’ottobre 1887
perché vi costruisse un forte.
Dopo la morte del generale
Sheridan, amico intimo di
FieldePullman,insuoonore,
il nome fu cambiato in Fort
Sheridan,
col
motto
"Essenziale alla libertà dal
1887”. Il forte fu poi
connesso alla città da una
strada militare, Sheridan
Avenue, per permettere alle
truppe d’intervenire con la
massima celerità in caso di
disordiniemanifestazioni.Da
allora,laquietedeipossidenti
fu assicurata. Anzi, molti
borghesi trasferirono le loro
case lungo la Sheridan
Avenue, sulla riva nord del
Lago Michigan, quasi si
sentisseropiùsicuri.
Mafuancoraunavoltaun
tedescoascompigliarequesta
favola con la sua morale, il
monumento per i poliziotti,
l’obbrobrio per gli anarchici.
Nato in Germania nel 1847,
John Peter Altgeld fu portato
da piccolo negli Usa. Qui
studiò legge e diventò
avvocato. Nel 1875 venne a
Chicago per esercitare la
professione.Conirisparmisi
diede al mercato immobiliare
fino ad accumulare una
fortuna. Cominciò a farsi un
nome con il pamphlet La
nostra macchina penale e le
sue vittime (1884), in cui
mostrava come la prigione
non solo non redimeva i
criminali,maliincalliva:“La
maggior parte degli arrestati
[...] sono i poveri, gli
sfortunati, i giovani, i
trascurati” e le vittime dei
rigori della legge sono
reclutate “tra coloro che
stanno combattendo una
battaglia ineguale nella lotta
perl’esistenza".24Nel1892si
candidò
a
governatore
dell’Illinois. Vinse e divenne
(primo nato all’estero a
ottenere
questa
carica)
governatore dello stato in
annicrucialiperChicago:nel
1893 vi fu l’Esposizione
universale e nel 1894 vi
divampò uno dei più duri
scontri sociali della storia
degliStatiUniti.
Il 26 giugno 1893 il
governatore Altgeld firmò
l’attodelperdonoperSamuel
Fielden, Michael Schwab e
Oscar Neebe e gli impiccati.
Affermò che il processo era
stato ingiusto, che i giurati
eranoprevenutiesceltitrachi
era già convinto della
colpevolezza. Nel suo testo
Altgeld scrisse che il giudice
Joseph Gary aveva condotto
il processo con “maliziosa
ferocia”. Non fu tanto il
perdono,
quanto
la
motivazione(cheriabilitavail
ricordo dei “martiri”) a
imbestialire
l’opinione
pubblica
di
allora.
Sobriamente, il “New York
Times" lo definì “demente”;
altrilochiamarono“ilNerone
dell’ultimo decennio del
secolo”.25 Il “Toledo Biade”
disse che il governatore
Altgeld “aveva incoraggiato
l’anarchia, la rapina e la
distruzione della civiltà”. Il
“Chicago Tribune” rincarò:
“Il governatore Altgeld
apparentemente non ha
nemmeno una goccia di puro
sangue americano nelle sue
vene”; gli abitanti della
cittadina
di
Naperville
sfilarono in corteo bruciando
ilsuoritratto.Siparlòperfino
diempeachement.26
Se anche Altgeld non
avesse di nuovo preso una
posizione scomoda nel 1894
durante lo sciopero Pullman,
si
capisce
perché
l’establishmentdiChicagoce
l’avesse con lui e facesse di
tutto per impedirne la
rielezione. Altgeld morì a 55
anni di apoplessia cerebrale
nel 1902. Una folla di
150.000 persone partecipò al
suo funerale. La stessa
stampa che lo aveva linciato
rimpianse la grande perdita
dellungimirantestatista.
1 Bruce C. Nelson,
BeyondtheMartyrs.ASocial
History
of
Chicago’s
Anarchists
1870-1900,
Rutgers University Press,
NewBrunswick1988,pp.1113.
2 Lettera di William
Thorne ed Eleanor MarxAveling a Samuel Gompers
del 25 gennaio 1891, in Karl
Marx-Friedrich
Engels,
Opere complete, Editori
Riuniti,Roma1972,vol.il,p.
587.
3TheodoreDraper,The
Roots
of
American
Communism, Viking Press,
NewYork1956,p.31.
4Ivi,p.32.
5 Albert Fried (a cura
di), Socialism in America,
fromtheShakerstotheThird
International.ADocumentary
History,ColumbiaUniversity
Press, New York 1970, p.
181. Sul ruolo dei tedeschi
nel socialismo americano
vedi tutto il capitolo The
Germans,pp.181-255.
6Ivi,pp.180-181.
7 Testimonianza citata
da B.C. Nelson, op. cit., p.
135. Sulla vita sociale degli
anarchici di Chicago vedi
tutto il capitolo 6, Dancing
and Picknicking Anarchists,
pp.127-152.
8Ivi,p.129.
9 Riprodotto in A. Fried,
op.cit.,pp.213-220.
10
Citato in Philip S.
Foner, History of the Labor
Movement in the United
States,
International
Publishers, New York 1955,
9voll.,vol.II,p.97.
11 Citato da Bruno
Cartosio,Da Chicago a tutto
il mondo, in "il manifesto",
29aprile1994.
12 P.S. Foner, op. cit.,
vol.II,p.98.
13Ivi,p.103.
14
William J. Adelman,
Haymarket Revisited, Illinois
Labour History Society,
Chicago1976,p.11.
15 J. Skinner Sawyers,
Chicago Portraits, cit., pp.
208-210.
16 P.S. Foner, op. cit.,
vol.II,p.101.
17Ivi,vol.II,p.104.
18 Jeremy Brecher,
Strike!, Straight Arrow
Books,TheBookDivisionof
Rolling Stone, San Francisco
1972, trad. it. Sciopero!
Storia
dell’insorgenza
operaia di massa negli Usa
dal 1877 ai giorni nostri, la
Salamandra, Milano 1976, 2
voll.,vol.I,p.73.
19 Citato da Bruno
Cartosio in Lavoratori negli
Stati Uniti. Storie e culture
politiche dalla schiavitù
all’Iww, Arcipelago ed.,
Milano1989,p.86.
20
Manifesto of the
InternationalWorkingPeople
Association (1883) in A.
Fried,op.cit.,pp.208-212.
21 Citato da WJ.
Adelman,op.cit.,p.18.
22 P.S. Foner, op. cit.,
vol.II,p.107.
23 “Chicago History”,
estate1986,pp.44-45.
24 Russell Frazer, John
Peter Altgeld: Govemorfor
the
People,
in
AA.VV., American Radicals,
Monthly Review Press, New
York 1965, pp. 127-144.
Questo brano di Altgeld è
citatoap.130.
25Ivi,p.134.
26 J. Skinner Sawyers,
op.cit.,p.12.
3.Lottadiclassein
vagoneletto
Ruderi di un antico
impero manifatturiero, le
immani
impalcature
metalliche delle fabbriche in
rovina si ergono arrugginite,
spettrali,
ai
lati
dell’autostrada sopraelevata,
nel profondo South Side di
Chicago. Qui capisci cosa
vuol dire l’espressione rust
belt.
Eppure
miasmi
insopportabili continuano a
emanare. In cielo nubi
colorate si levano dalle
acciaierie ancora in attività,
dalle residue raffinerie e
centrali termiche. Volute
spesse, a volte viola, a volte
arancioni, quasi troppo
pesanti per essere sostenute.
Qui capisci perché, tuttora,
Chicago è la più grande città
industrialedegliStatiUniti,la
piùgrandepotenzaindustriale
del mondo. I profili dei
grandi serbatoi cilindrici,
degli immensi capannoni di
metallo, dei giganteschi silos
scandiscono,
tra
una
ciminierael’altra,l’orizzonte
visibile da terra. In alto, la
ruggineelespiredifumoche
sorgono dai geyser di un
paesaggio lunare. In basso,
nello specchio d’acqua, sul
piccolo Wolf Lake, qualche
barca a vela evolve bianca,
fingendo
di
navigare
nell’Arcadia.
Qui, poco distante dal
Wolf Lake, e accanto alle
darsene deserte del Calumet
Lake, tra la 111a e la 113a
sud,
all'incrocio
con
Champlain,instradealberate,
sorgonocaseinmattoniadue
e tre piani, alcune spartane,
altrepiùagiate:dal1975sono
monumento nazionale. C'è
una chiesetta in pietra e un
palazzo circolare di fine
Ottocento in rovina. È la
Pullman Town, da quel
Pullman che in Europa è
diventato
sinonimo
di
corriera:
"prendere
il
pullman”. Figlio di famiglia
povera, nato a New York nel
1831, George Mor-timer
Pullman è uno dei rari
capitalisti ad aver fatto
fortuna con un prodotto più
costoso: di solito i patrimoni
si accumulano con prodotti
più a buon mercato, come
fece Henry Ford. I primi
vagoni
con
cuccette
cortissime,
strette,
sovrapposte su tre file, senza
materasso e senza lenzuola,
apparveronegliUsanel1836
ma erano scomodissimi:
riscaldati da stufe a legna e
illuminatidacandele,l’ariavi
erairrespirabile;maadaprire
lafinestracisiricoprivainun
battibaleno della fuliggine
della vaporiera. Nel 1859
Pullman costruì il suo
prototipo di vagone letto, il
Pioneer, con scompartimenti
copiati dalle cabine dei
battelli, con in basso la
poltrona e in alto il comodo,
lungo letto, di giorno
ripiegabile contro la parete,
conlesuelenzuola,copertee
cuscino. Questo vagone letto
costava 18.000 dollari,
mentre un vagone cuccette
precedente costava meno di
4000 dollari. Inoltre era più
altodi75cmepiùlargodi30
cm di quelli in uso allora,
esigeva cioè di modificare
pontiegallerie.
IlPioneersarebberimasto
quindi una curiosità, se nel
1865 la Chicago and Alton
Railroad
non
avesse
realizzato le modifiche
necessarie per far sì che
questo
vagone
potesse
trasportare la salma del
presidente Abraham Lincoln
da Chicago a Springfield.
Pochi mesi dopo, anche la
Michigan Central Railroad
adattò ponti e gallerie per
consentirealgeneraleUlysses
Grant il piacere di viaggiare
sul Pioneer da Detroit a
Galena.1 Allora la Chicago
and Alton mise in servizio il
vagone Pullman a titolo
sperimentale: tutti pensavano
che sarebbe stato un fiasco
visto il prezzo dei biglietti
(mezzodollaroinpiùperuna
poltrona Pullman). Fu invece
un successo: i passeggeri
eranoprontiapagarecaropur
di poter davvero dormire in
treno. Così, due anni dopo,
nel 1867 viaggiavano già 48
vagoni letto quando fu
fondataaChicagolaPullman
Company con un capitale
sociale di un milione di
dollari. Fu introdotto prima
un"vagone-albergo”,conletti
e ristorante, poi il vagone
ristorante, infine nel 1875 il
vagone-salotto (parlor car).
Nel1894laPullmanoperava
(in regime di monopolio) su
200.000 km di ferrovie (i tre
quarti del totale Usa), su cui
la Pullman gestiva i propri
vagoniconpropriopersonale,
ne assicurava riparazioni e
manutenzione (grazie a un
pedaggio di 2 centesimi a
miglioperognibiglietto).
Nel 1894 la Pullman
operava con 2573 vagoni, di
cui 1900 vagoni letto, 650
vagoni buffet, 58 vagoni
ristorante.2
Nel 1893 lavoravano
negli stabilimenti Pullman
14.000operaiarticolatiindue
reparti: uno per assicurare la
manutenzione della flotta
Pullman, l’altro per costruire
vagoni. Nel 1893 furono
fabbricati 12.500 vagoni
merci,650vagonipasseggeri,
939 vagoni di tram, 313
vagoniletto.
Di fronte al boom degli
affari,fuallametàdeglianni
settanta che George Pullman
decise di accorpare la
produzione a Chicago e di
edificareuna“cittàPullman”,
imitata dalle città padronali
costruite
dall’industriale
laniero Sir Titus Salt a
Saltaire in Inghilterra e dai
padroni siderurgici per
eccellenza, i Krupp, a Essen
in
Germania.
Pullman
comprò1600ettariditerreno
vicinoalLagoCalumet,a20
km a sud del Loop, e nel
1880 iniziò i lavori. Per la
prima volta a costruire una
cittàcontribuìunpaesaggista.
Tutto,daimattoniagliinfissi,
fu costruito da operai
Pullman. Le 1750 abitazioni
erano tutte in mattoni grazie
all’argilla estratta dal terreno
circostante.Ilprimoresidente
vi si trasferì nel 1881. Nel
1885 c’erano già 8500
abitanti e 2700 operai negli
stabilimenti. Al suo apogeo,
nel 1893, i residenti erano
12.600 e gli operai 5500 (sui
14.000
dipendenti
complessivi). Le case, dotate
di acqua e di gas, erano
spartaneperglioperai,medie
pergliimpiegati,lussuoseper
i dirigenti. Le strade erano
asfaltate. Le fogne erano
canalizzate in una fattoria il
cui terreno così concimato
produceva ortaggi per gli
abitanti e mangime per un
allevamento di vacche il cui
latteandavaallacittà.Lacittà
avevaunascuola,unachiesa,
unalbergo,ilFlorenceHotel,
un supermercato, negozi, una
biblioteca con 8000 volumi
scelti per la loro “elevatezza
morale”,3luoghidiriunionee
un teatro, l’Arcade Theater
inaugurato nel 1883 alla
presenza di Marshall Field e
del generale P.H. Sheridan.
Parchi,giardini,laghetti,viali
alberati e prati: nel 1896 la
Pullman Town fu premiata
dalla giuria della seconda
Esposizione internazionale di
igiene e farmacia a Praga: a
Pullman Town non si ebbero
casi di colera, febbre gialla e
difterite,4quandoChicagoera
bersagliata dalle epidemie.
Nonerasoloilcomunismo a
volercreare“l’uomonuovo”:
nel 1893, nell’opuscolo
distribuito
all’Esposizione
universale,
la
Pullman
annunciava che un nuovo,
superioretipodilavoratoresi
eraevolutonellacittà:
Negli undici anni di
esistenza della città, il
lavoratore Pullman si è
sviluppato in un tipo
distinto
-
distinto
nell’aspetto, nel lindore
dell’abbigliamento, in
tutte le indicazioni
esternedelrispettodisé.
[...]Nonèeccessivodire
che
un
campione
rappresentativo
dei
lavoratori
Pullman
sarebbe quaranta per
cento migliore, nel
dimostrare parsimonia e
finezza e tutte le
indicazioniesternediun
salutaremododivita,di
quanto sarebbe un
campione
rappresentativo di ogni
gruppo equivalente di
lavoratori selezionato
ovunquealtrove.5
E Pullman era fiero di
mostrarelasuacittà.Durante
l’Esposizione colombiana del
1893 almeno 10.000 stranieri
andarono
a
sincerarsi
sull'uomo nuovo” in visite
guidate. Nella città non
cerano ospedali: i malati
gravi venivano spediti a
Chicago. Non c’era neanche
una prigione (si ricorreva a
quelladiHydePark,pocopiù
a nord). Non c’erano bar,
tranne all’Hotel Florence
destinatoaivisitatori,aprezzi
pazzeschi, per garantire la
temperanza degli abitanti. I
contratti di affitto erano
minuziosi, somigliavano a
quelli delle odierne città
private,conclausolepignole:
entrare e uscire dagli edifici
in silenzio; non entrare con i
piedi bagnati; non martellare
o segare il legno nei piani o
negli scantinati; non fumare
incantina;riempireepulirele
lampade al mattino; lasciare
un po’ di cenere nel fondo
della stufa... La clausola
chiave era quella dei “dieci
giorni”, valida anche per
negozi e locali pubblici. Il
contratto poteva essere
rescisso con un preavviso di
soli dieci giorni anche se
l’affitto era stato pagato per
un anno. Questa clausola
permetteva alla Pullman di
sbarazzarsi di ogni “ospite”
indesiderato,
di
ogni
sindacalista,diogniagitatore.
È curioso come tutte le
utopie realizzate abbiano
questa
ossessione
di
controllare i più minuti gesti
dei propri sudditi, fin dalle
famose, egualitarie comunità
dei gesuiti in Paraguay, dove
il livello di strada era
sopraelevato
perché
i
benevoli padri potessero,
passeggiando, controllare la
moralità
degli
indios
attraverso le finestre. Come
scrisseunresidenteaWilliam
T.Stead,gliabitanti“pagano
l’affitto
alla
Pullman
Company, comprano gas
della
Pullman
Co.,
camminano
su
strade
possedute dalla Pullman Co.,
pagano tasse d’acqua alla
Pullman Co. Perfino quando
comprano l’ombrellino per le
loro mogli o lo zucchero per
le loro tavole al mercato,
trattano con la Pullman Co.
Mandano i loro figli alla
Pullman School, vanno a
messa nella chiesa di
Pullman; guardano, ma non
possono entrare nell’hotel di
Pullman col suo bar privato,
perché questo è il limite.
Pullmannonglivendeilloro
grog. Per questo devono
andare oltre la ferrovia”.6(In
realtà gli abitanti si facevano
consegnare di nascosto
vagonidibirra.)
Gli abitanti si sentivano
controllati e spiati, non
parlavanocongliestraneiper
paurachefosseroinformatori
della Compagnia, e tutta la
perfezione delle linde casette
e dei viali alberati non
compensava l’oppressione.
“Si ribellano segretamente
perché la Pullman Company
continua a sorvegliarli oltre
l’orariodilavoro.Dichiarano
che sono legali mani e piedi
da
un
monopolio
filantropico,” scriveva nel
1885 il “New York Sun”.7
Non c’era un minimo di
democrazia; di elezioni
neanche a parlarne; tutto
venivadecisoeimpostodalla
Compagnia,cioèdaPullman,
inuncapitalismofeudale.
Ma
quest’utopia
padronale
aveva
due
contraddizioni. Per poter
mantenere
il
controllo
assoluto sulla “sua” città,
ignaro del valore terapeutico
che proprio allora l’America
scopriva nel possedere la
propriacasa,GeorgePullman
si rifiutava di far accedere
alla proprietà i residenti: li
preferiva affittuari, così
potevano essere scacciati
dalla città sui due piedi. Non
potevano quindi sviluppare
quel sentimento proprietario,
capitalistico, che avrebbe
dovuto caratterizzare l’homo
novus pullmanianus. Né
potevano sentirsi parte della
città.
La chiesa costruita da
Pullman, e affittata dai
presbiteriani, la Green Stone
Church, poteva contenere
solo 650 fedeli, su una
popolazione tra gli 8000 e i
12.000 abitanti. E gli operai
erano delle più svariate
nazionalità e religioni: nel
1892 quasi i due terzi (il
72%)
erano
stranieri.
Professavano ben quindici
fedi diverse. I più numerosi
erano cattolici, luterani,
episcopali,
metodisti
e
presbiteriani.Solocongrandi
difficoltà cattolici e luterani
poterono costruirsi una
chiesa. A denunciare con
ardore la “tirannia Pullman”
furono un pastore luterano
svedeseeunpretecattolico.
La
seconda
contraddizione era che per
Pullman la sua città doveva
essere sì un’utopia, ma
un’utopia redditizia: era un
investimento,einquantotale
dovevagenerareprofitti.
Anzi, la soglia dei
dividendi era fissata al 6%
annuo (la soglia minima dei
dividendi della compagnia
Pullman era fissata all’8%
annuo). Quindi se le strade
eranopulite,lapuliziaveniva
caricata subaffitto, così come
la tonsura dei prati, la cura
degli alberi e tutte le altre
amenitàfuoridellaportatadei
salari operai che Pullman
pagava. Gli affitti a Pullman
Town erano quindi esosi, tra
il 30 e il 50% superiori a
quelli vigenti nei dintorni. Il
gas che Pullman comprava a
33 cent lo distribuiva
beneficoa2,25dollari.Mille
galloni d’acqua ricevuti dal
comune a 4 cent venivano
distribuiti a 10. L’affitto era
decurtato direttamente dalla
busta paga. Quando questa
pratica fu dichiarata illegale,
ilsalariovennepagatoindue
assegni, uno pari all’affitto,
che andava subito girato alla
Pullman
al
momento
dell’incasso, e l’altro per
vivere. Né gli operai
potevano andare ad abitare
altrove,penaillicenziamento
e il blacklisting (la "lista
nera” di chi non andava più
assunto).
***
Nel 1893 la recessione si
abbatté violenta sugli Stati
Uniti. Tre milioni di persone
rimaserosenzalavoro:allora,
esseredisoccupativolevadire
restare nudi di fronte alla
miseria, non avere da
mangiare, perdere la casa,
ricorrere all’elemosina e alle
opere di carità. Solo a
Chicago i disoccupati erano
200.000. Alla Pullman le
ordinazioni per nuovi vagoni
crollarono (mentre il reparto
manutenzione e riparazione
manteneva il suo ritmo
abituale).
Fioccarono
i
licenziamenti. Da 5500 che
eranostatiall’iniziodel1893,
a novembre gli operai erano
rimasti solo 1100. Per
abbassare i costi, Pullman
tagliòlepagheorarietrail25
e il 40%. Ma poiché anche
l’orarioeraridotto,iltaglioai
salari fu ancora più duro, tra
il 30 e il 70%. In questo
modo
anche
l’anno
successivolaPullmanriuscìa
pagare ai suoi azionisti un
dividendo dell’8% e ad
accantonare profitti non
distribuiti per 2,3 milioni di
dollari.
Così
Pullman
riassunse e nell’aprile 1894
entravano ai cancelli 4000
operai. Intanto però la
Pullman rifiutò di diminuire
gli affitti: la città doveva
continuare
a
erogare
dividendi.
Con salari così bassi e
affitti
così
alti,
la
sopravvivenza
divenne
problematica nella città
utopica. Poiché lavoravano
poche ore a salario ridotto,
alcuni operai trovavano in
busta paga 1,8 dollari la
settimanaintuttoepertut-to
(quanto un anno prima
avevanoguadagnatoinunsol
giorno).8
Quandoil7maggio1894
un comitato di fabbrica andò
a chiedere la riduzione degli
affittieunaumentodeisalari,
elaPullmanrisposepicchee
poi il 10 maggio licenziò tre
delegati, lo sciopero divenne
inevitabile. Come gli operai
scrissero in un appello ai
Chicagoans, “la gente di
Pullman ha scioperato contro
una schiavitù peggiore di
quelladeinegrinelSud.Loro
almeno erano ben nutriti e
ben curati, mentre gli schiavi
bianchi di Pullman, per
quanto lavorassero sempre
consolerzia,nonriuscivanoa
guadagnaretantodavestirsie
nutrirsi decentemente - e
appenadatenereuniticorpoe
anima”.9
Mapercapirel’atmosfera
in cui iniziò lo sciopero
Pullman, va rivissuta la
violenza
con
cui
si
combatteva quella che i
giornali chiamavano la
"guerratracapitaleelavoro”.
Meno di due anni prima una
battaglia si era svolta a
Homestead,sulfiumeOhioin
Pennsylvania, davanti alle
acciaierie della Carnegie
Steel Company. Dopo aver
ordinato il licenziamento di
tutti gli operai iscritti al
sindacato, nel 1892 la
Carnegie ordinò la serrata e
mandò a chiamare 300
Pinkerton per sorvegliare gli
impianti e proteggere i
crumiri.
I
Pinkerton
arrivarono su due chiatte
armati di Winchester, ma
furonoaccoltidaunafolladi
10.000 persone con fucili,
pistole,bastoni,pale.Quando
cercarono
di
sbarcare,
scoppiòunasparatoria.Morti
e feriti da ambo le parti. I
Pinkertonsiritirarono.Magli
operai attaccarono le chiatte
concandelottididinamite.Al
tramontogliagentisiarresero
e furono fatti passare tra due
ali di folla inferocita che li
picchiò. Il bilancio fu tra gli
scioperanti di 9 morti e 40
feriti e, tra i Pinkerton, di 7
morti,20feritidallepallottole
e quasi 300 dalle percosse.
Ma la vittoria degli operai fu
effimera. Contro di loro fu
schieratalaguardianazionale
della
Pennsylvania
per
proteggere i crumiri. La
Carnegie denunciò i dirigenti
sindacali per omicidio. Altri
150 militanti furono accusati
di reati minori. Dopo quattro
mesi di crumiraggio e
angherie giudiziarie, lo
scioperofusconfitto.
All’iniziodel1894,perla
crisi economica, il lavoro
nelleminiereeracosìscarsoe
mal pagato che uno sciopero
dilago dall’Atlantico al
Pacifico.Dapartedeipadroni
l’impiego dei crumiri fu così
massicciocheintuttoilpaese
scoppiarono
furibonde
battaglie tra scioperanti e
crumiri. Capitava, come
avvenne a Duquoin, Illinois,
che
gli
scioperanti
dirottassero dei treni merci
perandareasabotareminiere
che avevano ripreso a
lavorare con i crumiri. Per
impedirel’afflussodicarbone
i minatori ammucchiavano
tronchi sui binari o
inchiodavano traversine o
fissavano bulloni per far
deragliare i treni. Spesso i
governatori
degli
stati
inviavanoleguardienazionali
(anche Altgeld mandò le
truppe contro gli scioperanti
in sommossa). Ma, dopo più
di due mesi di lotta, gli
scioperantieranoallostremo.
Il 30 maggio il “New York
Times” scriveva: "I minatori
dicono che le loro donne e i
bambini sono alla fame.
Ormai si nutrono soprattutto
di erbe, non hanno farina,
carne
o
altri
generi
alimentari”.10
A quella data lo sciopero
Pullman era già cominciato
da 19 giorni. “Abbiamo
scioperato perché eravamo
senza speranza...”11 L’unica
speranza per i lavoratori
Pullman veniva dall’Aru,
l'American Railway Union.
Eugene Debs, forse il leader
piùamatointuttalastoriadel
movimento
operaio
americano, aveva fondato
l’Arusolounannoprima,nel
1893, per superare le
divisioni e l’ostilità reciproca
delle
varie
Fratellanze
ferroviarie, causa principale
delle tante vittorie delle
grandi compagnie. Grazie a
un contratto favorevole
strappatoallaGreatNorthern,
gli iscritti all’Aru crebbero,
finché nel 1894 furono
150.000. Per superare la
frammentazione,
l’Aru
accettava tutti, macchinisti,
personaledeitreni,facchini,e
potevano aderirvi i lavoratori
di ogni impresa che avesse
qualcosa a che fare con le
ferrovie. Ecco perché l’Aru
accolse gli operai Pullman
che nella primavera del 1894
s’iscrissero in massa (e di
nascosto: il sindacalismo era
bandito da Pullman Town):
all’inizio di maggio alla
Pullman c’erano 4000 iscritti
suddivisiin19sezioni.
Debs e i leader dell’Aru
erano contrari allo scontro
diretto: l'11 maggio avevano
sconsigliato lo sciopero
dichiarato dalle sezioni
Pullman.Unmesedopo,il12
giugno, mentre lo sciopero
dei minatori era ancora in
atto,
in
pieno
conflitto
Pullman,
400
delegati si riunirono a
Chicago per il primo
congressonazionaledell’Aru.
Ogni giorno i delegati
andavano davanti ai cancelli
Pullman, parlavano con gli
scioperanti, vedevano la
povertàoperaia,constatavano
lo
strapotere
della
Compagnia. Debs chiese
ancoraditrattare,maPullman
rimase inflessibile. A quel
punto, i 400 delegati
all’unanimità votarono il
boicottaggio: i ferrovieri del
paese non avrebbero lavorato
su nessun treno che trainava
vagoniPullman.
Il
26
giugno
il
boicottaggio
divenne
operativo. La partecipazione
andò al di là di ogni
aspettativa e nel giro di due
giorni undici ferrovie di
Chicagofuronoparalizzate.Il
boicottaggio si estese a tutto
il paese, dall’Atlantico al
Pacifico.Fuquestalaprotesta
operaia che, in tutta la storia
degli Stati Uniti, più si
avvicinò a uno sciopero
generale nazionale. Il “New
York Times” del 29 giugno
avvertiva: lo sciopero “aveva
assunto le proporzioni della
più grande battaglia tra
capitale e lavoro che fosse
mai avvenuta negli Stati
Uniti”,12
Ormai
l'avversario
dell'Aru non era più la
Pullman, era il cartello delle
grandi compagnie ferroviarie
riunito
nella
General
Managers’
Association
(Gma). Fondata nel 1886
(dopo Haymarket), nel 1894
la Gma riuniva 24 linee
ferroviarie
che
rappresentavano 65.000 km
di rotaie, 221.000 dipendenti
e un capitale globale di 810
milioni di dollari. La Gma si
dotòditrecomitati:incasodi
sciopero e di conflitto
sindacale, il comitato 1
doveva assicurare l’afflusso
di crumiri; il comitato 2
doveva
rispondere
alle
rivendicazioni,uniformandoi
salari (anche se voleva, una
ferrovia
non
poteva
concedere aumenti contro il
parere della Gma); il 3 era il
comitato di crisi che sedeva
in permanenza durante i
conflittidilavoro.
Il25giugnoilcomitatodi
crisidichiaròilsuoappoggio
a George Pullman: nessuna
compagnia avrebbe tollerato
di viaggiare senza i vagoni
Pullman. Il 26, il comitato
decise che sarebbe stato
licenziato ogni ferroviere che
avesse rifiutato di agganciare
i vagoni Pullman. Il suo
coordinatore John M. Egan
assoldò trenta investigatori
perchétrovasseropuntideboli
nel sindacato. Non era solo
solidarietà con Pullman:
“Sarà uno scontro fra la più
grande e più potente
organizzazione dei lavoratori
ferroviari e tutto il capitale
ferroviario. Un successo nel
boicottaggio
Pullman
significheràilsuccessodiuna
sola organizzazione che
perciò potrà unire tutti i
lavoratori delle ferrovie”
(“The New York Times” del
27 giugno). Perciò, scrive
Lindsey: “Tutti gli sforzi
dellaGmafuronodirettiaun
solo scopo - il completo
annientamentodell’Aru".13
Lo sciopero era talmente
forte e organizzato che le
linee
ferroviarie
erano
paralizzatenellacalma,senza
che scoppiassero disordini,
senza dare appigli di
interventi alle varie guardie
nazionali; il 2 luglio John
Egan ammise: “La situazione
è arrivata a un punto morto”.
Ma gli avvocati della Gma
stavano studiando il modo di
far intervenire Washington:
“Una parte vitale della
strategia dell’Associazione
era di trascinare il governo
degliStatiUnitinelloscontro
e quindi far apparire che la
battaglia non era più tra i
lavoratorieleferrovie,matra
ilavoratorieilgoverno”.14E
le compagnie erano sicure di
trovareunacaldaaccoglienza
nel
presidente
Grover
Cleveland e soprattutto nel
suo ministro della Giustizia,
Richard Olney, che gestì il
conflitto Pullman: Richard
Olney era stato per anni
avvocato delle compagnie
ferroviarie, era stato membro
di
vari
consigli
di
amministrazione (tra cui
quello della New York
Central), aveva fatto parte
egli stesso della Gma; era
azionista
e
consigliere
d'amministrazione
della
ferrovia Chicago Burlington
&
Quincy,
ed
era
cointeressato, insieme a
GeorgePullman,nellaBoston
& Maine. Costui era l’uomo
che
avrebbe
dovuto,
imparziale,decideretraArue
Gma. Tanto che nominò, a
rappresentarlo a Chicago in
questo conflitto, Edwin
Walker, altro avvocato delle
compagnie ferroviarie, allora
legale
della
Chicago
Milwaukee&St.Pauledella
stessaGma.
Lospuntolegalecheoffrì
alla Casa Bianca l’occasione
d’intervenireful’interruzione
di servizio pubblico: il
governo avrebbe potuto
inoltrare la posta sui treni
senza vagoni Pullman, ma
non lo fece e quindi il
servizio postale risultava
interrotto. Mesi prima un
giudice aveva invocato la
leggeantitrust(ShermanAct,
1890) per proteggere una
compagnia
contro
il
“monopolio"
degli
scioperanti: “Uno sciopero è
essenzialmente
una
cospirazione per estorcere
con la violenza. [...] Non
conosco scioperi pacifici,”
recitava
la
sentenza.15
Quindi, dietro richiesta di
Walker,il2luglioigiudicidi
Chicago
emisero
un’ingiunzione
che
“proteggeva” 22 compagnie
dalla
“cospirazione
criminale”messainattodagli
scioperanti per bloccare il
servizio postale, e vietava a
Debs e “a qualunque altra
persona [...] d’interferire,
ostacolare, impedire in ogni
modo”l’attivitàdelleferrovie
cheentravanoaChicago,edi
“costringere o indurre, o
cercare di spingere con
minacce,
intimidazioni,
persuasione, forza o violenza
qualunque dipendente” delle
ferrovie a rifiutare di
compiere il proprio dovere.16
Non solo era passibile di
prigione chi scioperava, ma
andava incarcerato anche chi
cercavadiconvincereglialtri
ferrovierianonfareicrumiri:
l’ordinanza ingiungeva agli
“implicatinellacospirazione”
d’astenersi dal “dirigere,
ordinare, aiutare, assistere o
favoreggiare in qualunque
modo”
chiunque
a
commettereogniattoproibito
dall’ingiunzione.
L’American
Railroad
Union
si
rifiutò
di
ottemperare all’ingiunzione.
Il 3 agosto il presidente
Cleveland
ordinò
al
comandante di Fort Sheridan
di dirigere le truppe su
Chicago per far rispettare
l’ordinanza federale. Il
presidente degli Stati Uniti
aveva sì il potere di mandare
truppe in uno stato per
proteggerlo dalla violenza,
ma solo su richiesta del
parlamentodellostatoo,seil
parlamentononerainseduta,
su richiesta del governatore.
E il governatore Altgeld non
chiese mai l’intervento
federale, anzi vi si oppose e
mandò un telegramma di
protesta,senzaesito.
Il 4 luglio, il giorno
dell’indipendenza, le truppe
federali entravano a Chicago
a presidiare la città e le
ferrovie. Si videro le tende
deisoldatipiantateneiparchi
e sui marciapiedi in pieno
centro. E solo allora
scoppiarono quei disordini
che i soldati avrebbero
dovuto sedare ma che in
realtà avevano innescato.
Furono dati alle fiamme
edifici
dell’Esposizione
universale. La stazione
dell’Illinois
Central
fu
incendiata,700vagonifurono
distrutti. I soldati usarono le
armi; 25 lavoratori rimasero
uccisi e almeno 60 feriti
gravemente. Truppe furono
mandateaiquattroangolidel
paese. In California ogni
treno era scortato da un
reparto: negli Stati Uniti non
sieranomaivistitantisoldati
per le strade dall’epoca della
guerracivile.17Lastampaera
scatenata
contro
gli
scioperanti.“Daunosciopero
a una rivoluzione.” Lo
spauracchio
dell’anarchia
veniva sbandierato di nuovo:
“Anarchici
e
socialisti
pianificavanoladistruzionee
il saccheggio del tesoro”;
“Anarchici in rotta per
l'America
dall’Europa”.18
Una copertina di “Harper’s
Weekly”
titolava
“L’Avanguardia
dell’anarchia”. Il "Chicago
Herald” del 3 luglio metteva
in guardia dal "tollerare
anarchici come Debs e
lasciargli disintegrare le
istituzionidelpaese”.
Debs
era
il
più
bersagliato. Come già prima
per Altgeld, il “New York
Times” sostenne, citando
luminari medici all’uopo
reclutati,cheDebseraafflitto
dainsanitàmentale.Ementre
ilgovernofederaleabolivala
libertà di scioperare e la
libertà di parola (a favore
dello sciopero), la grande
stampa
brandiva
lo
spauracchio della dittatura
operaia: “Il sogno di un
dittatore”, titolava il 2 luglio
il "Chicago Herald”, mentre
l’indomani il “Chicago
Tribune” riprendeva il tema,
precisandolo: “Il dittatore
Debs contro il governo
federale”.19 Dai loro pulpiti i
pastori tuonavano contro
questi
miscredenti.
L’opinione pubblica riceveva
l’immagine di una Chicago
completamente in fiamme e
distrutta, tanto che i reporter
appena arrivati si stupivano
della calma in città. A quel
punto la Gma era decisa a
rifiutare ogni offerta di Debs
direvocarelosciopero(Debs
chiedeva solo che gli
scioperantifosseroriassunti).
Il 10 luglio Debs e gli
altri leader dell’Aru furono
arrestati e rilasciati su
cauzione. Per quanto lo
scioperofosseforteintuttoil
paese, esso era ormai senza
direzione. L’ultima speranza
fu abbattuta il 12 luglio dal
sindacato Afl. All’Afl e a
Samuel
Gompers
non
spiacevachefossesconfittala
“concorrenza” di Eugene
Debs e dell’Aru. Così la Afl
decise di non aderire allo
scioperogeneraleinappoggio
all’Aru, sostenne un’ultima
offerta di trattativa proposta
da Debs (e rifiutata dalla
Gma) e, quasi uno sfregio,
stanziò 1000 dollari per la
difesa legale di Debs, per
solidarietà.Idirigentidell’Afl
gioirono perché, come i
Knights of Labor erano stati
annientati dalla bomba di
Haymarket, così l’American
Railway Union fu spazzata
viadallasconfittaPullman.Il
17 luglio Debs e altri tre
leader furono riarrestati
(furono condannati solo a
metàdicembreapenefraitre
e i sei mesi di reclusione:
Debsebbeseimesi).Ilgiorno
dopo l’arresto, il 18 luglio,
suicancellidellaPullmanera
affissoilcomunicato:“Questi
cancelli
saranno
aperti
appena il numero degli
operatori sarà sufficiente per
costituire squadre in tutti i
reparti”. Due giorni dopo
l’esercito lasciava Chicago e
tornavaaFortSheridan.
Il sindacato di Debs fu
spazzato via. Debs fondò il
Partito socialista americano
(Sp) e per decenni fu il suo
candidatostoricoalleelezioni
presidenziali. Sempre nel
1897 morì George Pullman,
vittorioso ma inacidito e
isolato. Nel 1907 Pullman
Town fu messa in vendita.
Nel 1981 l’ultimo vagone è
uscito dalle catene Pullman.
Certo, il movimento operaio
americano non finì con lo
sciopero Pullman, come
avrebbero
dimostrato
l'Industrial Workers of the
World (Iww), la centrale del
sindacalismo rivoluzionario
fondataproprioaChicagonel
1905, e poi le sollevazioni
operaie del 1919 (l'estate
rossa”) e del 1936-1937. Ma
allora svanì l’idea di uno
sciopero
generale.
Soprattutto, lo sciopero
Pullman mostrò con brutalità
da che parte stava il governo
federale, quanto era pronto a
torcereeancheainfrangerela
leggepurdievitarechenegli
Usa si costituisse un
movimentooperaiocompatto.
Sedovessimopensarealle
peripezie di Haymarket e
dello sciopero Pullman come
riflettiamo
su
vicende
dell’impero romano o di
quello
cinese,
concluderemmo che la classe
dominante
dell’impero
americano ha impiegato la
forza solo in alcuni momenti
decisivi, ma allora l’ha
esercitata senza scrupoli, con
tutta la sua potenza, contro
bersagli mirati, contro chi
riteneva i suoi nemici
principali(iKnightsofLabor
prima, l’American Railway
Union e Debs poi). Contro
questi nemici ha dispiegato
tutte le armi, la stampa,
l’opinione
pubblica,
la
magistratura, l’esercito, il
denaro per batterli e isolarli
persino dagli altri operai e
sindacati. Da qui il tacito
appoggio a tutti i sindacati
moderati. Già nel 1906
WernerSombartscriveva:
[Ai dirigenti operai]
tocca un premio più
ricco se giurano fedeltà
al partito dominante: da
unacaricabenpagatadi
ispettoredifabbricasino
a segretario di stato, a
seconda dell’importanza
chesiattribuisceachiè
da sistemare. È una
procedura assolutamente
collaudata che i partiti
dominanti impiegano da
anni con il successo
migliore:
rendere
“innocui” i dirigenti
operai influenti con
l’attribuzione di una
carica governativa. [...]
Almomentosembrache
il
presidente
dell’American
Federation of Labor sia
destinato a essere [...]
direttore
dell’ufficio
statistiche del lavoro,
mentre John Mitchell, il
vittorioso dirigente dei
minatori,
[...]
riceverebbe un posto da
sottosegretario di stato a
Washington.
Si
è
constatato che, con
questa prassi, nel corso
di pochi anni, 13
dirigenti operai nel
Massachusetts e 30 a
Chicago
hanno
conseguito posizioni di
funzionario[statale].20
L’osservazione
di
Sombart avrebbe trovato
innumerevoli
conferme.
Terence Powderly, abbiamo
giàvisto,divennefunzionario
nella
Commissione
sull’immigrazione.Durantela
Primaguerramondiale,Hugh
Frayne della Afl fu membro
del War Industries Board,
mentre lo stesso Samuel
Gompers fu nominato capo
del Labor Committee del
Consiglio
della
difesa
nazionale.21 Sombart si
stupiva, ma questa pratica,
allora così americana, è
dilagata in Europa. In Italia
un leader sindacale è stato
ministro del Lavoro per la
Democrazia cristiana. Un ex
sindacalista era ministro per
la Famiglia nel primo
gabinettoBerlusconi.Altriex
sindacalistisonofunzionariin
vari ministeri. Alcuni quadri
del sindacato sono adesso
manager
dell'industria
privata. Ora che il sindacato
europeo sembra in agonia,
vale
forse
la
pena
d’interrogare la debolezza
storica del sindacalismo
americano alla luce delle sue
sconfitte in alcune tra "le più
grandi battaglie tra capitale e
lavoro”.
1 Almont Lindsey, The
Pullman Strike. The Story of
aUniqueExperimentandofa
Great Labor Upheaval,
Chicago University Press,
Chicago1942,pp.21-22.
2 W.T. Stead,IfChrist
cometoChicago!,cit.,p.86.
3 Dominic A. Pacyga,
Ellen Skerret, Chicago, City
of Neighborhoods, Loyola
University Press, Chicago
1986,p.429.
4A.Lindsey,op.cit.,p.
49.
5Ivi,p.50.
6W.T.Stead,op.cit.,pp.
88-89.
7 A. Lindsey, op. cit., p.
65(ilcorsivoèmio).
8Ivi,p.99.
9Ivi,p.101.
10I
particolari sullo
sciopero dei minatori in J.
Brecher, Strike!, cit., vol. I,
pp.96-103.
11 A. Lindsey,op. cit., p.
128.
12Ivi,p.203.
13Ivi,p.139.
14Ivi,pp.144e142.
15Ivi,p.157.
16P.S.Foner,Historyof
the Labor Movement in the
United States, cit., vol. II, p.
267.
17 A. Lindsey, op. cit.,
p.16.
18 P.S. Foner, op. cit.,
vol.II,p.269.
19 A. Lindsey, op. cit.,
pp.313-315.
20 W. Sombart,Perché
negli Stati Uniti non c'è il
socialismo?,cit.,p.43.
21 James Weinstein,
Ambiguous Legacy. The Left
in American Politics, New
Viewpoints, Franklin Watts
Inc.,NewYork1975,trad.it.
Storia
della
sinistra
americana,
il
Mulino,
Bologna1978,p.58.
4.Quandoi
francofortesidivennero
caniroventi
Le statistiche te lo
ripetono, ma l’incredulità
resta. Per quanto giri e
osservi,
è
impossibile
convincerti che i tedeschi
costituiscano il primo gruppo
etnico degli Stati Uniti, più
degli inglesi, più degli
irlandesi. Vedi i segni dei
neri, le tracce degli italiani,
l’influenza dei messicani,
l’impronta degli irlandesi, la
matrice inglese, l’orma
francese nei cajun della
Louisiana, ma l’influsso
tedesco sembra evaporato.
Mentre
nel
crogiolo
americano gli altri gruppi
vanno fieri della propria
differenza, dal black is
beautiful (nero è bello) degli
anni sessanta al fiorire
dell’orgoglio white ethnic
negli anni settanta, l’identità
germanica sembra essere
completamente
digerita,
assimilata. Una dissolvenza
straordinaria se si pensa alla
brutalità con cui in questo
secolo lo stato tedesco ha
posto al mondo intero il
problemadella"germanicità”.
Eppure le cifre sono lì: il
censimento 2000 contava 43
milioni di americani di
discendenza tedesca contro
30 milioni irlandese e 24
milioni inglese. Staccati
italiani
(15,7
milioni),
polacchi (9 milioni), francesi
(8,3),
scozzesi
(4,9),
norvegesi (4,5) e svedesi
(4,0).Itedeschisonoilprimo
gruppo etnico di origine
europea in tutte le cinque
grandi regioni (Northeast,
Midwest, South, West e
Pacific), sono i primi in 28
dei 50 stati (persino in
Alaska) e in ogni stato del
Midwest.1
Quest 'assenza tedesca
disturba in particolare a
Chicago,lapiùgermanicatra
le metropoli americane.
Mentre trovi un museo
polacco, lituano, ucraino,
svedese, messicano, non ce
n’èunotedesco.Mentrepuoi
assistere al tet, il Capodanno
vietnamita, o alla grande
parata
irlandese
di
San Patrizio, l’elemento
tedesco riaffiora solo nella
persistente origine germanica
deicognomi,oinrareGoethe
Street,
Schiller
Street.
Chicago ha avuto sindaci
irlandesi
e
persino
cecoslovacchi, ma mai un
sindacotedesco.
Questa scomparsa è
stupefacente se paragonata
alla gelosa vitalità della
cultura tedesca negli Stati
Uniti
dell’Ottocento.
All’inizio, verso il 1830, i
tedeschicercaronodifaredel
Texas
una
comunità
germanica. A metà secolo
ripeterono il tentativo nel
Wisconsin, tanto che questo
stato fu poi definito una
“provincia
tedesca”.2
"Resistettero
all’americanizzazione
con
l’orgogliodellaloroculturae
dellalorolingua,eciòtesea
lasciare le comunità tedesche
come isole in un mare di
americanismo.”3 In queste
isole leggevano giornali
tedeschi, si curavano in
ospedali tedeschi, studiavano
tedesco
nelle
scuole,
ascoltavano prediche in
tedesco nelle chiese luterane,
cantavano canti tedeschi e
suonavano musica tedesca.
Era la German-America
(comesidiceLatin-America),
il Deutschtum fiero di sé ma
irriso
dagli
anglofoni
(Dachshund element lo
definivano: Dachshund è la
razza tedesca di cani
bassotti). In queste isole
vivevano
socialisti
e
anarchici, ma per lo più i
tedeschi erano impolitici.
Anzi, alcuni divennero
capitalisti spietati verso i
lavoratori: John Jacob Astor,
mercante
di
pellicce;
Frederick
Weyerhaeuser,
disboscatore dell’America;
George
Westinghouse,
industriale;KlausSperkles,re
dellozuccherotrasferitosialle
Hawaii; gli Anheuser-Busch,
birraidiSt.Louis,proprietari
tuttoradellaBudweiser.
A Chicago, durante
l’Ottocento,furonopubblicati
più di trenta quotidiani in
lingua tedesca. Uno dei
migliori ospedali della città
era il German Hospital
costruito
nel
1883.
L’orchestra cittadina era la
Theodor Thomas Orchestra,
dal tedesco che l’aveva
fondata nel 1890. Uno dei
circoli più esclusivi era il
Germania Club creato nel
1865,cometedescheeranole
più importanti corali. Per
capire la presa che la
German-America aveva sui
suoi membri, basti pensare
cheilprimoservizioluterano
ininglesesitenneaSt.Louis
solo dopo il 1890 e che, per
esempio, nella cittadina di
Belleville(Illinois)ancoranel
1905 persino molti neri e
nativi americani parlavano
tedesco.4
***
Poiarrivòlaguerra.Giàil
5agostodel1914unafolladi
10.000tedeschimanifestavaa
Chicago a favore della
neutralitàdegliStatiUniti.La
guerra si rifletteva sui
rapporti tra i gruppi etnici:
per irredentismo antinglese,
gli irlandesi d’America
avrebbero simpatizzato con i
tedeschi,mentreipolacchi(la
Polonia fu aggredita dagli
imperi centrali) sarebbero
stati ostili. Nel ceppo inglese
cresceva la diffidenza per i
tedeschi. L’“Abendpost" del
31 dicembre 1914 si
lamentava: "Noi siamo di
stirpe e cultura tedesca, ma
siamo anche cittadini degli
Stati Uniti. Ci definiamo
german-americani e siamo
ognigiornopiùfieridiquesto
nome. A noi la designazione
'german-americano’
pare
appropriata
e
calzante.
Nessun’altra lo sarebbe. Ma
altri dissentono. Ci negano
questo diritto. Scherniscono
l’implicazionedigermanismo
contenuta
in
quest’impressione
e
ci
chiamano
hyphenated
Americans, cioè americani
con una riserva mentale, o
americanidiserieB”.5
Il cuore wasp degli Stati
Uniti batteva per l'Intesa: in
queimesi,nellastampaerain
corso una violentissima
campagna contro le "atrocità
tedesche in Belgio”, con
notizie per cui i tedeschi
tagliavano le mani ai
bambini. (Queste “atrocità"
sono scomparse dai libri di
storia, non se ne trova più
traccia.)
Nella German-America
invece molti tifavano per il
Reiche,insecondabattuta,si
schieravano per la più stretta
neutralità Usa. Ma anche
nella comunità tedesca di
Chicago le posizioni si
divisero, prendendo spunto
dal centenario di Bismarck il
primo
aprile
1915.
L’"Abendpost” del primo
marzo si schierò contro la
ricorrenza: "Il giuramento di
cittadinanza
americana
dovrebbe precludere la
celebrazione pubblica di
nascite o anniversari di
uomini politici stranieri,
indipendentemente dalla loro
grandezza”. Mentre l''Ίllinois
Staats-Zeitung"
era
favorevoleallecelebrazionie
pubblicava pagine di annunci
di questo tenore: “Una
Germaniaunita è invincibile.
Possa la tua giusta causa
guidarciallavittoria!”.Infine,
al centenario di Bismarck
parteciparono 4000 invitati
che manifestarono per la
neutralità americana. La
sensibilitàetnicaerataleche,
quando un candidato di
origine tedesca, R. Sweitzer,
si presentò alle elezioni
comunali nel 1915, molti
tedeschi non lo votarono
perché aveva eliminato la
“ch” dal suo cognome
originale,Schweitzer.
Man mano che i
sottomarini
tedeschi
affondavano
navi
nell’Atlantico,
l'opinione
pubblica era sempre più
antigermanica. Quando il 6
aprile 1917 gli Stati Uniti
dichiararono guerra agli
imperi centrali, i tedeschi
d’America furono considerati
disertori dalla Germania e
traditori dagli Stati Uniti.
Negli Usa si apriva la caccia
al nemico interno. Già il 7
aprile furono arrestati per
spionaggio a Chicago i
dipendenti di varie industrie.
Perpauradisabotaggi,furono
recintati di filo spinato
persino i mattatoi, in quanto
“industriavitale”.Neglistessi
giorni, sessanta tedeschi
furono arrestati per il
cosiddetto complotto hindi
(per
fomentare
azioni
antinglesiinIndia).6
Quanto pesassero i
tedeschi a Chicago lo
dimostrò, a guerra già
dichiarata,ilsindacoWilliam
Hale Thomson nell’aprile del
1917, quando rifiutò di
ricevere il maresciallo Joffre,
eroedellaMarna(generaledi
una potenza alleata): “Qui ci
sonosolo3681abitantinatiin
Francia, mentre Chicago è la
sesta città tedesca per
abitanti, la seconda città
boema, la seconda città
svedese, la seconda città
polacca, la seconda città
norvegese, e quindi è
presuntuosoinvitarequalcuno
in nome di tutto il popolo di
Chicago”.7
Ma ormai tutto ciò che
ricordavalaGermaniaveniva
cancellato. Fu allora che i
würstel cambiarono nome,
non più Frankfurter, ma hot
dogs (“cani roventi”; gli
ispanici li chiamano perros
calientes).
Altre
rinominazioni ebbero meno
successo: dopo un fugace
Liberty Steak, l’hamburger è
tornato a essere amburghese,
e i Sauerkrauten non si
chiamano
più
Liberty
Cabbage(fasorridere“cavolo
della libertà"). Era violenta
soprattutto la campagna
contro i giornali in lingua
tedesca
della
German-
America.Il20luglio1917,a
commento conclusivo di un
articolo su "La slealtà della
stampa german-americana”,
la direzione delI"‘Atlantic
MonthlyReview”scriveva:
Per temperamento
noi statunitensi siamo
tolleranti e aperti.
Crediamo in questa
temperanza e nella sua
tradizione. Similmente
crediamo
nella
e
rispettiamo la grande
maggioranza di cittadini
americani di origine
tedesca [...] ma ora
questi
giornali,
dimentichi dei loro
privilegi,
stanno
esaurendo la nostra
pazienza [...] il nucleo
della stampa germanamericana in questo
paese
consiste
francamente di giornali
nemici. Giornali nemici,
stampati in lingua
nemica, protetti dalle
nostre leggi e ammessi
alle tariffe preferenziali
delle poste! [...] Il
rimedio è una sana
censura di guerra sulla
propaganda nemica e
una forte tassa di guerra
sull'uso stampato di
lingua nemica. [...]
Perché qui come in
Europa è il pensiero
tedesco il principale
aggressore[offender].
Inunaletteraal“Chicago
Tribune” dell’8 agosto 1917,
un
lettore
sbottava:
“Speriamo
che
questo
governo la smetta di
cincischiare [dilly-dallying]
conquesticosiddettigermanamericani e che li metta in
campo di concentramento
finoallafinedellaguerrache
sarà
accelerata
da
quest’azione, specie se
accoppiata con la totale
soppressione della stampa
german-americana”.8
A
giugno il presidente Wilson
avevafattoapprovareunduro
Espionage Act, ma non era
riuscito a inserirvi la censura
sulla stampa. Allora escluse
dagli sconti postali la stampa
sovversiva e autorizzò il
sovrintendente alle Poste a
stralciare a suo arbitrio dagli
invii
tutto
ciò
che
incoraggiava
"tradimento,
insurrezione o resistenza
violenta a ogni legge degli
StatiUniti”.9
Chiunquefosse“straniero
nemico" doveva presentarsi
alleautorità(un’esenzioneera
concessa a chi dimostrava di
veniredall'AlsaziaeLorena).
Nella
primavera
1918,
secondo il ministero di
Giustizia, c’erano a Chicago
14.340
enemy
aliens.
Innumerevoli furono poi le
retate.Moltitedeschifinirono
in campo di concentramento.
Il
12
marzo
1919
l’“Abendpost”
avrebbe
stimato a circa 5000 i
tedeschi d'America, di cui
molti Chicagoans, internati
durantelaguerraneicampidi
concentramento di Fort
Oglethorpe (Tennessee), Fort
Douglas(Utah)eHotSprings
(North
Carolina).10
Quest’internamento
preannunciava la reclusione
di massa che sarebbe stata
riservata nel 1942 ai
giapponesid’America,conla
differenzachequieracolpito
uno dei gruppi etnici più
numerosi della nazione, con
risvoltieconomiciepolitici.
In
campo
di
concentramento
finirono
musicisti, banchieri, le cui
proprietàfuronosequestratee
mai davvero restituite, e
anche famiglie potenti come
gli Anheuser-Busch. Ma
ancora più pesanti furono le
implicazioni
politiche.
Nell’apriledel1917,nellasua
piattaforma di St. Louis, il
Partito socialista (Sp) di
Eugene Debs sancì la sua
opposizione alla guerra: "La
classe operaia americana non
ha dispute con la classe
operaia
tedesca
[...]
denunciamo la dichiarazione
di guerra del nostro governo
come un crimine contro il
popolo degli Stati Uniti e
contro le nazioni del mondo
[...] [perciò] raccomandiamo
ai lavoratori [...] una
continua, attiva, pubblica
opposizione alla guerra con
dimostrazioni, petizioni di
massa e tutti gli altri
strumentiinnostropotere”.11
L’Sp
americano
si
schierava contro la guerra.
Questa scomoda posizione
scatenò una caccia alle
streghe(cosìcomeneglianni
cinquanta chiunque fosse di
sinistra era considerato spia
dell’Urss). Da sempre negli
Stati Uniti l’idea di
socialismo
rinviava
ai
tedeschi. Ed erano tanti gli
immigrati
nel
Partito
socialista: nel 1915 si
contavano
14
sezioni
“straniere”.
Dopo
il
Manifesto di St. Louis, molti
intellettuali (tra cui Upton
Sinclair) abbandonarono il
partito e lo accusarono, di
essere venduto al nemico (e
quest’accusa fece sì che
nell’Sp crescesse il peso dei
tedeschi che vi trovavano un
riparo). Il governo scatenò
una repressione violenta.
Nell’ultimo anno di guerra,
sulle oltre 5000 sezioni
dell’Sp, circa 1500 furono
distrutte.
A
Chicago
l’“Arbeiter Zeitung” e il
“Sozial Demokraten” furono
perquisiti e chiusi, come
anche il Radical Book
Store.12 Il sindacato Iww,
Industriai Workers of the
World, fu angariato persino
per il suo neutralismo, i suoi
membri furono chiamati Iww
=
Imperial
Wilhelms
Warriors(“guerrieriimperiali
delKaiser”)13:aChicago166
leader furono arrestati per
sabotaggio e tradimento; 99
di loro furono condannati.
Altricentofuronocondannati
altrove.
Poi
fioccarono
le
condanne
basate
sull’Espionage Act per cui
finirono imprigionate circa
2000 persone. Nel marzo
1918 furono arrestati Adolph
Gerner, segretario nazionale
dell’Sp, J. Lewis Egdahl,
direttore dell’"American Socialist”, Irwin St. John
Tucker,delPeople'sParty.A
dieci anni fu condannato il
segretario di stato dello stato
di Washington (sul Pacifico),
Emil Herman.14 Persino
EugeneDebsfucondannatoa
dieciannidiprigioneperaver
tenuto
un
“linguaggio
profano,
scandaloso
e
offensivo” in un comizio.
Debs entrò in prigione pochi
mesidopolafinedellaguerra
ecirestòfinoal1921quando
il presidente Warren Harding
graziòluiealtri23prigionieri
politici. Nelle presidenziali
del 1920, il candidato
detenutoDebsavevaottenuto
920.000 voti. Ancora una
volta gli operai e il
movimento
socialista
costituivano per gli Stati
Uniti“ilnemicointerno”ela
guerra contro la Germania
giustificavaleazionicontroi
leaderoperai.
Scrive Hagwood: “Tra il
1855 e il 1915, i tedeschi in
America non vivevano negli
StatiUniti,manellaGermanAmerica, e parlavano e
scrivevano per la GermanAmerica più che per gli Stati
Uniti. La Prima guerra
mondiale, con i suoi odi e le
sue persecuzioni, la sua
propaganda e la sua
coercizione, sciolse gli
hyphen dai loro ormeggi e
concluse
l'era
germanamericana che tanto era
durata. I tedeschi in America
e gli americani di stirpe
tedescafuronomessidifronte
al dilemma che così spesso,
in guerra, si pone a una
minoranzadioriginestraniera
che così a lungo ha resistito
all’assimilazione. Dovevano
dividersi in 'tedeschi' e
‘americani’ pur di origine
tedesca.
Il
‘germanamericano’ era un’anomalia
che non poteva più
esistere”.15
E la prima, immediata
forma che assunse la
cancellazione
dell’identità
tedescafuilcambiodeinomi,
ilribattezzarsidituttociòche
aveva un sapore teutonico.
Così, dopo 53 anni, il 9
maggio 1918, il Germania
Club decise di diventare il
Chicago Lincoln Club. Dieci
giornidopo,l’hotelBismarck
si mutò in hotel Randolph e
l’hotel Kaiserhof in hotel
Atlantic.LaSocietàdimutuo
soccorso Kaiser Friedrich
divenne
Società
di
benefìcienza
George
Washington16 e la Bismarck
School, Scuola General
Frederick Funston. Nella 28a
circoscrizione
furono
cambiati i nomi di vie come
via Reno, via Berlino, via
Lubecca...L’ospedaletedesco
divenneilGrantHospital.La
TheodorThomasOrchestrafu
ormai la Chicago Simphony
Orchestra.
Le persone, le famiglie si
sentirono
costrette
a
cambiare il nome con cui
pensavano
a
sé.
L’“Abendpost” del 20 agosto
1918 riportava che avevano
chiesto al tribunale di poter
cambiare nome più di
cinquanta cittadini tra cui:
Harry H. Fei-chenfeld,
proprietario di una polleria,
voleva diventare H.H. Field;
OttoW.Mayervolevaessere
chiamato Mayor; Hans
Kaiser, John Kern; Emma
Gutmann aveva provato
Gutmanmaallafinesidecise
per un Goodman. Berta
Griesheimer
chiese
di
chiamarsi Gresham, e Joseph
G. Schumann, figlio di uno
Schumann, si cambiò in
Shumann. Ancora una volta
incontriamo la terribile
potenza del nominare, e
rinominare.
I
giornali
tedeschi
fallirono. Dopo 70 anni di
esistenza (55 da quotidiano),
l’“Illinois
Staats-Zeitung”
smise di uscire tutti i giorni
nel 1918, per chiudere
definitivamente nel 1925.
Prima del 1914 si contavano
cinquantaperiodiciinIllinois;
nel 1926 si erano ridotti a
dieci
di
cui
nessun
quotidiano.L’usodellalingua
sidiradò.Nell'agosto1918la
Gran Loggia massonica dello
stato ordinò alle sette logge
germanichedinontenerepiù
le riunioni in tedesco.17 Le
corali sospesero i Lieder del
sabato
pomeriggio.
L’insegnamento del tedesco
declinò.AChicago,nell’anno
scolastico 1914-1915 lo
avevano studiato 18.160
allievi in 112 scuole. Nel
1917 un’ordinanza comunale
lo abolì dalle elementari. Nel
1929 in nessuna scuola laica
di Chicago lo s’insegnava
più. Nel 1914, nelle chiese
luterane di St. Louis circa il
30%usaval’ingleseeil70%
il tedesco; ma nel 1929 nel
75% si predicava in inglese.
A Belleville (Illinois), dove
nel 1905 persino neri e
americani parlavano tedesco,
nel 1929 solo un servizio al
meseeratenutointedescodai
pastori luterani “per i
vecchi”.18
L’americanizzazione non
era cominciata certo con la
Prima guerra mondiale, ma
allora avvenne la cesura: I
tedeschi sono l’unico gruppo
etnico cui fu chiesto di
abiurare, di rinnegare la
propria identità. Questa
rottura
fu
facilitata
dall’esaurirsi del flusso
migratorio tedesco per le
leggi restrittive varate nel
1921 e poi nel 1924. Il
Johnson-Reed Act del 1924
stabilìcheognigruppoetnico
aveva diritto a una quota
d’immigrazione pari al 2%
del totale di membri di quel
gruppogiàpresentinegliStati
Uniti nel 1890. Così 1 )
l’immigrazionevenivafrenata
di botto; 2) la data del 1890
cancellava del tutto gli
emigranti dal Sud e dall’Est
dell’Europa
che
erano
approdati in massa negli Usa
solodopoil1890.IlJohnsonReed Act era diretto contro
italiani,polacchierussi,mai
tedeschi lo risentirono come
un atto contro di loro.
Hagwood parla di restrizioni
drastiche “specie contro la
stirpetedesca”.19
Per tutte queste ragioni,
dalla metà degli anni venti
non vi fu più un problema
tedesco negli Stati Uniti. E
infatti esso non si ripresentò
nella
Seconda
guerra
mondiale. Come scrive
O’Connor,“adifferenzadella
Prima guerra mondiale, il
filogermanismo non era più
un problema quando il paese
entròinguerracontrol’Asse.
Non ci fu nessun’isteria
allora, tranne che contro gli
innocenti
giapponesiamericani. E come avrebbe
potuto esserci, con un
Eisenhower alla guida della
seconda forza di spedizione
contro la Germania, uno
Spaatz che comandava i
bombardieri che stavano
polverizzando la Germania,
un Nimitz alla testa della
flotta del Pacifico, un
Eichelberger e un Krueger al
comando di due armate sotto
ilgeneraleMacArthur?”.20
Sapendo che i tedeschi
costituisconoilprimogruppo
etnico degli Stati Uniti, una
nuova prospettiva si apre al
pensiero che, in parte, la
Seconda guerra mondiale è
stata una guerra civile fra
tedeschi, tedeschi d’America
da un lato, tedeschi di
Germaniadall’altro.
P.S. Ma bisognerebbe
citare almeno un precedente
ai generali Usa di origine
tedesca. A Washington,
all’angolo nordoccidentale
dei giardini dietro la Casa
Bianca, tra Connecticut
AvenueeHStreet,siergeun
monumentobronzeocostruito
nel1910,appenacinqueanni
prima che i fran-cofortesi
diventassero cani, per di più
roventi. È dedicato a
Frederick William Augustus
Henry Ferdinand, Baron von
Stauben, nato in Prussia nel
1736emortoaNewYorknel
1794,
"in
grato
riconoscimento dei suoi
servizi al popolo americano
nella sua lotta per la libertà
[...]. Dopo aver servito come
aiutantedicampodiFederico
il Grande di Prussia, offrì la
sua spada alle colonie
americane
[...]
diede
addestramento militare e
disciplina ai cittadini soldati
che
realizzarono
l’indipendenza degli Stati
Uniti”. Quando si dice "la
disciplinaprussiana”!
1 U.S. Bureau of the
Census,StatisticalAbstractof
the United States 2002,
Government Printing Office,
Washington D.C. 2002, tavv.
1373e1387.
2 Richard O’Connor,
The German-Americans. An
Informal History, Little,
Brown & Co., Boston 1968,
p.377.
3 John A. Hagwood,
The Tragedy of German
America.TheGermansinthe
U.S. of America during the
NineteenthCenturyandAfter,
G.P.PutnamSons,NewYork
1940,p.xiv.
4Ivi,p.290.
5 Citato in Rudolph A.
Hofmeister, The Germans of
Chicago, Stipes Publishing
Co., Champaign (111.) 1976,
p.63.
6 Andrew Jacke
Townsend, The Germans of
Chicago,tesiall’Universitàdi
Chicago del 1927, ristampata
in “Jahrbuch der deutschen-
amerikanischen historischen
Gesellschaft von Illinois”,
1932,pp.99-100.
7 J.A. Hagwood, op.
cit.,p.297.
8CitatoinFrederickC.
Luebke, Bonds of Loyalty.
German Americans and
World War i, Northern
Illinois University Press,
DeKalb(111.)1974,p.235.
9JamesWeinstein,The
Decline of Socialism in
America:
1912-1925,
Monthly Review Press, New
York1967,rieditodaRutgers
University Press, New York
1984,p.144.
10R.A.Hofmeister,op.
cit.,pp.70-71.
11St.LouisManifestoof
the Socialist Party (1917),
pubblicatoinA.Fried(acura
di), Socialism in America,
cit.,pp.521-526.
12 A.J. Townsend, op.
cit.,p.105.
13PatrickRenchaw,The
Wobblies. The Story of the
Syndacalism in the United
States,
Anchor
Books,
Doubleday, New York 1967,
trad. it. Il sindacalismo
rivoluzionario negli Stati
Uniti, Laterza, Bari 1970, p.
185.
14 Ivi, p. 101 e J.
Weinstein,op.cit.,p.161.
15 J.A. Hagwood, op.
cit.,p.xviii.
16R.A.Hofmeister,op.
cit.,p.72.
17Ivi,p.74.
18 J.A. Hagwood, op.
cit.,p.300.
19Ivi,p.298.
20R.O’Connor,op.cit.,
p.452.
5.Nellacapitaledi
Hobohemia
DavantialSocialSecurity
Building si erge oscena una
mazza da baseball in metallo
battuto, alta quattro piani, e
non ti consola affatto sapere
che a crearla è stato Claes
Oldenburgchel’habattezzata
Batcolumn. Accanto, tra
Halsted e Canal, sulla West
Madison Street, spiccano
quattrograttacielidi52piani,
le Presidential Towers: tre
piani di uffici alla base
sovrastatida49dialloggiper
complessivi
3000
appartamenti. Vi abitano
inquilini rampanti che le
scelgono per la vicinanza al
centro, alla Borsa, alle
banche. La loro costruzione,
neglianniottanta,ècostataai
contribuenti americani più di
100 milioni di dollari tra
sussidi federali, incentivi
dello stato, aiuti del comune,
esenzioni fiscali, crediti
agevolati, vendita dei terreni
a prezzi di favore (politico),
opere di demolizione e
infrastrutture.
Dai
rari
passanti,
dall’aspetto
burocratico,
nessuno
immaginerebbe che appena
trentanni fa questa via era la
capitale
dei
vagabondi
d’America, con i suoi bar,
negozi di vestiti usati,
alberghetti, barbieri, bordelli,
negozidipegni.1
È incredibile quanti
negozi di pegni -Pawnshops
-esistanonegliStatiUniti.In
Europa è rarissimo vedere
l’insegna"Pegni”.Quiinvece
t’impegni tutto, l’orologio, i
gioielli, la radio, la pistola.
Nel Vecchio continente il
"banco dei pegni” sembra
retaggio
desueto
del
Medioevo. Negli Usa invece,
appena superata la frontiera
invisibile che separa i
quartieri (e le classi), ecco
moltiplicarsi le insegne
Pawnshops e di Checks
Cashed (incassa assegni) che
lampeggianonellanottecome
luci di flipper in tilt. Dalle
loro vetrine sai di aver
abbandonatolazonaborghese
e di essere entrato in un’area
operaia, o di immigrati, o di
irregolari. Ci metti tempo a
capireperchénegliUsacene
sonotanti.Poidiventachiaro.
C’è chi non offre garanzie
sufficienti, chi ha emesso
troppi assegni scoperti, chi è
indietro col mutuo, chi è un
“alieno illegale”, immigrato
clandestino: nessuno di loro
può avere un conto in banca.
Non sa perciò dove versare
l'assegno della paga; deve
rivolgersi a uno di questi
banchi,artigianidellafinanza
che - previa commissione trasformano il salario in
contanti.
Non avere un conto in
banca è più di un disagio
economico, è un marchio
sociale che ti rende la vita
difficile, ti ostacola nelle
inezie: è come l’auto, l’80%
degli
americani
la
possiedono,maquel20%che
non ne dispone se la passa
davvero male. Oggi non ci
sono più Pawnshops né
Checks Cashed su West
Madison Street, quella che
eraunavoltalapiùfamosae
popolata
Skid
Row
d’America.
Il termine Skid Row
nasce a Seattle dove era
riferito alla strada usata
da un commerciante di
legname, Henry Yesler,
per far scivolare [to
skid] i tronchi verso la
sua segheria in riva al
mare. Lungo questa
stradaceranoalberghetti,
taverne,
ristoranti,
bordelli e altri servizi
per i taglialegna. Negli
anni venti però Skid
Road,
come
era
chiamata
all’inizio,
divenne
soprattutto
residenza di poveri, ex
boscaioli disoccupati,
lavoratori
a
breve
termine. Col tempo, il
nome
dell’area
fu
accorciatoinSkidRowe
usato come generico
termine peggiorativo.
Skid Row designava in
ogni città americana un
posto in cui erano
concentrati e insieme
altamente visibili gli
ubriaconi. C’era anche
l’implicazione di una
mobilità verso il basso
[skid, scivolare] e di un
ambiente sociale, fisico
edeconomicocostrittivo
[row,riga,fila,rango].2
Ogni città degli Stati
Uniti ha avuto la sua Skid
Row:laBoweryaNewYork,
South Main Street a Los
Angeles, Scollay Square a
Boston, Third Street a San
Francisco, Skid Road a
Seattle. Ma la più importante
era West Madison Street a
Chicago,neltrattofraHalsted
e il Chicago River. Qui
s’incrociavano
lavoratori
stagionali,
itineranti,
cottimisti,
disoccupati,
vagabondidituttalanazione.
Allora l’America era un
ininterrotto
viavai
di
lavoratori, in una mobilità
forsennata: tra il 1880 e il
1920aBostonilturn-overera
tale che la città cambiava
quasi tutta la popolazione
ogni dieci anni. Ma era a
Chicago, nel cui comune
correvano 5000 km di rotaie,
che ogni giorno torrenti di
uomini
celebravano
l’apoteosi della mobilità. Nel
centro
ferroviario
dell'America,
i
treni
smistavanoescaricavanonon
solo grano, mais, maiali,
buoi, legname, ma destini
umani,traiettoriedivita.
Alla vigilia della Prima
guerra mondiale, scrivono
Hoch e Slayton, “500.000
lavoratori senza residenza
regolarefluivanonellaedalla
Windy City [...] ancora nel
1922 Chicago aveva più di
200 agenzie private di
collocamento che piazzavano
annualmente un quarto di
milione di uomini, senza
contare naturalmente chi
faceva la fila davanti ai
cancelli delle fabbriche di
tuttalacittà”.3Nelle packing
housessolometàdeglioperai
lavorava tutto l’anno, l’altra
metà andava e veniva.4 La
richiesta di manodopera
mobile, spedibile e rinviabile
a piacere, generò quella
moderna figura sociale che è
il single, lavoratore senza
famiglia (perché lontana o
perché inesistente), perciò
senza focolare. Nasceva un
"senza-casa"chenoneraperò
un
"senzatetto"
perché
alloggiavainpensioni,stanze
ammobiliate, alberghetti. Il
fenomeno era iscritto nella
rivoluzioneindustriale,prima
nell’esodo dalle campagne
verso le fabbriche, poi
nell’immigrazione. (Già nel
1845 Engels notava questi
houseless, come si diceva
allora: “Ogni mattina a
Londra 50.000 persone si
alzano senza sapere dove
potranno posare il capo la
notteseguente.Ipiùfortunati,
quelli che riescono a metter
daparteperlaseraunoodue
pence, vanno in una delle
cosiddette camere d’alloggio
[lodging-houses]
che
abbondano in ogni grande
città e dove, in cambio del
denaro, ricevono asilo. Ma
qualeasilo...”5)
A Chicago, nel quartiere
dei mattatoi (Back of the
Yards) il 27,3% dei residenti
era a pensione: appena scesi
dal treno, gli immigranti
andavano a vivere dai
connazionali che, per pagare
il mutuo della casa, avevano
bisogno di affittare stanze.
Ma solo di rado il
pensionante aveva diritto a
una stanza per sé, proprio
come avviene per i
maghrebini
che
oggi
emigrano in Italia, solo che
allora erano gli italiani a
dormireindieciinunastanza
diLittleTuscania.
Ma la stessa logica che
ordinavalavoratoriàlacarte
era
potenzialmente
sovversiva poiché creava un
nuovotipodicittadino,senza
casa né famiglia, difettoso
cioè dei due pilastri della
morale politica. Si ricordi
quali poteri taumaturgici
assegnavano gli americani
alla proprietà della casa che,
nelle parole di Roosevelt,
avrebbefattodegliStatiUniti
una“nazioneinvincibile”.Ed
ecco che questo stesso
capitalismo creava milioni di
lavoratori instabili, e quindi
potenzialmente “immorali”,
"pericolosi”.
Questacontraddizioneera
ancora più stridente per un
altro, più inedito tipo di
lavoratore single “senza-casa
ma con-tetto”: a fine
Ottocento era apparsa una
nuovafigurasociale,ledonne
lavoratrici sole (operaie,
sarte, segretarie, commesse).
Nella sola Chicago cerano
poco più di 100.000 donne
che guadagnavano uno
stipendio. Di esse il 21%,
circa22.000,vivevanoinuna
stanza
ammobiliata,6
generando le maldicenze dei
benpensanti. Ma queste
lavoratrici preferivano le
stanze ammobiliate alle
pensioni proprio per la
privacy e la libertà: in quasi
la metà di queste stanze (il
49%) era consentito alle
affittuarie invitare uomini.
Sui quartieri di stanze
ammobiliate fin da allora
plananolevocid’immoralità,
in base alla convinzione
diffusa che vivere senza la
famiglia produce (ed è
causatoda)perversione.
La cattiva fama di questi
quartieri sembra trovare
conferma nel loro brutto
aspetto: a volte il lavoratore
rimanedisoccupato;avolteil
disoccupato non trova più
lavoro;ildisoccupatocronico
a volte diventa alcolista;
l’alcolistaavoltedàunpo’di
matto.C’èildisagiato"senzacasa” ma che si può
permettereuntettoec'èpoiil
barbonesanstoitniloi,senza
tetto né legge. Non solo: con
lecrisieconomiche,leondate
di licenziamenti, gli affittuari
in ritardo con la pigione,
l’avida voracità dei tenutari
che
risparmiano
sulla
manutenzione degli edifici, il
quartiere si degrada, le
facciate si screpolano, le
insegne penzolano, i vetri
dellefinestresifrangono.
Così nelle Skid Rows del
primo Novecento, accanto
alla pensione dignitosa, ecco
apparire
la
locanda
stamberga,l’alloggiotugurio.
Il quartiere si stratificava, vi
viveva non un solo gruppo
sociale,maunasocietàintera,
conlasuagerarchiaepersino
i suoi esclusi. Anzi, a Skid
Rowvigevaunveroeproprio
sistema di casta. In cima
c'erano gli hoboes, lavoratori
stagionali,
itineranti.
Potevano fare i macellai,
raccoglitori di ghiaccio,
muratori, boscaioli, addetti
alle ferrovie. Gli hoboes
lavoravano duro, anche se in
lavoribreviedispersisututto
il continente, nella pesca del
salmone sul Pacifico, nella
raccoltadifruttainCalifornia
odiostricheSull’Atlantico.
Illorolavoromigranteha
edificatogliStatiUnitieuno
scrittore li ha chiamati “le
truppe
d’assalto
dell’espansione americana”.
Nels Anderson, che era stato
hobo,scrivenellasuaclassica
ricercadel1923:“Nonostante
le sue debolezze, e io le
conoscevobene,loconsidero
unadellefigureeroichedella
frontiera.Graziealsuolavoro
e al suo aiuto si costruirono
ferrovie, si valorizzarono
miniere fuori mano, si
fondaronocittàavamposto’’.7
L'hobo condivideva la fede
nel duro lavoro, ma dalla
middle class, dalla classe
operaia "stanziale” delle
fabbriche lo separava il
nomadismo che lo rese
sospetto.Ibigottibenpensanti
ritenevanoglihoboesbeonie
criminali.8 Erano invece
soffusidaunaloneromantico
diliberivagabondinelfilmdi
Chariot o nelle ballate di
Woody Guthrie. La nazione
dei vagabondi, dei barboni e
dei nomadi ha finito per
chiamarsi
negli
Usa
"Hobohemia”, riferita ai
bohémiens,aglizingari.
Nella
gerarchia
di
Hobohemia,sottogli hoboes,
eccoitramps,ivagabondi:se
gli hoboes erano lavoratori
migranti, i tramps erano
migranti senza lavoro (“the
hoboworksandwanders,the
tramp dreams and wanders",
“l’hobo lavora e vaga, il
tramp sogna ed erra”),9
vivevano di lavoretti, furti,
elemosina, fieri del proprio
nomadismo. Mentre gli
hoboes avevano spesso cura
nel vestire, i tramps
pendevano
verso
lo
straccione. Erano più sporchi
degli hoboes che
li
disprezzavano e affibbiavano
lorovariepitetiingiuriosi.
Sotto gli hoboes e i
tramps, vivevano i bums, gli
stanziali. Ogni casta era
divisainsottocaste.Ibumssi
dividevano tra chi lavorava
(lavapiatti,facchinid’albergo,
sguatteri)echimendicava.E,
sotto i mendicanti, altre
sottocaste fino a chi
nemmeno mendicava, viveva
inscatoledicartoneefrugava
tra i rifiuti. Quel che a uno
sguardo esteriore appare
confuso nella categoria della
marginalità e dell’esclusione
sociale(“ipezzentisonotutti
uguali”) si rivela essere un
universo strutturato, rigido,
gerarchico, con le sue
repressioni.
Hobohemia era una
nazione di maschi, bianchi,
per lo più americani (il 62%
eranonatinegliUsa),singles,
alfabetizzati (solo il 5% era
analfabeta, ma un altro 5%
era andato al college). Tanto
che Nels Anderson scrive di
loro: “l'homeless era un
lettore accanito [extensive
reader], specialmente quelli
chesispostavano,gli hoboes
eitramps”.10Daquilemolte
edicole e librerie che
costellavano le Skid Rows,
oltre
naturalmente
ai
Pawnshops. Gli oggetti più
impegnati erano i vestiti,
seguiti dagli orologi e dagli
anelli.11 Nel 1921 si
contavano ben 62 banchi di
pegni intorno a Skid Row,
West Madison. A Chicago,
Hobohemia
aveva
un
ristorante e una scuola di
migranti per migranti, l'Hobo
College.
Hobohemiaeraunmondo
segregato: nella Skid Row di
West Madison non c’era
posto per i neri che avevano
la propria zona più a sud, su
State Street, tra la 22a e la
30a. Oggi la Skid Row nera
gravita intorno al Martin
Luther King Drive. Non c’è
nessuna ragione presentabile
(perché il razzismo dovrebbe
essere meno atroce in giacca
e cravatta?), ma mai la
segregazione razziale è tanto
cocentecomequandoseparai
barbonineridaquellibianchi
edividegliubriaconisecondo
ilcoloredellapelle.
In Hobohemia, nella
stessa strada, nella stessa
persona, si passa senza
discontinuità dalla classe
lavoratricealsotto-proletario,
siscivola(skid)dalle“truppe
d’assalto
dell’espansione
americana” agli esclusi, ai
pezzenti ubriaconi. Qui si
vede quant’è labile la
frontieratradisoccupazionee
povertà, tra working poor
(povero che lavora) e
senzatetto.
***
“Povertà”: finalmente è
stata detta questa parola
scomoda, così ovvia e
insieme imbarazzante da
definire. Povertà, uno “stato
di natura”. Si è poveri come
si è vecchi, o giovani. Ma
cosaèla“sogliadipovertà”?
quando si comincia a essere
poveri? (a che età si diventa
vecchi?) "Povero” è uno di
quei concetti sociologici
spontanei di cui Pierre
Bourdieu
consiglia
di
diffidare perché la loro
spontaneità è traditrice,
veicolainsél’ideologia,cioè
la visione inconscia del
mondo che la società plasma
in noi. Povero è un’unica,
indistinta nozione di disagio,
penuria, mancanza. Così la
definiscelasociologia:“Ogni
tipodipovertàèriconducibile
allattocheundatosoggettoo
popolazione difetta della
capacità di coprire i costi
della
produzione
e
riproduzione
dell’essere
umano”.12Ilverbo"difettare”
indicasìmancanza,maanche
difetto come contrario di
qualità. Ma perché tanti
soggetti e tante popolazioni
dovrebberodifettare?
Che la povertà fosse un
flagello in Europa, gli
americani lo capivano. Essa,
scrive
Robert
Castel,
“corrispondeva
a
caratteristiche oggettive del
vecchio mondo: rarità delle
risorse, sovrappopolazione,
ingiustizia e irrazionalità”.
Ma perché negli Stati Uniti?
Appenaneglistatidellacosta
est a industrializzazione
rapida la povertà diventa un
problema verso il 1820,
subito si moltiplicano i
rapporti delle commissioni
sulla povertà (già allora!), da
cui emerge che "lo scandalo
non è nel numero dei poveri
ma nel loro esistere”.13 "Il
pauperismo dovrebbe essere
estraneo al nostro paese,”
scrive nel suo Forth Annual
Report (1821) la New York
Society for the Prevention of
Pauperism, "[per] il nostro
territoriocosìesteso,ilnostro
suolo così ricco”, per
l’eccellenza delle istituzioni
americane, per "il vasto
campo aperto all’industria e
alle imprese, l’assenza totale
dihandicapciviliepolitici,e
la completa sicurezza nel
godimento dei vantaggi
naturali o acquisiti”. "Nel
nostro paese così favorito, in
cui il lavoro è tanto richiesto
e così ben pagato, e in cui i
mezzi di sussistenza sono
così facili da ottenere e così
poco costosi, la povertà non
ha da esistere né dovrebbe
esistere [need not and ought
not to exist]” scrivevano i
commissari
per
le
AlmshousesdiNewYorknel
loroAnnualReportfor1847.
Negli Stati Uniti la
povertà non poteva, non
dovevaesistere perché qui la
popolazione era scarsa, le
risorse e il territorio
inesauribili, agli antipodi
della situazione responsabile
della povertà secondo il
reverendo Robert Malthus.
Ecco la vivida sintesi che
Engels abbozza della tesi
malthusiana: "La terra sarà
sempre sovrappopolata e
perciò dovranno regnare
sempre bisogno, miseria,
indigenza e immoralità; la
sorte e la destinazione eterna
dell’umanità è di esistere in
numero troppo alto e quindi
di essere suddivisa in classi
diverse, delle quali le une
sonopiùomenoricche,colte,
morali, e le altre più o meno
povere,miserabili,ignorantie
immorali”.14 La teoria di
Malthus delineava quel che
poi sarebbe stato chiamato il
darwinismo sociale, per cui
anchetragliumanisarebbein
corso una lotta per la
sopravvivenza. Gli uomini,
diceva il reverendo inglese
Joseph Townsend (17391816),sicomportanocomele
capre dell’isola di Juan
Fernandez, dove gli spagnoli
sbarcarono una coppia di
barbutiovinichesimoltiplicò
fino a riempire l’isola e a
soffrire la fame. Allora, "le
piùdebolicedetteroperprime
e l’abbondanza tornò. Così
esseoscillaronotralafelicità
elamiseria,orasoffrendoper
la mancanza di cibo ora
godendodell’abbondanza”.
Come per le capre, "è la
quantitàdicibocheregolala
quantità delle popolazioni
umane” e lo fa attraverso
“afflizioniepovertà“Finchéil
ciboèabbondante,gliuomini
continuano a crescere e a
moltiplicarsi e ognuno è in
grado di mantenere una
famiglia o di prestare
soccorso agli amici in
proporzione alla sua forza. I
debolidevonodipenderedalla
precariagenerositàdeifortie,
primaopoi,ipigri finiscono
col soffrire le conseguenze
naturali
della
loro
indolenza”,15 Già, perché
dietro questa visione della
povertà serpeggia l’idea che
l’uomo sia per natura
indolente:“Le folle di indiani
pigri e dissoluti costituivano
il primo ostacolo [alla
civiltà],” scriveva Parton.16
Guarda caso, questa pigrizia
innata emerge nella storia
delle idee quando la
rivoluzione
industriale
irreggimenta
il
lavoro.
Antonello La Vergata traccia
un intenso percorso17 di
quest’“innato
principio
d’indolenza nell'uomo” tra
SetteeOttocento,dallafelice
pigriziadelbuonselvaggioin
Rousseau,
all’"indolente
sensualità” in cui, secondo il
dottor Johnson, "ognuno
sprofonderebbe, senza più
curarsideglialtrieneppuredi
se stesso [...] se non si
facessero mai sentire né
malattie né povertà". La
povertà stimola a vincere la
naturale indolenza: l’uomo
agiscesolosottolasferzadel
bisogno. Lo spettro della
povertà sprona l’uomo a "un
virilecimento”,dicenel1833
ilcalvinistascozzeseThomas
Chalmers (anch’egli, come
Malthus
e
Townsend,
predicatore).
Ecco perché, per una
lunga tradizione di pensiero
che va da Joseph Townsend
nel Settecento a Robert
Nozicknegliannisettantadel
Novecento,ogniassistenzaai
poveriècontroproducente,in
un’ennesima
variazione
dell’argomento
della
perversione, come lo chiama
Hirschman. (Questa tesi è
oggi ripetuta pari pari nel
dibattito
sulla
sovrappopolazione nel Terzo
mondo:ogniaiutoumanitario
aumenterebbe la popolazione
e aggraverebbe perciò la
miseria:fatelimoriredasoli.)
Per
Nozick,
che
ha
riformulato la teoria dello
statominimo,lostatononha
obbligo di assistere i poveri,
anzi in linea di principio è
immoralechelofacciaperché
nonpuòappropriarsideibeni
diunindividuoperdarliaun
altro: "La tassazione sui
redditi da lavoro è alla
stregua del lavoro forzato”.18
Per il reverendo Townsend,
invece, le leggi sui poveri
favoriscono i mali che
dovrebbero
combattere,
incoraggiano imprevidenza e
indolenza e distruggono
“speranza e paura” che sono
"lemolledell’industria".
Questa tesi ha trovato i
consensi più inaspettati. La
commissione inglese sulla
legge sui poveri trovò nel
183319 che la cassa per i
poveri rovinava il paese ed
“era un ostacolo per
l’industria,unaricompensaai
matrimoni sconsiderati, uno
stimolo all’aumento della
popolazione; eliminava gli
effetti dell’aumento della
popolazione sul salario; era
un’innovazione
nazionale
avente
lo
scopo
di
scoraggiare
gli
uomini
diligentieonestieproteggere
i pigri, i viziosi, gli
irriflessivi;spezzavaivincoli
familiari,
ostacolava
l’accumulazione di capitali,
dissolvevailcapitaleesistente
e rovinava il contribuente”.
Argomenti usati anche oggi
controiprogrammipubblici.
Il fatto più curioso è che
un comunista come Engels
condivideva
queste
conclusioni:
“L’assistenza
favorisce la pigrizia e
l’aumento della popolazione
‘superflua’. Nelle attuali
condizioni sociali è chiaro
cheilpoverovienecostrettoa
essere egoista e che, se è
libero di scegliere e può
vivere ugualmente bene,
preferisce non far nulla
piuttosto che lavorare. Ma
l’unica conclusione è che gli
attuali rapporti sociali non
valgono nulla, non già, come
concludevano i commissari
malthusiani, che la povertà è
un delitto da trattare sulla
base della teoria della
dissuasione mediante il
terrore”.20
Alla stessa conclusione
cui giungevano il reverendo
Townsend e il comunista
Engels perveniva nel 1795
anche il libertino marchese
Donatien-Alphonse-François
deSade.Ilpiù"sadiano”trai
personaggideLaphilosophie
dans le boudoir, Dolmancé,
così
definisce
la
“beneficienza”:
Abitua il povero ad
aiuti che ne dissipano
l’energia; costui non
lavora più perché conta
sulla vostra carità e
quando questa comincia
a mancargli diventa un
ladro o un assassino.
Sento che tutti si
domandano come poter
eliminare
l’accattonaggio e nel
frattempo seguitano a
farequellecosechenon
possono
che
moltiplicarlo.
Ma
domando e dico: non
volete aver più mosche
nellavostrastanza?Non
lasciate più in giro lo
zucchero che le attira!
Nonvoletepiùpoveriin
Francia? Non distribuite
più
elemosine
e,
soprattutto, eliminate le
case
di
carità!
L’individuo
nato
nell’indigenza,
vedendosi privato di
questepericoloserisorse,
impiegherà tutte le sue
forze e i mezzi ricevuti
dalla natura per tirarsi
fuori dallo stato in cui è
nato,
e
non
v’importunerà
più.
Senza pietà distruggete
dalle fondamenta queste
detestabili case dove
avete la sfrontatezza di
accogliere i frutti del
libertinaggiodelpovero,
cloache spaventose che
vomitano ogni giorno
nella società uno sciame
disgustoso di nuovi
individui che possono
sperare solo nel vostro
portafoglio.21
Ognuno con i suoi scopi,
Townsend per instillare i
principi morali, Engels per
sovvertire i rapporti sociali,
Dolmancé per rivalutare le
pratiche di “controllo delle
nascite”
-
sodomia,
masturbazioneeinfanticidio, ognuno però condivide
l’ideacheaiutareipoverisia
controproducente,
che
l’individuo abbandonato a sé
sia indolente, che solo la
sferza del bisogno lo spinga
ad agire. L’idea che la
povertà
sia
educativa,
ortopedica:
raddrizza
l’ignavia.
Anche
al
di
là
dell’Atlantico l’assistenza a
domicilio era considerata
dannosa. Nel 1821, nel suo
rapportoallacommissionedel
Massachusetts sui poveri,22
Josiah Quincy scrive: “Più
assisteteipoveri,piùdovrete
assisterne”; "il modo più
disastroso di soccorrere i
poveri, il più costoso, il più
nefastoperilorocostumieil
più distruttivo per le loro
abitudini di lavoro, consiste
nell’aiutarli in seno alla loro
famiglia”.Tantopiùchenegli
StatiUniti-agliocchiditutti
gli americani, allora come
oggi-vigeilmiglioreregime
politico della storia. Da qui
una
sola
conclusione:
"Poiché, malgrado le ragioni
che rendono la povertà
impossibile negli Stati Uniti,
tuttavia i poveri esistono,
costoro devono portarla in se
stessi” (Castel). La povertà è
un male morale; l’individuo
povero è povero, difetta di
soldi, perché ha in sé difetti
morali, manca di virtù. “Le
cifre ufficiali mostrano
quanto grande è la parte del
pauperismo che, nella città
come nello stato, è causata
dalla
pigrizia,
dall'
intemperanza, dagli altri
vizi,” afferma la New York
AssociationforImprovingthe
ConditionofthePoornelsuo
Tredicesimo
rapporto
annuale(1856).
Comincia allora, già
nell’Ottocento,
quell’esercizio intellettuale
(dalle
pesanti
ricadute
politiche) che separa i poveri
“meritevoli [deserving]” - di
aiuto,diassistenza-daquelli
"immeritevoli”. Nel libro che
s’intitola
appunto
The
Undeserving Poor, Michael
Katz ritraccia il dibattito
politico e sociologico dalla
"guerra alla povertà” di
Lyndon Johnson negli anni
sessantaalla“guerracontroil
welfare” di Ronald Reagan
negli anni ottanta. La
dicotomia
meritevole/immeritevole
appare già nel 1821 quando
Josiah Quincy distingue due
tipi di poveri: “il povero
impotente,nellacuicategoria
sono inseriti tutti coloro che
sono totalmente incapaci di
lavorare, per vecchiaia,
infanzia,
malattia
o
invalidità”. Poi ci sono i
"poveri capaci [...], tutti
coloro che sono capaci di
lavoro, di un tipo o di un
altro,machedifferiscononel
grado di capacità e nella
specie di lavoro di cui sono
capaci”.23
Vi sarebbe quindi una
povertà inevitabile, e una di
cui è invece responsabile
l’individuo. Poiché vi è una
povertà inevitabile, e poiché
le risorse per lenirla sono
limitate, diventa essenziale
setacciare il grano dal loglio
e, nella società, ogni giorno
impersonare il dio del
giudiziouniversale:separarei
salvati
dai
sommersi.
Filantropi, operatori sociali,
governi s’impegnano perciò
in una snervante opera
classificatoria per distinguere
i poveri meritevoli da quelli
non (o solo in parte)
meritevoli, e quindi definire
l’assistenza che ognuno deve
ricevere, i diversi gradi di
punizione intrinseci nella
carità e, infine, i rimedi
moralidaapportareallecause
moralidellapovertà.
***
Siccome i pubblici poteri
non osano “condannare i
poveri alla pena di morte per
fame" (Engels), vanno fissati
parametri “oggettivi” per
definire la povertà. Quello
che - abbiamo visto in
Hobohemia - è uno
slittamento continuo (spesso
nella stessa persona) dalla
classe
operaia
alla
marginalità,
dalla
disoccupazione
al
vagabondaggio, deve essere
risistematoinunatassonomia
discontinua,
una
classificazione che separi i
poveri dai non poveri.
Bisogna stabilire una “soglia
dipovertà”,unpo’comel’età
della pensione definisce una
sogliadivecchiaiaerisponde
alla domanda: in che anno si
è vecchi? Così: sotto che
reddito si comincia a essere
poveri?
Per definire la soglia di
povertà, gli enti assistenziali
americanihannofattousodel
“coefficiente di Engel” dal
nome di un direttore
dell’istituto prussiano di
statistica,ErnstEngel:questo
sagace funzionario aveva
notato nel 1857 che c’è una
relazioneinversatraredditoe
percentuale di spesa per il
cibo: la parte di reddito
consacrata all’alimentazione
scema via via che il reddito
cresce. Le famiglie più
povere mangiano peggio, ma
dedicano al cibo una parte
maggiore dei propri soldi,
mentre le più ricche
mangiano meglio, spendono
di più in assoluto per il
nutrimento, ma vi dedicano
unafettaminoredelleentrate.
Si può quindi calcolare un
coefficiente (coefficiente di
Engel) che, moltiplicato per
la spesa minima del cibo,
fornisce una stima del
bilanciototaleminimosottoil
quale si è poveri. Se M è la
spesaminimaperilciboedE
è il coef-fidente di Engel, il
reddito minimo C per
emergeredallapovertàèC=
MxE.24
Questa definizione basatasullapurasussistenzaspiegaperchéneipaesiricchi
siano considerate povere
persone con redditi che
sarebbero lauti nel Terzo
mondo. Negli Stati Uniti la
soglia di povertà per una
famiglia di quattro persone
era fissata nel 2002 a 18.400
dollari l’anno,25 mentre in
India lo stipendio di un alto
funzionariostatalenonsupera
i 5000 dollari. Il fatto è che,
solo per mangiare, una
famiglia americana non può
spendere meno di 4600
dollari.
Ma qual è la spesa
minima per il cibo? Negli
anni quaranta la Social
SecurityAdministration(Ssa)
eseguì calcoli pignoli sul
fabbisogno giornaliero in
calorieesullorocosto.Mail
bisogno di calorie varia da
1200-1800 per un bambino
sotto i dieci anni a 4500 per
unbracciante.Inoltrenessuno
riesce mai a comprare
sistematicamente i cibi meno
cari. Nessuno chiede al
negoziante: “Per favore mi
diale2000caloriepiùabuon
mercato che ha”. Il paniere
minimo di spesa per il cibo
risulta quindi largamente
arbitrario.
Un secondo problema sta
nel valore stesso del
coefficiente di Engel. Nel
1954
il
dipartimento
dell’Agricoltura lo stimò a
0,33perunafamigliaditreo
più
persone.
Ma
il
dipartimento del Lavoro lo
stimòa0,25perunafamiglia
di tre o più persone. Queste
differenze
sembrano
bizantine ma cambiano il
destinodimilionidipersone.
Secondo
le
definizioni
correnti, l’ufficio statistico
Usa contava nel 2002 34,6
milioni di poveri (il 12,1%,
unamericanosuotto).Mase
la soglia di povertà fosse
spostata di un 25%, i poveri
sarebbero 49,3 milioni, il
16,5% della popolazione.26
Questa differenza nei calcoli
fa sì che 15 milioni di
personeentrinoononentrino
nei programmi federali e
statali, usufruiscano o meno
di refezioni a scuola, di
assistenza medica gratuita, di
tesserealimentari.
Definire la soglia di
povertà è oggetto di lotta
politica. A seconda delle
definizioni,cipossonoessere
22 milioni di poveri in più o
in meno (quanto tutti gli
abitanti di Olanda e
Danimarca messi insieme).
La questione non riguarda
sololoro,riguardal'immagine
complessiva della società
americana. Nel primo caso,
nel paese più ricco e più
tecnologico del mondo vi
sono certo ben 35 milioni di
poveri,mavisonoanche247
milioni di non poveri.
Sarebbe allora vero quel che
il
presidente
Hoover
sosteneva proprio un minuto
prima della grande crisi del
1929: "Mai l’umanità è stata
più vicina a realizzare la
soppressione della povertà”.
Nel secondo caso invece
meno di 224 milioni di non
poverifronteggianopiùdi57
milioni di poveri. La
differenza è quella tra una
riuscita e un fallimento.
Definire la soglia di povertà
non è una questione
accademica, come già ben
sapevaJosiahQuincy:cambia
la vita di milioni di persone,
definisce le dimensioni
dell'apparato assistenziale,
stabilisce l’ammontare della
spesa pubblica, influisce
sull’idea che ci facciamo
della società, indirizza le
sceltepolitichedellapubblica
opinione.
L’esempio più vistoso lo
offre la definizione di
disoccupato. Ovunque si
sente dire che flessibilità,
mobilità
del
lavoro,
diminuzione degli oneri
sociali, riduzione dei salari
effettivi, hanno creato negli
Stati Uniti milioni di posti di
lavoro tanto che lì il tasso di
disoccupazione oscillerebbe
trail5eil6%controun10%
e passa in Europa. Da qui
l’invito a seguire il modello
americano per creare posti di
lavoro.
La
definizione
americana di disoccupato
diventa perciò un’arma
politica in Europa. Ma negli
Stati Uniti 2,1 milioni di
detenuti sono esclusi dalla
forza lavoro e sono perciò
esclusi dal computo dei
disoccupati (e già questo
farebbe salire dell’1,5% il
tasso di disoccupazione). Per
di più, molte persone,
scoraggiate, non si iscrivono
piùallelistedicollocamento:
dal 2001 al 2003 più di 4
milionidipersonesonouscite
dallaforzalavoro27(equesto
aggiungerebbe un altro 3%
alla disoccupazione e ci
troveremmogiàcosìailivelli
europei). Ma non basta: il
puntoèchenegliUsavigono
bencuriosicriteriperdefinire
la disoccupazione: "I civili
occupati comprendono tutti i
civilichedurantelasettimana
di
riferimento
hanno
compiuto per paga o per
profitto un minimo di un'ora
dilavoroolavorato15orela
settimana, o più, come
lavoratori
non
pagati
nell’impresa familiare [...]. I
disoccupati
comprendono
tutti i civili che non hanno
avuto lavoro durante la
settimana di riferimento, che
hanno fatto sforzi specifici
per trovare un lavoro nelle
precedenti quattro settimane
(come
fare
richiesta
direttamente a un datore di
lavoro o a un servizio di
collocamento pubblico o
provare [checking] con
amici), e che erano
disponibili a lavorare in
quella settimana, tranne se
temporaneamente malati”.28
Ovvero, negli Stati Uniti una
personahaunpostodilavoro,
non è disoccupata, se è stata
retribuitaperuna sola ora in
tuttalasettimanaprecedente!
Se
in
Europa
la
disoccupazione fosse definita
con gli stessi criteri, anche
qui
apparirebbero
improvvisamente milioni di
postidilavoro.
Ilfattoèchequesticriteri
nonsonoinnocenti.DalNew
Deal, da quando nel 1935 il
presidente Roosevelt fece
votare il Social Sécurity Act,
c’è negli Stati Uniti un
sussidio di disoccupazione
finanziato da una specifica
tassa federale. Nel 2001 ne
hanno beneficiato 10 milioni
di americani, con un sussidio
medio di 238 dollari la
settimana, per una spesa
complessiva di 31,6 miliardi
di dollari.29 Se i criteri di
disoccupazione fossero più
realistici (tipo non aver
lavorato nemmeno 15 ore la
settimana
precedente)
raddoppierebbe il numero
degliaventidirittoalsussidio.
La filosofia è: non si può
abrogare il Social Security
Act, ma si restringe il suo
campodiapplicazione,sitira
suicentesimi.
Il punto non è tanto
l’avarizia,èlapignoleriacon
cuisiformulanodefinizionie
sottodefinizioni. A guardarlo
da fuori, questo indefesso
sottilizzare sulle categorie
puòparerefarneticante,quasi
la guerra raccontata da
Jonathan Swift tra piccolipuntisti e grandi-puntisti
nell’isola di Lilliput, dove
Gulliver assiste ai massacri
trachivuolerompereleuova
à la coque dalla parte della
puntagrandeechidallapunta
piccola. Però, come avviene
perognifrontiera,tracciareil
confineèsìunattoarbitrario
ma, una volta definito, esso
separa davvero un dentro da
unfuori,unNoidaunVoi.
Da un lato questa
dicotomia non ha nulla di
reale (avere un lavoro se si è
pagati un’ora alla settimana),
dall’altro essa produce una
suarealtà:separachiriceveil
sussidio di disoccupazione e
chi non lo riceve e chi,
lavorando solo un’ora la
settimana, non ha diritto al
sussidio, ma è considerato
working
poor,
riceve
Medicaid,
tessere
alimentari, rientra nelle
graduatorie per un alloggio
nell’edilizia popolare. È una
situazione ambigua che un
ingenuo attribuirebbe alla
disoccupazione (e ai criteri
perdefinirla).Lostatoperòla
classifica sotto la rubrica
dell’indigenza: il riflettore è
spostato dalle politiche del
lavoro alle opere di
beneficienza.Ipoteripubblici
e la pubblica opinione non
amano queste situazioni
grigieincuinonc’èbiancoe
nero, povero e agiato,
disoccupatoeoccupato,incui
le "colpe” non sono
nettamenteattribuibili.
C’è qui uno stato di
disagio, di ristrettezze, tipico
diHobohemia,doveildentro
e il fuori non sono più così
definiti,doveappareillusoria
la distinzione di Quincy tra
chiècapacedilavorareechi
è incapace, dove non si sa
distinguere
tra
povero
meritevole
e
povero
immeritevole.
Hobohemia
suscitava
ostilitàancheperaltrimotivi.
Innanzitutto essa costruiva
una comunità. Non c’era più
l’emarginato
singolo,
l’escluso
atomizzato,
letteralmente "sperso”, ma
una sottosocietà con una sua
cultura, sue gerarchie, servizi
sociali,un-poveromavivotessuto economico fatto di
lavoretti, commerci, baratti e
favori. Gli Hobohemians
contrastavano con lo stile di
vita americano, erano celibi
in un mondo che idolatra i
quadretti
familiari,
detestavano i suburbi in una
società che li adora, e
amavano vivere nel centro
città
dove
potevano
incontrarsi e usufruire di
servizi e comodità altrimenti
indisponibili:
paradossalmente sono gli
stessi motivi che spingono
oggi i giovani yuppy ad
abitare
nelle
asettiche
PresidentialTowers.
Per la sua vicinanza al
centro
degli
affari,
Hobohemia era altamente
visibile.Equestavisibilitàdà
fastidio più di tutto il resto.
Se almeno i poveri si
decidessero a farsi invisibili!
È il fastidio la ragione
profonda che ha spinto le
pubbliche autorità a chiudere
il mercato delle pulci di
Maxwell Street, a radere al
suolo gli alberghetti di West
Madison, la Skid Row di
Chicago, e a costruirvi le
Presidential Towers a gran
spese dello stato. La stessa
ansia di nascondere i poveri
che,aldilàdell'Atlantico,nel
1994, spingeva il premier
britannico, il conservatore
John Major, ad attaccare i
mendicanti: la loro vista "è
offensiva”, essi nuocciono ai
commercianti e allontanano i
turistidallecittàe,seproprio
non vogliono usufruire del
welfare,chesianomandatiin
prigione.30
Quest'ansia supera le
barriere del tempo e della
politica. Nel 2000 "The
Observer” titolava: “Officiai:
Givingtobeggarsiswrong”31
per dare la notizia che il
governo laburista di Tony
Blairavevastanziato240.000
sterline per lanciare una
campagnachedissuadessedal
dare l'elemosina. Come non
pensare a quella fantastica
lettera, riportata da Engels,32
cheunadistintasignoraspedì
al"ManchesterGuardian”nel
1845?
Signor direttore, da
qualche tempo per le
strade principali della
nostra città s’incontra
una moltitudine di
mendicanti i quali, in
parte coi vestiti laceri e
l’aspettomalato,inparte
mettendo a nudo piaghe
e deformità ripugnanti,
cercano di suscitare la
compassione
dei
passanti in modo spesso
assai impudente e
molesto.
Sono
dell’opinione
che,
quando si paga non
soltanto la tassa per i
poveri,
ma
si
contribuisce
generosamente
alle
istituzioni benefiche, si
siafattoasufficienzaper
avere il diritto di esser
preservati
da
tali
sgradevoli e impudenti
molestie; e perché mai
dunque si pagano tasse
così elevate per il
mantenimento
della
polizia cittadina se
questa non provvede
neppure a far sì che si
possa girare indisturbati
perlacittà?
1CharlesHoch,RobertA.
Slayton, New Homeless and
Old.CommunityandtheSkid
Row
Hotel,
Temple
UniversityPress,Philadelphia
1989,pp.183-185.
2Ivi,pp.88-89.
3Ivi,pp.11-12.
4R.A.Slayton,Backof
theYards,cit.,pp.124-125.
5 F. Engels, La
situazione
della
classe
operaiainInghilterra,inKarl
Marx-Friedrich
Engels,
Opere complete, cit., vol. iv,
p.269.
6R.A.Slayton,op.cit.,p.
19.
7 Nels Anderson, The
Hobo. The Sociology of the
Homeless Man (1923),
Chicago University Press,
Chicago 1961, trad. it.
Donzelli,Roma1994,p.18.
8 C. Hoch, R.A.
Slayton,op.cit.,pp.36-40.
9N.Anderson,op.cit.,
p.105.
10Ivi,p.205.
11
W.R. Patterson,
Pawnbroking in Europe and
theUnitedStates,in“Bulletin
of Labor 21”, marzo 1899,
Government Printing Office,
Washington D.C., pp. 256279, citato in C. Hoch, R.A.
Slayton,op.cit.,pp.33-34.
12 Luciano Gallino,
Dizionario di sociologia,
Utet, Torino 1978, s.v.
Povertà,p.536.
13
Robert Castel, La
“guerre à la pauvreté” aux
États Unis, in “Actes de la
recherche
en
sciences
sociales”, n. 19, gennaio
1978, pp. 47-60, da cui sono
trattelecitazioniseguenti.
14F.Engels,op.cit.,p.
501.
15JosephTownsend,A
Dissertation on the Poor
Laws, by a Well-wisher to
Mankind (1786), California
University Press, Berkeley
1971, pp. 37-40 (il corsivo è
mio).
16 J. Parton, Chicago,
cit.,p.330.
17 Antonello La
Vergata,NonostanteMalthus.
Fecondità, popolazioni e
armonia della natura, 17001900, Bollati Boringhieri,
Torino 1990, pp. 72-80, da
cui sono tratte le citazioni
seguenti.
18
Robert Nozick,
Anarchy, the State and
Utopia, Basic Books, New
York1974,p.169.
19 Estracts from
Information received by the
Poor Law Commissioners,
Published by Authority,
London1833,p.xvi,citatoda
F. Engels, op. cit., p. 503 (il
corsivoèmio).
20F.Engels,op.cit.,p.
503.
21 Donatien-Alphonse-
François de Sade, La
philosophie dans le boudoir
(1795), Gallimard, Paris
1976, pp. 76-77, trad. it.
Newton Compton, Roma
1974,p.83.
22 Report of the
MassachusettsGeneralCourt
Committee on Pauper Laws,
Albany 1821, citato da R.
Castel,op.cit.,pp.49-50.
23 Citazioni tratte da
Michael B. Katz, The
Undeserving Poor. From the
WartoPovertytotheWaron
Welfare, Pantheon Books,
NewYork1989,pp.12-1.V
24 Martin Rein,
Problems in the Definition
and Measurement of Poverty
in Peter Townsend (a cura
di), The Concept of Poverty,
Heinemann, London 1970, p.
50. Questo volume è
fondamentale
per
la
discussione sul concetto di
povertà.
25 U.S. Bureau of the
Census,PovertyintheUnited
States:
2002,
Current
Population
Reports,
Government Printing Office,
Washington D.C. settembre
2003.
26Ivi,tav.5.
27 “The New York
Times”,27aprile2003.
28 U.S. Bureau of the
Census,StatisticalAbstractof
the United States 2002,
Government Printing Office,
Washington D.C. 2002, p.
364(ilcorsivoèmio).
29Ivi,tavv.528e529.
30Serviziinprimapagina
del
“Guardian”
e
dell’“Independent” del 28
maggio1994.
31 Ufficiale: dare ai
mendicanti è sbagliato, in
“The Observer”, 8 ottobre
2000.
32F.
Engels, op. cit., pp.
496-497.
6.Allamensadella
natura
Ci vuole la luce delle
fiamme per richiamare lo
sguardo su quella particolare
istituzione statunitense che
sono gli "Sro hotel" (Sro sta
per Single room occupancy),
alberghetti
a
tariffa
settimanale bassissima dove
risiede chi non può
permettersi un appartamento,
il lavoratore povero, la
pensionata, il beneficiario di
un
sussidio
di
disoccupazione.
Questi
alberghetti erano tipici delle
SkidRowse la loro zona era
chiamata Sro district. Le
fiamme sono quelle che
periodicamente
li
distruggono, in un vero e
proprio stillicidio: un morto
qui,dueferitilì.L’ultimofalò
digrandidimensionièstatoil
J.R. Plaza Hotel, noto però
come lo Zanzibar. Cento
ospiti
dovettero
essere
evacuatiil14febbraio1999e
tre rimasero gravemente
feriti.Manonsemprevacosì
bene, anzi la storia di
Chicago è costellata dai
bagliori di questi roghi che
inceneriscono decine di -
letteralmente-poverevite.A
Chicago, il 12 febbraio 1955
un rogo divampò nel Barton
Hotel, su West Madison: vi
morirono 29 persone. Il 14
marzo 1981, un cortocircuito
nella lavanderia del Royal
BenchHotelinnescòilfuoco.
Tra le macerie restarono 19
cadaveri.Il16marzo1993,le
fiamme distrussero il Paxton
Hotel, 130 stanze, a pochi
isolati dal Magnificent Mile,
ilvialedilusso.Anchequi19
imorti(e30iferiti).
Gli Sro sembrano molto
propensi a bruciare. La loro
infiammabilità
è
tanto
proverbiale che nel 1990 la
più famosa scrittrice di gialli
diChicago,SaraParetsky,ha
incentrato un romanzo, Bum
Marks (Scottature),1 proprio
sul rogo di uno Sro. La sua
eroina, l’investigatrice Vie
Warshan-ski,
tipica
Chicagoan figlia di un
polacco
e
di
un’italiana,
divorziata,
accanitapraticantedijogging,
indaga su quest’incendio
doloso
perché
nell’alberghetto viveva una
sua vecchia, disastrata zia,
devotaallabottiglia.
Sara Paretsky riprende il
luogo comune: se Sro hotel
significaSkidRow,SkidRow
vuol dire alcolismo. Già nel
1827iGuardianideipoveridi
Filadelfia mettevano in
guardialealtrecittà:“Daitre
quarti ai nove decimi dei
poveri del nostro paese
possono attribuire la loro
degradazione
al
vizio
d’intemperanza”.2 Gli Sro
devono portare impresse le
stigmatedelvizioedell’alcol
perché
altrimenti
mostrerebbero la povertà
nelle sembianze che i
modernipiùdetestano,quelle
della ristrettezza sciatta, di
uno squallore liso, ma senza
tragedie.
La
povertà
impietosisce o indigna solo
nelle sue forme spettacolari,
adeguate alla commozione
dei tg che mostrano il
derelittocopertodistracci,la
barbona che giace assiderata
sotto un foglio di giornale.
L'homeless estremo, in
quanto inerme, esprime il
“povero meritevole”. Questi
poveri totali sono però
relativamente
rari.
“A
Chicago si contano 40.000
homeless·, a pernottare in
strada tutto l’anno sono 1215.000, mentre i Chicagoans
che vivono sotto la soglia di
povertà sono quasi un
milione,” mi diceva Charles
Hoch:12.000homelessinuna
metropoli
sembrano
"normali”, ma un milione di
poveri nella sola Chicago è
unacifraspaventosa.
Nell'insieme degli Stati
Uniti, la proporzione è circa
lastessa,diunhomelessogni
500 abitanti, un homeless
ognisessantapoveri:equesta
percentuale
è
rimasta
notevolmente stabile negli
ultimi quindici anni. Nel
2002, gli americani sotto la
soglia della povertà erano
ufficialmente 34,6 milioni,
mentre
gli
homeless
“cronici", per quanto di
difficile stima, erano valutati
intorno al mezzo milione:
secondo il Department of
Health and Human Services,
ogni notte sono senza tetto
circa 600.000 americani (uno
su 500 circa), mentre circa
1,7 milioni di giovani hanno
avuto almeno un’esperienza
di senza tetto nell’ultimo
anno.3 Solo da poco più di
ventanni gli homeless sono
diventati il pubblico simbolo
della miseria (l'houseless
dell’Ottocento è ora slittato
nell'homeless, quasi un
passaredal“senzadimora”al
“senza focolare”): homeless
non è solo una condizione, è
una categoria. Nel 1975 non
cera
un
solo
studio
sociologicosuglihomeless in
quanto tali; nel 1984 erano
34, nel 1986 erano 48 e nel
1988 i titoli sul tema
riempivano più di sessanta
pagine di bibliografia a
spazio uno.4 Ridurre agli
homeless la categoria del
“povero meritevole” fa
puntare i riflettori sulla
povertàestremaedimenticai
working poors; commisera
chi è già nel baratro e lascia
nell’ombra chi è in bilico;
accresce la distanza tra
benefattore e beneficiato;
soprattutto, taglia il numero
dei “meritevoli”, genera una
concezione
emergenziale
della pubblica assistenza. Si
aiutano gli homeless come si
soccorrono gli alluvionati (la
miseria come catastrofe
naturale).
Certo,dagliannisettantai
senzatetto sono cresciuti, ma
in parte proprio per
l’attenzione rivolta loro.
NeglianninovantaaChicago
17.000 persone vivevano in
Sro: tante, ma poche rispetto
agli anni sessanta quando in
città c’erano ben 80.000
camere. In quarantanni anni
le successive bonifiche
urbanenehannodemolitepiù
dell’80%, per radere al suolo
le Skid Rows, con l'alibi
ufficiale di trovar loro una
sistemazione più "dignitosa”,
secondol’ideacheiburocrati
dell’assistenza si fanno della
dignità,
un’idea
ammoniacale,
detersiva,
insetticida, al linoleum. Un
concetto di dignità respinto
dagli ospiti degli Sro che
ostinatamente,
a
ogni
sondaggio, per più del 90%
ripetono di essere assai
soddisfatti
del
loro
albergatoriomododivivere.
Questo smantellamento
delle Skid Rows, e delle loro
comunità umane, ha colpito
tutti gli Stati Uniti: secondo
Katz, tra il 1970 e il 1982
sono svanite in tutto il paese
piùdiunmilione(1.116.000)
di unità monolocali. Nel
frattempo, il prezzo degli
affitti
è
salito
vertiginosamente, tanto che
sette milioni di ménages
spendono in affitto più della
metàdelproprioreddito.
Nell'ediliziapopolare,una
situazione già rovinosa è
diventata catastrofica. Si
pensichenel1980,negliStati
Uniti solo l’l% del mercato
immobiliare era di proprietà
pubblica, contro il 46% in
Inghilterra e Galles (prima
delle
privatizzazioni
thatcheriane) e il 37% in
Francia.5 Solo così si spiega
quel retrogusto di assurdità
percepibile negli Sm: se uno
non ha abbastanza soldi per
affittarsi una casa, finisce in
un albergo. Sembra il "non
hanno pane? Allora dategli
brioche” attribuito a Maria
Antonietta. Anche perché gli
Sro, per quanto a buon
mercato, non sono regalati.
Allo Zanzibar nel 1999 una
stanza costava 125 dollari la
settimana, 540 dollari al
mese.6 Sei anni prima al
Paxton una stanza veniva 90
dollari la settimana, 380 al
mese. Hitte e due le tariffe
eranosolodipocoinferiorial
prezzoacuisipotevaaffittare
un monolocale decente a
Chicago. Solo che per
affittare un monolocale ci
vogliono due mesi di
anticipo, bisogna pagare con
cartadicreditooconassegni.
Così i 50-60 dollari di
differenza tra la pigione allo
Zanzibar e l’affitto in un
quartierepopolarespalancano
unbaratroincolmabiletragli
integratiei"disintegrati”,tra
lamiddleclasseipoveri.
D’altra
parte,
che
alternative avrebbe un ospite
di Sro? Forse un alloggio
popolare, se vincesse alla
lotteria delle assegnazioni.
Ma chiunque preferirebbe
dormire sul marciapiede pur
di non finire nei complessi
popolari come Cabr-ni-Green
o Taylor Homes, divenuti
sinonimo di giungla urbana,
dove accade persino che un
bimbo sia ucciso da una
pallottolavagantementrevaa
scuola.Restanoglishelters.
***
Ogni pomeriggio una
lunga fila, per lo più di neri,
si snoda sul marciapiede di
State Street, all’angolo con
Balbo,inunazonachepuresi
starigentrificando.7Èunodei
49 temporary shelters che
elenca l’Housing and Urban
Development
(Hud),8
suddividendoli in shelters
dalla violenza domestica,
shelters transitori (massimo
120 giorni di permanenza) e
in ovemight (massimo 12
ore),divisirigorosamenteper
sesso (la povertà va soccorsa
solo se astinente). Alcuni
shelters sono specializzati in
giovani, altri in disabili
mentali, altri in homeless
vétérans. Gli aspiranti a un
letto s'incolonnano presto,
pronti a una lunga attesa,
perché anche qui vale la
regola dei parchi nazionali:
first come, first served, “chi
primo
arriva,
meglio
alloggia”:
non
c’è
prenotazione. Perciò questo
rito si ripete a ogni calar del
sole, e poi, una volta entrati,
non si può più uscire da
questo luogo senza intimità,
doveinteoriaèvietatoanche
bere una birra: non si può
negaresoccorsoaipoveri,ma
l’aiuto deve essere elargito
con la stessa parsimonia che
si vuole inculcare in questi
incorreggibili "imprevidenti”.
L’assistenza deve essere
disagevole, deve sanzionare
l’indegnità di chi ne
beneficia, funzionare come
undeterrentechescuotadalla
colpevolepigrizia.
Negli anni ottanta, più si
disquisivadihomeless,piùsi
moltiplicavano gli shelters,
perché le stesse politiche che
offrono
un'immagine
melodrammatica, operistica,
della povertà moltiplicano i
poveri; perché le bonifiche
urbane
eliminano
le
alternative
ai
rifugi
(demoliscono
gli
Sro);
perché,
impostando
il
problema della povertà in
termini di tetto, pensano i
suoi rimedi come puri
"ripari’’,
come
“tetti”
appunto: a Chicago, nel
novembre 1982 i dormitori
temporanei avevano meno di
700 posti letto. Quattro anni
dopo, erano già 2000.9 Gli
shelters sono fioriti nell’era
di Reagan come dal 1820
proliferarono le almshouses,
case di carità. Nelle
almshouses
erano
ammucchiati
indigenti,
ciechi, vecchi, orfani. Nelle
almshouses
i
miseri
trovavano rifugio ma anche
controlloepunizione.
Gli shelters, come le
almshouses,
cancellano
l’autonomia degli ospiti. Gli
alberghi Sro si addensavano
in zone con una vita di
quartiere, con un tessuto di
relazioni. Gli shelters sono
dispersinellacittà:perridurre
la visibilità dell’indigenza, la
atomizzano.Nell’albergoSro,
la persona è un individuo
indipendente, con il suo
fomelletto, la possibilità di
leggere,bere,ricevere,lasua
intimità.Nelloshel-ter,èuno
sfollato che va accudito e
controllato. La categoria
decisiva è quella dell
'accudire, e sorvegliare, che
si
prolunga
anche
nell’assistenza a domicilio. Il
problema è sempre quella
"regolamentazione
dei
poveri” cui Frances Fox
Piven e Richard Cloward
dedicarono uno studio ormai
classico. Madri abbandonate
dal marito, e perciò assistite
dal
welfare,
subivano
ispezioni di mezzanotte
(midnight
raids)
per
verificare che l’uomo non
dormisse a casa di nascosto.
Se le donne protestavano, i
giudici
sentenziavano:
“Chiunquebeneficidiaiutiha
perfettamente il diritto di
sbatterelaportainfacciaagli
ispettori. Ma certo corre il
rischio di essere cancellato
dalle liste”.10 Lo stesso
rischio lo correvano le madri
il cui alito, durante le
ispezioni, sapeva di whisky
ed erano ritenute indegne
dell’aiutostatale.
Se "la filantropia diventa
una
strategia
politica”
(Castel), deve incorporare
almeno
un
elemento
umiliante,perquantopiccolo,
che funga da segnaletica
ideologica: nessuno può
usufruire a cuor leggero del
pubblico aiuto; sarebbe
diseducativo
e
disgregherebbe i valori
sociali.
Non
si
può
impunemente necessitare di
assistenza, altrimenti si
aprirebbe la strada alla
perniciosa,
“sensuale
indolenza” di cui parlava il
dottor
Johnson.
Nei
supermercati dei quartieri
popolari si accettano i Food
Stamps(i“bollini-cibo”).Nel
2001 7,4 milioni di famiglie
(17,3 milioni di persone)
ricevevano tessere alimentari
perunamediadiunpo’piùdi
2000dollariannuidialimenti
a nucleo. Solo che non li
ricevevano in denaro, ma
appunto in tessere, quasi si
fosse in tempo di guerra col
razionamento.
Il
razionamentoce,nondelcibo
ma della fiducia nel
raziocinio di chi riceve
l’aiuto. Buoni-pane o buonicarne al posto del denaro
segnalanoladiffidenza,come
i genitori che preparano la
merendaperscuolainvecedi
dare i soldini per comprarla
nel timore di un cattivo uso
del denaro. I Food Stamps
costituiscono l’esempio più
perfetto
della
pignola,
umiliante parsimonia con cui
unostatoocchiutoelargisceil
suo aiuto col contabriciole.
Lacertificazionedeicriteridi
povertàèminuziosa,fiscalee
siripeteperognunodeimille
programmidiassistenza.Solo
per quanto riguarda il cibo,
oltreaibollinialimentari,viè
un programma cibo per
mamme e bambini (nel 2001
ne usufruivano 4,5 milioni di
persone). Poi vi sono i buoni
pasto-scuola: buoni-breakfast
per 4,1 milioni di bambini e
buoni-lunch per 24,1 milioni
(in realtà a scuola vi sono
anche i buoni-latte); più altri
1,5 beneficiari di sussidi
alimentari per bambini e
anziani, per 8,9 milioni di
ragazzi di 5 milioni di
famiglie.111 Food Stamps
sono solo una tessera di un
complicato
mosaico
alimentar-assistenziale.
Contro i pregiudizi
correnti, negli Usa per lo
stato assistenziale i poteri
pubblici (federale e locali)
spendonoun’enormità e ogni
anno di più. Nel 2000 hanno
speso in welfare 1820
miliardi di dollari, un quinto
delProdottointernolordo.La
crescitapubblicaèproseguita
nell’era reaga-niana e nel
decennio successivo: dal
1980al2000èaumentatadel
370%indollaricorrentiedel
77% in dollari costanti. E la
somma che i poteri pubblici
spendonoinwelfareperogni
cittadino è passata (in dollari
costanti del 2000) da 4518
dollari nel 1980 a 6465 un
ventennio dopo12: il governo
deve tamponare quelle stesse
ferite sociali che la sua
politica fiscale e di spesa
produce.
Questa spesa spropositata
si disperde però in mille
rivoletti,ognunoatamponare
una falla qui, una falla là, a
lenire una specifica miseria
con il suo specifico apparato
burocratico, i suoi criteri,
ispezioni e certificati. Nella
ricerca affannosa di criteri
oggettivi,scientifici,disoglie
contabili,
lo
stato
assistenziale americano cade
nello stesso peccato di cui
accusa
i
poveri:
l’imprevidenza, la logica a
corto termine, lo spreco. Tra
la voce welfare del bilancio
Usa e una vera lotta alla
povertà, corre la stessa
differenza che passa tra una
spesa e un investimento: la
prima è puro onere, il
secondo è pensato in vista di
unfuturomiglioramento.
***
Non a caso il verbo più
usato nei confronti della
povertàè“alleviare”,comesi
alleviano i dolori di un
paziente. Dalla fine del
Settecento, da quando fu
elaboratoilconcettomoderno
di vivente, tutto era
paragonatoalvivente,lacittà,
la nazione, la società. Con il
positivismo
e
Auguste
Comte,lostudiodellasocietà
diventava una fisiologia del
corpo sociale. Come ogni
organismo, la società ha le
suepatologie,interesueparti
si ammalano; la società può
esserecolpitadacontagio,da
cancrena, da paralisi, da
convulsioni. Se la povertà è
una
malattia
sociale,
filantropi e governi possono
solo alleviarne i sintomi
perchéessaperunaparteèun
male incurabile, è fenomeno
naturale
dovuto
alla
"sfortuna”, per un’altra è
generata
dalle
malattie
morali,
dai
vizi
del
l’individuo (ecco il "povero
immeritevole”) e quindi non
rientra nelle competenze
sociali. Come le capre
dell’isola di Juan Fernandez,
gli umani più deboli e più
ignavi sono destinati a patire
fameesofferenze.Anchenel
darwinismosocialelapovertà
è incurabile, perché impressa
nel patrimonio genetico.
Come per un’altra “patologia
sociale”, la delinquenza, che
Cesare Lombroso vedeva
inscrittaneitrattisomaticidel
criminale, nelle sue “tare”,
cosìlapovertàèleggibilenel
bagaglioereditario.Comeper
i malthusiani, così per i
darwinisti (e per molti altri
successivi“scienziati”sonali)
ognimisuracontrolapovertà
potrà solo lenirne i sintomi,
sarà
perciò
palliativo,
analgesico, in definitiva
“tranquillante” (socialmente
parlando).
Rispetto alla teoria delle
cause morali, il darwinismo
sociale non colpevolizza più
l’individuo povero: si è
predisposti alla povertà come
al diabete. I darwinisti
cercavano cioè di mitigare la
condanna morale (e penale)
che si abbatteva sui poveri
mostrandocheessinonerano
responsabili. Il darwinismo
socialesipresentavacomeun
progressorispettoall’ideache
“la povertà è un vizio”. E da
uncertopuntodivistaloera:
da crimine volontario, la
povertà diventava delitto
involontario.
Solo
che
l’involontarietàhaunprezzo:
l’assoluta incorreggibilità - a
meno di procedere con una
sterilizzazioneeugeneticache
disinfetti l’umanità dai suoi
esemplari
“tarati”:
“Si
dovrebbe almeno impedire ai
deboli e inferiori di sposarsi
liberamente come i sani,”
scriveva lo stesso Charles
Darwin.13 Col darwinismo
sociale,l’individuononòpiù
colpevole della povertà, solo
che dal vizio morale si è
passati al vizio genetico che
riproduce la povertà come
"flagello inesorabile". È un
ciclo che si ripresenta spesso
in sociologia: con intenti
progressisti, le “scienze”
sociali elaborano una teoria
che scagioni i poveri, che
spieghiperchéècosìdifficile
combattere la povertà, che
individui
gli
ostacoli
(personalità,
patrimonio
ereditario,
ambiente,
mentalità).
Ma
questo
spiegare "perché il povero è
povero” finisce di nuovo con
l’incolpare la vittima della
suainfelicità.
Questo meccanismo è
lampante nella teoria della
"cultura della povertà”. Il
termine fu coniato nel 1959
dall’antropologoOscarLewis
chenegliannisessantascrisse
libri straordinari tratti dalle
testimonianze dei portoricani
a New York. Oscar Lewis
distinguelapovertàoggettiva
(penuria
economica,
indigenza) dalla cultura della
povertà che "è al contempo
un adattamento e una
reazione dei poveri alla loro
posizione marginale in una
società stratificata in classi,
molto
individualistica,
capitalista”.14
Così
nei
poveri,lapressioneesercitata
dai problemi di quotidiana
sopravvivenza
focalizza
l’attenzione sul presente; la
mancanza di opportunità
riduce le ambizioni; il
disprezzo circostante induce
un
senso
d’inferiorità;
l’incapacità degli uomini di
provvedere alle proprie
famiglie plasma nuclei
centrati sulle madri (mothercentered
households).
Un’altra caratteristica della
cultura della povertà è
"l’assenza della fanciullezza
come stadio particolarmente
protratto e protetto del ciclo
di vita”15 (a contrario, la
cultura del benessere si
misura dal protrarsi e dal
proteggersidell’infanziaoltre
iconfinibiologici).
Laculturadellapovertàè
quindi una risposta alla
pressione ambientale. Ma,
una volta generata, essa
“tende a perpetuarsi di
generazione in generazione a
causadelsuoeffettosuifigli.
Ifanciullideiquartieripoveri,
giunti all’età di sei o sette
anni, hanno già assorbito, di
solito, i valori e gli
atteggiamenti della loro
sottocultura e non sono
psicologicamentepreparatiad
approfittare appieno dì
mutamenti di condizioni o di
piùnumeroseopportunitàche
possono presentarsi nel corso
dellavita”.16 La trasmissione
generazionaleèdecisivanella
teoria di Oscar Lewis perché
fa passare da una reazione
presente a un'eredità dal
passato,perciòincancellabile.
È evidente la finalità “di
sinistra” di questa teoria:
vuole spiegare perché il
povero
incontra
tante
difficoltà a emergere dalla
povertà, perché il ciclo della
miseria si autoriproduce,
perché non basta il puro
sussidio materiale, ma serve,
si direbbe oggi, un attacco
“multidimensionale”. Quesia
finalità è chiara non solo in
Oscar Lewis, ma anche In
uno dei padri spirituali della
sinistra statunitense, Michael
Harrington. Nel suo The
Other America, libro chiave
per la riscoperta, negli anni
sessantadelNovecento,della
povertà americana, i poveri
sono “coloro che, per ragioni
aldilàdellorocontrollo,non
possono essere di aiuto a se
stessi. [...] La povertà negli
Stati Uniti è una cultura,
un’istituzione, un modo di
vita. Ce un linguaggio del
povero, una psicologia del
povero, una visione del
mondo del povero”.17 Lo
stessoOscarLewisscriveva:
Quando i poveri
comincianoadavereuna
coscienza di classe o a
essere membri attivi
delle
organizzazioni
sindacali, o quando
adottano un modo
internazionalista
di
vedere il mondo, non
fanno più parte della
cultura della povertà,
sebbene
possano
continuare a essere
disperatamente poveri.
Ogni movimento, sia
esso religioso, pacifista
o rivoluzionario, che
organizza e dà speranze
ai poveri e promuove in
modo
efficace
la
solidarietà e un senso
d’identificazione
con
gruppi più numerosi,
distrugge il nucleo
psicologico e sociale
della cultura della
povertà.18
Ma nel giro di dieci anni
la "cultura della povertà” era
diventata
un
potente
strumento teorico in mano ai
conservatori. Mentre per
Oscar Lewis solo il 20% dei
poveri
americani
era
permeato dalla cultura della
povertà (che quindi non
poteva render conto del
restante 80%), i conservatori
echivolevasmantellarequel
tantodistatosocialechec’era
hanno visto la cultura della
povertà come il fattore
che spiega perché i poveri
sono poveri. Oscar Lewis
diceva:
"La
questione
cruciale,dalpuntodivistasia
scientifico sia politico, è:
quanto peso nella cultura
della povertà va attribuito ai
fattori
interni,
autoperpetuantisi, rispetto ai
fattorisocialiesterni?Lamia
posizione è che, a lungo
termine,
i
fattori
autoperpetuantisi
sono
assolutamente minori e
inessenziali rispetto alle
strutture fondamentali della
società circostante”.19 Ma la
cultura della povertà è stata
vista come il meccanismo eh
e produce povertà “senza
assistenzadapartedelmondo
esterno”,comedicevaDaniel
Moynihan.
Attraversolaculturadella
povertàereditatadaigenitori,
ancora una volta “il povero
porta la povertà in sé”. La
trasmissione culturale è
diventata il fattore decisivo
che riproduce la povertà. È
chiaro qui come il moderno
conservatore usa il concetto
di cultura. Come fattore
d’identità,
la
cultura
soppianta il sangue, la stirpe,
la razza. Il discorso politico
moderno passa dalla razza
all’etnia,
all’identità
nazionale come "identità
culturale”. La cultura dei
serbi contro la cultura dei
croati.Periteoricidelsocialrazzismo, come Thomas
Sowell, la cultura è
immutabile quanto i geni:
"Gruppi oggi afflitti da
assenteismo, malavoglia e
necessità
di
essere
costantemente sorvegliati al
lavoro o a scuola, sono
tipicamente discendenti di
personeconglistessicostumi
un secolo o più fa. L’eredità
culturale può essere più
importante
dell’eredità
biologica”.20
Gli “scienziati sociali” si
ostinanoatradurreindiverse
versioni la stessa, tautologica
spiegazione:"Ilpoverodifetta
perché difetta”. Difetta di
denaro perché difetta una
volta di qualità morali,
un’altra di adeguati geni
biologici. Adesso il povero è
povero perché manca della
cultura per uscire dalla
povertà, è imprevidente,
rassegnato, non ha senso
familiare. Per i conservatori
di ogni tipo, la cultura della
povertà costituisce allora un
eccellente strumento per
ridare dignità intellettuale al
“povero immeritevole” e per
prepararel’ultimaversionedi
questa figura, la più
immeritevole,l'underclass.
***
Fu una copertina del
settimanale “Time” del 19
agosto 1977, The American
Underclass, a sancire la
notorietà nazionale del
termine.
All’inizio l'underclass si
riferiva a quei poveri che
languono nella miseria anche
nei periodi di crescita e di
disoccupazione calante. Poi
questa "perpetua underclass”
ha acquisito il significato più
generale di “comportamento
socialmente disfunzionale”.
Sotto
una
nuova
terminologia, ritroviamo qui
le idee ottocentesche sul
vizio. Ecco come si
esprimeva
"Time”:
“l'underclass produce una
percentuale
sproporzionatamente
alta
della delinquenza giovanile
della nazione, dei fallimenti
scolastici,
dei
tossicodipendenti e delle
mamme
sovvenzionate
[welfare mothers], e gran
partedelcrimineadulto,della
disgregazione familiare, del
degrado urbano e della
richiestadiassistenzasociale.
[...] I membri violenti
dell'
underclass
sono
responsabili dalla maggior
parte dei crimini che si sono
diffusi come un’epidemia
attraversolanazione”(ancora
la
metafora
medica
dell’epidemia). Nel 1821 il
Quarto rapporto annuale
della Società di New York
per la prevenzione del
pauperismo si estasiava di
fronte al geometrico rigore
del creato: “Per una legge
giusta e inflessibile della
Provvidenza, la miseria è
stata
consacrata
come
compagna e punizione del
vizio”.21 Un secolo e mezzo
dopo, la copertina di “Us
NewsandWorldReport”del
17 marzo 1986 ribadiva: le
“comunità
underclass
rischiano
di
diventare
enclaves
di
povertà
permanente e di vizio”.
Con
l'underclass
si
riaggregano in un solo
coacervo vizio, cultura e
razza. Così la rivista
“Fortune”
nel
1987:
“‘Underclass’ descrive uno
stato mentale e uno stile di
vita. È una condizione
almeno altrettanto culturale
cheeconomica”.22
Ma l'underclass produce
uno
slittamento
di
collocazioneedisoggettonel
"povero
immeritevole”,
sposta il riflettore da Skid
Rowal ghetto dell’mner city,
dal povero bianco al povero
nero o ispanico, come
trasferisce il nucleo del vizio
dalla droga alcol alle droghe
crack,
eroina,
cocaina,
dall’ubriacone al tossico. La
cultura dell 'underclass
congiurerebbe con l’eredità
razziale
per
riprodurre
crimineemiseriadeigiovani
neri o ispanici incapaci di
trovare (o mantenere) un
lavoro
perché
inadatti,
indolenti o privi delle
qualifiche (il povero difetta
sempre di qualcosa, oltre che
di
soldi:
qui
delle
qualificazioni).
Proprio
studiando i ghetti neri di
Chicago, William Wilson ha
ridefinito l'underclass in
termini di disoccupazione, di
persone
permanentemente
fuori del mercato del lavoro:
e in realtà la mappa delle
zone di povertà di Chicago e
quella delle aree di
disoccupazione
si
sovrappongono
perfettamente.23
Wilson
invoca
la
disoccupazione
contro
l’interpretazione
razziale
dell'underclass, ma finisce
così nel ricadere in quella
“culturale”. Ora un elemento
razziale nella povertà urbana
invecec’è,perchéleindustrie
e le società che creano posti
di lavoro fuggono dalle città
dove si concentrano proprio
le popolazioni razzialmente
segregate. Inoltre, i posti di
lavorocreatinegliStatiUniti
negli anni ottanta e novanta
del secolo scorso non sono
proprio qualificati: sguatteri,
commessi,
lavandai,
vigilantes, pony-express non
richiedonocorsiditecnologia
avanzata (nel Loop di
Chicago i pony-express
corrono in bicicletta, non in
motorino). Infine, tutta una
corrente razzista individua le
ragioni della disoccupazione
proprio nel carattere e nella
cultura dei neri e degli
ispanici. Ancora una volta,
concetti introdotti a scopo
progressivo sono usati a fini
punitivi: la disoccupazione
strutturale di Wilson viene
riciclata per condannare la
pretesa
indolenza,
incompetenza e indisciplina
nera.24Danotarechefratutte
le ragioni (etiche, genetiche,
culturali)
invocate
per
"spiegare” la povertà, in
questacarrellatanonabbiamo
mai trovato i difetti di un
sistema economico e sociale
che andrebbe corretto o
riformato,
se
non
rivoluzionato. La società
sembra sempre innocente dei
poveri che genera e
condanna.
Anche a confermare
quest’innocenza
serve l'underclass quando fa
da ponte con la criminalità e
le gang urbane. Da problema
sociale, la povertà diventa
problema poliziesco. Il
poverocoincidedinuovocon
il delinquente. Può tornare in
auge la tesi malthusiana per
cui“lapovertàèundelittoda
trattare sulla base della
dissuasione mediante il
terrore” (Engels). Mentre si
affermava
il
tema
dell’underclass, il numero di
detenuti statunitensi si è
moltiplicatopercinquefinoa
toccare la pazzesca cifra di
2,1 milioni di detenuti. Per
avere la stessa percentuale,
l’Italia
dovrebbe
avere
400.000carcerati.Cenesono
50.000, otto volte meno.
Negli Usa il carcere diventa
un rito di passaggio per un
numero crescente di giovani.
Inquestocontestovannolette
le ricorrenti dichiarazioni di
“guerra contro la droga”. In
realtà sono guerre contro i
drogati, in particolare i
residenti delle inner cities.
Esse generano l’illusione che
ilproblemadelladroga(edei
poveri che l’assumono) sia
solubile
con
tecniche
belliche.
Paradossalmente
però,
proprio perché si riannoda
alla teoria ottocentesca delle
"classi pericolose” e offre
un’alternativa
repressiva
all'azione sociale, proprio
"per lu sua minaccia,
l'underclass è stata una
scoperta confortante”25 per
unasocietàchenegadiessere
divisa in classi ma rivendica
un gruppo sotto le classi.
L'underclass
riduce
il
problema della povertà a un
segmento modesto: le cifre
variano da esperto a esperto,
maafrontedi34,6milionidi
poveri, le stime oscillano da
500.000 persone a 8 milioni
(comunque un quarto dei
poveri), più credibilmente da
un milione a 4 milioni.
L'underclass fa della povertà
una questione di colore di
pelle: si concentra sui neri e
sugliispaniciedimenticache
vi sono 20 milioni di poveri
bianchi. Ignora i working
poors, enfatizza la povertà
urbana e dimentica la piaga
dellapovertàruralediffusain
tuttigliStatiUnitienonsolo
nelDeltadelMississippi(non
a caso detto l’Etiopia
d’America).
Così,
homeless
e
underclass costituiscono le
due facce - luna meritevole,
l’altra immeritevole - della
medaglia. La geografia
complessa,
il
mosaico
variopinto,
stridente
e
chiassoso della povertà si
semplificano, si dissolvono,
finché, nel silenzio della
metropoli,emergonoduesole
figure. Da un lato il
senzatetto,chesialadistratta,
indaffarata, anziana signora
caricadisacchettidiplastica,
una bag-Lady, o che sia
l’allampanato,
sperso
quarantenne che, sotto un
berretto di lana da sci, con
uno sguardo mite, trascina
tuttiisuoiaveriinuncarrello
da supermercato sullo spartitraffico di un’autostrada
Dall'altro lato la silhouette,
così inquietante per gli
americani, del giovane
teppista nero, con il berretto
da baseball rovesciato, la
visiera all’indietro, le scarpe
da ginnastica che gli fanno
due piedoni enormi, la
maglietta fino alle ginocchia.
Ognuna delle due figure è
estrema, caricaturale, e paga
un
prezzo
per
quest’immagine.L'homelessè
sì una vittima, un innocente,
merita l’assistenza pubblica,
ma
perciò
stesso
è
considerato inerme, come un
"disabile sociale” (ricordo
della categoria “disabile al
lavoro”).
Il
membro
dell’underclass è sì in pieno
possesso delle sue facoltà,
"abile”, ma perciò stesso è
pericoloso, criminale, va
represso.
Poco importa che queste
due figure costituiscano
insieme una percentuale
minima (comunque meno di
unterzo)deipoveriamericani
e una parte minore nel
problema della povertà. Il
fatto è che esse esauriscono
tuttoildiscorsosullapovertà.
Lo
esauriscono
nell’immaginario, per la loro
forza emotiva, per la potenza
dei fantasmi che esse
evocano; e lo esauriscono
nell’azione sociale, perché
ambedue veicolano un solo
messaggio, quello della
fatalità, della condanna
naturale.Selapovertàèfatta
solo di homeless - innocenti
ma innocui - e di membri
dell’underclass - colpevoli
quindipericolosi-,alloranon
c’è alternativa a quel modo
spietato
d’impostare
il
problemachemetteincampo
Malthus quando, citando le
parole di un poeta, dice: il
povero viene alla mensa
festosa della natura e trova
che non c’è posto per lui e aggiunge egli - la natura gli
ingiunge di andarsene (she
bids him to be gone) "perché
prima della sua nascita egli
nonhachiestoallasocietàse
lovolesse”.26
1 Sara Paretsky, Bum
Marks, Bantam Doubleday
Dell Publishing, New York
1990.
2 M.B. Katz, The
UndeservingPoor,cit.,p.13.
3 Martha R. Burt,
Pmctical
Lessons:
Demographics
and
Geography:
Estimating
Needs,negliattidi“The1998
National Symposium on
Home-lessness Research”, a
cura di Linda B. Fosburg e
Deborah L. Dennis, per i
dipartimentidell’Housingand
Urban
Development
e
dell'Health and Human
Services, Washington D.C.
agosto1999.
4M.B.Katz,op.cit.,p.
193.
5
K.T. Jackson, The
Crabgrass Frontier, cit., p.
224.
6 “The Chicago
Tribune",15febbraio1999.
7 II verbo regentrify
deriva dal termine gentry,
"nobiltà
di
campagna”
inglese: e quindi vuol dire
“riannobilire un quartiere
degradato”.
8
Nel sito
www.hud.gov:80/local/chi/shel
9 C. Hoch, R.A. Slayton,
New Homeless and Old, cit.,
p.224.
10 Frances Fox Piven,
Richard
A.
Cloward,
Regulating the Poor. The
Functions ofWelfare State,
Vintage Books, New York
1971,p.167.
11 U.S. Bureau of the
Census,StatisticalAbstractof
the United States 2002,
Government Printing Office,
Washington D.C. 2002, taw.
541e542.
12IIBureauoftheCensus
ha bruscamente interrotto la
seriestoricaomogeneaperla
spesa pubblica in welfare nel
1995, data dopo la quale ha
cambiato tutte le definizioni
rendendo inconfrontabili i
dati.Lamiastimaperil2000
è basata sul fatto che, per
ogni e qualunque anno
confrontabile (dal 1980 al
1995),lenuoveseriestoriche
riducono l’ammontare totale
di un fattore 1,8 rispetto alla
definizione precedente: ho
perciò rimoltiplicato per tale
fattorel’ultimodatodel2000.
L’estrapolazione è basata sul
confronto delle taw. 607 e
775 dell’edizione 1999
(l’ultima che riporta i vecchi
dati) e della tav. 513
dell'edizione
2002
del
Statistical Abstract ofthe
UnitedStates,cit.
13 Charles Darwin, The
Descent of Man (1871),
Prometheus Books, New
York 1997, trad. it. L'origine
dell’uomo,NewtonCompton,
Roma1972,p.148.
14 Oscar Lewis, La
Vida. A Puerto Rican Family
in the Culture of Po-verty San Juan and New York,
Random House, New York
1966, trad. it. Mondadori,
Milano1972,p.51.
15Ivi,p.55.
16Ivi,p.51.
17 Michael Harrington,
The Other America. Poverty
in the United Stales (1962),
PenguinBook, New York
1981,pp.17-18.
18O.Lewis,op.cit.,pp.
55-56.
19CitatodaS.Steinberg
in The Ethnie Myth, cit., pp.
123-124.
21 Citato da R. Castel,
La “guerre à la pauvreté"
auxÉtatsUnis,cit.,p.49.
22 Nell’articolo
America’s Underclass: What
to Do?, n. 115, 11 maggio
1987.
23 William Julius
Wilson,
The
Truly
Disadvantaged. The Inner
City, the Underclass and
Public Policy, Chicago
University Press, Chicago
1987,pp.51-55.
24 Cfr. la recensione di
Michael Katz al libro di
Lawrence Mead, The New
Politics of Poverty: the Nonworking Poor, apparsa su
“Dissent” dell’ottobre 1992,
pp.548-553.
25 M.B. Katz, op. cit., p.
196.
Per
le
stime
sull’underclass,pp.204-205.
26CitatodaF.Engels,La
situazione
della
classe
operaiainInghilterra,inKarl
Marx-Friedrich
Engels,
Opere complete, cit., vol. iv,
p.502.IlpassodiMalthusin
realtà è il seguente: "Un
uomo nato in un mondo già
posseduto, se non può
ottenere sussistenza dai suoi
genitori,acuifavaleregiuste
richieste, e se la società non
vuole il suo lavoro, egli non
ha diritto alla minima
porzione di cibo, e di fatto
non c’è attività [business]
dove lui è. Al grandioso
festinodellanaturanonc'èun
postoliberoperlui.Lanatura
gli ingiunge di andarsene ed
eseguirà rapidamente i propri
ordini”.Questopassoapparve
nella seconda edizione di An
Essay on the Principle of
Populationefuomessonelle
edizioni successive dal 1807
inpoi.
Lametacittà(2):un
disordinecosì
avvincente
Che vorace curiosità, che
indefesso
frugare
e,
diciamolo, che protervia, che
convinzione di sé! Fin dalla
sua nascita Chicago passa il
tempo a raccontarsi, a
studiarsi.
In
solo
centosettant’anni di vita ha
accumulato una sconfinata
bibliografia su se stessa. Ma
nonèlaquantitàacolpire.È
ilmodoconcuisièstudiata.
Non una città fra le tante,
energica, vivace, ma pur
sempreuncasoparticolare.E
neanche
quale
caso
irripetibile, come amano
considerarsi
le
grandi
metropoli: l’eccezionalità di
Parigi,l’unicitàdiNewYork.
No, Chicago si è studiata
come caso esemplare, nel
senso in cui l’intendeva il
filosofo John Dewey che,
proprio all'Università di
Chicago,frail1893eil1904,
pose le basi della più
americana tra le correnti
filosofiche, il pragmatismo.
PerDewey,l’induzione-cioè
il processo classicamente
definitocomel’inferirel’idea
generale dai molti casi
particolari-consisteinrealtà
nell’individuare "un caso
esemplarmente
rappresentativo”1 di tutti gli
altri. Così, per studiare la
società moderna, Chicago
costituivailcaso.
In effetti, quale migliore
esempio
che
questa
metropoli, in sessant’anni
sorta dal nulla, per studiare
dove si organizza la vita
urbana, come nascono le
patologie sociali, quali sono
le fasi d’integrazione degli
immigrati? È da Chicago e
dalla sua università che la
sociologia si è imposta in
quantodisciplinaaccademica,
col
nome
di
scuola
sociologica di Chicago, o
dell’“ecologia umana”. La
sociologia urbana non solo è
statafondataaChicago,masi
è
costruita
studiando
Chicago.
Per i fondatori della
scuola, per William I.
Thomas,perRobertE.Parke
perErnestW.Burgess,questa
città era davvero il caso più
rappresentativo nel senso di
Dewey (Park e Thomas
invitavano i loro studenti a
seguireicorsidifilosofiadei
pragmatisti).
Innanzitutto
perché, scriveva Park, "la
città mostra il bene e il male
della natura umana nei loro
estremi” e questo fa della
città "un laboratorio, una
clinicaincuilanaturaumana
e i processi sociali possono
essere studiati meglio e con
profitto”2 (si noti il termine
“natura”eilparagonemedico
della "clinica”). Poi, perché
"il fenomeno più rilevante
della società moderna è la
crescita delle grandi città” e
perché negli Stati Uniti
quest’urbanizzazione, "pur
iniziata più tardi che in
Europa,haavutoluogo[...]in
modo
più
logico”3:
privilegiato tema di studio è
sì la città, ma soprattutto la
città americana perché più
logica,piùrazionale.
Certo, Chicago costituiva
un gigantesco esperimento
urbanointemporeale,conle
sue ondate di immigrati, con
l’esplosione industriale, la
macchina
politica
che
dilagava insieme alla città, il
mondo del crimine, i
disoccupati, i marginali, gli
hoboes, i tramps, i bums. Il
materiale c’era: qui era
possibilestudiare“leforzein
azione
nella
comunità
urbana”. ("La scienza che
cercadiisolarequestifattorie
di descrivere la caratteristica
costellazione di istituzioni
prodotta dalla cooperazione
di queste forze è quel che
chiamiamo ecologia umana,
per distinguerla da quella
animaleobotanica.”)4
Maauneuropeofaquasi
venire invidia l'energia, la
curiosità con cui i ricercatori
di Chicago si sono messi a
indagare la loro città, la
pertinacia con cui questi
accademicihannofrequentato
ospizi,bische,bordelli,ghetti
di immigrati. Nelle loro
indagini applicavano le idee
del pragmatista George H.
Mead.PerMead,il"sé”diun
individuo è una struttura
sociale, è l'interiorizzazione
delprocessoconcuigruppidi
individui interagiscono con
altrigruppi.Il"sé”diognuno
è costruito dalla nostra
interazione
reciproca.
"L’azione individuale può
allora
essere
considerata come la mutua
creazione di parecchi ‘sé’ in
interazione. Così i ‘sé’
acquistano un significato
sociale,
diventano
dei
fenomenisociologici.”5
Ecco perché la sociologia
diChicagos’interessaacome
gli attori sociali vedono se
stessi. Le menzogne degli
intervistati sono altrettanto
indicative
delle
verità:
ambedue rivelano il “sé”, il
processosociale,inaugurando
quella tecnica d’indagine che
Oscar Lewis avrebbe ripreso
trentanni più tardi con le
famiglie portoricane. Ecco
perché molte ricerche di
Chicago sono vere e proprie
storie di vita, raccolte in
lunghi anni di colloqui, una
sorta
di
autobiografie
verificate. Così II giovane
delinquente (1926) di John
Slawson,
Il
ladro
professionista (1937) di
Edwin
Sutherland,
Lo
scippatore (1930) di Clifford
Shaw. Come sempre in
inglese, a designare la
categoria, il titolo è al
singolare, con l’articolo
determinativo: abbiamo già
incontrato L’Hobo (non Gli
hoboes, o Un hobo) di Nels
Anderson. Ma poi c’è La
ragazza disadattata ( 1923)
di William I. Thomas,
L’uomo marginale (1937) di
Everett Stonequist. Solo che
qui,avolte,quelsingolaredi
categoria è anche un
singolaredipersona:siamodi
fronte a un "sé” la cui
esperienza racchiude il
gruppo sociale di cui esso è
caso
“esemplarmente
rappresentativo”. Il rischio
peròèchecosìunasituazione
diventa un destino, una fase
transitoria diventa un tipo
umano.PerPark,unsenso“di
dicotomiamorale,diconflitto
è caratteristico di ogni
immigrante nel periodo di
transizione, quando i vecchi
costumisonosmessieinuovi
nonsisonoancoraformati.È
inevitabilmenteunperiododi
subbuglio interno”. Solo che
inquest’"uomomarginale""il
periodo
di
crisi
è
relativamente permanente. Il
risultato è che egli tende a
diventare un tipo di
personalità”.6 È così che gli
italiani diventano L'Italiano,
gli ebrei L’Ebreo. Il
contadino polacco è il titolo
della monumentale ricerca di
W.I. Thomas e di Florian
Znaniecki considerata il
cardine della scuola di
Chicago,cominciatanel1908
eterminatanel1918.
"Contadino” e "polacco”.
Polacco, perché intorno al
1908 era questo il gruppo
d’immigrazione più forte e
perciò costituiva il fenomeno
più macroscopico di crescita
e mutamento per la città.
Contadino, perché questi
immigratinonsolopassavano
da un paese all’altro, ma da
paesanidiventavanocittadini,
da una mentalità rurale ne
acquisivano
una
metropolitana. Se è vero,
come diceva Dewey, che
"nell’indagine sociale, i
problemi genuini sono posti
soltanto da situazioni sociali
reali, che presentino in sé
medesime
conflitto
e
confusione”,7qualeproblema
più
genuino
dell’immigrazione
che
portava in sé ogni sorta di
conflittoeconfusione?
***
“Confusione” è sinonimo
di quel che i sociologi di
Chicago chiamavano la
“disorganizzazione sociale”.
Per Burgess, “i processi di
organizzazione
e
disorganizzazione possono
essere pensati come in
relazione reciproca, come
cooperanti a un equilibrio
mobile dell’ordine sociale
verso un fine ritenuto
progressivo”; la crescita
urbana va quindi pensata
come “la risultante di
organizzazione
e
disorganizzazione, analoghe
ai processi anabolico e
catabolicodelmetabolismo”.8
Qui la metafora naturale è
spinta fino a pensare la città
come un vivente con il suo
metabolismo (le arterie
cittadine).
La
disorganizzazione, per la
scuola di Chicago, è quindi
unasituazionetransitoria:"La
disorganizzazione personale
risultava da una transizione
troppo rapida da una società
popolanapreindustrialeauna
civiltà urbana altamente
meccanizzata. Pochi tra i
gruppi etnici che compivano
questa transizione erano
capaci di sfuggire alla severa
disorganizzazione, ma col
tempo tutti mostravano
l’abilità
di
guarirne
[recover]”.9
La disorganizzazione non
solo era transitoria, ma
contribuiva a un nuovo
ordine, più vario. In fondo a
quest’impostazione
c’è
l’evoluzionismo positivista,
per cui la società (e la
struttura urbana) evolvono
verso "un fine ritenuto
positivo".PerPark,ildestino
finale dell’immigrazione era
l’assimilazione,
l’integrazione. Quella che la
scuola di Chicago formula è
lasociologiadelcrogiolo,del
melting pot, dove le etnie si
fondono in una nuova lega.
Park teorizzava un ciclo in
quattrotappeperirapportitra
comunità
migrante
e
comunità
d'accoglienza:
rivalità,conflitto,adattamento
eassimilazione.
1 ) La fase dellarivalità:
all’inizio,
quando
gli
immigranti sbarcano come
pura forza lavoro, quando le
relazionisocialisonoridottea
una coesistenza basata sui
soli rapporti economici, vige
la
rivalità,
ovvero
"l’interazione senza contatto
sociale”: "la rivalità è il
processo che organizza la
società” e determina la
ripartizione geografica della
società e la divisione del
lavoro. 2) Mentre "la rivalità
determina la posizione di un
individuo nella comunità, il
conflittogliassegnaunposto
nella società”: la rivalità è
impersonale e inconscia, il
conflitto è conscio e
personalizzato e crea una
solidarietà nella comunità
immigrata.
3)
“L’adattamento può essere
considerato - quale una
conversione religiosa - come
una sorta di mutazione”: i
gruppi rimangono rivali
potenziali ma accettano le
loro differenze. 4) Nella fase
di
assimilazione,
"c’è
interpenetrazione e fusione,
nel corso delle quali gli
individui acquisiscono la
memoria, i sentimenti e gli
atteggiamenti
dell’altro
gruppo e, condividendo la
loro esperienza e la loro
storia,s’integranoinunavita
culturale
comune”.10
L’ultima fase, assimilazione,
noncoincideconl’amalgama:
oggigliebreiamericanisono
integrati, assimilati, ma non
amalgamati.
Negli Stati Uniti si è
ormai smarrita gran parte di
questa
fiducia
nell’inevitabilità
dell'assimilazione, ma allora
essa sembrava indissolubile
da quella fame di futuro, da
quelprotendersinell’avvenire
che
permeava
l’agire
quotidiano. Di fronte al
turbinosocrescerediunacittà
come Chicago, al suo essere
domani del tutto diversa,
nuova,rispettoaquelcheera
ieri, era inevitabile che, dal
punto di vista filosofico,
l’esperienza assumesse un
valore
progettuale,
anticipatorio.
Ed
è
quest’atteggiamento mentale
la caratteristica peculiare del
pragmatismo.
Mentre
l’empirismoinglesesiriferiva
sempre a un'esperienza
passata, da catalogare e
repertoriare,nelpragmatismo
l’esperienza è anticipatoria,
prepara il domani. Non per
nulla, il pragmatismo si
presenta
come
la
formulazione
filosofica
del'ottimismodemocratico.
Inquestavisioneottimista
si colora di aspetti positivi
persino la figura che più
affascina
la
scuola
sociologica di Chicago,
l'"uomo marginale”, cioè
“l’uomo al margine di due
culture e di due società, che
nonsisonomaicompenetrate
e fuse”: marginali per
eccellenzasonogliimmigrati.
Per Park, l’essere al margine
rende più liberi: "Quando
l’organizzazione tradizionale
della società si rompe, come
risultato di contatto e
collisione con una nuova
invadente cultura, l’effetto è,
per così dire, di emancipare
l’uomo individuale. Le
energie che prima erano
controllatedaicostumiedalla
tradizione sono ora liberate.
L’individuo è libero per
nuove avventure, ma egli è
più o meno senza direzione
nécontrollo”.11Troviamoqui
in nuce la “cultura della
povertà”, poiché è lo scontro
di due culture che produce
disorganizzazione.Eperòc’è
un
abisso
tra
disorganizzazione e povertà:
intanto, la "cultura della
marginalità”
ha
aspetti
positivi. L’uomo marginale è
il
metropolitano
per
antonomasia, se la città è
l’ambiente in cui l’uomo è
sempre un po’ straniero,
comedicevaSimmel,eperciò
“più libero, teoricamente e
praticamente”.
I sociologi di Chicago
formulavano queste tesi sugli
immigrati quando ancora si
organizzavano
linciaggi
controitalianiegreci,quando
un
futuro
presidente,
Woodrow Wilson, parlava di
“vigorosi ceppi” del Nord
Europa e di “feccia
spregevole” del Sud Europa.
Demolivano
cioè
l’interpretazione
razziale
delle “patologie urbane”
(metafora medica) e ne
fornivano una spiegazione
ecologica. Burgess avrebbe
parlato persino di “ecologia
delcrimine”.
Spazzavano via il luogo
comune per cui il crimine
dipendeva
dall’incapacità
degli immigrati di adattarsi
all’Americaemostravanoche
al contrario la criminalità
nasceva dall’adattamento: si
diffondeva nella seconda
generazione, tra i giovani già
partecipi della nuova cultura,
mentre era assente dalla
prima generazione, degli
immigrati appena arrivati,
impermeabili alla nuova
cultura e ancora ligi al
vecchio codice morale.
Smontavano
perciò
le
spiegazionimoralistichedella
devianza, giusta la tesi di
Dewey:
“Affrontare
i
problemi umani in termini di
biasimo e approvazione
morale, di malvagità e di
virtù,
costituisce
probabilmente il maggiore
ostacolosingoloallosviluppo
di metodi appropriati in
camposociale”.12
Propugnavano
uno
sguardo etnologico: “Finora
l’antropologia
si
è
concentrata nello studio
dell’uomo primitivo. Ma
anche l’uomo civilizzato è
interessante come soggetto
d'indagine [...]. Gli stessi
metodi pazienti usati nello
studio degli indiani del
Nordamerica possono essere
bene impiegati nell'indagare
costumi, credenze, pratiche
sociali e concezioni di vita
dominanti a Little Italy a
Chicagoonelregistrareipiù
sofisticati stili di vita degli
abitantidiGreenwichVillage
[allora quartiere chic di
Manhattan]aNewYork”.13
Però la questione morale,
cacciata dalla porta, rientra
dallafinestra.Perlascuoladi
Chicago già la libertà
dell’individualismo
è
ambivalente e infrange i
valori collettivi. Il disordine
(mentale, sociale, morale)
esercita
un’attrazione
irresistibile
per
questi
sociologi. Le loro ricerche
hanno indagato i fenomeni
sempre di disorganizzazione,
mai di organizzazione.
Quest’ultima,eicriterisucui
sifonda,l’hannosempredata
per scontata. Ma così
l’immagine
che
ne
trasmettono è la più banale,
perbenista
possibile
(il
matrimonioèorganizzazione,
il
divorzio
è
disorganizzazione).
Spregiudicati su tutto, tranne
che sui pregiudizi. Ne seppe
qualcosa William I. Thomas
trovatonel1918,a55anni,in
unastanzad’albergoconuna
signora,
cacciato
dall’università e mai più
riammesso (ancor peggio:
l’episodio fu censurato dalla
storia della sociologia e
riesumatosolonel1966).14È
con un fremito di timore e
piacere, di avventura e
pericolo che Park affrontava
lacittà:
Il
processo
di
segregazione
urbana
stabilisce
distanze
morali che fanno della
città un mosaico di
piccoli mondi che si
toccano ma non si
compenetrano.Ciòrende
possibile agli individui
di passare con facilità e
rapidità da un ambiente
morale a un altro e
incoraggia l’affascinante
ma
pericoloso
esperimento di vivere
simultaneamente
in
parecchi, diversi mondi
contigui, ma nettamente
separati. Tutto ciò tende
a dare alla vita di città
un carattere superficiale
e avventizio; tende a
complicare le relazioni
sociali e a produrre
nuovi e divergenti tipi
individuali. Introduce
nello stesso tempo un
elemento di opportunità
[chance]eavventurache
aumentaglistimolidella
vita cittadina e le
conferisce, per nervi
freschi e giovani, una
peculiareattrazione.15
Piccoli mondi chiusi...
Come le specie viventi si
evolvono differenziando i
propri tessuti, così per i
sociologi di Chicago, quando
cresce e diventa più
complessa,lacittàsidividein
“aree naturali”, “ognuna con
lasuafunzionenaturale”:qui
la
metafora
diventa
addirittura darwiniana (anzi
lamarckiana). Le differenti
areeurbane,scrivevaParknel
1929, "sono il prodotto di
forzechesonocostantemente
al lavoro per generare
un’ordinata distribuzione di
popolazioni
e
funzioni
all’interno del complesso
urbano”.16
Se il fattore più
importante di sviluppo delle
città industriali è costituito
dalla
domanda
di
manodopera,
cioè
dall’immigrazione, alle varie
tappe dei rapporti etnici
corrispondono diverse aree
cittadine.“L’invasione”degli
immigrati “ha l’effetto di
un’onda di marea che inonda
dapprima le colonie di
immigrati, i porti di primo
arrivo,sloggiandomigliaiadi
abitanti che straripano nella
zona successiva e così via
finchél’impulsodell’ondaha
esauritolasuaforzanellapiù
distante zona urbana” (la
metaforaquièidrica).17
Il criterio che destina le
singole aree alle diverse
funzioni è, per l’ecologia
urbana,lacompetizioneperlo
spaziourbanopiùfavorevole.
“La prima scelta di lotti
desiderabili di terreno è
inevitabilmente fatta da chi
può pagare i prezzi più
alti.”18 Il distretto centrale
degliaffarisisviluppaquindi
nel posto più favorevole per
banche,uffici,sedicentralidi
ditte, alberghi di lusso, per
chi può trarre il massimo
profitto da un terreno caro.
Fuori dal centrai business
district si collocano i
magazzini e le industrie
leggere. Più distanti sono le
industrie
pesanti
che
richiedono vasti spazi ma
debbono essere vicine ai
centri di trasporto. Poiché
fruttanomenodenarodiuffici
e industrie, le residenze sono
lontanedalcentroeoccupano
la terra non reclamata dal
commercio. Vicino alle
industrie, la terra non è
attraente per l’uso abitativo
(rumori, odori, veleni) e
quindi vi si affolla chi ha
bassi redditi: abita non solo
vicino al lavoro, ma anche a
buonmercato.
La competizione plasma
le città secondo lo schema,
detto “ipotesi zonale di
Burgess”:1)zonacentrale:il
business district (Loop); 2)
zona di transizione: aree
industriali, slum e zone di
primo insediamento delle
popolazionimigranti;3)zona
deiquartierioperaifuoridagli
slum; 4) zona residenziale
agiata; 5) infine la zona dei
pendolari. Le zone non sono
circolari perché deformate
dallageografiaedaitrasporti.
Per l’ecologia urbana, la
città
è
naturalmente
segregante. Ecco un cardine
dell'idea americana di città.
La prima volta che, uscendo
daNewYork,m’inoltrainella
provincia, giunta la notte, mi
fermai a Youngstown, Ohio,
centrosiderurgicodi200.000
abitanti.Cercavodamangiare
e dormire e, da europeo,
andai al centro, a downtown.
Ma tutto era spento, vuoto,
sinistro. Dovetti chiedere a
un’auto della polizia, tornare
vicino
agli
svincoli
autostradali, dove erano
concentratimoteleristoranti.
Toccavo per la prima volta
conmanolaseparazionedelle
funzioni che vige anche in
metropoli come Denver,
Minneapolis...
Questa
separazione
pervade tutto, tanto che nelle
città americane a volte ti
prende l’angoscia, ti viene
l’animo a cas-settini, con i
fazzoletti in un tiretto, le
mutande in un altro, le
camicie in un terzo. Ti viene
da dubitare che queste
metropoli abbiano un futuro.
E il dubbio ti sorge per la
rigidità con cui separano
nello spazio le varie funzioni
del vivere urbano. Dove si
abita, non si lavora; dove si
lavora, non ci si diverte. È
così negato tutto ciò che per
noi rende attraente il vivere
urbano: che siano contigui
ufficio, casa, ristorante,
negozio, caffè, cinema.
L’accavallarsi delle funzioni.
Qui invece è la loro
separazione a prescrivere la
geografia cittadina: il centro
degliaffaridisabitatodinotte
(e dunque pericoloso); le
distese di villette senza bar,
senzaedicole;iMalls,funghi
nel deserto; e, vicino alle
autostrade, le lunghe arterie
monocommerciali: in una le
autousate,inun’altraimotel.
A un occhio europeo
questa divisione di spazi e
funzioni pare una malattia,
una fatalità triste che
accompagna la formazione
degli Stati Uniti, qualcosa da
subireeacuifarel’abitudine.
Nell’ipotesi migliore, questa
separatezza ci si presenta
come l’esito, laterale e
indesiderato,dialtriobiettivi:
avereunagrandecasaconun
bel prato; poter raggiungere
presto in auto i negozi,
l’ufficio o la fabbrica;
concentrare le industrie per
impuzzare l’area più ristretta
possibile, accalcare gli uffici
per moltiplicare contatti e
dunqueaffari.
Ma,aguardaremeglio,la
segregazione di spazi e
funzioninonèinvolontaria,è
stata teorizzata e considerata
"più logica” (Burgess),
perché qui lo spazio fisico
coincideconlospaziosociale
tanto da concentrare in aree
urbanisticamente
disorganizzate
la
disorganizzazione
sociale,
familiare, mentale. Dove la
separazione delle funzioni si
fa segregazione dei gruppi è
quando
sociologi
e
pianificatori cominciano a
pensare che "i piccoli mondi
chiusi”diPark(quelliche"si
toccano
ma
non
si
compenetrano”) è bene che
restinochiusiedèmeglioche
non si sfiorino perché, dove
vengonoacontatto,làsicrea
un confine urbano che è
insiemeunafrontierasociale,
una fessura. È qui, in queste
zone di frattura dell’ordine
sociale,
e
perciò
di
disorganizzazione, che nasce
la criminalità secondo la
classicaricercadiFredericM.
Thrasher,The Gang. A Study
of1313GangsinChicagodel
1927.
Ora,nonè“naturale”che
lo spazio sociale coincida
con lo spazio fisico. “Lo
spazio è uno dei luoghi dove
il potere si afferma e si
esercita,esenzadubbionella
formapiùsottile,quelladella
violenza simbolica come
violenza non percepita.”19 È
questopotereafarcoincidere
i due spazi. Se il sociologo
formula l’ipotesi zonale, il
politico decide lo zoning, il
piano regolatore. Scrive
Kenneth Jackson: "In teoria
lo zoning doveva proteggere
gliinteressidituttiicittadini
limitando la congestione e la
speculazione terriera. [...] In
realtà lo zoning era un
meccanismo per tenere i
poveri e le industrie
sgradevoli fuori dalle aree
benestanti. [...] Le città del
sud usarono lo zoning per
rafforzare la segregazione
razziale”.20 Così “è stata
operata una vera e propria
costruzione politica dello
spazio” che "ha favorito la
costruzione
dì
gruppi
omogeneiabasespaziale”.21
L’ipotesizonalediBurgesssi
rivela la classica ipotesi che
crea la propria conferma,
“naturalmente”.
***
Ma forse è giunta l’ora
d’interrogare questo termine,
“natura”, che incontriamo a
ogni piè sospinto. La
metafora naturale per i
fenomeni sociali è radicata
nel pensiero positivista: per
Auguste Comte, il sociologo
studia la società come il
fisiologo il corpo umano, e
prescrive cure ai suoi
malanni, proprio come il
medico fa con il paziente.
Ora, Chicago fu negli anni
trenta
una
roccaforte
positivista: qui a partire dal
1938
fu
pubblicata
l'Intemational Encyclopedia
of Unified Science sotto la
direzione degli alfieri del
neopositivismoOttoNeurath,
Rudolf Carnap e Charles
Morris. La metafora naturale
(di tipo tellurico, geologico,
fisico) non è estranea al
marxismo: "scosse” sociali,
"terremoti”, rivoluzioni che
“scoppiano”;
mentre
il
pensiero
conservatore
predilige
la
metafora
organicista. I sociologi di
Chicago le usano ambedue,
sia
le
“ondate"
dell’immigrazione, sia le
“patologieurbane”.
MaquandoThrasherparla
di “storia naturale del
crimine" in che senso usa la
“storianaturale”,termineche
indica i musei dove si
visitanoscheletrididinosauri
e collezioni di farfalle? La
rispostalatroviamonel“Wall
Street Journal” del 15 aprile
1993: “Una generazione di
scienziati sta imparando che
la più importante legge di
naturaèlaleggedell’offertae
della domanda”. E noi che
non ceravamo arrivati. Ma
ora tutto è chiaro. È
“naturale” la tendenza alla
segregazione nelle città Usa:
gli abitanti resistono all’idea
divederdecurtatoilvaloredi
mercato delle proprie case
quando i neri vengono ad
abitare nel loro quartiere. È
"naturale” la rivalità, “la
forza che organizza la
società"(Park)perisociologi
di Chicago: rivalità è
sinonimo di concorrenza nel
mercato. Naturale è quindi
l’economia di mercato.
Naturale la lotta per la
proprietà. Inscritto nella
natura umana, il capitalismo
conlesueleggidell’offertae
della domanda, più ferree di
quelle di Newton. Nel
pragmatismo
dell’ultimo
Dewey,l’attodelconoscereè
definito
come
una
transazione:comenegliaffari
noncisononécompratoriné
merci
se
non
nelle
transazioni, così oggetto e
soggetto esistono solo nei
processidelconoscere.
L’attività commerciale
come modello teorico per
descrivere
l’atto
del
conoscere! Siamo qui di
fronte alla produzione di un
"mito”, nel senso di Roland
Barthes: è descritto come
fenomeno
naturale
(le
"eterne” regole del mercato)
quel che invece è prodotto
della storia, ed è considerato
immutabile
(perché
"naturale") quel che invece è
transitorio e costruito.22 Nel
crescere,
le
città
genererebberoighettiurbani,
come nel maturare gli
adolescentisecernonoipropri
foruncoli.
Quando fu formulata,
l’“ecologia
urbana”
si
considerava
progressista
perchédistruggevapregiudizi
e luoghi comuni: se i ghetti
urbani sono prodotti dalla
crescita"naturale”dellecittà,
il loro degrado non è colpa
degli abitanti. La scuola di
Chicago
sottrasse
all’interpretazionegeneticala
devianza, la violenza delle
bande cittadine, le subculture
giovanili. Ma l'ecologia
urbana aveva la forza di
distruggere l’interpretazione
genetica, innatista, perché
sostituiva
un’inesorabilità
naturale
(quella
dei
cromosomi) con un’altra
fatalità, quella della più
importante “legge di natura”
secondo il "Wall Street
Journal”, la legge della
domandaedell’offerta.
A onor del vero, per i
sociologidiChicagolanatura
era perfettibile e la città
migliorabile,
come
testimoniano le loro proposte
di riforma urbanistica. Erano
ottimisti sulla dinamica
sociale, come ottimista era il
pragmatismo di Dewey. La
disorganizzazioneeraperloro
transitoria,unpurgatorio,non
un inferno, e dai sociologi
odierni li separa un fossato
grande come quello che
divide un marginale da un
emarginato.
La scuola di Chicago è
declinataforseproprioperché
troppo
ottimista,
assimilazionista, troppo poco
positivista.
In
campo
accademico il suo declino
inizia nel 1935 quando,
contro le storie di vita della
scuola di Chicago, prende il
sopravvento la sociologia
quantitativa dei Talcott
Parsons, dei Paul Lazarsfeld,
deiRobertMerton,finanziata
dai
grandi
contratti
dell'esercitoUsaeinscrittain
un paradigma di totale
positivismo, per cui unico
criterio di scientificità è
l’assoluta
impersonalità
matematizzante.
Nella realtà sociale, la
scuoladiChicagoèmessain
crisi dalla questione nera su
cui l’assimilazionismo di
Park si rivela perdente e
l’approccio
culturale
insufficiente. Già all’interno
della scuola di Chicago, in
TheNegroFamilyinChicago
del 1932, Franklin Frazier
distingue tra assimilazione
culturale e assimilazione
sociale: i neri hanno
assimilato
la
cultura
americana,manonperquesto
sono socialmente integrati.
MaèdopolaSecondaguerra
mondiale,
quando
la
questione nera diventa il
problema sociale americano,
che si rivela impotente
l’approccio in termini di
culturaecomunità.
Eppure nel 1978, proprio
unsociologonerodiChicago
(una delle città più segregate
degli Stati Uniti), William
Julius Wilson, pubblica un
discusso
volume
dall’espressivo titolo The
Declining Significance of
Race, in cui sostiene che
l’emergere di una borghesia
nera da un lato e l’ulteriore
impoverirsi
del
sottoproletariato
nero
dall’altro
divaricano
condizioni di vita, culture e
identità tra i vari segmenti
della popolazione nera e
riduconocosìlarilevanzadel
fattore razziale. Eppure la
razza conta anche per i neri
agiati: "L’esperienza dello
status di classe media non è
uniforme nei diversi gruppi.
Al contrario, è colorato
dall’intersecante realtà della
razza”.23Frarapportietnicie
relazioni razziali continua a
esserciunabisso.
Gli immigrati europei
furono discriminati, linciati,
usati come crumiri, proprio
come i neri. Ma, scrive
Steinberg,
mentre
il
messaggio implicito agli
immigranti è: "Che tu lo
voglia o no, tu diventerai
come noi", quando si viene
alle minoranze razziali, il
tacito assioma è: “Non
importaquantotusiasimilea
noi, tu resterai sempre
separato”.24
È
questa
ineludibile linea del colore
chedobbiamovarcare.
1JohnDewey,Logic.The
TheoryofInquiry,HenryHolt
and Co., New York 1948,
trad.it.Einaudi,Torino1949
(19733), cap. xxi, vol. II, pp.
549-550.
2RobertE.Park,Ernest
W. Burgess, Roderick D.
McKenzie, The City (1925),
Chicago University Press,
Chicago 1967, cap. I di
Robert Park, Suggestions for
the Investigation of Human
Behavior in the Urban
Environment, (pp. 1-46), p.
46.
3 Ivi, cap. II, E.
Burgess, The Growth of the
City(pp.47-62),p.47.
4 R.E. Park et al., op.
cit.,pp.1-2.
5AlainCoulon,L'École
de Chicago (1987), Presses
UniversitairesdeFrance,coll.
Que-sais-je?, Paris 19933, p.
15.
Questo
volumetto
costituisce
il
migliore
approccio alla scuola di
Chicago.
6 R.E. Park, Human
Migration and the Marginai
Man,cit.,p.893.
7J.Dewey,op.cit.,cap.
xxiv, p. 618 (il corsivo è
mio).
8 E.W. Burgess, The
Growth of the City, in R.E.
Park, E.W. Burgess, R.D.
McKenzie, op. cit., pp. 54 e
53.
9 Robert E.L. Faris,
Chicago Sociology, 19201932
(1967),
Chicago
University Press, Chicago
1979,p.63.
10 Le frasi sono tratte da
IntroductiontotheScienceof
Sociology ( 1921 ) di R.E.
Park e E.W. Burgess nel
seguenteordine:pp.506,508,
510, 735. Nella formulazione
hoseguitoA.Coulon,op.cit.,
pp.35-39.
11 R.E. Park, Human
Migration and the Marginal
Man,cit.,p.891.
12J.Dewey,op.cit.,p.
614.
13R.E.Park,op.cit.,p.
3.
14A.Coulon,op.cit.,p.
26.
15 R.E. Park, op. cit.,
pp.40-41.
16
Robert E. Park,
Sociology, in Wilson Gee (a
cura di), Research in Social
Sciences, Macmillan, New
York1929,p.29.
17 E.W. Burgess, op.
cit.,p.58.
18R.E.L.Faris,op.cit.,
p.58(ilcorsivoèmio).
19 Pierre Bourdieu,
Effets de lieu, in Pierre
Bourdieuetal.,Lamiseredu
monde,ricercacollettivasotto
la direzione di Pierre
Bourdieu, Éd. du Seuil, Paris
1993,p.163.
20 K.T. Jackson, The
Crabgrass Frontier, cit., p.
242.
21P.Bourdieu,op.cit.,
p.167.
22
Roland
Barthes,
Mythologies, Éd. du Seuil,
Paris 1957, trad. it. Einaudi,
Torino1974,pp.191-238.
23MaryPattilloMcCoy,
Black
Picket
Fences.
Prìvilege and Peril among
the Black Middle Class,
Chicago University Press,
Chicago1999,p.209.
24 S. Steinberg, The
EthnicMyth,cit.,p.42.
Parteterza
1.Bronzeville:lafine
dellasperanza
Su
State
Street,
all’incrocio con la 35a, il
profiloseverodelPolitecnico
costruito da Mies van der
Rohe si staglia come
un’ultima sentinella. Più
oltre, a sud, per miglia, la
desolazione.Adestra,finoal
2000 si ergevano le Taylor
Homes, casermoni popolari
sbarrati da reticolati a ogni
piano, dalle facciate già
incendiateesventratequando
erano ancora abitati. Oggi
alcuni di essi sono già
demoliti e i loro ruderi
rendonopiùamaroilsensodi
mortechealeggia.Asinistra,
corre la sopraelevata e, oltre,
si stende una terra crivellata,
ferraglie,
pneumatici
e
cartoni, sacchetti di plastica
che volano nel vento. Dal
1950 a oggi, due terzi degli
abitantihannoabbandonatoil
quartiere e, su tre che
rimangono, due vivono sotto
lasogliadipovertà.
Ti sembra impossibile
che, dalla Prima guerra
mondialeefinoasessantanni
fa, quest’incrocio fosse il
centro animato del quartiere
nero più pimpante (cui era
stato affibbiato il nomignolo
di Bronzeville). Non solo di
giorno,maanchedinotte,tra
la25aela39a,StateStreetera
piena di luci, e le musiche
filtravano da dietro le porte
dei locali. Dancing come il
Palace Garden o il Peking
offrivano jazz a una clientela
mistafinoalleorepiccole.
Tutto intorno, sette
cinemaproiettavanofilmogni
giorno diversi accompagnati
da un’orchestra in carne e
ossa. In una settimana
d’autunno del 1916 si poteva
scegliere tra La ragazza di
Frisco, Una lezione dalla
vita, Lo scudo dell’ombra, Il
soldato della compagnia K
("contuttoilcastdicolore”),
Frutto proibito, I peccati
della città.1 Tanto che
l’austero settimanale nero,
“TheChicagoDefender”,ele
organizzazioni di mutuo
soccorso come la Urban
League,mettevanoinguardia
i giovani immigrati neri
contro le tentazioni della
città,ilvizio,ibar,ladanza.
A quel tempo per i
contadini neri del Sud in
procinto di emigrare a nord,
Chicago era Land of Hope
(“Terra di speranza”), o The
Promised Land (“La Terra
promessa”), come cantavano
alcuni versi. Land of Hope è
anche
il
titolo
del
documentato libro di James
R.Grossman.2Tralabriosità
di allora e l'apatia sorda di
oggi, puoi misurare il crollo
delle speranze per i neri. C'e
stata forse negli Stati Uniti
un'epocaincuilaconvivenza
tra bianchi e neri era un
problema da risolvere. C’è
stataforseun’epocaincuigli
americani di buona volontà
hanno pensato che un giorno
o l’altro il loro popolo
avrebbe avuto una tintarella,
capelli un po’ ricci, ma
sarebbe stato amalgamato.
Forse qualcuno un tempo ha
nutrito questa speranza,
nonostante mai, in tutta la
storia americana, l’apparato
scolastico abbia lanciato
un’offensiva seria contro
l’ideologia
della
discriminazione. Certo è che
ora questa speranza pare
svanitainunfatalismogrigio.
Oggi ti sembra che il
problema nero sia vissuto
come
un
fardello,
un’ineluttabile
infelicità
nazionale, un’acre ostilità
cronica,senzapacenéguerra.
Sessant'anni fa Gunnar
Myrdal scriveva quell’opera
fondamentale che è An
AmericanDilemma(finitonel
gennaio 1943).3 E rispetto a
sessant’anni fa la situazione
sembraaggravata,nonostante
tutti i Civil Rights Act, il
movimento per i diritti civili
degli anni sessanta, le rivolte
dei ghetti urbani, nonostante
lePanterenereeiMusulmani
neri,personalitàcomeMartin
Luther King, Malcolm X,
Jesse
Jackson.
Allora
sembrava che il problema
nero4 fosse appannaggio
soprattutto del Sud rurale;
oggi è proprio delle grandi
cittàdelNordedell’Ovest.
Sequalcosatifadisperare
degli (e negli) Stati Uniti, è
proprio questo rapporto tra
bianchi e neri, la loro
separazione ostile, pesante,
opaca. Tra passanti di colore
diverso si erge un muro
diffidente di rancore spesso.
La prima cosa di cui ti
accorgi visivamente è quel
chenonvedi: e quel che non
vedi rappresenta un doppio
paradosso. Da un lato non
vedi molti neri-neri, di quel
colorenerocheconoscebene
chihaviaggiatoinAfrica,ma
vedi invece molti neri chiari
(i neri di Santo Domingo
usano dire che “i neri
statunitensi sono bianchi un
po’colorati”).
Il che vuol dire due cose.
La prima è che la "razza
nera” è definita in America
dalla popolazione bianca:
“Chiunque abbia una traccia
nota di sangue negro nelle
sue vene - non importa in
quale
remoto
passato
acquisita-èclassificatocome
negro.Nessunapercentualedi
ascendenza bianca, tranne il
cento per cento, consentirà
l’accesso alla razza bianca”.5
Quest’atteggiamento è agli
antipodi di quello prevalente
in Africa o nei Caraibi dove,
all’interno
della
stessa
famiglia, è privilegiato,
coccolato il figlio dalla
carnagione più chiara, in una
sorta
di
razzismo
interiorizzato presente negli
Usa negli anni venti, come
raccontaMalcolmX:“Aquei
tempi,quasiistintivamente,la
maggior parte dei genitori
negritrattavanomoltomeglio
i loro figli dalla pelle più
chiara”.6 Niente di tutto ciò
nella tassonomia statunitense
del colore. È vero che i
censimenti
dell’Ottocento
distinguevano gli schiavi in
"M”(mulatti)e“B”(black)e
che dal 1890 le rilevazioni
suddiviseroimulattiinquarti
e ottavi di sangue nero (i
nazisti tedeschi avrebbero
distinto fino ai sedicesimi di
sangue ebreo). Ma questa
classificazione andava contro
la cultura dominante. Già nel
1893 James Bryce scriveva:
“Mentreinpaesiportoghesio
spagnoli
chi
non
è
evidentemente
nero
è
riconosciuto come bianco,
negli Stati Uniti ogni traccia
disangueafricanomarchiaun
uomo come un negro e lo
assoggetta a incapacità
connesse
alla
razza.
Nell’America
Latina,
chiunquenonèneroèbianco;
nell’America
teutonica,
chiunque non è bianco è
nero”.7Così,dal1920(efino
al 2000), il Bureau of the
Census considerò nero
chiunque avesse anche un
solo, remoto antenato nero,
secondo la “regola della
singola goccia di sangue”
(one-drop-rule).8 "Cercando
didefinireconprecisione[pin
down]l'essenzadellarazza,di
fatto la one-drop-rule rese
quest'essenza inconoscibile,
quindi
invisibile.
Per
perseguire il sogno di
un’essenza della razza, ha
gettato alle ortiche la realtà
percettibile del colore della
pelle: ha reso metafisico ciò
cheerafisico.”9
Dove la natura ci offre
una gradazione continua di
tinte che degradano senza
sbalzidall’incarnatopiùscuro
al più chiaro, la società
produce una discontinuità
tassonomica(quiibianchi,là
i neri), proprio come - per
poter commerciare i futures,
perpotervenderequindibuoi
astratti, mele future - il
mercato aveva sostituito
definizioni discontinue di
mele e di buoi alle concrete
varietà continue di grano, di
mele, di manzi. E come lì il
nuovo nome della cosa (la
mela) produceva la nuova
cosa stessa (la nuova varietà
standardizzata di mela), così
il chiamare nera una persona
dalla pelle chiara un po’
abbronzata la confina in una
“razza" nera nuova, perché
questa nuova entità che
chiamiamo razza non è più
definita da proprietà fisiche,
tra cui il colore molto scuro
della pelle, ma è definita dal
suo “non essere bianca”.
Negli Usa vi sono addirittura
centinaia di migliaia di “neri
inconsci”, di persone di pelle
nivea che non sanno, e
vengono a sapere solo
casualmente,diesserenerein
base alla one-drop-rule.
Assistiamo
di
nuovo,
letteralmentesullapelledegli
umani, al processo con cui i
moderni hanno risolto il
medievale problema degli
universali: producono realtà
attraverso
il
semplice
nominarla. Il fatto che la
“razza nera” sia qui un puro
prodotto culturale non toglie
nulla alla sua concreta realtà
storica,comesannoineriche
nesubisconoglieffetti.Molti
leader dei movimenti neri
sono in parte bianchi, come
Booker T. Washington e
FrederickDouglass(ambedue
con padre bianco), W.E.B.
DuBois,MalcolmXeMartin
Luther King (con una nonna
irlandeseeavipellerossa).
Il leader dei Musulmani
neri,
Louis
Farrakhan,
antìbianco estremo, ha tratti
“caucasici”epellechiara.
Il
secondo
aspetto
implicitoinquestatonalitàdi
carnagione è che nel passato
ci devono essere state molte
mescolanze razziali. Un
sondaggio citato da Myrdal
mostrava che nel 1930 il
71,7% degli intervistati neri
aveva almeno un lontano
ascendente bianco.10 C’è
statoquindiunperiodoincui
leduerazzesisonomescolate
confrequenza:eradurante lo
schiavismo, e la mescolanza
avvenivadinormatrabianco
maschio e schiava nera.
Notatecomeilmitonarrauna
leggenda inversa, simmetrica
eopposta:ilrazzismobianco
èossessionatodall’incubodel
maschio nero stupratore che
violenta la donna bianca,
mentre per secoli è stato il
maschio bianco stupratore a
violentare la donna nera (lo
stesso meccanismo per cui il
coniuge adultero è il più
geloso, perché proietta sul
suo partner i propri
comportamenti).
La
discriminazione
sessuale negli Stati Uniti è
quindi
sempre
stata
asimmetrica. È più forte il
tabùcontroilrapportodonna
bianca-uomo nero, è più
debole la discriminazione
contro la relazione uomo
bianco-donna nera. È più
osteggiato il matrimonio; è
più tollerato il rapporto
informale, o clandestino,
ricordo delle avventure
ancillari. Il risultato è che in
testa alla gerarchia dei tabù
c’è quello contro il
matrimonio fra una donna
bianca e un uomo nero. Un
tabù che trova spazio nella
comunità nera e riecheggia
nelle parole di Malcolm X
controlebianche,“diavolesse
dagliocchiazzurri”.
Quiincappinellaseconda
cosa che per la strada non
vedi: non vedi coppie miste,
comeinveceneincontritante
in altre città a forte
popolazione nera, a Parigi, a
Londra. Solo trentasette anni
sono passati da quando nel
1967 la Corte suprema ha
dichiarato illegali tutte le
norme che nei singoli stati
limitavano i matrimoni
interrazziali: c’era voluto più
di un secolo dalla fine della
guerracivileedall’abolizione
dellaschiavitù.
Cerchi le statistiche per
mettere
alla
prova
quest'impressione
di
segregazione.Su56,5milioni
di coppie sposate censite
negli Usa, solo 363.000 sono
coppie miste bianchi-neri.11
cioè lo 0.64%, ovvero una
coppia su 156, mentre i
neri rappresentano il 12,7%
della popolazione (36,2
milioni contro 230,3 milioni
di bianchi).12 Il razzismo
inerente in queste percentuali
risalta ancora di più se si
confrontanoimatrimonifrai
bianchi e le altre razze
(asiatici, hawaiiani, nativi).
Benchéglistatunitensicensiti
sottoquesterazzesianopoco
più di un terzo dei neri (13,7
milioni contro 36,2), i
matrimonimisticonibianchi
sono 1,051 milioni (contro
363.000):ibianchisisposano
con gli asiatici 7,6 volte di
più che con i neri. Il fatto è
cheilfigliodiunmatrimonio
misto è ricacciato tra i neri:
il/la bianco/a che genera un
figlio con la/il nera/a espone
suo figlio al razzismo, alla
discriminazione.
Implicita
nella segregazione sessuale è
l’idea che i "neri non sono
assimilabili”, malgrado siano
in America da quasi quattro
secoli,comeglianglosassoni.
***
Da centoquarant'anni i
neri non sono più schiavi
negli Stati Uniti, eppure ogni
aspetto della vita è contro di
loro. A cominciare proprio
dallasperanza di vita, di 5,7
anniinferiore(71,7anniperi
neri, contro 77,4 per i
bianchi), alla mortalità
infantile, che è quasi il triplo
per i neri (14,6 per mille
contro 5,8 per mille per i
bianchi), alla mortalità
materna, quasi il quadruplo
per le puerpere nere rispetto
alle bianche (25,4 contro 6,8
per mille); dal tasso di
omicidi (rispetto ai bianchi i
neri hanno il 630% di
probabilità in più di essere
assassinati) alla detenzione: i
neri sono il 12,7% della
popolazione,
ma
costituiscono il 43,6% dei
detenuti13: nell’America di
George Bush Jr., la
percentuale di adulti neri
dietrolesbarreèdi7150ogni
100.000 (2002), mentre nel
Sudafrica dell’apartheid, nel
1993,eranosolo851,ovvero
novevoltedimeno.
E poi c’è il reddito. Il
reddito mediano14 delle
famiglie nere era nel 2000
paria34.192dollari,controi
53.246 di reddito mediano
della famiglia bianca. Nei
trentasei anni passati dal
1964,daquandofuapprovato
il Civil Rights Act, la
situazionedellefamiglienere
è
migliorata
solo
marginalmente: nel 1970 il
reddito mediano di una
famiglia nera era il 61,3% di
una bianca, nel 2000 il 64%.
Nel 2002, il 24% dei neri
viveva sotto la soglia di
povertà, contro solo l’8% dei
bianchi. Persino nell'essere
sgraziati
vale
la
discriminazione razziale e i
ragazzi neri sono più obesi
dei bianchi: il 41% contro il
28% su una media nazionale
del34%.15
L’oppressione,
il
disprezzo, la segregazione
sonocosìinsopportabilicheti
viene da chiederti perché i
nerinonsirivoltino,noncon
qualche sommossa come
spessoèavvenutonelleinner
cities, ma con una vera e
propria esplosione. Ti pare
che nei centoquarant’anni
dall’emancipazióne
dalla
schiavitù a oggi la situazione
sia addirittura peggiorata. Ti
sembrachesistiarealizzando
la profezia pronunciata già
nel 1835 da Alexis de
Tocqueville: “Il più temibile
dei mali che minacciano
l’avvenire degli Stati Uniti
nasce dalla presenza dei neri
sul loro suolo. Quando si
cercalacausadegliimbarazzi
presenti e dei pericoli futuri
dell'Unione, si arriva quasi
sempre a questo primo fatto,
daqualunquepuntosiparta”.
Tocqueville vedeva questa
maledizione nella natura
stessa dello schiavismo
moderno che confinava la
schiavitù a una sola razza.
Presso gli antichi gli schiavi
erano della stessa razza dei
padroni e quindi, una volta
affrancati, erano uguali e
indistinguibili; i bianchi
moderni invece, limitando la
schiavitù alla razza nera,
hanno fatto sì che il suo
marchiorestivisibiledopola
liberazione: "Il ricordo della
schiavitù disonora la razza e
la razza perpetua il ricordo
della schiavitù [...] Non c’è
un africano che sia venuto
liberamente sulle rive del
nuovo mondo, ne consegue
chetutticolorocheoggivisi
trovanosonoschiaviliberati”.
Oggi, un secolo e mezzo
dopo,tisembraancoraattuale
il giudizio di Tocqueville
suglieuropei:"Hannoviolato
verso il nero tutti i diritti
dell’umanità e poi l’hanno
istruito sul valore e
sull’inviolabilità di questi
diritti. Hanno aperto i propri
ranghi ai loro schiavi e,
quando
questi
ultimi
tentavano di penetrarvi, li
hannocacciaticonignominia.
Volendo la servitù, si sono
lasciati spingere malgrado se
stessi, o a propria insaputa,
versolalibertà,senzaavereil
coraggio di essere né
completamente iniqui, né
interamente giusti”.16 Un
giudizioprecisato,centotrenta
anni dopo, da Malcolm X:
"L’uomobiancohaperpetrato
su se stesso, oltre che sul
negro, una frode talmente
gigantesca
da
trovarsi
rinchiuso in una trappola”.17
Unatrappolachiaraneinomi,
scoperti da Saul Bellow,18 di
due navi negriere francesi:
una si chiamava JeanJacques, dal nome del
filosofo ginevrino Rousseau,
profeta
dell’uguaglianza
originaria di tutti gli uomini,
e l’altra Contrat social, dal
titolo della sua maggiore
opera:
Jean-Jacques
e
Contrat social trasportavano
schiavi neri tra i flutti
dell’oceano.
***
Questa
maledizione,
questo peccato originario li
vedi ogni giorno, su ogni
strada, ovunque negli Stati
Uniti. Ma poi questo paese,
magnanimo e benevolente,
proclama che un mese
all’anno è il "Mese della
storia nera”, il Black History
Month. Un po' come l’Onu
celebra-unatantum-l’anno
della terra, qui uno su dodici
è battezzato mese dei neri.
Qui, dove nessun presidente
hamaichiestopubblicamente
scusa a 35 milioni di
afroamericani
per
lo
schiavismo bianco: nessun
leader ha mai compiuto un
gesto come quello di Willy
Brandt in ginocchio davanti
alle vittime della guerra
nazista.
Particolarmente
commosso e ricco di
manifestazioni è il Black
History Month a Chicago,
metropoli in cui il 36,7%
degliabitantiènero;cittàche
solo a Detroit cede il record
della segregazione negli Usa:
più del 70% delle famiglie
afro-americane
vive
in
quartieri abitati al 95% da
neri. E l’Illinois batte ogni
record nella segregazione
scolastica: ben l’83% degli
studenti neri vi frequenta
scuole segregate. In questo
mese, Chicago riscopre non
solo di avere una storia nera,
macheinerihannofattogran
parte della sua storia, fin dal
primo insediamento, nel
1784, sulla foce del fiume
Chicago e del Lago
Michigan: fu un nero, JeanBaptiste Point du Sable, a
costruire la prima capanna,
per commerciarvi in pellicce.
Una visita guidata promette
un "pellegrinaggio” nei siti
neri della città. Potete
passeggiare nella stazione
ferroviaria Illinois Central
Railroad dove da Alabama,
Mississippi,
Louisiana,
Georgia,trail1910eil1920,
giungevano a migliaia i neri
della “Grande migrazione”
dal Sud al Nord provocata
dalla Prima guerra mondiale:
con quel conflitto infatti
s’interruppe il flusso di
emigrazione
dall’Europa.
Noncapitaspessodiriflettere
sugli effetti a distanza delle
guerre:anoieuropeilaPrima
guerra mondiale richiama la
nascita dei fascismi, la
rivoluzione russa, i gas
asfissianti, i morti nelle
trincee.Noncivieneinmente
di collegare la Marna, o
Caporetto, o la fine
dell’impero asburgico con
un’ondata umana dal sud
degli Stati Uniti che avrebbe
provocatounamutazionecosì
fortenellecittàdelnord:circa
mezzo milione di neri
abbandonòilSudruraletrail
1916eil 1919 (un altro
milione di neri li avrebbe
seguiti negli anni venti). La
popolazione nera di Chicago
era di 44.000 abitanti nel
1910,di110.000nel1920(ed
entro il 1930 altri 150.000
neri del Sud vi sarebbero
sbarcati). I neri di New York
passaronoda91.000del1910
a152.000del1920.19
Rispettoaimilionidineri
cheavrebberoabbandonatoil
sud tra il 1940 e il 1960,
questa migrazione sembra un
rigagnolo (anche negli anni
quaranta la spinta decisiva
vennedallaguerramondiale),
ma da un punto di vista
culturale fu importantissima.
Introdusse la figura del nero
urbano,
proletario
o
sottoproletario, mentre fino
adalloraeranera"lacapanna
dellozioTom”.Ilneroeraun
bifolco ex schiavo, un
bracciante liberto, e i bianchi
del Sud consideravano i neri
dei bambini: “I negri sono
stanchidiesseretrattaticome
bambini,"
scriveva
un
emigrante. "I neri sono
infantilmente disarmati in
fattodiabitazioneediigiene
sanitaria,”
scriveva
il
"Chicago Tribune”.20 Nel
1910 la più autorevole
enciclopedia del mondo, la
Britannica,scriveva:
Il negro apparirebbe
situato in un inferiore
livello evolutivo rispetto
al
bianco
[...].
Mentalmente il negro è
inferiore al bianco [...].
Possono
essere
considerate vere per
l’intera razza [...queste]
osservazioni fatte dopo
unlungostudiodeinegri
americani: "I bambini
negri
erano
acuti,
intelligenti e pieni di
vivacità
ma,
avvicinandosi
all’età
adulta, un cambiamento
si produceva in loro.
L’intelletto sembrava
offuscarsi, l’animazione
cedeva il posto a una
sorta di letargia, la
vivacità all’indolenza”.
Per il resto la (loro)
condizione mentale è
simile a quella di un
bambino, naturalmente
dibuonapastaeallegro,
ma
soggetto
a
improvvise crisi di
emozione e passione in
cuiècapacedicompiere
atti di straordinaria
atrocità.21
Nulla
di
nuovo:
ritroviamoquil’indolenzadel
selvaggiodeprecatadaldottor
Johnson, la pigrizia dei
pellerossa irrisa da Parton.
Nonsolo,mailtemposembra
essersi fermato, visto che più
di ottant’anni dopo un
accademico di Harvard
rilanciava
la
tesi
dell’inferiorità mentale dei
neri, tesi ripresa a titoli
cubitali
dalla
stampa:
“Newsweek” del 24 ottobre
1994sichiedevaincopertina:
“QI: è destino?”, dove QI sta
per quoziente intellettuale e
doveilpuntointerrogativodà
per scontata l’inferiorità
intellettuale dei neri. Erano
perciòben-pensantiigiornali
bianchi del Sud quando
sostenevano che, in quanto
bambini, i neri emigravano
perchéc’eraqualcheperverso
chelitentavaeliilludeva:si
sparse persino la voce che a
convincere i neri a emigrare
fossero agenti tedeschi
infiltrati. I bianchi non
capivano che quel che
attirava i neri a Chicago e a
NewYorkeralasperanza,la
speranza di salari migliori·,
speranza di un rapporto di
lavoro proletario e non
servile, speranza di luci
vivide, di piaceri che
sarebbero stati grandi quanto
duro il lavoro; speranza di
una città in cui ti potevi
sederesull’autobusaccantoal
bianco senza essere picchiato
(neglistatidelSud,negliUsa,
ai neri era riservato il fondo
dell’autobus,tantoèveroche
“guardare il mondo da dietro
l’autobus"èunmodoperdire
chelosivedecongliocchidi
un nero). Come non valeva
più
la
separazione
sull’autobus,
così
gli
emigranti neri speravano che
a Chicago non valesse più
nessuna norma segregativa,
nessunaleggeJimCrow(Jim
Crow era il nomignolo che
indicava il generico negro
segregato)
basata
sul
principio
“uguali
ma
separati”. Il morire di questa
speranza è il grande enigma
del Novecento, di questo
secolodistoriaamericana.
***
Che
molti
bianchi
meridionali fossero ostili
all'emigrazione
nera
è
comprensibile (a volte la
poliziaimpedìfisica-menteai
neri di salire sui treni). Più
curiosochemoltechiesenere
e molti notabili neri
meridionali si opponessero
all’esodo. Si entra qui
nell'enigmatico mondo del
conservatorismonerodicuii
più recenti esponenti di
spicco sono stati: Clarence
Thomas, nominato nel 1991
giudice della Corte suprema
dal presidente George Bush
senior per aver diretto la
commissione federale per le
pari opportunità come un
organo di segregazione
effettiva; naturalmente Colin
Powell,segretariodistatodal
2001 nell'amministrazione
George Bush Jr. (dopo aver
guidato nel 1991 la prima
guerra del Golfo, come capo
degli stati maggiori riuniti
delle forze armate Usa, agli
ordini di Bush senior) e
infine, Condoleezza Rice,
consigliera per la sicurezza
nazionale dello stesso Bush
Jr. Tutti costoro sono
conservatori convinti, e anzi
Clarence Thomas si è
dichiarato
ostile
alle
affirmative
actions
(o
“discriminazioni positive”),
grazie alle quali egli stesso
aveva potuto studiare per
entrareinmagistratura.
Una
parte
del
conservatorismo nero nasce
dal negoziato con i bianchi:
ostentare fede nei loro valori
più tradizionali può strappare
maggiori concessioni. Così
pensava per esempio Booker
T. Washington. Vi è poi il
neroconservatoreperchécosì
egli diventa un portavoce
neropiùascoltatodaibianchi.
Vi
è
ancora
un
conservatorismo separatista,
come quello del settimanale
“ChicagoDefender”:ancheil
palazzo sede del “Chicago
Defender” rientra nel giro
turistico organizzato per il
Black History Month. Il
“ChicagoDefender”erastato
fondato nel 1905 da Robert
Abbott con un capitale di 25
cent; con la guerra mondiale
divenne il più diffuso
giornale nero degli Stati
Uniti, con due terzi delle
venditefuoriChicago.Abbott
aborriva i termini Negro o
Black; per lui il popolo nero
era the Race, la Razza, e i
neri erano chiamati the Race
men o the Race members, i
membridellaRazza.
Il "Defender” svolse un
ruolo di primo piano nella
Grande
migrazione
propagandandounavisionedi
Chicago prospera, rosea, non
razzista, attaccando i bianchi
del Sud, denunciando i
linciaggi. Il “Defender”
veicolava l’ideologia del
lavoro,
della
riuscita
professionale,inunaparolail
benpensantismo. Ecco la
tavoladellaleggeausodegli
immigranti
dal
Sud
propagandata dal “Chicago
Defender”il20ottobre1917:
Non
usare
linguaggio volgare in
luoghipubblici.
Non
agire
scortesemente con gli
altriinluoghipubblici.
Non
lasciarti
trascinare in risse di
strada.
Non usare la libertà
come licenza di far quel
chetipare.
Nonprendereleparti
di chi viola la legge,
siano uomini, donne o
bambini.
Nonrenderetestesso
unfastidiopubblico.
Non
incoraggiare
mai e in nessun luogo
giocatori, o donne, o
uomini sconvenienti a
esercitare
la
loro
professione.
Non riunirti in
assembramenti
per
strada ostacolando il
passaggioaltrui.
Non vivere in case
insalubri,nondormirein
stanze
senza
ventilazione.
Non violare le leggi
comunali
sulle
condizioniigieniche.
Non permettere ai
bambini di elemosinare
perstrada.
Non permettere ai
ragazzi di picchiare o
assalire
venditori
ambulanti.
Non fare il portatore
di secchi di birra, e non
permettereai
bambini di rendere
questoservizio.22
Non
tradire
o
abusare la fiducia di chi
tidàlavoro.
Non lasciare il
lavoro appena hai
qualche dollaro in
tasca...23
Benpensanti,
i
conservatorinerifannopropri
i pregiudizi bianchi. Ai
vecchi neri di Chicago, agli
Old Settlers, i nuovi venuti
neri del Sud sembravano
sporchi e maleducati, proprio
come ai vecchi immigrati
tedeschi facevano orrore i
nuovi immigrati italiani, o
come gli ebrei di Chicago
volevano impedire l'afflusso
degli ebrei russi. Più in
profondità, il pregiudizio
antinero di molti neri attiene
all’immagine dei neri che i
bianchi riflettono sui neri,
come succedeva alle donne
che ricevevano un'immagine
maschiledellafemminilità.
Il paragone neri/donne è
esploso negli anni sessanta,
ma il confronto fu già
formulato da Myrdal con
lungimirantechiarezza:
Con lo svolgersi
della
rivoluzione
industriale tanto le
donne quanto i negri si
emanciparono
dal
sistema paternalistico
preindustriale. Sino a
poco tempo fa, la
maggior parte degli
uomini ha accettato la
dottrinasecondolaquale
le donne, come i negri,
hanno una dotazione
inferiore di quelle
qualità che conferiscono
prestigio e potere. Lo
studiodell’intelligenzae
della personalità delle
donne ha all’ingrosso la
stessastoriadìquellosui
negri. Le donne, come i
negri, sono spesso
indotte a credere nella
propriainferiorità.Come
al
negro
veniva
assegnato il suo “posto”
nella società, così vi era
un“posto”perladonna.
Nei due casi gli uomini
credevano di agire nel
verointeressedeigruppi
subordinati,confinandoli
al loro “posto”. [...]
Comecisono“lavorida
negri”, così esistono
"lavori femminili”. Essi
di solito comportano
bassi salari e poche
possibilità
di
avanzamento.Isindacati
impediscono alle donne
di fare concorrenza. La
concorrenza femminile,
come quella dei negri, è
particolarmente temuta
dagli uomini a motivo
dei bassi salari per i
quali le donne sono
disposte a lavorare,
proprio perché hanno
così
limitate
alternative.24
Un ulteriore aspetto
rafforza
il
paragone
neri/donne, ed è che "per il
negro in quanto tale il
problemanegroèilproblema
deiproblemi,”scriveMyrdal:
"Come inevitabile sottinteso
nei rapporti sociali la ‘razza’
è altrettanto importante del
sesso, anche negli ambienti
americani più emancipati nei
quali in apparenza il sesso è
relativamente affrancato e la
'razza’ è soppressa. Il leader
negro, lo studioso negro di
scienze sociali, l'artista o
uomodiletterenegrotendea
vederetuttiiproblemisociali,
economici,politiciefinanche
estetici e filosofici dal punto
di vista negro. Più ancora, ci
si attende che lo faccia”.25
“Le masse negre sono
imprigionate non soltanto
dietro
i
muri
della
segregazione
e
discriminazione, ma anche
del problema negro.”26
WilliamH.Boone,professore
della
Clark
Atlanta
University, in Georgia (un
ateneoneroperrampollidella
borghesia
nera),
per
spiegarmi perché sono tanto
piùnumeroseleragazzenere
deiragazzineriafrequentare
l’università, e sul perché il
tasso di fallimento scolastico
è così spaventosamente alto
tra i maschi neri, mi diceva
che "il giovane maschio nero
è
troppo
aggressivo”,
"dobbiamo insegnargli a
ridurrelasuaaggressivitàche
si dimostra autolesionista” e
attribuiva
questa
“aggressività” a ragioni
storico-culturali. Già Myrdal
dedicava un paragrafo allo
stereotipo
del
nero
“aggressivo” come uno dei
pregiudizirazziali.
Masisamaidovefinisce
il senso della propria identità
e
dove
comincia
o
l’autosegregazione o uno
spiritodi“puliziaetnica”?Sta
tuttoquiildibattitochenegli
anni novanta ha furoreggiato
negli Usa sul Politically
Correct,
“Pc”,
quel
movimento
che
chiede
l’insegnamento
del
patrimonio culturale delle
minoranzeetniche,razziali,di
genere, e non solo del
“Dewm”. Dewm è un
acronimo che sta per Dead
european white male: nelle
università
americane
s’insegna solo quel che è
statopensato,scritto,dipinto,
composto
da
“Maschi
bianchi, europei e morti”.27
Sul rapporto tra identità e
autosegregazione, William
Boone mi tracciava un
paragone con la cultura
ebraica, frequente tra i neri.
Scrive Grossman: “Come gli
ebrei tedeschi che nel tardo
Ottocento temevano che
l’afflusso
di
loro
correligionari
dall’Europa
orientale avrebbe messo in
pericoloilloromarginalema
sostanziale punto d’appoggio
nellaChicagodeigentili,così
gli Old Settlers neri
consideravano se stessi
vulnerabili alle immagini
stereotipate emanate dai
nuovi venuti visibilmente
stranieri”.28 Nel descrivere
l’oppressionecheiltemanero
esercita sui neri, Myrdal
scriveva: “Da un economista
ebreononcisiattendechesia
uno specialista in tema di
lavoro degli ebrei. Non si
presume che un sociologo
ebreo debba confinarsi a
studiare sempre il ghetto. La
sortediuncantanteebreonon
è di cantare eternamente
soltanto canzoni popolari
ebraiche”.29
Ancora oggi, gli ebrei
sono citati come esempio di
legittimo mantenimento delle
proprie tradizioni etniche e
religiose e sono usati come
termine
di
paragone
ambivalente, discriminati sì
dai goym, dai gentili, ma
favoriti rispetto ai neri
proprio per il colore della
pelle.
La
pubblicistica
(antisemita) della Nation of
Islam usa spesso il termine
“olocausto”: “600 milioni di
nerisonomortinell’olocausto
nero’negliultimi6000anni”
dichiarava nella primavera
1994 un esponente dei
Musulmanineri.Implicitanel
paragone è la rivendicazione:
se gli ebrei difendono la loro
cultura e preferiscono vivere
tra ebrei, perché noi non
dovremmo esercitare anche
noi il nostro separatismo? Il
rapporto neri/ebrei è un tema
ricorrente della pubblicistica
americana. Una copertina del
settimanale "Time” del 31
gennaio 1969 titolava “Black
vs
Jews:
A
Tragic
Confrontation”. Non è chiaro
se il tema è ricorrente solo
perché è cronico (chi ha
visitato Harlem oggi, a New
York, stenta a credere che
ancora nel 1910 fosse un
quartierediebrei)operchéla
stampaamericanahaunasua
intrinseca ripetitività che
sfiora e spesso oltrepassa la
leziosaggine.
Il separatismo nero ha
quindi una lunga tradizione
conservatrice che solo con i
movimentidegliannisessanta
ha acquisito uno status di
sinistra. Il lato conservatore
del separatismo è dovuto
anche a un fattore di classe.
Vi sono ampi strati
dell’(esigua) borghesia nera
che sarebbero messi in
pericolo da un’integrazione,
poiché traggono reddito,
lavoro, prestigio e potere
proprio dalla condizione di
separatezza: in ospedali
integrati e non segregati i
dottori neri dovrebbero
dipendere da primari bianchi
o comunque vedrebbero
attaccata questa nicchia
professionale. Lo stesso
avviene per le scuole, dove
l’esistenza di college neri
garantisce un corpo docente
nero.Idemperlastampanera
che nella separatezza di
pubblico trova una qualche
garanzia per i suoi redattori.
È quel che Myrdal chiamava
“i vantaggi degli svantaggi":
per esempio, le gang che
spadroneggiano nei ghetti
neri delle inner cities sono
separatiste e conservatrici,
proprio perché solo su
quest’assetto possono sperare
di perpetuare il loro
strapotere.
C’è però nel separatismo
un sentimento più profondo,
unvoleressere-perunavolta
nellavitasociale-partedella
maggioranza e non della
minoranza. È quel che mi
spiegavanoallaClarkAtlanta
University quando chiedevo
cosa spingeva studenti neri,
chepureavevanovintoborse
distudioperateneiprestigiosi
come Harvard o Cornell, a
iscriversi invece ad Atlanta:
"La sensazione, in classe, di
stare in una maggioranza di
neri, di rappresentare la
regola e non l’eccezione, di
costituire la norma e non la
devianza”. Proprio in questo
sta l’ambiguità: che le
valenze "positive” di un
comportamento
sono
indistricabili
dalle
sue
connotazioni
negative,
distruttive.
Ancora più ambiguo il
conservatorismo nero sul
piano politico. I neri che
emigravano sognavano di
poter esercitare il diritto di
voto: nel Sud le riforme
elettorali di fine secolo
avevanoristrettoatalpuntoi
criteri per registrarsi che i
nerieranoesclusidalleurnee
talisarebberorimastifinoalle
lotte per i diritti civili di
trent’anni fa. L’Illinois, lo
statodiChicago,eralapatria
di Abraham Lincoln, il
presidente repubblicano che
avevacombattutocontroquel
Sudincuiibianchischiavisti
erano per lo più democratici:
dalSudsonovenutigliultimi
presidenti
democratici,
Jimmy Carter ( 1977-1981)
dalla Georgia e Bill Clinton
dall’Arkansas ( 1993-2001).
Perciò i neri immigrati a
Chicago aderivano al partito
repubblicano e appoggiavano
- anche su indicazione del
''Defender”edelsuodirettore
Abbott
-
il
sindaco
repubblicano William Hale
Thompson che pronunciava
battutacce oscene e razziste
sui cattolici30 che erano gli
immigrati
bianchi
più
numerosi(irlandesi,polacchi,
sloveni,italiani)chevotavano
massicciamente
per
i
democratici (il primo, e
sinora unico, cattolico a
diventare presidente degli
StatiUnitièstatonel1961un
democratico,
John
F.
Kennedy).
NegliStatiUnitisolocon
ilNewDeal,esoloafatica,e
con la creazione di un nuovo
“bloccostorico”,ilpresidente
Franklin Delano Roosevelt
avrebbe modificato questo
spartiacque razziale dello
schieramento politico: ancora
nel 1932 il voto nero si era
riversato sui repubblicani e i
lavori
pubblici
della
Tennessee Valley avevano
creatopostidilavoroafavore
esclusivamente
dei
disoccupati bianchi. Ma nel
1934siassistéalribaltamento
e un nero democratico
dell'Illinois, Arthur Mitchell,
batté il deputato uscente, il
repubblicano Oscar De Priest
che nel 1929 era stato il
primonerodelnordaentrare
nel Congresso degli Stati
Uniti.Nel1936trequartidei
voti neri andarono a
Roosevelt.Però,soloapartire
dagliannisessantasisarebbe
fatta largo una schiera di
politici neri democratici, da
Jesse Jackson al sindaco di
Chicago Harold Washington,
a Jesse Jackson Jr. deputato
dei suburbi meridionali della
Windy City (con i Jackson
padre e figlio abbiamo un
esempio di dinastia politica
nera). E la nomea di
politicanti corrotti sarebbe
stata affibbiata ai neri
democratici come prima era
riservata ai neri repubblicani.
Nel 1917 a Chicago, per uno
scandalo di scommesse e
gioco clandestino, Oscar De
Priest fu definito dal
“Tribune” “il re nero del
vizio” con gli stessi toni che
una settantina di anni dopo
sarebbero stati usati per il
sindaco democratico di
Washington, Marion Barry,
condannato nel 1990 per uso
etrafficodicocaina.
***
Il
conservatorismo
politicotrovaunacontroparte
nel modo di schierarsi nel
conflitto sociale. In Europa è
difficile immaginare quanto
peso abbia avuto il problema
razziale nella storia del
movimento
operaio
americano.Abbiamogiàvisto
come tanti immigrati europei
fossero importati negli Stati
Uniti proprio come crumiri,
come
strìke-breakers,
“rompisciopero”. Alimentare
le rivalità etniche e gli odi
razziali è sempre stato uno
degli strumenti usati dal
padronato americano per
abbassareicostifissi,ridurre
i salari, battere la protesta
operaia. Ma una volta
assimilati, gli immigrati
bianchi si iscrivevano ai
sindacati, scioperavano e il
loro "peccato originale” di
crumiraggio svaniva dal loro
e dall’altrui ricordo. Per i
crumiri neri invece, il
marchio del crumiraggio si
coniugava con il colore della
pelle e diventava così
indelebile.
Poiché venivano assunti
come crumiri, i neri erano
considerati una scab race,
"razza rognosa”. Scab vuol
dire insieme “crumiro" e
"rogna”. A sua volta, il
razzismo così generato
divideva i lavoratori: gli
immigratibianchi,assuntiieri
come crumiri, sparavano sui
neri, crumiri di oggi: in
queste condizioni, come dice
Bruno Cartosio, diventava
difficile
"operare
una
separazione tra la forza del
razzismobiancocontroineri
inquantoneri,elaforzadella
difesa bianca della propria
sopravvivenzacontroineriin
quantocrumiriocheaplabor,
manodopera
a
basso
prezzo”.31
Nel 1894, quando i
mattatoi scioperarono in
massa in solidarietà con il
boicottaggio Pullman, i
packers fecero arrivare treni
di neri dal Sud. Nel 1895
minatoriitalianiinscioperoa
Spring Valley uccisero un
numero
imprecisato
di
crumiri neri.32 Negli scioperi
ai mattatoi del 1904, i
packers assunsero 18.000
crumiri neri (ne arrivarono
1400 su un solo treno)33: sei
anni dopo di questi assunti
sarebbero rimasti a lavorare
solo 365. Sempre a Chicago,
neri furono assunti come
crumiri per lo sciopero dei
teamsters, carrettieri (1905),
per quello degli strilloni dei
giornali (1912), per il grande
sciopero delle acciaierie
dell’United States Steel
nel 1919, quando 360.000
operaiincrociaronolebraccia
perdiecisettimaneeipadroni
assunsero dai 30 ai 40.000
neripersostituirli.
La Grande migrazione
nera non era causata solo
dalla penuria di manodopera
e dall’interruzione del flusso
migratorio europeo. Era
incoraggiata dal crescere
della conflittualità operaia:
nel 1916 scoppiarono a
Chicago 71 scioperi, contro i
25 dell’anno prima. Quando
nel marzo del 1916 i pulitori
deivagoniPullmanentrarono
in sciopero, furono sostituiti
da neri. Nel 1916 un nero
meridionale poteva trovare
lavoro
alla
Harverster
International(exMcCormick)
semplicemente attraversando
lalineadipicchettaggio.
Nel1916,unpastorenero
delSouthSidereclutòinuna
notte 300 donne nere per
rompere uno sciopero di
cameriere d’albergo. I grandi
packers
finanziavano
lautamente i politici e le
chiese nere. Negli anni venti
il vescovo della chiesa Ame
(African
Methodist
Episcopal) di Chicago,
Archibald Carey, diceva:
“L’interesse del mio popolo
sta nel benessere della
nazione e nella parte di
popolo bianco che lo
controlla”: all’inizio del
secolo la sua cappella era
stata salvata dalla chiusura
dagli Armour e dagli Swift.
Durante l’ultimo grande
sciopero dei mattatoi, nel
1921, i neri furono di nuovo
assunti a decine di migliaia,
ma questa volta furono
assunti per restare: i packers
volevano premunirsi una
voltapertuttecontroscioperi
esindacatibianchi.34
Nei rapporti operai si
ripropone quindi un altro
aspetto di quel “circolo
vizioso” che per Myrdal
caratterizzalaquestionenera:
“Il
pregiudizio
e
la
discriminazione dei bianchi
mantengono il negro in una
condizione d’inferiorità, per
tenore di vita, salute,
istruzione, maniere e morale.
Ilcheasuavoltafornisceun
sostegno al pregiudizio dei
bianchi”.35(Myrdaltraevada
questa situazione un motivo
d’ottimismo: se il vizio è
circolare, anche la virtù può
esserlo e la riforma di un
aspetto parziale ripercuotersi
sugli altri aspetti; così, se
diminuisce di un po’ il
pregiudizio razziale, questo
migliora il livello dei neri, il
che riduce a sua volta il
pregiudizio,inun’interazione
reciproca.)
Neirapportioperaiquesto
circolo vizioso significa che,
se i neri spinti dal bisogno
economico
si
fanno
assumere come crumiri, essi
rafforzano
i
pregiudizi
razziali dei sindacati che
lasciano libero sfogo alle
proprie
tendenze
segregazioniste.Cosìavvenne
nell’American Federation of
Labor, il cui presidente
Samuel Gompers agli occhi
deinerieradivenuto,durante
la Prima guerra mondiale,
simbolo
del
razzismo
sindacale: famosa è la sua
frasedel1901:laFederazione
“nonaffermanecessariamente
chelebarrieresocialiesistenti
trainerieibianchipossanoo
debbano essere abbattute”.36
A Chicago nel 1919, su 110
Unions affiliate all’Afl, 36
escludevano o rifiutavano di
integrare i neri nelle loro
sezioni. Fuori dall'Afl, 13
delle 15 maggiori unioni
discriminavano i neri.37
Questa
discriminazione
produceva l’ostilità dei neri
contro i sindacati e fece
fallire anche i tentativi
sindacali
d’integrazione
razziale: questa spirale della
“guerra in seno al popolo" si
sarebbe interrotta nel 1935
con il Cio (Committee for
Industrial
Organization)
fondato da John L. Lewis,
con i grandi scioperi del
1936, ma lascia una traccia
sul sindacalismo americano
ed è una delle cause storiche
dellasuadebolezza.
***
L’America ha dedicato
risorse intellettuali incredibili
alla
questione
nera:
“L’energia
intellettuale
assorbita dal problema negro
inAmerica,seconcentratain
una sola direzione, avrebbe
smosso
le
montagne,”
scrivevaMyrdal.38 Ma questi
tesori d’intelligenza risultano
vani. La questione nera è
vissuta come un’ossessione:
“L’unico modo per risolverla
è
creare
qualche
preoccupazione che distragga
ibianchidalproblemanero,”
scriveva ironicamente lo
scrittore
Frank
Tannenbaum.39 Un modo per
rimuovere la questione nera
risulta bene da come
l’Americaraccontaasestessa
le grandi sommosse nere, i
race rìots che hanno
costellatoilNovecento,perlo
più d’estate. Il primo
sanguinoso race not in una
grande città industriale del
Nordscoppiònelluglio1917
aEastSt.Louis.Ilmitonarra
inevitabilmente di una follia
compressa che esplode per
un’inezia, uno sgarbo che
funzionadadetonatoreinuna
non meglio precisata Santa
Barbara.L’iradelghettonero
è pensata come lava di un
vulcano sempre pronta a
erompere e a mettere a
repentaglio benessere e
sicurezza dei bianchi. Così è
avvenuto nella sommossa di
Los Angeles, nell’aprile del
1992,
attribuita
solo
all’assoluzione di alcuni
poliziotti
che
avevano
picchiato selvaggiamente un
nero.
È oggi delimitata da
baracconi
abbandonati,
industriediroccatelaspiaggia
di Chicago che il 27 luglio
del 1919 vide scoppiare una
delle prime sommosse nere
delle metropoli industriali
statunitensi. La vulgata su
questa sommossa suona così:
faceva un caldo boia quel
giorno, e i Chicagoans si
erano riversati sulla riva del
Lago
Michigan.
Sulla
spiaggia di fronte alla 27a
strada, nel South Side, un
ragazzo nero di 17 anni,
Edward Williams, oltrepassò
la linea invisibile che
separavainacquaineridalle
ragazzebiancheefuuccisoin
una sassaiola. Gli scontri
dilagarono in tutta la parte
sud di Chicago per quattro
giorni, fino al 31 luglio, e la
calma tornò definitivamente
solo l’8 agosto, grazie a un
acquazzone e alla guardia
nazionale: nel frattempo, 38
persone furono uccise (23
neri, 15 bianchi), 537 ferite,
migliaia vennero arrestate,
più di mille restarono senza
tetto.
Ma la “situazione era un
po’piùcomplessa”,tantoper
eufemizzare.40 In primo
luogo,sullosfondogravavala
questione abitativa (su cui
torneremo). Tra il 1917 eil
1919,aChicagogangbianche
avevano gettato 24 bombe
contro case di neri che
avevano osato andare ad
abitare in quartieri bianchi.
Nel 1919 poi, la situazione
era acuita dai problemi della
pace. Erano stati congedati
quattro milioni di soldati, e
nove milioni di lavoratori
nell’industria
bellica
dovevano riconvertirsi. Così,
i packers, che avevano
prosperato con le scatolette e
le
razioni
alimentari,
licenziarono10.000neridalle
Stock
Yards.
Vi
si
aggiungevano200.000reduci
neri che premevano sul
mercato immobiliare, vista la
penuriadicase,esulmercato
del lavoro. Nell’aprile del
1919,laChicagoAssociation
ofCommercetelegrafavaalle
Camere di commercio del
Sud: “Hai bisogno di lavoro
Negro?Quigrandesurplusdi
Negri, sia soldati congedati
sia civili, pronti ad andare a
lavorare”.41 Quando ci
raccontano la sommossa di
Chicago, tralasciano di dirci
che in quella stessa estate
altre 25 sommosse nere
scoppiarononellecittàUsa.A
Chicago, ad avvelenare
ulteriormente la situazione,
era venuta la rielezione, con
l’appoggio decisivo dei neri,
del sindaco repubblicano
William Hale Thompson,
odiatodaibianchicattolicidi
origineeuropea.
Una
pubblicazione
dell'epoca
titolava
"Un’epidemia di scioperi a
Chicago” e raccontava:
“L’afa
dell’estate
è
accompagnata da un numero
di scioperi e di serrate quale
non si è mai visto prima”.42
Per tutto giugno e luglio del
1919 nei mattatoi si
susseguirono
i
“gatti
selvaggi”,
gli
scioperi
spontanei. Ai primi di luglio
l’associazione dei costruttori
fece la serrata per 100.000
edili. Per di più, proprio a
Chicago, il 20 luglio il
comitato nazionale sindacale
autorizzò il voto che indisse
per il 22 settembre il grande
sciopero nazionale delle
acciaierie che sarebbe durato
dieci settimane, fino all’8
gennaio 1920. Non solo: per
il fine settimana in cui
scoppiò la sommossa erano
stati programmati scioperi da
36.000lavoratoritracuituttii
trasporti pubblici. A fine
luglio a Chicago, circa
250.000 lavoratori erano in
sciopero o stavano subendo
unaserrata.43
C’è da aggiungere che, a
scontriiniziati,ilgovernatore
dell’Illinois ritardò l’invio
dellaguardianazionale(come
era avvenuto anche a St.
Louis nel 1917); che durante
lasommossaigrandipackers,
gli Armour e gli Swift in
testa, per battere gli
scioperanti
bianchi
e
fomentare
disordini,
mandarono carri di cibi e di
carne per nutrire i neri. Il
41% degli scontri avvenne
nelquartieredelleYardschei
neri traversavano solo per
andare a lavorare. Già il 7
agosto i neri tornarono a
lavorare nei mattatoi scortati
dallapolizia.
Può darsi fosse falsa
l’accusa lanciata dal giornale
sindacale "New Majority”,44
e cioè che le azioni dei
packers avessero causato gli
scontrirazziali.Puòdarsiche
noncisiamaistatoun"piano
del
capitale”
che
coscientemente dirottasse lo
scontro di classe in lotta di
razza. Certo è che la stessa
logica del capitale, tenere i
salari più bassi possibili,
sconfìggere le proteste e gli
scioperi, ridurre il costo
umano,provocavaesfruttava
ilcircoloviziosodelrazzismo
bianco e del crumiraggio
nero,dellesommosserazziali
e della segregazione. Non è
una pura coincidenza che
quell’estatedel1919,theRed
Summer, l'estate rossa”,
segnasse
una
sconfitta
pesante del movimento
operaio statunitense e nello
stesso tempo vedesse svanire
lasperanzacheavevaportato
tanti neri meridionali nel
Nord, in un processo di odio
razziale che avrebbe fatto
diventareChicagolacittàpiù
segregata
d’America.
ChicagoLand of Hope oggi?
L’umorismo
nero
pare
diventatoilgeneredimaggior
successo nella toponomastica
statunitense: chiunque abbia
girovagato
per
Nord
Filadelfia (il South Bronx
locale) non può fare a meno
dipensarecheFiladelfiavuol
dire letteralmente "Città
dell’amorefraterno”.
Ilmeccanismoinnescatoa
Chicago nell’estate del 1919
è un processo che vediamo
agire ancora oggi in altre
zone del mondo. Ancora una
volta, il conflitto di classe
viene dirottato, canalizzato,
tradotto in conflitto razziale,
etnico, per cui la razza,
l’etnia, la nazione sono
"riscoperte”, o “immaginate”
dopo
la
rivoluzione
industriale,
dopo
la
modernizzazione, dopo la
trasformazione capitalistica. I
race riots ci aspettano nel
nostro futuro europeo, non
sono una folkloristica, estiva
usanzayankee.
1 The Girl of San
Francisco, A Lesson from
Life, The Shielding Shadow,
The Trooper of Company K,
Forbidden Fruit, The Sins of
the City, elencati con altri
trentotto film nel "Chicago
Defender”del7ottobre1916.
2 James R. Grossman,
Land of Hope: Chicago,
Black Southeners, and the
Great Migration, Chicago
University Press, Chicago
1989.
3 Gunnar Myrdal, An
American Dilemma. The
Negro Problem and Modern
Democracy, Harper and
Brothers, New York 1944.
Voluminoso (1024 pagine
grandiditesto,526paginedi
introduzione, note, appendici
e bibliografia), questo libro
non è tradotto in italiano
(sono disponibili solo alcune
sintesi).Ilterminenegro non
aveva ancora il carattere
insultante (allora espresso da
Nigger) che ha assunto alla
fine degli anni sessanta.
Quindi autori progressisti
come Myrdal usavano il
termine negro quando noi
useremmo nero e nelle
citazioni ho lasciato questo
termine.
4 Volutamente
mantengo le espressioni
"problema nero”, “questione
nera" di Myrdal anche se
hanno
un
sapore
anacronistico.
5G.Myrdal,op.cit.,p.
113.
6 Autobiography of
MalcolmX,incollaborazione
conAlexHaley,GrovePress,
New York 1965, trad. it.
Rizzoli,Milano1993,p.11.
7 James Bryce, The
American
Commonwealth
(1893), Macmillan, New
York1917,vol.n,p.555.
8LawrenceWright,One
Drop of Blood,in "The New
Yorker”, 25 luglio 1994 (pp.
46-55),p.47-48.
9 Scott L. Malcomson,
One Drop of Blood. The
American Misadven-ture of
Race, Farrar Strauss Giroux,
New York 2000, p. 356 (il
corsivoèmio).
10G.Myrdal,op.cit.,p.
133: lo studio citato è The
Anthropometry
of
the
American Negro (New York
1930) di Melville J.
Herskovits che studiò un
campionedi1551neri.
11 268.000 coppie
nero/bianca
e
90.000
matrimoni bianco/nera: e
la prevalenza dei matrimoni
nero/bianca esplicita la
volontà
cosciente
d’infrangere il tabù razziale
pereccellenza.
12 U.S. Bureau of the
Census,StatisticalAbstractof
the United States 2002,
Government Printing Office,
Washington D.C. 2002, tavv.
15e45.
13Ivi,taw.91,98e288
eU.S.DepartmentofJustice,
Bureau of Justice Statistics
Bulletin, Prisoners in 2000,
WashingtonD.C.luglio2003,
p.9.
14 Per la definizione di
redditomediano,vedinota21
ap.87.
15 Dalla rivista
“Prevention”,
sondaggio
LouisHarris,settembre1992.
16 A. de Tocqueville,
De la démocratie en
Amérique, cit., parte II, cap.
x, par. Posizione che occupa
la razza nera negli Stati
Uniti; pericoli che la sua
presenza fa correre ai
bianchi, citazioni tratte dalle
pp.337,338e358.
17Autobiografia...,cit.,
p.218.
18SaulBellow,Papuas
andZulus,in“TheNewYork
Times”,10marzo1994.
19 J.R. Grossman, op.
cit.,p.4.
20 Ivi, frasi citate alle
pp.37e169.
21
Encyclopœdia
Britannica (1911), vol. xix,
pp. 344-345, citata da S.
Steinberg, The Ethnic Myth,
cit.,p.30.
22 Robert Slayton
riportal’usanza,traglioperai
dei mattatoi, di portarsi o
farsi portare un secchio di
birra nel mattatoio per il
lunch:
in
un
solo
mezzogiorno dalla zona di
Whiskey Row, dove c'erano
46 bar, uscirono 1065 secchi
di birra. Cfr. R.A. Slayton,
BackoftheYards,cit.,p.101.
23 Citato da J.R.
Grossman, op. cit., pp. 145146.
24 G. Myrdal, op. cit.,
appendice5,p.1077.
25Ivi,pp.27-29.
26Ibidem.
27 Su rapporto tra
PoliticallyCorrectepolitiche
delle identità, vedi il
contributodiBarbaraEpstein
alvolumeBeyondPC,toward
a Politics of Understanding,
curatoeintrodottodaPatricia
Aufderheide,GraywolfPress,
Saint Paul (Minn.) 1992, pp.
148-155.
28 J.R. Grossman,
op.cit.,p.144.
29G.Myrdal,op.cit.,p.
28.
30J.R.Grossman,op.cit.,
pp.176-177.
31 B. Cartosio,
Lavoratori negli Stati Uniti,
cit.,p.46.
32WilliamM.TuttleJr.,
Race Riot. Chicago in the
Red Summer of 1919,
Atheneum, New York 1970,
p. 113. Sul problema del
crumiraggio nero tutto il
capitolo Labor Conflict and
RacialViolence,pp.109-156.
33Ivi,p.117.
34 Tutte queste notizie
sonotrattedaJ.R.Grossman,
op. cit., cap. 8, The White
Man'sUnion,pp.208-245.
35G.Myrdal,op.cit.,p.
75.
36 Lettera di Samuel
Gompers alla stampa, del 19
aprile
1901,
cartella
corrispondenza
Afl,
Washington D.C., citata da
MarcKarsoneRonaldRadsh,
The American Federation of
LaborandtheNegroWorker
(1849-1949),
in
Julius
Jacobson (a cura di), The
Negro and the American
Labor Movement, Doubleday
Anchor, New York 1968, p.
158.
37 W.M. Tuttle Jr., op.
cit.,pp.143-144.
38 Gunnar Myrdal,
Value in the Social Theory,
Harper and Brothers, New
York 1958, trad. it, Einaudi,
Torino1966,p.90.
39Ivi,p.95.
40 Per una descrizione
dettagliata della sommossa,
vediW.M.TuttleJr.,op.cit.,
soprattuttolepp.3-66.
41Ivi,p.131.
42 Taylor Graham, An
Epidemie of Strikes in
Chicago, in "The Survey”,
vol. ILII, 2 agosto 1919, pp.
645-646.
43W.M.Tuttle,op.cit.,
pp.140-141.
44 Riportata da J.R.
Grossman,op.cit.,p.223.
2.AllahsulLago
Michigan
Quel che Ginevra è per i
calvinisti, Chicago lo è per i
musulmani neri, i Black
Muslims. A Chicago, nel
profondo
South
Side,
all’angolo tra la 79a e South
Cottage Grove Avenue,
spicca, come la pubblicità di
una pompa di benzina,
l’insegna di una mezzaluna
che circonda una stella a
cinque punte a sovrastare la
moschea costruita nel 1934
da Elijah Muhammad, il
fondatore della setta, il suo
nuovo
Maometto.
La
moschea è corredata di un
ristorante,diunapasticceriae
di un parking Salaam. A
Chicagoogniannositienela
convention della Nation of
Islam (Noi), che - a detta
degli organizzatori - raduna
12.000fedelichepaganotrai
30ei50dollariperascoltare
il loro leader Louis
Farrakhan.Nessunosaquanti
siano i musulmani neri negli
Stati Uniti. È esagerata la
cifra di 100.000 aderenti che
sbandierano.Eppureègrande
illoropesopoliticoemorale.
Il 5 agosto 1995 la Million
Man March a Washington
D.C. fece discutere tutto il
mondo. Anche se meno
controversa, cinque anni
dopo, il 16 ottobre 2000 la
MillionFamilyMarchradunò
una
folla
ugualmente
imponente. Nessun politico
afroamericano può essere
legittimato in quanto “nero”
senza l’avallo dei Black
Muslims. Ben lo sa Jesse
Jacksonchenel1988dovette
assicurarsi il loro appoggio
per poter ingaggiare battaglia
nelle primarie presidenziali:
questosostegnolopagòcaro,
procurandosi l'ostilità degli
ebrei, visto il feroce
antisemitismodellaNationof
Islam
testimoniato
dal
pamphlet
The
Secret
Relationship between Blacks
andJewspubblicatonel1991
dal Dipartimento di ricerche
storichedellaNoi.
Ma poiché è una delle
forze
che
controllano
dall'interno
il
sistema
penitenziario
americano
(come avvenne per Malcolm
X, è dietro le sbarre che la
maggior parte dei neri
americani diventa Black
Muslim), la sua influenza va
ben oltre la minoranza nera,
tanto che, dopo l’attacco al
WorldTradeCenternel2001,
è stata l’unica forza politica
di massa organizzata ad
affermare pubblicamente che
"la ‘guerra al terrorismo’ era
lacontinuazionediunalunga
storia
di
aggressione
occidentale contro l’IsIam,
risalente alle crociate”: certo
chedopol’11settembre2001
nondovetteesserefaciledirsi
musulmani negli Stati Uniti!
Ma la Noi si oppose
apertamente alle guerre
contro l’Afghanistan prima e
contro l’Iraq poi. E, con la
sua
solita,
sobria
aggettivazione,illeaderdella
Noi, Louis Farrakhan, disse
cheresponsabilidegliattacchi
dell’11 settembre erano i
“bugiardi,
puttanieri,
magnaccia e truffatori” che
avevano traviato la società
americana e la politica estera
e si erano così meritati la
punizionedivina.1Maperfino
di fronte a queste posizioni i
governanti
americani
rinunciarono a prendere di
pettolaNationofIslam.
Perché il peso dei Black
Muslims deriva dal loro
essere una forza organizzata,
disciplinata,conun’ideologia
ferrea, con proprie attività
economiche. La Noi ha un
quindicinale, “The Final
Call” (“La chiamata finale”,
con una tiratura di 400.000
copie), ha scuole per
infermiere, una sua catena di
ospedali,
un’università,
l’University of Islam, un
corso di addestramento
militare per un (non tanto)
piccoloesercitodiguardiedel
corpo, il Fruit of Islam. In
questo, la Nation of Islam
non si differenzia da molte
altre
sette
religiose
statunitensi che sono nello
stesso tempo una fede, un
business,unalobbypolitica,a
volteunagang.Religioniche
tengono non sinodi o concili,
ma convention, come fanno i
rappresentanti di commercio
o gli odontotecnici. Così la
Nation of Islam affitta le sue
forze paramilitari come
vigilantes e ha formato
quattro società di vigilanza,
tra cui “Noi Security
Agency”, che hanno vinto
appalti per garantire la
sicurezza di complessi di
edilizia popolare nel distretto
di Columbia, a Pittsburgh,
Filadelfia, Los Angeles,
Brooklyn,
Chicago,
assicurandosi nel giro di
pochi anni 20 milioni di
dollari di fatturato, ma anche
incappando in disavventure
finanziarie e giudiziarie, a
causa dell’eccessivo amore
per le auto di lusso e per le
giovaniabitantichenutrivano
gli agenti dei musulmani
neri.2
Così, mentre la Nation of
Islam fa proseliti nei ghetti
aeri più miserabili e nella
popolazione carceraria in
nomedella“guerradirazza”,
il suo leader Farrakhan abita
in un quartiere residenziale
integrato, viaggia circondato
da gorilla e ama esibirsi in
concerti di violino. A
delineareilpersonaggio,basti
quest'episodio:
Louis
Farrakhan (il suo nome di
battesimo è Louis Wolcott)
prima definì l’ebraismo la
“sinagoga di Satana” e una
“religionedafogna”,poi,per
rispondere alle accuse di
antisemitismo, ha suonato in
pubblico
brani
del
compositore
(ebreo)
Mendelssohn.Ormaidaquasi
quarantanni, Farrakhan è
circondato dal sospetto di
aver ordinato nel 1965
l’uccisione di Malcolm X,
sospetto che non ha mai
davvero smentito e che anzi
rafforza con affermazioni
quali: “Proprio il lavoro di
Malcolm fece di ognuno di
noi un killer potenziale.
Quando Malcolm oltrepassò
questa linea, la morte era
inevitabile”.
D’altronde,
quando nel 1998 uscì di
prigione uno dei killer
condannati per l’omicidio di
Malcolm X, tal Muhammad
Abdul Aziz (che negli anni
sessanta si faceva chiamare
3X Butler), subito Farrakhan
lo nominò capo della
sicurezza della moschea di
Harlem,untempoguidatadai
leader del movimento per i
diritti civili,3 la stessa
moschea frequentata negli
anni ottanta da due giovani,
Richard X e Chuck che
avrebbero poi fondato il più
celebre gruppo rap del
pianeta, i Public Enemy.4
Farrakhan, che da anni
combatte contro il tumore,
agiscecomequeipredicatoriimbonitori televisivi della
moral
majority
che
sostenneroReagan.Esempre
la Nation of Islam invoca
repressione,leggeeordine.
La Nation of Islam
potrebbe perciò essere solo
uno di quei tanti miscugli di
furbizia e creduloneria,
cialtroneria
e
piccola
delinquenza, affarismo e
volontà di mutuo soccorso
che la modernità senza sosta
secerne
a
lenire
le
disperazioni individuali. Ma
nelsuonascereedespandersi
si delinea un problema che
allora sembrava marginale,
ma che all'inizio del terzo
millennio è improvvisamente
diventatocentralenellastoria
del mondo. Negli anni
sessanta del secolo scorso, il
Coranociparlavasolodiuna
civiltàlacuigrandezzasiera
ormai dissolta da secoli. A
quel tempo sembrò balzano
che un filosofo comunista
(parigino) come Roger
Garaudy si convertisse
all’IsIam. Allora nessuno
avrebbe mai immaginato che
trent’anni dopo l’Islam,
Allah, il fondamentalismo
musulmano e la jihad
sarebbero stati al centro
dell’attenzione e - ancor più
sorprendente
-
della
preoccupazione occidentale,
che vi avrebbe dedicato
innumerevoli progetti di
ricerca,
libri,
articoli,
documentari.
Nella Nation of Islam si
cela perciò un enigma
cruciale:perché,ecomemai,
contadini neri del Sud
inurbati nella città delle
ferrovie, dei mattatoi, della
catena di smontaggio, hanno
cercato una nuova speranza,
unaragionedivita,unmezzo
di
affrancamento
nella
conversione
all’IsIam
(peraltro, un ben curioso
islamismo)?Comeèsuccesso
che, per i neri, Chicago da
Land, of Hope, da "Terra di
speranza”, sia divenuta
roccafortedimusulmani?Che
ci fa Allah sulle rive
ghiacciate
del
Lago
Michigan? Come mai negli
annicinquantaesessanta,nei
ghetti urbani di Filadelfia e
Detroit pregare Allah pareva
ai neri un’arma nella lotta di
liberazione?
Era
solo
stravaganza o al suo interno
serpeggiava
una
prefigurazione del futuro? E
ancora: perché l’austerità
puntigliosa del musulmano
Malcolm X (niente fumo, né
alcol, né gioco d’azzardo, né
carne di maiale, né rapporti
sessuali misti tra neri e
bianchi,
stretta
fedeltà
coniugale) è stata una delle
guide
spirituali
del
trasgressivo,
immoralista
movimento
studentesco
europeo degli anni sessanta?
Comemaineglianninovanta
del xx secolo, un ex
campione di boxe yankee
(Muhammad
Ali,
alias
CassiusClay)èandatoinIran
a inchinarsi sulla tomba
dell’ayatollah Khomeini e un
altro, Mike Tyson, appena
uscito di prigione, si è recato
per prima cosa in una
moschea?
Secondo la leggenda, la
NationofIslamfufondatanel
1931aDetroitdatalWalliD.
Fard giunto l’anno prima
negliStatiUnitidallaMecca.
Per i musulmani neri, Walli
D.Fard,“chesieracamuffato
da venditore ambulante di
sete”, è un’incarnazione di
Allah: era mezzo nero e
mezzo bianco "affinché
potesse essere accettato dai
negri d’America e guidarli,
mentre, nello stesso tempo,
avrebbe potuto muoversi
indisturbato tra i bianchi e
capire e giudicare la vera
naturadeinemicidelnegro”.5
Ancora oggi il giorno della
sua nascita è celebrato dai
fedeli come giorno della
salvezza.FardfondòaDetroit
la moschea n. 1 e insegnò il
verbo a Elijah Muhammad
(1897-1975), il cui nome
era Elijah Poole, figlio di ex
schiavi della Georgia. Fard
scomparve misteriosamente
(la storia della Nation of
Islam è costellata di
scomparse)
ed
Elijah
Muhammad si trasferì a
Chicago, dove nel 1934
costruì la moschea n. 2, da
allorailcentrospiritualedella
setta.
La setta vivacchiò fino
agli anni cinquanta quando
aveva, secondo quanto
affermaMalcolmX,menodi
1000 fedeli. Fu negli anni
cinquanta, proprio grazie a
Malcolm X, che la Nation of
Islam moltiplicò le sue
moschee e i suoi credenti,
attirò l’attenzione nazionale:
nel 1960 Eric Lincoln
pubblicò il suo The Black
Muslims in America, in cui
coniò il termine “musulmani
neri”. Poi Malcolm X ruppe
con il suo mentore Elijah
Muhammad, si allontanò
dalla Nation of Islam e fu
ucciso. Dieci anni dopo, nel
1975,dopolamortediElijah
Muhammad,lasettasidivise
in due: un’ala più moderata,
che faceva capo al figlio di
Elijah, l’imam W. Deen
Muhammad, fautore di un
ritorno all’osservanza della
dottrina ortodossa islamica;
l’altra ala, capeggiata da
Farrakhan, ha poi preso il
sopravvento. Solo nel 2000
W. Deen Muhammad e
Farrakhan
si
sono
riappacificatipubblicamente.6
***
Ilfattoèchelaforzadella
Nation of Islam sta proprio
nellaradicalitàdellaguerradi
razza che essa sostiene,
almeno a parole. La sua
dottrina è semplice e, in un
certo senso, è una verità
sperimentale: la religione
cristiana è falsa perché,per i
neri,l’infernononsipresenta
dopo la morte, nella vita
ultraterrena delle anime, ma
l’inferno è qui, su questa
terra, in questa società, e i
suoi demoni sono gli uomini
bianchi. E chi potrebbe
negare che l’uomo bianco ha
reso la vita un inferno
all’uomo nero, prima con la
schiavitù, poi con i linciaggi,
leleggiJimCrow,lamiseria,
l’abiezione? Agli orecchi di
un detenuto nero chiuso nel
penitenziario di Angola,
Louisiana, uno dei più feroci
carceri del pianeta, o di un
abitantediEastSt.Louisodi
Nord Filadelfia, la frase
“l’inferno esiste per i neri su
questaterraeibianchisonoi
suoi
diavoli”
è
una
rivelazione che ha in sé una
verità
accecante,
inoppugnabile. Solo che nel
linguaggio
comune,
“l’infernoc’èsuquestaterra”
è una metafora (“una vita
d’inferno”) come, secondo
Jean-Paul Sartre, per un
razzista “l’enfer, c’est les
autres”, “l’inferno sono gli
altri”. Per la Nation of Islam
invece,
per
la
sua
cosmogonia, questa tesi va
intesanelsensoletterale.
Ecco
dunque
la
cosmogonia dei musulmani
neri, come è riassunta da
MalcolmX.Dopochelaluna
si fu staccata dalla terra, i
primiesseriumani,cheerano
di colore, fondarono la città
santadellaMecca.Traquesto
popolo negro c’erano 24
sapienti, uno dei quali, in
conflitto con gli altri, formò
la tribù negra di Shabaz,
particolarmente forte, da cui
discendono i cosiddetti negri
americani. "Circa 6100 anni
fa,quandoil70%delpopolo
era soddisfatto e il 30%
insoddisfatto, nacque fra
questi ultimi un certo
Yakub.”7 Yakub divenne
scienziato, predicò dottrine
ereticheallaMeccatantoche
fu esiliato con i suoi 59.999
seguaci nell’isola di Patino,
dovemillennidopol’apostolo
Giovanni avrebbe scritto
l'Apocalisse. Sdegnato per
l’esilio, Yakub decise di
creare una razza di bianchi
attraverso una selezione
genetica: “Sapeva benissimo
che gli esseri umani che
sarebbero derivati da tale
processo sarebbero stati di
pellepiùchiaraepiùdeboli,e
anchepiùsuscettibilidiesser
preda della malignità e
cattiveria. In tal modo egli
avrebbe ottenuto quella razza
di diavoli bianchi che aveva
vagheggiato”.Laselezionedi
una razza bianca dalla razza
neraoriginariarichiesesecoli,
alla fine dei quali “sull’isola
di Patmo cerano soltanto
questi diavoli biondi, dalla
pelle chiara e dagli occhi
celesti; dei selvaggi nudi e
senza alcun senso di
vergogna,
pelosi
come
animali, che passeggiavano
su quattro zampe e vivevano
sugli alberi”. Dopo altri
seicento anni, questa razza
tornòtrainerioriginarie,nel
giro di sei mesi, “servendosi
di menzogne che spinsero i
negriacombattersil’unocon
l’altro,questarazzadidiavoli
aveva trasformato quello che
erastatounparadisoterrestre
in un inferno dilaniato dalle
lotte e dai contrasti”. Ma la
profezia asserisce che, dopo
6000 anni, durante i quali la
razza bianca di Yakub
avrebbe dominato il mondo,
l’originaria razza negra
avrebbe dato i natali a un
uòmo la cui saggezza,
sapienza e potere sarebbero
statiinfiniti.
Costui sarebbe stato,
naturalmente,
Elijah
Muhammad.
Sarebbe
sbagliato
sorridere di fronte alle
enormità di cui è costellata e
intessuta questa saga. E non
soloperchédecinedimigliaia
di persone vi credono, il che
sarebbe già una buona
ragione. Chi saremmo mai
noi per disprezzare queste
credenze, quando migliaia di
paralitici cattolici si recano
ogni anno a bagnarsi
nell’acqua sporca di una
vasca in una grotta francese
sperandoinunmiracolo?
Non solo. A partire dal
ghetto, questa setta ha messo
a punto l’obiettivo più
raffinato delle ideologie
moderne: riscrivere la storia
come arma per fare la storia.
Hamessoinpraticalatesidi
Dewey: "lo scritto storico è
essostessouneventostorico.
È qualcosa che si verifica e
che nel suo verificarsi ha
conseguenze
d’ordine
esistenziale
[...].
La
concezionemarxistasulruolo
dellelottediclassenellavita
sociale ha essa stessa [...]
accresciutoilsignificatodelle
lottediclasse”.8Asuomodo,
questa saga compie una
rivoluzione
copernicana.
Scrive Alessandro Portelli:
“Affermando che i bianchi
sono una creatura dei neri, la
storia di Yakub ottiene il
risultato non trascurabile di
rimettereinerialcentrodella
storia”. Ecco allora che,
diffondendo
una
fola
inverosimile, Malcolm X
ottieneuneffettomoltoreale,
"contribuiscepiùdichiunque
altro a trasformare lo studio
della storia. Se oggi è
impossibile continuare a dire
che i neri non hanno storia e
non hanno passato”,9 questo
losideveaMalcolmX.Cioè,
paradossalmente, al mito di
Yakub.
Ma nella storia di Yakub
c’è un altro elemento di
straordinaria modernità: ed è
che questa riscrittura della
storiaèfattacomerivelazione
religiosa, simile per molti
aspetti alle moderne sette
cristiane degli Stati Uniti. La
tesi per cui i negri
“costituiscono la perduta e
ritrovata nazione dell’IsIam
qui in questo deserto
dell’America del Nord”
somiglia come una goccia
d’acqua alla rivelazione del
profeta Mormon, trasmessa
nell’OttocentoaJosephSmith
dall’angelo Moroni per cui,
dopo l’abbandono della torre
di Babele, una tribù d’Israele
"persa e ritrovata”, i
Lamaniti, progenitori dei
pellerossa,
avrebbe
attraversato l’Atlantico. La
stessareincarnazionediAllah
negli Stati Uniti corrisponde
allatradizionemormonicaper
cui Cristo si sarebbe
manifestato in America dopo
lasuaresurrezione.Enessuno
negli Usa piglia in giro la
chiesamormonechecontrolla
un intero stato, lo Utah, e
costituisce un formidabile
impero
economico
e
finanziario. Profondamente
americana è l’idea che un
'identità è stata "persa e
ritrovata", è l’affermazione
persino patetica di una
continuità
data
per
dimenticata,
sommersa
dall’oblioeinfinesalvatadai
flutti della memoria. Questa
continuità,
per
quanto
immaginata, ti salva, ti
consente di non essere più
individuo isolato, disperso a
caso su quest’immenso
continente, ma di far parte di
una
comunità
(umana,
sociale,
religiosa)
che
ignoravamo non perché non
esisteva, ma perché ce
l’avevanonascosta.
Il secondo tema, assai
poco islamico e molto
americano, della Nation of
Islam è l’Avvento. Secondo
lastoriadiYakub,ildominio
bianco, durato 6000 anni, è
giunto alla fine e l’arrivo di
Elijah Muhammad segna
l’avvento del regno dei neri.
L’avvento è comune a molte
sette cristiane. Gli stessi
mormoni vedono la loro
comunitàcomequellacittàdi
Sion che il Cristo avrebbe
ordinato di stabilire nel
Nuovo mondo negli "ultimi
giorni del creato” e la
chiamano infatti Chiesa di
Gesù Cristo dei Santi
dell’Ultimo Giorno (Church
of Jesus Christ of the LatterDay Saints). Per non parlare
poidelleinnumerevolichiese
avventiste degli Stati Uniti
che annunciano prossima la
fine del mondo e imminente
l’avventodelregnodiDio.Il
primo leader degli avventisti,
WilliamMiller,annunciòche
la fine del mondo sarebbe
giuntail21marzo1844.Quel
giorno il sole sorse ancora e
laterracontinuòaruotare,ma
gli avventisti non persero la
fede, e spostarono la fine del
mondoal22ottobredel1844,
epoiancora.Enonsonosolo
estremisti
come
David
Koresh che si credeva
l’Agnelloreincarnatoechesi
è lasciato bruciare con un
centinaio di suoi fedeli in un
casale di Waco, Texas,
nell’aprile 1993. Né ingenui
come quelle migliaia di
coreani e coreane di Chicago
che, nell’ottobre 1992, ho
visto attendere asserragliati
nelle loro chiese per tutto un
giornoetuttaunanottecheil
mondo finisse, per scoppiare
apiangerequandopoisisono
accorti
che
dovevano
continuare a vivere. No,
perché negli Stati Uniti la
sola Chiesa avventista del
Settimo giorno (una fra le
molte
dénominations
avventiste) controllava negli
anninovanta44caseeditrici,
14 college, 2 università,
scuole mediche, dentali e
fisioterapiche, 437 scuole
secondarie, 4411 scuole
elementari, finanzia 437
ospedali e 2435 stazioni
radio.10 Fanatici forse, ma
dotati di tanto senso degli
affari
e
di
capacità
organizzativa.
La credenza nell’avvento
è quindi qualcosa di
profondo, di personale, che
vaoltrelareligione-siaessa
cristianaoislamica-echefa
da pendant al pensare
positivo, a quel positive
thinking che per ogni tesi
esige
una
verifica
sperimentale subito, che a
ogni sacrificio assegna un
corrispettivo
materiale,
tangibile.
L’avvento
terrestrizza il regno dei cieli,
traslocaal-di-quatuttol’al-dilà. Esso porta su terra il
paradiso, o il regno del
signore, proprio come la
NationofIslamportasuterra
il regno del demonio,
l’inferno.
L’awentismo
trasferisce il problema del
senso (che senso ha la nostra
vita?) dalla storia sacra alla
storia profana, dalle anime
immateriali agli individui
corporei, da oltre la fine del
tempoall’oggi.Daquideriva
la fiducia continua-mente
reiterata, nonostante ogni
smentita, di una data precisa,
prossima, alle ore x del
giorno y dell’anno z, per la
fine del mondo (Rapture in
inglese).
L’avventismo
radicalizza all’estremo la
predestinazione calvinista,
poiché chi attende la fine del
mondo è già un eletto del
Signore destinato a entrare
nel suo regno. Chi crede
nell’avvento si attribuisce le
stigmate della santità; e lo fa
esigendo che l’agostiniana
"città di Dio” sia costruita
oggi, adesso, possibilmente
separata dalla “città degli
uomini”.
***
Entriamo qui in uno dei
meandri più intricati, quello
dell’indissolubileintrecciotra
fanatismo
religioso
e
mentalità positivista. Per
l’opinione
corrente,
la
mentalità positivista è atea,
scettica, crede solo ai fatti, è
materialista,
mentre
il
religioso sarebbe l’opposto,
spiritualista e fideistico. Ma
positivismo e fideismo sono
accoppiati sin dalle origini
moderne, fin da Auguste
Comte:chiragiona“inmodo
positivo”puòesserereligioso
fondamentalista.
Per
compiere il salto dal fatto
positivo alla fede, basta
considerare la verità rivelata
essa stessa come un fatto,
basta seguire le “istruzioni”
del libro di dio come si
seguono le istruzioni d’uso
degli elettrodomestici. È qui
che
entra
in
gioco
l’interpretazione letterale, e
non più metaforica, delle
affermazioni
religiose:
“l’inferno su terra” inteso
letteralmente; il “diavolo
bianco” inteso letteralmente
per la Nation of Islam, ma
anche i brani della Bibbia
interpretati alla lettera per le
sette protestanti. Secondo un
sondaggioGallupdel1983,il
62% degli americani “non
aveva dubbi” sul fatto che
Gesù tornerà sulla terra. Un
altro sondaggio del 1980
trovò che il 40% degli
americani consideravano la
Bibbia“larealeparoladiDio
[...] da prendere alla lettera
parola per parola". Nel 1988
un sondaggio con domande
formulate in modo diverso
diede un 31% di persone che
consideravano la Bibbia la
"reale parola di Dio da
prendere alla lettera parola
per parola”. Il 31%
rappresenta 61 milioni di
americanisoprai19anniche
credono alla Bibbia parola
per parola, persino nelle
immagini terribili e barocche
dell’Apocalisse
di
san
Giovanni (in inglese, il libro
dell’Apocalisse si chiama
Revelation).11
Un’altra saldatura tra
pensiero
positivista
e
fondamentalismo religioso si
produce
nell’immensa
potenza retorica che negli
Stati Uniti è conferita ai
numeri.La comunicazione di
massa sfrutta molteplici
figure retoriche del numero,
dalla ripetizione ("In 12
giorni, con 12 fiale, 12 anni
di meno sul vostro viso”),
all'enumerazione ("1 offerta
eccezionale, 2 stili di vita, 3
vantaggi"), al doppio senso
("99 dollari per 99 giorni di
viaggio”, "920 tonnellate a
920 km/h”): il numero non è
maisolodenotativo,maèuno
strumentolinguisticoincuisi
nascondono
sempre
connotazioni.12
Ma per gli Stati Uniti è
qualcosa di più. Già Sombart
notava l’ammirazione tutta
americana“diognigrandezza
misurabileepesabile:siaessa
ilnumerodegliabitantidiuna
città, il numero dei pacchi
postali, la velocità delle
ferrovie, l’altezza di un
monumento, la larghezza di
un fiume, la frequenza dei
suicidi”. E dava come
ragione:“Lavalutazionedella
grandezza in termini di
numeri
non
significa
null’altro che poter mettere
radice nell’anima dell’uomo
procurandosi denaro con lo
strumento capitalistico. [...]
Le grandi dimensioni del
paese americano hanno
sollecitato
questa
caratteristica, ma innanzitutto
doveva essere risvegliato il
senso in genere per il
numero”.13 Un secolo dopo
Sombart, chiunque abbia
vissuto un po’ negli Stati
Uniti
riconosce
la
straordinaria potenza del
numero che pervade la
comunicazione scritta, orale,
visiva.Ilnumerogarantiscela
verità di una tesi: ridotta alla
sua quantità numerabile, una
tesi
diventa
positiva,
verificabile: un numero è un
fatto. Solo che questa verità
numerica è usata in modo
disinvolto. La funzione del
numero non è di indicare
quale numero, ma di essere
unnumero.
Già a questo stadio il
numero assolve una funzione
non più aritmetica ma
cabalistica, religiosa, proprio
come per le sette cristiane il
666èilnumerodellaBestiao
dell’Anticristo, proprio come
per i Black Muslims Yakub
aveva 59.999 fedeli; come
6100 (e non 7400 o 5200)
annifa,unatondapercentuale
del 70% (e non uno stupido
68)degliuominioriginari,dei
neri, era felice e il 30% (e
non un prosaico 32) era
scontento. Agisce la stessa
funzione retorica quando
Malcolm X dice che la
massoneria e il diavolo
“hanno solo 33 gradi di
conoscenza, mentre Allah ne
ha360”,dove“grado”èusato
una volta come "stadio” e
un'altra come unità di misura
angolare.14
Dopo
l’interpretazioneletterale,ora
il numero costituisce il
secondopontetrapositivismo
e religiosità integralista, e
quel che li connette è che il
numero pretende di essere
intesoletteralmente,anzi,èla
letteralitàfattasisegno.
***
Ma Yakub è uno
scienziato,
anzi
uno
"scienziato pazzo”. E così
l’intreccio
tra
pensiero
positivo e superstizione si fa
ancora più esplicito e più
profondo. Nel racconto
originale
di
Elijah
Muhammad,piùdi6000anni
faYakub“conobbeilproprio
futurogiocandoconl’acciaio.
Con questo metallo ha
sempre giocato la razza che
egli creò. L’acciaio è
diventato il metallo più utile.
Yakub ne vide la capacità di
attrazione magnetica [...] e
concepì un essere umano,
improbabile ma creato per
attrarreglialtri,che,dotatodi
unasicuraconoscenzaditutti
gli espedienti e di tutte le
menzogne,
avrebbe
sottomesso
il
negro
originario...”15 All’origine
dell'infernocisonolascienza
e la tecnologia che hanno
creatoildiavolobianco.
Questacontaminazionedi
scienza e demonologia non è
peculiare della Nation of
Islam, né di Chicago. "In
realtà,ildestinodellascienza
a Los Angeles,” scrive Mike
Davis, “esemplifica il ruolo
inverso tra ragion pratica e
quel che i disneyani
chiamano
l'immagegneria
[imagineering]. Dove uno
potrebbe aspettarsi che la
presenza della più grande
comunità di scienziati e
ingegneri coltivi una società
illuminata, la scienza si è
invece associata con la
letteratura da quattro soldi,
con la psicologia volgare e
persino col satanismo per
creare un altro mattone del
mito californiano.”16 Il
rapportotrascienza,religione
e magia si rivela dunque più
enigmatico.
Da un lato la scienza
esercita
un’egemonia
indiscussa sulle società
moderne, dall’altro queste
società sono totalmente
ignoranti sul procedere
scientifico. E l’ignoranza
aumenta col crescere della
conoscenza scientifica e con
l’industrializzarsi della vita.
Nei nostri gesti quotidiani
non solo non usiamo mai
procedimenti scientifici, ma
sempre più ignoriamo come
funzionano gli oggetti che
adoperiamo senza sosta e ci
sono indispensabili. Come
mai una cornetta di plastica
bucherellatatrasmettesuonia
distanza? Come succede che
premountastoel’oscuritàfa
posto alla luce? Premo un
altro tasto e un’immagine
venuta da un altro continente
apparesulloschermo?Nonlo
so - rispondono i più -e non
m’interessa saperlo: qualcun
altrolosa.Piùsonosofisticati
i prodotti tecnologici, più
l’ignoranza
cresce:
i
calcolatori hanno reso inutile
saper far di conto e c’è un
analfabetismo aritmetico di
ritorno.
Ecco quindi che, per la
stragrande maggioranza, la
scienza e i prodotti
tecnologici sono magia. Per
“magia” s’intende ogni
processo in cui c'è una
sproporzione lampante tra lo
sforzorichiestodaungestoe
il risultato del gesto: non
costa fatica pronunciare una
sola parola eppure, se
questa parola è “Apriti
sesamo”, essa basta per
spostareungrandemacignoe
per entrare nella caverna di
Alì Baba; non costa nulla
intonareformule"magiche”e
così ottenere oro dai sassi. È
in questo senso che, per la
società, la scienza è una
magia. Tanto più la società è
tecnologizzata, tanto più la
sua ideologia è magica. Può
essere magia bianca, ed
elargire benefici all'umanità,
oppure
magia
nera,
stregoneria, e suscitare
l'inferno delle catastrofi
ecologicheebelliche,eallora
gliscienziatisonostregoni,o
pazzicomeYakub.17
Ancora. Se la verità
scientificaèlaveritàufficiale
della società, per una società
che ignora il procedimento
razionaledellascienza,questa
società crede che la scienza
dica il vero. Il punto è che
alla scienza ci si crede. Non
dimentichiamo che fin dai
suoi albori il positivismo
venera la scienza come una
religione; al contrario una
religione
può
essere
considerata una “descrizione
scientifica del mondo”; e in
America è stata davvero
fondata
una
“religione
scientifica”
(Christian
Science) che ancor oggi
pubblica un autorevole
quotidiano: il "Christian
Science Monitor”. E oggi
tutta la società moderna
pratica la fede nella scienza.
Così il determinismo della
previsione scientifica non si
discostapiùdallaprofeziadel
discorso religioso. Ecco
perché negli Stati Uniti la
profezia sociale si è spesso
travestita da previsione
scientifica e l’utopia si è
espressa come fantascienza,
come nel classico Looking
Backward (1897) di Edward
Bellamy,chefuilvangelodei
cosiddetti “Nuovi apostoli”
delsocialismoamericano.
Nel
sovrapporsi
di
previsione e profezia, la
ferrea determinazione delle
leggi della meccanica finisce
con il somigliare sempre più
alla fatale predeterminazione
dell'astrologia
e
la
predestinazione degli astri
figura
sempre
più
l’inesorabilità del destino
sociale. Nel 1952-1953
Theodor W. Adorno, uno dei
fondatori della scuola di
Francoforte, concentrò i suoi
studisullarubricaastrologica
del"LosAngelesTimes”:
Dato che per la
maggior parte degli
individui il sistema
sociale è il “destino”,
indipendente dalla loro
volontà e dal loro
interesse, esso viene
proiettato sugli astri al
fine di ottenere così una
maggiore dignità e
giustificazione,
che
quegli stessi individui
sperano di condividere.
Nello stesso tempo,
l’idea che le stelle,
purché vengano lette in
modo esatto, offrano
qualcheconsiglio,mitiga
proprio quella paura
dell’inesorabilità
dei
processi sociali che è
alimentata dalle persone
stesse che contemplano
le stelle. Quest’aspetto
dell’ambivalenza
dell’astrologiaèsfruttato
dallato“razionale”della
rubrica. L’aiuto e il
conforto offerti dagli
astri spietati ammontano
all’idea che solo chi si
comporta razionalmente
[...] ha una qualche
possibilità di soddisfare
con l’adattamento le
contraddittorie esigenze
irrazionali dell’esistente.
Così la discrepanza tra
gli aspetti razionali e
quelli irrazionali della
rubrica esprime una
tensione inerente alla
realtà sociale stessa.
"Essere
razionali”
significa non mettere in
discussione situazioni
irrazionali,mariuscirea
trarne
il
massimo
vantaggio dal punto di
vista
del
proprio
interesseprivato.18
Se
la
previsione
scientifica non si discosta
dalla profezia religiosa e il
determinismo razionalista si
confonde con la fatalità
astrologica e l’inesorabilità
della divina provvidenza,
alloraalverboreligiosoviene
attribuita quella certezza
inoppugnabile, positiva che -
peripositivisti-caratterizzail
discorso scientifico. Si crede
all’avvento del Cristo come
alle equazioni di Maxwell, al
numero della Bestia (666)
comealnumerodiAvogadro
(6x1023): questo spiega la
forza del creazionismo negli
Stati Uniti e i ricorrenti
tentativi
di
proibire
l’insegnamento
del
darwinismo nelle scuole,
perchéilraccontobiblicoche
narra come Dio creò la terra
circa 5000 anni fa e invece
l’evoluzionismo che narra
come le specie si siano
evolute in miliardi di anni
sono visti come due teorie
scientifiche in competizione,
dicuiunadeveesserefalsa.
Molti
fondamentalisti
cristiani tolgono così i loro
figli dalla scuola perché non
imparino il darwinismo.
16100annifadelloscienziato
pazzo Yakub non appaiono
più così insensati in questo
contesto in cui - per
consentircialmenounsorriso
-itexanisivantanodiessere
talmente indisciplinati "da
non obbedire nemmeno alla
legge
di
gravitazione
universale”.
***
Va tutto bene, si dirà,
tuttogiusto,masolounidiota
puòcredereche6000annifa
ci fosse l’acciaio, che si
usasse il magnetismo, che i
neri abbiano costruito la
Mecca e così via. C’è un
limite anche alla credulità.
Eppure...
Eppure,chedifferenzac’è
fraessereprontiadammettere
l’incredibile
e
invece
l’apertura mentale? Per il
"pensiero positivo", essere
aperti mentalmente, essere
open-minded, è una qualità
fondamentale: vuol dire
essere pronti ad accettare le
novità,acogliereleoccasioni
di guadagno, a non escludere
nessuna
ipotesi.
Solo
trentanni fa potevamo mai
immaginare che non avrebbe
suscitato nessun senso di
follia o d’insanità mentale lo
spettacolo di un passante che
inveisce da solo, urla, sbraita
mentre cammina per la
strada? Oggi questo passante
sta soltanto parlando al
telefonocellulare.
È davvero sottile la
frontiera tra credulità e
aperturamentale:ognigiorno
larealtàmetteaduraprovala
ragione. Una sera a cena, un
amicotrai30ei40,bianco,
progressista, buon padre,
saggio pagatore di un mutuo
perlacasa,midicevaintutta
ragionevolezza che sì, l’Aids
è un complotto dei bianchi
perdistruggereineri,proprio
come il crack che spinge i
neri alla delinquenza, alla
povertà, e li tiene sotto il
tallone bianco. Il mio amico
dava così credito a una tesi
assai diffusa tra i neri, non
solo nella Nation of Islam,
ma in tutte le inner cities
dove
è
chiamata
comunemente The Plan: “A
partire dal 1980 la roba [la
droga]hafattounveroboom
[...], quel che credo, man, è
cheeratuttocomeungrande
complotto[masterpian].Noi,
il nostro popolo - voglio dire
noi, i neri - non potevamo
fare altro che brillare e
continuare a progredire [...]
quandoquestaputtanadiroba
è arrivata [...] ci ha riportato
indietro di cinquant'anni”,
diceva Ryckey, un ragazzo
nerodiChicago,alsociologo
Loïc
Wacquant.19
The
Conspirancy: Youth Gangs,
Violence and Drug (“Il
complotto: gang giovanili,
violenza e droga”): così
s’intitolavainfattiundiscorso
diFarrakhanmessoinvendita
su cassetta. E il mio amico
bianco, di fronte alla mia
incredulità,
usava
l’argomentorazionalistadella
“scatola nera”: non sai cosa
succede nella scatola, ma
guarda cosa entra e poi cosa
esce, e cerca di trovare il
meccanismopiùsempliceche
spieghi come l’input si
trasformanell’output.Finoal
1978,mifacevanotare,prima
del diffondersi di Aids e
crack,ildivariodiredditotra
neri e bianchi diminuiva, da
allora è aumentato. Citava
statistiche: a poco a poco
quella
"leggenda
metropolitana” che mi aveva
fatto
sorridere
restava
balzana,maacquisivaunasua
plausibilità.
Ma il vero dubbio su
questo tema e, in generale,
sulla
questione
della
credulità, lo fanno sorgere le
rivelazioni apparse sulla
stampaamericanaafine1993
eriprese(senzamiglioresito)
nell'estate del 1997.20 Il
governo di Washington ha
ammesso che per decenni i
militari hanno portato a
termine esperimenti di massa
usando a loro insaputa
centinaia di migliaia, forse
milioni di cavie innocenti.
Negli anni cinquanta e
sessanta lo stato maggiore
americano mandava intere
divisioni di coscritti vicino a
dove era scoppiata una
bomba atomica per “vedere
cheeffettofaceva”,peravere
uno screening di massa sulle
conseguenze delle radiazioni.
Esperimenti sugli umani li
avevano già compiuti i
nazisti, sugli stranieri, sui
propri prigionieri di guerra,
sugliebrei,suglizingari.Ma,
di nuovo, quella era una
dittatura, anzi era la barbarie
fattaregime.Quino,quièun
governo democraticamente
eletto dai propri cittadini che
fa esperimenti sui propri
elettori.
Addirittura,
i
laboratori militari hanno
volatilizzato germi chimici e
batteriologicineivagonidella
metropolitana di New York,
sempre "per vedere che
effetto fa” su centinaia di
migliaiadiignaricivili.
C’era un umorismo
macabro
nell’irrorare
radiazionidinascosto,mentre
nelle scuole si
facevanoleesercitazioni
antiatomiche e agli
studenti si insegnava a
coricarsi per terra e
mettere la testa sotto il
banco in caso di
esplosione
nucleare.
Agliadultisivendevano
rifugi antiatomici da
collocare nel giardino di
casa. Le città si
riempivano
della
segnaletica gialla e nera
che indicava la presenza
del rifugio antiatomico
negli
edifici.
Si
pubblicavanomanualisu
come sopravvivere in
caso
di
attacco
atomico.21
Per quanto riguarda
quell’epoca,èdiabolicocome
leautoritàprendevanoingiro
icittadini,edèpateticocome
costoro si fidassero del loro
governo, ignari del tumore
che esso instillava nei loro
corpi. Una fiducia per cui
addirittura, scrive Bruno
Cartosio,
l’immagine
del
"fungo” acquistava una
popolarità
sempre
maggiore.Daglistatidel
Sud-ovest i turisti,
insiemealleriproduzioni
delle
straordinarie
bellezze
naturali,
mandavano cartoline su
cui erano immortalate le
esplosioni
nucleari
sperimentali nel deserto
del Nevada. Anche
l’aggetivo
"atomico”
diveniva
sinonimo
diffuso di eccezionale,
fantastico [...]: caffè
atomico,
lavanderia
atomica,amoreatomico,
bacio atomico, cocktail
atomico, disinfestazione
atomica, lavamacchine
atomico.Ancheleattrici
di Hollywood divennero
"bombe".22
Per quanto riguarda
l’oggi,
l’aspetto
più
impressionante di queste
rivelazioni è la scarsa
impressione che hanno
suscitato: un paese che ha
cacciato
un
presidente
(Richard Nixon) perché ha
registratodelleconversazioni,
un paese che minacciava di
cacciarne un altro (Bill
Clinton) per una macchia su
un vestito e un episodio di
amoreancillare,questostesso
paese non fa una piega di
fronte a simili notizie. Come
se, sotto sotto, le sospettasse
già, come se si sfiorasse qui
quellalineadiconfineoltrela
quale
l’ipocrisia
della
democrazia non è più
sostenibile: allora meglio
tacere. E allora perché non
credere che questo stesso
governo, questo stesso paese
tiabbiamentitoanchesualtro
e che l’Aids sia o il frutto
indesiderato di una ricerca di
guerrabatteriologicaol’esito
di un complotto antinero? E
che
il
crack
sia
deliberatamente diffuso nelle
innercities?
Masetihannomentito,se
ti mentono, e se la bugia è
così enorme, perché non
pensarechehannomentitosu
tutto, e in particolare su quel
chenonpuoicontrollare,cioè
sul passato? Perché i bianchi
non avrebbero mentito ai
propri ex schiavi neri sulla
loro storia, se mentono ai
propri cittadini bianchi sul
loropresente,anzimettonoin
pericoloillorofuturo?
È
nell’orizzonte
di
quest’immensa menzogna, di
questa cosmica falsità, che
s’inserisce il problema del
demonio. Parlare dei diavoli
bianchi implica che il
demonio
si
manifesti
ovunque, che sia pervasivo,
proprio come i bianchi e le
bianche; che popoli le tue
città, le tue vie, la tua vita,
che il demonio sia ubiquo,
onnipresente, che ti assilli, ti
tenti.Ancheinquestocasola
Nation of Islam è ben lungi
dall’essere
isolata.
Il
satanismo, il terrore per (e la
fede nel) demonio si radica
nella fede cieca nella
CostituzionedegliStatiUniti.
Se la Costituzione è perfetta,
se
gli
uomini
sono
fondamentalmente
buoni,
come mai in questo paese
dilaganoilmale,l’ingiustizia,
laferocia,lacattiveria?
Quando il sistema
americanofallisce,come
succede, naturalmente,
di tanto in tanto, gli
americani non cercano i
difetti del sistema,
guardano a diavoli
umani
che
hanno
rovinato un sistema
perfetto. [...] L’idea che
il sistema americano è
perfettoenonpuòessere
migliorato viene dalla
storia
peculiare
dell'America. I padri
fondatori dell’America
(Thomas
Jefferson,
George
Washington,
Benjamin
Franklin)
eranodeglidèio,senon
dei,almenoindividuipiù
perfetti di qualunque
vivente
di
oggi.
Tracciarono un sistema
unico che potrebbe
durare per sempre senza
miglioramenti. Che era,
ed è, perfetto. Nessun
altro paese ha avuto
padrifondatorinelsenso
in cui gli Stati Uniti
hanno avuto padri
fondatori. Il solo altro
stato che li ebbe, l’Urss
con Marx e Lenin, ha
appena
respinto
ufficialmenteisuoipadri
fondatori
restituendo
Leningrado al suo nome
originale
di
San
Pietroburgo.23
Anche il laico e
progressista Lester Thurow
usa il termine “diavoli
umani”: qui, come nel
dibattito sulla povertà e
sull’underclass,la reazione è
stupita, è attonita: com’è
possibile che nel sistema
americano che garantisce a
tutti il diritto alla felicità
esista
però
l’infelicità,
l’ingiustizia? Perché c'è il
diavolo.QuandolaNationof
Islamidentificaneibianchiil
demonio, in realtà manifesta
tutta la sua adesione al
sistema americano, la sua
fede nella Costituzione e ci
mostracome,inognisistema
sociale che i cittadini
considerano non migliorabile
(comegliamericaniritengono
la Costituzione degli Stati
Uniti),lapresenzadeldiavolo
sia destinata a diffondersi
poiché, se non è possibile
incolpare
il
sistema,
l’ingiustizia di classe, la
faziositàdileggietribunali,è
pur
necessario
trovare
qualcuno responsabile del
proprio dolore, della propria
sorte iniqua. Un demonio,
milioni, decine di milioni di
demoni.
***
Maquestodiavolobianco
era “un selvaggio nudo e
senza alcun senso di
vergogna, peloso come un
animale, che passeggiava a
quattro zampe e viveva sugli
alberi”.
Ricordo
un
capocantiere francese in
Senegai che, all’inizio degli
anni settanta, mi diceva,
comodo davanti agli aperitivi
nel tramonto di Dakar, che i
suoi operai neri erano sì
bravi, “ma sai, sono appena
scesi dai rami [ils sont à
peine
descendus
des
branches]”. Per il razzista
bianco, il nero è un primate
appena sceso dagli alberi.
Eccoallorache,perlaNation
of Islam, il bianco è un
animale peloso che a quattro
zampecamminasuglialberi.
Se l’angoscia ti sopraffà
nel guardare ai musulmani
neri,èperchéproprioquando
la Nation of Islam sbandiera
l'orgoglio della negrità, in
questo preciso gesto di
contrappasso, essa esibisce
quella subalternità di cui
parlava Myrdal. Subalternità
nel tema dell’avvento (del
regnodeineri,controilregno
del signore Gesù, bianco e
biondo), nella scelta della
cronologia (i 6000 anni di
Yakub contro i 5000 della
Bibbia), nel ruolo della
scienza(èloscienziatoneroa
creare il bianco contro la
tecnologia bianca che ha
colonizzato e schiavizzato i
neri), nel colore del demonio
(nell’immaginario bianco il
diavoloènero).Essarimanda
al mittente bianco le sue
contumelie, ma come dal
basso, impoverite, quasi
ridicolizzate.
Il
suo
islamismo, invocato come
antitesi al cristianesimo
bianco,ècristianizzato.Quasi
fosse la versione povera, e
nera, delle sette protestanti,
essacirivelatantissimosulla
lororeligiosità.
Nello stesso tempo la
Nation of Islam delinea il
fondamentalismo dei nostri
tempi. Un fondamentalismo
nuovo,moderno,chesiforgia
dalcontattoconl’altrodasé.
SullerivedelLagoMichigan
i neri discendenti di schiavi
erano
ormai
proletari,
sottoproletari
urbani
colonizzati
dal
protestantesimo
cristiano
bianco.Ungruppodiloroha
trovatounaviadisalvezzain
un’improbabile
versione
dell’IsIam.Maproprioperché
sradicata
dall’IsIam
tradizionale, questa setta “ha
inventato i metodi di azione
socialeemobilitazionechesi
sono ritrovati in numerosi
gruppi islamici dell’Europa
occidentale
negli
anni
novanta; la lotta contro gli
spacciatori e contro la
tossicodipendenza,
la
‘riabilitazione’ delle gang
mediante la conversione dei
loromembri”24;d’altrondela
NationofIslamèsbarcatafin
dal 1986 in Gran Bretagna
dovedichiara2000credentie
dove ha aperto una scuola di
cui il governo ha ordinato la
chiusura nel 1998.25 Ma
l’influenza
dei
Black
Muslims
sul
Vecchio
continente va oltre il
proselitismo diretto. La “via
nera all’IsIam” è servita da
modello ai fondamentalisti
maghrebini ed egiziani in
Inghilterra e in Francia, agli
integralisti
turchi
in
Germania. E a loro volta,
costoro hanno reimportato
nelle terre d’origine del
Corano, in Nordafrica, in
Anatolia, in Asia, questa
versione
“riformata”
dell'Islam.
Così, non solo nella
modernità di Chicago negli
anni cinquanta i neri
incontrarono l’IsIam, ma a
Chicago l’IsIam incontrò la
modernità del sottoproletario
urbano nero. Così s’innescò
una catena di retroazioni
sistemiche, un feedback che
alla lunga ha portato la
questione islamica dalla
periferia al centro della
modernità.
Inunpercorsocircolarela
strampalata religione di
Yakub ha infatti riplasmato i
comportamenti
del
fondamentalismo ortodosso
nel Corano. Un po’ come le
sette riformate statunitensi
sono
risbarcate
a
evangelizzare il Vecchio
continente. Basti pensare che
nella Nation of Islam ogni
moscheahaunsuopastore.Il
concetto di “pastore” è
quanto di meno coranico ci
sia, riguarda il gregge delle
anime, riporta a una
tradizione occidentale che
implica anche lo "stato
pastore”,cioèilwelfarestate
che recupera e assiste le
pecorelle smarrite, instaura
una “polizia della felicità”.26
Per di più, in America, il
pastore è per antonomasia la
figura delle chiese riformate
cristiane. Pastore di una
moscheaècomedirerabbino
di
una
pagoda.
A
dimostrazione ulteriore di
quanto
sia
arbitrario
l’islamismo della Nation of
Islam, di quanto esso sia una
religione
immaginata:
vediamoquiquell’invenzione
del proprio passato su cui
dovremotornare.
Quest’arbitrarietà
si
manifesta nel problema del
nome. Nella sua postfazione
all’Autobiografia di Malcolm
X, Alex Haley (che l’ha
redatta e che ha poi scritto il
best-seller Radici) conclude:
“La notte calò sui resti
mortali di El-Haji Malik ElShabazcheerastatochiamato
anche Malcolm X, Malcolm
Little,BigRed,Satana,Home
Boy e in altri modi...”.27 Il
padre di Malcolm X aveva
come
cognome
Little;
Malcolm, alto e con i capelli
rossicci,fuchiamatoBigRed
quando faceva parte della
mala; poi rifiutò il suo
cognome di discendente di
schiavi del signor Little e si
chiamò X come i membri
della Nation of Islam. Poi,
dopo il pellegrinaggio alla
Mecca e l’allontanamento
dalla sua setta, egli fu El
Hadji della tribù di Shabaz.
Questodarsietogliersiinomi
con estrema facilità, come se
ilproprionomefosseunpaio
di calzini, tocca un ganglio
centraleeinsiemedescriveun
atteggiamento. Il ganglio
centrale è il ruolo nevralgico
che ha il nome nella
trasmissione
ideologica.
Quando il filosofo francese
Louis Althusser afferma che
"l’ideologia interpella gli
individui in soggetti”,28 egli
dice che un individuo è
immerso nella sua ideologia
appena è interpellato (“ehi
tu!”), appena è chiamato per
nome, appena è “nominato”.
Questo nome veicola quindi
l’ideologia
cui
siamo
sottoposti. Perciò cambiare
nometoccaunnodocentrale.
Però il gesto di Malcolm
X esprime una mentalità che
crede che sia davvero
possibile cambiare nome, e
cioè ideologia; una mentalità
che si ritiene libera di darsi i
propri nomi. Una mentalità
che
era
l’elemento
costitutivo, originario del
colonialismo europeo, come
mostra Tzvetan Todorov in
paginemagistralisuquelche
egli chiama “la furia
nominatrice” di Cristoforo
Colombo, quale risulta dal
suodiariodibordo:
Colombo
si
appassionaallasceltadei
nomi per il mondo
vergine che ha sotto gli
occhi;
e
-
non
diversamente dal suo anche
quei
nomi
debbono essere motivati
[...].“Allaprimaisolada
me incontrata ho dato il
nomediSanSalvador,in
onore dell’Alta Maestà
che
mi
ha
meravigliosamente
concesso tutto questo.
La
seconda
l’ho
chiamataSantaMariade
Concepción; la terza
Fernandina, la quarta
Isabella e la quinta
Juana; in questo modo
ho dato a ciascuna di
esse un nuovo nome.”
Colombo sa dunque
perfettamente che quelle
isolehannogiàdeinomi,
naturaliinuncertosenso
(ma
in
un’altra
accezionedeltermine),I
nomi degli altri tuttavia
lo interessano poco, e
vuolribattezzareiluoghi
infunzionedelpostoche
essioccupanonelquadro
dellascoperta,vuoldare
loro dei nomi giusti; il
nominarli,
inoltre,
equivale a una presa di
possesso.[...]
Le cose debbono
avere i nomi che a loro
convengono. In certi
giorni
quest’obbligo
getta Colombo in uno
stato di vera e propria
furia nominatrice. [...] Il
suopiacereètaleche,in
certi
giorni,
dà
successivamente
due
nomi alla stessa località
(così, per esempio, il 6
dicembre 1492 un porto
chiamato Maria all’alba
diventa San Nicolas al
vespro). Se, invece,
qualcun altro vuol
imitare
Colombo
nell'attività di assegnare
nomi, egli ne annulla le
decisioni per imporre il
nome scelto da lui:
durante la sua fuga,
Pinzón aveva dato a un
fiume il proprio nome
(cosa che l’Ammiraglio
non faceva mai), ma
Colombo si affrettò a
ribattezzarlo "fiume di
Grazia”.29
Innessunpostosullaterra
questa furia nominatrice ha
pervaso e continua a
pervadere gli animi come
negliStatiUniti.Prendeteuna
zona a caso. Per esempio,
nello stato di New York,
quella intorno all’Università
di Cornell che si trova nella
cittadina di Ithaca (isola
dell'EgeopatriadiUlisse)che
è a 44 miglia da Syracuse
(cittàsiciliana).Ithacaèasua
volta a 63 miglia da
Manchester(cittàinglese)che
è a 73 miglia da Palmyra
(città nel deserto siriano) che
è a 73 miglia da Warsaw
(capitale polacca). Se vi
spingete
verso
ovest,
nell’Ohio,trovatecheCanton
(Cina)èa17migliadaDover
(Inghilterra),cheèa2miglia
daStrasburg(Francia)e38da
Ravenna (Italia). Ancora più
a ovest, in Indiana, trovate a
poca distanza le uscite per
Angola, Syracuse, Warsaw,
LaPaz,Bremen.
Ancora
una
volta
incontriamo il rapporto tra i
nomi e le cose, ma qui lo
troviamo in questa furia
nominatricecheesprimebene
quale forma ha preso negli
Stati Uniti la presunzione di
libertà dei suoi abitanti che,
novelli Cristoforo Colombo,
nominando, postulano la
libertà d'installarsi in un
luogo, di possederlo. E che,
proprio mentre esercitano
questa libertà nominando, la
svuotano, la rendono astratta
perché creano una geografia
virtuale in cui Anthiochia
costeggia Valparaiso che è
vicina a Varsavia. Non solo:
questa libertà appioppa il
concetto di “Antiochia” a
quattro ranch del Middle
West;Paris,lasofisticataville
lumière,
diventa
Paris
nell'Idaho, grazioso, ridente
villaggettodi800abitanti.
C'è di più. Questa libertà
è esercitata sì, ma come una
coazione a ripetere l’antico.
Un emigrante fa 9000
chilometri,
traversa
un
oceano e mezzo continente
per ritrovare (ricrearsi) la
Ravenna da cui era partito.
Questa libertà genera allora
una miriade di "tribù perse e
ritrovate”, non solo quella
d'Israele o quella di Shabaz,
malatribùritrovataepersadi
Berlino, la tribù ritrovata e
persa di Genova, quella di
Monaco.
Ecco
quest’apparente
libertà
rivelarsi per quel che essa è:
ilfruttodiunacostrizione,di
un obbligo che ti impone di
ricercarti, di ricrearti la tua
tribù "persa e ritrovata”.
Anche a costo, come fece
Malcolm Little per liberarsi
dal giogo del cristianesimo
dei negrieri bianchi, di
ritrovarsi con un nome che
avrebbe potuto appartenere a
unodeitantimercantiarabidi
schiavineri.
1Dichiarazioniriportate
dall'Economist” del 18
ottobre2001.
2Daunaseriediarticoli
del “New York Times” del
marzo 1994 e del 13
settembre 1996 e dal
“Washington Post” del 2
settembre1996.
3 “The New York
Times”,31marzo1998.
4 Gilles Kepel, A
l'Ouestd’Allah,Éd.duSeuil,
Paris1994,trad.it.AOvestdi
Allah, Sellerio, Palermo
1996, cap. III, par. "L’Islam
alsuonodelrap”.
5
Autobiografia
di
MalcolmX,cit.,p.205.
6“TheNewYorkTimes”,
2febbraio2000.
7
Le citazioni tra
virgolette
sono
dall'Autobiografia
di
MalcolmX,cit.,allepp.201204.
8J.Dewey,op.cit.,cap.
xii,pp.297-298.
9
Alessandro Portelli,
La linea del colore. Saggi
sulla cultura afroamericana,
Manifestolibri, Roma 1994,
pp. 126 e 124, e tutto il
capitolo Malcolm X e l’uso
dellastoria,pp.121-131.
10
Frank S. Mead,
Handbook of Denominations
in the United States (1961),
Abingdon Press, Nashville
19909,pp.19-20.
11 Paul Boyer, When
Time Shall Be No More.
Prophecy Belief in Modern
American Culture, Harvard
University Press, Cambridge
(Mass.)1992,p.2.Illibrodi
Boyer è utile per capire la
modernità del pensiero
apocalittico negli Stati Uniti
di oggi. (I sondaggi più
recenti confermano le stesse
percentuali di fede nella
letteralitàdellaBibbia.)
12 Esempi tratti
dall’articolo Rhétorique du
nombre di Jacques Durand,
nel numero monografico
Recherches rhétoriques della
rivista "Communications",
coordinato
da
Roland
Barthes,n.16,1970,pp.125132.
13 W. Sombart,Perché
negli Stati Uniti non c’è il
socialismo?, cit., p. 14 (il
corsivoèmio).
14 Autobiografia di
MalcolmX,cit.,p.195.
15 Elijah Muhammad,
Message to the Blackman in
America,
Muhammad
Mosque of Islam n. 2,
Chicago 1965, p. 112, brano
riprodotto nell'Autobiografia
diMalcolmX,cit.,p.202.
16 M. Davis, City of
Quartz,cit.,p.23.
17
Riprendo questo
ragionamento dal mio saggio
L'abisso non sbadiglia più,
pubblicato
nel
volume
collettivoGliordinidelcaos,
Manifestolibri, Roma 1991,
pp.22-24.
18 Theodor W. Adorno,
TheStarsDowntoEarth.The
“Los Angeles Times ”
AstrologyColumn.AStudyin
Secondary Superstition., in
Soziologische Schriften II,
Suhrkamp Verlag, Frankfurt
amMain1975,trad.it.Stelle
su misura, Einaudi, Torino
1985,p.16.
19 Loïc J.D. Wacquant,
The Zone, in P. Bourdieu et
al.,Lamisèredumonde,cit.,
(pp.201-204),p.204.
20 Per esempio dal
“New York Times” del 6, 17
e25dicembre1993edel24,
29luglioe2agosto1997,dal
“Boston Globe” del 2 agosto
e9novembre1997.
21BrunoCartosio,Anni
inquieti. Società media
ideologie negli Stati Uniti da
Truman a Kennedy, Editori
Riuniti,Roma1992,p.153.
22Ivi,p.155.
23 Lester Thurow, Head
to Head. The Coming
Economic Battle Among
Japan,Europe,andAmerica,
William Morrow and Co.,
New York 1992, p. 261 (il
corsivoèmio).
24G.Kepel,AOvestdi
Allah,cit.,introduzione.
25
“Christian Science
Monitor”,18settembre1998.
26 Questo tema è stato
introdottodaMichelFoucault
in due conferenze tenute
all’Università di Stanford il
10 e il 16 ottobre 1978,
Omnes et Singulatim; verso
una critica della ragion
politica, in “Millepiani".
3,1994, p. 33. Foucault parla
anche del “gregge di
Platone”.
27
Autobiografie di
MalcolmX,cit.,p.513.
28 Louis Althusser,
Idéologie
et
appareils
idéologiques
d'Etat,
pubblicato
nel
volume
Positions, Éditions Sociales,
Paris1976,inparticolarealle
pp.110-116.
29 Tzvetan Todorov, La
conquête de l'Amérique. La
question de l’autre, Éd. du
Seuil, Paris 1982, trad. it.
Einaudi,Torino1984,pp.3234.
3.Cabrini-Green,dove
c’erailparadiso
Ti mostrano i fori delle
pallottole sulle pareti, ti
indicano i bossoli. Non sono
tracce della Seconda guerra
mondiale, sono i segni della
diuturna guerra tra gang che
si combatte nel complesso di
edilizia popolare di CabriniGreen. In un anno sono stati
uccisitrebambini.
Madre Frances Cabrini
eraunasuora,1laprimasanta
nata in America; William
Greeneraunleadersindacale.
A vederlo da fuori, questo
complesso popolare non pare
peggio di Sarcelles vicino
Parigi o Tor Bella Monaca a
Roma. Edifici di una ventina
di piani, spogli, stile anni
cinquanta-sessanta,circondati
da prati stentati in cui, per la
troppa
fatica,
hanno
rinunciato a crescere gli
alberelli piantati da architetti
progressisti. Di diverso c'è
solochelafacciatadelsettore
centrale di questi edifici, con
i ballatoi esterni, è chiusa da
una rete di ferro che va dal
primo piano all’ultimo. Così,
nei
vari
piani,
vedi
camminare, parlare, sedere,
sempredietrolagrata,dentro
una gabbia. Finestre sono
divelte da esplosioni o
incendi. Dentro, graffiti sui
muri,
sporcizia,
infissi
sconnessi. Sui marciapiedi si
molleggiano adolescenti con
enormi scarpe da ginnastica;
lunga maglia in felpa con
cappuccio;
berretto
da
baseball (visiera sulla nuca)
secondo la moda del
momento: nel 1992 aveva la
X, dal film Malcolm X di
Spike Lee, nel 1994 OJ, dal
nome di O.J. Simpson ex
calciatore nero accusato di
aver ucciso la ex moglie
bianca...
Il complesso si trova a
meno di un chilometro dal
MagnificentMile,ilcorsopiù
lussuoso di Chicago, e dagli
ultimi grattacieli con portieri
inlivrea,pensilineepassatoie
di velluto. Solo che, su
appena 6000 residenti, in un
anno normale a CabriniGreensicontanotrai4ei7
omicidi, tra le 20 e le 30
violenze sessuali, circa 300
aggressioni,oltre100furti.A
Cabrini-Green
all’ultimo
conteggio nel 2000 erano
censiti poco più di 6000
abitanti, rispetto ai 20.000
dell’epoca d’oro, e al 98%
erano neri,2 tutti sotto la
soglia di povertà: il 56% ha
meno di vent’anni e nella
maggior parte dei nuclei il
capofamigliaèdonna:l’uomo
non c’è, o morto, o in
prigione, o andato via, o
cacciato perché di peso. È
con queste percentuali che il
progetto s’è conquistato la
fama del più famoso, infame
ghetto urbano degli Stati
Uniti, tanto da diventare una
vergogna nazionale e da
spingere il comune di
Chicago a votare il suo
abbattimento; un’altra, non
meno importante ragione per
tantapremuraècheilterreno
su cui sorge il progetto, così
vicino all’area lussuosa della
GoldCoast,fagolaatuttigli
speculatori
edilizi.
La
Chicago Housing Authority
(Cha)haincoraggiatol’esodo
da
Cabrini-Green
per
smantellare almeno tutti i
palazzoni (high rìse): senza
andareincontroaprotestetre
li ha già buttati giù, per gli
altriaspettacheglioccupanti
senevadano.Cosìlestrutture
fatiscenti ancora oggi visibili
sono la testimonianza di una
storiadestinataasparire,sono
l’immagine di una parabola
che ha segnato il xx secolo
americano.
Cabrini-Green è una
storia iniziata durante la
Seconda guerra mondiale,
quando la Chicago Housing
Authority costruisce il primo
complesso Cabrini, 583
appartamenti in edifici di
due-tre piani. Il complesso è
inaugurato nel 1942 da
EdwardJ.Kelly(unodeitanti
sindaci di Chicago di origine
irlandese)
come
uno
“strumento”percombatterela
segregazione razziale, per
ospitarecioèfamiglieal75%
bianche e al 25% nere,
proporzione
allora
considerata ottimale. Ma
quandonel1943leprime581
famiglievannoadabitarvi,le
proporzionisonoinvertite,ei
bianchicheciabitanoosono
poveriosonoferitidiguerra:
“Questa comunità mista di
neri, bianchi poveri, invalidi
di guerra e disadattati
inquadrava i soggetti di
quest'esperimento
d’inclusione
sociale,”
racconta in un testo
autobiografico il sociologo
RichardSennettcheaCabrini
ha vissuto una parte della
suainfanzia, e che aggiunge:
“Non c’era niente di
particolarmente americano
nello sforzo di usare
l’alloggio per i poveri come
un laboratorio per i problemi
insoluti nella società nel suo
insieme [...]. Cabrini e altri
insiemidialloggipopolaridel
Novecentoavevanoquestodi
speciale, che cercavano di
trattare insieme due ferite
sociali ugualmente profonde:
larazzaelaclasse”.3
Ma intanto il panorama
razziale di Chicago cambia.
Finoaglianniquarantaineri
meridionali giunti con la
Grandemigrazioneeranostati
concentrati nel South Side, a
“Bron-zeville", vicino ai
mattatoi e alle acciaierie. Ma
con la Seconda guerra
mondiale, con la carenza di
manod’operaeilboomdella
produzionebellicadiChicago
(si pensi all’acciaio e alla
carne in scatola), una
seconda, ben più gigantesca
ondatadiemigrazionenerasi
riversadalsudchetrail1940
e il 1960 porterà nel nord tre
milioni di neri.4I neri di
Chicagosaliranno,trail1940
e il 1960, da 277.000 fino a
812.000. Questo flusso
cambierà i rapporti razziali
della città: se nel 1900 i neri
erano solo l’l,7% del totale,
diverrannoil14,2%nel1950,
il 32,7% nel 1970, fino al
36,8%attuale.
Così,
negli
anni
cinquanta, la segregazione
nonsaràpiùunaconseguenza
involontaria ma un esito
ricercato, e l’obiettivo delle
autoritàcittadinenonsaràpiù
integrare,bensì"risegregare”:
a questo scopo, il sindaco
Richard J. Daley (altro
irlandese, defunto padre
dell’attuale sindaco) lancia a
Cabrini la costruzione di
edifici alti una ventina di
piani (la parte “Green” del
complesso)incuiconcentrare
la popolazione nera che vive
nelcentrocittadino.
(L’azione di Daley non
era proprio innocente: da
ragazzo, negli anni venti,
faceva parte di una gang
bianca che gettava bombe
contro i neri che osavano
andareadabitareneiquartieri
bianchi.
La
comunità
irlandese di Chicago è
storicamente
antinera,
d’altronde come tutti i white
ethnics. Cicero, quartiere
italo-polacco di Chicago,
negli anni sessanta era
considerato da Martin Luther
Kingilsimbolodell’apartheid
nel Nord degli Usa; a
Bridgeport, nucleo irlandese
di Chicago, nel 1964
scoppiarono disordini perché
volevano crearvi un liceo
nero.)
Trail1958eil1962sono
perciò realizzati 23 edifici
vanantitrai7ei19pianiper
un
totale
di
2992
appartamenti; nel 1962 sono
completati
altri
1096
appartamentiinottoedificida
15 e 16 piani. In questi
edifici, già all'inizio, la
percentuale di popolazione
nera è vicina al 100%, anche
se un nuovo inquilino diceva
allora: “Qui è un paradiso,”
rispettoallesuecondizionidi
vita
precedenti.5
E
quarantanni dopo l’inquilina
Viola Holmes ribadisce:
“Pensavo di vivere in
paradiso. Era bello. Non sto
scherzando”. E un'altra
inquilina, Rochelle Satchell,
insiste: “Erano perfetti”.6
Sempre
nel
1962,
l’operazione
di
“concentramento” dei neri
poveri fa un altro passo in
avantinelSuddellacittàcon
il più grosso e, se possibile,
ancor più disperato quartiere
delle Robert Taylor Homes,
che costeggia State Street tra
la35ae la 49a, il più grande
complesso
di
edilizia
popolare in tutti gli Stati
Uniti: 28 palazzoni da 16
piani,con4312appartamenti.
La sproporzionata altezza
degli edifici, che sembrava
un’economia di scala, si è
rivelata poi uno degli
elementi più distruttivi da un
punto di vista sociale, di
manutenzione,
di
comunicazione tra vicini.
Negli anni ottanta, nelle
Taylors Homes, il 72% della
popolazioneeraminorenne,il
90% delle famiglie con
bambiniavevaunadonnaper
capofamiglia,
la
disoccupazione era al 47% e,
“anche se a Robert Taylor
Homes viveva meno dello
0,5% di tutta la popolazione
di
Chicago,
vi
si
commettevano l’11% di tutti
gli omicidi cittadini, il 9%
delle violenze sessuali e il
10%
delle
aggressioni
aggravate”.7
Nell’autunno del 2000 i
demolitori stavano buttando
giù anche il complesso delle
Taylor Homes.8 Ma non è
smantellando le case che si
risolvonoiproblemidichivi
abita: la loro povertà non
viene dissolta dalla dinamite
o cancellata dalla ruspa. La
tragedia di questi progetti è
così immane che i loro
abitantisisonomobilitatiper
resistere alla demolizione: ti
fa venire il groppo alla gola
parlareconuninquilinodelle
Taylor Homes che protesta
perché non vuole traslocare,
non vuole essere cacciato da
quell’abominio.9
Le Taylor Homes erano
un inferno, ma gli abitanti
volevano restarci. Forse
perché anche nei gironi più
demoniaci c'è una vita di
vicinato, o perché queste
almeno erano le bolge che
conoscevano e cui erano
abituati, in cui sapevano
meglio destreggiarsi, o infine
perché presentivano che un
inferno dotato di tetto è
meglio
di
uno
sul
marciapiede
all’addiaccio.
Nel tentativo di spingere
sempre più a sud la
rigentrificazione del Near
SouthSidediChicago,anche
ineripoverivengonorespinti
sempre più giù, verso Gary,
versol’indianaosemprepiùa
ovest: il ghetto trasloca, e l'
inner city si fa meno inner,
maancorapiùdisperataepiù
segregata. Oggi il Far West
Side è diventato addirittura
più
malfamato
del
tradizionaleSouthSide.
Per risolvere i problemi
dei complessi popolari, il
comune di Chicago sembra
aver adottato una strategia
alla Maria Antonietta (“Se
non hanno pane, dategli
brioche”) e, invece di
abbattere la miseria e
l’ignominia in cui vivono i
neri, si limita ad abbattere il
cemento
che
di
quest’ignominia è solo
l’involucro
esistenziale.
Tanto l’abitare nelle case
popolariègiàunasentenzadi
condanna, come usare i
trasportipubblici,percuivale
la massima: "Chi dopo i
trentanni prende l’autobus
tuttiigiorni(nonvaallavoro
inmacchina)èunfallito”.
Così,invecedimitigarela
segregazione, la Chicago
HousingAuthoritysilimitaa
deportarla "lontano dagli
occhi, lontano dal cuore”. Il
problemanonsonolecase,o
gli high rìse, il problema è
l’apartheidamericana.
***
La segregazione abitativa
non
colpisce
solo
i
disoccupatinelleinner cities,
ma anche la classe media
nera. Nell’area in cui ha
studiato la classe media nera
di Chicago, Mary Pattillo
McCoy trova che ben il 98%
degli abitanti sono neri.10
Come il suo corrispettivo
bianco, questa classe media
nera aspira al "sogno
americano”, ovvero a una
casetta unifamiliare in legno,
col praticello davanti, in un
suburbio. Solo che le
domande di mutuo per
comprarsilacasasonomolto
più spesso respinte se i
richiedenti sono neri. Mentre
i neri costituiscono il 12,7%
della
popolazione
statunitense, essi ottengono
soloil4,8%deimutui.
Si ricordi che, per
garantire i mutui, la Federal
Housing Authority includeva
nei
contratti
clausole
segregazionistiche,
giustificandole con il valore
di mercato della casa da
assicurare.Siricordiilvalore
centrale della proprietà della
casa nel "sogno americano”.
Tutti qui stanno rimborsando
un mutuo o brigano per
ottenerlo. Un operaio bianco
povero che si svena per
pagarelerate,eche,seviene
licenziato, deve vendere la
casa ipotecata, non vuole
salassarsi per qualcosa il cui
valore sarà crollato se
verranno ad abitarci dei neri.
Segregazione razziale e
razzismo
diventano
un’istanza
economica
primaria,
stanno
nel
portafoglio prima che nei
cuori.
Il rifiuto dei mutui è un
aspetto della segregazione
residenziale che riguarda i
neri relativamente agiati,
ancora
una
ristretta
minoranza. Per tutti gli altri,
la segregazione abitativa è
pesantissima, come mostrano
Douglas
S.
Massey,
dell'Università di Chicago, e
Nancy A. Denton nel loro
libro dal titolo emblematico:
American Apartheid.11 Già
nel1976circolavalacanzone
Città di cioccolata, che
diceva: “Città di cioccolata,
suburbi alla érema” come
risultato
dell’intensa
suburbanizzazione degli Stati
Uniti
iniziata
con
l’amministrazione Roosevelt
e accelerata negli anni
quaranta e cinquanta man
mano che l’emigrazione nera
dalSudscurivala“cioccolata
cittadina”:
la
civiltà
dell’automobile si coniuga
con
l’urbanesimo
dell’apartheid.
Lasegregazioneèdoppia:
i neri sono prima concentrati
nelle città e poi segregati in
uno stesso quartiere: nello
stato dell’Illinois, su 12,4
milionidiabitanti1,9milioni
sono neri. Di questi, 1,4
milioni vivono nella Cook
County, la contea che
contienelacittàdiChicago,e
di questi 1,1 milioni vivono
nel comune di Chicago in
senso stretto. Se negli Stati
Uniti nel loro insieme i neri
sono il 12,7% della
popolazione,
essi
costituiscono il 16% degli
abitanti
dello
stato
dell’Illinois, il 26,1% degli
abitantidellaCookCounty,il
36,8% dei residenti del
comunediChicago.Nelcaso
di Detroit l’escalation della
concentrazione è addirittura
apocalittica: i neri sono il
14,3%,inMichigan,il20,8%
nell’area metropolitana, e
l’81,6% nella città. Allora
capisci perché downtown
Detroit ti appare come una
città all’indomani di una
guerra. Il passaggio dalla
nazione alla regione, dalla
regioneall’areametropolitana
e da quest'ultima alla centrai
city somiglia al processo di
concentrazione progressiva
dell’inquinamento che si
produce
negli
anelli
successivi
della
catena
alimentare. E anzi, i
Chicagoans più avvertiti si
vantanochenellaWindyCity
questa
concentrazione
progressiva della razza sia
stata contenuta, e persino
addebitano
a
tale
contenimento la prosperità
della città negli ultimi anni.
SeChicagononèfinitacome
Detroit, ti dicono, è perché è
riuscitaatrattenerviunametà
della popolazione bianca
mantenendoineriseparati.
Il
progresso
di
segregazione si ripete poi
all’interno della città, prima
dituttoalivellodiarea,senza
risparmiare i ceti agiati:
“Nella versione anni novanta
dell’areanera[BlackBelt]del
South Side di Chicago, c’è
una fascia di quartieri
contiguiconunapopolazione
totale di più di 250.000
abitanti [...] in cui più del
95% dei residenti è nero,”
anche se “più del 69% ha
posti di lavoro da colletti
bianchi e hanno un reddito
medianofamiliaresuperiorea
quello di Chicago nel suo
insieme”.12 Dall’area, la
segregazione si replica nel
quartiereepoinell’isolato,in
unprocessofrattale.Nellibro
di Massey e Denton sono
riportati dati terrificanti sul
tasso di “ipersegregazione"
nelle metropoli degli Stati
Uniti, cioè non solo di
segregazione, ma anche di
isolamento, concentrazione,
aggregazione e tutti gli altri
indicatori che i sociologi
usano per misurare la
separazione razziale. A
Chicago la segregazione nera
è del 90,6%, l’isolamento è
dell’82%,
la
loro
concentrazione dell’88,7%.
Ma la segregazione è
altissimaovunque:83%aLos
Angeles, 83,5% a Filadelfia,
83,7aSt.Louis.13
Vièpoiunasegregazione
più sottile, una segregazione
nel tempo, non solo nello
spazio:quandoraccontadella
suagioventù,RichardSennett
ricorda (ma tutto è vero
ancora oggi): “Lo spazio
della città era diviso per
razza, ma lo era anche il
tempo vissuto. Durante il
giorno le razze possono
mescolarsi [...]; di notte le
razze
quasi
non
s’incontravano”.
Divertimenti, uscite, riunioni
sociali, feste continuano a
scandire la segregazione del
tempo.14
Lasegregazionehaeffetti
devastanti sulle politiche
fiscaliesociali.Poichévigeil
“localismo fiscale” e i
servizi
sociali
(scuole,
ospedali, trasporti pubblici...)
sono finanziati in parte dalle
imposte locali (di distretto
scolastico,dicittà,dicontea),
iquartierieicentriurbanipiù
bisognosi di servizi mancano
dei soldi per realizzarli.
Viceversa, per quel che
riguarda i fondi federali e
stataliperfinanziarelo“stato
sociale”, la segregazione
separa
spazialmente
i
benestanti dai poveri, chi
paga le tasse e chi invece
beneficia dei fondi pubblici.
La segregazione fa sì che i
quartieri "pagatori di tasse”
siano convinti di non
riceverne nulla in cambio,
essa
accentua
perciò
l’ideologia antistatalista del
“noi paghiamo e gli altri
vivono a sbafo”. La
segregazione è quindi il più
fertileterrenodicolturaperle
ideologie di autoriduzione
fiscale. Il celebre referendum
Proposition
13
(“Riduciamoci le tasse"),
approvato in California nel
1978, costituì la piattaforma
elettoralereaganianaeoggiè
ripresodaileghistinostrani.I
grandi,disperaticomplessidi
edilizia popolare come il
Cabrini-Green e le Taylor
Homes sono stati solo la
pratica
estrema
della
segregazione di razza e di
classe, sono stati cioè
l’edificazione concreta del
ghetto.
***
La segregazione induce a
paragonare gli Stati Uniti al
sistema
dell’apartheid
sudafricano, ma il paragone
forse più appropriato - e che
viene spontaneo a chi abbia
soggiornatoinIndia-èquello
con il sistema delle caste. Il
primo a usare il concetto di
“casta” per analizzare la
posizione sociale dei neri
negli Usa fu Gunnar Myrdal.
Esserebianchioesserenerio
essere gialli o essere natives
(pellerossa) o isolani del
Pacifico
costituisce
un
sistema multiplo, proprio
come il sistema delle caste.
NonacasoinIndialaparola
casta non è indigena ma è
stata importata dagli europei
(essa fu coniata dai
portoghesi che con il latino
castus,“puro”, designavano i
brahamani e, per estensione,
il sistema castale) e per
chiedere a qualcuno a che
casta appartiene gli si chiede
“Qual è il tuo nome?”. Di
nuovo il problema del nome,
sia come atto del nominare,
sia come stato dell’essere
nominati. Nella tradizione
indiana,perdesignarelacasta
si indica il concetto di
“colore”,
colore
dell’arcobaleno. Qui, negli
Usa, si tratta di un altro
colore. La casta, come la
razza, si sovrappone alla
classe. Vi sono in India
membri di classi inferiori
(backward castes) e perfino
di intoccabili, fuori casta
(scheduled castes), che sono
ricchi, mentre capita di
incontrare brahamani poveri.
Proprio come negli Usa c'è
una minoranza di neri agiati,
di fronte alla gran massa di
neri poveri. La casta ci è
imposta dalle nostre vite
precedenti, dalla casta non si
puòevadere,comenonsipuò
sfuggire
all’appartenenza
razziale. L’unica speranza di
sfuggire al proprio destino di
casta e di razza sta nella vita
ventura, nella prossima
reincarnazione in India,
nell’aldilà religioso negli
Stati Uniti (da qui il
fondamentalismo religioso
nero,"L’infernoèsullaterra”
dei Black Muslims, e da qui
le conversioni di massa al
buddhismo e al cristianesimo
dei fuoricasta indiani che
tentavano di sfuggire al
destino di paria). La casta
nascenell’economiaagricola,
come lo schiavismo negli
Usa, ma subisce una
mutazioneesiadattaallavita
urbana dell’India moderna.
La cultura della casta è
pervasiva e contagiosa in
Indiacomelaculturarazzista
negliStatiUniti:religioniche
non conoscevano le caste,
comequellacristianaequella
musulmana,
si
sono
rapidamente "castizzate” una
volta
penetrate
nel
subcontinente e nell’universo
culturale indiano. Il sistema
delle caste si basa su una
gerarchia di tabù (alimentari,
sessuali, comportamentali) e
di pregiudizi. In un ambito
corporeo, nel razzismo Usa
c'è una scala di tabù che
culmina con “l’intoccabilità
delladonnabianca”.Manegli
Usa i neri sono considerati
intoccabili
-
cioè
"contaminano” quel che
toccano - in un senso più
sottile, ma non meno
drammatico: sono intoccabili
finanziariamente,
perché
svalutano ciò con cui
vengono a contatto, fanno
crollare il prezzo dei terreni
in cui abitano. Una nuova
categoria di paria, i paria
economici.
Identico è lo statuto di
ufficiositàperidueproblemi,
ambedue
ufficialmente,
formalmente risolti dalla
legge: in India le caste sono
abolite dalla Costituzione,
comenegliUsainerigodono
di uguali diritti civili a forza
di sentenze della Corte
suprema. Ma l’ipocrisia di
questo formalismo è svelata
dal fatto che, in India come
negli Usa, si sente il bisogno
di affirmative actions : si
propongono cioè sempre
nuove
"discriminazioni
positive”,
quali
l’assegnazione di una certa
quota di posti (nelle scuole,
negli uffici) a una certa
minoranza. Il criterio delle
quote,adottatoinmoltiuffici
pubblici statunitensi per i
neri, è stato richiesto per le
fascebasseeintoccabilidalla
MandaiCommissioninIndia.
Ma le affirmative actions
producono scarsi effetti
perché non incrinano il
pregiudiziodimassa.InIndia
nel governo, per volontà di
Gandhi,
c’è
sempre,
dall’indipendenza,
un
ministrointoccabileeministri
delle caste inferiori. Oggi ci
sono poeti paria, musicisti
delle caste inferiori e anche
banchieri. Ma il gap di
povertà e di emarginazione è
rimasto lo stesso. Proprio
come negli Usa tra i neri ci
sono generali, senatori,
giudici della Corte suprema,
congressisti, sindaci, divi
dello spettacolo, sportivi
ricchissimi. Ma tutto questo
non ha potuto evitare che,
dopo essere sceso tra il 1945
eil1950,ildivariotrareddito
mediano delle famiglie
bianche e nere a partire dal
1978 abbia ricominciato a
crescere, e nel 2000 la
distanzatrabianchieneriera
quasialtrettantachenel1954,
quasicinquantanniprima.15
La similitudine va ancora
oltre: negli Usa è sempre
stato ed è impossibile creare
un partito politico nero,
propriocomeinIndiaèfallito
ogni tentativo di fondare un
partito che unificasse tutte le
casteinferiorieifuoricasta:il
principio di casta, come
quellodirazza,èunprincipio
“divisore”, che separa e
genera esso stesso sottocaste.
Mentre, da parte dei
dominanti,
s’incoraggia
l’odiotralecastecomfquello
fra le razze. Come ogni
societàmulticastale,lasocietà
multirazzialedegliStatiUniti
è multirazzista e crea le sue
proprie gerarchie. La casta
dei bianchi si divide nelle
castedeibianchiprotestantie
dei bianchi cattolici (gli
ortodossi sono inferiori
rispetto a tutti e due). A loro
volta i bianchi cattolici si
dividono in nordici (tedeschi
e irlandesi), latini e orientali
(polacchi, croati...). Tra i
gialli statunitensi, il sistema
castale si divide a sua volta
con i coreani in posizione
arretrata: forse questo fa sì
che l’odio razziale tra i
coreanieinerisiacosìforte.
Tra gli stessi neri, i
portoricani
sono
stati
sostituiti come paria dagli
haitiani (cui si nega persino
l’ingresso perché sarebbero
"portatoridiAids”).
Gli stessi pregiudizi si
moltiplicanp: come per il
razzismo orientale il bianco
puzza, così per il razzismo
bianco è luogo comune la
puzzadeineri,mentre“Come
mi diceva recentemente un
fratello negro: ‘Non hai mai
sentito come puzzano le
donne bianche quando sono
bagnate? ' ” (Malcolm X).16
Gli Stati Uniti hanno così
sostituito il principio di
appartenenza
etnica
al
principio
castale
moltiplicando
le
caste
(proprio come in India dove
esistono più di 3000 caste in
cui si sono frammentati i
cinque gruppi originari:
brahamani,
guerrieri,
artigiani,
contadini
e
intoccabili).
Nell’eternadiscussionein
corso negli Stati Uniti su
quale fattore è preminente
nellasituazionedeineri,sela
"razza” o la "classe”, gli
studiosi americani sono restii
a usare il concetto di "casta”
perché colpisce al cuore uno
dei più radicati miti fondanti
degli Stati Uniti, quello della
mobilità sociale e cioè
dell’assenza di una struttura
rigida di classe. Gli
statunitensi hanno sempre
ostentato orgoglio perché il
loroèun"paesesenzaclassi”.
Maquestamobilitàsocialesi
scontra con il sistema
“castale” dell’origine etnica
(tanto più razziale) cui non
puoi sfuggire. La faccenda è
tanto più paradossale in
quantoilsistemadellecasteè
un sistema olistico che non
lascia
spazio
all’individualismo
occidentale,
come
ha
mostratoLouisDumont17che
narra con quali tappe e in
quali modi l’Europa postmedievale abbia generato la
nozione di individuo in
quanto soggetto storico
indipendente.
Certo,
l’individuo in carne e ossa è
esistitosempreeovunquetra
gli umani, ma per molte
civiltà non è stato questo
singolo a costituire l’agente
della storia. In India il
soggetto storico è la casta, in
molti popoli era la tribù,
nell’antica Roma era lagens,
quella che ti dava il “nome”
(ancoraunavoltaintervieneil
nome). Solo l’Occidente
moderno ha prodotto una
visione della società in cui il
soggettostoricoèl’individuo.
C’è di più: Dumont mostra
quanto
sia
falsa
la
contrapposizione
fra
aspirazione all’eguaglianza e
difesa
della
libertà
individuale, l’antitesi fra
egualitarismo
e
individualismo.
Falsa
quest’antitesi perché le
società tradizionali non si
sono mai poste il problema
della diseguaglianza, in
quanto fondate sul principio
di gerarchia, e perché si può
dare uguaglianza solo tra
individui. Eguaglianza e
individuo si affermano col
capitalismo, con l’apoteosi
dell’individuo
padrone,
imprenditore, capitalista che
deve poter disporre di
individui uguali tra loro,
uguali come operai, come
acquirenti, poi uguali come
cittadini.
Ora l’America, in quanto
“terra
promessa
del
capitalismo” secondo la
definizione di Sombart, ha
portato all'estremo limite
l’individualismo
e
l’eguaglianza formale. Ma le
stesse necessità del capitale
hanno riprodotto e nutrito un
sistema
castale,
una
frammentazione
in
sottosistemi olistici, per cui
unindividuonegliStatiUniti
non è un individuo e basta,
egliprimaè“nero”,poihaun
"nome”. Il sistema castale
delle razze è stato riprodotto
prima dallo schiavismo, poi
dagli immigrati come forza
lavoro mobile, docile e
crumira,
poi
dall’importazione a nord dei
neri usati a loro volta per
sconfiggere gli scioperi degli
operai immigrati, poi dal
mercato immobiliare che ha
prodottosegregazioneproprio
perché il valore in denaro
delle case è determinato dal
pregiudizio razziale e lo
rafforza. La logica del
capitale appare in questo
senso cannibalica, poiché, in
base alle sue necessità, essa
incrina e distrugge alcuni
valoricardinechestannoalla
basedell'ideologiacapitalista,
quelli che costituivano lo
“spirito del capitalismo” di
cuiparlavaMaxWeber.
1 Irving Cutler cita suor
Cabrini (1850-1917) come
uno dei due “Italian
immigrants" che divennero
“world
renowned”
mondialmente celebri: l’altro
è il fisico Enrico Fermi (op.
cit.,p.99).
2AA.VV,Cabrini-Green.
In Words + Pictures, W3
Chicago,Chicago2000,p.5.
3 Richard Sennett,
Respect in a World of
Inequality,Norton,NewYork
2003,p.7.
4 U.S. Bureau of the
Census, Historical Statistics
oftheUnitedStates.Colonial
Times to 1970, Washington
D.C.1975,partei,p.95.
5Dallaprimapaginadel
“Chicago Tribune” del 15
ottobre1992.
6 AA.VV., CabriniGreen. In Words + Pictures,
cit.,pp.36e32.
7 Gregory D. Squires,
Larry Bennett, Kathleen
McCourt, Philip Nyden,
Chicago.Race,Class,andthe
Response to Urban Decline,
Temple University Press,
Philadelphia 1987, pp. 113114.
8Sulledemolizioniesui
vari progetti di edilizia
popolare, i dati sono
consultabili
sul
sito:
www.thecha.org.
9 Mi è successo
nell’agosto 2000 a Filadelfia,
a margine della convention
repubblicanacontrocuierano
venute a dimostrare le
associazioni di homeless
d’America.
10 M. Pattillo McCoy,
Black Picket Fences, cit.,
appendiceB,p.226.
11 Douglas S. Massey,
Nancy A. Denton, American
Apartheid. Segregation and
theMakingoftheUnderclass,
Harvard University Press,
Cambridge(Mass.)1993.
12 R. Sennett, op. cit.,
pp.17-18.
13 M. Pattillo McCoy,
op.cit.,p.28.
14 D.S. Massey, N.A.
Denton, op. cit., tabelle alle
pp.71e77.
15 Nel 1954 il reddito
mediano delle famiglie
bianche era 1,7 volte
superiore a quello delle
famiglie nere; nel 2000 era
1,6voltemaggiore.
16 Autobiografia di
MalcolmX,cit.,p.323.
17 Louis Dumont, Homo
Æqualis.
Genèse
et
épanouissement
de
l’idéologie
économique,
Gallimard, Paris 1977, trad.
it.Adelphi,Milano1984.
4.Ilcoloredeifelini
EraancoranottenelWest
Side di Chicago, quel 4
dicembre 1969, e l’orologio
segnava le quattro e trenta,
quando dall’appartamento al
primopianodel2337diWest
Monroe Street risuonarono
spari,epoispari.Piùtardifu
trovato un centinaio di
bossoli. Appena le pistole
tacquero, la strada brulicò di
poliziotti. Le autoambulanze
portarono via due cadaveri e
cinque feriti. Erano morti
Fred Hampton, 21 anni,
presidente del partito delle
Pantere nere (Black Panther
Party) nell’Illinois, e Mark
Clark, 23 anni, leader delle
Pantere nere di Peoria, Altri
tre giovani furono arrestati,
quattro feriti: due ragazzi
(Ronald Satchel, 19 anni, e
Blair Anderson di 18) due
ragazze (Brenda Harris, 18
anni,eVernlinBrewerdi17).
Dei 14 poliziotti (di cui
cinque neri) che avevano
partecipato all'irruzione, uno
si era fatto male alla mano
con i vetri rotti di una
finestra, un altro aveva
ricevutounapallottolainuna
gamba.
Secondo la versione
ufficiale, il 2 dicembre un
informatore aveva riferito
all’Fbi che in quella casa,
sede delle Pantere nere di
Chicago, c'era un deposito di
armi illegali. Per la spiata,
l’informatore fu pagato 300
dollari. Quando i poliziotti
avevano fatto irruzione,
ripetevanoletv,glioccupanti
avevano sparato contro la
porta e la polizia aveva
reagito: più volte gli agenti
avevano
ordinato
di
sospendere il fuoco, ma
dall’interno
avevano
continuato
a
sparare.
Hampton era stato trovato
morto nel suo letto con due
pallottole in testa. Il
procuratore annunciò che le
sette
Pantere
superstiti
sarebbero state incriminate
per tentato omicidio. Sempre
il 5 dicembre, la polizia
perquisìlacasadiBobbyLee
Rush, viceministro della
Difesa e il più alto dirigente
vivo delle Pantere nere
dell’Illinois. Furono trovate
armi e spiccato un mandato
d’arresto. Il 6, Rush “si
arrese” davanti a una folla di
5000persone,mentreleggeva
i risultati di un’autopsia
indipendente
per
cui
Hampton era stato ucciso nel
sonno. Rush fu ammanettato
datrepoliziottineri,tracuiil
presidente
dell’AfroAmerican
Patrolmens
League, associazione degli
agenti di colore (il “Chicago
Tribune” del 7 titolava in
prima:
“Poliziotti
neri
arrestano Rush, leader delle
Panterenere,davantia5000”
e,all’interno,insisteva:"Rush
siarrendeapoliziottineri”).
L'8 dicembre il sindacato
United Auto Workers (Uaw),
la National Association for
the Advancement of Colored
People (Naacp) e un’altra
dozzina di organizzazioni
chiesero una commissione
d’inchiesta
sull'uccisione
delle Pantere. Ogni giorno
un’interminabile
fila
aspettava
di
visitare
l’appartamento di West
Monroe. “Ci sono giovani,
operaiconvestitimacchiatidi
vernice, donne di mezz’età
col
cappellino
fiorito,
impiegatibenvestiti,anziani,
impiegati postali nella loro
divisa grigia [...] la folla è
maggiore al pomeriggio
quando sul marciapiede si
mettonoincodalunghefiledi
scolari dalle giacche con i
colori brillanti”.1 Giovani
Pantere mostravano che non
c’erano tracce di pallottole
intornoallaportad’ingressoe
cheinveceibuchisullepareti
eranoconcentratisoprailetti
dove erano stati trovati i
mortieiferiti.
L’11 dicembre, sotto un
titolo cubitale a tutta pagina
esclusivo,
il
“Chicago
Tribune”riportavalaversione
del procuratore con tanto di
foto con cerchietti a indicare
le tracce dei proiettili sulla
porta. Foto poi smentite
perchéqueiforinoneranodi
pallottole. La domanda se la
polizia avesse compiuto un
omicidio politico diventava
una minuziosa controversia
sutracce,porte,pareti,angoli
di pallottole, un dibattito alla
Perry Mason. Il 19 dicembre
il ministero della Giustizia
degli Stati Uniti istituì un
gran
giurì:
all’amministrazione
repubblicana di Richard
Nixon
non
spiaceva
punzecchiare il sindaco
democratico di Chicago,
Richard Daley. Il 15 maggio
1970ilgrangiurìemiseilsuo
verdetto: la polizia aveva
sparato più di 90 colpi,
mentre dall’interno ne era
stato sparato uno solo, il
procuratore aveva mentito,
avevano mentito la polizia di
Chicago e il laboratorio
criminale.2 Le Pantere nere
fecero causa a governo, stato
e città. Gli anni passarono.
Nel1977l’istanzafurespinta.
Ancora altri anni. Infine nel
1982 l’ufficio della Cook
Countyapprovòuncompenso
per 1,85 milioni di dollari
pagati-perunterzociascuno
(616.333dollari)dalgoverno
federale,dallaCookCountye
dalla città di Chicago - per
avercospiratoperdistruggere
il partito delle Pantere nere e
aver violato i diritti civili dei
suoi membri. Tredici anni
dopo,lagiustiziariconosceva
che Hampton e Clark erano
stati uccisi nel sonno. Ma
ormai non importava più a
nessuno. Le Pantere nere si
eranodissolteedal1971non
erano più una minaccia. I
tempi erano cambiati: nel
1983 Bobby Rush fu eletto
consigliere comunale di
Chicago.
Ma nel 1969, per il
governolePanterenereerano
ilpericolonumerouno.Come
avevadettonelmarzo1968il
direttore dell’Fbi, J. Edgar
Hoover: “Costituiscono la
minacciapiùpericolosaperla
sicurezza interna degli Stati
Uniti”. Tanto che, quando fu
ucciso Fred Hampton, non
c’era più in libertà nessun
leader nazionale. L’ultimo,
DavidHilliard,27anni,capo
di stato maggiore delle
Pantere nere, era stato
arrestato il giorno prima a
San Francisco. Era rifugiato
all’esterol’ideologo,Eldridge
Cleaver. Erano in carcere
BobbySealeeHueyNewton,
i due uomini che appena tre
anni prima, nel 1966,
avevanofondatoaOaklandil
partito della Pantera nera per
l’autodifesa, prendendo a
prestito il simbolo del nero
felino da un gruppo per i
diritti civili dell'Alabama (la
Lowndes County Freedom
Organization).
Per far fronte a queste
minacce l'Fbi non lesinò né
soldi, né infiltrati, né
pallottole. Il 6 aprile 1968
sette Pantere, tra cui Cleaver
eHilliardfuronoaffrontateda
almeno 48 poliziotti. Cleaver
si
arrese
spogliandosi
completamente.
Il
diciassettenne Bobby Hutton,
che era con lui, uscì
disarmato, a mani alzate ma
conlasuadivisadiPantera,e
fucrivellatodipallottole.Tre
Pantere nere furono uccise a
Los Angeles il 5 agosto. In
settembre
Newton
fu
condannato per omicidio
preterintenzionale. Nel 1969
furono
incarcerate
due
Pantere a Denver, 21 a New
York, decine a New Haven,
quasi 300 a Los Angeles. Le
sedi delle Pantere furono
assaltate con autoblindo ed
elicotteri in tutto il paese, da
Boston a Indianapolis a
Denver. Nel settembre 1969
fucondannatoeimprigionato
anche Bobby Seale, accusato
di “cospirazione” insieme ad
altrisettemembridellanuova
sinistra americana per la
sommossa
durante
la
convention democratica di
Chicago del 1968. Nello
stesso mese, a Chicago morì
in carcere, per le ferite
ricevute quaranta giorni
prima,LarryRobertson.Il13
novembre, in uno scontro a
fuoco con la polizia di
Chicago
morirono
due
poliziotti e la Pantera nera
Spurgeon Jake Winters. Il 7
dicembre, un titolo del “New
York Times” diceva “Il
pedaggio[toll]perlePantere
nereèoradi28[morti]”,tanti
i loro militanti uccisi dal
primo gennaio 1968 (il 20
dicembre un avvocato di San
Francisco avrebbe diffuso i
nomi di 19 militanti uccisi).3
Il 10 dicembre, accanto al
reportageincuisidescriveva
illuttodeineridiChicagoper
la morte di Fred Hampton,
una corrispondenza da Los
Angeles
raccontava
l’incursione della polizia
nella sede delle Pantere nere
di Los Angeles con uno
scontroafuocoduratoquattro
ore. (Intanto il "Chicago
Tribune" intervistava il
giudice che ad agosto aveva
condannato Fred Hampton
per aver derubato un
gelataio.)4
Da quando il partito
è stato fondato, sono
state
accise
trenta
Pantere; nel primo anno
dell'amministrazione
Nixon
ne
furono
arrestate oltre 400 sotto
svariate imputazioni; le
sedi delle Pantere a Los
Angeles,
Oakland,
Chicago, Des Moines e
in altre quindici città
sonostateattaccatedalla
polizia. Quasi tutti i
membri
del
loro
comitato
centrale
originario sono stati
eliminati:
assassinati,
imprigionati o costretti
all’esilio.Ildipartimento
della Giustizia ha un
corpo speciale per le
Pantere;
l'Fbi
le
considera la maggiore
minaccia alla sicurezza
nazionale; almeno due
commissioni
del
Congresso e numerosi
gran giurì indagano sul
loroconto.5
Non che le Pantere nere
fossero mammole. Erano
colpite
da
quella
spettacolarizzazione
della
lotta politica che avevano
pensato di poter sfruttare a
proprio favore, con le loro
tipiche divise, scarpe pesanti,
giaccheneredicuoioebasco
alla Guevara. Già il nome
Pantere era da titolo (e da
poster) di film più che di
partito, e infatti colpì
l’immaginario producendo
felinidituttiicolori.Pantere
bianche si chiamò un gruppo
hippie degli anni sessanta.
Panteregrigiefuilnomeche
si diede negli anni settanta
un’associazione di anziani.
"La Pantera” si definì un
movimento
studentesco
italiano nel 1990. D’altronde
con uno “spettacolo” era
iniziata la loro ascesa: il 2
maggio1967trentaPanterein
divisa e armate fecero
irruzione nel palazzo del
Congresso di California a
Sacramento
costringendo
l’allora governatore Ronald
Reagananascondersi.
Non solo. In quegli anni
le tecniche di guerriglia
esercitavano un gran fascino
perché sembravano vincenti,
capacidifermareinVietnam
lapotentemacchinadaguerra
americana. Così, se Fred
Hamptonfuuccisonelsonno,
molte
Pantere
furono
ammazzateinscontriafuoco.
La
loro
prima
preoccupazione,giànel1966,
era stata di comprare fucili e
pistole e d’insegnarne l’uso,
comedocumentaperesempio
il film Afferra il momento
(1970). Con una qualche
fatuità
il
ministro
dell’istruzione del partito,
George Murray, si vantava
nel 1968 perché “nelle prime
due settimane d’agosto 38
poliziotti sono stati uccisi
negli
Stati
Uniti
e
particolarmente
in
una
regione dove i membri del
partitoeranostatiorganizzati;
a Cleveland (Ohio) è stata
tesaun’imboscataallapolizia
che ha portato alla morte di
trepoliziottiealferimentodi
altri27[...]Abbiamoancheil
piacere di dirvi che i
compagni che hanno diretto
quest’imboscata sono ex
soldati negri che avevano
servito l’imperialismo Usa
nel Vietnam, ma che una
voltarientratinegliStatiUniti
hanno avuto un’istruzione
politica e si sono lanciati
nellaguerriglia”.6
Il
riferimento
alla
guerriglia
non
era
occasionale.SullasciadiPaul
Sweezy e Leo Huberman, e
dell’ultimo Malcolm X, le
Pantere pensavano ai ghetti
neri degli Stati Uniti come a
una "colonia interna” che
doveva combattere la propria
guerra di liberazione nella
giunglaurbana,propriocome
Giap nella giungla del
Mekong o come gli irlandesi
a Belfast. La stessa
segregazione nei ghetti neri
spingeva a pensarsi come
sudditi isolati in una colonia
o,
nel
linguaggio
dell'apartheid sudafricano, in
un Bantustan. Con le forze
dell’ordine il rapporto era di
tipo coloniale: la polizia
entrava (ed entra) nell’inner
city come in un territorio
occupato. Da qui il
terzomondismo delle Pantere
e il richiamo a Franz Fanon
ed Ernesto “Che” Guevara
(nonsoloperilbasco).Perciò
lePanteresipensavanocome
“partito”, struttura militare
organizzata, e non come una
setta,unareligione.Daquiil
loromarxismo.Unmarxismo
benstrano-pienodicitazioni
nonsolodiMaoZedong,ma
anche del dittatore coreano
Kim II Sung -, mirante a un
partitocheavrebbedovuto,in
una bizzarra analogia con la
classe operaia, organizzare il
Lumpenproletariat nero: “È
probabilecheMarxeLeninsi
rivolterebbero nella tomba se
potessero vedere come i
sottoproletari afroamericani
stanno mettendo assieme
l’ideologia del partito delle
Pantere nere,” diceva Bobby
Seale.7 Ma questo marxismo
non era più stravagante
dell’islamismodiMalcolmX.
Il
loro
terzomondismo
trovava
conforto
nella
popolarità delle Pantere nere
nelmondo.Nelluglio1968si
tenne a Dar-es-Salaam,
Tanzania,unamanifestazione
per la liberazione di Huey P.
Newton.
I vietcong giunsero a
proporre la liberazione di
prigionieri
di
guerra
americaniincambiodiSeale,
Newton e altre Pantere che
eranostateimprigionate.8
***
Guerra fredda, relazioni
internazionali, guerra del
Vietnam spiegano in parte
perché l’Fbi considerasse le
Pantere una minaccia tanto
pericolosa (come nella Prima
guerra mondiale erano stati i
tedeschi,
come
nel
maccarthismoisovietici,così
ildissensointernoerasempre
considerato quinta colonna
dellostraniero),tantopiùche
Edgar Hoover, quando
sentivaparlaredicomunismo,
vedeva letteralmente rosso.
Eppure in questo timore
sbandierato rimane qualcosa
diopaco.Unprimoindizioce
lo fornisce l’organizzazione
interna delle Pantere. Seale
era presidente, Newton
ministrodellaDifesa,Cleaver
ministro dell'informazione,
Hilliard capo di stato
maggiore, Ray "Masai”
Hewitt e poi George Murray
ministri
dell’istruzione.
StokelyCarmichaelfuperun
po’ ministro dell’AfroAmerica colonizzata. Per
quanto difficile, è possibile
prendere sul serio questi
titoli, ma il dubbio è
inevitabile di fronte a un
‘'viceministro della Difesa
dell'Illinois” come Bobby
Rush o a un "maresciallo di
campo” come Dan Cox. Il
capo di stato maggiore
Hilliard aveva 26 anni. Il
"presidente
del
partito
dell'Illinois”FredHamptonfu
ucciso a 21 anni e, nello
stesso appartamento, il
“viceministro della Salute
dell'Illinois” Ronald Satchel
fuferitoa19anni.Farebbero
sorridere questi titoli se per
essi in tanti non fossero stati
disposti a morire, e a
uccidere.
Allora la mobilitazione
dello stato americano ti
sembra sproporzionata: la
supergigantesca, tecnologica
organizzazione
dell’Fbi
mobilitata contro quella che
dal di fuori poteva sembrare
una banda di ragazzotti i cui
effettivi, al suo apice, furono
valutati tra i 2000 e i 5000
membri
(comprese
le
centinaia di infiltrati delle
varie polizie). A confronto,
nellasolaChicagonel1968la
gang nera della Blackstone
Nation poteva contare 2000
membri; oggi i Crips e i
Bloods, le due maggiori
bande di Los Angeles, hanno
effettivi di migliaia di
giovani, E queste bande
erano, e sono, armate quanto
le Pantere, visto che nei loro
depositi di armi vengono
trovati non solo mitra ma
anchebazooka.
Nulla,néperl’età,néper
il proselitismo, né per
l’arsenale, rendeva quindi
tanto temibili le Pantere.
Delleduel'una:oiltimoredi
EdgarHoovererastrumentale
e ingigantiva apposta il
pericolo costituito dalle
Pantere per colpire altri
nemici, un po’ come, nel
1886, dietro gli anarchici il
verobersaglioerailsindacato
deiKnightsofLaborocome,
nel1917,dietroaitedeschiil
vero obiettivo erano i
Wobblies, il sindacato degli
Industrial Workers of the
World. Oppure Hoover
credeva
davvero
alla
minaccia delle Pantere e
allora bisogna capire le
ragioni profonde di questo
timoreperlePanterementrei
Blackstones non suscitavano
alcunaapprensione.
Unaragionestavaproprio
nella loro politicità. La gang
tradizionale sta al posto suo,
mentre le Pantere tutto
facevano fuorché stare al
posto loro. Così è con
approvante sussiego che il
“Chicago Tribune” diceva:
“Legangdistrada,inclusala
Blackstone Nation e i Vice
Lords,sonoinapertoscontro
conlePantere.Nonvogliono
averenienteachevederecon
gli insegnamenti maoisti,
filosofie filocomuniste e la
restrittiva disciplina delle
Pantere. Questo ha spesso
portato a un’aperta ostilità,”9
con il tono di dire che, di
fronte a un comunista, uno
spacciatoreerauncherubino.
La differenza era che,
mentre le altre gang vivono
nella e della cultura della
povertà,
le
Pantere
appartenevano a quella
categoriadicuiparlavaOscar
Lewis,
di
"movimento
religioso,
pacifista
o
rivoluzionario, che organizza
edàsperanzeaipoveri”eche
quindi "distrugge il nucleo
psicologico e sociale della
cultura della povertà”. In
questosenso,lePantereerano
accomunateaLutherKingea
Malcolm X, non solo nel
destino di essere eliminati
fisicamente, ma perché
“organizzavanoedavanouna
speranza". La perdita della
speranza è davvero quel che
oggi colpisce di più nella
situazione
dei
neri
d’America,manonèsoloper
caso o per fatalità che questa
speranza si è smarrita:
almeno in parte essa è stata
letteralmenteuccisa.
Se, in quanto gang, le
Pantere incutevano paura
perché politiche, in quanto
politiche esse intimorivano
perché gang. I militanti dei
diritti civili, i membri dello
Sncc (Student Nonviolent
Coordinating
Committee),
esponenti del Black Power
(Stokely Carmichael, H. Rap
Brown) erano per Cleaver
"hippy negri, studenti di
college che hanno voltato le
spalle alla classe media
negra” e che, per questa loro
origine,
“non
possono
istituire
un
nesso
effettivamente politico con i
fratelli neri”.10 Le Pantere
invece
facevano
paura
proprio perché i fondatori
erano figli del ghetto che
avrebbero potuto guidare una
gang se non avessero creato
un partito. Newton aveva
fatto parte delle bande del
ghetto di Oakland, Seale era
stato cacciato dall’aviazione
per indisciplina; Eldridge
Cleaver trascorse la sua
giovinezza in riformatori e
carceri,
come
racconta
nell’autobiografìa Anima in
ghiaccio.Huey voleva infatti
organizzare i "fratelli del
quartiere
che
avevano
combattuto contro i porci [i
poliziotti]”,fratelli“cheerano
stati suoi soci, con cui aveva
fatto a pugni menandoli di
santa ragione”.11 “Ci fu un
momento potente attorno al
1968-1969,quandolePantere
parevano poter diventare la
gang finale rivoluzionaria.”12
In quanto gang, le Pantere
parlavano il linguaggio del
ghetto; in quanto partito ne
traducevano le rivendicazioni
conunavalenzagenerale.Per
bocca loro, la marginalità
sottoproletaria delle inner
cities si esprimeva come
classegenerale.Ilpercorsodi
Cleaver somigliava a quello
di Malcolm X fin nel
dettaglio di aver fatto il
camerieresuitrenienellavita
inprigione.
La perdita della speranza
significava il ritorno alla
normalità. Invece di fare
politica nelle Pantere, si
tornava all’antica macchina
politica
(si
diventava
consigliericomunali).Oppure
si tornava nelle bande. La
scomparsa delle Pantere
produsse una recrudescenza
delle gang all’inizio degli
annisettanta.Malafinedella
speranza significò che le
Pantere tornarono esse stesse
aessereinuncertosensouna
gang. Eldridge Cleaver, dopo
aver aderito alla chiesa
mormona e alla setta del
reverendo Moon, dalla fine
degli anni ottanta e fino alla
sua morte nel 1998 (a 62
anni) non fece altro che
entrareeusciredalleprigioni
per uso e spaccio di crack.
Ma nulla sintetizza meglio
questatraiettoriaquantoHuey
Newtonchenegliultimianni
voleva a tutti costi essere
chiamato Stagolee, dal nome
del mitico fuorilegge nero,
“cattivo
fino
all’osso,
predatoreditutti”:“Untempo
HueyNewtonpotèforseaver
riunito in sé tutti e tre gli
uomini,
Malcolm
[X],
Nkrumah [il rivoluzionario
africano] e Stagolee. Ma per
quasi tutti gli ultimi quindici
anni della sua vita fu solo
Stagolee, un tossico che
vagava scalmanato per le
strade di Oakland gridando
nelle ore piccole Ίο sono
Huey P. Newton!’. Vagava
perquestestrade[...],vagava
implorando di essere ucciso,
scrivendo un interminabile
biglietto di addio dalla vita a
nome di Stagolee. E infine,
una mattina presto d’estate
del 1989 [il 22 agosto],
all’angolo della Nona e di
Center Street, Huey si prese
le sue tre pallottole da due
altri nottambuli fuori di
testa”.13
Perché,
contrariamenteaglistereotipi,
le gang sono un pilastro
dell'ordinesociale.
1“TheNewYorkTimes”,
10dicembre1969.
2Mike
Royko, Boss.
Richard J. Daleyof Chicago
(1971), PenguinBooks, New
York1976,p.212.
3 “The New York
Times”,21dicembre1969.
4 “The Chicago
Tribune",12dicembre1969.
5 Tom Hayden, Trial,
HoltandWinston,NewYork
1970, trad. it. Un processo
politico: Chicago 1969,
Einaudi,Torino1973,p.121.
6 Citato da Valerio
Evangelisti, Sinistre eretiche.
Dalla banda Bonnot al
sandinismo,SugarCo,Milano
1985,pp.85-86.
7BobbySeale,Seizethe
Time, Random House, New
York 1970, trad. it. Cogliere
l'occasione. La storia del
Black Panther Party e di
Huey P. Newton, Einaudi,
Torino1971;p.11.
8Ivi,p.290.
9“TheChicagoTribune”,
14dicembre1969.
10 Citato da V.
Evangelisti,op.cit.,p.79.
11B.Seale,op.cit.,pp.
61-62.
12 M. Davis, City of
Quartz,cit.,p.298.
13 S.L. Malcomson, One
DropofBlood,cit.,p.464.
5.Eroigrecie
lumpencapitalisti
Sei in piena Gangland, la
terra delle gang. Sui muri si
sovrappongono i graffiti,
rabbiosi. Scarabocchi aguzzi,
gigantografiedinumeri,mani
larghe di vernice, spray
esplosi,
macchie
rosso
sangue, scie blu come di
proiettili
traccianti.
Geroglifici di una lingua
perduta.Questigraffitimurali
rappresentano visivamente
quel che i sociologi di
Chicago chiamavano la
disorganizzazione sociale, il
disordine. In quegli interstizi
urbani dove, sembra, la
razionalità sociale cede il
posto all’imprevedibilità, la
civiltà al furore. Dove gli
uominisonobestieelebestie
sono belve. O almeno così li
descrivono articoli, serial,
filmdicassetta.Dovel’odioè
senza scopo, la ferocia senza
lìmiti, e il presente è senza
futuro.
Maaunocchioallenato,e
al corrente, quei segni che
per te sono guazzabuglio
demente, quegli arzigogoli
sovrappostiparlano.Indicano
dove comincia e finisce il
territoriodiunagang.Avolte
riportano segni di tregua o
dichiarazioni
di
guerra
(cancellare i graffiti altrui è
un'aggressione).
Oppure
raccontano: la morte di un
compagno, la deposizione di
un leader, l’imprigionamento
diunragazzo.Ocomunicano.
Secondoalcuni,puoileggervi
persinoavvertimenti,contratti
per omicidi notificati al
popolo delle gang. Quel che
era rumore diventa suono, lo
scarabocchiosifalinguaggio,
sotto al disordine s’intravede
l’ordine,
sotto
la
disorganizzazione,
in
filigrana,unastruttura.
***
Non c’è parola più
mistificante di gang. Dici
gangepensibandagiovanile,
violenza adolescenziale, tinta
dicrudeltà,macomepossono
essere crudeli i bambini: un
romantico manipolo di
modernibrigantiemasnadieri
a cavallo delle loro moto
Harley Davidson. Oggi però,
negli Usa, sulle moto ci vedi
solo attempati ciccioni,
residuatidegliannisessantae
settanta,
Easy
riders
incanutiti, le cui Honda
trascinanopersinounridicolo
rimorchietto per trasportare i
bagagli.Inrealtànonfaialtro
che riproiettarti il mito della
gang, come ti è impresso dai
film,daWestSideStorynegli
anni cinquanta, a The
Warriors nei settanta, a
Colors negli ottanta, e poi
decine di altri (The Bronx,
FortApache...),ametàstrada
fra discendenti di cowboy e
psicopatici
di
Arancia
meccanica.
Ma vi sono gang con
migliaia di membri come i
celebri Crips (e i loro
antagonisti Bloods) di Los
Angeles. A Chicago le due
bande rivali dominanti degli
anni novanta erano i Vice
Lords, accreditati di migliaia
di membri, e i Gangster
Disciples cui la stampa
attribuiva dai 30.000 ai
55.000membriin35stati.1Il
capo dei G.D.s era Larry
Hoover, un signore di
mezz’età che da più di
ventanni dirigeva la gang da
dietro le sbarre. Anche il suo
vice Jeffrey Hatcher era un
quarantenne. Nel 1992,
quando uscì di prigione a 42
anni, il capo dei Vice Lords
trovò ad accoglierlo signore
impellicciate e ingioiellate,
signoriconscarpedilucertola
davanti
a
lunghissime
limousine.2 Il capo dei Latin
King,Gustavo"Gano"Colon,
ha 43 anni; il leader dei
Chicago Two Sister ha 36
anni.3
Traballa
il
romanticismo giovanilista.
Tanto più che alcune gang
durano
da
parecchie
generazioni, come i Vice
Lords.Altrecambianonome:
a Chicago i Blackstone
Rangers già negli anni
sessanta avevano 2000
membrieorasichiamanogli
El Rukns. A Los Angeles
moltigenitorisonostatinella
stessa gang dei loro figli. In
alcune famiglie, quattro
generazioni di maschi sono
stateaffiliateallastessagang
e molti padri incoraggiano i
figliaentrarvi.4
Ancora: all'inizio degli
anni ottanta, i Vice Lords e i
Gangster
Disciples
di
Chicago sono sbarcati a
Minneapolis e vi hanno
aperto filiali (o “capitoli",
come si dice per le chiese),
seguitiaruotanellametropoli
del Minnesota dai Bloods
e Crips di Los Angeles5:
come se le gang di Londra e
Parigi aprissero succursali a
Stoccolma. Oppure: 120
leader delle gang provenienti
da 25 metropoli americane si
riuniscono a congresso in un
grande albergo per discutere
una tregua nazionale, con la
benedizione
di
un’organizzazione autorevole
come la Naacp (National
Association
for
the
Advancement of Colored
People),
con
copertura
mediatica assicurata dai
grandi network tv. È
avvenutoaKansasCitynella
primaveradel1993.6Ancora,
nel 1997 “Time” raccontava
che i Gangster Disciples
avevano
creato
un’organizzazionenonprofit,
Gowth and Development
("Crescita
e
sviluppo),
attraverso la quale, “nelle
aree più povere di Chicago,
organizzavano pulizie di
quartiere, partite notturne di
pallacanestro e spedizioni
locali in cui venivano
distribuiti ai poveri centinaia
di cestini con piatti di
maccheroni e formaggio,
pollastre arrostite e pietanze
farcite”. E tal Wallace
("Gator") Bradley che era
stato “consigliere di guerra”
dei G.D.s si è presentatodue
volte
candidato
come
assessore ed è stato persino
ricevuto alla Casa Bianca da
BillClinton.7
Troviamo qui un crisma
di ufficialità, un'impronta di
pubblicità che sembrano
incompatibili con l’idea
spontaneadibandagiovanile.
Laparolagangcoprecosìun
campo semantico (e un
ambito
storico)
insospettatamente
vasto.
All’inizio il termine gang
vuol dire “squadra”, squadra
di lavoro: erano gang a
costruire ponti e ferrovie nel
West, e gangers (non
gangsters) i loro membri.
(Tutto ciò che è collegato al
lavoro è vilipeso. Se la
squadra di lavoro è gang,
invece
l’equipaggio,
il
reparto, crew, è la piccola
banda che si riunisce per un
colpo o per un’incursione, e
che non costituisce una gang
strutturata.) Gang è un
concetto che va quindi da
bande di pochi adolescenti
chescompaionodopoqualche
annoaveriepropriesercitidi
giovani e adulti, dotati di
arsenali, di filiali e di una
struttura che può durare nei
decenni.
Altrettanto
vasto
è
l'orizzonte temporale delle
moderne gang americane che
ormai coprono più di un
secolo e mezzo di storia. Le
gang appaiono subito negli
Stati
Uniti,
insieme
all'urbanizzazione
e
all'immigrazione europea, se
èverochegiàintornoal1840
suscitavano il terrore dei
borghesi i Bowery Boys e i
DeadRabbits(Coniglimorti),
giovani irlandesi cui spetta
l’onore di aver inventato la
moderna gang di strada negli
slum della Bowery, di Five
Points e di Paradise Alley.8
Fin dall’inizio le gang si
battezzano con humour nero
("conigli morti”, “ombre
fantasma”...) o con animali,
come le squadre sportive dei
Tori di Chicago, i Falchi di
Atlanta, gli Squali di San
Diego, i Calabroni di
Charlotte. Così le gang di
VipereEgizianeoFalconinel
quartiere Addams studiato da
Suttles,oleTigribiancheei
Dragoni volanti tra le bande
cinesi di New York. La gang
come squadra, la vita come
sport: nel football ci sono i
Cowboys di Dallas, a
Chicago c'è la gang dei
Rangers. All’inverso, in una
civiltà violenta come quella
americana, la violenza negli
stadi è assai meno selvaggia
che in Europa. Gang copre
perciò un campo tanto vasto
da sembrare concetto inutile,
senoncomeingredientebase
delleleggendemetropolitane,
come fantasma costruito dei
nostri terrori sociali: il mito
dellaganginquantodistillato
puro dell' underclass è
quotato a caro prezzo nel
mercato dell'immaginario. In
realtà le gang americane
hanno
alcuni
caratteri
comuni. Il primo è che
ognuna di loro ha una base
territoriale in un quartiere
cittadino di solito a
bassissimoreddito.
NelsuoclassicolibroThe
Gang(1927)incuicensivale
esattamente 1313 (ancora la
retoricadelnumero!)gangdi
Chicago, Frédéric Thrasher
considerava terra delle gang
le aree interstiziali della città
("la frontiera intramurale
della gangland”), le zone di
rottura dei valori sociali. Ma
oggi, se disorganizzazione
sociale c’è, essa non si situa
solo nelle zone interstiziali,
neiquartieridovesiapreuna
frattura nell’ordine sociale, o
allora la città è tutta una
frattura e l’interstizio si è
inghiottito l’intero tessuto
urbano, poiché a Chicago e
nelle
altre
metropoli
americane
l’assoluta
maggioranza degli abitanti
del centro città vive ormai in
slum o ghetti ("città di
cioccolata,
suburbi
di
crema...”). Nell'inner city,
nonc'èunordinesocialecon
isole di caos ma, semmai, un
mare di caos con isole di
ordine. “Ghetto” è ormai una
sterminatadistesaurbanacon
centinaia di migliaia di
residenti che “non soffre di
‘disorganizzazione sociale’,
ma costituisce un universo
dipendente,
finemente
differenziato e gerarchizzato,
che si organizza secondo
principi specifici”.9 Qui,
scriveva Thrasher, dove “le
istituzioni
normalmente
orientative come famiglia,
scuola,chiesavengonomeno,
la gang sorge come
istituzione sostitutiva’ .10 La
gang è quindi un’istituzione;
come tale, rispecchia i
principi in base a cui è
gerarchizzatalavitadiquelle
masse umane che vivono
nelleinnercities.
Ed è qui che giunge la
prima
sorpresa:
questi
principi non sono affatto
devianti rispetto a quelli che
reggono la società in
generale.Sonoglistessi,solo
che operano in una penuria
estrema. Così, mentre per la
società
circostante
è
malthusiana la dottrina, per
gli abitanti del ghetto è
malthusiano l’universo in cui
vivono,
non
perché
sovrappopolato,maperchéle
risorsevisonorare,icapitali
privati sono fuggiti, quelli
pubblici sono elargiti col
contagocce: non ci sono
banche, ma solo Checks
CashedePawnshops.
Proprio come la società
circostante, anche il ghetto è
organizzato
secondo
il
principio della concorrenza.
Ma poiché è esercitata per
appropriarsidirisorserare,la
competizione si fa estrema,
diventa guerra di tutti contro
tutti. Nell’inner city la
condizione normale è quella
descritta da Thomas Hobbes:
“Ogni uomo è nemico di un
altro,gliuominivivonosenza
altra sicurezza se non quella
chedàlorolapropriaforzao
lapropriasagacia[...]e,quel
cheèpeggioditutto,domina
un continuo timore e il
pericolo di una morte
violenta:elavitadell’uomoè
solitaria, povera, lurida,
brutale e corta”.11 In questa
lottaognunopuòcontaresolo
su di sé ed elabora quindi
quel che Martin Sanchez
Jankowski
chiama
l'
individualismo
diffidente.
Nulla esprime meglio questa
diffidenza
dellmcredibile
quantità di sbarre e lucchetti
che infestano le aree povere.
Nei supermercati, il reparto
alcolici è protetto da grate
degne di Fort Knox.
Altrettanto
blindate
le
farmacie.Carichedicatenele
porte delle abitazioni. Molte
persone restano intrappolate
negli incendi per quanto si
sono sprangate bene dentro
casa. Qui la diffidenza si fa
lucchetto.
Maselacompetizioneèil
principio in base al quale va
ordinatalasocietàdelghetto,
allora anche nell 'inner city
predomina il darwinismo
sociale: l’idea che nella
selezione delle specie umane
sopravvivanosoloipiùadatti.
Ai due estremi della scala
sociale, nei ricchi suburbi
bianchi e negli slum di
colore, troviamo la stessa
visione hobbesiana della
società come campo di
battaglia di una diuturna
guerra per la sopravvivenza,
incuisoloimigliorivincono,
mentre i più deboli “cedono
perprimi”,comeavvennealle
capre dell'isola di Juan
Fernandez,
secondo
il
reverendoJosephTownsend.
Ma come fanno proprio
gli sconfitti a credere nel
darwinismosociale,percuiil
vincitore non solo domina,
ma è anche migliore? Come
fannoaconsiderarsinonsolo
perdenti, ma anche peggiori?
Nessuno
può
ritenersi
pessimo (nel cristianesimo,
perlomenogliultimidioggi
saranno i primi di domani, e
glioppressisarannobeati,pur
se nel solo aldilà). L'unico
modo per elaborare questa
sconfitta, per farsene una
ragione, pur mantenendo la
fede nel darwinismo sociale,
è l’idea che la partita sia
truccata (da qui la fortuna di
cui gode l’idea del Plan, del
complottobiancoperdrogare
e far ammalare la gente di
colore degli slum). La
squadra del ghetto perde
sempre
perché
la
competizione è falsata,
qualcuno bara, non a tutti è
concessa
un’uguale
opportunità. Un ragazzo
chicano di Los Angeles dice:
"I ricchi Anglo [...] sono
organizzatissimi, si tengono
per sé tutto il succo buono e
lasciano noi, gli asiatici e i
neri, a combattere per il
resto".Perunragazzonerodi
New York gli anglosassoni
"si tengono per sé le grandi
cose della vita e lasciano noi
negri e spics [spregiativo per
Latinos]acombatterecongli
spaghetti e con le teste dì
patata [spregiativi per italiani
e irlandesi] per i rimasugli”.
Eundiciannovenneirlandese
di Boston: “Tutti i ragazzi
sanno che questi ricchi
bastardiequestetested’uovo
cilascianoacombattere,noi,
negri e spics, per lavori di
merda”.12
***
Le gang sono quindi
organizzazioni ("istituzioni
sostitutive”) che sorgono
nelle inner cities per
procurareailoromembriquei
benefici da cui il ghetto è
escluso nel suo complesso.
Molti giovani aderiscono a
unagangpernonrassegnarsi,
per evitare quel vicolo cieco
sociale,quelbinariomortoin
cui vedono appassire genitori
e familiari. Nel ghetto,
paradossalmente, sono i
membri delle gang i cittadini
chepiùhannofedenelsogno
americano, che più credono
nell’iniziativaindividuale,nel
mito
dell’imprenditore
privato che rischia e che,
dalla povertà, assurge alla
ricchezza. Ma cosa potrebbe
rischiare
un
ipotetico
imprenditoredell’innercity?
Non certo il capitale
economico, il denaro, poiché
quest'universo hobbesiano è
proprioun“capitalismosenza
denaro”.Neiquartieripoveri,
i lavori sono pochi, mal
pagati, precari. Il nerbo
dell’economia, accanto alle
sparute attività legali, è un
variegato settore sommerso
che va dal quasi legale al
francamente criminale, dalla
fruizione indebita dei sussidi
statali (mariti che fingono di
aver lasciato le mogli perché
possano ricevere gli assegni
per madri capifamiglia) al
traffico di bollini alimentari
(FoodStamps),perpassareal
donoapagamentodelproprio
sangue, allo strozzinaggio (i
loan sharks, gli squali dei
prestiti), fino a spaccio e
killeraggio.
Né il nostro ipotetico
imprenditore
potrebbe
mettereincampocompetenze
ocultura,perchéquilascuola
è il primo girone dell’infemo
sociale. Se la scuola deve
essere maestra di vita, la
scuoladell’innercityistruisce
alla
sconfitta:
quello
scolastico è il primo dei
fallimentichecostellerannole
vite adulte. L’emarginazione
comincia con gli studi
interrotti, l'essere espulsi
(drop out) da una scuola di
serieB.Nessuno degli ultimi
cinque sindaci di Chicago
(neanche il nero Harold
Washington)hamaimandato
i figli alla scuola pubblica. E
lascuolaèdiseriebperchéi
distretti scolastici statunitensi
sono finanziati dalle tasse
locali, basate sui valori delle
proprietà immobiliari nel
distretto. Dove le case
valgono molto, le tasse sono
elevate, i bilanci delle scuole
opulenti, gli stabilimenti ben
equipaggiati, gli insegnanti
ben pagati. Dove le tasse
sono basse, perché le case
valgono poco, gli insegnanti
sono mal pagati, gli istituti
scadenti. Più il ghetto è
povero, più la scuola fa
schifo, più il ghetto
s’impoverisce.Loscoramento
è bene espresso dalla battuta
di un ragazzo del South Side
di Chicago: “Fra un po’, per
friggere gli hamburger da
McDonald’s ci vorrà un
diploma
d’ingegneria
areonautica”.13
Perché stupirsi allora
quando
questi
piccoli
imprenditori del ghetto
mettono in palio le uniche
cosechepossonorischiare:se
stessi, la propria vita o la
propria
libertà?
Forza,
conoscenza delle armi,
addestramento alla rissa sono
spesso le sole carte che
possonogiocarsiquestiadepti
delsognoamericano.Qui“la
violenzaèlamonetacorrente
della vita e diventa la valuta
dell'economia della gang".14
La violenza si rivela essere
nonlosfogo-sadicoesenza
scopo - tante volte descritto
nel mito della gang, ma lo
strumento razionale in un
mondo hobbesiano: “Noi
troviamo tre cause principali
di lotta: la competizione, la
diffidenza,lagloria.Laprima
fa combattere gli uomini per
guadagno, la seconda per la
salvezza, la terza per la
reputazione”.15
La
competizione usa la violenza
perimpadronirsideibeniela
diffidenza la usa per
difenderli(sulmoventegloria
bisogneràtornare),
E se per decenni l'auto è
stata
la
locomotiva
dell'economia mondiale, la
droga è il settore trainante
dell'economia dei ghetti
urbani. È termine consacrato
"economia politica della
droga”, o “economia politica
del crack”, in cui l'odierno
commercio mondiale di
droga può essere paragonato
ai commerci di droghe
(spezie, pepe, cardamomo,
cannella, ma anche oppio) di
Venezia, degli olandesi e
inglesi. Eric Hobsbawm ha
paragonato il cartello di
Medellin alle Compagnie
delle Indie.16 Se a Los
Angeles “la stima di 10.000
membri delle gang che si
guadagnano da vivere con il
commercio di droga è
corretta, allora il crack è
davvero il datore di lavoro
dell’ultima
spiaggia,
equivalente di parecchie
grandi fabbriche di auto e di
centinaia di McDonald's”.17
Da quindici anni almeno
l'industria della droga “è il
solo datore di lavoro in
espansionecheoffrelestesse
chancediriuscitaatuttisenza
discriminazione nel cuore
delle metropoli americane,”
dice il sociologo Philippe
Bourgois alla fine del suo
straordinario racconto di una
notte in una crack house di
NewYork:
I ragazzini del mio
palazzo non sono né
apaticinédisorganizzati.
Anzi sono troppo bene
organizzati. [.,.] I più
determinati,
i
più
fortunati, i più spietati
tra loro dirigono reti di
vendita che fatturano
migliaia di dollari al
giorno. E non hanno 18
anni.
[...]
Perché
chiedersi cosa li porta a
rifiutare lavori senza
prestigio nel privato
quando possono mettere
su ditte di cocaina o di
crack in cui la loro
identità [...] smette di
costituire un handicap
per diventare un atout?
Come
ogni
buon
americano,
gli
spacciatoricredonoduro
come ferro al "sogno
americano";daglistracci
ai
milioni
grazie
all’impresa
privata.
Certo, la maggior parte
di loro non riuscirà.
Saranno
stritolati
malgrado i loro sforzi e
molto
probabilmente
diventeranno preda del
buco
o
della
depressione. Ciò non
impedisceachiriescedi
guidare la Mercedes, la
Jaguar, la Porsche fino
all’idrante antincendio
all’angolo per farla
lavare e lucidare dagli
strafatti del crack,
mentre lui, a dieci metri
da lì, osserva fiero i
bambini del quartiere
che divorano con gli
occhila"barca”.18
L’espressione chiave è
qui “ditte di cocaina”, come
si dice ditte di pannolini,
imprese di cracker. Mettere
su una ditta di crack può
aprire luminose prospettive.
In questo senso si può
capovolgere
l’espressione
marxiana
di
“Lumpenproletariato” e dire,
come fa Mike Davis, che i
"Crips diventano altrettanto
lumpencapitalisti
quanto
proletarifuorilegge”.19
La gang è quindi una
società del terziario che
commercia e fornisce servizi
perlopiùclandestini,masolo
perché nell'ambito legale la
cultura di strada costituisce
un
ostacolo
(mentre
nell’illegalità è un atout). Se
finiscono spesso male i pur
numerosi tentativi delle gang
di intraprendere commerci
legali, di comprare e affittare
immobili, fioriscono invece
distillerie illegali, lotterie
clandestine, combattimenti di
galli
con
scommesse.
Rendono bene le attività di
protezione e demolizione.
Proteggono (e ricattano) i
commercianti; demoliscono
(incendiano) immobili o
esercizi su commessa di
speculatori che vogliono
cacciare
inquilini
recalcitranti, di operatori
commerciali che vogliono
liberare aree, o di usurai "squali dei prestiti” - che
vogliono minacciare debitori
morosi. Attraverso questi
servizi le gang interagiscono
con l’economia legale, con ì
capitalistiingiaccaecravatta.
Nelle
loro
imprese
lumpencapitaliste, i membri
delle gang vanno spesso
incontro all’arresto e alla
galera. Ma se la scuola
pubblica è maestra di
fallimento, la prigione è una
scuola di riuscita sociale. Lo
è per il classico meccanismo
descritto da Michel Foucault:
inprigioneentraunautoredi
infrazioni alla legge ed esce
un
criminale.
"Questo
personaggio diverso che
l’apparato
penitenziario
sostituisce al colpevole
condannato
[l'infracteur
condamné] è il delinquente"
.20Ciòcheeraunepisodioin
una vita diventa un destino,
anziunavocazione.
Negliultimiventidueanni
la prigione è divenuta
un'esperienza così diffusa da
aver perso parte del suo
potere dissuasivo. In questi
ventidue anni, da quando è
iniziata l’era reaganiana gli
Stati
Uniti
hanno
sperimentato
una
carcerarizzazione
senza
precedenti della società e il
numero dei detenuti sì è più
che
quadruplicato.
La
popolazione
carceraria
statunitense si divide in tre
categorie: 1) i detenuti nei
penitenziari federali e statali
(pen in gergo); 2) i reclusi
nellecarcerilocali(jails),che
assommano in media alla
metà dei detenuti nelle
prigionistataliefederali;3)i
minorenni in riformatorio.
Per ottenere il totale delle
persone sorvegliate dal
sistema giudiziario, a queste
tre andrebbe aggiunta una
quartacategoria:icittadiniin
libertà condizionata, o su
parola.Eitotalifannopaura:
nel 2002 erano dietro le
sbarre più di 2,2 milioni di
americani e la popolazione
sotto controllo giudiziario
degli Stati Uniti era di quasi
settemilionidipersone.
Mentre per quarant'anni
(1930-1970) i detenuti nelle
prigioni federali e statali
hanno sempre oscillato
intorno ai 100 ogni 100.000
abitanti, nel 1990 erano
diventati 311 ogni 100.000
abitanti e i dati del 2002
davano
480
reclusi
ogni 100.000 abitanti.
Ancora più impressionanti le
cifre assolute: da meno di
200.000 prigionieri nel 1970
a 1.361.000 nel 2002. A
costoro bisogna aggiungere
666.000detenutinellejails,i
111.000 rinchiusi nei carceri
minorili, i 29.000 prigionieri
inaltritipidicarceri(militari,
perindiani,speciali),cosìche
il totale dei reclusi alla fine
del 2002 era di 2.166.000
statunitensi. Ben 766
carcerati su 100.000 abitanti:
a titolo di paragone, in
Giappone nel 2000 vi erano
solo 47 detenuti per 100.000
abitanti; in Norvegia 56;
in Francia 80; in Italia 94; in
Germania 97. Cioè negli Usa
ci sono 16 volte più
prigioniericheinGiapponee
8voltepiùcheinItalia.Solo
la Russia del dopo Guerra
fredda ha cifre paragonabili:
730 detenuti ogni 100.000
abitanti.21 Se a costoro si
aggiunge chi è in libertà
condizionata o per buona
condotta, il totale dei
sorvegliati superava i 4,3
milionidipersonenel1990e
i 6,9 milioni alla fine del
2002. Cioè, a ogni momento,
più di due persone (2,5) su
cento negli Stati Uniti sono
prese nelle maglie della
giustizia. Il numero dei
carceratiècresciutoinsiemea
quello degli indigenti, e cioè
ai licenziamenti, riduzioni
fiscali, tagli alle politiche
sociali
e,
insieme,
l'inasprimento delle pene e il
ricorso sempre più facile al
carcere. Di fronte al
fallimento di questa politica,
l’opinione
pubblica
ha
chiesto, e le autorità hanno
sancito,piùcarcere,piùpene.
È una soluzione di tipo
fondamentalista: ritiene cioè
che il sistema non funzioni
nonperchévisiaqualcosadi
sbagliato, ma perché non è
stato applicato fino in fondo.
Comechipensacheilterrore
sia inefficace perché non
terrorizza abbastanza. La
societàpiùpotenteeopulenta
della storia è anche la più
carceraria.
Boomdeicarcerati22
Paradossalmente,il
numerodeiprigionieriè
moltoinferioreaquelche
dovrebbeessereinbasealle
condannecomminate:purdi
disingorgareleprigioni,molti
magistratiUsas'inventano
sanzionicreativecomefar
andareingirolagenteconal
collouncartelloindicanteil
criminecommesso:
l’equivalentemodernodella
gogna.Ciònontogliechei
penitenziaristrabocchino.Il
carcerediconteadiChicago,
costruitonel1928per
ospitare1200detenuti,ne
contienepiùdi8000:nelsolo
198825.000detenutia
Chicagofuronorilasciatiper
sovraffollamento.Molti
condannatinonentranoin
prigioneperil“tutto
esaurito”,oneesconoprima
dellascadenzaperfarpostoa
detenutipiùpericolosi.C'è
unasortadilistad'attesa,di
standbyancheperilcarcere.
Tuttoquestofasìchenegli
StatiUnitiungiovanenerosu
quattrofiniscainprigionetra
i18ei25anniecheininteri
quartieripiùdellametàdelle
personesianosoggettea
sorveglianzagiudiziaria.23
Il carcere diventa un
elemento
familiare
del
panorama quotidiano e
assurge a rito di passaggio,
comeuncorsoallieviufficiali
perlegang:visonovarigradi
di status sociale e i più alti
sonoattribuitiachièstatoin
prigione più a lungo, più
volte, ed è stato più attivo
nell’organizzare la gang
dietrolesbarre.Ipiùgiovani
ascoltano con ammirazione i
racconti dei veterani, le loro
esperienzecarcerarie,nelpen
o nella pinta (il termine dei
Latinos). Certo che, se si
può, il carcere è meglio
evitarlo: un terzo delle gang
studiate da Martin Sanchez
Jankowski dispone di un
proprio avvocato. Molte
usano i minorenni proprio
perché per loro le pene sono
più miti: la criminalità
infantile si rivela, più che
segno di barbarie, strumento
calcolato per minimizzare i
rischi carcerari dell’impresa
lumpencapitalista. Le gang
affidano lo spaccio ai
bambini esattamente per lo
stesso motivo per cui i
padroni dell’Ottocento li
facevano lavorare in miniera:
perridurreicosti.
***
La sfera di azione delle
gang non si esaurisce
nell’imprenditoria
lumpencapitalista
e
nell’economia, per quanto
criminale. Qui entra in gioco
la seconda caratteristica:
le gang sono tutte a base
etnico-razziale. Nella storia
americana sfilano gang
irlandesi, italiane, ebree,
greche, cinesi, coreane,
vietnamite, nere, portoricane,
dominicane. Proprio come la
popolazione è segregata
etnicamente, così anche la
violenza delle gang è divisa
in comparti etnici. Base
territoriale:
un
preciso
quartiere; base sociale: un
gruppo etnico-razziale. Negli
StatiUnitilasommadiquesti
due fattori è chiamata una
community. La community è
un gruppo etnico preciso in
una precìsa area: qui lo
traduco con “quartiere”. Non
solo la gang nasce in un
quartiere, ma non potrebbe
sopravvivere né prosperare
senza il sostegno del
quartiere, senza la sua rete
informativa, senza la sua
omertà. Ma assistenza,
omertà,informazioni,lagang
leottieneseasuavoltaèutile
al quartiere. Questo scambio
reciproco è asimmetrico
perchélaganghapiùbisogno
del quartiere di quanto esso
abbiabisognodilei:mentreil
quartiere sopravvive alla
scomparsadellagang,lagang
nonsopravviveall’ostilitàdel
quartiere. Perciò la gang
spessoproteggeimembridel
quartiere, li difende dagli
speculatori
immobiliari,
sventalemenedeglioperatori
commerciali,moderal'avidità
degli strozzini, difende l'area
dalla violenza delle gang di
altriquartieri.
Ecco cosa dice Jorge,
muratore di 59 anni di Los
Angeles: “La gente di fuori
stasempreadareaddossoalle
gang,manonvedonoilbene
cheloropossonofarepernoi.
[...] Intanto ci proteggono
dalla gente di fuori che
vorrebbe
derubarci
e
picchiareinostriragazzi.[...]
Noicisentiamopiùsicuricon
loro che con la polizia”. E
Raquel, 47 anni, madre di
cinquefigli:"Socheunsacco
di gente pensa che le gang
sono cattive, ma non vede
quante buone cose fanno per
lacomunità”.24
In una società che si
diletta con le milizie private,
lagangèunaviadimezzotra
la polizia ufficiosa del
quartiere e il suo gruppo di
pressione. La gang assume
qui un ruolo “politico”.
Persino i suoi gesti criminali
servonoaprovocaremaggiori
stanziamenti
statali
e
governativi per aiutare il
quartiere.Jim,52anni,padre
diduefigli,diNewYork:
Se non fosse per le
gang, questa comunità
non vedrebbe nessun
programma sociale e
nemmeno un posto di
lavoro. Abbiamo un
saccodidisoccupatiqui,
soprattutto ì giovani.
Ma nessuno al governo
se ne frega. Se non
succedesse
nulla,
continuerebbero
a
lasciarli disoccupati. Si
preoccupano
solo
quando le gang si
muovono nell’illegalità,
solo allora fanno partire
unprogrammadilavoro.
Così, vedi, abbiamo
bisogno che le gang ci
aiutino. È il loro
comportamento
che
preoccupa i politici, non
i
normali
ragazzi
disoccupati.25
Ci
troviamo
perciò
davanti a una struttura
articolata di più elementi
formata dal quartiere, dalla
gang, dagli apparati statali
repressivi e di assistenza (la
cosiddetta
street-level
bureaucracy), dai politici e
dai mass media in cui ogni
polo è in interazione con
l'altroeincuiognirapportosi
riflette retroattivamente sugli
altrirapporticosìchevisono
vari livelli di relazione. Tra
gang e apparato repressivo il
primo livello di relazione,
quello apparente, è la guerra.
Da un lato la polizia è vista
comeforzad’invasione,come
una gang esterna, la "gang
degli Anglo”. La teoria della
“colonia
interna”
delle
Pantere nere, vissuta di
persona. Così si esprime un
poliziotto di 40 anni del
dipartimentodipoliziadiLos
Angeles:
Le gang sono come
belve e nella comunità
nessuno
sa
nulla.
Qualcosa succede in
pieno giorno e nessuno
havistoniente.[...]Così
fermiamo un bel po’ di
membri della gang per
interrogarli. Poi vado e
faccio domande nella
comunità e nessuno sa
niente. È un sentimento
inquietante quando fai
domande in questi
quartieri: nel viso dei
residenti
c’è
un’espressione di puro
disprezzo verso di noi.
Non ho mai visto niente
di simile; per lo meno
nondopoilVietnam.26
In
questo
Vietnam
interno, il quartiere offre alla
gang dei “santuari” dove
sfuggire alla caccia, come la
giunglaaivietcong.Nonsolo:
quandogliassistentisociali,i
magistrati
intraprendono
programmi di riabilitazione,
perconvincerecioèimembri
delle gang che il loro
comportamento è antisociale,
che devono imparare un
mestiere
e
diventare
produttivi, questa loro azione
è vista come un lavaggio del
cervello, come un atto
totalitario, da paragonare alla
setta del reverendo Moon o
agli stessi campi di
rieducazionevietnamiti.27
Manellecittàstatunitensi
questa guerra dura ormai
ininterrotta
da
centocinquant’anni senza né
vincitori né vinti e quindi,
sotto lo scontro, si sono
stabiliti altri livelli di
relazione,
di
simbiosi,
addirittura di dipendenza
reciproca,
di
mutuo,
diffidente parassitismo. La
poliziahabisognodellegang
peraumentarelapropriafetta
nel bilancio comunale. I
politici hanno bisogno delle
gang da un lato per
dimostrare che si battono
contro
la
criminalità,
dall’altroperottenerevotinei
quartieri in cui operano le
gang.Leganghannobisogno
dei politici per allentare la
pressione della polizia, e
degli assistenti sociali per
favorire iniezioni di denaro
nel quartiere. A loro volta, i
leader politici locali della
Gangland rafforzano la
propria posizione agendo da
mediatori tra autorità e gang.
Perimassmediapoi,legang
sonounamercedavenderee
che fa vendere, mentre per
l’industria dello spettacolo
sono
un
ingrediente
formidabile per intrattenere e
farfremereilpubblico.
Si è operato un vero
capovolgimento prospettico:
se all’inizio le gang ci
parevano
mettere
a
repentaglio la sopravvivenza
della società, ora si
dimostrano parte integrante
della trama che costituisce il
tessuto urbano degli Stati
Uniti.
Se
il
loro
comportamento
pareva
dettatodaistintoferino,oraci
appare la risposta più
razionale possibile in un
universo malthusiano, in una
situazione
hobbesiana
sottoposta al darwinismo
sociale, cioè ai tre capisaldi
dottrinali che reggono le
polìtiche della società nei
confrontideipoveri.
Se
prima
eravamo
spaventati di fronte alla
violenzadiquestiUfoumani,
ora siamo colpiti dal loro
straordinario conformismo,
che fa riflettere. Alla fine
degli anni sessanta le gang
erano contestatrici, mentre
negli ottanta sono state
conservatrici. Nei primi anni
settanta, ai Crips veniva
attribuita
l'etimologia
Continuous Revolution in
Progress, e loro stessi si
richiamavanoalBlackPower,
mentre
poi
avrebbero
compiuto,
come
la
Blackstone
Nation
di
Chicago, una vera e propria
"rivoluzione manageriale”,28
l’equivalente per le gang
dell'adozione del modello
giapponese nell’industria. E
neglianninovantaiGangster
Disciples avevano creato la
propria
organizzazione
politica, 21st Century Vote,
per fare opera di lobby e
capitalizzare i propri rapporti
con le comunità dell'inner
city.Le gang seguono perciò
gli
stessi
orientamenti
presenti
nella
società
complessiva: guevariste negli
anni sessanta, reaganiane
negli ottanta, clintoniane nei
novanta.
Anche al suo interno, la
gang fa politica nelle forme
canoniche: le più organizzate
si dotano di un presidente, di
un vicepresidente, di un
ministro della Guerra (un
warlord) e un ministro delle
Finanze (un tesoriere), La
conquista
del
potere
all’interno di una gang
avviene come in un partito o
inunsindacato,conlapratica
del voto di scambio
(appoggio in cambio di
favori).Eilmantenimentodel
potere implica cautela nei
confronti
del
dissenso
interno.29 In quanto soggetto
sia economico sia politico, la
gang si comporta proprio
comelegrandiistituzioni.
È stupefacente come
giovanotti poveri, espulsi
dalla scuola, destinati alla
prigione, siano in grado di
formulare strategie tanto
razionali, o per lo meno così
simili a quelle perseguite dai
politiciedaigrandiborghesi,
come se la logica che
soggiace alla formazione
degli
aggregati
sociali
scorresse sotterranea più
forte, più cogente di
qualunque emarginazione, di
ogni ignoranza. (È qui che si
rivelano insufficienti sia lo
sguardo miserabilista, che
leggelasocietàdelloslumin
termini di pura fame, sia
quello populista che la
interpreta in chiave di
creatività
indomita
e
primigenia.)
Il
conformismo
si
manifestaneiminimidettagli.
Imembrichiamanolapropria
gang il club, un club in cui
t'invitano, o da cui sei
escluso, un club in cui ci si
chiama fratelli, un club che
imita, parente povero e
illegale,
fraternities
e
sororities, i club che nelle
università americane fondano
il nucleo di futura solidarietà
su cui si definiranno le
successive traiettorie sociali.
Fraternitiesesororitiesdicui
inEuropaèdifficilemisurare
l’influenza.
Inuncertosenso,legang
sono davvero dei club, delle
élite. Per quanto la stampa
spari cifre a vanvera, i
membri delle gang sarebbero
37.000 a Chicago e, a
seconda del timore che si
vuole ispirare, oscillerebbero
dai 10.000 ai 100.000 a Los
Angeles.30 Comunque poche
decine di migliaia in
megalopoli di milioni di
abitantieconuno-duemilioni
almeno che vivono negli
slum: una piccola minoranza
perciò,
per
quanto
organizzataearmata.Daqui,
soprattutto nelle gang più
grandi e famose, deriva la
fierezzadiappartenervi,come
di rientrare in un’élite.
Ottenere il rispetto altrui è
uno dei moventi più forti
nell’aderire a una gang.
Proprio nelle aree più
disprezzate della città, il
rispetto diventa la merce più
importante: acquista un
valore tale da poter spesso
essere scambiato con la vita.
Non dimentichiamo che in
questi quartieri, la vita è
"povera, lurida, brutale e
corta”elamorteèsemprein
agguato. Appartenere a una
gangsignificaalloraaccedere
aunasortadiimmortalità.Un
succedaneo, o una forma di
gloria. “Credono nella loro
immortalità, un’idea [...] che
è nutrita da tutti i membri
delle gang che parlano
costantemente
dei
loro
onorevoli predecessori caduti
in nome della gang. Nessuno
dimentica chi è caduto e per
qualescopo.”31
Finisce così che questi
ragazzi in scarpe da tennis,
berretto da baseball e blue
jeans, onorino i commilitoni
morticonglistessiesattigesti
con cui i guerrieri omerici
sacrificavanoailoroeroi,seè
vero quel che racconta
Lincoln Keiser a proposito
dei Vice Lords di Chicago
che,primachechiunquebeva
alla bottiglia, versano un po’
di liquore per terra in
memoria dei compagni
uccisi.32
1 “Time”, 19 maggio
1997, p. 42; "Newsweek”, 1
novembre1999,p.46.
2 “The Chicago
Tribune”,20dicembre1992.
3 “The Chicago
Tribune”, 10 gennaio 2000;
"The St. Louis PostDuspatch”, 19 settembre
1997.
4 Martin Sänchez
Jankowski, Islands in the
Street. Gangs and American
Urban Society, California
University Press, Berkeley
1991,pp.180-181.
5 "The Wall Street
Journal”,29aprile1993.
6 "The Chicago
Tribune", 30 aprile e 2
maggio 1993; "The New
YorkTimes”,2maggio1993.
7 “Time”, 19 maggio
1997,p.42.
8 M. Davis, City of
Quartz,cit.,p,315.
9LJ.D.Wacquant,The
Zone,inP.Bourdieuetai,La
misere du monde, cit., (pp.
181-195),p.188.
10 Citato in R.E.L.
Faris,ChicagoSociology,cit.,
p.74.
11
Thomas Hobbes,
Leviatano(1651),partei,cap.
13, trad. it. Laterza, Bari
1974,vol.X,pp.109-110.
12M.SânchezJankowski,
op.cit.,pp,85-86.
13 L.J.D. Wacquant, op.
cit.,p.185.
14M.SânchezJankowski,
op.cit.,p.139.
15T.Hobbes,op.cit.,p.
108.
16 In “New York
Review of Books”, 20
novembre1987,p.35.
17M.Davis,op.cit.,p.
314.
18 Philippe Bourgois,
Une nuit dans une “shooting
gallery". Enquête sur le
commerce de la drogue à
EastHarlem,in “Actes de la
recherche
en
sciences
sociales”, n. 94, settembre
1992(pp.59-78),pp.78-79.
19M,Davis,op.cit.,p.
310.
20
Michel Foucault,
Surveilleretpunir.Naissance
delaprison,Gallimard,Paris
1975,trad.it.Einaudi,Torino
1976,p.275.
21 Statistiche elaborate
dal Research Development
& Statistics Department
dell’Home Office (ministero
degli Interni) inglese, e
accessibili
al
sito
www.homeoffice.gov.uk.
22DatielaboratidaU.S.
Bureau of the Census,
Historical Statistics of the
UnitedStates.ColonialTimes
to1970,GovernmentPrinting
Office, Washington D.C.
1975, tav. H 1135-1143,
p.420edaU.S.Departmentof
Justice, Bureau of Justice
Statistics Bulletin, Prisoners
in 2002, Washington D.C.
luglio2003,p.1.
23LoïcJ.D.Wacquant,Le
gang comme prédateur
collectif, in “Actes de la
recherche
en
sciences
sociales", n. 101/102, marzo
1994(pp.88-100),p.97n.
24M.SânchezJankowski,
op.cit.,pp.183-184e190.
25Ivi,p.239.
26Ivi,p.257.
27Ivi,p.274enota23a
p.355.
28 M. Davis, op. cit., pp.
299-300,
29
M. Sânchez
Jankowski, op. cit., pp. 24 e
92-94.
30 "The Chicago
Tribune”,5maggio1993;M.
Davis,op.cit.,p.270.
31 M. Sânchez
Jankowski,op.cit.,p.140.
32 Lincoln R. Keiser,
The Vice Lords: Warriors of
the Streets, Holt, Rinehart
& Winston, New York 1979,
p. 54, citato da M. Sânchez
Jankowski,op.cit.,p.342,n.
6.
6.Negliingranaggi
dellaMacchina
Eleggi il consiglio delle
acque, lo sceriffo di contea e
il segretario comunale.
Indichi sulla scheda il
consiglieredicircoscrizionee
gli
amministratori
universitari.Tirechialleurne
per i procuratori e i giudici.
Scegli a suffragio il
governatore dello stato, il
vicegovernatore,iltesoriere,i
deputati statali e i giudici
della Corte suprema statale.
Si vota a tutti i livelli,
federale, di stato, distretto,
provincia (county), città,
quartiere (ward). Vi sono
persino Distretti di bonifica
delle zanzare, che hanno
rappresentantieletti.
Selademocraziaconsiste
nel votare, e se misura della
democrazia è il numero di
pubblici uffici designati
elettivamente, allora non c'è
dubbio;gliStatiUnitisonoil
più democratico paese della
terra e della storia. Come in
medicina c'è un accanimento
terapeutico,cosìnellapolitica
statunitense
c’è
un
accanimento
elettorale:
addirittura,conleprimarie,si
vota per scegliere chi votare.
Nell’osservare
l’ossessiva
celebrazione dello scrutinio,
ritrovi la fede totale nella
bontà del proprio sistema di
vita, t'imbatti di nuovo
nell'estremismo che tanto
spesso abbiamo incontrato,
quil’estremismodell'urna.
Nel1906WernerSombart
aveva calcolato quante volte
dovesse votare un cittadino
americano,peresempionello
statodell'Ohio.Glieravenuto
il risultato di 22 scrutini
l'anno. Non che una persona
dovesse recarsi al seggio 22
volte, poiché molte elezioni
erano raggruppate.1 Ma
doveva ogni anno nominare
con il voto 22 cariche
ufficiali. A rifare nel 2000 lo
stessocalcolo,uncittadinodi
Chicagovotapiùdi100volte
in quattro anni,2 comprese le
primarie ma esclusi i
referendum. A paragone, un
italiano vota sette volte ogni
cinque anni: anche tenendo
conto
delle
elezioni
anticipate, neanche due volte
l’anno,neancheundecimodi
unamericano.
Quest’indigestione
elettorale
ha
enormi
conseguenze. Molto più che
inEuropa,lavitadimilionidi
persone dipende dal voto
popolare: molte cariche
pubbliche, che nel Vecchio
continente
sono
amministrative (basate su
esamieconcorsi),nelNuovo
sonoinveceelettive.Controil
pregiudizio
comune,
l’influenzadellapoliticasulla
vitaquotidianaèpiùprofonda
negli Stati Uniti che in
Europa. Dipendono dal
suffragio
approvvigionamento idrico,
nomina e salario dei
professori (decisi da un
consiglio
eletto),
tutte
decisioni che sono in Europa
burocratiche e qui politiche.
Non solo. È la conquista del
consenso a determinare
prestigio,redditoecarrieradi
milionidiamericani.
La notte delle elezioni
presidenziali del 2000, a
Chicago la festa dei
democratici
si
teneva
all’Hilton. Nei vari piani
c’erano varie feste. In un
salone si palpitava per la
presidenza della repubblica,
inun’altrasalaperunseggio
senatoriale, altrove per una
carica provinciale. Ancora
più istruttiva otto anni prima
erastatalanottedelvotodel
1992, che trascorsi in un
HolidayInnnellaperiferiadi
St.Louis,Missouri,aseguire
i risultati con una folla di
militanti
democratici
e
sindacalisti, quella che una
volta si chiamava “la
Macchina” (politica). Tra
lattine di Bud e hot dog, si
susseguivano
applausi,
ovazioni, presentazioni di
vincitori a braccio alzato
come in un incontro di boxe.
Sui tabelloni alle pareti, il
flusso dei risultati sulle
cariche di Attorney, di
Sceriffo,diClerk,diquestoe
diquello,relegavainsecondo
piano i risultati presidenziali.
Gli astanti palpitavano per
queste cariche minori, che
esercitavano un impatto
immediatosullalorovita.
Il suffragio pervade
l'esistenza:moltoprestosiva
a scuola di elezioni. Nelle
high school gli adolescenti
imparano a candidarsi, a fare
campagna. Nei college, i
foglietti appesi alle bacheche
diffondono
un'ininterrotta
tribuna elettorale: studenti
organizzano raduni e parate
con tanto di majorette per
candidate
e
candidati,
vendono
magliette
per
finanziarne la campagna,
distribuiscono volantini e
stampiglianospilledaportare
all’occhiello.
Ma questa fede assoluta
nella bontà del metodo
politico per designare i
dirigenti coesiste con un
totale disprezzo per la
politica. Si venerano le
elezioni, si disprezzano gli
eletti. Per un politico
americano la prima regola è
presentarsicomenonpolitico,
anzi come vessillifero della
crociata contro gli sporchi
politici. E in nessuna città
degli Stati Uniti la politica è
considerata così sporca come
a Chicago. Se vuoi dire che
qualcuno è marcio, basta che
loparagoniaunpoliticodella
CookCounty.
Dagli anni settanta ai
novanta, più di venti dei
cinquanta
consiglieri
(aldermen ) di Chicago sono
stati
condannati
per
corruzione. Gli aldermen
sono chiamati Grey Wolves,
“lupi grigi” per la loro
leggendaria voracità. Uno di
loro dichiarava nel 2000 di
essere stato alderman per
ventitré anni, "abbastanza a
lungo da aver visto due
dozzine di colleghi finire in
prigione”.3 Chissà cosa
direbbe Nikolaj Vasil’evic
Gogol': nella primavera del
1993,WalterKozubowski(di
originepolacca)fucostrettoa
dimettersi da segretario
comunale di Chicago (carica
elettiva)perchéserainventato
impiegaticomunalifantasma,
tipo anime morte, di cui
intascava gli stipendi. E
poiché negli Stati Uniti sono
elettive, cioè politiche,
cariche (per esempio di
giustizia, o di polizia) in
Europaottenuteperconcorso,
cioè
per
selezione
amministrativa,
nella
corruzione politica rientra
quel che da noi è
malversazione burocratica.
Nel 1983 quindici giudici
furono
incriminati
per
corruzione. Nel 1993, un
giudice di contea fu
dichiarato colpevole di aver
vendutoprocessiperomicidio
e aver intascato soldi per
assolvere gangster assassini
digangster.
Nulla di nuovo rispetto
agli anni trenta, quando il
presidente
del
Partito
democratico era Pat Nash
(orgine irlandese) e il partito
chiese a suo cugino, Tom
Nash,avvocatodiAlCapone
(origineitaliana),didiventare
tesoriere della Cook County.
Nulla di nuovo, appunto: ma
qui sta il problema. Agli
scandali della polizia di
Chicago è stato dedicato un
libro dal titolo To Serve and
Collect (“Per servire e
intascare”) che parafrasa il
motto dipinto sulle auto, To
Serve and Protect. La
corruzione della polizia di
Chicago è cronica, fin da
quando furono radiati per
corruzione
gli
ufficiali
protagonisti della sparatoria
di Haymarket (1886). Non
passa anno senza che scoppi
un caso. Una volta ( 1996)
sette agenti sono condannati
per estorsione; un’altra
(1997)siscoprechegliagenti
infiltrati nelle gang sono
diventati membri delle gang
infiltratinellapolizia;un’altra
(1999) che un veterano
pluridecorato proteggeva un
canale di droga MiamiChicago; che uno dei più
leggendaridetectiveerainun
giro di gioielli rubati (2000);
di nuovo quattro agenti
accusatidiestorsioneaidanni
di
immigrati
polacchi
(2000).4 Si capisce perché
sulla polizia di Chicago
circola la battuta: "Basta una
melasanaperrovinaretuttoil
paniere”.
***
La corruzione è segno di
sottosviluppo politico, di
modernità imperfetta. Come
pratica di governo, come
strumento di consenso, è
attribuita
alle
tirannie
sudamericane, ai despoti
africani, o la si confina a
sistemiancorafeudalisottola
patina capitalista, come il
Giappone
o
l’Italia
meridionale. Eccoci invece a
Chicago, nella città più
industria-lizzatadellapotenza
più sviluppata della terra,
nella metropoli che (appena
centosettant’anni fa) è sorta
dal niente e si è sviluppata
ubbidendo interamente alla
logica e alle esigenze del
capitale. Qui, nel Nuovo
mondo, nella "terra promessa
del
capitale”,
secondo
l’espressione di Sombart,
troviamo una corruzione
strutturale.
Il
dilagare
della
corruzione negli Stati Uniti
rappresenta un mistero,
proprio come la povertà: gli
americani capivano che la
miseriadilagasseinEuropa,a
causa del retaggio feudale,
dell’angustia, delle scarse
risorse. Ma come poteva
esistere qui, in un continente
inesauribile, in un sistema
politicoliberoedemocratico?
Così per la corruzione essa
può imperversare altrove, nei
vecchi mondi, nei vecchi
regimi, ma non negli Stati
Uniti. “L’idea, inculcata dai
manuali patriottici, è che
nell’anno 1789 un gruppo di
saggi fondò un nuovo
governoinunnuovomondo,”
chelacorruzioneèunmorbo
e-scrivevaWalterLippmann
- “noi sentiamo che non
dovrebbeesserciquieche,se
solo avessimo un po’ più di
coraggio o di giudizio o di
qualcosa, noi potremmo
amputare il tessuto malato e
persemprepoiviverefelici”.5
Quilacancrena,lacorruzione
dei corpi è metafora al
quadrato della metaforica
corruzione
politica.
Quest’immagine
diffusa
presuppone una certa idea di
"corpo sano della politica”,
una condizione in cui la
società si organizzerebbe in
perfettatrasparenza: "Spesso
pensiamo alla corruzione
come a un morbo che si
diffonde implacabilmente in
uncorpopolitico,minandone
la forza e l’integrità e
rapinandoicittadiniinquesto
processo”.6
Larealtàèmenoingenua.
Stiamo
parlando,
non
dimentichiamo,diunasocietà
che non si chiede come hai
fattoisoldi,maselihaifatti
e quanti ne hai fatti. “In un
sistema politico in cui il
criterio base è che ‘denaro
parla’, non è facile stabilire
dove i parlatori - e le loro
parole -hanno oltrepassato la
lineadellacorruzione.”7Nési
possono ignorare le angustie
della vita: un buon poliziotto
che si comporta da buon
cittadino non potrà mai
guadagnare
(onestamente)
abbastanzasoldipermandare
i propri figli in un buon
college.
Ma la contraddizione
giace ancora più in
profondità. George Cass,
presidente della Northern
Pacific Railway, diceva nel
1873 che “nel Congresso
persino un saggio onesto si
corromperebbe”8:
come
poteva uno dei robber
barons, proverbiali per la
spietata venalità, dar lezione
di moralità ai politici? A
pretendere dalla politica
disinteresse e dedizione
all’interesse generale è
un'opinionepubblicaprontaa
giurare sul vangelo di Adam
Smith che la società si regge
sull’impresa privata, che la
prosperità
generale,
la
ricchezza delle nazioni è
fondata sulla statistica degli
egoismi individuali: "Non è
certo dalla benevolenza del
macellaio, del birraio o del
fornaio che ci aspettiamo il
nostro pranzo, ma dal fatto
che essi hanno cura del
proprio interesse. Noi non ci
rivolgiamo mai alla loro
umanità,maalloroegoismo,
e con loro non parliamo mai
dellenostrenecessità,madei
lorovantaggi”.9
Ma se il mercato è il
meccanismo
“naturale”
secondo cui è organizzata la
società,anchelapoliticadeve
organizzarsi
come
un
mercato. Anche nel mercato
politico
devono
agire
domanda e offerta, profitto e
perdita. La lotta politica
assume allora la forma della
concorrenza.Loscontrodelle
idee da propaganda diventa
pubblicità. E la concorrenza
indossa le vesti della
competizioneelettorale.Ivoti
sono insieme merci da
comprare e risorse da
vendere. In questo mercato
l’imprenditoreèilpartito.Eil
partito
agisce
da
imprenditore.Lasuafunzione
non sta nel “concorrere con
metodo
democratico
a
determinare
la
politica
nazionale”,10manelgarantire
l’elezione
del
maggior
numeropossibiledicandidati
al maggior numero possibile
dicariche.
Nel mercato politico,
esitodellacompetizioneèun
oligopolio
che
sbarra
l’ingresso a nuovi, minori
competitori.
Come
è
impossibile a una piccola
impresa inserirsi nel mercato
dei detersivi e rompere il
duopolio
costituito
da
Unilever e Procter&Gamble,
così,nelmercatopoliticoUsa
il duopolio di repubblicani e
democratici ha sbarrato
l’ingressoaogniterzopartito.
Giànel1906sicomparavano
“i vecchi, grossi partiti
americani con i trust
giganteschi, che dispongono
di così grandi capitali, che
dominano
così
esclusivamente tutte le fonti
dimaterieprimeedimercati
di vendita, da escludere ogni
concorrenza che si manifesta
ai loro fianchi da parte di
ogni ‘terzo’ partito. Se si
affaccia un concorrente,
alloraivecchipartitifannodi
tutto per farlo scomparire
dalla scena. In caso di
necessità si alleano” .11 La
storia politica americana è
costellatadifugacimeteoredi
terzipartitisortietramontati,
dall’Anti Masonic Party del
1830, ai Know Nothing del
1850 fino alla candidatura di
Ross Perot alle presidenziali
del 1992 e - all’altro capo
dello spettro politico - quella
diRalphNadernelleelezioni
del2000.
Se la politica è un
mercato, e se i partiti sono
imprenditori, “dal punto di
vista degli imprenditori di
partito,ivotisonorisorseper
ottenereilcontrollodicariche
governative”.12 La forma
classica assunta da questo
imprenditore politico è
chiamata negli Stati Uniti la
"Macchina politica". "La
macchina politica e il boss
politico devono la loro
esistenza all’interesse della
politica di partito. I partiti
erano organizzati per vincere
elezioni.Lamacchinapolitica
èsoloundispositivo[device]
tecnico
inventato
per
perseguire questo scopo. Il
boss è l’esperto che guida la
macchina. È altrettanto
necessario per vincere le
elezioni quanto un allenatore
professionista è necessario al
successo nel football'’13: già
nel1920RobertParkusavala
metafora calcistica per la
politica.
Con la sua definizione,
Park andava controcorrente.
Sulla Macchina si riversa
infattiildistillatopiùpurodel
disprezzo antipolitico: la
Macchina è vista “come
piovra che protende un
tentacolo in ogni tasca in un
infinito
processo
di
corruzione [graft], estorsione
e furto sfacciato. Questa
macchina-mostro
governa
conilterroreeconsideracon
disprezzoilegittimibisognie
desideri dei residenti”.14 Il
disprezzo per la Macchina si
riflette nella definizione dei
suoi di-rigenti. Quando un
politico è rispettato, è un
leader, quando è attaccato
diventa un boss, il capo di
una gang: come da “insigne
statista"a"loscopoliticante”.
Parlando del sindaco di
Chicago,
Mike
Royko
scriveva: "Gli editorialisti
deciserochedopotuttoDaley
non era un leader politico
progressista, di una nuova
specie. Cambiarono nastro e
lo iscrissero di nuovo nel
ruolodi‘boss',unostrumento
dellaMacchina”.15
Come altre macchine,
quella
politica
è
un'invenzione dell’Ottocento,
che si è sviluppata a New
York dove, verso il 1830, la
Tammany Society prese il
poterenell’organizzazionedel
Partitodemocratico:daallora,
Tammany Hall , (sede della
società) è diventata sinonimo
di
Macchina
politica.
Macchine sorsero ovunque
con i loro boss: George Cox
(repubblicano) a Cincinnati,
Abe Ruef (repubblicano) a
San Francisco, Thomas J.
Pendergast (democratico) a
Kansas City, James Michael
Curley (democratico) a
Boston, Edward Hull Crump
(democratico) a Memphis.
Ma sono le Macchine di
Chicago le più longeve e le
più potenti, dalla Macchina
repubblicanadiWilliamHale
Thompson
a
quella
democratica
di
Anton
Cermak, che dal 1930
governa la città con Kelly,
Nash,conDaley(dal1955al
1976). Non è un caso se agli
inizi del terzo millennio un
altro Richard Daley governa
la Windy City: il figlio del
“boss”. Certo in mezzo
secolo, dagli anni cinquanta,
di acqua sotto i ponti del
fiume Chicago ne è passata
tanta:èpassatoilreaganismo,
l’ondatadelleprivatizzazioni,
la deindustrializzazione e la
perditadipiùdi400.000posti
di lavoro industriali,16 circa
due terzi del totale. La
Macchina non poteva restare
quella di una volta. Ma il
giovane Daley sembra aver
seguito nel 2000 il precetto
che formulava nel xix secolo
il principe siciliano Fabrizio
di Salina, protagonista del
romanzo (e film) Il
Gattopardo:
"Bisogna
cambiare tutto perché nulla
cambi”:
"Gli
attuali
arrangiamenti del governo di
Chicago sono non tanto un
ritorno al vecchio regime,
quanto
un
tentativo
parzialmente riuscito di
ricostruire il vecchio regime
nelle nuove condizioni
politicheedeconomiche”.17È
così che si manifesta quella
che Joel Rast chiama la
straordinaria “capacità di
recupero della Macchina di
Chicago”,18 una forma di
organizzazione
ormai
secolare, nata nella città dei
tram a cavallo e ancora al
poterenellacittàdegliaereie
dell'informatica.
LaMacchinaèsortasutre
pilastri. Il primo è il
clientelismo. A torto lo si
considera un residuo del
patriziato, dall’origine latina
del nome. Come osservano
Fox Piven e Cloward, nella
lotta politica "l’introduzione
delclientelismosegnalachei
clienti detengono risorse
politiche che i dominanti
hanno bisogno di sopprimere
ocircuire”.Nonc’ènecessità
di clientelismo senza una
democrazia in cui i clienti
dispongono di leve di
pressione. Il clientelismo
“puòalloraessereconsiderato
come una concessione alla
classe lavoratrice estorta alle
classi superiori e medie, e la
Macchina può essere vista
comelamaterializzazionedel
compromesso di classe”.
Infine il clientelismo non è
praticabile se non ci sono
beni da distribuire, esso
dipende cioè dallo sviluppo
economico che “provvede
nuove risorse per costituire
una base clientelare che
assimili nuovi gruppi nel
sistemapolitico”.19
Se la Macchina è un
imprenditore politico, se i
voti sono i denari con cui si
compranogliufficipubblici,i
voti vanno comprati: "A uno
viene prestato un dollaro;
all’altro si procura gratis un
bigliettoferroviario;quinelle
giornatefreddesidistribuisce
carbonegratis;làsiregalaun
polloperNatale;sicomprano
medicineaimalati,siprocura
una bara a metà prezzo se è
morto qualcuno. E accanto a
tutta questa assistenza c’è un
generoso trattamento nei
saloon dove viene svolta la
parte forse più essenziale del
lavoro elettorale [...] uno
otterràlalicenzadivenditore
ambulanteoperlagestionedi
saloon, l’altro ha violato il
regolamento edilizio o ha
sulla coscienza un'infrazione
[...] tutto viene sistemato
dalla
Macchina”.20
La
Macchina americana agiva
nell’Ottocento come la
DemocraziacristianainItalia
dopo il 1947 quando agli
elettori regalava pacchi di
pasta o, meglio, la scarpa
destra prima del voto e la
sinistra dopo. Ma è
nell’agostodell’anno2000-e
non del 1890 - che ho visto
bancarelle organizzate dal
Partito repubblicano in
occasione
della
sua
convention, distribuire pane
gratis ai cittadini di
Filadelfia, con i più indigenti
che riempivano sporte e
bisacce:dopoduemillenni,di
nuovo panem (et magari
circenses). Però, come nella
Dc, nelle Macchine politiche
Usa la vera moneta per
comprare consenso è stata
l’elargizione dei pubblici
impieghi.
Un pregiudizio tenace
propala l’idea che negli Usa
l’amministrazione statale sia
snella,eidipendentipubblici
siano
pochi
rispetto
all’Europa. Idea che, come
tuttiiluoghicomuni,sirivela
falsa. In proporzione al
numero di abitanti, oggi gli
Stati Uniti hanno altrettanti
dipendenti pubblici della
burocratica Italia. Nel 2000,
su 281 milioni di abitanti
cerano 26,1 milioni di
dipendenti pubblici a tempo
pieno (di cui 21,1 impiegati
daglientilocaliedaglistati,e
5 dal governo federale,
compresi i 2,1 milioni di
militari),21
contro
per
esempio i 4,2 milioni di
dipendenti pubblici su 57
milioni di italiani. Ovvero, 9
dipendenti pubblici su 100
abitanti. Si scopre qui che il
reaganismo, lungi dal ridurre
i pubblici dipendenti, negli
anni ottanta li aveva
accresciuti: da 18,1 milioni
nel 1980 a 20,4 milioni nel
1990. Il suo vero effetto è
stato
di
ribaltare
le
proporzioni tra dipendenti
federali e impiegati locali.
Mentre nel 1950 più della
metà (il 57%) dei dipendenti
pubblici era federale, oggi i
federali sono meno di un
quinto del totale (il 19%,
compresi i militari). La
rivoluzione reaganiana si
rivela una vittoria non tanto
privatistica,
quanto
localistica: sottrae uomini e
risorse al governo centrale
per affidarli a quello locale.
Così il reaganismo - tipico
movimento anti-Macchina ha ridato vigore alle
Macchine locali che erano
rimasteacortodirisorse.
Solo a fine Ottocento gli
Stati Uniti hanno introdotto
concorsi per le assunzioni
pubbliche (Civil Service
Commission nel 1883, Civil
Service Rules nel 1903). E
questaregolanonsièdiffusa
davvero fino al New Deal di
Roosevelt(convarieleggitra
il 1936 e il 1940). Si può
immaginarechearmapotente
fosse in mano ai partiti il
clientelismostatale.
Altra greppia a cui
pascere le clientele erano le
pensioni
di
guerra.
Nell’Ottocento la Macchina
repubblicana
costruiva
consensonelleareeruralidel
Nordgraziealladistribuzione
a pioggia di vitalizi ai
veterani.
Nel
1870
(all’indomani della guerra
civile), i reduci che
ricevevano una pensione di
guerra erano 200.000, ma da
allora in poi, benché le forze
armate contassero solo
40.000 militari in servizio, i
pensionati aumentarono: nel
1893lostatoerogava760.000
pensioniaveteranie216.000
avedoveeorfani:lepensioni
d’invalidità militare erano 15
volteilnumerodeimilitariin
servizio!22
Ma la vera riserva
inesauribile di pubbliche
prebende, la Macchina la
trovava nei posti comunali,
negli impieghi locali, dai
poliziotti ai pompieri, agli
spazzini, agli uscieri. Nella
nuovaversioneinvece,seuna
volta lo strumento di
pressione politica della
Macchina era “l’esercito
clientelare dei dipendenti
comunali” adesso è il
subappalto ai privati dei
servizi
pubblici:
“La
privatizzazione dei servizi
pubblici affida la maggior
parte dei contratti a imprese
pienedigratitudinepossedute
da amici di vecchia data su
cui [Richard Daley] può
sempre contare per un
appoggio
politico”.23
Arriviamoalsecondopilastro
della Macchina, la sua base
locale. Si è sempre detto che
l’Americaèungrandepaese.
Ma forse è un paese troppo
grande
per
pensarlo
politicamente.
Per
me
cittadino, c'è un abisso tra i
destini dell'America e le
fogne del mio rione, tra la
politica estera e l'efficienza
dei pompieri, tra gli Stati
Uniti
come
nazione
democraticaelamiamodesta
democrazia personale in cui
ioindividuopossoincideresu
quella limitata porzione di
mondochemicircondaeche
mi attiene. Si è sempre detto
che l’America è decentrata
per il suo sistema politico
federale, ma essa lo è in
primo luogo per l’esperienza
politica personale dei suoi
cittadini.
C'èunoscollamentotrala
decisione di quali strade
asfaltare e le grandi opzioni
politiche tipo destra-controsinistra. Da questo scarto
deriva l’impoliticità delle
organizzazioni politiche, il
loroessereapparati(conquel
tanto di opacità ideologica
che questo termine implica),
cioè Macchine. Questo per
quanto riguarda il lato della
domanda politica. Ma il
localismo è terreno fertile
per la Macchina anche dal
lato dell’offerta politica: “La
forzadelleMacchineeraresa
possibile dall’alto grado di
decentramento del sistema
federale”.24 Stati, contee e
comunieanchequartierisono
dotati di tali poteri e risorse
da rendere quasi inevitabile
chelalottapoliticatrapartiti
si concentri sui temi locali,
persino di vicinato, e trascuri
igrandispartiacquenazionali.
Ma la radice locale della
Macchina affonda ancora di
più nella struttura della
società in gruppi primari, in
communities,inquelchePark
chiamava un gruppo "noi”
(che ci identifica rispetto a
"voi”). Tra le organizzazioni
“nate con il proposito di
controllare il voto popolare,
la macchina politica è basata
su relazioni personali, locali,
cioè primarie [...]. La
macchina politica è in realtà
un tentativo di mantenere,
dentro
l'organizzazione
amministrativa formale della
città,ilcontrollodiungruppo
primario. Le organizzazioni
così costituite, di cui
Tammany Hall è la classica
illustrazione,
appaiono
assolutamentefeudalinelloro
carattere. Le relazioni tra il
boss e il suo coordinatore di
zona [ward capta in]
sembrano
precisamente
quelle
implicate
dalla
relazione feudale: di lealtà
personale da un lato e di
protezione
personale
dall’altro.Ledoticheunatale
organizzazione esalta sono le
vecchie virtù tribali di
fedeltà, lealtà e devozione
agli interessi del capo e del
clan.
La
gente
nell'organizzazione, i loro
amici
e
simpatizzanti,
costituisconoungruppo‘noi’,
mentre il resto della città è
solo mondo esterno, non
proprio vivo, non davvero
umano nel senso in cui lo
sono i membri del gruppo
‘noi’".25
L'abbiamo trovato infine
il termine feudale. Non è il
solo Park a paragonare la
macchina a un feudo. Già
LordBrycescriveva:
Come nei giorni del
feudalesimo
un
contadino doveva al suo
padrone
occasionali
versamenti in denaro
oltre al servizio militare
cheglirendeva,cosìora
il vassallo americano
deve dare, oltre a
contributi in denaro,
anche
servizio
cavalleresco
nelle
primarie,
nelle
campagne,
nelle
elezioni. Ma i suoi
impegni
sono
più
gravosi di quelli del
vassallo feudale perché
quest’ultimo
poteva
liberarsi dal suo obbligo
sul campo con una
somma in denaro,
mentre
sotto
la
Macchina un pagamento
indenaronondispenserà
mai dall’obbligo di
servire nell’esercito dei
workers.26
Ma come può la
Macchina
essere
un
“dispositivo
tecnico”
inventato per rispondere a
una situazione del tutto
moderna,quellademocraticaelettorale e, insieme, un
residuofeudale?Comepuòla
Macchina essere un trust
capitalistico (Sombart) e una
strutturafamiliare?Daunlato
“la Macchina ideale è
un’organizzazione efficiente.
È
un’organizzazione
aziendale
[business
organìzation],condottaperil
profitto dei suoi membri, che
devevincereelezioniditanto
in tanto, In cambio di
incentivi materiali spartibili,
dàabbastanzavotidaottenere
il controllo della pubblica
autorità. In compenso, l'uso
astuto della pubblica autorità
fornisce più incentivi per
rafforzarelaMacchina”.27
Dall'altro
lato,
“la
Macchinasaldaisuoilegami
con gli uomini e le donne
ordinarie attraverso elaborate
reti di relazioni personali. La
politica è trasformata in
legami
personali.
Il
commissariodiquartieresarà
sempre un amico in caso di
bisogno. Nella nostra società
sempre più impersonale, la
macchina, attraverso i suoi
agenti
locali,
adempie
l’importante funzione di
umanizzare e personalizzare
l’assistenza a chi ha
bisogno”.28
Ecco che ci viene
proposto un ossimoro: come
può
un
dispositivo
dell’anonima democrazia di
massa essere una famiglia
personalizzata?Lasoluzione
checivieneadditataèquella
diunapersistenzadell’antico.
Il passato coesisterebbe nel
presente.
Così
un
'innovazione, uno strumento
inventato dal moderno, la
Macchina, è presentata come
unresiduofeudale. Il quadro
che ci viene delineato
presuppone che vi sia una
contraddizione tra sangue e
modernità, tra logica del
denaro e logica della stirpe,
tra rapporti di clientela
personale (relazioni primarie,
premoderne) e relazioni di
pubblicità
(secondarie,
impersonali,moderne).Come
se il Giappone, portato a
modello di ipermodernità
tecnologica
e
potenza
capitalistica, non funzionasse
grazie a un sistema
clientelare,aunaMacchina,a
un’ideologia zen. Come se,
agli inizi del terzo millennio,
l’ultracapitalismo
dei
Chicago Boys non si
miscelasse perfettamente con
l'ossessivo richiamo ai valori
familiari per preparare il
cocktailreaganiano.Comese
il denaro non si trasmettesse
per via di sangue (per
eredità).
Èquestounpuntonodale,
una
decisiva
questione
prospettica. La modernità
crea un sistema elettorale; il
sistema elettorale esige una
macchina
politica;
la
Macchina, per assolvere il
suo compito, deve plasmarsi
come una grande famiglia,
come un clan, come un
gruppo “noi”. Però tutto
questo procedimento viene
vistononcomeprodottodella
modernità,
ma
come
ripescaggio del premoderno,
un
riaffiorare
del
feudalesimo. Qui non è
questione di verità o falsità,
se la Macchina ha o non ha
caratterifeudali,masequesti
caratteri feudali sono visti
come residuo del passato
oppure come caratteristiche
funzionali del moderno. È
una differenza dirimente. Per
capirci: la sociologia tedesca
del
primo
Novecento
sottolineò come le grandi
corporations fossero sotto
moltissimi aspetti identiche
agli
ordini
religiosi:
d’altronde, nella desolazione
di Detroit, il profilo dei
quartieri
generali
della
General Motors richiama
irresistibilmente le abbazie
medievali. Eppure a nessuno
verrebbeinmentedidireche
unacorporationè un residuo
del passato, è un’eredità del
feudalesimo. Siamo qui
nell'imprescìndibile,
preliminare scontro di ogni
lottapolitica:edèlalottaper
le definizioni della politica.
Costituisce
un’arma
assegnare al passato questa
invece di quella caratteristica
del presente. Quando nel
Settecento un Voltaire riesce
a definire l'avversario come
residuo dei secoli bui
("oscurantista”) e se stesso
come fautore della luce
(“illuminista"), e questa
definizioneèaccettata,hagià
vintolapartita.
***
Dire che la Macchina ha
componenti feudali significa
affermareche-propriocome
la corruzione - la Macchina
rispecchia una modernità
incompiuta, è un grumo
opaco di struttura “tribale”,
retaggio precapitalistico e
preurbano. Ciò implica a sua
volta che, per battersi contro
la corruzione e contro il
feudalesimo della Macchina,
bisogna
portare
a
compimento la trasparenza
del mercato. Quest’uso
politicodelrinvioalpassatoè
evidentissimo nel terzo
pilastro su cui si fonda la
forza della Macchina, la sua
baseetnica.Ancoraunavolta
sono loro i protagonisti della
storiaamericana,queimilioni
dì derelitti, sporchi, affamati
che, bianchi, sbarcavano
dall’Europa
o,
neri,
migravanodalSuddelpaese.
A queste orde di cafoni non
solo trusts e corporations
devono la propria incredibile
potenza finanziaria, ma i
grandipartiti,gliimprenditori
elettorali devono il loro
strapotere politico. Questi
milioni di poveri e di
analfabeti non erano solo
nuovebraccia,nuovicrumiri,
nuovaforzalavoromarginale,
ma erano anche nuovi
elettori: “Per gli imprenditori
politici erano una miniera
d’oro, erano un esercito di
potenziali votanti in una
dimensione
mai
vista
prima”.29 La Macchina li
accoglieva, li proteggeva, li
minacciava, li guidava per
manoneiseggi.
Usati come mandrie
elettorali, questi "barbari
immigrati” erano accusati
dell’"imbarbarimento” della
politica. Il disprezzo per eli
immigrati
stingeva
nel
discredito per la Macchina
definitadaBaileyAldrich"un
dispotismo dello straniero
[alien], da parte dello
straniero, per lo straniero,
temperato da occasionali
insurrezioni della gente
perbene”.30I
movimenti
contro la corruzione della
Macchina
erano
così
movimenti anti-immigrati.
Vediamo delinearsi quel
pasticcio
politico
così
caratteristico del mondo
moderno, di movimenti che
propugnano
insieme
sciovinismo, chiusura delle
frontiere e moralizzazione.
Eccocheilcerchiosichiude:
nella metafora medica, la
Macchina è un residuo
feudale perché è contaminata
dalleordetribalidiimmigrati
cheportanonegliUsailvirus
del
loro
passato
precapitalista. È una tesi
circolare,
quindi
infalsificabile
(e
indimostrabile):lacorruzione
è caratteristica dei regimi
feudali, la Macchina è
corrotta perché caratterizzata
dagli immigrati europei che
vengonodasocietàfeudali.A
maggior ragione, questo
ragionamento fu esteso ai
politici neri visto che i neri
venivano da un regime
schiavistapiùchefeudale.
Maquestaèsololaprima
metàdellastoria.L’altrametà
èche,percarpireilvotoela
fedeltà
elettorale
degli
immigrati,
la
politica
americanasièristrutturatasu
baseetnica(razziale)e-così
facendo-haresopermanente
estabileladivisioneetnica(e
razziale).Nonacasoleprime
Macchine
sembrarono
appannaggio degli irlandesi
che avevano costituito la
prima ondata migratoria,
tanto che un professore di
Harvard scrisse un articolo
intitolato
La
cattività
irlandese
delle
città
americane.3I A Chicago la
poltronadicapodellapolizia
spettò agli irlandesi per un
secolo fino al 1960. Ma
naturalmente, dalla fine
dell’Ottocento, il posto di
vicecapo della polizia fu
appannaggio dei tedeschi.
Ritroviamo qui un metodo
proprio del principio castale:
come in India si ha la
lottizzazione per casta di
alcuni posti governativi, qui
si ha una rigida lottizzazione
etnica. Se il sindaco di
Chicagoèstatoquasisempre
irlandese, da quarant’anni,
fino all’arresto di Walter
Kozubowskierastatopolacco
ilsegretariocomunale.Come
in Italia il manuale Cencelli
distribuiva i portafogli alle
varie correnti democristiane,
così un non scritto manuale
prescriveledosidiognietnia
nei vari governi, dalla
circoscrizione comunale fino
alla Casa Bianca dove è
inammissibile che vi sia
uno staff senza un ispanico,
senza un nero, senza un
italoamericano... Perché nelle
grandi città la Macchina non
puòbasarsisuunasolaetnia,
ma deve reggersi su una
coalizione
etnica.
Il
repubblicano “Big" Bill Hale
Thompsonfueletto(1915)e
rieletto (1919) sindaco di
Chicago grazie a una
coalizione di neri e tedeschi.
A New York Fiorello La
Guardia racchiudeva la
coalizione etnica nella sua
personapersuopadreitaliano
e sua madre ebrea. Nel 1930
il ceco Anton Cermak,
speculatore e palazzinaro,
antiproibizionista,riplasmòla
macchina democratica di
Chicago
aggregando
polacchi, cechi, slovacchi,
tedeschi del Sud e neri per
bilanciaregliirlandesi.Poigli
irlandesi ripresero le redini,
malacoalizionerestò.
Avviene così che agli
inizidelxxisecololapolitica
funzioni in base a criteri
etnici. Nel 1987 al sindaco
nero di Chicago, Harold
Washington,
che
si
presentava per un secondo
mandato,siopposegranparte
della macchina democratica,
costituita dai white ethnies,
guidata
dall’alderman
Edward Vrdoliak. Basta
guardare i nomi degli
aldermencheparteciparonoa
questa rivolta contro il
sindaco nero per misurare le
dosi nella ricetta etnica della
Macchina. Ecco sfilare nomi
slavi come Aloysiouks
Majerczyk, John Madrzyk,
William Rrystyniak, Roman
Puchinsky, vocali italiane
tipo Vito Marzullo, Anthony
Laurino, Michael Nardulli,
Frank Damato, sonorità
irlandesi come Michael
Shenan, Patrick O’Connor,
Gerald McLaughlin, Frank
Brady,reminiscenzetedesche
(Bernard Hansen e Jerome
Orbach).32 Quando pochi
mesi dopo, il 25 novembre
1987, il sindaco Washington
(rieletto) morì, per nominare
il rimpiazzante diventarono
appetiti i quattro aldermen
ispanici Jesus Garcia, Juan
Sóliz,
Luis
Gutiérrez,
Raymond Figueroa, non in
quanto singoli voti, ma in
quanto “blocco ispanico”,33
in quanto corrente. E nel
2000ilfattoreetnicocontinua
a essere determinante nella
politica cittadina, secondo
DavidMoberg.
Ci sembra così arcaica,
così
tribale
questa
composizione!Maèunerrore
prospettico. Stiamo parlando
del più giovane sistema
politico della storia (a parte i
regimicomunisti).Innessuno
dei vecchi sistemi europei si
dà una simile ripartizione. A
Parigi il consiglio comunale
non è composto dal
consigliere alverniate del
primo
arrondissement,
borgognone del ΧIIΙ, pied
noirdel xix. A Roma i posti
in consiglio non sono spartiti
in funzione dell'origine
calabrese, sarda o abruzzese.
Non è possibile: 1) perché
non ci sono quartieri sardi o
quartieri
abruzzesi
(o
borgognoni); 2) perché la
politica non seleziona i
consiglieri secondo questi
criteri.
Ma la ragione 2 rafforza
la ragione 1. È la
lottizzazione
etnica
a
mantenereeanziarafforzare
le identità (e le antipatie)
etniche nei decenni. Ogni
postocomunaleriservatoaun
irlandese sarà tolto a un
polacco, ogni favore a un
italiano sarà a scapito di un
ispanico... La politica non fa
rivivere le vecchie rivalità
etniche, ne crea di nuove:
“Un irlandese che arrivava
quiodiandosologliinglesie
gli irlandesi protestanti ben
presto odiava polacchi,
italianieneri.Unpolaccoche
all’arrivo odiava solo ebrei e
russiimparavasubitoaodiare
gli irlandesi, gli italiani e i
neri”.34
Siamo di fronte a un
nuovo
aspetto
dell’identificazionetraspazio
fisico,spaziosocialeespazio
politico. Qui lo strumento
omogeneizzante è il voto
maggioritario dei consiglieri
(aldermen),circoscrizioneper
circoscrizione. Il criterio
maggioritario è implicito nel
metodo elettorale (il 51%
governa), ma esso diventa
totalitarioquandoilsistemaè
uninominale e l’elezione
serve non solo a determinare
le grandi opzioni politiche,
ma anche a scegliere i
responsabili degli acquedotti.
L’ideaastrattaèchesielegge
un commissario delle fogne
perché sarà un buon
commissario con un buon
programma d’igiene. Il
risultato pratico è che, per
essere eletto, un buon
commissario deve farsi
specchio della maggioranza,
promettere agli elettori quel
che la maggioranza vuol
sentirsidire,peresempioche
- anche se le fogne cadono a
pezzi - non è necessario
ricostruirle e quindi non c’è
bisogno di nuove tasse. Il
criterio diventa: "Io ti dico
quelcheiopensochetupensi
che io debba pensare”.
Tocqueville la chiamava la
tirannia della maggioranza
(che comunque è sempre
meno peggio di una tirannia
dellaminoranza).
Una tenace tradizione di
pensiero,chegiungefinoalla
Trilateral Commission dei
nostrigiorni,considerachela
democrazia è debole e
inefficiente: 2400 anni fa,
secondoTucidide,giàPericle
polemizzava con quest’idea di Sparta efficiente perché
autoritariaediAteneimbelle
perchédemocratica-,quando
diceva che "per noi ateniesi
non sono le discussioni che
danneggiano l’agire”.35 Una
tradizione
falsa,
dice
Tocqueville: “Quel che
rimprovero
al
governo
democratico[...]nonè,come
molti pretendono in Europa,
la sua debolezza, ma al
contrario la sua forza
irresistibile. E quel che mi
ripugnadipiùinAmericanon
è l’estrema libertà che vi
regna, è la mancanza di
garanzia contro la tirannia”.
Questa tirannia è tanto più
dispotica, quanto più vasti
sono i campi che dipendono
dall'elezione:
Quando negli Stati
Uniti un uomo o un
partito
soffrono
un'ingiustizia, a chi
volete che si rivolgano?
all’opinione pubblica?
ma è lei che forma la
maggioranza; al corpo
legislativo?
esso
rappresenta
la
maggioranza
e
le
obbedisceciecamente;al
potere esecutivo? è
nominato
dalla
maggioranza e le serve
da strumento passivo;
alla forza pubblica? la
forza pubblica non è
altrochelamaggioranza
in armi; alla giuria? la
giuria è la maggioranza
rivestita del diritto di
pronunciare sentenze: i
giudici stessi, in certi
stati, sono eletti dalla
maggioranza.Perquanto
iniqua o irragionevole
sia la misura che vi
colpisce,
vi
tocca
dunquesottomettervi.36
La
tirannia
della
maggioranza vige anche in
fabbricadovetipuoiiscrivere
aunsolosindacato;madove
si fa schiacciante è nel caso
della composizione etnica. In
unquartiereal40%polaccoe
al
60%
irlandese,
i
rappresentanti eletti con
l’uninominale
saranno
sempre
irlandesi
e
procureranno posti agli
irlandesi,cosìcheilpoliziotto
di quartiere sarà irlandese...
Ai polacchi conviene dunque
raggrupparsi in un quartiere
in cui saranno maggioritari e
potranno
eleggere
un
aldermanpolaccochefaràgli
interessi
dei
polacchi.
(Naturalmente, quando per
l’arrivodinuovioccupantila
composizione etnica di un
quartierecambia,peruncerto
periodo i vecchi residenti
continuano a detenere il
poterepolitico:cosìfupergli
irlandesi quando arrivarono
gli italiani, così oggi per gli
italiani in quartieri ormai a
maggioranza ispanici e neri:
ma queste sono solo fasi di
assestamento.) Oltre la
politica degli alloggi, dopo i
criteri dei mutui ipotecari,
anche il metodo elettorale
contribuisce a edificare la
community come un preciso
gruppo omogeneo (per
religione, censo ed etnia) in
un preciso quartiere, a
separarlo
dalle
altre
communities, a costruire
un’identitàsegregandoladalle
altre. Così le identità etniche
nonsisciolgononelcrogiolo,
ma permangono e forse si
rafforzano. La comune
origine etnica è più forte
dell'opposta appartenenza di
partito, come ha dimostrato
nel 1994 il sindaco di New
York,
il
repubblicano
conservatore
Rudolph
Giuliani,chehaappoggiatoil
governatore dello stato di
New York, il democratico
progressista Mario Cuomo,
nella sua campagna (persa)
contro
il
candidato
repubblicano, Pataki, dal
cognomegreco:lasolidarietà
italoamericana ha sopraffatto
ladivergenzapolitica.
***
Insediamento territoriale,
composizioneetnica,rapporto
con la community. Abbiamo
già
incontrato
un’organizzazioneconqueste
caratteristiche,ederalagang.
Eselagangsistrutturacome
un'impresacapitalistaecome
un soggetto politico, non
stupisce se i soggetti politici
si strutturano un po’ come
gang. Negli aspetti esteriori:
nei due casi, il capo è
chiamato “Boss”. Nella
reputazione: gli immigrati
avrebbero portato nella
politica il virus della
corruzione proprio come
avrebbero contagiato la
società con la criminalità;
come i vari gruppi etnici si
sonopassatiiltestimonedella
malavita organizzata, dalle
gang irlandesi, alla mafia
italiana,allegangcinesi,così
nelle organizzazioni politiche
localiilpredominioèpassato
daungruppoetnico/razzialea
unaltro,daiwhiteethnicsagli
ispanici e ai neri. Nei valori:
Parkparladi“fedeltàelealtà”
come virtù esaltate dalla
Macchina
politica;
per
Sânchez Jankowski, i leader
dellegangsonosceltiper“la
lorolealtàsimbolicaversogli
amici, per la lealtà verso la
community”.37
Vi è però un filo più
sottilecheconnetteMacchine
politiche e gang. Ed è il
tentativo, in una società
capitalista, di affermarsi
senza disporre di capitali, o
disponendo di risorse non
valutarie: quel che, nel caso
dello
slum,
avevamo
chiamato "capitalismo senza
denaro’'. Se è vero che la
Macchina è un “imprenditore
di partito”, essa è un
imprenditore che cerca di
convertire in potere e denaro
risorse
extra-economiche
come il consenso, i voti,
propriocomelagangcercadi
capitalizzare il suo dominio
dellastrada.Lacompetizione
politicaavvieneinunmondo
unpo'menohobbesianodello
slum, ma anche la Macchina
compete per appropriarsi di
risorserare:iposticomunali,
le cariche governative, gli
ufficielettivi.Aunlivelloun
po’ più elevato, anche la
Macchina
è
lumpencapitalista. Da qui il
disprezzocheicapitalistiveri
provano per questi capitalisti
malriusciti: non si conosce
nessun politico che con la
corruzione
abbia
mai
accumulato una grande
fortuna(diquellechetifanno
entrare nella graduatoria dei
piùricchid’America),mentre
si
conoscono
molti
imprenditori che hanno
accumulato una grande
fortuna
corrompendo
i
politici. Scorgiamo qui
un’idea che sembra avere un
radioso futuro davanti a sé,
l'idea che il mondo sarebbe
più onesto, il potere sarebbe
più trasparente se fosse
interamente controllato dalle
forze dell’economia (dalla
logica del mercato) e se al
controllo politico fosse
lasciatoilsettorepiùristretto
possibile.
Non che nella Macchina
siano tutti puri e casti. È
leggendaria la corruzione di
Jim Curley di Boston, la
venalità razziale di Edward
Crump, la criminalità di
Frank Hague (detto "Io sono
la Legge”) a Jersey City, i
rapporti con la mafia della
Macchina di Chicago. È che,
se per corruzione s’intende
"un abuso del proprio ruolo
pubblicoascopodibenefìcio
privatoinmodoillegale”,38la
Macchina agisce spesso in
modo perfettamente legale.
Anche qui, il problema è
definire
la
corruzione.
L’attività di lobbying (di
pressione sui partiti e sui
parlamentari,ancheattraverso
il finanziamento delle loro
campagne, perché approvino
leggi e clausole favorevoli ai
grandigruppi)differiscedalla
corruzione pura e semplice
solo perché è lecita e
(teoricamente) regolata dalle
leggi.Questastessaattivitàdi
lobbying,esercitatanondaun
gruppofarmaceuticomadagli
abitanti di un quartiere,
diventa “voto di scambio”,
corruzione politica. Ecco una
decisiva asimmetria tra
politica e denaro: i politici
che usano il denaro dei
capitalisti per ottenere potere
sono ritenuti più loschi dei
capitalisticheusanoilpotere
dei politici per guadagnare
denaro.
La bandiera delle mani
puliteinpolitica,abbiamogià
visto,fuspessobranditadagli
xenofobi antimmigrati. Ma
ancora più spesso è stata
usata per restringere il
dominio della politica (nel
senso in cui si parla di
“dominio di una funzione
matematica", l’ambito in cui
essaèdefinita).Innomedella
lotta ai corrotti, si cerca di
ridurre la sfera pubblica a
vantaggio delia sfera privata.
In nome della lotta alla
corruzionesonostatevintele
più
antidemocratiche
controrivoluzioni della storia
statunitense.
È vero che la società
americana nutre una fede
totale nella bontà del metodo
elettivo, è vero che essa
pratica una sorta di
accanimento elettorale, ma è
anche vero che sono
pochissimi gli americani che
votano. L’affluenza alle urne
èstatadel50%nelleelezioni
presidenziali del 2000, del
39% nelle legislative del
2002: ad assicurare la
maggioranza bastava nel
primo caso il 25% e nel
secondoil19,5%degliaventi
diritto. Ovvero a determinare
il futuro del paese era
l’opinione rispettivamente di
un quarto e di un quinto dei
suoi abitanti. Incappiamo qui
in una nuova contraddizione:
l’accanimento elettorale si
accompagna alla disaffezione
elettorale, gli americani
votano moltissime volte, ma
pochissimiamericanivannoa
votare. Se misura della
democrazia è il numero di
pubblici uffici designati
elettivamente allora, si era
detto, gli Stati Uniti sono il
più democratico paese della
terra e della storia. Ma se
misura della democrazia è
quanto i suoi cittadini
partecipanoalvoto,alloragli
Stati Uniti sono il meno
democratico dei regimi
elettorali.
Non sempre è stato così.
Primadellagrandecampagna
moralizzatrice
di
fine
Ottocento, il numero dei
votanti era altissimo e, dal
1840 al 1896, si aggirò
intorno al 78%, senza mai
scendere sotto il 69%. A
questa
partecipazione
contribuivano le Macchine
che mobilitavano le grandi
masse di immigrati bianchi e
di neri ormai liberi cittadini.
Proverbiale è il caso di
Filadelfia, dove nel 1902 la
Macchina riuscì a mandare a
votareil105%(!)degliaventi
diritto e a far eleggere il suo
candidato con l’85,4% di
questi votanti. Contro tali
frodi, contro la corruzione,
per abbattere il potere delle
Macchinefuristrettoildiritto
divoto:pervotarebisognava
registrarsi, per registrarsi si
doveva dimostrare di non
essere analfabeti e per di più
andava pagata una tassa che
non
tutti
potevano
permettersi. In Texas nei
vent'annitrail1884eil1904
il tasso di affluenza alle urne
crollòdall’80al30%.Intutti
gli Stati Uniti i votanti alle
presidenzialisceserodal79%
del1896al49%del1920.Da
allora non sono mai più
tornati sopra il 70%, anzi
l’afflusso era del 45% nel
1988 e del 50% nel 2000.39
La crociata contro la
corruzionesiètradottaquiin
una limitazione della pratica
(senondeldiritto)divoto.Vi
è quindi una visione della
corruzione,
un’immagine
della Macchina per così dire
"di destra” che ogni tanto
torna d’attualità per essere
usata.Piùcheunastoriadella
corruzione, si dovrebbe
tracciare
una
storia
dell’immagine
della
corruzione.
***
La corruzione può infatti
essere vista non come un
morbo,macomeunbenefico
rimedio. Non sempre ciò che
è illegale è pernicioso. Senza
ricorrere a Robin Hood, vi
sono spesso iniquità terribili
sebbene legali. Quindi, come
dice
Amartya
Sen,
"un’attivitàillegaleecorrotta
puòancheesserevantaggiosa
per la comunità nel suo
insieme”.40 La corruzione
diventa una forma di
redistribuzione del reddito
praticata
con
metodi
paralegali o illegali; ed essa
finisce per "beneficiare ampi
settori della società".41 Così,
senza
la
Macchina,
sostengono i suoi fautori, i
gruppi etnici non avrebbero
mai potuto emanciparsi. È
grazieagliimpieghicomunali
che milioni di irlandesi,
italianiepolacchisonopotuti
uscire dagli slum, dalla
disoccupazione,
dalla
criminalità. Non solo: senza
la Macchina, e senza il
consenso forte che la
circonda, e quindi senza la
suacapacitàdifaraccettareai
cittadini tasse comunali più
pesanti,noncisarebberomai
state le opere pubbliche né i
servizi pubblici nelle città.
Peresempio,itrasportiurbani
sarebbero ancora privati,
come erano una volta. È una
variante della Macchina, con
il suo blocco di alleanze
etniche, che dalla fine degli
anni sessanta ha consentito
l’elezione dei sindaci neri, e,
attraverso
gli
impieghi
comunali, ha permesso a una
minoranza di neri di
conquistarsiapocoapocoun
posto al sole e nella middle
class: dal 1970 al 1999 i
dipendentipubblicilocalineri
sono raddoppiati, da 500.000
a più di un milione, e quelli
ispanici
sono
quasi
quadruplicati (da 123.000 a
417.000).42
Prevale il mito “della
macchina come benefattrice,
di una specie di famiglia
allargata che per i poveri
provvede i servizi e per gli
imprenditori snellisce la
burocrazia. Il Boss e i suoi
sono visti non come cinici
opportunisti ma come amici
nelbisogno[...]chechiedono
in cambio solo un appoggio
leale".43 Questa visione - per
così dire populista - fu
rafforzatadallemodificheche
il New Deal apportò alla
Macchina. Negli anni trenta,
quasi una famiglia americana
su due (tra il 40 e il 45%)
ricevette aiuti federali e, di
questi beneficiari, l'85% era
per Roosevelt. Nello stabilire
legamitravotantidellaclasse
operaia e Partito democratico
“alcuni fra i i tramiti più
importanti furono le vecchie
macchine politiche che
furono nutrite dai fondi dei
programmi federali. [...]
Lungidalrendereobsoletala
Macchina, Roosevelt la
rinvigorì per almeno un
decennio. L’esempio più
famosofuilrapportodelNew
Deal con la Macchina di
Chicago - stabilito in cambio
del sostegno del sindaco
Anton
Cermak
alla
Convenzionedel1932-incui
i fondi federali permisero di
centralizzareiriottosibossdi
quartierediChicago”.44
Quest’appoggio Cermak
lo pagò con la vita: il 15
febbraio 1933 era in visita a
MiamiinsiemeaRoosevelte
fu colpito dai colpi sparati
contro il presidente da tal
Giuseppe Zangara. Cermak
disse a Roosevelt: “Sono
fiero che sia toccata a me
invececheavoi"emorìventi
giorni dopo; Zangara, nel
momento in cui veniva
giustiziato, proferì: “Sporchi
capitalisti”.
Il secondo innesto che il
New Deal apportò alla
Macchina fu il sindacato: il
Partito democratico strinse
stretti rapporti organizzativi
con la nuova confederazione
Ciò (Congress of Industrial
Organizations).Inmoltecittà,
leUnionsfunzionaronocome
Macchine locali e i
sindacalisti
diventarono
membri della Macchina.
Anche sul sindacato si
esercita
la
stessa
criminalizzazione
che
abbiamovistoesercitarsisulla
Macchina: una stessa tonalità
losca
sembra
colorare
ambedue. Nel 1968 così si
esprimeva Norman Mailer:
“Qui a Chicago i finanziatori
di Humphrey [candidato per
lepresidenzialidiquell’anno]
avevano provveduto agli
svaghidellaConvenzionecon
un cabaret o night all’Hilton,
l’Hubaret, dove occorreva
una guida per distinguere i
dirigentisindacalidaimafiosi
[...] c'erano anche tutti i neri
corruttibili
e
una
rappresentanza
dei
maneggioni più loschi e più
astutichemaiavesseroavuto
contatti con gente come il
sindaco Daley e i Blackstone
Rangers [...] in tal modo
Hubie Humphrey arrivò a
Chicago sorretto dai nove
decimi
del
Partito
democratico organizzato, dai
neri, dai sindacalisti, dalla
mafia...”.45 In questo brano
c’è tutto, dal termine “losco"
allacatenamafia/sindacati/
nericorrotti/sindacoDaley/
gang dei Blackstones. Il
cerchio si chiude: in origine
gang designava una squadra
dilavoratori;oraun’unionedi
lavoratori è trattata da gang.
Lerivendicazionidegliumili,
le loro organizzazioni sono
sempre ritenute losche: e la
profezia si autoavvera, nel
senso che alcuni sindacati
Usahannoavutorapporticon
la mafia, come i celebri
teamsters (camionisti) di Jim
Hoffa.
La natura etnica di
Chicago, la sua potenza
industriale (e quindi il peso
elettorale dei lavoratori), la
preminenza della sua mafia
spiegano in parte lo
straordinario persistere della
Macchina (nella sua forma
classica) a Chicago, Non che
altrove i principi e i
meccanismi politici siano
cambiati - infatti negli anni
settantaeottantainerihanno
conquistato tante poltrone di
sindaco grazie agli stessi
strumenti per cui sindaci
venivano eletti cinquant'anni
prima italiani e un secolo
primairlandesi.Maaltrovela
Macchina ha assunto nuove
forme o non è più chiamata
così.AChicagoessapersiste.
Secondo
Royko,
così
funzionava il sistema a
Chicago negli anni settanta
sottoilsindacoDaley(padre),
(ma da allora non molto è
mutato):
Il capo del sindacato
degli uscieri era nei
consigli direttivi della
polizia, dei parchi
cittadini,
nella
commissione per gli
edifici pubblici. Il capo
del sindacato degli
idraulicieranelcomitato
sanitario e guidava la
paratadiSanPatrizio.Il
capo del sindacato degli
elettricisti
era
vicepresidente
del
consiglio dell’istruzione.
Il sindacato dei sarti
aveva un uomo nel
consiglio
della
biblioteca. Il boss del
sindacato dei dipendenti
municipali sedeva nel
consiglio della Chicago
Housing Authority che
gestisce i progetti di
edilizia pubblica della
città. Il capo della
Chicago Federation of
Labor e qualcuno del
sindacato
camionisti
partecipavano
alla
gestione dei programmi
controlapovertà.46
Da questo quadro si
potrebbepensareche,seppure
in modo perverso, la
Macchinarappresentileclassi
lavoratrici. Però, se i voti
sono la moneta con cui la
Macchina compra il potere
governativo, il denaro è la
risorsa con cui si possono
comprare voti. C’è quindi
sempre stata una stretta
alleanza tra Macchina e
mondo degli affari. A
Chicago, il quotidiano repubblicano - “The Chicago
Tribune” ha appoggiato la
candidatura democratica alla
poltrona di sindaco di
RichardM.Daleyilgiovane,
proprio come il padronato
repubblicano di Chicago
avevasostenutopervent'anni
suo padre Richard J. Daley.
In parte, la finanza si adegua
e va a brucare nella mano di
chi detiene il potere di
decidere sui lavori pubblici,
sui contratti comunali, sulle
licenze edilizie. In parte, la
finanzasfruttalacorruttibilità
dellaMacchinaperimboccare
scorciatoie
nell'iter
burocratico. In parte però, il
suo è un vero, anche se
sotterraneo,appoggioalruolo
sociale che la Macchina
svolge: “La Macchina spesso
realizza
un
delicato
bilanciamento politico sopra
un baratro di divergenze di
classe, ottenendo voti dai
tanti poveri e denaro dai
pochi ricchi. Queste classi
spesso si scontrano su punti
di politica, di cultura, di
interesse economico, ma i
boss possono volgere questi
gruppi contrastanti in forze
complementari
che
appoggiano la Macchina. In
questoprocesso,leMacchine
aiutano
a
disinnescare
conflitti
di
classe
potenzialmente gravi”.47 Nel
costante contrattare con la
Macchina,ilpadronatosache
conlesuebustarellepaganon
solo appalti più rapidi, e a
prezzigonfiati,maancheuna
tregua sociale. La Macchina
fornisce “un metodo per
incorporare
le
classi
lavoratrici nella politica,
tenendo fuori le loro
rivendicazioni dall’ordine del
giornopolitico’’.48
Ilruolostabilizzantedella
Macchina sta proprio nella
sua corruzione di fondo. La
Macchinaècorrottanontanto
perché i boss intascano
bustarelle, quanto perché
compra la fedeltà politica di
interi gruppi accontentando
solo alcuni loro membri. La
veracorruzionestainquesto:
nel tradurre rivendicazioni
collettive in concessioni
personali,unpostodiusciere
aquesto,unsussidioaquello.
La politica elettorale diventa
"una politica dell'individuo,
strutturata su clientelismo e
incentivi selettivi”.49 La
Macchina consentirà una vita
più agiata a qualche
sindacalista,manonamplierà
i diritti dei lavoratori; aiuterà
qualche etnico a trovare
lavoro ma non solleverà lo
stato dei gruppi etnici e
razziali. La Macchina creerà
un ceto impiegatizio nero
clientelare, ma i ghetti neri
sarannosemprepiùdesolati.I
politici neri hanno un ruolo
rilevante nella Macchina di
Chicago che però non è mai
riuscitaascalfireneanchecon
un’unghia l’inferno dello
slum. "Se per ‘poveri’
intendiamo i poveri come
classe, allora la Macchina
nonstapropriodallapartedei
poveri. I politici della
Macchina non hanno mai
inteso sollevare intere classi
fuori dalla povertà, perché
povertà e dipendenza li
aiutavano a mantenersi al
potere. La pacificazione
politica - specie quando si
estende oltre la Macchina ad
altri leader della comunità -
rende arduo per le comunità
povere
fare
un
uso
indipendente delle proprie
risorsepolitiche.”50
Anche qui, come per le
gang, si è operato un
ribaltamento
prospettico.
Quel che appariva un morbo
si dimostra una condizione
fisiologica della vita politica;
quella corruzione che pareva
in
grado
di
minare
l’organismo sano della
democraziaelettoralesirivela
un pilastro stabilizzante
dell’equilibrio sociale. La
Macchina, bersaglio di ogni
vituperio e oggetto di
unanime disprezzo, assolve
invece
funzioni
vitali,
attutisce i conflitti, opera un
compromesso. Le campagne
contro la corruzione e contro
la Macchina divampano
perciò quando il prezzo della
pace sociale si rivela troppo
alto, quando al mondo degli
affari questo compromesso
costatroppocaro,indenaroo
in potere. Quando i politici
non stanno più al posto loro,
quandolaMacchinainvadeil
territorioaltrui,allorapartono
le crociate sulle Mani pulite
nella politica. Ma, ristabilito
il giusto prezzo, tutto torna
nellanormalità.
Una riprova di questo
ciclo la si ha guardando
quantetestedipoliticipotenti
sono davvero cadute negli
Stati Uniti a causa della
corruzione. Ben poche. Dalla
fine della Seconda guerra
mondiale la vittima più
illustre è stata Spiro Agnew,
vicepresidente (di origine
greca) durante la presidenza
Nixon, accusato divarie
bustarelle e riconosciuto
colpevole di evasione fiscale
permiseri29.500dollari.Ma
Agnew cadde nell’ottobre
1973,nelgeneralecrepuscolo
nixoniano sotto l’onda dello
scandalo
Watergate
(scoppiato nel giugno 1972)
che però non fu, si noti, una
storia
di
corruzione
economica: a Richard Nixon
erano addebitati non soldi
incassati ma microfoni per
intercettareiprogrammidegli
avversari.Piùdevastantinella
vita pubblica americana si
sono sempre rivelati gli
scandali sessuali: si disvela
qui la vera gerarchia del
peccato, in una società in cui
il corpo è più maligno del
denaro e l’erotismo è più
satanico dell’egoismo, in cui,
come diceva il pastore
Conwell, la ricchezza è
considerata strumento di
bontà: “Devi diventare ricco.
[...] Il denaro è potere e tu
devi essere ragionevolmente
ambizioso di averlo. Devi,
perchéconessopuoifarepiù
bene di quanto ne faresti
senza”.51
C’è di più: di solito gli
scandalisessualisonoscovati
e denunciati quando è in
pericolo quel compromesso
sociale che la Macchina e la
corruzione
garantiscono.
Nulla mostra meglio il
conservatorismo
della
Macchina quanto la sua
reazione quando qualcosa
sembra minacciare l'ordine
esistente. Lo si vide nei bei
parchidiChicago,inunafine
d’agosto.
1 W. Sombart, Perché
negli Stati Uniti non c’è il
socialismo?,cit.,pp.35-36.
2Chicagononeleggeil
consiglio
scolastico,
a
differenza di quasi tutti gli
altri comuni statunitensi, ma
elegge
tre
consiglieri
d’amministrazione
dell’università
(statale)
dell'Illinois.
3
"The International
Herald Tribune”, 12 maggio
2000.
4I casi del 1996 e del
1999 e uno del 2000 sono
riportati dal "Chicago SunTimes", 20 ottobre 2000, in
un articolo di rassegna sui
legami tra cops e mobs, per
gli altri: "Associated Press
News Service”, 10 febbraio
1997;
"The
Chicago
Tribune”,22novembre2000.
5 Walter Lippmann, A
Theory about Corruption, in
"Vanity Fair", novembre
1930, n. 35, 3, (pp. 61-90),
riedito in AA.VV., Political
Corruption, a Handbook,
Transaction, New Brunswick
1989, p. 569 (il corsivo è
mio).
6 Michael Johnston,
Political Corruption and
Public Policy in America,
Brooks/Cole,Monterey(Cal.)
1982,nelcapitoloCorruption
anddemocracy,p.172.
7 Abraham S.
Eisenstadt,
Political
Corruption in American
History (1978), ripreso in
AA.VV.,
Political
Corruption,aHandbook,cit.,
p.547.
8 Citato da Jacob van
Klaveren in Corruption: The
Special Case oft he United
States, in AA.VV., Political
Corruption,aHandbook,cit.,
p.563.
9 Adam Smith, An
Inquiry into the Nature and
Causes of the Wealth of the
Nations(1776),trad.it.Idesi,
Milano 1973, libro I, cap. II,
p.18.
10 Articolo n. 49 della
Costituzione
italiana.
D’altronde negli Stati Uniti i
partitinonhannoun’esistenza
costituzionale: non sono mai
menzionati
dalla
Costituzione. Al contrario,
nella Costituzione della v
repubblicafrancese,l’articolo
4 dice: “I partiti e i gruppi
politici
concorrono
all’espressione del suffragio.
Si formano ed esercitano la
loro attività liberamente.
Devono rispettare i principi
della sovranità nazionale e
della democrazia”. L'articolo
21 della Costituzione tedesca
del 1949 recita: ‘Ί partiti
cooperano alla formazione
della volontà politica del
popolo".
11W.Sombart,op.cit.,
p.48.
12 Frances Fox Piven,
Richard A. Cloward, Why
Americans Don’t Vote,
Pantheon Books, New York
1988, p. 36 (i corsivi sono
miei).
13 R.E. Park, E.W.
Burgess,R.D.McKenzie,The
City,cit.,p.35.
14M.Johnston,op.cit.,
p.37etuttoilcapitolosuThe
PoliticalMachine.
15M.Royko,Boss,cit.,
p.88.
16Dal1954al1996,cfr,
David Moberg, Chicago, to
Be or Not to Be a Global
City, in "World Policy
Journal”, vol. xiv, n. 1,
primavera 1997, (pp. 71-86).
p.75.
17 Joel Rast, Remaking
Chicago. The Political
Origins of Urban Industrial
Change, Northern Illinois
University Press, DeKalb
(111.)1999,p.157.
18Ivi,p.167.
19 F. Fox Piven, R.A.
Cloward,op.cit.,p.36n.
20W,Sombart,op.cit.,
p.41.
21U .S. Bureau of the
Census,StatisticalAbstractof
the United States 2002,
Government Printing Office,
Washington D.C. 2002: la
cifra dei dipendenti locali e
degli stati è ottenuta
sommandoivarisettoridella
tav. 445 (che dà un totale
parecchio superiore ai totali
menzionati
nelle
altre
tabelle);quelladeidipendenti
federalicivilidallatav.441e
quella dei militari sottraendo
nella tav. 492 il personale
civile dal totale dei
dipendentidellaDifesa.
22 U.S. Bureau of the
Census, Historical Statistics
oftheUnitedStates.Colonial
Times to 1970, Government
Printing Office, Washington
D.C. 1975, vol. II, serie Y
904-916eY998-1009.
23DavidMoberg,How
Does Richte Rate?, in
“Reader" (Chicago’s Free
Weekly), 19 febbraio 1999,
vol.xxviii,n.20,p.28.
24 F. Fox Piven, R.A.
Cloward,op.cit.,p.38.
25 R.E. Park, E.W.
Burgess,R.D.McKenzie,op.
cit.,pp.35-36(icorsivisono
miei).
26 J. Bryce, The
American Commonwealth,
cit.,vol.II,p.122.
27M.Johnston,op.cit.,
p.41.
28 Robert K. Merton,
Social Theory and Social
Structure, The Free Press of
Glencoe,Illinois1957,p.74,
citatodaM.Johnston,op.cit.
29M.Johnston,op.cit.,p.
46.
30CitatodaRichardC.
Wade, in The Enduring
Chicago
Machine,
in
“ChicagoHistory”,primavera
1986,p.5.
31Ìbidem.
32 David K. Fremon,
Chicago Politics Ward by
Ward, Indiana University
Press,
BloomingtonIndianapolis1987,p.3.
33Ivi,pp.345esgg.
34 M. Royko, op. cit., p.
31.
35 Tucidide,La guerra
del Peloponneso (410 a.C.
circa),libroII,40,2.
36 A. de Tocqueville,
De la démocratie en
Amérique, trad. it. cit., parte
II, cap. vii, paragrafo
Tirannidedellamaggioranza,
p.258.
37M.SânchezJankowski,
Islands in the Street, cit., p.
75.
38M.Johnston,op.cit.,p.
8.
39I
dati di questo
capoverso sono tratti da F.
FoxPiven,R.A.Cloward,op.
cit., rispettivamente alle pp.
30,109,83edaU.S.Bureau
of the Census, Statistical
Abstract of the United States
2002,cit.,tavv.11e372.
40 Amartya Sen,
Corruzione
e
crimine
organizzato, in “Politica ed
economia”,luglio1993,p.8.
41M,Johnston,op.cit.,
p,174.
42 U.S. Bureau of the
Census,StatisticalAbstractof
the United States, cit., tav.
501 dell'edizione 1993 e tav.
444dell’edizione2002.
43M.Johnston,op.cit.,
p.37.
44 F. Fox Piven, R.A.
Cloward, op. cit., pp. 131132.
45 Norman Mailer,
Miami and the Siege of
Chicago.AnInformaiHistory
of the American Political
Conventions
of
1968,
Weidenfeld & Nicholson,
London 1968, trad. it.
Mondadori,Milano1969,pp.
133-134(ilcorsivoèmio).
46M.Royko,op.cit.,p.
74.
47Johnston,op.cit.,p.41.
48 F. Fox Piven, R.A.
Cloward,op.cit.,p.74.
49J.Rast,op.cit.,p.29.
50M.Johnston,op.cit.,p.
65,
51R.H.Conwell,Acresof
Diamonds,cit.,pp.18,20.
7.PragainIllinois
Quel24agosto1968,250
aerei cargo a reazione
dell’Air Force erano pronti a
decollare verso Chicago da
Fort Hood in Texas, da Fort
Riley in Kansas, da Fort Sill
in Oklahoma, da Fort Carson
in
Colorado.
Loro
destinazionieranol’aeroporto
O’Hare e la base aeronavale
diGlenview.QuesticargoC141 trasportavano 6000
soldati
addestrati
all’antiguerrigliainassettoda
combattimento con tutto il
loroequipaggiamento.Giàgli
ufficiali coordinavano i
preparativi a Fort Sheridan,
quellabasemilitarefinanziata
nel 1886 dai buoni borghesi
Chicagoans dopo la paura di
Haymarket,quellastessabase
da cui le truppe federali si
erano incolonnate nel 1894
perpattugliarelacittàdurante
lo sciopero Pullman. Cinque
elicotteri da combattimento
UH-1Huey,glistessiusatiin
Vietnam,
erano
a
disposizionedell’esercito.1
5649soldatidellaguardia
nazionale
dell’Illinois
stazionavano vicino al centro
di Chicago pronti a
intervenire con autoblindo e
mitragliatrici. Gli 11.900
agenti della polizia di
Chicago erano stati messi in
turni di dodici ore ciascuno.
Si aggiungevano parecchie
centinaia di agenti di stato e
di contea e un imprecisato
numero di poliziotti privati e
vigilantes. Mai si erano visti
tanti agenti segreti dell’Fbi e
delle
varie
agenzie
governative concentrati in
una sola città a sorvegliare
alberghi, pensioni, giornali,
luoghipubblici.
Tantaforzaimponenteera
stata radunata per proteggere
la convenzione del Partito
democratico che doveva
aprirsi l’indomani, il 25
agosto, per scegliere il
candidato presidenziale da
opporre al repubblicano
Richard
Nixon
nella
campagna d’autunno. Di per
sé la convenzione non era
palpitante.Eranoassentiidue
unici candidati con forti
possibilità
di
vittoria.
Mancava Lyndon Baines
Johnson, presidente uscente,
che il 31 marzo aveva
rinunciato a ricandidarsi,
sotto i colpi che infliggeva
alla
sua
popolarità
l’incancrenirsidellaguerrain
Vietnam. Non c'era Robert
Francis (Bob) Kennedy che
aveva vinto cinque delle sei
primarie
cui
aveva
partecipato, l'ultima delle
quali in California, dove era
stato colpito a morte nella
nottedel5giugno.
Si profilava una nomina
del candidato johnsoniano,
Hubert Humphrey, classica
figura di democratico da
Guerrafredda,sorretto,come
diceva Norman Mailer, “dai
nove decimi del Partito
democratico organizzato, dai
neri, dai sindacalisti, dalla
mafia’’.Acontrastarlocerano
un intransigente Eugene G.
McCarthy del Minnesota,
fautorediunrapidoritirodal
Vietnam, e George S.
McGovern del Sud Dakota,
un’altra - seppur più
moderata - colomba. Il solo,
improbabile
motivo
di
suspense era Ted Kennedy,
l’unico sopravvissuto dei tre
fratelli: sarebbe entrato in
lizza all'ultimo momento?
(No, rimase defilato.) Non
c’era partita, tanto che tre
giorni più tardi, il 28 agosto,
Humphrey avrebbe ricevuto
lanominaalprimoturnocon
1761 voti contro i 601 di
McCarthy e i 146 di
McGovern.
Ma allora, a giochi quasi
fatti, perché Chicago era in
stato d’assedio? Perché il
sindaco aveva rafforzato il
coprifuoconeiparchicittadini
dopo le 23.00? Un anno
prima, Richard J. Daley
aveva voluto a tutti i costi la
convenzione nella sua città,
dove i democratici non si
riunivano dal 1956. Voleva
che i delegati atterrassero a
O’Hare, il suo aeroporto, i
giornalisti percorressero la
John Kennedy, la sua
autostradaurbana.
Ma da un anno molto era
cambiato.Il30gennaio1968
i vietcong e le truppe del
Vietnam del Nord avevano
lanciatounattaccoallavigilia
del Capodanno buddhista
(l'"offensiva del tet”): fu
allora che gli Stati Uniti
persero la fiducia dì poter
vincere quella guerra. A
febbraio i gruppi pacifisti
lanciarono l’idea di una
grande manifestazione contro
laguerradatenersiaChicago
durante la convenzione
d’agosto. A fine marzo, si
ritirava dalla competizione
elettorale
il
presidente
Johnson.Pochigiornidopo,il
4 aprile, una pallottola
uccideva Martin Luther King
inunalberghettodiMemphis.
Subito,intuttelegrandicittà
degli Stati Uniti scoppiarono
sommossenere,concentinaia
di morti, incendi, saccheggi.
A Chicago i tumulti
divamparono nel West Side.
Quella sera il sindaco Daley
così riassunse in tv i suoi
ordini che davvero non
lasciavanoaditoadubbisulla
sua posizione (e sulla sua
sintassi): “Ho detto al
sovrintendente di polizia
davvero enfaticamente e
davvero definitivamente che
doveva
immediatamente
emanare un ordine, da lui
firmato, di sparare per
uccidere ogni incendiario e
chiunqueavesseunamolotov
[...] e di emanare una
circolaredipoliziadisparare
per mutilare e storpiare
chiunque saccheggiasse un
negozionellanostracittà”.2
All’inizio i manifestanti
speravanodiessere100.000e
leautoritàeigiornalipresero
sul serio questa cifra,
predissero l’invasione di
Chicago da parte di hippy,
capelloni,
sbandati,
omosessuali... comunisti. I
preparativi polizieschi erano
così evidenti che nell'estate
molti
contestatori
cominciaronoaconsigliareai
propri seguaci: state lontani.
Quel che le autorità davvero
temevano non era tanto il
movimento pacifista, quanto
il congiungersi tra protesta
controlaguerrainVietname
rivolta dei ghetti neri. Il
sindaco Daley ricordava
perfettamente le marce
guidate nel 1966 da Martin
Luther King nei sobborghi
bianchi di Chicago: finché la
protestasilimitavaaglislum,
non creava grandi fastidi, ma
quando i neri non restavano
piùalpostoloro,alloral’aria
cambiava. Per tutta l’estate
1968 Daley andò in giro a
inaugurare opere pubbliche
per i neri. Il primo agosto
decretò che una lunga arteria
verso sud fosse ribattezzata
Dr King Drive, col nome
dell’uomo che non aveva
potutosopportaredavivo.
Nel frattempo, ogni
giorno la tv elencava i morti
americani e le missioni dei
bombardieridell’AirForcein
Vietnam.Quattroanniprima,
nel 1964, il contingente in
Vietnam era di soli 16.000
soldati. Ora, nell’agosto del
1968,agliordinidelgenerale
Westmoreland,
c’erano
543.000uomini.Tralaguerra
del Vietnam e i preparativi
della convenzione, faceva
capolino nei giornali Usa la
crisi cecoslovacca: l'Unione
Sovietica di Leonid Breznev
minacciava l’invasione per
bloccare la piega che aveva
preso la Primavera di Praga
con i tentativi di riforma
condotti
da
Alexander
Dubcek,finchénellanottetra
il 20 e il 21 agosto 1968 le
truppe del Patto di Varsavia
(reparti di Urss, Polonia e
Germania Est) entrarono in
Cecoslovacchia.
***
In quest’atmosfera si
diressero a Chicago solo i
pochi pacifisti che osavano
sfidare l’imponente apparato
militare e di polizia: "Una
forza di difesa di almeno
25.000uominieraaChicago.
Daley disponeva di un
esercito più grande di quello
che George Washington
aveva avuto ai suoi ordini.
Mai in passato in così tanti
avevanotemutocosìtantoda
così pochi. Al massimo,
erano
giunti
5000
contestatori”.3 Ecco come li
descriveva,perbenista,unpo’
disgustato, il rapporto della
commissione
Walker
incaricata d’indagare sulle
violenzepoliziesche:
C’erano
naturalmente
molti
hippy,icapelloni,ilove
beads, i convinti nemici
dell’acqua e sapone, i
vessilliferi dell’amore
libero in flagrante
disdegno
delle
convenzioni [...]. Nella
folla erano compresi
Yippies [attivisti dello
Youth
International
Party]venutiper“farele
lorocose”,giovinastrial
seguito di qualche
politico, professionisti
con ideali politici,
dissidenti,
anarchici,
rivoluzionari convinti,
bande di motociclisti,
attivisti negri, giovani
delinquenti e agenti di
polizia e del Servizio
segreto
travestiti.
C’erano
anche
dimostranti
che
sventolavanolabandiera
dei vietcong e la
bandiera rossa della
rivoluzione, e semplici
curiosi, venuti soltanto
per ficcare il naso, che
spesso
divennero,
volenti
o
nolenti,
partecipanti.4
I pacifisti scelsero come
base Lincoln Park. Appena a
nord del Magnificent Mile,
traprati,leggeriavvallamenti,
grandi alberi e minuscole
colline, Lincoln Park si
stende per poco più di due
miglialungolarivadelLago
Michigan a circondare uno
zoo costellato da laghetti. I
residenti dei condomini di
lusso della Gold Coast
vengonoacorrerviintutaoa
lasciar giocare il cane. Nei
giorni di festa, dai quartieri
più poveri arrivano stuoli di
famiglie a bivaccarvi con i
loro barbecue: sull’erba vi si
costeggiano tribù ispaniche e
distintigruppetticontovaglia
e bottiglia di vino nel
secchiello. Lincoln Park,
capita spesso di vederlo
occupato da boy scout, da
corali, da gruppi che vi
suonano, fanno pic nic e,
nelle notti destate, vi
dormononellabrezzamarina.
Per i giovani giunti da
lontano,
Lincoln
Park
costituivaperciòlasceltapiù
ragionevole per pernottare.
Ma il sindaco Daley non la
pensava così e mantenne il
rigido coprifuoco alle undici
di sera. A mezzanotte di
domenica 25 agosto, la
polizia cominciò a caricare il
migliaio scarso di pacifisti
cheeranorimastisuipratidel
parco;picchiòanchepassanti,
donne, persone anziane,
giornalisti e fotografi. Cortei,
cariche della polizia si
susseguironoanchelunedì26,
quando di nuovo fu
sgomberato con violenza
inaudita Lincoln Park, dove
uno
striscione
diceva:
“Benvenuti a Praga”. Le
cariche si ripeterono martedì
27,mal’acmefuraggiuntola
sera di mercoledì 28, quando
lapoliziacaricòidimostranti
nel centralissimo Grant Park,
davanti all’albergo Hilton
dove alloggiavano i delegati
importanti.Lì,sullaMichigan
Avenue, poliziotti e soldati
della guardia nazionale si
scatenarono. “Chiunque si
trovasse sul cammino di
qualche poliziotto veniva
colpito.Lapoliziacontinuava
a picchiare sulla schiena
gente che tentava di mettersi
in salvo con tutta la velocità
possibile. Vidi un uomo
gettatoaterra,perlastrada...”
Secondo un altro testimone,
gli agenti “inseguivano
singoli dimostranti per un
interoisolatoelipicchiavano.
In molti casi [...] gli agenti
attaccavano
indiscriminatamente
qualunque civile che si
trovava nei pressi”.5 “Senza
ragioneapparente,ipoliziotti
dagli elmi blu spiaccicarono
gli astanti contro le vetrine
dell'Haymarket Inn, un
ristorante dell’albergo. Alla
fine le vetrine si ruppero
spedendo all’indietro donne
dimezz’etàurlantiebambini
attraverso i vetri rotti.”6
Giornalisti e fotografi furono
di nuovo malmenati e
inseguiti.Inquelsoloscontro
furono arrestate 178 persone.
A mezzanotte Michigan
Avenue era pattugliata da
autoblindo
con
le
mitragliatricipesantispianate.
Quelmercoledì,lecariche
della polizia non furono
molto
peggiori
delle
precedenti, ma per la prima
voltavennerofilmatedalletv
per 17 minuti di fila. Decine
di milioni di spettatori
assistettero ai pestaggi,
proprio
mentre
nell’Anfiteatro
Humphrey
otteneva la nomination sulla
stessa linea di Johnson:
proseguire i bombardamenti
in Vietnam poiché “un ritiro
sarebbetotalmenteirrealistico
ecatastrofico”.
L’indomani un corteo a
cuipartecipavanoanchemolti
delegati fu di nuovo caricato
e furono arrestati 150
manifestanti
(inclusi
9
delegati). Nella notte, gli
uffici di McCarthy furono
perquisiti dalla polizia.
Humphrey difese l’operato
del sindaco Daley. In totale,
durante la convenzione
furono compiuti 668 arresti,
lamaggiorpartediresidentia
Chicago, a dimostrare che la
temuta invasione rossa non
c’era proprio stata. I feriti
furono 192 tra i poliziotti,
imprecisatoilloronumerotra
i dimostranti. Polizia e
giornali
parlavano
di
montagne di armi: per lo più
erano pietre, mattoni e
bastoni. Circolò la voce che
fossero state lanciate contro
lapoliziapersinovedovenere
(ragnivelenosi)7:sugliagenti
furono più spesso lanciati
sacchetti di plastica pieni di
feci e di urine. Quel giorno
l’U.S. Air Force aveva
compiuto121bombardamenti
sul Vietnam del Nord. Con
308 morti e 1134 feriti, la
settimana trascorsa era stata
la più letale per il corpo di
spedizione Usa, portando il
totale in quella guerra a
27.101cadutie169.296feriti
americani.8
Non potrebbe esserci
sproporzionepiùstridente:fra
la guerra in Vietnam, con i
suoimorti,elaguerriccioladi
Chicago, con i suoi contusi.
Sproporzione però a Chicago
stessa, tra i commandos
aviotrasportati
a
Fort
Sheridan e gli sparuti
gruppettidiragazzitrasandati
aLincolnPark.Sproporzione
tra
l’enorme
risonanza
mondiale che ebbero le
manganellate di Grant Park
sugliYippiesbianchieinvece
il silenzio assuefatto sui
ricorrenti
morti
delle
sommosse nere. In fin dei
conti, nei cinque giorni di
scontrinonc’erastatounsolo
caduto. A posteriori, aveva
ragione
quell’adolescente
nerochedicevaauncronista
del "New York Times”:
“Voglio proprio vedere se
queste guardie nazionali li
attaccano
come
hanno
attaccato noi. [...] Credo
proprio che non spareranno
neanche a uno di questi
ragazzibianchi”.9
Eppure le immagini della
convenzione di Chicago
fecero il giro della terra. Si
sovrapposero,
in
fotomontaggio mentale, a
quelle,altrettantofamose,che
riprendevano gli inermi
praghesi a discutere con i
carristi sovietici, all’ombra
dei cannoni. Tanto che il
giornale tedesco "Die Welt"
commentò: “I russi possono
far valere che, con 300 feriti
nelle vie di Chicago, la
convenzione democratica è
stataforsepiùsanguinosadel
lorocoupdiPraga”.
La
sproporzione
si
accentuò nel settembre 1969,
quando la giustizia processò
per "cospirazione” sette tra
gli
organizzatori
della
protesta:RennieDavis,David
Dellinger, John R. Froines,
Tom
Hayden,
Abbie
Hoffman, Jerry Rubin, Lee
Weiner, a cui per buona
misura aggiunse il leader
delle Pantere nere Bobby
Seale. Il processo si tenne in
un clima incredibile. Il
procuratore generale si riferì
alle idee degli imputati come
alla
“rivoluzione
dei
finocchi”. Il giudice federale
Julius Hoffman rifiutò che
Seale si difendesse da solo:
“La complessità della causa
rende la difesa inopportuna”
e, per assicurarsi che Seale
tacesse, lo fece legare alla
sedia e imbavagliare in aula
pertuttoillungoprocesso.La
dice lunga sul procuratore
bianco Tom Foran la sua
sicurezza che il nero Seale
fosse l’unico imputato “che
nonerafinocchio”.10Nonper
nulla il nero Bobby Seale fu
l’unico condannato a quattro
anni di prigione, non per
“complotto”,
ma
per
"disprezzo per la corte”,
mentre gli altri imputati
bianchi furono prosciolti
dall'accusa di "cospirazione”,
condannati solo per reati
minori, e non scontarono la
galera.
***
Cospirazione, ecco la
parola decisiva. Secondo le
autorità, il complotto è una
chiaveinterpretativacheapre
tutteleportenellastoriaUsa:
complottavano gli anarchici
nel 1886; complottavano
Eugene Debs e i sindacalisti
delle ferrovie nel 1894;
complottavano i Wobblies
durante la Prima guerra
mondiale. Gli oppositori
complottano, come i potenti
onoranoigenerali.SePalmer
e Pullman avevano riverito
Sheridan,
ecco
Daley
ossequiare
il
generale
Westmoreland:
“Siamo
onorati, la nostra città è
onorata di avere un tale
straordinario esempio di
soldato della nostra bella
provincia. Ne siamo fieri,
ognuno dovrebbe esserne
fiero, e chi non ne è fiero
dovrebbeandarsenedalpaese
senonglipiace”.11
Dietro ogni minaccia
all’ordine
costituito
si
nasconde un complotto,
possibilmenteconilconcorso
dellostraniero,oraitedeschi,
ora i sovietici o i vietnamiti.
Quando non sono stranieri, i
fomentatori vengono almeno
da altri stati degli Usa: il
processodiChicagosibasava
su una legge dall’ironico
nome Civil Rights Act (del
1968) che puniva agitatori
esterni (outside agitators)
ritenuti
responsabili
di
disordini razziali. Come
aveva detto un repubblicano
del Mississippi: "Qui ce la
vediamo con un Stokely
Carmichael o con un Rap
Brownchevediamoviaggiare
di stato in stato, di città in
città, e al loro seguito arriva
sempre
conflagrazione,
spargimento di sangue, uno
scippo generalizzato, e
perdita di vite e di
proprietà”.12
Daley non esitò a usare
l’argomento del complotto a
caldo, quando, di fronte alle
proteste dei mass media,
spiegò a Walter Cronkite
dellaCbs:"Latvnonavevale
informazioni che avevo io.
C’erano rapporti sul mio
tavolo che certe persone
progettavanodiuccidereitre
contendentiperlapresidenza;
che pianificavano di uccidere
molti leader incluso me
stesso. Così ho preso le mie
precauzioni”. Di questi
fantomaticirapportinonsene
è mai più parlato, ma allora
convinsero
l'opinione
pubblica.
Ma anche i contestatori
invocarono la teoria del
complotto per spiegare la
repressione di Chicago (un
po' come i neri negli slum
evocano il grande complotto
bianco, The Plan). Per
Eldridge Cleaver, lo scontro
era stato organizzato da un
complotto per far eleggere
Nixon,
screditare
i
democratici e spingere un
pubblicoatterritoancorapiùa
destra. Per Cleaver, la tattica
della destra consiste sempre
nelgonfiarelaminacciadella
sinistra per creare timori.13
Per Dick Gregory, era la Cia
che tentava di sovvertire il
paese ed era coinvolta
nell’assassinio di King e dei
dueKennedy.14 Il complotto,
olaretedicausenascoste,la
“storia notturna" sembra
l’equivalente
mondano,
terreno degli oroscopi di
Theodor Adorno: come lì la
predizione
delle
stelle
rendeva
accettabile
l’inesorabilitàdelfatosociale,
così qui il complotto spiega
l’imperscrutabilità delle sorti
politiche.
Il complotto non è
plausibile. Né vale l’idea del
rapportoWalker,percuicifu
provocazionedeimanifestanti
e, in risposta, sovrareazione
delle forze dell’ordine che
sfociò in una “spontanea
sommossa di polizia [police
not]”.Magariqualcheagente
diedeinumeri,malaragione
piùprofondaepiùvisibiledi
quei pestaggi sta nel muro
d’incomunicabilità
fra
l’America
dei
giovani
manifestanti e il popolo
americano (We, the people)
rappresentatodallaMacchina.
Daley
incarnava
le
generazioni di immigranti
white
ethnics,
operai,
poliziotti, piccoli negozianti
che
ingoiando
rospi,
sgobbando, sgomitando, si
eranofattilargonellasocietà,
inseguivano
il
sogno
americano, edificavano la
modernità delle autostrade
urbane, degli aeroporti, dei
grattacieli.
Quell'universo
etnico fatto di solidarietà e
razzismo,diacciaierieefeste
di matrimonio, di identità
sanguigne e prosaico senso
del denaro, di pragmatismo
tenace
e
radicate
superstizioni.Daquilatotale
incomprensione per i neri
("rimangono negli slum
perché non fanno come noi,
perché non si rimboccano le
maniche”);daquiildisprezzo
peripacifisti.AllaMacchina,
a Daley, come a tanti colletti
blu,imanifestantirisultavano
marziani, con le poesie
incomprensibili di Allen
Ginsberg, le canzoni di Phil
Ochs e Pete Seeger, le
antipatriottiche
bandiere
vietnamite(inunpaeseincui
da sempre ogni casetta
sperduta
inalbera
sul
praticello l’asta con la
bandiera a stelle e strisce).
Ma proprio da questo non
capire nasceva il timore per
unmondochenonrientranei
propri orizzonti. Non a caso,
questo terrore dell’ignoto ha
sempre
tentato
di
razionalizzarsi adducendo il
complotto dell'alieno, dello
straniero. C’è una parte di
verità nella paura, sempre
eccessiva, ostentata dalla
classedirigenteamericananei
confronti degli oppositori: il
timore che ti coglie di fronte
a
un’inezia
sì,
ma
inspiegabile,ilpatemaperun
dettaglio che non rientra al
suoposto.
C’è come un sistematico,
volontario
eccesso
di
prudenza nel prendere sul
serio ogni minimo germe di
rivolta, ogni abbozzo di
sovversione.
Era
sproporzionata
tutta
la
potenza dei capitalisti di
Chicago dispiegata nel 1886
controAlberteLucyParsons
oiltimorepaventatonel1894
peruna"dittatura”diEugene
Debs.Cosìfannosorriderele
truppe d’assalto degli Stati
Uniti schierate nel 1968
contro qualche hippy. C’è
qualcosadirisibile(senonvi
affiorasse il retrogusto ferreo
delpotere),chericordacome
già nel 1801, raccontando a
caldo, con la passione degli
sconfitti,lafallitarivoluzione
napoletana
del
1799,
Vincenzo Cuoco ironizzasse
sui governanti del Regno
delleDueSicilie:
Alcuni
giovinetti
entusiasti,ripienilatesta
delle nuove teorie,
leggevano nei fogli
periodicigliavvenimenti
della
Rivoluzione
francese e ne parlavano
tradiloroo,ciocchéval
molto
meno,
ne
parlavano alle loro
innamorate ed ai loro
parrucchieri. Essi non
avevanoaltrodelittoche
questo,négiovanisenza
grado, senza fortuna,
senzaopinionepotevano
tentarne altro. Fu eretto
un tribunale di sangue
col nome di “Giunta di
stato” per giudicarli
come se avessero già
ucciso il re e rovesciato
laCostituzione.15
La repressione eccessiva,
il timore spropositato si
rivelano una costante dei
moderniregimi,comeseessi
paventassero la propria
caduta, come se fossero
coscienti di una propria
insospettata fragilità. In
questa
reazione
sproporzionata s’intravede la
loro natura profonda, come
queigigantinerborutichepoi
aprono la bocca e hanno la
voceinfalsetto.
Non sai mai però se
questa reazione pesante è
paranoia o saggezza politica.
In fondo, Yippies e hippy
sono scomparsi o diventati
Yuppies, come accadde a
Jerry Rubin. I contestatori di
allora sono più saggi, o più
disperati o morti, mentre la
Macchina fa ancora girare i
suoi
ingranaggi.
In
quell’agosto a Chicago,
nonostante tra i dimostranti
fosseropresentilefrangenere
più politicizzate, come il
Black Power e le Pantere
nere, la repressione si
consumò nella più totale
indifferenza del South Side e
divaricò la frattura - che
ancora perdura - tra protesta
dei bianchi e malcontento
nerodeglislum.
Non solo. Rispetto alle
tante scene di violenza che
Chicago ha visto nella sua
breve storia, in quelle del
1968 irrompeva la novità dei
mass media e della tv. Ma
mentre pochi mesi prima, a
maggio, le immagini degli
scontri parigini nel Quartiere
Latino avevano suscitato la
solidarietà nazionale con gli
studenti (“picchiano i nostri
ragazzi”) e innescato uno
sciopero generale, qui le
riprese tv non scossero la
società, anzi. La violenza
della polizia di Chicago
indignòsìl’opinionepubblica
straniera(chedisolitoètanto
più incline ad adontarsi
quanto più migliaia di
chilometri distano le cause
del suo nobile sdegno), ma
ricevette l’appoggio pieno
degli
americani,
come
mostrarono i sondaggi a
caldo.
Daley
rappresentava
davvero le idee della
maggioranza,
silenziosa
forse, certo manesca. La
stessaviolenzaindiscriminata
contro i giornalisti si rivelò
alla lunga meno improvvida
di quanto parve. Non
dimentichiamo che gli anni
sessanta sono stati l’unico
periododellastoriaamericana
in cui stampa e tv ebbero un
ruolo realmente critico, per
esempio sulla guerra in
Vietnam.Saràuncaso,mada
allora, da quei giorni in cui i
giornalisti furono massacrati
di botte, a oggi, il clima è
radicalmente cambiato. Basti
pensare all’atteggiamento di
supina,
complice
ossequienza, dei mass media
americani nelle due guerre
contro l’Iraq, nel 1991 e nel
2003. Né mai, una vera voce
di dissenso si è levata nei
confronti del reaganismo.
Dopo le bastonate della
polizia di Chicago, stampa e
tv sono rientrate nei ranghi,
sono di nuovo disciplinate,
come nei giorni del 1877
quandoil“NewYorkTimes”
diceva di Chicago “La città
nellemanideicomunisti”.
Perciò dal fotomontaggio
mentale che allora colpiva
tutti-icarriarmatidiPragae
le manganellate di Chicago si può ricavare quanto fallaci
siano
le
percezioni
contemporanee. Allora quei
tank
trasmettevano
il
messaggio di una potenza
mastodontica, inamovibile,
pertinace.Mentrel’isteriadei
poliziotti americani pareva
indicare l’avvicinarsi di una
crisi,anchesottoicolpidella
sconfitta militare in Asia. Il
regime sovietico e il Patto di
Varsavia
parevano
incrollabili. Gli Stati Uniti
sembravanoinpredaarivolte
e convulsioni. Oggi, sono
passati trentacinque anni, il
Patto di Varsavia non esiste
più, l'Unione Sovietica si è
dissolta, la Guerra fredda già
sicancellanellamemoria,eil
figlio di Richard Daley è al
suo quarto mandato di
sindaco.
1“TheNewYorkTimes”,
25agosto1968.
2M.Royko,Boss,cit.,pp.
168-169.
3Ivi,p.182.
4 Walker Report,
Chicago, ottobre 1968, trad.
it. Dissenso politica e
violenza.Testodel“Rapporto
Walker”, Mondadori, Milano
1969,p.12.
5Ivi,pp.259e258.
6 “The New York
Times”,29agosto1968,p.1.
7
Rapporto Walker,
“Supplemento”,pp.344-352.
8
"The New York
Times”,30agosto1968.
9Ivi,29agosto1968,p.
24.
10 T. Hayden, Trial, cit.,
pp.36e43
11 M. Royko, op. cit., p.
196.
12CitatodaJ.Anthony
Lukas,
The
Chicago
Conspiracy
Trial,
in
"BritannicaBookoftheYear
1970”,Chicago1971,p.441.
13 Nell’introduzione al
libro di Jerry Rubin, Do It,
Simon and Schuster, New
York1969,trad.it.(diLietta
Tornabuoni) Fallo!, Milano
Libri,Milano1971,pp.9-10.
14T.Hayden,op.cit.,p.
18.
15
Vincenzo Cuoco,
Saggio
storico
sulla
rivoluzione napoletana del
1799 (1801), Laterza, Bari
1980,cap.vi,p.30.
Lametacittà(3):i
missionaridelmercato
assediatiaFortScience
"LaGuerrafreddaèfinita
e l’ha vinta l'Università di
Chicago.” Ecco come, in un
editoriale del 1991, il
“Washington
Post"
encomiava il premio Nobel
per l'economia, George
Stigler, appena scomparso.1
Asolitrediciannididistanza,
sembra strano che al suo
autore e al suo pubblico una
tale sentenza suonasse non
ridicola, ma anzi plausibile.
Ungruppodidottiprofessori
avevaforsesgominatoacolpi
di dissertazioni l'arsenale
nucleare
dell’Unione
Sovietica?
Ancor più sconcertato è
chi ha studiato nelle quiete,
immense biblioteche di
quest’università,
ha
passeggiatotraipratietragli
edifici neogotici, osservato i
ragazzi leggere sdraiati
nell'erba primaverile o,
nell'inverno di Chicago, fare
jogging e alitare vapore
denso. Nulla più di questa
studiosa, serena atmosfera
potrebbe distare dal fragore
immondo della guerra. Si fa
faticaapensarecheinquesto
raccoglimento
idilliaco
avevano studiato i Chicago
Boys, quel gruppo di
economisti che salirono alla
ribalta internazionale negli
anni settanta, quando le
dittature
sudamericane
adottarono la loro politica
economica: guardando questi
giovani gentili, studiosi non
riesci a capacitarti che fra
qualcheannopotrannoessere
i consiglieri di un generale
Pinochetqualunque.
Un sospetto si era
insinuato
all'uscita
del
Quadrangle,
l'accogliente
club al centro del campus:
uscendo da una colazione in
un bel sole novembrino, al
docentechemiavevainvitato
chiesi dov’era la più vicina
stazione della metro e lui mi
sconsigliò dal viaggiarvi,
persino di giorno, e volle a
tutti i costi chiamare un taxi
(da allora la stazione della
metropolitana vicina al
campusèstatasemplicemente
chiusa). Un altro dubbio
scaturisce dai “telefoni
d’urgenza” ( 134 nel campus
e
dintorni)
installati
dall’università, collegati al
commissariato di polizia che
manda subito un’auto a
prenderti o scortarti.2 Ma
finché rimani nel campus o
nelsuoquartiere,HydePark,
l’inquietudine di questi
segnali è soverchiata dalla
soggezione che incute tanta
sapienza.
13.000 giovani seguiti da
2200insegnanti(unoognisei
allievi)3
studiano
in
quest’università fondata da
John D. Rockefeiler che le
donò35milionididollarinel
1892 e poi ancora 10 milioni
nel 1910. Qui c’è tutto per
studiare. Le sue biblioteche
raccolgono 5,4 milioni di
volumi e i suoi archivi 7
milioni
di
pezzi.
All’università è associato
l’Argonne
National
Laboratory. Le cliniche
mediche sono tra le migliori
degli Stati Uniti. La casa
editrice dell’universita, The
Chicago University Press,
pubblica più di 50 riviste e
250-300volumil’anno;ilibri
incatalogo(inprint)sonopiù
di 4000, più della metà di
quelli pubblicati in tutta la
sua storia.4 Hanno tenuto
corsi
all'Università
di
Chicago 75 luminari insigniti
da premi Nobel, e sono
attualmente
docenti
nell’ateneo 123 membri
dell’Accademia americana
delle arti e delle scienze, 41
membri
dell’Accademia
nazionaledellescienze.Tutto
è dispensato a profusione
perché i futuri specialisti
possano padroneggiare al
meglio i propri ambiti: per
ogni studente c'è un
dipendentedell’università.
A Chicago ci sono altre
sei università: la Loyola
(cattolica), la Roosevelt, la
De Paul, la Chicago State
University,
la
Illinois
University
at
Chicago
(pubbliche)elaNorthwestern
a Evanston. Ma, per il
mondo, l’Università di
Chicago è una sola, quella
dove Dewey fondò il suo
laboratorio pedagogico, dove
nacque la sociologia urbana,
dove Fermi costruì il primo
reattore
atomico,
dove
fiorisce
una
scuola
d’economia da 22 premi
Nobel.5 Per entrare alla
Northwestern basta essere
ricchi, ma per studiare
all’University of Chicago
bisogna anche essere i
migliori. Nel suo messaggio
annuale, fiero il rettore
afferma che il 63% dei suoi
neoiscritti era tra i migliori
5% della classe finale
dell’highschool.
Del sistema educativo
americano avevamo scorto
finora
solo
l’aspetto
degradato, quello dei licei
pubblici
nei
quartieri
popolari,dovecapitadidover
passare attraverso un metal
detector,
installato
per
impedire che gli adolescenti
portino armi all’interno. I
licei pubblici sono un
esempio dell’“America come
utopiaallarovescia”,secondo
l’espressione
di
Loïc
Wacquant;
indicano
in
anticipounacurvadidegrado
cheancora-perpoco-nonè
presenteinEuropa:nellehigh
schoolsdelghettodiChicago
itrequartideglistudentinon
finiscono la scuola in corso,
pur senza esami di passaggio
traleclassi.6
L’Università di Chicago
esprime invece il risvolto di
eccellenza
dell’istruzione
americana.Mostrachevipuò
essere un livello di vertice
fantastico, senza bisogno che
essopoggisuunabaseestesa
di qualità. Come dire che un
paese può sfornare atleti
formidabili a partire da una
popolazione
tutta
di
pappamolle.(Inrealtàc’èuna
spiegazione per questo
apparentemistero,edècheil
bacino di reclutamento delle
piùprestigioseuniversitàUsa
ècostituitonondallanazione
Stati Uniti, ma dal mondo
intero che vi spedisce i suoi
rampolli più promettenti.) È
questo un punto chiave per
decidere se gli Stati Uniti
sonoindecadenzaoppureno:
chiunque scruti gli slum, le
inner cities e l’apartheid
americano non può non
ritenere che gli Stati Uniti
hanno imboccato il viale del
declino. Ma chi invece
osserva la straordinaria
competenzaecreativitàchele
grandi università sfornano a
ripetizione non può non
ricredersi,eanzirestaattonito
di fronte alla contemporanea
presenza dei due aspetti,
l’orridosqualloredeighettie
l’innocente spiritualità dei
campus.
E qui la compresenza è
fisica perché il quartiere di
Hyde Park, dove si trova
l’UniversitàdiChicago,èuna
piccola enclave letteralmente
assediata dai più derelitti
quartieri neri, con le rovine
diroccatedelleTaylorHomes
a ovest e con le lande
sterminate di fatiscenti
villette unifamiliari a sud.
Ovunque, ruderi di casette
carbonizzate,
sventrate,
fabbriche
abbandonate,
finestre nere come bocche
sdentate,
carcasse
di
automobili,
crateri
nell’asfalto. Ma quei neri in
berrettodilanacheditantoin
tantointerromponoilsilenzio
della solitudine non varcano
mai la linea invisibile che li
separa dal piccolo paradiso
studioso. Né i dotti assediati
si avventurano in sortite
temerarie. Ti raccontano
di aver osato, per andare in
centro,eroici,attraversare in
busquest’inferno.
***
Crescat scientia; vita
excolatur (Cresca la scienza,
si raffini la vita) recita il
motto dell’università, ma
ingentilire, raffinare la vita è
prerogativa dei ricchi, se è
vero che un anno di studio
undergraduate costa 23.600
dollari di sola iscrizione
(tuition) cui si aggiungono
però 1200 dollari di libri,
1600dollaridiassicurazione,
9200dollariperlarettadella
stanza e 600 per i trasporti,
peruntotaledipiùdi36.000
dollari.7 L'eccellenza la si
ottiene col denaro: i 35
milionidipoverinondevono
fardimenticarechenegliStati
Uniti chi ha soldi vive (fa
ricercaestudia)bene.
23.600 dollari sono tanti,
e però le rette degli studenti
costituiscono solo il 31%
delle entrate dell’Università
diChicago(esclusiiproventi
delle cliniche universitarie e
del laboratorio di Argonne).
Se poi dalle rette si
detraggono le borse di studio
chel’universitàdistribuisceai
ragazzi più dotati per
innalzare la qualità del
proprio vivaio, le somme
nette versate dagli studenti
costituiscono meno di un
quinto
del
totale.
Paradossalmente, se i corsi
fossero gratuiti e se la
selezione avvenisse solo
attraverso rigidi esami di
ammissione,
la
qualità
sarebbe salva e l’Università
diChicagoperderebbesoloil
18% delle sue entrate.8 Con
tariffe così esose persegue
perciò altri obiettivi: 1) uno
sbarramento di censo che
precludal’accessoallamiddle
classe garantisca il prestigio
dell’università come luogo in
cui si formano gli eredi della
classe dominante; 2) stabilire
e confermare un principio
ideologico: che si acquisisce
sapere come si accumula
capitale;checulturaescienza
sottostannoallestesseleggidella domanda e dell'offerta,
delcapitaleedellavoro-che
reggono gli altri settori
dell'umanoagire;chescienza
e cultura sono sussunte,
direbbe Kant, dalle categorie
del libero mercato. Quindi
l'università è un’impresa
privata che produce e vende
sapienza. (Con un fatturato
che,incluselecliniche,sfiora
i 2 miliardi di dollari,
l’UniversityofChicagoèuno
dei maggiori datori di lavoro
dell'Illinois,conisuoi12.500
dipendenti.)
Non a caso, la teoria del
“capitale umano” è stata
articolata nel 1964 da Gary
Becker dell’Università di
Chicago
(Nobel
per
l’economianel1992).Sapere
e competenza sarebbero un
capitale perché producono
reddito, permettono maggiori
guadagni. Sarebbero un
capitale umano perché, a
differenza di altre forme di
capitale, non possono essere
separate dalla persona fisica
di chi lo detiene. Investire in
cultura e scienza è dunque
una scelta razionale, è un
affare: accumula capitale in
vistadiunfuturoreddito.
Ma se l'istruzione è un
investimento,vasoppesatain
funzione della produttività
marginale,secioèrendepiùo
meno di altri investimenti.
Perungenitoreèpiùproficuo
investire 100.000 dollari nel
diploma
del
figlio
all’UniversityofChicagoche
comprareazionidellaDuPont
deNemours?Selarispostaè
sì, chiederà alle banche un
mutuo
universitario
da
restituire con i futuri
guadagni del laureato. Ma la
risposta può essere no, se il
capitale umano si svaluta
perchétroppodiffuso,troppo
disponibile. Vi sarebbe in
giro troppa cultura, troppa
scienza, tanto che non
produrrebbero più profitti
(curiosa teoria quella che
prevede un eccesso di
sapienza!). Vale la pena
investireincapitaleumanose
questo è abbastanza raro,
altrimentisideprezza.
A guardare lo sfacelo di
oggi,
e
il
pazzesco
analfabetismo di ritorno, fa
sorriderelapreoccupazionedi
Richard Freeman che nel
1976 scriveva un libro
intitolatoL'americano troppo
istruito.9Fortunatamenteperi
“capitalistiumani”,neglianni
ottanta, col reaganismo le
cose cambiarono: mentre dai
primi anni settanta, i salari
reali dei giovani che non
hanno terminato la scuola
secondaria sono diminuiti di
più del 30%, i profitti da
istruzione si sono involati.
Questo spiega, secondo Gary
Becker,comemaisemprepiù
studenti si siano iscritti alle
università private nonostante
le rette rincarassero a un
ritmo spaventoso: "I profitti
da college crebbero ancora
piùrapidamentedeicosti”.10
I principi del mercato
governano perciò non solo
l’economia,malaculturaela
scienza.Anzi,perlascuoladi
Chicago,
il
mercato
costituisce la sola fonte di
ogni razionalità; i suoi criteri
ordinano le scelte razionali
dell'individuo nei campi più
disparati,dalmatrimonioalla
famiglia.Questorazionalismo
è una versione scarnificata
dell'utilitarismo formulato da
Benthamnell’Ottocento.Non
solo ogni atto è mosso dalla
ricerca dell’utile, ma qui il
generico utile si restringe a
utilematerialecheasuavolta
si riduce a interesse
economico e quest’ultimo a
profitto monetario. Tutto ciò
che sfugge alla logica del
libero mercato è irrazionale,
quindi inefficiente. Ogni
interferenzaconimeccanismi
di mercato è dannosa. Ma al
mercato attiene tutta la sfera
dell’interesse privato. Quindi
è irrazionale e inefficiente
tuttociòchelimitailprivato:
ogniinterventostataleèfumo
negliocchi.
I Chicago Boys sono
quindi sinonimo di liberismo
totale, economia del laissezfaire, rifiuto di ogni vincolo
statale ai criteri di mercato.
Perpetuanounatradizioneche
nelNovecentohaavutoilsuo
più autorevole esponente
nell’austriaco Friedrich von
Hayek. Dal 1950 al 1962
Hayek fu professore di
scienza sociale e morale
all’Università di Chicago,
lasciandovi la sua impronta.
Nel 1974 Hayek ricevette il
Nobel, insieme a Gunnar
Myrdal che si situa ai suoi
antipoditeorici:lagiuriadava
uncolpoalcerchioeunoalla
botte.
Giàunavolta,nellastoria,
il nome di una città era stato
associato
all'estremismo
liberista, agli integralisti del
mercato, ed era Manchester,
la
città
che
Engels
considerava esemplare per
tracciare la rivoluzione
industriale dell’Ottocento (e
la cui descrizione, abbiamo
già visto, si attagliava così
bene a Chicago). Progenitori
dei Chicago Boys furono i
manchesteriani-queicrociati
del libero scambio tra le cui
file militava James Wilson,
che nel 1843 fondò il
settimanale“TheEconomist”.
La loro ostinata campagna
nell’Inghilterra ottocentesca
per far revocare le Corn
Laws,
i
dazi
sull’importazione del grano,
anticipa la deregulation
reaganiana nell’America del
Novecento, quando si è
allentato ogni freno alla
concorrenza e abolito ogni
vincolosuiprezzi.
Se si lasciasse fare al
mercato, tutto andrebbe
meglio: secondo un celebre
passo di Adam Smith,
l’individuo, “perseguendo il
proprio interesse, spesso
persegue l’interesse della
società in modo molto più
efficace di quando intende
effettivamente perseguirlo”,
perché “egli mira solo al suo
proprio guadagno ed è
condotto da una mano
invisibile, in questo come in
altricasi,aperseguireunfine
che non rien-tra nelle sue
intenzioni”.11 Miliardi di
singoli
microinteressi
volteggiano nello spazio
dell'economia, urtano l'uno
contro
l'altro,
si
neutralizzano, si rafforzano,
si deviano, come molecole
nella teoria statistica dei gas.
Per Smith questa spontanea
statistica degli egoismi
individuali
produce
il
benessere collettivo, molto
più di una conscia azione
pubblica (programmazione,
pianificazione).Ognifrenoal
libero gioco degli egoismi
privati è quindi un ostacolo
sullaviadelbenessere.Perciò
lo stato deve ridurre al
minimolasuasferad’azione.
Dai
manchesteriani
ai
reaganiani, i teorici del
laissez-faire hanno sempre
voluto dimagrire lo stato.
EccocomeMarxsintetizzava
la posizione di Richard
Cobden (leader, insieme a
Brighi, dei manchesteriani):
“Riduciamolaspesapubblica
e ci sarà possibile ridurre
anche gli oneri fiscali”.12
Centotrent’anni dopo, il
primo atto dei reaganiani fu
di ridurre le tasse (ma non le
spese).
Dietro il liberismo c’è
dunque non solo una precisa
idea di ciò che è razionale e
diciòchenonloè,maanche
un'idea dello stato: lo “stato
guardiano notturno”, quello
che Nozick chiama lo “stato
minimo”, ridotto alle sue
funzioni di poliziotto che
vigila sull’incolumità degli
individuiesull’integritàdelle
loro proprietà. In questo
schema, lo stato non
dovrebbeassicurarenésanità,
né scuola, né infrastrutture
(strade,
ponti,
comunicazioni).
Un’idea di stato implica
una visione delle istituzioni,
cioè del diritto. Anche il
concetto di giustizia viene
sussunto nell’economia. E le
leggi di mercato diventano
criteri della giustizia. Questa
scuola di pensiero, che ha
avuto il suo capostipite a
Chicago in Ronald Coase
(premio Nobel), è detta law
andeconomies. Ma ecco che
l’interpretazionedelleleggisi
fa influenza sulle leggi:
quando esponenti di questa
scuola, Robert Bork e
Douglass Ginsburg, vennero
nominati giudici della Corte
suprema degli Stati Uniti da
Ronald Reagan, la corrente
teorica si fece posizione di
potere nella magistratura e
produsse
sentenze
che
definirono ciò che è lecito e
ciò che è giusto. Se
redistribuirelerisorsetraceti
privilegiati e classi sfavorite
non rientra in ciò che è
giusto, allora lo stato non
deve assistere i poveri. Di
più:quest'azioneafindibene
finirebbe per avere effetti
negativi.
È la "perversione”, quel
luogo retorico del discorso
reazionario che abbiamo già
incontrato con Hirschman,
percuiognipoliticapubblica
“progressista” avrebbe effetti
controproducenti: “I tentativi
di conquistare la libertà
faranno precipitare la società
nella schiavitù, l’aspirazione
alla democrazia produrrà
oligarchia e tirannide, e i
programmi di assistenza
sociale accresceranno la
povertà
anziché
diminuirla”.13CosìnegliStati
Uniti, negli anni ottanta si
diffuse l’idea che lo stato
assistenziale sia nocivo. Nel
suo libro assai pubblicizzato
contro il welfare, Charles
Murray sosteneva nel 1984
che esso fa più danno che
bene, creando una cultura di
welfare-dipendenza,
di
assuefazione all’assistenza14
(ritroviamo la "cultura”,
prima“culturadellapovertà”,
ora “cultura del welfare”): i
poveri non vanno aiutati,
altrimenti
ci
fanno
l’abitudine.
Se compito dello stato
nonèassistereipoveri,tanto
meno gli spetta rilanciare
l’economia nei periodi di
recessione. La loro vera
battaglia i Chicago Boys
l’hannocombattuta(eperora
vinta) contro chi sosteneva
che Io stato deve intervenire
per creare posti di lavoro
quando
infuria
la
disoccupazione, che compito
dello stato è correggere gli
sbandamenti del settore
privato. Cioè, il vero nemico
teorico dei Chicago Boys è
John Maynard Keynes e il
keynesismo, favorevole a un
intervento statale, a un
aumento della spesa pubblica
per uscire dalle recessioni. È
contro il keynesismo che per
decenni Milton Friedman
(altro Nobel di Chicago) ha
perorato il monetarismo col
fervore di un agit-prop
bolscevico. Se il libero
mercato è capace di
autocorreggersi,
come
sostengono i Chicago Boys,
allorailcapitalismoèstabile;
seinveceperusciredallecrisi
c'è bisogno dell’intervento
pubblico, come sosteneva
Keynes,
significa
implicitamente
che
il
capitalismo è instabile: per
Friedman “è l’azione stessa
dello stato a destabilizzare, e
dovrebbe essere consentito al
processo autocorrettivo del
liberomercatodioperarecon
solo un minimo di intervento
statale”.15
L’unico intervento che
Friedmanriconosceallostato
è la politica monetaria. È
un’altra versione dello statopoliziotto,quipoliziottodella
moneta: vigila che ne circoli
non più, e non meno di una
certa quantità. È lo “stato
minimo” in economia. In
questa visione viene meno
l’idea di servizio pubblico,
poiché solo sotto forma di
merce i servizi possono
essere
scambiati.
Così
Friedman suggeriva che lo
stato non fornisse più scuole,
madistribuisseaicittadinidei
voucher, buoni con cui ogni
genitore potesse comprarsi il
tipo di scuola di suo
gradimento per i figli: un
suggerimento che molte
destre nel mondo hanno da
allora cercato di mettere in
pratica.
È il concetto di sfera
pubblica a essere messo in
discussione.“Neilavoridella
scuoladiChicagoilcontrollo
sociale è stato dipinto come
inefficaceesuperfluoecome
un ostacolo sulla via di
un’economia più perfetta,
cioè
un’economia
competitiva. Questi lavori
definisconoibenicollettiviin
modo sempre più ristretto e
quindi assegnano all’arena
privata una categoria sempre
più vasta di attività
economiche.”16 Persino i
costi sociali di un'attività detti
“esternalità”,
o
diseconomie esterne - sono
traslocati il più possibile dal
campodell’azionecollettivaa
quella del contratto privato.
Ronald Coase ha esteso il
concettoditransazionefinoa
includervi l’acquisto e la
vendita del diritto di
danneggiare.17 Né è un’idea
astratta,bensìunadellemerci
che si trattano alla Borsa di
Chicago, una merce che
abbiamo già incontrata, i
diritti
e
i
futures
d’inquinamento: un’industria
compra il diritto di emettere
veleni. Poi si quotano i
futures di questi diritti. Non
pernullaainaugurareinuovi
grattacieli della Borsa di
Chicago fu chiamato Milton
Friedman.
Ai
Chicago
Boys
potrebbe essere mossa la
classicacriticacontroiteorici
del
laissez-faire,
che
Schumpeter sintetizza così:
essi in realtà raccomandano
quel che hanno l’aria di
descrivere,18 Ma insistendo
sulla necessità di svuotare la
sfera pubblica, di trasferirne
nell’ambito privato tutte le
attività, i Chicago Boys non
fannoaltrocheraccomandare
di portare all’estremo un
processo che nell’ultimo
secolo ha già invaso spazi e
tempi del nostro vivere. Il
viaggiare,lospostarsi,daatto
pubblico
(in
trasporti
pubblici, camminando sulla
pubblica via) è diventato
gesto privato compiuto
all’interno della propria
proprietà, l’automobile, che
recinge dagli altri e isola in
unabitacolo privato. Sempre
più la piazza, come luogo
d’incontro, di svago, è
sostituita dai grandi Malis,
daglishoppingcenters,uguali
intuttoallepiazze,tranneche
a una certa ora “chiudono”,
che sono privati. Una
porzione crescente dello
svago pubblico diventa
fruizione privata. Non si
potevaascoltaremusicasenza
i suonatori, senza cioè
immergersi nel pubblico.
Oggi la musica può essere
assaporata in solitario, da
radio, registratori, lettori
laser; la musica è posseduta
nellaformadellamercecd,ο
cassetta,esicompenetranole
due accezioni: il privato del
possesso e il privato della
privacy.Spettacolo - teatro o
cinema-eraoccasionedivita
pubblica; ora sempre più è
sostituito dalla tv che
permette persino di non
andare nell’arena ad assistere
ai moderni ludi. La città
stessa, abbiamo visto (Parte
prima, cap. 10), si struttura
come città privata, con una
costituzione privata, una
polizia privata, e il concetto
di democrazia si assottiglia
fino a coincidere con
l’assemblea dei condomini.
Nel dilatarsi, la parola
“privato” si amplia di senso,
include parti di mondanità.
Mentre la parola “pubblico”
si deteriora, raggrinzisce a
pelledizigrino.
Quest’espansionismo del
privato,questosuopervadere
ed esaurire l’esperienza del
mondo, è possibile solo se
fondato su una simmetrica
onnipotenza dell’individuo,
cioè solo se l’individuo
“costituisce l’unità ultima
delle scienze sociali” e se
“tutti i fenomeni si risolvono
in decisioni e azioni di
individui che non possono o
non hanno bisogno di essere
ulteriormente analizzate in
termini
di
fattori
sovraindividuali”.19
È
l’individuo il soggetto delle
“scelte razionali”. Unici
moventi legittimi sono i suoi
interessi. Esclusivo soggetto
dellastoriaèl’individuonudo
di ogni determinazione
sociale, sbiancato di ogni
retaggiostorico,svincolatoda
ogni
appartenenza,
letteralmente
astratto,
motivato solo ad assicurarsi
quella proprietà che è sì
mezzo di benessere, ma è
anchescopoinsé.
***
Parafrasando
Asterix,
verrebbe da dire: “Sono
pazzi, questi Chicago Boys”.
Ma come? Basta che
sporgano il naso fuori dal
campus, che attraversino un
viale,epoivedanoseillibero
gioco degli egoismi produce
davveroilbenesseregenerale.
Ma è possibile che una
brevissima capatina alle
Taylor Homes non gli abbia
mai instillato un dubbio?
Come si fa a parlare
dell’efficienza del mercato
dopo aver visto l’abominio
dello slum? Come possono i
Chicago
Boys
pensare
all’individuo astratto, quando
tutto intorno nella loro città
non vivono che "neri”,
“ispanici", "white ethnics”,
cioè sempre e solo etnie e
caste?Quandogruppisociali,
identità, retaggi storici si
giustappongono
mantenendosi separati e
determinano la vita fin
nell’indirizzo? Anzi, la
smentita sperimentale è
ancora più estrema: a
produrre
una
società
articolataincaste,segmentata
inetnieerazze,èlalogicadel
profitto individuale. Non è
una società tradizionale,
precapitalistica a essere
strutturata
in
gruppi
predefinitieindestinisociali
da cui l’individuo non può
sfuggire qualunque cosa
faccia (puoi essere ricco e
famoso ma sempre nero o
ispanico o italiano rimarrai).
No, è la logica del
capitalismo
individualista
che, storicamente, negli Stati
Uniti, ha organizzato la
società americana in sistemi
distici(communities).
MatantipremiNobelnon
possono essere pazzi. Il fatto
è che, nella loro opulenza, il
campus e il circostante
quartiere di Hyde Park
sembrano confermare le
forme più estreme di
liberismo. Qui, direbbe
Mumford, “si può vivere e
morire senza che nulla
deturpi l’immagine di un
mondo innocente [...] qui
l’individualità
può
prosperare,
dimentica
dell’irreggimentazione che
pure la permea”. Qui i poteri
pubblicisisonofattidavvero
“stato minimo" quando, per
impedirechecalasseillivello
del quartiere, hanno delegato
a un’associazione privata il
diritto di espellere ed
espropriare
residenti,
abbattere
edifici.
L’associazione di quartiere
era la Hyde Park Kenwood
Community
(al
70%
finanziata
dall’università:
d’altrondeilsuodirettoreera
il fratello del rettore).20 Così
tra il 1960 e il 1970 la
popolazionediminuìdel26%,
ineridel40%.
Dipiù.Qui,nelcampuse
dintorni, si ha l’avvisaglia di
quello che Nozick chiama lo
stato ultraminimo: lo stato
minimo, lo stato-poliziotto,
sarebbe infatti ancora troppo
redistributivo perché con le
tasse di alcuni pagherebbe
l'incolumità fìsica di tutti e
quindi, attraverso la polizia,
redistribuirebbe
risorse
(orrore!). Invece "uno stato
ultraminimo mantiene il
monopolio su tutti gli usi
della forza esclusi quelli di
immediata autodifesa e così
esclude la vendetta privata
[...]maprovvedeprotezionee
servizi di rispetto delle leggi
solo a chi compra le sue
politiche di protezione e
vigilanza.Chinoncompraun
contratto di protezione non è
protetto”.21Setiassaltanoper
strada e tu non hai comprato
la protezione pubblica, la
polizia non verrà in tuo
soccorso. Accadrebbe per
l’incolumitàquelchesuccede
alla salute in un sistema
sanitarioprivatistico:ècurato
chi paga. E l’Università di
Chicago paga. Paga una sua
polizia privata, con tredici
automobili di pattuglia (su
unasuperficiedisolitrekmq)
chedisponedituttiipoteridi
polizia e che opera l’80%
degliarresti.Naturalmente,in
questo quartiere si contano
solo un omicidio e una
dozzinadifurtil'anno,mentre
là fuori, appena oltre la
frontiera invisibile, nei ghetti
vicini gli omicidi sono
decine,
le
aggressioni
centinaia,ifurtimigliaia.C’è
da chiedersi come si fa a
viverecosì,instatod’assedio,
in perpetua ansia, sempre
pronti a chiamare la polizia,
attentianonvarcarelasoglia
dell'inferno, rinchiusi nella
propriacolony,nella fortezza
assediata. Chissà che idea di
cultura ne deriva. Verrebbe
da perdere la fede nel
mercato.
Ma, appunto, fede è il
concettochiave.Sembrerebbe
fuori luogo a proposito di un
razionalismo così angusto, di
un
tale
riduzionismo
economico. Eppure è il
termine più spesso usato per
descrivere
l’entusiastica
fiducia della scuola di
Chicago nel laissez-faire.
"Fede ardente nel potere
organizzativo
e
nell’efficienza del libero
mercato [...] straordinaria
intensità
dell’adesione
all’efficienza dell'interazione
di mercato.”22 È alla logica
dell'irrazionale e della magia
che ricorre Edythe S. Miller
per tracciare la sua ironica
sintesi delle tesi dei Chicago
Boys:
L’economia
competitivaèassuntasia
come stato ideale sia
come
realtà
raggiungibile, se solo
fossero
rimossi
impedimenti
non
naturali (cioè, una
presenza statale). Così
oggi la deregulation è
regolarmente equiparata
alla competizione, quale
che sia la realtà
dell'industria e del
mercato. La magia sta
invece nell’assegnare
unapotenzabenignaagli
attributi essenziali di
questosistema:proprietà
privata, libero contratto,
e libero scambio. La
regolamentazione
è
descritta
come
inefficace, corrotta e,
comunque, superflua.
L’impresa privata è
sempre efficiente, e
sempre è caso da
manuale
di
competizione. [...] La
solaistituzioneammessa
nell’analisi è il mercato;
un
mercato
[·.·]
posizionato
come
neutrale,senonbenigno,
meccanismo
di
allocazione
e
distribuzione.
L’individuo è accettato
comelasolarealtà.23
Al di là del sarcasmo,
Edythe Miller coglie il
perenne argomento con cui
ogni integralismo rifiuta le
smentitedell’esperienza:seil
miracolo non avviene, è
perché non si è pregato
abbastanza; se il comunismo
non si è realizzato, è perché
c’era poco comunismo. Se
nell’economia di mercato
imperversano miserie e
abomini, non è perché vi è
qualcosa di sbagliato, ma
perché non c’è abbastanza
mercato,perchéancoratroppi
ostacoli si frappongono alla
perfetta realizzazione della
competizione
pura,
trasparente e immacolata. La
ricetta di ogni integralismo è
“Encore un effort...": il
mercato funziona mede,
dunque ancora più mercato.
Di nuovo, riduzionismo,
positivismo
estremo
si
coniugano con fideismo,
fondamentalismo. Se un
iranianoscrivesseoggilesue
Lettere persiane, definirebbe
iChicagoBoysgli"ayatollah
del capitale”, a conferma
della tesi di Adorno: “La
forma
borghese
della
razionalità ha bisogno da
sempre
di
supplementi
irrazionaliperrestareciòche
essa
è:
un’ininterrotta
mancanza di equità avallata
daldiritto”.24
Nel Vangelo secondo
Chicago,l’interventostataleè
il male: contagia con la sua
corruzione. Ecco che la lotta
contro la corruzione politica
non tende a una politica
migliore, ma a ridurre,
tendenzialmenteasopprimere
la politica a favore delle
transazioni di mercato. Se
fuori del campus c’è miseria,
è a causa dell'inefficienza
statale.L’orrorechecirconda
l’Università di Chicago
diventa paradossalmente una
prova a favore del sistema di
mercato. L’oppressione e lo
sfrattamento nascono dalla
leggendaria corruzione della
CookCounty.Ladesolazione
è ingigantita dagli sprechi e
dalle inefficienze pubbliche.
Che i capitalisti siano stati
facilmente convinti da questi
argomenti è ovvio. Come
disse George Stigler, “un
conferenziere che denuncia il
cannibalismo può a ragione
considerare l’applauso dei
vegetariani come una dubbia
dimostrazione della sua
eloquenza". Lo straordinario
è che l’opinione pubblica
mondiale si è convinta di
questa tesi, l’ha fatta sua. È
diventato senso comune
considerare ciò che è
pubblico
come
inevitabilmente
più
inefficiente e più corrotto di
ciò che è privato, ritenere il
mercato più trasparente della
politica,equindiilpoteredel
capitale meno iniquo del
potere politico. In questo
capovolgimento del comune
sentire sta la vittoria dei
Chicago Boys, una vittoria
che va al di là della Guerra
fredda perché ha convertito
larghe fette dell’opinione
pubblicaoccidentale.
Né questi milioni di
umani possono essere tutti
gonzi
abbindolati
dall’imponente
apparato
ideologico - tv, cinema,
giornali - benché anch’esso
abbia la sua parte. Senza
bisognodiricorrereall’utopia
anarchica, di una società
senzastato,oal“deperimento
dello stato" perseguito dal
marxismo, nella polemica
contro lo statalismo c’è
potente un’ansia di libertà,
quella stessa che spinge alla
protestapolitica,allelotteper
i
diritti
civili,
alla
Disobbedienzacivile,titolodi
unfamosopamphletdiHenry
David Thoreau che appunto
comincia"Dicuoreaccettoil
motto: ‘Migliore è quel
governo che meno governa’;
evorreivederlorealizzatopiù
rapidamente
e
sistematicamente. Esplicitato,
finalmente equivale a questo
che anche credo: Ottimo è
quel governo che non
governaaffatto'”.25
La
prima
battaglia
politica,abbiamogiàvisto,la
sicombatteperimpossessarsi
delledefinizionipolitiche(“io
sono un leader, tu sei un
boss”).Il sistema di mercato
ha vinto la sua battaglia
impossessandosidellalibertà:
si dice appunto libero
mercato, libero scambio. Per
gran parte dell’umanità,
davvero
lo
stato
è
un’esperienza quotidiana di
tirannide. È per fuggire
quest’angheria (oltre che la
povertà) che tante ondate
umanesiriversanonegliStati
Uniti.Laforzadiconvinzione
sta proprio nell’idea che le
leggi del mercato (della
domanda e dell'offerta) siano
ubique, valgano per tutti,
mentre la giustizia statale è
per alcuni più giusta che per
altri. Il mercato lascerebbe a
ognunounachancenegatada
altri sistemi. Porterebbe in sé
un’idea
di
democrazia
(sintetizzata nell'uomo che si
fa da sé): “Il vantaggio
decisivo dei sistemi di
mercatoèchedecentralizzano
il potere lontano dalle
Washington del mondo e
verso gli individui, uomini
d’affari,
lavoratori
e
consumatori”.26
La fiducia nelle virtù
palingenetichedelmercatoha
una lunga storia. Già per i
manchesteriani, esso esaltava
le virtù morali dell’uomo, ne
tempraval’indole,lorendeva
forte e, viceversa, lasciava
sopravvivere solo i forti (di
nuovoildarwinismosociale):
"Il laissez-faire inietta ferro
nel carattere di un uomo. Se
non lo fa, ed egli perisce,
presumibilmente il suo
carattere non è degno di
essereresod’acciaio”.27Oggi
gli studenti chiamano il
campus di Chicago il
“monastero” e sulla via
principalediHydeParknonè
possibile bersi una birra, non
c’è un solo locale con
alcolici.
Una buona parte dei
manchesteriani
erano
pacifisti: “Credevano che il
libero commercio avrebbe
dato a compratori e venditori
intuttoilmondouninteresse
economico così forte a
mantenere la pace, che essi
preverrebbero i loro governi
dal fare guerra”.28 Ancora
oggi, osserva Benedict
Anderson,
prevale
“il
pregiudizio che ci sia una
qualche
imperscrutabile
connessione tra capitalismo e
‘pace’, tale che 'libero
mercato’ sia istintivamente
contrapposto
non
solo
all’economia pianificata ma
allaguerra”.29Estraordinario
dove noi umani andiamo a
ficcare le nostre speranze: in
quegli stessi anni, altri
utopisti, i saint-simoniani,
pensavano che i treni e le
ferrovie, permettendo ai
popoli di conoscersi tra loro,
avrebbero posto fine alle
guerre,nonconsiderandoche
avrebbero invece trasportato
più rapidamente truppe e
cannoni.
C’è
qualcosa
di
commovente, persino di
patetico, nella fiducia che
tanti
umani
ripongono
nell’equitàdelmercato,diun
sistema economico in cui le
iniquità gridano vendetta al
cielo.
Questa
capacità
d’illudersi si rivela però una
forza irresistibile: è in grado
di smuovere le montagne (e
anche le banche, abbiamo
visto),
rivoluziona
la
geografiaumana,sconvolgei
continenti. Ritroviamo quella
doppiezza in cui così spesso
siamo incappati, qui nel
duplicegiocodellalibertà:da
unlatomiriadidipersoneche
aspirano alla mera libertà di
vivere, dall’altra il capitale
che chiede di avere mano
libera,dinonesserevincolato
da nessun potere che gli sia
superiore.
***
Èunsabatodiluglio.Nel
fresco condizionato, la
biblioteca Joseph Regenstein
è quasi deserta. I suoi cinque
livelli sono divisi ognuno in
due settori: un’area è la sala
di lettura, con sedie, tavoli e
computer di ricerca; l’altra,
senza finestre, è il deposito
dei libri dove interminabili
file di scaffali retrattili, una
accanto all’altra, contengono
centinaia di migliaia di
volumiognipiano.Dopoaver
individuato la posizione sul
computer, ogni lettore va a
cercarsi da solo in questi
meandri i libri che vuole
consultare. Fra tutte queste
muraglie di carta si perde il
senso dell’orientamento. Per
effetto di accumulazione,
ogni libro è indistinto
dall’altro. Nel silenzio più
totale, pare di essere in un
immanecimiterodelpensiero
umano,dovesonoaffastellate
le sue ossa, come nelle
moderne
necropoli,
a
condominio.Cometombeche
nessuno mai visita, innumeri
volumiriposerannointattiper
sempre, nella frescura del
buio. Per una politica di
risparmio energetico, infatti,
dopo pochi minuti la luce si
spegne, e tu resti cieco, solo,
inerme (omicidio nella
biblioteca?)aimmaginareche
ti
ritroveranno
incartapecorito, come un
volume che si sbriciola sotto
ledita.
1GeorgeF.Will,in"The
Washington
Post",
8
dicembre1991,p.C7.
2 Serge Halimi,
L’université de Chicago, un
petit coin de paradis bien
protégé, in “Le monde
diplomatique”,aprile1994.
3Nell’annoaccademico
2003-2004.Datitrattidalsito
www.uchicago.edu.
4
Dal sito
www.press.uchicago.edu.
5I dati sui premi Nobel
sonoaggiornatial2003.
6LoïcJ.D.Wacquant,De
l’Amérique comme utopie à
l’envers,inP.Bourdieuetal.,
La misère du monde, cit., p.
177.
7 Per l’anno accademico
2001-2002.
8I calcoli sono basati sul
bilancio al 30 giugno 2002,
edescludendoleentratedegli
ospedali,
dalla
pagina
http://adminet.uchicacgo.cdu/fi
9RichardFreeman,The
Overeducated
American,
Academic Press, New York
1976.
10GaryBecker,Human
Capital Revisited, The 1989
Ryerson Lecture, Chicago
University Press, Chicago
1989,p.4.
11 Adam Smith, An
Inquiry into the Nature and
Causes of the Wealth of
Nations(1776),trad.it.Idesi,
Milano1973,libroiv,cap.n,
p.444.
12 Karl Marx, artìcolo
sul “New York Daily
Tribune", 28 dicembre 1852,
in Karl Marx-Friedrich
Engels, Opere complete, cit.,
vol.xi,p.478.
13 A.O. Hirschman,
Retoriche dell'intransigenza,
cit.,cap.II,pp.19-20.
14 Charles Murray,
Losing Ground. America’s
Social Policy, 1950-1980,
Basic Books, New York
1984.
15W.CarlBiven,Who
Killed
John
Maynard
Keynes? Confliets in the
Evolution of Economic
Policy, Dow Jones-Irwin,
Homewood(Ili.)1989,p.59.
16 Edythe S. Miller,
Economies
for
What?
Economic Folklore and
Social Realities, in “Journal
of Economic Issues”, giugno
1989,(pp.339-356),p.349.
17RonaldH.Coase,The
Problem of Social Cost, in
“Journal of Law and
Economics", n. 3 (1960), pp.
1-44.
18 Joseph Alois
Schumpeter, History of
Economic Analysis, Oxford
University Press, New York
1954, trad. it. Edizioni
scientifiche Einaudi di P.
Boringhieri, Torino 1959, p.
1062.
19Ibidem.
20S.Halimi,op.cit.
21
R. Nozick, Anarchy,
theStateandUtopia,cit.,pp.
26-27.
22W.C.Biven,op.cit.,p.
53.
23 E.S. Miller,op. cit.,
pp. 353-354 (i corsivi sono
miei).
24TheodorW.Adorno,
Jargon der Eigentlichkeit.
Zur deutschen Ideo logie,
Suhrkamp Verlag, Frankfurt
am Mein 1964, trad. it. Il
gergo dell'autenticità, Bollati
Boringhieri, Torino 1989, p.
36.
25 Henry David Thoreau,
Civil Disobedence ( 18491862), in Walden and Other
Writings, Bantam Books,
NewYork1981,p.85.
26 Gary Becker, in
"Business
Week”,
30
dicembre1991,p.22.
27WilliamD.Grampp,
The Manchester School of
Economics,
Stanford
University Press, Stanford
(Cai.)1960,p.80.
28Ivi,p.7.
29 Benedict Anderson,
The New World Disorder, in
“The New Left Review”, n.
193, maggio-giugno 1992
(pp.3-14),p.6.
Epilogo
Mareeumane,dinuovo
Fuori
dallo
stadio
strapieno, il gelo di febbraio
attanaglia la città. Dentro,
l’aria è torrida fino a sudare
per la partita di pallacanestro
dei Chicago Bulls, i “Tori di
Chicago”.
I
giocatori,
in
pantalonciniemaglietta,sono
quasi tutti neri, altissimi,
felini quando saltano a
sovrastareilcanestro.Unfilm
suungruppodi“coattoni”di
Los Angeles, giocatori di
basket da strada, s’intitolava
WhiteManCan’tJump("Chi
non salta bianco è”, 1992),
doveinamericanojumphaun
secondosignificatosessuale.
Sui bordi del campo
majorette in lustrini, lunghe
gambe e seno in evidenza,
ritmanolefolated'attaccodei
Tori. Sulle gradinate, tra le
migliaia
di
spettatori
assiepati, un gruppo di
ragazze, con la sciarpa
islamicaintornoalviso,faun
tifo
indiavolato.
Sono
studentessedell’Universityof
Illinois at Chicago, figlie di
emigrati musulmani. Ma non
è la loro origine religiosa a
colpire,
è
l'immagine
autocontraddittoria, quasi la
foto istantanea di un
paradosso umano lì nella
bolgia dell’arena, sotto i
riflettori.Ilfoulardstrettosul
capoeintornoalcolloindica
un rispetto della tradizione
islamicasmentitodaquelche
i dottori del Corano
avrebbero definito l’applauso
frenetico di femmine a
maschi seminudi. Come alla
Mecca
c’è
ora
un
McDonald’s,cosìaChicagoi
velientranoallostadio.
***
È meriggio assolato, il 4
di
luglio,
festa
dell’indipendenza, nei parchi
chepermigliabordeggianoil
Lago Michigan da Lincoln, a
Belmont, su fino a Foster.
Sull’erbaadecinedimigliaia
i clan familiari con i loro
picnic. Una signora punjabi
appallottola distinta con la
punta delle dita della ma no
destra la sua polpettina di
riso, verdure e dal; una
megafamiglia messicana si
accalca attorno a tacos e
burritos; un nugolo di
bambini vietnamiti insegue
aquiloni, involtini primavera
allamano.Ognunoconlasua
origine in bocca, e però così
americano. Pochi di loro
parlano inglese, ma tutti già
portanolestigmateyankee:la
passione per i cubetti di
ghiaccio, comprati a pacconi,
gli immensi refrigeratori
portatili, l’inondazione di
salse in flaconi di plastica, il
perpetuo masticare patatine,
popcorn,spuntini,salatini;il
barbecue messo lì, come
altare dei penati, su cui
giovani
maghrebini
immolano
un
pollo,
adolescenti neri offrono hot
dog agli dèi, un austero parsi
sacrificabracioled’agnello.
***
Piccoli segni di due
grandi fenomeni. Il primo:
l’immigrazione che da vent
anni ha ripreso a fluire verso
gli Stati Uniti ha di nuovo
rotto ogni argine e sta
sconvolgendo
la
loro
geografiaumanatantoquanto
laalteraronoleondatedifine
Ottocento-inizio Novecento.
Un secolo dopo, riprende la
migrazione dei popoli, la
Völkerwanderung.Ilsecondo:
la possibilità di essere
insieme
statunitensi
e
vietnamiti, o sikh, o iraniani.
Cioè un nuovo modo di
essereamericani.
Nel 2000 risiedevano
negli Stati Uniti 31,1 milioni
di persone nate all’estero (di
cui più di 7 milioni di
clandestini). Di costoro ben
18,1 milioni erano stati
ammessi dal 1980, e
addirittura 10,2 milioni dal
1990 in poi, più che tra il
1900eil1910(9,3milionidi
immigrati), e più che in tutti
gli altri decenni della storia
americana. Non solo, tra il
1990 e il 2000 sono entrati
negli Stati Uniti più
immigrati
che
nel
quarantennio tra il 1931 e il
1970. La novità sta nel fatto
che ora il grosso non sbarca
piùdall'Europa.Trail1981e
il 2000, su 16,4 milioni di
immigrati legali, solo 2
milioni venivano dall’Europa
(267.000 polacchi e 456.000
ex sovietici), mentre ben 5,7
milioni giungevano dall’Asia
e 8 milioni dall’America, di
cui 3,9 dal solo Messico, da
cuiperaltrogiungeil70%dei
clandestini (cioè 4,2 milioni
su7).
Le ondate di una volta
sono sommerse da altre
maree umane, dall’America
Latina, dall’Asia, dall’IsIam,
persino dall’Africa (585.000
dal 1981 al 2000): per la
prima volta - a contraddire
Tocqueville -, vi sono negli
Stati Uniti umani giunti
dall’Africa
di
propria
spontanea volontà e non più
solo deportati come schiavi.
QuestanuovaAmericasmette
diessereoccidentale,nazione
costruita da europei con
immigrati europei, civiltà
bianca edificata da etnie
bianche (crudele e ostile
all’alterità africana, nera).
Multirazzista e multirazziale,
si fa persiana, cambogiana,
persiana,coreana.
Nelplasmarsidellanuova
geografia umana, si dissolve
la nozione di Occidente,
quella che dall’Ellade in poi
fa tutt’uno col concetto di
nuovo, Nuovo mondo o
(vichianamente)
"popolo
giovane”: gli elleni erano
nuovi rispetto all’Asia,
l’AmericaèilNuovo mondo,
gli Stati Uniti sono una
nazione giovane (nessuno
chiamerebbelaGermaniauna
"nazionegiovane”,ancheseè
più recente degli Usa). Dopo
lapreistoria,iflussimigratori
sembravano tutti andare da
estaovest:gliindoeuropeiei
mongoli in Europa, gli
europei e (deportati) gli
africani in America e poi il
Far West negli Stati Uniti.
Ora però, la Cina, l’Estremo
Oriente si trova a occidente
degli Stati Uniti, e il flusso
migratorio dall’Asia verso
l’America è un flusso
migratorioversooriente.
Datempo,gliemigratidal
Vecchio continente avevano
smesso di essere europei,
eranodiventatiamericani,ma
restavano occidentali. Ora,
conilsovrapporsidellenuove
migrazioni alle vecchie, gli
Stati Uniti cessano anche di
essere
occidentali,
proponendo un inedito ibrido
di irlandesi e sikh, cinesi e
napoletani,
libanesi
e
messicani. Così anche la
Chicago etnica assume un
sapore vecchiotto, quello
dell’America di una volta,
ormaiirriconoscibile.
***
Nella gola del gran
canyondelColorado,leggila
storiadimilionidianninelle
stratificazioni
geologiche
delle diverse rocce, ognuna
col proprio colore, la sua
consistenza. Nelle arterie di
Chicago,
leggi
la
stratificazione di un secolo e
mezzo di immigrazioni. Per
38 chilometri, da Evanston
nel Nord, fino a Blue Island
nelSud,WesternAvenue-la
più lunga via di Chicago traversa quartieri di russi,
indiani, pakistani, polacchi,
tedeschi, arabi, lituani,
ucraini, croati, italiani,
portoricani,
messicani,
vietnamiti, irlandesi, neri ed
ebrei: “È un sogno per un
sociologoeunincuboperun
addetto al censimento,”
raccontava l’articolo di testa
di “Usa Today”.1 E quasi
nessuna zona è abitata dagli
immigrati che il nome
suggerisce. Tu penseresti che
Pilsen è il quartiere dei
boemi. No, è il barrio dei
messicani. Vai nel quartiere
lituano, e ti capita come nel
quartiere
ungherese
di
Cleveland:chei“lituani”-di
qui-comegli"ungheresi”di
làsonotuttiscuridipelle,per
lo più con capelli crespi e
labbra carnose. Sulla Clark
Avenue, verso nord, trovi il
cimitero svedese, perché una
volta qui cera la roccaforte
scandinava,maoraciabitano
arabi. Sulla Milwaukee
Avenue,restanoalcunescritte
in polacco a ricordare il
passato, sovrastate e quasi
tutte cancellate dalle réclame
in spagnolo: i polacchi si
sono spostati più a nord, su
Avondale, tra Central Park e
Pulaski, a “Jackowo” (dal
nome di una chiesa), dove ti
sembradiessereaCracoviae
tutto è polacco, dalle insegne
ai generi alimentari nelle
drogherie, ai giornali. Su
Nord Broadway trovi un
recente quartiere vietnamita,
che ha fatto salire i prezzi
degli affitti, perché prima
dell’ordine asiatico lì c'era
malavita ispanica che aveva
sostituito a sua volta gli
scandinavi. Sempre verso
nord, lontano, sulla Lincoln
Avenue,all'incrocioconBryn
Mawr, proprio accanto al
vecchio cimitero boemo,
scompaiono le scritte in
alfabeto latino e si stende
tutto un quartiere coreano.
Ancorapiùanord,suDevon,
tra Rockwell e Western, nel
giro di pochissimi anni è
sorto tutto un quartiere
indopakistano.
Ainiziosecolo,intornoal
centro (il Loop) di Chicago,
le comunità etniche si
distribuivano in piccole
cittadine ognuna con la sua
Main Street (il suo corso),
l'una accanto all’altra. “A
nord del Loop era Germania.
A nord-ovest Polonia. A
ovesteranoItaliaeIsraele.A
sud-ovest erano Boemia e
Lituania. E a sud era
Irlanda.”2 Poi arrivarono i
neri dal sud. Dopo toccò agli
ispanici che quadruplicarono
tra il 1960 e il 1980, fino a
essere 785.000 nel 2002
(quando, contando l'area
metropolitana, gli ispanici
erano più di un milione e
mezzo). Negli anni settanta e
ottantaeccogliasiaticie,con
lafinedellaGuerrafredda,di
nuovo i polacchi che fanno
una concorrenza spietata sul
mercato del lavoro e si
offrono per tariffe stracciate,
inferiori persino a quelle dei
messicani indocumentados,
residenti senza permesso.
All'afflusso di nuovi arrivati
corrispondeva l’esodo nei
suburbi dei vecchi white
ethnics, così che nel 2002
nerieispanicieranoil63,3%
nel comune di Chicago, ma
solo il 36,5% nell’area
metropolitana.3
Gli irlandesi hanno in
parteabbandonatoBridgeport
per spostarsi più a sud verso
Mount Greenwood, Ashburn
e Beverly. Mentre i polacchi
più poveri stanno a Jackowo,
i più benestanti hanno
popolato i suburbi di
Jefferson Park, Norwood,
Edison. Già da decenni gli
italiani agiati risiedono a
River Forest, Melrose Park,
Riverside,OakPark.Eanche
le zone di prima periferia si
stanno spopolando, a favore
delle aree più lontane, come
nella dilatazione di una nube
gassosa. In questo processo
l’espansione migratoria, già
predetta da Burgess con
l’ipotesi zonale, si coniuga
con
quella
struttura
automobilistica
della
comunitàurbanacheabbiamo
osservatonellaprimaparte.
Da qui una duplice
impressione:laprimaèchela
storia si ripeta, che le nuove
migrazioni
asiatiche
e
latinoamericane ripercorrano
gli stessi processi che
nell’Ottocento
avevano
seguito gli europei, come in
un ciclo con cui l’America,
dopo una fase di digestione,
riprende
a
ingerire
popolazioni,
fagocitando
nuove energie da nuovi
continenti.Ecioè,cheagisca
la stessa logica del capitale
che un secolo fa aveva
attrattotantaforzalavoroper
calmierare la mano d’opera
già presente: non a caso la
grande ondata migratoria di
fine xx secolo ha acquistato
impulsonell’erareaganianae
ha coinciso - per esprimersi
come il "New York Times”
dell’Ottocento - con le più
dure sconfitte dei lavoratori
(o le maggiori vittorie del
capitale) nella “guerra tra
capitale e lavoro”. Come
nella sommossa razziale del
1919aChicagos’intravedeva
in filigrana la furibonda
competizione tra neri ewhite
ethnics sul mercato del
lavoro, così la sommossa di
Los Angeles del 1992 è stata
vistacomel’esploderediuna
nuova ostilità tra neri e
ispanici, tanto che "The
Atlantic" dell'ottobre 1992
titolava la sua copertina
Blacks versus Browns, "Neri
contro
marroni”
(dove
"marroni” sta per ispanici).4
Scriveva "La Prensa San
Diego” del 15 maggio 1992
che,nell’interpretareiriotsdi
Los Angeles secondo lo
schema bianco-nero, i mass
media avevano perso di vista
ilpuntocruciale:
I tumulti non sono
divampaticontrobianchi
o neri, ma sono stati
innescati dai neri contro
le comunità latine e
asiatiche! Quel che è
successo è uno scontro
razziale
di
prima
grandezza da parte della
comunità nera che vede
svanire
la
sua
consistenza e influenza.
Confrontati a quasi un
milione e mezzo di
Latinos che stanno
prendendo il controllo
dell’inner city, i neri si
sono rivoltati, hanno
distruttoesaccheggiato.5
Oggi come un secolo fa
vediamo queste masse di
milioni di umani spostate,
traslocate
dal
mercato
mondiale che, dice Benedict
Anderson, i suoi fautori
immaginano“comeunaforza
di pace e di ordine, ma che
tuttalastoriamodernamostra
essere
l'istituzione
più
sovversiva
che
noi
conosciamo”.6 Oggi, come
nell’ottocento, la logica del
capitale fa sì che nelle
migrazioni partano individui,
ma arrivino popoli, che la
lotta di classe generi scontri
di
razze.
Ma
l'altra
impressione è che, sotto
questa apparente continuità,
cambino i modi delle
migrazioni. Che muti il
significatostessodellaparola
migrare.
***
Gli emigrati di oggi sono
diversi già prima di fare le
valigie. In loro la percezione
della propria povertà è più
dolorosa, più acuta. “La
differenza tra le masse del
Terzo mondo di un secolo fa
e di oggi è che adesso esse
sanno,
attraverso
le
meraviglie
della
comunicazione moderna, di
essere povere e che altri non
losono.”7Oggilaricchezzaè
più contigua alla miseria e
ogni giorno lo sfarzo del
Nord entra nelle stamberghe
del Sud planetario; il lusso
parigino si dispiega nelle tv
delle bidonville africane. (A
contrario, la miseria del
Terzo mondo è spettacolo
correnteperlefamiglieagiate
che, durante laute cene,
vedono nei tg scheletrici
bambini del Bangladesh: con
i mass media, si costeggia
così spesso la povertà nel
privato di casa propria che
non fa più impressione
rasentarla in carne e ossa
appenafuoridallaporta.)
Di nuovo diversi sono i
migranti quando partono,
per lo più in aereo. Non si
valuta
abbastanza
la
rivoluzione
del
volare.
L’aereo cancella la distanza
inmodoassaipiùdrasticoche
trenienavi:ancoraunavolta
siamo
di
fronte
a
quell’esigenza di “annullare
lo spazio per mezzo del
tempo” che, secondo Marx,
ha generato i moderni mezzi
di comunicazione di massa.8
Di nuovo il mutamento
quantitativo (di velocità)
trasformalaqualità.Lastessa
logica dei costi fissi che per
le ferrovie agiva dentro un
continente,siapplicaoggiper
lelineeaereesututtoilglobo
terrestre.Nonrichiedenépiù
tempo,népiùdisagio,népiù
denaro migrare dai paesi più
lontani. La distanza è ormai
irrilevante, tanto che le
filippine migrano in Italia,
all’altrocapodelmondo,con
la stessa facilità con cui vi
giungono gli eritrei da ben
più vicino. Cioè: il fattore
viaggio è secondario nel
determinaredadoveequanto
simigra.
Non solo. L'aereo è più
egualitario della nave: basti
paragonare
i
terminal
internazionali
all’O’Hare
Airport di Chicago o al
KennedydiNewYorkconle
foto di inizio secolo che ci
mostrano lo sbarco degli
immigrati europei ai moli di
Ellis Island. La differenza è
quella tra un gruppo di
persone e una mandria di
animali. Questa maggiore
uguaglianza discende anche
dal turismo. Fino alla
Seconda guerra mondiale, gli
stranierichesbarcavanonegli
Stati Uniti erano per lo più
immigrati.9 Dopo il 1945
invece, gli stranieri che sono
atterrati negli Stati Uniti
sono per lo più turisti: nei
dieciannitrail1990eil2000
gli stranieri non immigranti
ammessi negli Usa sono stati
269 milioni, mentre gli
immigrati legali erano 10,2
milioni,cioèventiduevoltedi
meno.10 Gli aerei hanno reso
possibile
il
turismo
intercontinentale a centinaia
dimilionidipersonenonsolo
perché spendono meno soldi,
ma
soprattutto
perché
spendono meno tempo, la
risorsa più scarsa per i
salariati odierni (impiegati
compresi). Via mare serviva
invece un agio temporale, un
disporredimesi.Eilturismo
è connesso all’immigrazione
dauntriplicelegame:
1 ) Non traggano in
inganno
le
immagini
strappacuore di vietnamiti
nascosti in vascelli fantasma,
messicani ammassati nei
camion sotto cassette di
verdura:oggigranpartedegli
immigraticlandestinivarcala
frontiera come turista, è in
possesso di un po’ di soldi e
diunbigliettodiritorno,solo
chenonlousaerestaoltrela
scadenza consentita dal
permesso temporaneo di
soggiorno. La difficoltà di
separare turisti veri da turisti
falsièunodeimotivipercui
l'immigrazione clandestina è
tanto cresciuta rispetto a un
secolofa.
2) Il turismo consente
un’ispezione preliminare, di
andare a vedere con i propri
occhicomesisonosistematii
conterranei già emigrati, di
giudicaresedavverolavitavi
è
così
prospera.
Quest’avanscoperta
era
semplicemente impensabile
per i contadini siciliani o
bavaresidell'Ottocento.
3) Ma oggi l’influsso
piùfortestanellafacilitàcon
cuipermetteditornareacasa
spesso e consente ai parenti
restati in patria di venire a
visitare
l’emigrato
(innescando così nuove
migrazioni). Per nave era
meno frequente il ritorno in
Europa. Spesso, la visita al
paesenatioprecedevadipoco
la morte, solo dopo la
pensione, quando ormai a
tornare era uno straniero
spaesatoinunapatriachenel
frattempo si era trasformata.
Da qui quel senso di
lacerazione, di abbandono
definitivo,
d’irrimediabile
tagliodelpropriopassatoche
una
volta
opprimeva
l’imbarcooltrel’oceano.Peri
nuovi
migranti
invece,
tornare ogni anno dagli Stati
Uniti in Corea non è più
arduo che per un muratore
napoletano in Germania
passare il Natale coi parenti
sulMediterraneo.
Perciò, quando parte,
l’emigrato di oggi non saluta
mai la propria patria per
sempre. Rimane “in linea”
non solo via radio, ma via
telefono, via fax, tv, posta
elettronica. Potenza del
telefono: la facilità con cui
tiene i contatti rispetto alle
laboriose, rade epistole
vergate da mani incerte.
Squilla il telefono di un
filippino nel suo privato
newyorkese,e,damigliaiadi
miglia, la sua comunità natia
di Cebu irrompe nella sua
nuovacasadisera,dimattina,
a ghiribizzo. Il legame è
agevole quanto quello che
unisceunamammaaParigia
una figlia a Lione, città
diversediunostessopaese.
Latvvietadidimenticare
la propria lingua, aggiorna
sull’attualità politica della
propria terra. Attraverso
l’antenna
parabolica,
l’emigrato indiano segue le
vicende del Bharatya Janata
Party, mentre il white ethnic
di una volta riceveva sempre
meno notizie e sempre meno
vi si interessava: chi vive
all’esterosmettedopounpo’
diappassionarsiaglisportdel
proprio paese e s’interessa a
quelli del paese ospite. Per
non parlare della valanga di
fax che si abbatte da un
continente all’altro. La posta
elettronica connette i conti
bancari in tempo reale,
unifica perciò i bilanci
familiari. La famiglia è una
lumpen-multinazionale con
sediinpaesidiversi.
Ecco perché i sociologi
americani, per definire le
migrazioni contemporanee,
parlano
di
comunità
transnazionali: non c’è un
paesettomessicanodaunlato
e un quartiere di Chicago
dall’altro a duemila miglia.
Vi è una sola comunità che
connette questi due luoghi,
che
"è
un’entità
binazionale”11: non è più né
messicana,néChicagoan,ma
qualcosadidiverso,dinuovo.
Un tempo, l’immigrato
cercava di mantenere la
propria identità difendendosi
dall’assedio
circostante,
costituendoperciò,oltremare,
una "Little Italy” o "Piccola
Odessa”oChinaTown:erano
enclaves, isole di italianità,
russità, cinesità che un
oceano separava dalla loro
madrepatria e che nel
chiùdersi su di sé trovavano
la caparbietà per mantenersi
italiane,russe,cinesi.
Oggi il barrio messicano
di Pilsen è a tutti gli effetti
(per flusso di denaro,
costumi, spettacoli, cucina,
frequentazioni amichevoli,
scambi matrimoniali) più
vicino a Michoacàn, o a
qualunque
altra
città
messicanacheaEvanstonoa
ParkForest.Assistiamoauno
sdoppiamento dello spazio.
Da un lato la comunità si
concentra in un luogo, in un
vicinato (per esempio il
Barrio di Chicago), ma
dall’altro lo spazio della
comunità prescinde dal
circondario che la attornia e,
come in un iperspazio,
connette siti lontanissimi tra
loro
(per
esempio
Guadalajara e Chicago, Cebu
e Roma, Amritsar e
Vancouver).
La comunità si fa
indipendente dalla sua terra.
Può darsi italianità senza
Mediterraneo,indianitàsenza
Gange. Svincolata dal suolo,
l’identità cambia significato:
è altro il parigino senza la
Senna, come inedito è il
tuareg senza il Sahara. (Lo
straordinario non è che il
significato muti, è che
un’identità
persista.)
Prescindendo dalla sua culla,
l’appartenenza si fa più
astratta. Non per questo la
comunità si allenta, anzi,
ridotta al suo nucleo, può
persino
rinchiudersi
e
diventare più coesa come
avvieneaipopolinomadi,gli
zingari, o in diaspora, gli
ebrei (primo esempio di
comunità transnazionale). È
una nuova comunità, sì più
immateriale ma con odi non
meno cruenti, connessa da
onde elettromagnetiche, fibre
ottiche, cavi telefonici,
reattorideijumbo.
Essere tamil a Melbourne
o cinesi a San Francisco non
è più un dato di fatto ovvio,
determinatoallanascita.Èun
differenziale semantico: 'Ί
corpi umani, trascinati nel
vorticedelmercato,nonsono
solo un’altra forma di merce.
Come seguono la scia di
cereali e di oro, di gomma e
ditessili,petrolchimicaechip
di silicio, portano con sé
memorie
e
abitudini,
credenze e usi culinari,
musicheedesiderisessuali.E
questecaratteristiche,chenei
paesi d'origine erano portate
con leggerezza e quasi
inconsciamente, acquistano
un risalto drasticamente
diverso nelle diaspore della
vitamoderna”.12
Portare il velo a Tlemcen
èovvio,indossarloinunliceo
di Sarcelles nella banlieue di
Parigi è vietato. Nello stadio
dei Chicago Bulls il foulard
islamico lancia un messaggio
totalmente diverso che a
Isfahan. Ciò che era naturale
si fa voluto, un’ovvietà
diventa una scelta. È in
questo senso che per i
moderni
nazionalismi
BenedictAndersonhaconiato
nel1983iltermine“comunità
immaginate”, non perché
siano irreali, anzi sono tanto
reali che in loro nome si
uccideesimuore,maperché
sono
state
portate
all’esistenza
dall’essere
pensate, immaginate, sono
"artefatti culturali di un
particolaretipo”.13
***
Elaborare una comunità
presente significa dotarla di
un passato, pensarla come
primordiale,comeunafatalità
originaria. Si è italiani per
destino (già, ma cosa vuol
dire essere italiani?). La
nazionalità è considerata
innata, come le idee
platoniche. E, come nel
platonismo il conoscere è
un ricordare, così il modo
specificodipensareun'etniao
una nazione è di raccontarla
come un risveglio (della
coscienza nazionale o etnica)
“da un lungo sonno”14: nei
manuali di storia, arrivati
all’Ottocento, c’è sempre il
capitolo I risvegli delle
nazionalità, benché solo
allora i nazionalismi siano
nati. Tra gli esempi di
Anderson nessuno colpisce
più
del
nazionalismo
indonesiano: l’Indonesia è
una recentissima entità,
costituita da 13.000 isole in
cui parlano più di 300 lingue
miriadi di popoli che sino a
un secolo fa ignoravano la
reciproca esistenza. In che
consisterebbe
l’originaria
identità indonesiana di cui
andare fieri, per cui
combattere e morire? I
confini indonesiani sono
ritagliati
esattamente
sull’impero
coloniale
olandese: se gli olandesi
avessero
posseduto
la
Malesia, oggi anche a Kuala
Lumpur
sarebbero
indonesianiperdestino?
Il libro di Benedict
Andersonfapartediunfilone
di studi che analizza la
“creazionedelpassato”,come
L’invenzionedellatradizione,
a cura di Hobsbawm e
Ranger,incuisiracconta,fra
l’altro, come sia falso che da
tempi immemorabili gli
scozzesi
portassero
gonnellini, kilt, differenziati
per clan, ma che la sottana
tartan, "lungi dall'essere un
capo
tradizionale
delle
Highlands,fuinventatadaun
inglese dopo l’Unione del
1707; quanto ai tartan
differenziati
per
clan,
l’invenzione è addirittura
successiva”.15 Anche noi
abbiamo osservato il nascere
di tradizioni, alcune effimere
come l'"Αlba della Libertà”,
l’anniversario della Comune
di Parigi, che gli anarchici di
Chicago festeggiarono per
trentasette anni, altre più
durature come il Primo
maggio,
una
"Pasqua
operaia”. In un altro campo,
Edward Said affermava
esplicitamente di voler
ricercare come è stata
costruita la categoria di
Oriente: "L’Oriente era
un'invenzione
dell’Occidente”.16
Questi
studi
sulla
"creazione del passato” si
sonoaffermatineiprimianni
ottanta 1) quando ormai era
evidente il carattere inedito
delle nuove migrazioni; 2)
dopo che nei sessanta si era
imposto
il
modello
rivendicativo nero “Black is
beautiful” e dopo che alcuni
neri
avevano
letteralmente inventato una
loro
originaria
identità
islamica (la storia di Yakub
deiMusulmanineri);3)dopo
che nei settanta i white
ethnics statunitensi avevano
espresso, anche a rimorchio
dei neri (e del movimento
femminista),quelcheGunnar
Myrdal
chiamò
una
"romanticaetnicità”:
Gli scrittori etnici si
sono concentrati in un
astratto inseguimento
dell’identità storica, ma
non hanno mai chiarito
attraverso studi intensivi
qualitratticulturalisono
implicati, chi vuole
quest’identità,
chi
dovrebbe volerla e
perché,ecomedovrebbe
manifestarsi.
Temo
perciò che si debba
definire
questo
movimento come un
romanticismo
intellettuale
upperclass.17
Myrdal sottovalutava la
profondità del romanticismo
etnico che aveva radici ben
più tenaci di un’agiata
cerebralità. Quante volte in
questo volume ho scritto che
negliUsacisonototneri,tot
ispanici, tot discendenti di
origine tedesca? Gli Stati
Uniti pubblicano statistiche
precisissime
sull'origine
etnica e razziale dei loro
abitanti. Eppure - abbiamo
visto - già l’importantissima
categoria
nero
è
geneticamente
illusoria,
poiché nei censimenti, per
ben ottant’anni, dal 1920 al
2000, è stato definito nero
chiunque avesse una sola
gocciadisanguenero.
Arriviamoquiaunpunto
nevralgico-checiriportaalla
potenza del nominare. A
comecioèilsemplicedareun
nome a qualcosa (sia una
mela, un’etnia, un tipo di
legno) generi quel che è
nominato, lo faccia diventare
reale, o ne muti la realtà.
Questapotenzanominatriceè
qui esercitata dall'Ufficio
statistico. Benedict Anderson
ha sottolineato il ruolo che
hanno i censimenti nel
contribuire
a
produrre
"comunità immaginate”. Il
censimento pretende di
suddividerelapopolazionein
categorie che non si
sovrappongono
(nessuno
appartiene a due categorie
diverse) e che esauriscono
tutti gli abitanti (nessuno sta
fuori
dalle
categorie),
insomma quella che in
algebra astratta è chiamata la
partizionediuninsieme.Solo
che non per tutti gli insiemi
c’è una partizione. "La
finzionedelcensimentoèche
ciascuno vi rientra e che
ognuno ha un - e solo un posto chiaro.”18 Per evitare
lacune, i censimenti hanno
inventato la geniale categoria
“Altri” (a volte sostituita da
“Diversi”) che raccoglie tutti
quelli che rimangono fuori
dalla tassonomia. Suddivisa
la popolazione, queste classi
sono poi riportate nelle
domande di assunzione e
cartelle cliniche, nei registri
scolastici, libretti di lavoro e
archivi di polizia, e così
cambiano la vita degli
individui:
nel
tempo
“acquistano vita sociale reale
quelle che prima erano
fantasiestatali”.19
Nulla è più espressivo
delle categorie usate dal
Bureau of the Census
statunitense. “Il concetto di
razza che il Bureau of the
Census
usa
riflette
l’autoidentificazione; cioè la
percezione individuale della
propria identità razziale”.20
Ognuno dichiara perciò la
razza a cui pensa di
appartenere. Vi sono definite
cinque
razze:
“indiani
americani”
e
“nativi
dell’Alaska”;
"asiatici”;
“neri”o“africaniamericani”,
“nativi hawaiiani” e “altri
isolani del Pacifico”, e
“bianchi".
Già
questa
suddivisionegridavendettaal
cielo: la categoria "asiatico”
mischia in una sola razza
popolazioni
indoeuropee
(indiani), dravidiche (tamil),
mongolidi (cinesi), male-' si,
tartari, razze completamente
diversetraloro.
Mal’incredibileècheper
oltre un secolo, e fino al
censimentodel2000,ognuno
doveva scegliere a quale
razza appartenere. Se sua
mammaeracineseesuopapà
bianco,
lui/lei
poteva
“iscriversi” a una sola di
questeduerazze.Quandonel
1997l’OfficeofManagement
and Budget (Omb) decise di
porre
fine
a
questa
coercizione tassonomica che
stava
diventando
uno
scandalo,leresistenzefurono
tali che fu bocciata la
proposta d’inserire una voce
"razza
mista”
come
alternativa alle cinque razze.
Si scelse invece una via
straordinariamente barocca
che riflette quelli che
Anderson chiama i "deliri
burocratici”.Invecedi“razza
mista”, fu inserita una sesta
voce, “altra razza”, e inoltre
si diede il permesso allo
stesso
rispondente
di
dichiarare
più
razze
contemporaneamente, così
che "per il censimento del
2000, esistono 63 possibili
combinazioni
delle
sei
categorierazzialidibase,che
includono le sei categorie di
chi indica esattamente una
solarazzaele57categoriedi
colorocheindicanodueopiù
razze”.21
Il risultato è cioè ora che
negli Usa ci troviamo di
frontealdeliriocombinatorio
di 63 razze diverse! Basta
questa cifra a dimostrare
ancora una volta quel che
LucaCavalliSforzaciricorda
in continuazione, e che cioè
la razza non ha alcun
fondamento genetico, non
esistecioèunarazza,esistono
solo popolazioni, ragion per
cui ogni classificazione
razziale è arbitraria: “Per
esempio, non sappiamo
rispondere al problema:
'Quante razze esistono sulla
terra?’”.22EinveceilBureau
of the Census sì che conosce
larispostaaquestoproblema:
le razze umane sono 63, non
unadipiù,nonunadimeno.
Ma
la
coercizione
all’autoimprigionamento
razziale è così introiettata
nella società americana che
solo pochissimi cittadini
hanno sfruttato la possibilità
di definirsi in modo
multirazziale o di “altra
razza” e solo il 2,4% delle
risposte
riportava
un’appartenenza
razziale
multipla o “altra razza”: cioè
nulla
rispetto
alla
multirazzialità presente negli
Stati Uniti. Ognuno vuole
appartenere a una razza, e a
un'etnia.Tantoche,studiando
i decessi dei bambini negli
Stati Uniti tra il 1983 e il
1985, si osservò una netta
discrepanza tra l’etnia di
origine
dichiarata
nei
certificati di nascita e quella
attestata nei certificati di
morte.23 Il fatto è che i
genitori avevano dichiarato
origini
diverse,
a
testimonianza che si vuole
appartenere a un’etnia. Il
Census crea e alimenta la
coscienza di un’etnia la cui
esistenza
è
almeno
problematica.
Questa volontarietà è
addirittura lampante nel caso
delle razze: il 6% di coloro
chesidichiaranonerisembra
bianco agli intervistatori,
mentreunterzotracoloroche
sidefinisconoasiaticisembra
agli osservatori o nero o
bianco.Mal'incongruenzasta
a monte, nel sistema di
definizioni. Per gli statistici
americani, almeno dal 1973,
quando un comitato federale
stabilì la nuova tassonomia
razziale,24
l’umanità
è
spaccatainduegruppi,unodi
origine ispanica, l’altro di
origine
non
ispanica.
Immaginate un dialogo
surreale come: "Lei chi è?”.
“Iosonononispanico.”
E nulla manifesta meglio
l’assurditàdiquestadivisione
quanto la categoria di
ispanico o latino. Ispanico
comprende
gli
indios
boliviani, i bianchi cileni, i
neri caraibici, persone di
lingua portoghese come i
brasiliani.Nonènéunarazza
né un’etnia né una lingua. E
però finisce per funzionare
come una settima razza
aggiuntaatuttelealtreperché
un argentino biondo con gli
occhi azzurri non è contato
tra i bianchi, un indio dello
Yucatan non è incluso tra i
nativi e un haitiano nero
come il carbone non è
compresotraineri.
Ora,lostraordinarioèche
queste categorie vengono
interiorizzate e finiscono per
definire nuove comunità. Ne
abbiamo già avuto un
esempio poche pagine fa
quando “La Prensa de San
Diego” perorava la causa
della comunità latina, e
deprecava gli assalti dei neri
contro i latini: ma molti di
questi latini sono neri.
Ancora: tra il 1960 e il 1990
gli indiani americani sono
passati da mezzo milione a
quasi due milioni (una
crescita
del
250%,
impossibile
demograficamente): da un
certo momento deve aver
fattochicdefinirsinativi.Ma
nonèsoloquestionedigusti,
centranoancheisoldi.
Iscriversiaunaminoranza
bendefinitahaisuoi(poveri)
vantaggi. Attraverso la
discriminazione positiva, una
serie di contributi federali, di
posti di lavori pubblici
vengono assegnati alle varie
minoranze
secondo
un
sistema di quote. Così c’è un
interesse materiale a essere
nativo o asiatico o ispanico.
Tanto è vero che oggi gli
immigrati arabi si lamentano
di essere assimilati alla
categoria
bianchi
e
vorrebbero una propria
"razza” arabi con una sua
quota di impieghi statali e di
contributi. Vorrebbero farsi
riconoscere come casta
legittimata, ottenere per
esempio una poltrona nel
governo.
Ecco: si comincia con
l'arbitraria categoria latino, o
nativo, che non ha nessun
preciso contenuto razziale o
etnico, ma poi si acquista un
interesse a essere latini o
asiaticieinfinesiostentauna
fierezza dell'ispanicità. Si
diventaveri latinos, autentici
nativi, suprematisti bianchi.
Sivaallaricercadellapropria
genuinaidentità,siscavanole
proprie radici. Quanto più
l’origine è incerta, tanto più
la ricerca si fa accanita e si
manifesta in una, tutta
americana,"sfrenatapassione
per la genealogia”.25 E
davvero,
ovunque
in
America,
inciampi
nel
travaglio dell'origine. Per
casoincontriinuncampeggio
un professore universitario e
subitotiraccontalasuaansia
di andare in Russia a
rintracciare i suoi avi,
tedeschi del Volga. Puoi
rimanere deluso dalle tue
origini,comeècapitatoauna
giornalista che mi raccontava
il suo disinganno nel visitare
laStettinodacuiisuoierano
partiticinquantanniprima.
Un’amarezza più grande
laprovaronoisoldatinerinel
corpo
di
spedizione
americanoinviatonel1992in
Somalia per l’operazione
pomposamente
definita
RestoreHope("Restaurare la
speranza”).Lì,acontattocon
i somali, la loro identità
afroamericana fu brutalmente
messa in discussione. Loro,
neri statunitensi, erano
americani e davvero non
avevanonullaincomunecon
i somali. Eppure negli Stati
Uniti
quest’identità
afroamericana,
costruita
dall’oppressionebianca,dalla
segregazione circostante, è
vera,tangibile.
È straordinario: per
quanto quasi nessun nero sia
nero, per quanto un abisso,
più che un oceano, separi
oggi i neri americani dagli
africani,
la
società
statunitense ha costruito un'
autentica identità nera,
afroamericana. Assistiamo
qui
al
processo
di
"costruzione dell'autenticità”.
ForsenoneracosìcheMartin
Heidegger
intendeva
pervenire ai concetti di
autentico e inautentico, al
centrodelsuopensiero;stadi
fattocheanch’eglinutrivaun
desiderio nostalgico per
l'"origine”
e
venerava
l''insostituibile radicamento
secolare nel suolo alemannosvevo”dellaSelvaNera.26Ed
èsintomaticochelaquestione
dell’origine
s’inscrivesse
nell’orizzonte
del
modernismo
reazionario,
della
"rivoluzione
conservatrice”,
in
cui
Heideggeroperava.
La modernità di questo
procedimentostanelfattoche
la pretesa origine non è mai
stata originaria, che la sua
primordialitàèun’invenzione
moderna. È proprio un’ansia
per il futuro a presentarsi
come un rimpianto per il
passato, in un desiderio di
nostalgia.
Corollario
secondario, la duplicità
implicita nella creazione del
passato rimescola le carte di
destra e sinistra. La sinistra,
peremancipareleminoranze,
appoggia le azioni di
discriminazione positiva e
quindi
ci
tiene
alle
definizioni, alle identità
etniche (si pensi a tutta la
polemica sull'insegnamento
Politically correct, Pc). La
destra, contraria alle azioni
positive, per scrollarsene
l’onere auspica l’abolizione
dellecategorieetnico-razziali:
per
mantenere
le
disuguaglianze si fa più
egualitaria.Questorimescolio
riproduce
in
ambito
statunitense
il
capovolgimento che avvenne
nel movimento comunista,
quando
passò
dall’internazionalismo
proletariodiMarxaifrontidi
liberazione nazionale di
Lenin, dove il nazionalismo,
una
volta
considerato
strumento di oppressione
della borghesia sui proletari,
fupropagandatocomemezzo
diemancipazionedellemasse
dall’imperialismo.
***
Diciotto tra libanesi e
americani di origine libanese
furono arrestati nel luglio
2000 in Nord Carolina,
accusati di finanziare gli
Hezbollah attraverso un
contrabbando di sigarette.27
Nell’agosto2000,igenitoridi
un adolescente israelianoamericanouccisonel1996in
un attentato a Gerusalemme
intentaronounacausada600
milioni di dollari contro
parecchie opere pie e
organizzazioni non profit
islamiche, sostenendo che in
realtàraccoglievanofondiper
finanziare il terrorismo.28
Molto prima dell’ 11
settembre 2001, le cronache
statunitensi erano piene di
episodi simili. Già nel 1993
ricordo
due
americani
dell’area di Chicago, ma di
originepalestinese,arrestatia
GerusalemmedalloShinBet,
la polizia segreta israeliana
perchéfinanziavanoilgruppo
fondamentalistaHamasanche
sequeisoldieranodestinatia
enti di beneficienza, secondo
il direttore di "Al Bustan”,
unodeimoltigiornaliarabidi
Chicago(“AlOflokAiarabi”,
“Al Mahjar Newspaper”,
“Arab Journal”, “Muslim
Journal”), dove la comunità
araba ammonta a 150.000
persone e dove nell’inverno
2000 si assistette a una
mobilitazioneeccezionaleper
sostenere la seconda Intifada
palestinese.29
Quindi,nonsoloilvelofa
iltifoperiBulls,masulLago
Michigan si fa politica per la
striscia di Gaza: e così
avvieneintuttigliStatiUniti,
come ha dovuto constatare
incredula un'America ancora
tumefatta dalle macerie del
WorldTradeCenter.Èsegno
distintivo
della
nostra
epoca quel che Benedict
Anderson
chiama
il
“nazionalismo
in
teleselezione [long-distance
nationalism]”.30
Un
nazionalismoesacerbatodalla
distanza,
estremizzato
dall’affermare un’identità a
repentaglio. Molti punjabi
fautori
del
Kahlistan
indipendente
vivono
a
Chicago, come molti sikh
appoggianoilorocompatrioti
da Vancouver e molti tamil
partecipano da lontano alla
guerrigliaattraversolaretedi
calcolatori Tamilnet. Per
finanziare la campagna che
portò
nel
1993
alla
distruzione della moschea di
Ayodhya,
il
concilio
mondiale hindu, “il Vishwa
Hindu Parishad raccolse
somme tremende dai suoi
membri in Nordamerica e in
GranBretagna”.31 Negli anni
novantalacomunitàcroatadi
Chicagononhalesinatosoldi,
armi e uomini alla causa dei
compatrioti in Europa: anche
qui la religione è l’elemento
aggregativo. Come molti
palestinesi di Chicago si
ritrovanointornoallaMosque
Foundation, così i croati si
organizzano
intorno
ai
francescani, e i serbi intorno
allechieseortodosse.
Con Cleveland che è la
maggiore città slovena del
mondo (più grande di
Lubiana) e che nel 1991 ha
avutounruolopreponderante
nell’appoggio finanziario alla
neoproclamata repubblica di
Slovenia, ci accorgiamo che
una parte della guerra
iugoslava si è combattuta tra
l’Ohioel'Illinois.Conrisvolti
curiosi. Il pope di una chiesa
ortodossa serba è anche il
presidente dell'associazione
cetnica
e
ammetteva
candidamente che i serbi di
Chicagomandavanovolontari
a combattere in Iugoslavia.
Non solo, ma diceva che i
serbi avevano ricomprato gli
ospedali da campo americani
nella guerra del Golfo del
1991 : ecco sale operatorie
che girano i teatri di guerra,
dall’IraqallaBosnia.
Nulladituttociòènuovo,
si dirà. È addirittura
leggendario
l’appoggio,
antico di più di un secolo,
della comunità irlandese
americana
alla
causa
indipendentista
e,
nel
dopoguerra, alla guerriglia
nell’Ulster. Persino sulle
pareti del pub dell’hotel
HiltondiChicagofannobella
mostradisémanifestidell’Ira
eproclamideiProvisionais.
Ladifferenzastanelfatto
che i discendenti di irlandesi
si sentono americani con
radici (passate) in Irlanda,
mentre i finanziatori degli
Hezbollah o i volontari serbi
o croati si sentono libanesi o
croati"ora”inAmerica.
Gli universitari neri
fautori
dell’insegnamento
Politically correct (Pc)
cercano nella storia e nella
cultura africana le proprie
radici per agire qui, ma per
niente al mondo andrebbero
volontari in Sudafrica, né si
sognerebbero mai di sentirsi
zairoti,tanzaniani,senegalesi.
Invece i volontari che negli
ultimi quindici anni sono
partiti per i Balcani o per la
striscia di Gaza si sentono
croati o palestinesi al
presente.Inquestosenso,essi
sono contro-emigrati, sono
croati di origine americana,
palestinesi
di
origine
statunitense; come ci sono
sikh di origine canadese,
tamildiorigineaustraliana.Si
assiste a “uno slittamento da
americano
ad
armenoamericano ad armenoamericano”,32
dove
la
sottolineatura si sposta
dall’americano all’armeno (o
alsikh...).Mentreuntempoi
cognomi
dei
politici
americani ci parlavano delle
loro origini di immigrati,
Eisenhower,
Galtieri,
Trudeau,oggisiassisteauna
diaspora di segno inverso: i
politici
emigrano
dall’America verso i loro
paesid’origine.Ilprimocaso
clamoroso
fu
Andreas
Papandreu che iniziò la sua
vita come cittadino greco,
divennecittadinoamericanoe
quindi,
opportunamente
richiamato, divenne di nuovo
cittadino greco e poi premier
greco. Negli anni novanta, il
capitalistacanadesedisistemi
computerizzati
Stanislaw
Tyminski si presentò in
Polonia contro Lech Walesa.
Rein Taagepera, professore
universitario all'Università di
CaliforniaaIrvine,fubattuto
nella campagna presidenziale
in Estonia. Il colonnello in
pensione
dell'esercito
statunitense
Alexander
Einseln (era emigrato da
Tallin negli Usa a 18 anni) è
diventato capo di stato
maggiore
nell’Estonia
indipendente. Il cittadino
statunitense Milan Panic è
statoprimoministroserbo;lo
statunitense
Mohammad
Sacirbeyèstatoambasciatore
della Bosnia alle Nazioni
Unite. Moheen Qureshi, ex
vicepresidente della Banca
mondiale,divennepremierad
interim del Pakistan essendo
detentore di una green card,
cioè residente permanente
negli Usa. Quando il
miliardario di Long Beach
Kim Kethavi si presentò alle
presidenziali del 1993 in
Cambogia, i suoi uffici
elettorali rigurgitavano di
bandiere americane.33 E il
“New York Times” (17
febbraio 1993) osservò che,
nell’improbabile caso di
vittoria, secondo le leggi
americane,
"avrebbe
probabilmente
dovuto
rinunciare
alla
sua
cittadinanzastatunitense”.
Ancora
uno
sdoppiamento: i nazionalismi
esplodono da tutte le parti,
ma insieme si allenta il
vincolodinazionalità,cambia
natural’ideadinazionecome
appartenenza per sempre. Si
puòparagonarel'amorpatrio
alla fedeltà coniugale, il
vincolo di nazionalità a
quello matrimoniale. Altre
civiltà hanno conosciuto la
poligamia
(poliandria)
sincronica, più partner
simultaneamente. Attraverso
ildivorzio,lanostraciviltàha
sostituitoallamonogamiauna
poligamia
(poliandria)
diacronica: l'individuo cioè
ha a ogni momento un(a)
solo(a)coniuge,manelcorso
della vita, in tempi diversi,
diacronicamente, ha più
coniugi.Rispettoalvìncolodi
nazionalità, le migrazioni del
secolo scorso costituivano un
divorzio dal paese d'origine
cui
seguiva,
attraverso
l’assimilazione, un risposarsi
nella terra d’accoglienza: nel
corso della sua vita,
l’individuo era cittadino di
due nazioni diverse, ma a
ognimomentoeracittadinodi
una sola patria: quando
rifiutavadidivorziare,comei
tedeschinegliStatiUnitifino
allaPrimaguerramondiale,la
sua renitenza era condannata
alla stregua di adulterio
patriottico. Oggi invece la
migrazione
ricostituisce,
rispetto alla nazionalità, una
poligamia sincronica ma
diatopica (in luoghi diversi).
L’individuo appartiene a più
nazionalità
contemporaneamente ma in
luoghi diversi e, soprattutto,
in modo reversibile. Questa
reversibilitàèlegataalsogno
diuna"migrazionecircolare”,
ma è possibile solo a patto
che l’assimilazione rimanga
parziale.
Rispetto ad appena pochi
decenni fa si è capovolto il
rapporto con l’integrazione:
un tempo gli immigrati
s’inchinavano al diktat "Che
tu lo voglia o no, diventerai
come noi”, oggi disdegnano
l’assimilazione, anzi la
subisconocomeinevitabile,il
minimo indispensabile. È la
sconfittadiquelchepotrebbe
essere chiamato il modello
francese,
di
totale
assimilazione e oblio delle
proprie origini nella figura
del citoyen, per cui l’armeno
CharlesAznavour,gliitaliani
Yves Montand e Léo Ferré
furono i cantanti della
francesità.
***
Edècosìfacileportarein
sé nazionalità multiple. A
Chicago salta agli occhi. Il
coreano che d’estate manda i
figli a studiare a Seul vuole
che "siano americani e non
dimentichino il proprio
paese": questi bambini
sarannoamericani,mail‘loro
paese” continuerà a essere la
Corea,inunaviadiChicago.
E
però
saranno
pienamente americani e il
nazionalismo coreano si
sovrapporràaquelloUsa,etu
potrai essere yankee e
libanese,
nello
stesso
atteggiamento per cui la
squadra che vince il
campionato Usa di basket
(Nba) è dichiarata campione
"mondiale”, dove perciò gli
Stati Uniti esauriscono il
mondo. Dove la nazione
americana è l’orizzonte di
vita, mentre la nazione
palestinese, croata, tamil è
l'identitàcuianeli.
Nel risucchiare milioni di
umani da un continente
all’altro,
quell’incredibile
tornado che è il capitalismo,
la forza “più sovversiva che
abbiamo mai conosciuto”,
riplasma anche il concetto di
nazione.Insuabalia,idestini
umani si aggrappano a
identità lontane, a sensi di
vitacheapparirebberoirrisori
se per essi gli interessati non
fosseroprontiamorire.
“Senso di vita”, “morte”:
Benedict Anderson notava
quel peculiare emblema del
nazionalismo moderno che è
il monumento al Milite
Ignoto: altre culture hanno
eretto cenotafi, ma in quei
sepolcri l’identità del morto
era nota, mancava solo la
salma. Qui no, riempire il
cenotafio sarebbe sacrilego:
in quella tomba il corpo
assente è la nazione: a Roma
ilMiliteIgnotoèl’italiano,a
Parigi,sottol’Arcoditrionfo,
quel vuoto è colmo di
francesità. “Il significato
culturale di tali monumenti
diventa ancora più chiaro se
si cerca di immaginare una
tomba, diciamo, dell’Ignoto
Marxista o un cenotafio dei
Liberali Caduti.”34 Proprio
perchéè“immaginata”,epoi
vissuta come un destino, un
dato
primordiale
e
immodificabile,
l’identità
nazionale attiene al senso e
alla morte, “questioni cui
tutte le scuole di pensiero
evoluzioniste/progressive
rispondono con impaziente
silenzio”.35 Delle sue azioni
il
nazionalista
deve
rispondere ai suoi morti.
Anzi, la nazione è ciò che fa
deimortiinostrimorti,come
i Vice Lords che sacrificano
birraailorocaduti.
Così,nelleviediChicago
ognuno si porta dentro i suoi
brandellidisenso,diinferi,di
aldilà. La città si dissolve al
suoesternoneisuburbi,nelle
villette, nei diuturni cicli di
degrado e bonifica. Ma essa
si disloca anche nelle
interiorità dei patriottismi,
nella diaspora delle fedi, con
una Sheridan Avenue a Ho
Chi Min City, una Lincoln
Avenue a Seul, un Humboldt
Park a Guadalajara, una
Devon Avenue a Lahore.
Incrociunapersonaesivede
cheilsuovicinodìcasastaa
Belgrado, e poi subito
un’altra che tra sé e sé parla
con Calcutta. Allora, ai tuoi
occhi la mappa stradale di
Chicago traccia una precaria
trama di vita sospesa nel
silenzio,nelvuotocosmicodi
sensi irraggiungibili. Nessun
paesealmondopiùdegliStati
Uniti, e nessuna città più di
Chicago,titrasmetteunsenso
di metafisica: qui anche i
mattatoi
emettevano
il
grugnito dell’universo. La
metafisica è esasperata dal
contrastofrailpositivismo,le
scelterazionalidimercatodei
Chicago Boys e l’insensato
sudare,l’ammazzarsidifatica
dei suoi abitanti. L'avidità
intrisa di fede, la “fame di
vento”nellaCittàVentosa.
Ti ferisce l'intensità con
cui ognuno combatte la sua
lotta, fa il suo dovere,
fluttuante su un abisso di
nulla. Tra State e Superior,
davanti alla Cattedrale del
Santo Nome, nel centro
elegante della città, una
vecchia lacera dai bianchi
capelliispidispazzaigradini
del sagrato con una scopa di
saggina. Ogni pomeriggio la
ritrovilìapulirelapietracon
un'energia
instancabile,
senz'altroscopodelloscopare
che lo spazzare stesso.
Adempie a questo compito
con un’urgenza, come prima
dell’irreparabile,comel'unico
modo di salvare l’equilibrio
del mondo. Forse è così che,
nella cosmologia indiana,
Siva Nataraja non può
smettere di danzare, perché
con la sua danza leggiadra
sostieneilpesodell’universo.
La
sua
immane
responsabilità, la sua fatica
solitaria frappone tra lei e il
mondo un muro di opacità
che impedisce ai valori e ai
giudizi altrui di tangerla. Il
suospazzarerisuonacomeun
urlo,eimponeilsilenzio.
***
E poi però, in una serena
notte destate, per i fuochi
d’artificio del 4 di luglio, dai
bassifondivengonoafiumane
torrenti di scuri corpi dal
South Side, volti candidi dai
villini del Nord. E poi tratti
spigolosi di indios. Occhi a
mandorla.
Pallidi
nasi
adunchi. E braci nere di
pupille indiane. E diavolesse
dagli occhi azzurri. Dai
suburbipiùlontani,daCicero
e da Calumet, da Gary e da
EvanstonsiriversanoaGrant
Park,davantiall’ArtInstitute,
sullarivadelLagoMichigan,
sotto grattacieli svettanti.
Fantastici fiori di luce
multicolore
tuonano
e
s’irradianonelnerodelcielo.
E un calore immenso emana
dalla folla, da questi milioni
di umani insieme, una
speranza allegra e ostinata,
un’adesione intensa, una
fierezza,unasoddisfazionedi
esserci,
che
t’instilla
un’immotivata,
struggente
fiducianelfuturo.
1 “Usa Today”, 12 aprile
2000.
2M.Royko,Boss,cit.,p.
30.
3 Dai "2002 Data
Profiles" del sito dell’U.S.
Bureau of the Census:
www.census.gov.
4JackMiles,Blacksvs.
Browns.Immigrationandthe
New American Dilemma, in
“The Atlantic Monthly”, vol.
270, n. 4, ottobre 1992, pp.
41-68.
5Ivi,p.51.
6 B. Anderson, The New
WorldDisorder,cit.,p.8.
7 W. C. Biven, Who
Killed
John
Maynard
Keynes?,cit.,p.193.
8KarlMarx,Grundrisse
der Kritik der politischen
Ökonomie(1857-1858),Dietz
Verlag, Berlin 1953, trad. it.
Lineamenti
dell’economia
politica, La Nuova Italia,
Firenze 1970, III, 2 II
processo di circolazione del
capitale,vol.II,p.161.
9 Nel decennio 19211930 sbarcarono negli Usa
4,1 milioni di immigrati
controsoli719.000visitatori.
Nel decennio successivo,
1931-1940,
dopo
le
restrizioni sull'immigrazione,
sbarcarono528.000immigrati
contro 775.000 visitatori. Da
U.S. Bureau of the Census,
Historical Statistics of the
United States, cit., vol. I,
tavv.C89-101eH941-951.
10DaticalcolatidaU.S.
Bureau of the Census,
Statistical Abstract of the
United States 1999, cit., taw.
5e7eU.S.Immigrationand
Naturalization
Service,
Statistical Yearbook of
Immigration
and
Naturalization Service 2000,
Government Printing Office,
Washington D.C. 2002, tav.
37.
11 Douglas S. Massey et
al., Return to Aztlón. The
Social
Process
of
International Migration from
Western Mexico, California
University Press, Berkeley
(Cal.)1990,p.7(Aztlànèper
gli ispanici la regione a
cavallo tra il Messico del
nordeilsud-ovestdegliStati
Uniti).
12 B. Anderson, The
New World Disorder, cit., p.
8.
13 Benedict Anderson,
Imagined
Communities.
Reflection on the Origin and
Spread
of
Nationalism
(1983), Verso, London 1992,
p.4.
14Ivi,p.196.
15 Hugh Trevor-Roper,
LatradizionedelleHighlands
inScozia,inTheInventionof
Tradition,
Cambridge
University Press, Cambridge
1983,trad.it.Einaudi,Torino
1987,p.23.
16 Edward W. Said,
Orientalism, Vintage Books,
NewYork1979,p.1,trad.it.
Bollati Boringhieri, Torino
1991; Feltrinelli, Milano
1999,p.11.
17 Gunnar Myrdal, The
Case against Romantic
Ethnicity,
in
"Center
Magazine”, 1974, p. 30,
citato da S. Steinberg, The
EthnicMyth,cit.,p.50.
18B.Anderson,Imagined
Communities,cit.,p.166.
19Ivi,p.169.
20 U.S. Bureau of the
Census,StatisticalAbstractof
theUnitedStates2002,cit.,p.
5.
21 U.S. Bureau of the
Census, Population Division,
Special Population Staff,
‘‘Racial
and
Ethnie
Classifications Used in
Census2000andBeyond",12
aprile2000.
22 Luca e Francesco
CavalliSforza,Chisiamo.La
storia della diversità umana,
Mondadori, Milano 1993, p.
333.
23L.Wright,OneDrop
ofBlood,cit.,p.53.
24Ivi,p.50.
25 Eric J. Hobsbawm et
al, in The Invention of
Tradition,
Cambridge
University Press, Cambridge
1983,trad.it.Einaudi,Torino
1987, p. 281, la fa risalire al
decennio1890perlefamiglie
che volevano stabilire la
propriapurezzawasp.
26
Martin Heidegger,
Warum bleiben wir in der
Provinz?(“Perchérestiamoin
provincia?”),
in
"Der
Alemanne”, marzo 1934 (il
corsivoèmio)citatoinPierre
Bourdieu,
L’ontologie
politique
de
Martin
Heidegger(1975),LesÉd.de
Minuit,Paris1988,trad.it.il
Mulino,Bologna1988,p.62.
27 "The New York
Times",22luglio2000,
28Ivi,13agosto2000.
29
"The Chicago
Tribune”,29dicembre2000.
30 È il titolo di un
capitolo del volume The
Spectre of Comparisons. Nationalism,SoutheastAsiaand
the World, Verso, London
1998,pp.58-74.
31 Praful Bidwai,
Bringing Down the Temple:
Democracy at Risk in India,
in "The Nation”, 25 gennaio
1993,p.86.
32 Benedict Anderson,
Long Distance Nationalism,
in
The
Spectre
of
Comparisions,
Verso,
London1998.
33Ivi,pp.19-20.
34 B. Anderson,
Imagined Communities, cit.,
pp. 9-10. Ma il culto del
Milite Ignoto sarà durato
menodiunsecolo,dissacrato
dallageneticacapace-grazie
alDna-diridareunnomeai
brandellipiùdilaniatidiogni
soldato morto in battaglia:
nessun milite caduto potrà
mai più, a rigore, restare
Ignoto.
35 Ibidem (il corsivo è
mio).
P.S.Unbluesancora,e
poi.
Su Halsted Street c’è un
locale fumoso, celebre nella
storia del blues: si chiama,
appunto Blues. Qui ci
saluteremo, dopo aver tanto
giratoperChicago.Sulpalco,
vicinoalbanconedeiliquori,
si
esibiscono
cantanti,
trombettisti e batteristi neri,
maanzianiodimezz’età,eil
pubblicoètuttobianco.Irudi
distici dei blues stridono con
lelunghissimeunghielaccate
dirossodisignoreacconciate
con ricercatezza di periferia.
Aprovareilbrividodelsound
nero vengono provinciali
dallegrandipianecentraliche
si distendono sotto 'l'impero
diChicago”,comescrivevano
icronistidell’ottocento.
E pensare che appena
ottani anni fa il blues era
musica di giovani neri per
giovani neri. Ma era un’altra
epoca, un’altra America,
un’altra
Chicago.
Dall’Alabama,
dal
Mississippi,dallaLouisiana,i
raccoglitori neri di cotone
biancoaccorrevanoafiumane
sulle rive del Lago Michigan
come a una terra promessa.
Fu così che, da Memphis e
New Orleans, i treni
dell’IllinoisCentralportarono
qui i grandi del blues e del
jazz,daBessieSmithaLouis
Armstrong, a suonare in
localicomeil.Lamb’sCaféo
in sale da ballo come il
Trianon. Chicago ha lanciato
la
prima
industria
discografica nera ed è stata
per più di mezzo secolo una
capitale del blues, il pui
maggiore festival si tiene
all’aperto,ogniiniziogiugno,
nei parchi della città. Ma nel
frattempo i neri furono
rinchiusineiloroghetti,nella
black belt ("cintura nera”) e,
musicalmente,
Chicago
divenne “un luogo in cui
white boys met horn [i
bianchi
scoprirono
la
tromba]”.1 Non per nulla
John Belushi e i Blues
Brothers
sono
così
profondamenteChicagoans,e
bianchi.
Nel blues risuona quindi
una Chicago che ormai non
cepiù.Quellacresciutaconla
logica dei costi fissi e del
capitale "ferroviario”, dei
mattatoi, del commercio di
legname e di granaglie. La
Chicago dal sostrato tedesco,
delle etnie bianche (white
ethnics),dei sindaci irlandesi
(Daley, Kelly), degli oriundi
polacchi e dei gangster
italiani (Al Capone, Sam
Giancana).
Chicago si presenta come
esemplare, rappresentazione
fedele dell’America: si
descrive come necessaria,
“ineludibile metropoli del
Nord-ovest,”scrivevaParton.
Osservare
Chicagoland
significa raccontare la sua
stratificatageografiaurbanae
umana; la sua storia
architettonica e industriale
diventa un’archeologia del
capitale. Archeologia del
capitale in quanto scavo nei
vari strati delle macerie che
essohalasciato,deglieserciti
umani che ha spostato e
mandato allo sbaraglio, delle
invenzioni che ha imposto,
dalla casa col telaio ligneo
leggero (balloon frame) al
grattacielo, dalla mietitrice
meccanica
al
vagone
frigorifero per i manzi
macellati, al Mercantile
Exchangedovesicontrattano
opzioni per titoli futuri su
vitellididomani.
Di questa storia così
breve, e così gonfia, sono
state spazzate via perfino le
effigi. I mattatoi sono chiusi;
la Grand Illinois Station rasa
alsuolo.Haymarketridottoa
cavalcavia.
Hobohemia
rigentrificata. Bronzeville,
una volta vivacissima, landa
desolata. Distrutti il Lamb’s
Café e il Trianon: tutto un
libro di foto mostra la
“Chicago perduta", come
un'Atlantide
sommersa.2
Arrugginite le acciaierie di
Calumet.Trasformataincittà
privata la fabbrica Stewart
Warner. Interi ghetti svaniti,
soppiantati da distese di
civettuole town homes.
Spazzati via dal vento gli
anarchici, le Pantere nere, i
sindacalisti di Debs, i
boscaioli che estinsero da
queste lande il pino bianco, i
ferrovieri, gli hoboes. Tutti
trascinati via dalla storia, o
forse sepolti in un cimitero
alla Spoon River (Edgar Lee
Masters, un altro figlio di
Chicago). Fra breve anche le
torri
semincendiate
e
diroccatedelleTaylorHomes
ediCabrini-Greenrifluiranno
nella
Lost
Chicago,
rimarranno soltanto un mito
nella memoria, come solo un
ricordosaràl'esaltatafrenesia
deipitsdelChicagoBoardof
Trade e del Mercantile
Exchange.
Un’archeologia dunque,
maun’archeologiadelfuturo.
Perchéquestodistruggersi
e divorarsi fulmineo, questo
annientarsiericostruirsièciò
che caratterizza il moderno.
“Tutto ciò che era stabile si
dissolve
nell’aria,”
scrivevano Marx ed Engels
nel Manifesto del partito
comunista,3 una frase ripresa
da Marshall Berman come
titolo del suo libro su
“l'esperienza
della
modernità”. È già scomparso
quel che appena ieri aveva
creatoefattograndeChicago.
Elacittàcheoggivediamoè
destinata a svaporare. Quel
che non cambia è il processo
del dissolvimento, è il vivere
del proprio morire, è
l’autofagia come tecnica di
crescita: Chicago sembra
praticare incessantemente su
se stessa quel processo che
Schumpeter considera la
caratteristica principale del
capitalismo, e cioè “la
distruzione creatrice".4 Tutto
si dissolve nell’aria, è vero,
maquesto,completavaMarx,
"costringe a guardare con
occhiodisincantatolapropria
posizione e i propri reciproci
rapporti”.
Come avrai capito,
lettore, né io sono un
americanista, né questo è un
volume di studi americani,
tanto meno una storia di
Chicago. Anzi, avrai notato
che ho cercato di riportare
intatto il mio ricorrente
sguardo alieno, lo stupore da
straniero, da "europeo”: in
Germania o in Francia sono
costretto a sentirmi italiano,
maunavoltainAmericasono
obbligato a sentirmi europeo
e a chiedermi, come faceva
Wolfgang
Schivelbusch,
quand’è che “noi siamo
diventatiloro’’.
Nonèverochenoisiamo
architetti e ingegneri dei
nostri libri, demiurghi che
primadelineiamounprogetto
epoilo“mettiamoinopera”.
In realtà chi scrive s’imbatte
in un libro. Così, io sono
inciampato in Chicago: nulla
nella mia formazione, prima
scientifica e poi francofona,
nulla nella mia esperienza
professionale mi ci aveva
preparato.Questacittàmisiè
dispiegata come un fattore
d'ordine capace di dare una
trama alle preoccupazioni, ai
problemi disparati e però
confusamente connessi che
mi arrovellavano e mi si
aggomitolavano nella mente
intorno alla modernità e alla
sua natura. La città di
Chicago si è presentata ai
miei sensi come un
personaggio di romanzo,
come un soggetto capace di
trasformare un saggio in un
racconto,unostudio
in una narrazione. Sarà
perché ho incontrato questa
città in un momento
particolaredellamiavita,ma
subitohosentitolasuapuzza,
la puzza di modernità.
Chiunque viaggi sa che, a
vivere troppo a lungo in una
città, non si annusano più i
suoi odori; ma quando vi si
torna dopo una lunga
separazione, per quanto sia
pulita, ogni città ti accoglie
con la sua puzza fortissima,
insopportabile e familiare.
Ecco, Chicago puzza di
moderno. Non è un aroma, è
un lezzo forte. Forse così si
spiega “il paradosso per cui
questa città sta più a cuore
agli europei che a noi”
[Chicagoans], come scrive
NelsonAlgren.5
Dopo avervi vissuto
dall'autunno del 1992 alla
primavera del 1993, mi ci
sono voluti altri due anni di
studio e di nuovi soggiorni
perimpadronirmideiconcetti
e degli strumenti appena
sufficienti a fare affiorare gli
elementi di moderno di cui
avevo presentito giusto
l'odore. Solo nel corso del
lavoro ho capito come mai
tanti episodi centrali della
modernità si erano verificati
qui sulle rive del Lago
Michigan: la nascita dei
grattacieli,
la
standardizzazione dei sapori,
il sorgere della sociologia
urbana, il primo reattore
atomico,lascuolaeconomica
deiChicagoBoys...
È inutile rielencare qui i
tratti salienti della modernità
che abbiamo cercato di far
affiorare dallo scavo: la
potenza del nominare, il
problema dell’autenticità, il
dilatarsi della dimensione
privata, il meccanismo
sociale in cui il confitto di
classeèl’inputeloscontrodi
razza è l’output. Soprattutto,
a Chicago non cessa di
stupire
la
straordinaria
potenza
rivoluzionaria,
sovversiva del capitalismo,
unapotenzacheèancorlungi
dall'esaurirsi.
Sconvolte
dalla
“rivoluzione
permanente”
operata dal capitalismo,
risaltano in primo piano le
masse umane prese nel suo
vortice.
Diventano
protagonisti i milioni di
diseredati trascinati da un
continenteaunaltro,ognuno
con la sua ostinata speranza
di una vita migliore.
Centosettant’anni fa, sulle
rive del Michigan cerano
tepee indiani, capanne di
cacciatori di pellicce. Oggi
vietnamitivicelebranoilloro
Capodanno, il tet, e arabi
pregano nelle sue moschee.
Centosettant’anni
fa
la
prateria era popolata di
bisonti, un paesetto doveva
ancora sorgere. Oggi, agli
inizi del xxi secolo, questa
megalopoli di otto milioni di
abitanti ha compiuto il ciclo
dellamodernità.Nellasuagià
rugosa maturità, il problema
all’ordine del giorno è se la
metropoli - come modo di
vivere urbano, come civiltà
cittadina - si sta dissolvendo
in una struttura diffusa,
reticolare, multicentrica, in
una via di mezzo che non è
più né città né campagna.
Anche la metropoli si
dissolvenell’aria.
Per misurare l’abisso
scavato
da
soli
centosettant’anni anni, basti
paragonare gli slum di
Manchester descritti da
Engels e i ghetti di Chicago:
squallore,
lerciume,
desolazionesonoidentici,ma
contreenormidifferenze:1)i
residentideglislumdiEngels
eranobianchi, ora a Chicago
sono di colore: 2) erano
operai,orasono disoccupati;
3)perlestradec'eraunafolla
brulicante, una torma, ora
colpisce il silenzio della
solitudine, di strade quasi
deserte.
A Chicago la sovversiva
logica del capitale ha potuto
dispiegarsi senza vincoli,
senza essere frenata da uno
statalismo (come in Francia),
da un’aristocrazia (Gran
Bretagna), da una chiesa
(Italia). Perciò qui il
capitalismo si è imposto
prima,einmodopiùestremo.
Ecco perché vi abbiamo
incontrato
situazioni,
configurazioni che in Europa
stanno
solo
ora
manifestandosi, o sono solo
in fase di abbozzo. In questo
senso è un’archeologia del
futuro, del futuro europeo.
Futuro come linea di
tendenza,
quindi
non
necessariamente
buono
(Wacquantparlaaddiritturadi
“America come utopia alla
rovescia”). All’inizio del
Novecento, i viaggiatori
europei,Sombartcomeanche
23 segretari di trade unions
inglesi
(la
cosiddetta
“spedizione” Mosely del
1902), tutti riferivano che gli
operai americani stavano
meglio di quelli europei, le
loro case erano più belle, il
loro cibo di gran lunga
migliore (!), e le operaie
“eleganti".6 Oggi, un leader
sindacale americano direbbe
lastessacosa,aruoliinvertiti,
degli operai tedeschi: negli
Stati Uniti, il benessere dei
lavoratori è cresciuto e
declinato in anticipo. Non
solo le grandi tendenze, ma
persino i particolari sono
premonitori:ivecchifrancesi
hanno smesso di portare la
casquette e giocano a bocce
col berretto da baseball. Gli
elegantoni italiani escono
ormai in (carissime) tute da
ginnasticaescarpedatennis;
i barboni cominciano a
costruirsi le loro baracche di
cartoneanchenelcentrodelle
città europee accanto alle vie
dilusso.
Nascostapiùinprofondità
c'è un’altra caratteristica di
Chicago che prefigura la
modernità di altre metropoli
ed è il suo essere insieme
provinciale e globale. "Città
globale” è un concetto
introdotto da Saskia Sassen:
in un'economia globale,
delocalizzata, i servizi vanno
accentrati e "città globali” si
rendono necessarie perché
"concentrano l’infrastruttura”
e “il controllo globale”.
"Quest’ultimoèessenzialese
la dispersione geografica
dell’attività economica - che
sia di fabbriche, uffici o
piazzefinanziarie-deveaver
luogo sotto la continua
concentrazionedellaproprietà
e dell’appropriazione del
profitto.”7Inquantoculladel
mercato dei futures, Chicago
è
città
globale
per
antonomasia,ma-comenota
DavidMoberg-loèinmodo
provinciale: "Chicago manca
di alcuni attributi tipici della
‘cittàmondiale’.[...]Sebbene
la sua influenza su teatro,
letteratura, arte e vita
intellettuale
sia
andata
crescendo
negli
ultimi
decenni, è ben lungi
dall’avvicinarsi-comecentro
della cultura di massa o
d’influenza ideologica - al
livellodiLosAngeles,conil
suocinemaeisuoistudios,o
di New York con la sua
editoria, pubblicità e moda.
(Il ‘Chicago Tribune’, per
quanto
estremamente
redditizio e localmente
influente, non ha la statura
nazionaleointernazionaledel
‘New York Times’, ‘Wall
Street Journal’, ‘Los Angeles
Times')”.8
Città
dell’economia globale sì, ma
insieme
profondamente
midwestern. Un radicamento
dislocato che preannuncia il
registroesistenzialedellevite
prossimeventure.
Il bailamme cosmopolita
e provinciale, l’incrociarsi
quotidiano di polacchi e
filippini, di russi e sikh,
prefigura un mondo in cui le
identità saranno costruite
diversamente,
altrimenti
immaginate. Scorrere le
frequenze radio di Chicago è
scegliere in un catalogo di
corsi di lingue. Ti viene da
riflettere su Babele: non
doveva essere così tremenda.
Magari non era l’inferno in
cui le lingue cozzano, ma il
purgatorio, cacofonico però
sopportabile,incuigliidiomi
scivolano uno sull’altro,
comebrusiichesentimanon
ascolti. Forse ci si poteva
vivere, come qui a Chicago,
pensi dopo una stretta di
mano nel camminare di sera
su Halsted Street: un blues
ancora,epoi...
***
Questo libro è stato
contagiatodalsuoargomento:
nellesuevarievite,hasubito
anch’esso
l'incessante,
fulmineo trasformarsi di
Chicago.
Per
tallonare
l’incontenibileautofagiadella
città, da quando è uscito in
italiano (novembre 1995) è
stato corretto già per la terza
edizioneitaliana(1996).Nel
frattempo
mutavano
i
paesaggi
di
Chicago,
cambiavano le statistiche,
nuovi
studi
venivano
pubblicati di cui era
impossibile non tener conto.
E perciò il libro è stato di
nuovo revisionato per le
edizioni tedesche (hard cover
1996, tascabile 1998), poi in
quella italiana tascabile
(1999). Ha quindi subito un
processo di "distruzione
creatrice”
ancora
più
massiccio per l’edizione in
lingua inglese (2001 ). Ora,
per la seconda edizione
tascabile italiana e per la
traduzione svedese ho potuto
utilizzare anche i dati
conclusivi del Censimento
2000, oltre a riaggiornare
tutte le statistiche: né è
decentemente
possibile
discorrere di grattacieli, della
Nation of Islam, del longdistance
fondamentalismo
come se l'11 settembre del
2001 non fosse avvenuto.
Con
gli
aggiornamenti
statistici, le riscritture, gli
emendamenti, è aumentato
ancor più il numero - già
grande-dipersoneversocui
sono debitore e che - in
diversimodieinvariamisura
- mi hanno permesso
d’intraprendere e portare a
termine la ricerca, poi mi
hanno corretto errori e
inesattezze, e quindi hanno
fiutato questo volume a farsi
un po’ di strada nel mondo.
Troppo lungo e tedioso
sarebbe specificare l’aiuto di
ognuno. Ma certo conoscono
le ragioni della mia
gratitudine Tariq Ali, Guido
Ambrosino,
Benedict
Anderson,
JoelBleifuss,
Pierre Bourdieu, Franco
Carlini, Manuela e Bruno
Cartosio,
Francesco
Cataluccio, Albertine Cerutti,
Deborah Cole, William
Cronon,MikeDavis,Giulioe
Luce d’Eramo, Micaela Di
Leonardo,
Valerio
Evangelisti, Carlo Feltrinelli,
Adelin Fiorato, Marina Forti,
Roberta e Larry Garner,
Maria Grazia Giannichedda,
Friederike Hausmann, Jane
Hindle, Charles Hoch, Leo
Kadanoff, Linda Grace
Kobas, Ann Lovell, Corinne
Lucas, Beth Mafchinot,
Giulia Maldifassi, Ornella
Mangione, David Moberg,
Franco
Moretti,
Anna
Nadotti,
la
famiglia
Nnoberavez,AlessandraOrsi,
Antonella Palombo, Giorgio
Parisi, Valentino Parlato,
Luigi Pintor, Alessandro
Portelli,TeresaPrado,Saskia
Sassen, Marie-Ange Schütz,
Wolfgang Schivelbusch, Erik
Schneider, Maria Concetta
Straccamore, Anna Maria
Testa, Graeme Thomson,
Fabrizio Tonello, Lietta
Tornabuoni,
Fernando
Vianello, Susan Watkins,
James Weinstein, i gentili
addetti delle biblioteche
Harold
Washington,
Newberry,Regensteinedella
ChicagoHistoricalSociety.
1 Eric J. Hobsbawm, The
Jazz Scene (1961), trad. it.
Storia sociale del Jazz,
Editori Riuniti, Roma 1982,
p.158.
2 David Lowe, Lost
Chicago, Houghton, Mifflin
1975, riedito da Wings
Books,NewYork1993.
3 Karl Marx, Friedrich
Engels,
Manifest
der
Kommunistischen
Partei
(1848), trad. it. Laterza, Bari
1972,p.59.
4 Joseph Alois
Schumpeter,
Capitalism,
Socialism and Democracy
(1946), George Allen and
Unwin,London1954,trad.it.
Edizioni di Comunità, Ivrea
1964,cap.vii.
5
Nelson
Algren,
Chicago: City on the Make
(1951), Chicago University
Press,Chicago1983,p.87.
6
W. Sombart, Perché
negli Stati Uniti non c'è il
socialismo?, cit., p. 100. Sul
cibo "l'operaio americano è
assai più vicino ai nostri
migliori ceti medi di quanto
nonlosialanostraclassedei
salariati: egli già pranza, non
mangiasoltanto".
7 Saskia Sassen, Cities
inaGlobalEconomy(1994),
Pine Forge Press, Thousands
Oaks2000,p.85.
8 D. Moberg, Chicago,
to Be or Not to Be a Global
City, cit., p. 80. Che poi nel
2000il“ChicagoTribune”sia
diventatoproprietariodelben
più influente “Los Angeles
Times" è solo un’ulteriore
manifestazione della potenza
globale di Chicago e del suo
simultaneoprovincialismo.
Bibliografia*
*Sonoriportatiquisoloi
lavori da cui sono tratte
citazioni testuali o notizie,
informazionispecifiche.Sono
esclusequindioperechepure
mi sono state utili, ma che
non ho usato esplicitamente.
Sono anche esclusi articoli
apparsi su quindicinali,
settimanaliequotidiani.
AA.VV., A History of
Technology,ClarendonPress,
Oxford 1958, trad it.
Boringhieri, Torino 1982,
vol. v, L’età dell'acciaio,
18501900.
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